RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII  n. 48 - Testo della Trasmissione di martedì 17  febbraio 2004

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Le università e gli studiosi parlino ad alta voce delle radici cristiane d’Europa al mondo stordito dal laicismo: così Giovanni Paolo II ricevendo oggi in Vaticano la delegazione dell’università polacca di Opòle che gli ha conferito una laurea honoris causa

 

Giovanni Paolo II presiederà nella Basilica di San Pietro il 25 febbraio la celebrazione per il  Mercoledì delle Ceneri, che dà inizio alla Quaresima

 

Oggi al via la visita del cardinale Kasper a Mosca.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Appello dei vescovi di Haiti alla comunità internazionale perché fermi il bagno di sangue in atto nell’isola caraibica: ai nostri microfoni il vescovo Pierre Dumas

 

Il commercio internazionale dei prodotti agricoli in primo piano alla 27.ma sessione annuale del Consiglio Esecutivo dell’Ifad: intervista con Sappho Haralambous

 

Presentato in Italia l’ultimo romanzo dell’autore israeliano Meir Shalev dal titolo “Fontanella”: con noi l’autore.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Rapporto Caritas sull’Europa: la povertà colpisce 55 milioni di europei. A rischio le famiglie numerose

 

Si svolgerà a Belgrado dal 20 al 22 febbraio l’incontro tra i presidenti delle Conferenze episcopali di sette Paesi del sud-est Europa

 

       Le case cinematografiche indiana e pakistana hanno iniziato una collaborazione per lanciare un segnale di pace e comprensione attraverso le loro pellicole

 

Da ieri a San Antonio, in Texas, riunioni i vescovo di tutto il continente americano per riflettere sulle sfide poste dalla società odierna

 

Commossa partecipazione della Radio Vaticana per la morte ieri del papà del direttore generale, padre Pasquale Borgomeo

 

24 ORE NEL MONDO:

 Significativi segnali di pace tra India e Pakistan

 

Un altro soldato americano morto in Iraq

 

Fa discutere i Quindici dell’UE l’incontro tra Francia, Germania e Gran Bretagna domani a Berlino.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

17 febbraio 2004                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       

 

 

 

LA VOCE DELLE DISCIPLINE UMANISTICHE E SCIENTIFICHE DIFFUSA

DALLE UNIVERSITA’ RISUONI PIU’ FORTE DEL LAICISMO

CHE STORDISCE IL MONDO DI OGGI E RENDA TESTIMONIANZA AL SAPERE NATO

SUL “FERTILE TERRENO DEL CRISTIANESIMO”.

COSI’ IL PAPA, CHE HA RICEVUTO UNA LAUREA HONORIS CAUSA DA UN ATENEO POLACCO

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

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Le università hanno la possibilità di parlare “ad alta voce, e con un linguaggio universale, delle radici cristiane dell’Europa. Una voce che se anche “può essere non accolta da coloro che vengono storditi dall’ideologia del laicismo del nostro continente”, non “dispensa gli uomini di scienza, fedeli alla verità storica, dal compito di rendere testimonianza mediante un solido approfondimento dei segreti della scienza e della sapienza, cresciute sul fertile terreno del cristianesimo”. Con queste parole, Giovanni Paolo II ha accolto questa mattina una delegazione dell’Università polacca di Opole - città di circa 120 mila abitanti - giunta in Vaticano per consegnare al Papa, in segno di gratitudine, una laurea honoris causa. Nello spiegare i motivi del conferimento del titolo, il prof Józef Musielok, rettore dell’Università, ha ricordato che, dieci anni fa, “l’apporto e la benevolenza” del Papa resero possibile una fusione tra l’Istituto Teologico pastorale diocesano di Opole, allora affiliato all’Università di Lublino, e la locale Scuola superiore di Pedagogia. L’unificazione diede vita all’attuale Facoltà Teologica, che divenne così la prima di questo tipo a far parte di una università statale, a mezzo secolo dalla soppressione delle Facoltà teologiche di Cracovia e Varsavia volute dal regime dell’epoca.

 

Il Pontefice, da sempre sensibile all’importanza dell’approfondimento e della condivisione dei patrimoni della cultura universale, è ritornato sul ruolo fondamentale esercitato dagli atenei nell’ambito “dell’integrazione della società”: obiettivo quest’ultimo – è stato l’inciso dell’arcivescovo di Opole, Alfons Nossol – che dalla fondazione dell’ateneo “sta cominciano a portare frutto”. L’integrazione, ha asserito il Papa, non va intesa nel senso “dell’annullamento delle differenze, dell’unificazione del modo di pensare, della dimenticanza della storia”, ma come “perseverante ricerca di quei valori che sono comuni a tutti gli uomini”. Un concetto che il Papa ha poi ampliato, soffermandosi ancora una volta sull’eredità lasciata dal Vangelo nel Vecchio continente:

 

“DZIŚ WIELE MÓWI SIĘ O CHRZEŚCIJAŃSKICH….

Oggi si parla tanto delle radici cristiane dell’Europa. Se segno di esse sono le cattedrali, le opere d’arte, di musica e di letteratura, esse in un certo senso parlano in silenzio. Le Università, invece, possono parlarne ad alta voce. Possono parlare con il linguaggio contemporaneo, comprensibile a tutti”.

 

In questo senso, ha osservato Giovanni Paolo II, “l’Università, creando le possibilità per lo sviluppo delle scienze umanistiche, può essere di aiuto in una purificazione della memoria che non dimentichi i torti e le colpe, ma permetta di perdonare e di chiedere perdono”, aprendo il cuore ai valori della verità, del bene e della bellezza, condivisibili da credenti e laici.

