RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n. 37 - Testo della
Trasmissione di venerdì 6 febbraio 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Il
virus dei polli trovato anche nei suini in Vietnam: morta un’altra bambina ad
Hanoi. 18 finora le vittime dall’inizio dell’epidemia
Ancora
polemiche negli Stati Uniti e in Gran Bretagna sulle armi di distruzione di
massa in Iraq.
India:
sciolta la Camera Bassa del Parlamento.
6 febbraio 2004
LA
NUOVA EVANGELIZZAZIONE FONDAMENTALE PER CONTRASTARE
LE
CORRENTI CULTURALI CHE TRAVISANO IL MAGISTERO PONTIFICIO ED ECCLESIALE:
“L’ADESIONE
ALLA VERITA’ ESALTA LA LIBERTA’ UMANA”
-
Servizio di Alessandro De Carolis -
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Hanno bisogno di un “annuncio coraggioso” le verità
contenute nel Vangelo e nel magistero ecclesiale. Bisogno di un “rinnovato
slancio evangelizzatore”, per salvare l’uomo dal “facile pragmatismo” dei
nostri tempi, nei quali gli insegnamenti del Papa e della Chiesa o non sono
recepiti o vengono “travisati” su pressione di particolari correnti di
pensiero. E’ stato un discorso di intensità non comune quello rivolto questa
mattina da Giovanni Paolo II ai circa 80 membri della Congregazione per la
Dottrina della fede, ricevuti in udienza al termine della loro sessione
plenaria. Un discorso che ha toccato con precisione alcuni punti nevralgici
della missione e della vita interna della Chiesa.
“Promuovere e tutelare la verità della fede cattolica”: è
questo, ha riaffermato subito il Papa, il compito “delicato” del dicastero
vaticano. E il punto di partenza risiede nella trasmissione del Vangelo - a chi
già crede come ai lontani – da offrire anzitutto con l’esempio della
testimonianza della vita: “prima parola” con la quale la Buona novella viene
annunciata. “Certo il Vangelo esige la libera adesione dell’uomo”, ha osservato
il Pontefice. Ma, ha spiegato, subito dopo:
“La
piena adesione alla verità cattolica non diminuisce, ma esalta la libertà umana
e la sollecita verso il suo compimento, in un amore gratuito e colmo di premura
per il bene di tutti gli uomini”.
E’ in questo orizzonte di carità, ha proseguito, “che
muove quella nuova evangelizzazione, cui ho più volte invitato tutta la
Chiesa ed a cui desidero richiamarla ancora all’inizio di questo terzo
millennio”. Il Papa si è poi soffermato sul grado di accoglienza e comprensione
riservato agli insegnamenti della Chiesa da parte dei cattolici, “spesso
disorientati più che informati dalle immediate reazioni e interpretazioni dei
mezzi di comunicazione sociale”. Invitando tutti i vescovi a valorizzare il
magistero pontificio, “che contribuisce a formare la coscienza cristiana dei
fedeli”, Giovanni Paolo II ha affermato con chiarezza che la ricezione di un
documento non può essere “un fatto mediatico”, ma deve essere visto soprattutto
come “un evento ecclesiale”: una “parola autorevole che fa luce su una verità
di fede o su alcuni aspetti della dottrina cattolica contestati o travisati da
particolari correnti di pensiero e di azione”.
E “opportune iniziative” il Papa ha chiesto siano promosse
anche per meglio diffondere la comprensione della “legge morale naturale”,
argomento già affrontato nelle encicliche Veritatis splendor e Fides
et ratio. Sulla base di tale legge - già parte del patrimonio del sapere
umano e purificata dalla Rivelazione - “si può costruire, ha asserito, una
piattaforma di valori condivisi” in grado di sviluppare “un dialogo
costruttivo” con la società secolare. In altre parole un punto di riferimento
più alto e “oggettivo” per le legislazioni “che spesso - ha rilevato - si
basano soltanto sul consenso sociale”. Infine, il Papa ha concluso accennando
all’aumento dei casi disciplinari sottoposti alla Congregazione per la Dottrina
della fede. Giovanni Paolo II ha invitato non solo a “vagliare bene sia il
giusto principio della proporzionalità tra colpa e pena”, sia l’esigenza di
proteggere i credenti. Ma ha indicato nella “giusta ed equilibrata” formazione
dei futuri sacerdoti la “migliore garanzia” perché essi vivano “con gioia e
generosità” il celibato ecclesiastico per il Regno di Dio.
