RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII  n. 57 - Testo della Trasmissione di giovedì 26 febbraio 2004

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il Papa incontra i parroci romani, come da tradizione all’inizio della Quaresima, e li esorta a difendere la famiglia e il matrimonio senza scoraggiarsi. Poi invitato a parlare in dialetto romanesco li saluta con un “volemose bbene” e “damose da fa’”. Intervista con padre Piero Leta, parroco della chiesa di Santa Maria in Traspontina.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Muore in un incidente aereo nei pressi di Mostar in Bosnia, il presidente della Macedonia, Boris Trajkovski: con lui altre otto persone hanno perso la vita. Sulla figura di Trajkovski il commento di Federico Eichberg

 

Uscito negli Stati Uniti il film di Mel Gibson “La Passione di Cristo”. Il commento di don Luca Pellegrini, critico della “Rivista del Cinematografo”.

 

Un evento a carattere ecumenico, che ormai da quattro anni, caratterizza il cammino del Rinnovamento carismatico cattolico, la Conferenza internazionale di adorazione e lode. Ce ne parla il prof. Matteo Calisi

 

CHIESA E SOCIETA’:

La Chiesa svizzera devolverà ai cristiani della Terra Santa le offerte raccolte durante la Quaresima

 

I vescovi dello Sri Lanka hanno espresso la propria preoccupazione per la candidatura di numerosi monaci buddisti in un partito nazionalista cingalese, in vista delle prossime elezioni generali del 2 aprile

 

Lettera pastorale diffusa nei giorni scorsi dalla Conferenza episcopale indonesiana, in vista della tornata elettorale delle politiche e delle presidenziali

 

Un rapporto dell’Unicef sulla situazione dei bambini indigeni rivela l’assenza, per molti di loro, dei diritti umani fondamentali.

 

Si è spento all’età di 90 anni, in Messico, l’arcivescovo emerito di Durango, Antonio Lopez Avina

 

24 ORE NEL MONDO:

Tensione ad Haiti: ribelli armati che si oppongono al presidente Aristide pronti a sferrare l’attacco decisivo sulla capitale

 

La Corea del Nord pronta a rinunciare al programma nucleare

 

La guerriglia torna a colpire le forze di polizia in Iraq

 

Paura di nuove scosse e rabbia per la lentezza dei soccorsi in Marocco, dopo il terremoto di due giorni fa

 

Nuove violenze in Medio Oriente e condanna degli Usa per l’operazione israeliana nelle banche palestinesi.

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

26 febbraio 2004

 

“DAMOSE DA FA’”: L’INCORAGGIAMENTO DEL PAPA, IN DIALETTO ROMANESCO,

AI PARROCI ROMANI RICEVUTI STAMANE IN VATICANO

 

Giovanni Paolo II, vescovo di Roma stamane in compagnia dei suoi parroci, nell’incontro tradizionale che si ripete ogni anno all’inizio della Quaresima, a pochi giorni dalla ripresa dei suoi incontri con le parrocchie di Roma. Sabato prossimo, infatti, il Papa riceverà nel pomeriggio nell’Aula Paolo VI in Vaticano, celebrando una Santa Messa, le comunità di Sant’Anselmo, di Santa Maria dell’Evan-gelizzazione, di San Carlo Borromeo e di San Giovanni Battista de la Salle, tutte nel settore sud della diocesi. Salirà così a 307 il numero totale delle parrocchie romane incontrate dal Papa durante il suo ministero petrino. Parrocchie di Roma, che in tutto sono 336. Ma ascoltiamo la cronaca dell’udienza odierna dei parroci romani accompagnati dal cardinale vicario, Camillo Ruini. Il servizio è di Roberta Gisotti:

 

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“Qua te volemo tutti bbene”:

 

Cosi un parroco romano de Roma al Papa, chiedendogli “un piccolo regalo”: “una parola in dialetto romanesco”, Lui che ha parlato in tutto il mondo in oltre 100 lingue.

 

“Damose da fà, volemose bbene, semo romani”.

 

Ha raccolto la sfida, Giovanni Paolo II. Un incontro come sempre affettuoso tra il vescovo di Roma e la sua “tanto amata Chiesa” per condividere “speranze e preoccupazioni”, in particolare quest’anno sulla famiglia, tema al centro del programma pastorale della diocesi. Preoccupazioni e speranze che sono emerse nell’intervento del cardinale Ruini e nelle testimonianze dei parroci, sincere, a volte sofferte, negli interrogativi posti, tanti, nelle ammissioni di difficoltà, nelle conferme di impegno e dedizione. E il Santo Padre ha ascoltato attentamente prima di parlare lui ai parroci, un discorso breve a braccio:

 

“Famiglia vuol dire: uomo e donna lì creò; vuol dire: amore e responsabilità. E poi, da queste due parole vengono tutte le conseguenze”.

 

Ha poi citato la sua esperienza personale:

 

“Ho imparato da tempo, ancora quando ero a Cracovia, di vivere con le coppie, con le famiglie, anche ho assistito al processo come da due persone – uomo e donna – si è creata una famiglia, perché attraverso la famiglia passa il futuro della Chiesa e il futuro del mondo”.