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GIOVANNI PAOLO II PRESIEDERÀ NELLA BASILICA DI SAN PIETRO

IL 25 FEBBRAIO LA CELEBRAZIONE PER IL MERCOLEDÌ DELLE CENERI,

CHE DÀ INIZIO ALLA QUARESIMA

 

Giovanni Paolo II presiederà nella Basilica di San Pietro il 25 febbraio la celebrazione per il Mercoledì delle Ceneri, che dà inizio alla Quaresima. Durante la celebrazione che avrà inizio alle 10,30 saranno benedette e imposte le ceneri. Domenica 29 febbraio inizieranno invece gli esercizi spirituali per la Curia Romana alla presenza del Papa. Quest’anno gli esercizi saranno predicati da mons. Bruno Forte, della Facoltà teologica dell’Italia Meridionale di Napoli.

 

 

INIZIA OGGI A MOSCA LA VISITA DEL CARDINALE WALTER KASPER, PRESIDENTE

DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI.

INTANTO, IN UNA NOTA, IL PATRIARCATO DI MOSCA CRITICA L’IPOTESI DELL’ISTITUZIONE DI UN PATRIARCATO GRECO CATTOLICO UCRAINO

 

Prende il via oggi a Mosca la visita del cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Il porporato è stato invitato dalla Conferenza dei presuli cattolici della Federazione russa e, secondo programma, dovrebbe incontrare in questi giorni il Metropolita di Smolensk e Kaliningrad, Kirill, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche estere del Patriarcato di Mosca.

 

Intanto, fonti di agenzia riferiscono che il Patriarcato di Mosca ha duramente criticato - con una nota - l’eventuale istituzione in Ucraina occidentale di un Patriarcato per la comunità locale greco-cattolica.

 

Attualmente, si calcola che siano circa un milione e 300 mila i cattolici presenti in territorio russo, circa l’un per cento della popolazione. Nel febbraio del 2002, Giovanni Paolo II ha elevato a diocesi le quattro amministrazioni apostoliche della Chiesa cattolica già esistenti nella Federazione Russa ed ha creato, allo stesso tempo, una regolare Provincia ecclesiastica.

 

 

ALTRE UDIENZE E NOMINE

 

Nel corso della mattinata, Giovanni Paolo II ha ricevuto in successive udienze mons. Gerard Daucourt, vescovo della diocesi francese di Nanterre, in visita ad Limina e il signor Fuad Aoun, ambasciatore del Libano in visita di congedo.

 

Nelle Bahamas, il Pontefice ha nominato arcivescovo metropolita di Nassau,  mons. Patrick Pinder, finora vescovo di Case Calane e ausiliare della medesima arcidiocesi. 

 

In Giamaica, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Kingston, presentata da mons. Edgerton Roland Clarke, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato suo successore mons. Lawrence Burke, trasferendolo dal governo pastorale dell’arcidiocesi di Nassau.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

 

 

Apre la prima pagina il titolo "Le Cattedrali testimoni silenziose delle radici cristiane dell'Europa. Le Università ne parlino ad alta voce", in riferimento al discorso del Papa ad una Delegazione dell'Università polacca di Opole, in occasione del conferimento della Laurea "honoris causa".

 

Nelle vaticane,  un articolo di Laureato Maio in ricordo di Giorgio La Pira, nel centenario della nascita: "Quel Rosario recitato con tanto fervore".

Una pagina dal titolo "18 febbraio: memoria liturgica del beato Giovanni da Fiesole (Beato Angelico)"

 

Nelle estere, un articolo dal titolo "Rilanciare l'impegno mondiale in favore della pace in Africa": ancora insufficiente il sostegno alle iniziative per fermare i conflitti.

Haiti: i Vescovi chiedono ai governanti "la decisione salutare che si impone" nell'interesse della popolazione; anche la Francia studia l'invio di una "task force".

 

Nella pagina culturale, un articolo di Gian Filippo Belardo dal titolo "L'altro Personè": da vent'anni, fino alla settimana scorsa, ogni mercoledì, le due colonne di apertura della terza pagina erano riservate agli elzeviri del compianto Luigi Maria Personè. Oggi questo spazio rimane vuoto. Non per un "buco" o per un disguido tecnico, ma come omaggio ad un illustre collaboratore che aveva eletto "L'Osservatore Romano" a sua seconda dimora.

 

Nell' "Osservatore libri" un approfondito contributo di Luigi Martellini sul libro di Heidemarie Poehlmann dal titolo "Leopardi e gli scrittori tedeschi del suo tempo".

Nelle pagine italiane, il tema dei prezzi: criticate le misure contro il carovita; il ministro Tremonti: "I rincari colpa dell'euro".

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

17 febbraio 2004

 

 

APPELLO DEI VESCOVI HAITIANI A FERMARE IL BAGNO DI SANGUE

IN ATTO NELL’ISOLA CARAIBICA

- Intervista con il vescovo Pierre Dumas -

 

La crisi politica ad Haiti si aggrava di ora in ora. Le milizie armate sollevatesi dieci giorni fa contro il governo del presidente Jean-Bertrand Aristide hanno attaccato la città di Hinche, nei pressi del confine con la Repubblica Dominicana. Negli scontri tra gli insorti e la polizia sono rimaste uccise almeno tre persone.  I vescovi haitiani hanno lanciato un appello a tutte le parti perché si ponga fine alle violenze. Il servizio di Sergio Centofanti.