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ALTRE
UDIENZE E NOMINE
Nel corso della mattina il Papa
ha ricevuto anche due vescovi della Conferenza episcopale francese in visita
“ad limina”.
Il Santo Padre ha quindi nominato arcivescovo coadiutore
di Cartagena (Colombia), mons. Jorge Enrique Jiménez Carvajal, della
Congregazione di Gesù e Maria (eudisti), finora vescovo di Zipaquirá. Mons.
Jiménez Carvajal è nato a Bucaramanga il 29 marzo 1942 ed è stato ordinato
sacerdote il 17 giugno 1967. Dal 1999 al 2003 è stato presidente del Celam.
Mons. Jiménez Carvajal è inoltre membro del Pontificio Consiglio per la pastorale
della salute e della Pontificia Commissione per l'America Latina.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina notizia
della strage nella metropolitana di Mosca, che ha causato decine di morti; il
presidente Putin invita la comunità internazionale ad unirsi contro il
terrorismo “peste del XXI secolo”.
Nelle vaticane, nel discorso ai
partecipanti alla Sessione Plenaria della Congregazione per la Dottrina della
Fede, Giovanni Paolo II ha sottolineato che l’odierno contesto esige più che
mai l’annuncio coraggioso delle verità che salvano l'uomo e un rinnovato
slancio evangelizzatore.
Due pagine dedicate al cammino
della Chiesa in Italia.
Nelle estere, riguardo all’Iraq
si evidenzia che la Cia non sostenne mai che il Paese asiatico rappresentasse
una “minaccia imminente” per gli Stati Uniti; dichiarazioni del direttore della
Cia.
Nella pagina culturale, un
articolo di Francesco Licinio Galati sul “Profilo di Clio” di Iosif Brodskij.
Nelle pagine italiane, in
rilievo i temi del terrorismo e delle riforme.
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6
febbraio 2004
LA
RUSSIA RIPOMBA NELLA PAURA. UN ATTENTATO QUESTA MATTINA
NELLA
METROPOLITANA DI MOSCA HA PROVOCATO ALMENO 39 MORTI.
UNANIME
LA CONDANNA DELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE
-
Intervista con Giulietto Chiesa -
Un
nuovo tragico attentato ha colpito questa mattina il centro di Mosca. Una donna
kamikaze si è fatta esplodere in una stazione della metropolitana causando la
morte di almeno 39 persone e un centinaio di feriti. Immediato l’intervento del
presidente Putin, che ha esortato la comunità internazionale ad unirsi contro
il terrorismo, mentre il leader indipendentista ceceno, Aslan Maskhadov, ha
smentito qualsiasi responsabilità nell'attentato. Il servizio di Salvatore Sabatino:
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Una città colpita al cuore. Mosca si è risvegliata nella paura,
con l’ennesimo sanguinoso attentato. Una donna kamikaze si è introdotta nella metropolitana
della capitale russa, facendosi esplodere nell’ora di punta; nel momento in cui
sono centinaia di migliaia i moscoviti che si spostano da una parte all’altra della
città. E’ stata una strage: almeno 39 i morti, un centinaio i feriti. La
deflagrazione è avvenuta in una zona centrale della città, a due passi dal
Cremlino, sulla seconda vettura di un convoglio in corsa dove si trovavano
circa 1.500 persone. La linea della metro è stata completamente bloccata e 700
persone che si trovavano sulle altre vetture sono state evacuate dai vigili del fuoco e riportate in
superficie.