 

Il rimando poi al discorso scritto, con tante raccomandazioni e incoraggiamenti ai parroci: “Non abbiate paura di spendervi per le famiglie, di dedicare a loro il vostro tempo e le vostre energie. “Siate per loro amici premurosi e affidabili, oltre che pastori e maestri”. Proponete “con verità e amore, senza riserve o interpretazioni arbitrarie, il Vangelo del matrimonio e della famiglia… Siate a loro vicini spiritualmente nelle prove che la vita spesso riserva … educate i giovani a capire ed apprezzare il vero significato dell’amore …” Ma attenzione a non lasciarsi vincere da sfiducia e rassegnazione, di fronte “ai comportanti sbagliati e non di rado aberranti, che vengono pubblicamente proposti, e anche ostentati ed esaltati”; e nel “contatto quotidiano con le difficoltà e le crisi che molte famiglie attraversano”. Una tentazione che “con l’aiuto di Dio – ha detto il Papa – dobbiamo sconfiggere, anzitutto dentro di noi, nel nostro cuore e nella nostra intelligenza”, perché nessun peccato, ideologia, inganno possono sopprimere la struttura profonda del nostro essere bisognoso di essere amato e capace di amore autentico. E dunque “per quanto grandi sono le difficoltà, - ha concluso Giovanni Paolo II - tanto è più forte la nostra fiducia nel presente e nel futuro della famiglia”.

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Ma sulla vita delle parrocchie romane e sul rapporto particolare che c’è tra i parroci della capitale e il Papa, ascoltiamo padre Piero Leta, parroco della chiesa di Santa Maria in Traspontina, in via della Conciliazione, al microfono di Giovanni Peduto.

 

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R. – Come sappiamo tutti, il Papa è il vescovo di Roma, quindi noi parroci siamo profondamente legati a lui, sia nella situazione pastorale, sia affettivamente, per la sua persona e per la sua sofferenza.

 

D. – Quali sono le principali difficoltà che incontrano i sacerdoti, i parroci, specialmente nella loro attività pastorale?

 

R. – Quelle di interagire con la nostra gente che è presa dal consumismo, dal secolarismo. Ci stiamo accorgendo che per molti manca la prima evangelizzazione. Probabilmente dobbiamo rivedere il nostro modo di rapportarci alla gente. Siamo sfidati ad uscire dal recinto Chiesa e ad andare per le case, per le famiglie, in modo tale da cambiare questo rapporto, capire meglio la gente dal di dentro, i suoi ritmi, le sue difficoltà, le sue ansie, ma anche le sue grandi aspirazioni, per ridonare la speranza della buona notizia del Vangelo.

 

D. – Quali sono le gioie per un parroco?

 

R. – Le gioie sono legate al fatto del rapporto interpersonale, come credo un po’ tutti. Quindi, quando noi riusciamo a trasmettere Gesù Cristo, la gente l’accoglie e si sforza di creare unione tra la fede e la vita. Credo che questa sia la più bella gratificazione.

 

D. – Come vede la partecipazione dei laici?

 

R. – La nuova Chiesa è sostenuta dai laici. Quindi, occorre dare loro il massimo spazio. D’altra parte, occorre dare anche ai laici una buona formazione.

 

D. – Roma è la diocesi del Papa, ma molti sono lontani. Cosa fare per loro?

 

R. – La Chiesa deve essere in mezzo alla gente. Deve essere una Chiesa povera, disponibile al dialogo, deve essere una Chiesa capace di rivedere i propri lati negativi, ma allo stesso tempo proporre itinerari di fede, il che significa non itinerari di un gruppo o di chi viene in Chiesa. Si tratta di impostare una nuova evangelizzazione ed una nuova pastorale che pensi a tutti, sempre e comunque. Quando c’è stato il Giubileo, è stata la missione voluta dal Papa che ha portato di nuovo il Vangelo nelle case. Molta gente ha detto: “Vi aspettavamo. Finalmente siete venuti”.

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ALTRE UDIENZE E NOMINE

 

Il Santo Padre nel corso della mattina ha ricevuto in udienza il cardinale Camillo Ruini, suo vicario generale per la diocesi di Roma, insieme con mons. Vincenzo Apicella, vescovo titolare di Gerafi, ausiliare di Roma per il settore pastorale Ovest, e tre parroci romani.

 

Il Papa ha quindi nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Košice in Slovacchia mons. Stanislav Stolárik, del clero della medesima arcidiocesi, finora parroco di San Nicola a Prešov, assegnandogli la sede titolare vescovile di Barica. Mons. Stanislav Stolárik è nato a Rožňava il 27 febbraio 1955 ed è stato ordinato sacerdote l’11 giugno 1978.

        

Il Santo Padre ha poi nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Panamá (Panama) mons. Pablo Varela Server, del clero dell’arcidiocesi di Panamá, rettore dell’Università Santa María la Antigua, assegnandogli la sede titolare di Macomades Rusticiona. Mons. Pablo Varela Server è nato a Denia (Spagna), diocesi di Orihuela - Alicante, il 2 luglio 1942 ed è stato ordinato sacerdote il 28 giugno 1970.

 

Infine Giovanni Paolo II ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Panamá (Panama) anche il padre agostiniano José Domingo Ulloa Mendieta, finora vicario provinciale dell’Ordine di Sant’Agostino in Panamá e parroco della cattedrale di San Juan Bautista in Chitré, assegnandogli la sede titolare vescovile di Naratcata. Mons. José Domingo Ulloa Mendieta è nato a Chitré, il 24 dicembre 1956 ed è stato ordinato sacerdote il 17 dicembre 1983.

 

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

 

Apre la prima pagina il tradizionale incontro del Papa con i parroci di Roma all’inizio della Quaresima.

S’impone il titolo “Non stanchiamoci mai di proporre, annunciare e testimoniare la grande verità dell’amore e del matrimonio cristiano”.

In evidenza anche l’esortazione ad essere per le famiglie amici premurosi e affidabili, oltre che pastori e maestri.