 

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“La sofferenza della popolazione è ormai intollerabile”, dicono i vescovi haitiani che chiedono di cessare subito ogni forma di violenza. Il bilancio dei 10 giorni di scontri è di oltre 50 morti. I rivoltosi accusano il presidente di corruzione, brogli elettorali e violazioni dei diritti umani. Ma l’opposizione democratica ad Aristide contesta l’uso delle armi per rovesciare il governo. La Francia - ha detto oggi il ministro degli esteri francese Dominique de Villepin - sta considerando l'ipotesi di un invio ad Haiti di una forza internazionale di pace. La situazione umanitaria è gravissima: nel nord del Paese cominciano a mancare i generi alimentari e si temono epidemie.

 

Gli Stati Uniti hanno approntato un piano di emergenza nel timore di un esodo di massa di profughi e sono pronti ad accogliere 50 mila haitiani nella  base  di Guantanamo, nell'estremità orientale dell'isola  di Cuba. Nel 1994 furono le truppe statunitensi a intervenire militarmente ad Haiti, su mandato dell’ONU, per riportare al potere il presidente Aristide deposto da un golpe. L’instabilità qui è cronica: in due secoli di indipendenza sono stati organizzati oltre 30 colpi di Stato. Haiti è uno dei Paesi più poveri del mondo: la disoccupazione supera il 55% degli 8 milioni di haitiani; gli analfabeti toccano quota 50% e solo il 46% della popolazione ha accesso all’acqua potabile.

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Ma sull’attuale situazione ad Haiti ascoltiamo mons. Pierre Dumas, vescovo ausiliare di Port-au-Prince, intervistato da Lucas Duran:

 

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R. – Siamo sull’orlo di una guerra civile e l’anarchia regna sull’isola. C’è molto caos. Stiamo cercando ora di vedere come evitare una catastrofe umanitaria, chiamando tutti a prendere delle decisioni capaci di portare la pace ed evitare così un bagno di sangue nel Paese.

 

D. – Come giudica la Chiesa l’azione dei ribelli nel nord del Paese?

 

R. – E’ necessario togliere, a questo riguardo, ogni dubbio ed ogni confusione: questi non operano con l’opposizione. Noi vescovi condanniamo e non accettiamo la violenza, da chiunque sia fatta. La violenza distrugge, calpesta e quindi noi non vogliamo questo e soprattutto non crediamo che Haiti meriti questo. Noi come Chiesa vogliamo giocare la nostra parte, dicendo a tutte le parti in conflitto che bisogna deporre le armi e che bisogna arrivare ad un dialogo serio. Noi come Chiesa offriamo questo spazio.

 

D. – Mons. Dumas, chi ha in questo momento la possibilità effettiva di risolvere la situazione difficile che sta vivendo Haiti?

 

R. – Ogni attore deve prendere delle decisioni coraggiose e patriottiche. A livello internazionale, poi, credo che l’America che aveva riportato Aristide nel Paese deve ora dimostrare che Aristide è stato riportato per far rispettare le regole democratiche e per far rispettare i diritti umani. L’operazione americana si chiamava “Restore Democracy” e quindi restaurare la democrazia e restaurare la speranza. Ma questa speranza è stata delusa e la democrazia non c’è e quindi l’America deve ora ricordare e richiamare l’attenzione del governo di Haiti sulle regole da rispettare.

 

D. – Mons. Dumas, com’è possibile che un uomo come Aristide, che aveva la fiducia di un intero popolo, possa cambiare così tanto in un così breve periodo di tempo?

 

R. – Noi vediamo solo quello che emerge, quello che appare. L’unica cosa che abbiamo notato è che l’uomo che nel ’90 aveva incarnato tutte le speranze di una popolazione, che aspirava alla pace e che aspirava ad una vita migliore, rappresenta oggi il pomo di discordia per la nazione. Negli ultimi tempi è stato anche accusato di aver armato delle baby-gang, dei bambini che ammazzano e saccheggiano. Noi come Chiesa è chiaro che non possiamo accettare tutto questo.

 

D. – Molti osservatori temono che una volta partito o dimesso Aristide, Haiti cada in una situazione di ingovernabilità.

 

R. – Gli haitiani non accettano che i diritti vengono calpestati senza dire niente. Noi stiamo aprendoci a questo mondo nuovo e la Comunità internazionale deve facilitare questo passaggio, prendendosi il tempo che le occorre, ma non vorrei che diventasse troppo tardi. C’è un gruppo di Paesi, chiamato “I Paesi amici di Haiti”, composto da Stati Uniti, Canada, Venezuela e Francia, che deve fare qualcosa in modo da impedire una catastrofe umanitaria nel Paese. Occorre fare qualcosa quando si è ancora in tempo e penso che questo tempo è ora, non domani!

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IL COMMERCIO INTERNAZIONALE DEI PRODOTTI AGRICOLI

IN PRIMO PIANO ALLA 27.MA SESSIONE ANNUALE DEL CONSIGLIO ESECUTIVO

DELL’IFAD, L’AGENZIA DELL’ONU PER LO SVILUPPO AGRICOLO,

CHE SI APRIRA’ DOMANI AL PALAZZO DEI CONGRESSI DI ROMA

- Intervista con Sappho Haralambous -

 

Prende il via domani al Palazzo dei Congressi di Roma la 27.ma sessione annuale del consiglio esecutivo dell’Ifad, l’agenzia dell’Onu impegnata nella lotta alla povertà rurale. Ad aprire la due giorni di lavori sarà il presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré. Dalla sua fondazione, nel 1977, l’Ifad – che conta 163 Stati membri – ha investito oltre 8 miliardi di dollari in 653 progetti di sviluppo rurale in 115 nazioni a beneficio di oltre 200 milioni di persone. Oggi, rileva l’agenzia Onu tre quarti dei poveri nel mondo – circa 900 milioni di esseri umani – vivono e lavorano nelle aree rurali nei Paesi in via di sviluppo. L’incontro di quest’anno sarà incentrato sul ruolo del commercio per lo sviluppo delle aree rurali. Un tema particolarmente attuale dopo il vertice dell’Organizzazione mondiale del commercio a Doha, che ha messo in luce come i sussidi all’agricoltura da parte dei Paesi ricchi influiscano negativamente sulle prospettive di sviluppo dei Paesi poveri. Sulle strategie dell’Ifad per combattere la povertà nei Paesi del sud del mondo, Alessandro Gisotti ha intervistato Sappho Haralambous, membro della divisione politica dell’Ifad:

 

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R. – La strategia più valida che l’Ifad sta seguendo è di aumentare - per le popolazioni rurali - la capacità di organizzarsi in termini di sapere, la capacità di avere informazioni e in più aumentare il loro accesso a risorse naturali, alla tecnologia e al credito. Recentemente, la nostra attenzione si è incentrata sulla facilitazione dell’accesso da parte delle popolazioni rurali ai mercati.

 

D. – In che modo i Paesi in via di sviluppo, che basano spesso la propria economia sull’agricoltura, possono mettersi al passo con le nazioni industrializzate?

 

R. – Dal punto di vista agricolo, ci sono sussidi, misure di protezionismo della produzione agricola da parte dei Paesi del Nord del mondo. Per questo, i piccoli produttori rurali del mondo sottosviluppato non hanno le chances per competere con i prodotti che vengono dal Nord. I loro mercati sono inondati dai prodotti artificialmente economici, di basso prezzo, con i quali loro non possono competere. Inoltre, molti di questi Paesi dipendono dalla produzione di un unico bene agricolo, c’è una sovrapproduzione a livello globale che fa sì che i guadagni che vengono da tali prodotti siano molto bassi. Allora, lì c’è la necessità di introdurre nuove colture e nuovi prodotti per queste popolazioni, con iniziative come il commercio equo, la produzione agricola organica. Devono legarsi con questa domanda dei consumatori del Nord e produrre per questi mercati specifici.

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PRESENTATO IN ITALIA L’ULTIMO ROMANZO DELL’AUTORE ISRAELIANO MEIR SHALEV.

SI INTITOLA “FONTANELLA” E DESCRIVE UNA FAMIGLIA EBRAICA

TRA REALTA’, POESIA E SURREALE

- Intervista con l’autore -

 

Si intitola “Fontanella” l’ultima fatica letteraria di Meir Shalév, autore israeliano molto popolare nel suo Paese, da giorni in Italia per promuovere il suo romanzo pubblicato dalla casa editrice Frassinelli. Apprezzato per la sua scrittura vivida, calda, venata da toni fantastici e umoristici, Shalév ha immaginato il protagonista della sua ultima storia come un uomo maturo – inserito in un tipico “clan” ebraico - al quale sia rimasta aperta quella piccola fessura sul cranio, detta appunto “fontanella”, che normalmente si salda nei bambini dopo il primo anno di età. Se il protagonista è così un uomo singolare, al quale basta sfiorare la testa per evocare passato e futuro, desideri e tormenti, la trovata permette all’autore di costruire una narrazione dove realtà e poesia si scambiano spesso i ruoli, grazie ad un linguaggio – che pur proprio di un autore “laico” – possiede in molti passaggi le cadenze e i richiami paesaggistici dei testi sacri. Nella presentare il libro, Shalèv ha detto di essere un uomo molto impegnato politicamente, ma di voler tenere la sua scrittura libera dalle pressioni della politica. Il perché, lo spiega nell’intervista di Alessandro De Carolis:

 

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R. – I THINK THAT USING MY LITERATURE…

Io credo che utilizzare la propria scrittura, il proprio lavoro letterario, per promuovere le proprie idee politiche sia quasi un peccato. Io tratto la mia scrittura e il mio lavoro di scrittore come una forma d’arte e c’è, in questo, un grande insegnamento che ho appreso dai classici: l’Iliade e l’Odissea. L’Iliade è un libro politico, la storia dell’Iliade è una storia politica. La storia dell’Odissea, invece, è la vicenda di un uomo che torna a casa stanco, dopo la guerra, da sua moglie. Lo stesso uomo quindi, Ulisse, è combattente, condottiero, generale e uomo politico nell’Iliade, e un semplice uomo stanco nell’Odissea. Ebbene, oggi, noi non ricordiamo più l’Ulisse dell’Iliade, ricordiamo soltanto l’Ulisse che torna a casa dopo lunghe peripezie. Questo è il mio modo di leggere e interpretare la letteratura ed il suo valore.

 

D. – Lei fa parte di questa fase di rinascita della letteratura ebraica. Come giudicherebbe, in pochi aggettivi, la letteratura ebraica contemporanea?

 

R. – MOST OF IT IS GOOD…

Io la trovo spesso, in moltissimi casi, buona, stimolante, straordinariamente viva. Oltre a noi, ci sono anche scrittori più giovani - scrittori che hanno adesso tra i 20 e i 30 anni - che trovo tutti molto capaci, dotati di grande talento. E complessivamente, questa nostra narrativa, trovo che rifletta un senso di vivacità e di forza. In una parola, è una narrativa che mi piace molto.

 

D. – Come giudica la situazione attuale della crisi mediorientale?

 

R. – I’VE ALWAYS BELIEVED…

Fin dalla guerra dei 6 giorni del 1967, alla quale ho preso parte – ero un giovane soldato e ho combattuto – ho sempre creduto che noi israeliani dobbiamo restituire il prima possibile i territori occupati ai palestinesi. E questo non soltanto perché i palestinesi possano avere uno Stato tutto loro, ma anche perché noi ebrei, israeliani, non dobbiamo dominare un altro popolo. Sono anni e anni che Israele investe tutte le sue energie finanziarie, intellettuali, tutti i suoi talenti, le sue capacità, soltanto nella soluzione del problema palestinese. Io penso che invece dovremmo tornare ad investire le nostre risorse nello scrivere, nel fare scienza, nel fare ricerca, nello studio, ma anche nel costruire università, ospedali… Insomma nel fare tutte le cose che siamo bravi a fare.