Il pensiero è immediatamente andato alla Cecenia, alle
ripetute minacce degli indipendentisti di colpire la metropoli, dopo
l’annuncio, lo scorso anno, dell’estensione della guerra a tutto il territorio
della Federazione di fronte al rifiuto delle autorità russe a qualsiasi
negoziato di pace con i ribelli e di fronte a quello che venne definito “il genocidio
del popolo ceceno”. Ed il ricordo è corso all’attacco perpetrato in dicembre da
due donne kamikaze fattesi esplodere alla vigilia delle elezioni per il rinnovo
della Duma a due passi dalla Piazza Rossa. O ancora a quel concerto alla periferia
di Mosca, in cui un’altra donna suicida si fece saltare in aria tra la gente,
provocando una carneficina. Immediata la dichiarazione di non responsabilità
nell’accaduto da parte del governo indipendentista ceceno del presidente
Maskhadov. Il vicepremier Zakaiev, ha detto che il presidente e il suo governo
“non hanno nulla a che fare con questa sanguinosa provocazione”, condannandola
“nel modo più deciso”. Poco prima il presidente russo Vladimir Putin aveva
espresso la sua ferma condanna, chiamando il mondo ad unirsi per consentire una
vittoria contro il terrorismo, definito “la peste del XXI secolo”. Il capo del
Cremlino ha successivamente tuonato: “Con i terroristi la Russia non tratta, li
elimina”, sottolineando che gli attentati non lo spingeranno al negoziato.
Unanime la condanna della comunità internazionale.
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Ma perché il terrorismo ha
voluto colpire nuovamente il cuore di Mosca? Giada Aquilino lo ha chiesto a Giulietto
Chiesa, inviato speciale de ‘La Stampa’ ed esperto di questioni russe:
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R. – E’ chiaro che la matrice è una matrice immediatamente
attribuibile ai ceceni ed è in ogni caso un intervento nella politica interna
della Russia in un momento in cui il presidente in carica si appresta a
stravincere le elezioni. E siccome Putin ha dichiarato che considera la
questione cecena una questione da risolvere con una vittoria militare, si
risponde che Putin non riuscirà a raggiungere questo risultato e che lo
colpiranno a Mosca. Si tratta probabilmente dell’avvio di una campagna di
terrore che accompagnerà la campagna elettorale di Putin da qui ad un mese.
D. – Putin ha invitato la Comunità internazionale ad unire
gli sforzi per combattere il terrorismo, definito “peste del XXI secolo”. Quale
sarà ora la linea del Cremlino verso il terrorismo?
R. – Sarà la linea precedente. Ritengo che questo uso del
terrorismo ceceno per accomunare la Russia al resto del mondo non funziona. Si
tratta di un problema specifico, che è quello della Cecenia; si tratta di un
problema che riguarda specificatamente Putin e la Russia. Il terrorismo a Mosca
non si può combattere, perché in queste condizioni praticamente i ceceni si muovono
anche nella capitale russa come pesci nella loro acqua, così come in tutte le
altre città: non c’è via di uscita. Ci sarebbe soltanto se Mosca, e in particolare
Putin, decidesse di cercare un dialogo con l’unico interlocutore che è rimasto
sul tappeto e che è Maskhadov, che è il presidente che fu a suo tempo
regolarmente eletto: l’attuale presidente Zadirov non rappresenta nessuno se
non una parte degli stessi ex combattenti militari. Quindi far finta di dialogare
con Zadirov significa non dialogare con i ceceni. Questa soluzione porterà
inevitabilmente ad un prolungamento inesorabile della guerra e del terrorismo.
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VIA LIBERA
IN ITALIA AL ‘TESTAMENTO BIOLOGICO’: IL COMITATO NAZIONALE
DI
BIOETICA CHIARISCE IN UN DOCUMENTO LIMITI E CONDIZIONI.
LA
PAROLA ORA AL PARLAMENTO
-
Intervista con il professor Francesco D’Agostino -
Lo
hanno chiamato “testamento biologico”: diversi Paesi europei hanno già legiferato
in merito ed ora si appresta a farlo anche l’Italia. Per questo ieri il Comitato
nazionale di bioetica ha presentato al Governo e al Parlamento un documento che
dà legittimità alle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat). Si tratta
della possibilità offerta al cittadino di esprimere per iscritto la propria
volontà sui trattamenti sanitari ai quali desidera o non desidera essere
sottoposto nel caso in cui, per malattia o trauma, non fosse più in grado di
manifestare il proprio consenso. Lo scopo che ha guidato il Comitato è di
offrire una piattaforma unitaria a chi dovrà legiferare, disponendo finora di
diversi testi contradditori su una materia complessa, che tocca aspetti etici,
psicologici e sociali.