Sempre in prima un articolo di Umberto Santarelli dal titolo “L’ispirazione del cristiano. La sapienza del legislatore”: la Camera dei Deputati italiana onora Giorgio La Pira.

 

Nelle vaticane, l’omelia del cardinale Jozef Tomko durante la celebrazione eucaristica del Mercoledì delle Ceneri; “La Chiesa ci indica la strada: elemosina, preghiera e digiuno”.

 

Nelle estere, riguardo alla crisi nucleare si sottolinea che Pyongyang si è detta pronta a rinunciare ai suoi programmi atomici militari.

Haiti: la crisi al vaglio dell’Onu. 

 

Nella pagina culturale, per la rubrica “Oggi”, una riflessione di Franco Patruno dal titolo “Quando il bisturi è ridotto a strumento di spettacolo”; notazioni in margine ad una trasmissione televisiva.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano i temi delle riforme e della giustizia.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

26 febbraio 2004

 

IL PRESIDENTE DELLA MACEDONIA, BORIS TRAJKOVSKY PERDE LA VITA IN UN TRAGICO INCIDENTE AEREO. IL CORDOGLIO DELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE

 

Il presidente macedone Boris Trajkovski è morto questa mattina in un incidente aereo. Il velivolo che lo portava da Skopje a Mostar è caduto nei pressi di Stolac, nel sud-ovest della Bosnia. Il servizio di Giada Aquilino:

 

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E' scomparso dai radar quando volava a 30 km ad est di Mostar - in Bosnia - l'aereo con a bordo il 47.enne presidente macedone Boris Trajkovski ed altre otto persone, tra consiglieri, guardie del corpo e membri dell’equipaggio. I rottami del velivolo sono stati ritrovati infatti nella parte meridionale della Bosnia. Non ci sono sopravvissuti. Ignote al momento le cause del disastro, ma nella zona piove e incombe una fitta nebbia. Unità della Sfor, la Forza di stabilizzazione della Nato in Bosnia, sono presenti sul luogo della sciagura. Trajkovski era a bordo del jet - dono del governo americano alle forze aeree macedoni - per recarsi a Mostar, dove sarebbe dovuto intervenire ad una conferenza internazionale sugli investimenti in Bosnia-Erzegovina, proprio mentre il premier macedone Branko Crvenkovski a Dublino avrebbe dovuto presentare la domanda di ammissione della Macedonia all’Unione Europea. Il premier ha subito anticipato il rientro a Skopje. Eletto presidente nel novembre del 1999 - quando già la Mecedonia era diventata indipendente dalla Jugoslavia nel ’91 - il principale leader del centro destra macedone Trajkovski era riuscito nel 2001 a riportare il Paese alla stabilità, dopo lunghi mesi di tensioni con la minoranza albanese. Il Parlamento europeo, riunito oggi a Bruxelles, ha osservato un minuto di silenzio in ricordo del capo di Stato macedone scomparso. Il presidente della Commissione Ue, Romano Prodi, ha parlato di “giorno molto triste per la Macedonia, che perde un leader saggio ed equilibrato, per la regione dei Balcani, per la cui integrazione aveva fatto così tanti sforzi, e per l'Europa, che perde un sostenitore dei valori di tolleranza su cui l’Unione è basata”.

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Proprio sulla figura di Boris Trajkovski ascoltiamo il commento di Federico Eichberg, esperto del mondo balcanico, intervistato da Roberto Piermarini:

 

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R. – Boris Trajkovsky era un presidente sicuramente anomalo per i Balcani e con questa espressione sottolineiamo una sua notevole predisposizione al dialogo, fin dalla sua campagna elettorale che fu improntata al dialogo tra le componenti, quella slavo-macedone e quella albanese. Un presidente improntato anche al dialogo interreligioso. Era metodista. Forse anche questo lo aveva portato a cercare un dialogo, venendo da una confessione minoritaria, con la confessione dominante in Macedonia, cioè quella ortodossa, ma anche con la confessione cattolica, con la religione islamica professata da decine di migliaia di albanesi. Quindi, un presidente che aveva anche fatto del dialogo politico la sua stella polare. Nella sua presidenza si ricordano numerosi accordi significativi, fra cui quello delle minoranze reciproche con Albania e Bulgaria, quello della tutela della lingua, sempre con Albania e Bulgaria, e da ultimo – se vogliamo ricordare una parentesi molto bella e costruttiva – quella dell’assistenza che diede ai profughi kosovari per tutti i mesi duri della campagna aerea, soprattutto nei mesi successivi alla stessa.

 

D. – Cosa rappresenta la sua morte per lo Stato macedone?

 

R. – La morte di Trajkovsky è la morte di un presidente, che forse incarna più di altri uno spirito macedone che in questo decennio ha fatto eccellere questo piccolo Stato, per aver saputo contenere le possibili frizioni.

 

D. – La notizia della morte di Trajkovsky giunge proprio nel giorno in cui il premier macedone doveva chiedere alla presidenza irlandese l’adesione all’Unione Europea. La sua morte può compromettere questa adesione?

 

R. – La Macedonia è avviata con uno sprint superiore, rispetto ad altri Paesi in condizioni economiche simili. Sicuramente la scomparsa di un leader di chiara fama può rallentare questo processo se avrà ricadute di politica interna imprevedibili ad oggi. Mentre è più prevedibile che le sedute in politica interna siano costruttive nella memoria di un personaggio sicuramente positivo.