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CHIESA E SOCIETA’

17 febbraio 2004

 

 

“LA POVERTA’ IN EUROPA: IL BISOGNO DI POLITICHE ORIENTATE ALLA FAMIGLIA”: PRESENTATO IERI POMERIGGIO, NELLA SEDE DI BRUXELLES DELL’EUROPARLAMENTO,

IL RAPPORTO DELLA CARITAS, CONDOTTO IN 42 PAESI DEL VECCHIO CONTINENTE

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

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BRUXELLES. = Se l’indigenza diventa una condizione cronica gli Stati e la stessa Unione Europea non possono stare a guardare ma devono agire con efficacia, e subito, per contrastare un fenomeno in crescita, che va a colpire soprattutto le famiglie numerose o con genitori separati, con presenza di invalidi, malati cronici, tossicodipendenti, alcolisti, disoccupati o persone rimpatriate. 15 famiglie su 100 in Europa, vale a dire 55 milioni di persone sono sulla soglia della povertà, la percentuale più bassa in Svezia, 10 per cento, la più alta in Irlanda, 21 per cento. E vediamo le disuguaglianze in un’Europa unita, prossima ad allargarsi ad Est. In Russia, Georgia e Lituania il reddito medio mensile è rispettivamente di 88, 102 e 103 euro, contro 650 della Spagna, 1096 di Regno Unito, 1420 di Austria. L’alloggio, soprattutto per chi è in affitto, assorbe circa la metà delle entrate familiari in Russia, Gran Bretagna, Austria e Spagna, sotto il 30 per cento in Georgia e Lituania, dove è più diffusa la proprietà. La seconda spesa è invece per la cura dei figli. Si va dalla Spagna con il 15 per cento, fino alla Gran Bretagna con oltre il 60 per cento, ma il governo di Londra garantisce l’assistenza gratuita per tutti i bambini dai 4 anni in su. Il nodo da sciogliere è proprio questo, al centro del Rapporto della Caritas: se erogare benefici a tutti o secondo il reddito. Nel primo caso Paesi, come la Repubblica Ceca o la Francia, che hanno sposato negli anni ’90 politiche di ‘benessere per tutti’, hanno ottenuto migliori risultati nel ridurre la povertà, rispetto a chi come l’Italia – ma la tendenza è generale in Europa - ha puntato ad accertare il reddito nel concedere agevolazioni. Una sorta di ‘stigma’ del bisogno – denuncia la Caritas - che può essere rifiutata - fino al 60 per cento in alcuni casi - o perché ci si vergogna di averla o per le pastoie burocratiche e amministrative che comporta ottenerla.  Dunque quali raccomandazioni dalla Caritas a tutti i governi europei? Anzitutto valutare l’impatto di ogni nuova legge sui più poveri, garantire un’indennità di disoccupazione e di alloggio per tutti, migliorare i servizi sociali per le famiglie, aiutare i giovani a trovare il primo lavoro. All’Unione Europea la Caritas chiede di rendere onore agli impegni della Conferenza di Lisbona per la lotta alla povertà, attraverso il Fondo sociale europeo e di promuovere un Anno europeo per genitori soli, una realtà di forte disagio sociale e psicologico, sempre più diffusa.

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SI SVOLGERA’ A BELGRADO, DAL 20 AL 22 FEBBRAIO, L’ INCONTRO TRA I PRESIDENTI DELLE CONFERENZE EPISCOPALI DI SETTE PAESI DEL SUD - EST EUROPA, CHIAMATI A DIALOGARE SULLE PROBLEMATICHE CHE AFFLIGONO QUESTI PAESI.

UNO DEI TEMI TRATTATI SARA’  LA POVERTA’ COME SFIDA PER LA CHIESA

 

BELGRADO. = Si incontreranno a Belgrado dal 20 al  22 febbraio i presidenti delle Conferenze episcopali di Albania, Bulgaria, Bosnia Erzegovina, Grecia, Serbia e  Montenegro, Romania, Turchia. 7 Paesi del sud-est Europa in cui la Chiesa cattolica vive in minoranza, rispetto a una maggioranza ortodossa o musulmana. E' stato l'arcivescovo cattolico della città, mons. Stanislav Hocevar, a invitare i vescovi a Belgrado per rinnovare il consueto appuntamento, da quattro anni a questa parte, del Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa (CCEE). Tra i partecipanti saranno presenti anche rappresentanti della Santa Sede chiamati ad affrontare temi e problematiche attuali e urgenti, relative a questi Paesi, soprattutto in ambito ecumenico, interreligioso, sociale e politico. Nella giornata di sabato 21 febbraio,  una sessione di studio sarà dedicata al tema della povertà, come sfida per la Chiesa. Un secondo momento dei lavori si concentrerà, invece, su “l'Europa e il cristianesimo”, in particolare, nel contesto del processo di unificazione europea: al dibattito parteciperà anche il vescovo ortodosso di Novi, Sad Irinej. Sempre durante la mattinata di sabato, i partecipanti saranno ricevuti dal Patriarca della Chiesa ortodossa serba, Pavle. La sera, nella cattedrale di Belgrado, si riuniranno per la veglia di preghiera per l'unità dei cristiani, alla quale parteciperanno molti giovani. (F.C.)