Ma come
potrà una persona valutare e giudicare ‘cose’ di medicina che le sono estranee,
e capire ad esempio se un trattamento sanitario sconfina nell’accanimento terapeutico
o no? Roberta Gisotti ha intervistato il prof. Francesco D’Agostino, presidente
del Comitato nazionale di bioetica
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R. – Al giorno d’oggi, sempre più di frequente, ci
troviamo di fronte ad un ventaglio di possibilità terapeutiche, tutte
giustificate, per affrontare le singole malattie. E sempre di più diventa
importante che il paziente dia al medico curante un orientamento essenziale sul
tipo di terapia che egli – il paziente – ritiene preferibile per diverse
ragioni, anche di carattere psicologico, di carattere sociale e di carattere
economico. Quindi, le direttive anticipate servono fondamentalmente a questo:
ad aiutare il medico che deve trattare il malato, diventato incapace, a
scegliere tra diverse possibili terapie, quella che egli sa – attraverso le
dichiarazioni anticipate di trattamento – che il malato avrebbe prediletto.
D. – Quindi, la persona che sceglierà di fare questo
‘testamento biologico’ dovrà essere comunque assistito da una figura
professionale ...
R. – Le dichiarazioni anticipate di trattamento non solo
devono essere firmate da persone capaci di intendere e di volere, ma devono
essere firmate da persone informate adeguatamente e che non sarebbero valide,
le dichiarazioni anticipate, se consistessero nella mera firma messa in calce
ad un modulo prestampato, di quelli che – per esempio – si possono scaricare da
internet. Aggiungiamo anche che non è affatto obbligatorio firmare le dichiarazioni
anticipate.
D. – Il medico, comunque, non sarà obbligato ad attenersi
alle indicazioni date in anticipo dal paziente. Quindi, che valore avranno?
R . – Fino ad oggi, il medico non solo non è tenuto e non
sarà mai tenuto nemmeno in futuro a rispettare puntualmente le dichiarazioni.
Ma il medico potrebbe anche non leggerle. Se il nostro documento verrà tradotto
in legge dal Parlamento, invece, le dichiarazioni avranno una validità giuridica:
il medico sarà obbligato a tenerne conto, a leggerle e a riflettere su di esse;
non sarà obbligato a rispettarle ma dovrà per iscritto, nella cartella clinica,
indicare le ragioni per le quali egli ritiene opportuno o applicare le dichiarazioni
anticipate o non applicarle.
D. – Professore, non c’è rischio, secondo lei, che si vada
verso il riconoscimento dell’eutanasia, voglio dire che nessuno, o quasi, a
mente fredda accetta l’idea di poter vivere situazioni di sofferenza estrema ...
R. – Nessuna richiesta eutanasica può essere validamente
inglobata nelle dichiarazioni anticipate di trattamento. In altre parole, tutto
quello che legalmente il paziente può pretendere dal medico in un rapporto
faccia a faccia, quando il paziente è capace di intendere e di volere, e solo
questo, potrà essere introdotto nelle dichiarazioni anticipate di trattamento.
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IERI SERA IN SAN GIOVANNI IN LATERANO LA MESSA
PRESIEDUTA DAL CARDINALE RUINI PER I 36 ANNI DELLA COMUNITA DI SANT’EGIDIO
- Intervista con il cardinale Francesco Pompedda e
Marco Impagliazzo -
Un
intenso spirito di solidarietà unito ad una profonda fede. È quanto ha caratterizzato
l’impegno della Comunità di Sant’Egidio fin dalla sua nascita, nel febbraio
1968. Lo ha sottolineato il cardinale vicario, Camillo Ruini, che ieri ha
presieduto la Santa Messa per celebrare il 36. mo anniversario della fondazione
di una Comunità che oggi annovera 50mila membri in 63 paesi del mondo. Il rito
si è svolto nella Basilica Lateranense, a Roma, alla presenza di rappresentanti
delle comunità orientali e africane, di delegazioni europee e di esponenti del
mondo politico italiano. Il servizio è di Dorotea Gambardella.