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E’ USCITO IERI NEI CINEMA DEGLI STATI UNITI

IL FILM “LA PASSIONE DI CRISTO”, DI MEL GIBSON

 

E’ uscito ieri nei cinema degli Stati Uniti il film “La Passione di Cristo”, di Mel Gibson, la storia drammaticamente dettagliata delle ultime ore della vita terrena di Gesù, dal Getsemani alla morte in Croce, con una rapido accenno alla Resurrezione. Da New York, Elena Molinari.

 

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La Passione di Cristo è arrivata al debutto così carica di attese, positive e negative, che nel giorno della sua uscita in ben quattro mila sale, stampa e pubblico americani trovano difficile valutarlo per i suoi meriti artistici. Ci hanno, in realtà, provato alcuni critici delle maggiori testate statunitensi ma i commenti che dominano ancora le pagine dei giornali restano quelli dei gruppi che difendono il valore spirituale del film o  che ne biasimano i toni provocatori. L’uscita ha, però, perlomeno ridimensionato se non eliminato del tutto la polemica del presunto antisemitismo del regista. Fra i giornali americani, infatti, solo il tabloid newyorkese “Daily News” insiste oggi nel dire che il film “fomenta sentimenti antiebraici” ma non prima di aver chiarito nel titolo che la vera colpa della Passione è una violenza grottesca e selvaggia. Assoluzione completa, invece, su questo fronte dal filoebraico “New York Times”, che però sottolinea il fallimento artistico del film: a suo dire non fornisce infatti elementi sufficienti per dare significato allo spargimento di sangue. Né la violenza né le recensioni negative fermeranno gli americani, che non cercano nella Passione un bel film ma un atto di preghiera, quasi una via crucis dal potere salvifico. Non si spiegherebbe altrimenti perché in migliaia si sono alzati all’alba per precipitarsi agli spettacoli no stop in programma per il Mercoledì delle Ceneri.

 

Da New York Elena Molinari per la Radio Vaticana.

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Ma per un commento sul film di Mel Gibson ascoltiamo don Luca Pellegrini, critico della “Rivista del Cinematografo”.

 

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Anche se non si accettasse la visione estremamente dura, realistica ed audace del celebre regista ed attore australiano (si è parlato molto del suo atteggiamento pre-conciliare), essa potrebbe comunque  costringerci a mettere in luce non tanto le fondamenta della nostra fede, quanto il nostro rapporto con un Dio picchiato, insultato, flagellato, torturato, deriso, crocifisso. Per questo il film compie, per la cultura moderna, una nuova rivoluzione nell’immagine di Gesù: lo scandalo esibito, visto, vissuto, della Croce - e delle ore che la preparano - ripropone ancora una volta l’interrogativo sul concetto di Dio. Gibson si sofferma con puntigliosa attenzione ed intensità proprio su quei particolari di un supplizio maledetto dalla legge, cioè sui tratti meschini e miserabili del Dio cristiano, riversandoli con coerenza ed onestà in una pellicola diretta in modo magistrale ed interpretata da attori preparatissimi. Perché per loro non è stato facile recitare in aramaico e latino, le uniche lingue utilizzate e tradotte dai sottotitoli, sicuramente una delle scelte più interessanti e originali, che riconduce ad un contesto storico e ad una dimensione assai verosimili dei tempi di Gesù. Troviamo una Madre davvero pietrificata dal dolore, cui presta il volto una straordinaria Maia Morgerstern, al fianco del Figlio, Jim Caviezel, asciutto, secondo la tradizionale iconografia, che stringe con amore la sua Croce, che scopre sia il volto del pastore nei rapidi flash-back sia quello dell’Agnello immolato e sul quale ricadono - lo si avverte con la forza delle immagini e con un montaggio serrato -  tutto il peccato, la violenza e l’oscenità del mondo e della storia. Lo seguono sulla via dolorosa anche Maria Maddalena (Monica Bellucci) e Giovanni; Giuda, invece, viene condotto al suicidio da un gruppo di fanciulli che lo inseguono urlandogli la maledizione. Pilato si fa prendere da scrupoli che la ragion di Stato ben presto cancella, mentre la moglie Procula cerca di interpretare il sogno, portando a Maria - immagine bellissima - un panno col quale asciugare il sangue del Figlio flagellato per oltre venti, implacabili minuti.

 

I romani vivono la loro crudeltà con quella spudorata volgarità che era tipica delle legioni stanziate per controllare un Paese difficile come la Palestina. Caifa (un ottimo Mattia Sbragia) guida il Sinedrio e sobilla il popolo orientandolo alla condanna, ma alcuni sommi sacerdoti lasciano il gruppo al momento del giudizio. Segue ogni passo di Gesù l’antico avversario, Satana, interpretato da Rosalinda Celentano. Ai piedi della Croce urlerà la sua sconfitta, accompagnata da un terremoto innescato da una sola goccia d’acqua che precipita velocissima dal cielo (una lacrima del Padre?). Qualità altissima anche per la fotografia, il montaggio, i costumi di Maurizio Millenotti, le scene di Francesco Frigeri (il film è stato girato tra Matera e Cinecittà).

 

Ritornare, in ogni modo, alla paradossalità della Croce e del messaggio di Cristo (le beatitudini, il perdono dell’adultera, l’eucaristia, l’amore per i propri nemici, momenti ricordati da Gesù nel corso della sua Passione), può servire a purificare la nostra fede, a renderla più ‘cristiana’ e non così ovvia, scontata, edulcorata, specchio di un cristianesimo molle, rilassato. Il film ci pone sotto gli occhi con ostentata sicurezza, senza diaframmi, senza mediazioni, ma in modo sfacciato, come lo è sempre la violenza, la difficoltà di essere cristiani, per non correre il rischio di esserlo troppo. Per ricondurci allo scandalo della Croce, a quel legno grondante sangue. Alla Croce che è sapienza di Dio, segno incommensurabile del suo amore, della sua vittoria sul peccato e sulla morte.