 

 

 

LE CASE CINEMATOGRAFICHE INDIANA E PAKISTANA HANNO INIZIATO

UNA COLLABORAZIONE  PER LANCIARE UN SEGNALE DI PACE  E COMPRENSIONE ATTRAVERSO LE LORO PELLICOLE

 

MUMBAI. = Una storia d’amore vera, quella tra un avvocato indù ed una ballerina musulmana, presa come spunto per un film, che vedrà in collaborazione le industrie cinematografiche indiana e pakistana. Una realizzazione, che sarà lo strumento per diffondere un messaggio di pace e di comprensione. “In  passato i politici di entrambi i Paesi hanno sempre usato i film come armi da guerra o a fini propagandistici, per demonizzare gli altri” ha dichiarato Mahesh Blatt, una importante regista di Bollywood, la grande industria cinematografica indiana. Entro la fine del mese, la regista indiana,  si incontrerà, a Islamabad, con il Ministro dell’Informazione Pakistano, Sheik Rashi, per firmare il contratto e dare inizio alle riprese del film.  Dunque, India e Pakistan, dopo anni di contrasti  metteranno a disposizione le proprie tecniche, strumenti e attori, finalmente, per cooperare insieme alla luce del sole. In precedenza, infatti, molte collaborazioni venivano svolte in segreto. Infine, una delegazione, formata da note personalità di Bollywood si recherà presto in Pakistan, per lanciare alcune produzioni comuni e firmare un accordo, che vieti la produzione di film che incitano all’odio tra i due popoli.(F.C)

 

 

 

DA IERI A SAN ANTONIO NEL TEXAS RIUNITI I VESCOVI DI TUTTO IL CONTINENTE AMERICANO PER RIFLETTERE, A PARTIRE DALL’ESORTAZIONE APOSTOLICA “ECCLESIA IN AMERICA”, SULLE SFIDE POSTE  DALLA SOCIETA’ ODIERNA, IN PARTICOLARE PER CONTRASTARE LE MINACCE CRESCENTI ALL’ISTITUTO FAMILIARE

- A cura di  Lisa Zengarini -

 

SAN ANTONIO . =  Le minacce alla famiglia nel continente americano sono al centro del 32mo Incontro dei vescovi della Chiesa in America, iniziato ieri a San Antonio, in Texas. Partendo dalla considerazione dell’Esortazione apostolica post-sinodale “Ecclesia in America”, secondo la quale numerose insidie minacciano la solidità dell’istituto familiare e costituiscono altrettante sfide per i cristiani, i presuli americani cercheranno di individuare queste sfide, le strategie pastorali migliori per fronteggiarle nei diversi Paesi del Continente e per la promozione della famiglia. All’incontro partecipano una ventina di vescovi membri degli Uffici direttivi delle Conferenze episcopali del Canada (Ccee) e degli Stati Uniti (Usccb) e delle Conferenze episcopali latino-americane (Celam). Nati nel 1967 come Incontri interamericani dei vescovi, questi appuntamenti informali si tengono annualmente su diverse problematiche che toccano la Chiesa del Continente. Nel 1999, in occasione della loro assemblea a Cuba, il loro nome è stato cambiato in Incontro dei vescovi della Chiesa in America, a sottolineare l’unità della Chiesa americana dei due emisferi, in sintonia con le indicazioni del Santo Padre dopo il Sinodo dei Vescovi per l’America. Il primo incontro della nuova serie si è tenuto a Vancouver nel 2000 sul tema giubilare del debito dei Paesi poveri. E’ seguito nel 2001 un incontro negli Stati Uniti dedicato all’immigrazione, quello del 2002 in Brasile sulla globalizzazione dell’economia e quindi l’anno scorso quello in Québec sulla globalizzazione della cultura. I lavori di questa 32ª edizione si chiuderanno giovedì, 19 febbraio.

 

 

 

COMMOSSA PARTECIPAZIONE DELLA RADIO VATICANA PER LA MORTE IERI

DEL PAPA’ DEL DIRETTORE GENERALE, PADRE PASQUALE BORGOMEO

 

ROMA. = Si è spento ieri all’età di quasi 100 anni Vincenzo Borgomeo, padre del  direttore generale della nostra emittente; un lutto che segue quello della moglie  Letizia De Meo, venuta a mancare poco più di un mese fa, anche lei alla veneranda età di oltre 90 anni, e dopo 70 anni di matrimonio. I funerali di Vincenzo Borgomeo si svolgeranno giovedì prossimo, 19 febbraio, nella chiesa di Santo Spirito in Sassia, alle ore 11. Tutto il personale della Radio Vaticana esprime il proprio cordoglio a padre Pasquale Borgomeo, in questi giorni di dolore per la perdita dei suoi cari. (R.G.)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

17 febbraio 2004

 

-  A cura di Fausta Speranza –

 

Significativi segnali di pace tra India e Pakistan giungono da Islamabad dove ieri è cominciata la 'tre giorni' di colloqui voluta per aprire la strada ad un accordo sulla contesa regione del Kashmir. A confrontarsi domani saranno i capi delle diplomazie di Islamabad e di New Delhi, in un cammino avviato il mese scorso dal primo ministro indiano, Vajpayee e dal presidente pachistano, Musharraf. Da quando ottennero l'indipendenza nel 1947, i due grandi Paesi asiatici hanno combattuto due guerre per il Kashmir e a metà del 2002 sono stati sul punto di far scoppiare un altro conflitto, questa volta con lo spettro degli armamenti nucleari di cui sono entrambi dotati.  Nella regione ora regna una fragile tregua non rispettata da gruppi estremisti che anche nelle ultime ore hanno scelto la via della violenza. Ma delle prospettive aperte da questi colloqui e dell’atmosfera che regna al tavolo delle trattative, ci riferisce Maria Grazia Coggiola:

 