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“Questa
festa della Comunità di Sant’Egidio è la celebrazione della forza del Vangelo
in questo nostro mondo contemporaneo”.
(musica)
Rievocando
l’insegnamento di Giovanni Paolo II, secondo cui il segreto del futuro e della
fecondità della vita cristiana è in un cuore che crede, quindi che prega, il
cardinale vicario, Camillo Ruini, ha messo in evidenza come “questo primato
della fede vissuta” abbia ispirato il lungo cammino della Comunità di
Sant’Egidio, “il cui cuore è in un’intensa vita spirituale, in una profonda
fede, che rinnova l’energia”. Una fede – ha detto – senza la quale i cristiani
si sentirebbero impotenti in un mondo tanto complesso come quello
contemporaneo.
L’importanza
della spiritualità è stata anche al centro dell’intervento tenuto al termine
della celebrazione eucaristica, dal fondatore di Sant’Egidio, Andrea Riccardi:
“I
problemi concreti del nostro tempo, quelli dei più poveri, quelli della pace,
ci sono cari. Ma abbiamo compreso sempre più, negli anni, che non c’è
solidarietà duratura e profonda senza autentica spiritualità”.
Il
porporato, nella sua omelia, ha anche ricordato le molteplici iniziative che
vedono impegnata da 36 anni Sant’Egidio. Per un bilancio del 2003, ascoltiamo
il presidente della Comunità, Marco Impagliazzo:
R. – E’
stato un anno con i poveri, l’esempio più evidente è quello del Natale appena
trascorso in cui soltanto a Roma abbiamo messo a tavola 6 mila persone in
difficoltà.
D. –
Quali sono i vostri progetti per quest’anno?
R. – In
particolare, noi vorremmo continuare il programma che si chiama ‘Dream’ di cura
dei malati di Aids, in Africa, che è iniziato negli scorsi anni in Mozambico e
che quest’anno sarà allargato a tanti altri Paesi dell’Africa. Grazie ad esso,
sono nati i primi 300 bambini sani da madri malate di Aids. E poi gli anziani,
un’altra nostra priorità, soprattutto dopo quest’estate, dopo le tante morti
degli anziani per il caldo in Italia, in Francia e in altri Paesi d’Europa,
abbiamo voluto incrementare i nostri servizi per gli anziani e far capire alla
società che gli anziani vanno accolti, vanno tenuti a casa perché negli
istituti e nei cronicari si muore più facilmente.
Infine,
non si può trascurare l’impegno profuso da Sant’Egidio in favore del dialogo
ecumenico. Basti pensare all’Incontro mondiale interreligioso svoltosi ad
Aachen, in Germania, nel settembre scorso. Ascoltiamo, in proposito, una riflessione
del cardinale, Mario Francesco Pompedda, prefetto del Supremo Tribunale della
Segnatura Apostolica:
“E’ un
po’ nello spirito della comunità stessa di Sant’Egidio questo anelito di unione
che corrisponde al testamento che Cristo ci ha lasciato: prego perché siate una
cosa sola”.
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6
febbraio 2004
IN
PRIMA LINEA PER LA PACE: LA CHIESA COLOMBIANA HA ACCETTATO
DI
MEDIARE TRA IL GOVERNO DI BOGOTA’ E I GUERRIGLIERI DELL’ESERCITO DI LIBERAZIONE
NAZIONALE. IL CARDINALE PEDRO RUBIANO SAENZ, PRESIDENTE DELLA CONFERENZA
EPISCOPALE COLOMBIANA, HA ASSICURATO L’IMPEGNO DELLA CHIESA
PER UNA SOLUZIONE POLITICA DELLA GUERRA
CIVILE
BOGOTA’.=
Passo importante per un Paese scosso da una guerra civile lunga quarant’anni.