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L’ECUMENISMO AL CENTRO DELLA CONFERENZA INTERNAZIONALE

DI ADORAZIONE E LODE SVOLTASI A BARI

- Intervista con il professor Matteo Calisi -

 

 

Un evento a carattere ecumenico, che ormai da quattro anni, caratterizza il cammino del Rinnovamento carismatico cattolico, la Conferenza internazionale di adorazione e lode, promossa a Bari dalla Comunità di Gesù. All’atteso appuntamento nella città levantina quest’anno sono convenuti 1500 fedeli di diverse confessioni cristiane, da 11 Paesi europei e americani. Tema al centro dell’incontro, durato tre giorni e svoltosi la scorsa settimana, è stato “La restaurazione della Tenda di Davide”. Cosa può significare oggi questo invito? Roberta Gisotti lo ha chiesto al prof. Matteo Calisi, presidente della Comunità di Gesù, e della Catholic Fraternity of Charismatic Covenant Communities and Fellowships.

 

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R. – Vedere la diversità non come un ostacolo. Sembra paradossale, ma non sempre le differenze sono una divisione. Quindi, noi possiamo imparare ad accettare l’altro nella sua diversità, senza smarrire la nostra identità cattolica, che può essere vissuta in pienezza e fedeltà. Perché proprio nella preghiera avviene uno scambio di doni, come se il carisma di una Chiesa fosse dono per le altre Chiese e ciascuna di queste dischiuse per ricevere il dono dall’altra. E’ proprio con questo spirito che la Comunità di Gesù di Bari da diversi anni si incontra per pregare con membri di altre Chiese cristiane, perché proprio Gesù ha insegnato a pregare ostinatamente il Padre perché vi sia unità tra tutti i discepoli di Cristo, e la sua preghiera, noi crediamo, è infallibile e non resterà inesaudita.

 

D. – Quali suggerimenti, stimoli ed anche sfide sono emerse dalle testimonianze portate a Bari?

 

R. – Abbiamo una sezione trasversale del Cristianesimo contemporaneo che sta vivendo un’esperienza carismatica, definita dai più come la grazia del Battesimo dello Spirito Santo. Una grazia ecumenica che oggi raccoglie circa 600 milioni di cristiani di tutte le denominazioni. E questa rappresenta una grande sfida, un grande dono per l’unità dei cristiani.

 

D. – Alla Conferenza c’erano anche diverse presenze dai Paesi dell’Est europeo…

 

R. – Naturalmente con l’adesione di diverse nazioni dell’Est europeo all’Unione Europea ci troviamo davanti ad una sfida da raccogliere, quella dell’inte-grazione di popoli europei ed anche di un reciproco scambio di doni di Chiese di tradizioni cristiane. Molte di queste Chiese, che sono risorte dalle macerie del comunismo e del nazismo, oggi si trovano a confrontarsi con la Chiesa occidentale. Per questa ragione proprio qui a Bari - che possiamo dire è un luogo per eccellenza teologico dell’incontro tra la Chiesa d’Oriente e la Chiesa d’Occidente - noi abbiamo ricevuto in questa Conferenza diversi rappresentanti autorevoli di queste Chiese martiri, soprattutto quelle greco-cattoliche, ma anche ortodosse, sia dalla Bielorussia, dall’Albania ed anche dalla Croazia. Quindi, riteniamo che Bari rappresenti un luogo che acceleri questo processo di dialogo tra Est ed Ovest.

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CHIESA E SOCIETA’

26 febbraio 2004

 

LA CHIESA SVIZZERA DEVOLVERA’ AI CRISTIANI DELLA TERRA SANTA

LE OFFERTE RACCOLTE DURANTE LA QUARESIMA. IN UN MESSAGGIO, I VESCOVI ELVETICI INVITANO I FEDELI A OFFRIRE UN SOSTEGNO CON LA PREGHIERA E I PELLEGRINAGGI

 

BERNA. = La Chiesa svizzera si mobilita in favore della Terra Santa. I vescovi elvetici hanno inviato ai loro fedeli una esortazione per portare aiuto e sostegno alle “tante famiglie cristiane della Terra Santa, che attendono un segno d’amore e di vincolo dai nostri Paesi”. Nel ricordare in un messaggio che le offerte raccolte durante la Quaresima e in particolare nella Settimana Santa saranno devolute come contributo ai cristiani che vivono nei luoghi santi, i vescovi della Svizzera hanno sottolineato come spesso le notizie delle tragedie che insanguinano il Medio Oriente a cadenza quasi quotidiana rischiano di lasciare in chi le ascolta un senso di indifferenza. “Ne siamo colpiti – si legge nel messaggio - eppure costruiamo una specie di barriera davanti ai nostri sentimenti. Dove scaturisce un segno di speranza, esso viene presto distrutto da nuova violenza. Innocenti diventano vittime di questa violenza e presto dimenticati, i bambini rapidamente”. Eppure, continuano i presuli, “i cristiani continuano a vivere in Terra Santa e la loro presenza non è inefficace. Tentano, in una situazione senza speranza, di seminare speranza. Dobbiamo aver cura di questi fratelli e sorelle nella fede che vivono nelle terre d’origine del cristianesimo”. Oltre al contributo finanziario ricavato dalle offerte quaresimali, i vescovi svizzeri hanno indicato nella preghiera, nei pellegrinaggi e nei contatti personali un mezzo per portare “un aiuto magari piccolo, ma impregnato di spirito evangelico per lenire la situazione esplosiva in Oriente". Con le offerte dei cattolici svizzeri, informa l’ufficio stampa della Conferenza episcopale svizzera, si sostengono ad Haifa, in Galilea, studenti arabi, dotati ma poveri, che già si impegnano nel campo sociale; in Siria si aiuta a costruire un centro parrocchiale; a Betlemme si sostiene la costruzione, già iniziata dai francescani, di appartamenti per i cristiani poveri. (A.D.C.)