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Il ghiaccio è stato rotto, l’atmosfera è cordiale, le parti sono soddisfatte; ora si tratta di vedere i risultati concreti di questi negoziati tra India e Pakistan che hanno riacceso le speranze di pace dopo tre anni di crisi e di escalation militare. Mentre oggi sarà ancora una giornata interlocutoria, domani si incontreranno i due sottosegretari agli esteri per fissare i tempi e le modalità dell’agenda di pace. Il nodo del Kashmir, la regione contesa da oltre mezzo secolo, non è ancora stato affrontato. Islamabad vorrebbe giungere ad un accordo entro la fine dell’anno, quando il presidente pakistano Musharraf lascerà l’incarico di capo delle forze armate che ha conservato fin dal golpe del ’99. L’India, però, preferisce non accelerare anche perché tra due mesi il governo si presenterà agli elettori per un voto generale anticipato. Inoltre, Delhi è preoccupata per la tensione nel Kashmir indiano, dove i gruppi integralisti islamici sono ancora attivi nonostante il cessate-il-fuoco tra i due eserciti, in vigore dallo scorso novembre lungo la linea di controllo. Ieri, nei pressi di Srinagar, il capoluogo estivo, è stato ucciso in un agguato un leader politico locale appartenente al partito di governo.

 

Da New Delhi, per la Radio Vaticana, Maria Grazia Coggiola.

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 Ancora un morto in Iraq. Si tratta di un soldato statunitense colpito dall'esplosione di una bomba al passaggio del convoglio su una strada del nord del Paese. Un altro che si trovava con lui è rimasto ferito. Intanto, cinque iracheni sono stati arrestati per l'uccisione, nel settembre scorso a Baghdad, di Akila al Hachimi, una delle tre donne del Consiglio di governo provvisorio iracheno. Proveniente da un'influente famiglia sciita, aveva lavorato al ministero dell'Interno  durante il regime di Saddam. Dopo la guerra, al pari di altri membri del Consiglio di governo, fu denunciata per aver collaborato con gli americani.

 

 Venticinque soldati americani sono rimasti feriti, tra cui due molto gravemente, per un incidente del loro autobus su una strada del Kuwait. Lo ha annunciato oggi un portavoce militare statunitense ma è accaduto domenica sera. Le cause dell'incidente non sono ancora state determinate. Circa 25 mila soldati americani hanno come base permanente il Kuwait ma altri 2000-4000 soldati transitano quotidianamente dall'Emirato per recarsi in Iraq nell'ambito delle rotazioni effettuate dai militari statunitensi che operano nel Paese.

 

 Alcune centinaia di manifestanti palestinesi hanno bloccato questa mattina il valico di Erez, fra Israele e la Striscia di Gaza, impedendo il passaggio dei  lavoratori.  La manifestazione è stata indetta per protestare contro i controlli severi operati dall'esercito israeliano e per ricordare la morte ieri di un operaio palestinese, schiacciato dalla calca provocata da circa 600 lavoratori palestinesi che aspettavano di passare in territorio israeliano. Ogni giorno sono circa 19.000 gli operai palestinesi della Striscia di Gaza che si recano in territorio israeliano. I controlli dell'esercito sono stati irrigiditi dopo l'attentato kamikaze del 14 gennaio scorso attuato dalla giovane terrorista palestinese madre di due bambini. L'attentato era stato rivendicato dal braccio militare di Hamas e dalle brigate Al Aqsa.

 

 C’è fermento tra i Quindici dell’Unione Europea per il vertice convocato domani a Berlino tra Gran Bretagna, Germania e Francia. Gli altri Paesi affermano che l’incontro non può affrontare, e quindi prendere decisioni, su temi su cui dovrebbero esprimersi tutti i Paesi membri. C’è chi ha parlato polemicamente di Direttorio e chi lo giustifica come un incontro interlocutorio per chiarire le prospettive possibili. Ma c’è il rischio che questo vertice possa provocare rotture all’interno dell’Unione Europea, a pochi mesi dall’ingresso dei dieci nuovi Paesi? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Sergio Romano, ex ambasciatore, esperto di questioni internazionali:

 

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R. – Sì, soprattutto perché abbiamo l’impressione che all’ordine del giorno vi siano molte questioni tra cui quelle che vengono più discusse all’interno dell’Europa. E’ quindi comprensibile che in queste circostanze molti Paesi abbiano una reazione negativa. Bisogna osservare che questi tre Paesi, che si riuniscono a Berlino,in questo particolare momento, non possono essere veramente la locomotiva dell’Europa integrata, perché ciascuno dei tre è, in materia di questioni europee, molto più arretrato di quanto gli europeisti non desidererebbero. Perfino i francesi ed i tedeschi, che in altri tempi sono stati il motore dell’Europa, mi pare che in questo momento tendano piuttosto a lasciarsi orientare dall’interesse nazionale. In altre parole, questi Paesi possono fare un tratto di strada comune e possono anche mettersi d’accordo su cose su cui è difficile raggiungere l’accordo a 25 ma temo che sarà sempre un accordo al ribasso. Credo che chi vuole opporsi a questa prassi del “direttorio” dovrebbe farlo da posizioni di entusiasmo europeista.

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 Guardando all’Italia, il presidente del Consiglio, Berlusconi, ha annunciato questa mattina che si candiderà alle prossime elezioni europee di giugno e che non ci sarà una lista unitaria della sua coalizione. Dopo la convention di sabato scorso che ha lanciato la lista unitaria ‘Uniti per l’Ulivo’ e la leadership di Romano Prodi, si discute sul valore da assegnare al voto europeo in termini di consenso interno. In ogni caso, tra le questioni aperte all’interno dello schieramento di centrosinistra c’è la partecipazione all’azione in Iraq. Proprio questa mattina al Senato è iniziata la discussione generale sul decreto riguardante la proroga della partecipazione italiana a operazioni internazionali, tra cui anche la missione militare  in Iraq. Il voto finale é previsto per domani. 