 

 

OLTRE 250 MONACI BUDDISTI DELLO SRI LANKA CANDIDATI PER LE ELEZIONI

 DEL 2 APRILE, ALL’INTERNO DI UN PARTITO NAZIONALISTA. I VESCOVI

 DEL PAESE SI SONO DETTI CONTRARI ALL’INUSUALE SCELTA POLITICA,

DEFINITA “DANOSSA PER IL BUDDISMO”

- A cura di Lisa Zengarini -

 

COLOMBO. = I vescovi dello Sri Lanka hanno espresso la propria preoccupazione per la candidatura di numerosi monaci buddisti in un partito nazionalista cingalese, in vista delle prossime elezioni generali del 2 aprile. All’appuntamento elettorale, si presenteranno 260 monaci nelle file del Jathika Hela Urumaya (Jhu). Si tratta di una partecipazione ”dannosa per il buddismo”, ha affermato il vescovo ausiliare di Colombo, Marius Joseph Peiris, all’agenzia Ucan. Il presule ha ricordato che è prassi consolidata il fatto che “chierici e monaci non partecipino ad attività politiche e alle elezioni”. La candidatura dei monaci ha suscitato critiche anche tra i buddisti. Due alte autorità religiose buddiste locali hanno pubblicato una dichiarazione congiunta in cui condannano l’iniziativa del partito Jhu. Una posizione peraltro non condivisa da tutti i leader religiosi buddisti del Paese, alcuni dei quali vicini ai nazionalisti. A questi ambienti, è legata la crescente ostilità verso i cristiani in Sri Lanka, accusati di compiere “conversioni non etiche” e di minacciare l’identità nazionale del popolo srilankese. In questi mesi, varie decine di Chiese, tra cui ultimamente anche diverse cattoliche, sono state oggetto di attacchi. Ad alimentare le tensioni è l’aggressivo proselitismo di alcune sette protestanti, sui cui metodi ha espresso riserve anche la Chiesa cattolica.

 

 

LETTERA PASTORALE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE INDONESIANA IN VISTA

 DELLE PROSSIME ELEZIONI POLITICHE E PRESIDENZIALI: L’INVITO DEI VESCOVI

A VALUTARE CON ATTENZIONE LA STATURA MORALE DEI CANDIDATI

 

GIAKARTA. = Si intitola “Cercate la verità e la giustizia” la lettera pastorale diffusa nei giorni scorsi dalla Conferenza episcopale indonesiana, in vista della tornata elettorale delle politiche e delle presidenziali, in programma il 5 luglio e il 20 settembre prossimi. “Noi sentiamo il dovere di partecipare a trovare la strada per attuare gli ideali per la costruzione della Repubblica dell’Indonesia”, affermano i vescovi, che incoraggiano gli elettori cristiani - riferisce l’agenzia Misna - ad informarsi sul funzionamento del processo elettorale e a scegliere con attenzione candidati e partiti politici, valutando l’onestà e le capacità dei candidati, ma anche analizzando con attenzione i loro programmi e i partiti che rappresentano. In particolare, i vescovi suggeriscono di non concedere la propria fiducia a personaggi inquisiti o che hanno utilizzato la violenza per imporsi. “Cerchiamo dei candidati legislativi - si legge nella lettera pastorale - costruttori di atteggiamenti di tolleranza nei rapporti con le diverse religioni che siano essi stessi praticanti di questi valori religiosi in modo che di fatto essi stessi rispettino chi ha una religione diversa dalla loro”. I presuli dell’Indonesia sono netti nel precisare che l’esercizio del voto “non guarda alla religione”. Noi, affermano, “diamo la precedenza alle qualità morali e alle capacità personali. Non diamo il voto a chi non ha cura dell’ambiente, a chi non mette in pratica le leggi, a chi non rispetta i diritti e la dignità della donna”. Nell’invitare tutti al rifiuto totale della violenza, i vescovi concludono affermando che “le elezioni politiche costituiscono una parte del lungo processo di cambiamento da un governo autoritario verso un governo democratico”. (A.D.C.)

 

 

UN RAPPORTO DELL’UNICEF SULLA SITUAZIONE DEI BAMBINI INDIGENI RIVELA L’ASSENZA, PER MOLTI DI LORO, DEI DIRITTI UMANI FONDAMENTALI.

APPELLO ALLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE PERCHE’ TUTELI I CIRCA 300 MILIONI

DI MINORI SPARSI IN COMUNITA’ DI NATIVI DI 70 NAZIONI

 

MADRID. = La direttrice generale dell’Unicef, Carol Bellamy, ha presentato ieri un rapporto per chiedere alla comunità internazionale “misure urgenti” a tutela dei diritti dei bambini indigeni. Si tratta di una delle fasce “più vulnerabili al mondo”, ha detto il numero del Fondo Onu per l'Infanzia. Secondo il Rapporto, presentato dalla Bellamy ieri a Madrid, nel Palazzo della Corona spagnola, nel mondo ci sono attualmente circa 300 milioni di minori appartenenti a popolazioni indigene, distribuiti in oltre 70 nazioni: la metà circa vive in Asia, mentre il secondo gruppo più importante si trova in America Latina. “Se vogliamo riuscire a ridurre la povertà, portare l'educazione a tutti e porre fine ad epidemie come quella dell'Aids, dobbiamo concentrarci sull'assistenza a tutti i bambini, senza scordare quelli più vulnerabili, come appunto quelli che appartengono a comunità indigene”, ha sottolineato Bellamy. Per la responsabile dell'Unicef, il primo diritto di un bimbo indigeno consiste nella registrazione della sua nascita giacché, ha osservato, “in questa lotta per ottenere un'identità, è la sopravvivenza della comunità stessa che è in gioco”. I minori delle comunità indigene sono meno vaccinati degli altri, registrano tassi di mortalità maggiori e livelli di scolarizzazione inferiori alla media: fra i bambini indigeni del Guatemala, ad esempio, il numero di bocciati ogni anno nelle classi elementari arriva quasi al 90%. Per lottare contro questi fenomeni, ha proseguito Bellamy, è necessario definire programmi di educazione che tengano conto delle specificità di questi bambini: corsi bilingue, e orari compatibili con il modo in cui vivono le diverse comunità. In ambito sanitario, inoltre, l’Unicef ritiene cruciale formare professionalmente personale medico proveniente dalle stesse comunità indigene, per fare che l'assistenza in questo campo non sia percepita come un'invasione di valori estranei alla comunità, compromettendone l'efficacia. (A.D.C.)

 

 

SI E’ SPENTO ALL’ETA’ DI 90 ANNI, IN MESSICO,

L’ARCIVESCOVO EMERITO DI DURANGO, ANTONIO LOPEZ AVINA.

AVEVA MEDIATO PER ANNI IN FAVORE DELLA PACE

NELLA TORMENTATA ZONA DEL CHIAPAS

 

DURANGO. = Mons. Antonio Lopez Avina, arcivescovo emerito di Durango, si è spento mercoledì scorso nella capitale dell’omonimo Stato del Messico settentrionale. Il religioso, che aveva 90 anni, era stato arcivescovo di Durango dal 1961 fino al suo ritiro, avvenuto nel 1993, e si era dedicato fino alla fine a una delle questioni che più gli stavano a cuore, la pace nel Chiapas. Più volte aveva invitato il governo di Città del Messico e l’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln) a sedersi di nuovo al tavolo delle trattative per riprendere un dialogo nel nome della pace e del benessere delle comunità indigene chiapaneche. (A.D.C.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

26 febbraio 2004

- A cura di  Salvatore Sabatino -

 

Si aggrava di ora in ora il drammatico bilancio del terremoto che ha sconvolto il Marocco nella notte tra lunedì e martedì: secondo fonti locali, le vittime potrebbero essere un migliaio. I morti accertati finora sono 571 e 405 i feriti, mentre circa 20 mila sono gli sfollati. Mentre sale la polemica contro il governo – accusato dalla popolazione di essere intervenuto in ritardo – i soccorsi proseguono. Andrea Sarubbi ha raggiunto telefonicamente Luca Spoletini, portavoce della Protezione civile italiana, impegnata in queste ore nei pressi del villaggio di Ait Kamra, epicentro del sisma:

 

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R. – Ci sono alcuni edifici collassati sui quali sono state effettuate le operazioni di ricerca e soccorso; ci sono anche delle abitazioni lesionate, ma molto di più fa la paura che in qualche modo condiziona gli abitanti a non entrare nelle loro case, in attesa di una opportuna verifica degli edifici che li dovranno ospitare.

 

D. – E voi, come protezione civile italiana, cosa avete portato?

 

R. – Noi abbiamo effettuato fino a questa mattina le operazioni di ricerca e soccorso che, ripetono, possono essere considerate concluse alla luce del fatto che il maggior numero di vittime purtroppo si è verificato nel crollo di palazzine a più piani: con l’evento sismico avvenuto nel cuore della notte, ospitavano purtroppo molte persone. E in più, abbiamo portato tende e medicinali e generi di prima necessità che proprio questa mattina abbiamo distribuito alla popolazione. Speriamo che sia un beneficio sia pur minimo per alleviare la sofferenza di questa gente.

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Forse ad una conclusione la crisi in corso da un anno e mezzo sul programma nucleare nord coreano. Pyongyang ha infatti affermato di essere pronta a rinunciare al suo piano per la costruzione di armi atomiche. La notizia è stata data alla stampa da Alexander Losiukov, capo della delegazione russa ai colloqui di Pechino. All’incontro, in corso da ieri, partecipano le due Coree, gli Stati Uniti, la Cina, il Giappone e la Russia. Sul tavolo delle trattative anche la situazione dei diritti umani nel Paese: nel suo rapporto annuale il dipartimento di Stato americano ha definito il regime in Corea del Nord “uno tra i più inumani al mondo”.

 

La guerriglia torna a colpire le forze di polizia in Iraq. Scenario dell’ultimo attentato, un mercato di Baqubah, 60 chilometri a nord di Baghdad. Nella deflagrazione è rimasto ucciso un ufficiale della polizia irachena. Altri cinque agenti sono rimasti feriti.