 

Sempre in Italia, nell’ambito del caso Parmalat sono stati arrestati questa mattina, tra gli altri, Stefano,  Francesca e Giovanni Tanzi. I primi due sono i figli dell’ex patron dell’azienda di Parma e ricoprivano rispettivamente le cariche di consigliere della Coloniale e di consigliere di amministrazione di Parmatour. Giovanni Tanzi, invece, è il fratello di Calisto ed era membro del cda di Coloniale. Le accuse sono di associazione per delinquere, bancarotta e false comunicazioni sociali. Ci sono poi altri 5 arresti tra amministratori di diverso livello delle società dei Tanzi o di società strettamente legate all’azienda che ha subito il crac.

 

 Andare a votare per “non lasciare” che i conservatori entrino in Parlamento. E’ l’appello del presidente iraniano Khatami, che si è schierato così contro il boicottaggio delle legislative del 20 febbraio dichiarato dai principali partiti riformisti, a lui vicini. Nonostante l’intervento del presidente, i riformisti proseguono però la loro protesta contro il Consiglio dei guardiani che accusano di essersi assicurato la vittoria ancora prima del voto avendo escluso moltissimi riformisti al momento della presentazione delle candidature.  Sono saliti a 679, pertanto, i candidati del fronte riformatore che hanno rinunciato a partecipare alle consultazioni. Ma a questo punto, come può essere interpretato l’invito del riformista Khatami a non disertare le urne venerdì prossimo? Giada Aquilino lo ha chiesto ad Alberto Negri, inviato speciale del ‘Sole 24 Ore’ a Teheran:

 

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R. – Possiamo leggerla in due modi diversi. Da una parte, il suo ruolo istituzionale gli impone in qualche modo di invitare la gente ad andare alle urne, anche se resta il fatto che è stato anche il rappresentante politico del movimento riformista iniziato proprio con la sua elezione alla presidenza, nel ’97, con una valanga di voti. Purtroppo, questo movimento riformista ha provocato una grande delusione nella gente ed è anche in contraddizione con le stesse dichiarazioni di Khatami. Poco tempo fa, infatti, Khatami aveva detto, di fronte alla cancellazione dalle liste di molti importanti candidati riformisti, che lui non avrebbe avallato elezioni non libere e non corrette. Ebbene, queste elezioni non sembrano né troppo libere né troppo corrette, ma lui invita a partecipare. Credo che stiamo assistendo alla fine dell’esperimento riformista.

 

D. – Sulla carta, la storia delle prossime legislative sembra già scritta a favore dei conservatori. Ci chiede, dunque, che indirizzo darà all’Iran un Parlamento a maggioranza conservatrice?

 

R. – Ci sono due ipotesi. L’una, che i conservatori perseguano una campagna di arretramento rispetto alle libertà civili, di espressione che erano state conquistate in questi anni. Ma, d’altra parte, c’è anche un’altra versione, secondo la quale proprio i conservatori tenteranno di portare avanti quelle riforme economiche che si sono arrestate in questi sette anni di presidenza di Khatami.

 

D. – Per le strade di Teheran, la gente cosa dice a proposito delle elezioni?

 

R. – Quando viene interpellata, quasi unanimemente dice che non andrà a votare. Certamente, però, il sentimento generale è innanzitutto di profonda delusione per l’esperimento riformista e in secondo luogo di grande scetticismo rispetto a quello che può fare il governo per la gente.

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 Gli elementi raccolti nel corso di 10 giorni di indagini confermano che sarebbe stato un  attentatore suicida a compiere la strage che il 6 febbraio  causò oltre 40 morti nel metrò di Mosca. Lo ha reso noto oggi l'ufficio stampa dei servizi di sicurezza russi, Fsb, aggiungendo al momento risultano identificati con certezza i corpi di 40 vittime della strage nel  metrò e che nell'ambito delle indagini sono state raccolte  migliaia di segnalazioni su possibili complici, sono stati interrogati un  migliaio di testimoni e perquisiti circa 200 siti. Non ci sono indicazioni, invece, su cosa abbia provocato, sabato scorso, il crollo del tetto del parco di  giochi acquatici, alla periferia di Mosca, che ha causato la morte di almeno 25 persone. Sulla stampa trovano spazio anche ipotesi di un attentato.

 

 ll ministero dell'agricoltura cinese ha annunciato oggi la scoperta di due nuovi focolai della cosiddetta influenza dei polli. I focolai sono stati entrambi rilevati nella provincia dell'Hunan e portano a 50 il totale dei focolai, accertati o solamente ''sospetti'', in Cina. Il Giappone conferma il secondo focolaio dopo che ieri aveva annunciato che era estinta l’infezione sul suo territorio. Nei due Paesi non ci sono stati finora casi di trasmissione del virus dai volatili all'uomo. E’ stato più volte spiegato che si tratterebbe di diverse forme del virus. La variante che ha colpito la Thailandia e il Vietnam, infatti, ha causato la morte di almeno 20 persone.

 

 E’ allarme sanitario anche in Indonesia dove la febbre ‘dengue', trasmessa dalla puntura di un insetto, ha ucciso da gennaio 91 persone, mentre altre 4.500 circa sono ricoverate in ospedale. Numerosi i morti nella capitale Giakarta, ma la zona più colpita è l'isola di Giava. A Giakarta, in particolare, il numero delle vittime è raddoppiato rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, periodo che rappresenta comunque il momento di picco dell’infezione.

 

 

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