Stato di alta tensione ad Haiti. E’ ormai questione di ore: i ribelli armati che si oppongono al presidente Aristide potrebbero sferrare da un momento all’altro l’attacco decisivo sulla capitale, Port-au-Prince. I combattenti – tra le varie opzioni – puntano a catturare il capo di Stato e ad accusarlo di alto tradimento. Intanto Francia e Stati Uniti si sono detti favorevoli all’invio di una forza di pace sull’isola caraibica. Ma a questo punto quale soluzione è auspicabile per Haiti? Lucas Duran lo ha chiesto a mons. Pierre Dumas, vescovo ausiliare di Port-au-Prince:

 

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R. – Occorre che tutti gli attori – sia a livello locale, sia a livello internazionale – guardino ai più colpiti, ai più poveri, ai bambini colpiti dalle malattie e colpiti da questa situazione di fame. Alcuni sono già morti. Si rischia ora di arrivare ad una vera e propria catastrofe umanitaria. Credo che, per evitare di arrivare al peggio, occorra agire oggi. Quelli che devono prendere le decisioni, devono guardare a tutte le possibilità, intendendo ovviamente possibilità pacifiche. In questo senso dico che non è questo più il tempo dei calcoli interessati. E’ il tempo di agire; è necessario agire oggi, non domani. Più lasciamo andare questa crisi, più rischiamo una situazione di guerra civile tipo quella del Ruanda o del Kossovo. Intervenire dopo, costerebbe veramente troppo sia alla comunità internazionale, sia anche e soprattutto in termini di vite umane.

 

D. – Perché un tale accanimento contro il presidente?

 

R. – Quello che so è che quando un popolo è portato alla disperazione, accade questo e ad un certo punto il popolo dice di non poterne più. Penso che questo potrebbe significare, come ci insegna il Vangelo, che uno si offra per la salvezza di tutta la nazione invece di lasciar perire tutta la nazione.

 

D. – Qual è il ruolo che si prospetta per la Chiesa nel futuro di Haiti?

 

R. – La Chiesa di Haiti deve continuare ad accompagnare il popolo di Haiti, partecipare alla sua educazione. Uno dei problemi maggiori di Haiti è proprio la mancanza di educazione: basti pensare che più del 75 per cento della popolazione non sa né leggere né scrivere. Questo è veramente uno scandalo! La Chiesa può, quindi, essere un po’ più efficace nella formazione di questo popolo. La Chiesa, però, deve anche educare alla pace, perché questo manca, e quello di riconciliare mulatti e neri, rimane tutt’oggi ancora un problema.

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Nuove violenze in Medio Oriente. Due palestinesi ed un militare israeliano sono rimasti uccisi questa mattina in uno scontro a fuoco al valico di Erez, avvenuto proprio quando Israele ha deciso un nuovo giro di vite contro i terroristi. Intanto gli Stati Uniti hanno condannato l’operazione israeliana nelle banche di Ramallah perché – dicono – rischia di destabilizzare il sistema bancario palestinese. Ma è davvero così? Risponde Marcella Emiliani, docente di Storia e istituzioni dei Paesi del Mediterraneo, intervistata da Giada Aquilino:

 

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R. – Certamente è così e certamente rappresenta anche una pesante intrusione negli affari interni palestinesi. Per quanto quello palestinese non sia ancora uno Stato a tutti gli effetti, un’irruzione di questo genere è una grossa violazione di quel po’ di sovranità che i palestinesi potevano ancora avere.

 

D. – Perché proprio ora il blitz israeliano nelle banche di Ramallah?

 

R. – Dall’inizio della guerra contro l’Iraq si sa che i tradizionali finanziatori del terrorismo islamico o perlomeno dei circuiti di carità islamica si erano un po’ disseccati. Resta, comunque, che questi circuiti a tutt’oggi sono iper-finanziati. Molto probabilmente si teme, quindi, un’intrusione di Al Qaeda, si teme un’intrusione di altre organizzazioni che finanziano direttamente il terrorismo.

 

D. – Ma ci sono delle prove che questo denaro confiscato servisse proprio ad alimentare il terrorismo?

 

R. – Ovviamente no. Comunque direi che questa è anche un’azione direttamente contro Arafat. E’ senz’altro vero che Arafat ha il controllo di gran parte di tutti i finanziamenti che arrivano nell’Autorità Nazionale Palestinese. Un blitz di questo genere è quindi da interpretarsi con un’azione diretta contro Arafat.

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La Libia si è nuovamente assunta la responsabilità per l’attentato di Lockerbie, che nel 1988 causò 270 morti. La precisazione è giunta in un comunicato del ministro degli Esteri, Abdel Rahman Shalgham. Il Capo della diplomazia libico ha così preso le distanze dalle dichiarazioni del primo ministro, Shoukri Ghanem, che in un’intervista aveva parlato della non responsabilità della Libia nell’atto terroristico, sottolineando che Tripoli aveva accettato di pagare le famiglie delle vittime per “comprarsi la pace” e metter fine alle sanzioni internazionali.

 

Forte di 18 successi su 20 competizioni e di oltre un terzo dei delegati necessari a garantirsi la nomination, John Kerry è pronto al Super Martedì del 2 marzo per le primarie democratiche. Dei dieci Stati dove si voterà, solo in Georgia la partita è aperta tra Kerry e John Edwards.

Dopo due anni, si è chiusa ieri al Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia la fase delle accuse al processo in corso contro Slobodan Milosevic. Restavano da sentire ancora due testi, ma l’Ufficio del procuratore non ha voluto allungare oltre i tempi, dopo i ripetuti rinvii causati dalle condizioni di salute dell’ex presidente jugoslavo. Milosevic è sul banco degli imputati dal febbraio del 2002 e deve rispondere di oltre 60 capi di accusa per crimini di guerra e contro l’umanità, commessi durante i conflitti in Croazia, Bosnia e Kosovo.

 

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