La Chiesa cattolica colombiana è disposta a facilitare il dialogo tra il
governo e l’Esercito di liberazione nazionale: lo ha reso noto il cardinale
Pedro Rubiano Sáenz, presidente della Conferenza episcopale del Paese
sudamericano, riunita in assemblea ordinaria nella capitale Bogotá. Il
porporato ha così risposto ufficialmente ad una lettera inviata ai vescovi
colombiani dal “comando centrale” del gruppo guerrigliero, che afferma di voler
“tornare a collocare nello scenario nazionale proposte per un dialogo”,
aggiungendo di “aver optato per una soluzione politica del conflitto”. Per il cardinale
Rubiano Sáenz, “esiste una volontà piena da entrambe le parti a negoziare e la
Chiesa è disposta a continuare a costruire spazi di dialogo”. La richiesta
dell’Esercito di liberazione nazionale, ha sottolineato, deve essere
accompagnata da “proposte e azioni concrete di pace”. Già nel dicembre scorso,
la mediazione della Chiesa colombiana era risultata determinante per ottenere
il rilascio di alcuni turisti stranieri rapiti dal gruppo guerrigliero. Secondo
il porporato, è importante che i ribelli stiano “pensando che la pace si può
costruire solo sulla base della verità, della giustizia e della riparazione dei
danni causati alle vittime”. La Chiesa è già impegnata da tempo nella
mediazione tra il presidente Alvaro Uribe e le Forze armate rivoluzionarie
della Colombia (Farc), il più importante gruppo della guerriglia di sinistra
colombiana. (A.G.)
MEZZO
MILIARDO DI DOLLARI: E’ QUESTA LA CIFRA NECESSARIA
ALLA
RICOSTRUZIONE DELLA LIBERIA. IERI, AL PALAZZO DI VETRO DI NEW YORK, L’APERTURA
DELLA CONFERENZA DEI DONATORI PER IL PAESE AFRICANO ALLA RICERCA DI UNA PACE
STABILE DOPO 14 ANNI DI GUERRA CIVILE
- A
cura di Elena Molinari -
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NEW YORK.= La Liberia è ad un passo dal collasso. E’ con
toni drammatici che gruppi umanitari si sono rivolti ieri ai governi
industrializzati, chiedendo 488 milioni di dollari per soccorrere al più presto
il martoriato Paese africano. La sede dell’appello è la conferenza per la
Liberia, organizzata dall’Onu a New York, che ieri ha visto impegnati il
segretario di Stato americano Powell e il segretario generale dell’Onu, Annan,
oltre al ministro degli esteri francese Villepin. Il timore più grosso è che la
Liberia scivoli di nuovo nella guerra civile, se il nuovo esecutivo di Monrovia
non verrà messo nelle condizioni finanziarie di governare. Uno scenario
raccapricciante, dopo 14 anni di lotte intestine che sono costate la vita ad
almeno 250 mila persone. E la pace, raggiunta in agosto con i ribelli, dopo la
partenza del presidente Taylor, sembra precaria: il programma di disarmo della
guerriglia, ad esempio, è già in stallo proprio per la mancanza di fondi.
“Sappiamo tutti, fino troppo bene – ha detto Annan – cosa succede agli Stati
impoveriti ed abbandonati a se stessi che diventano rifugio per sbandati e
terroristi”. Gli Stati Uniti hanno già promesso 445 milioni di dollari e quasi
altrettanti potrebbero arrivare dall’Unione Europea. Ma non bastano e devono
essere incanalati alla svelta e soprattutto per finanziare la missione di 15
mila caschi blu dell’Onu, che devono mantenere l’ordine nel Paese.
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SERVE
MAGGIORE IMPEGNO PER RISTABILIRE LA DIGNITA’ DELLA DONNA.
E’
L’APPELLO DEL VESCOVO DI SARH, IN CIAD, EDMOND DJITANGAR,
CHE IN
UNA LETTERA PASTORALE CONDANNA CON FERMEZZA
LE MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI
SARH. =
“È urgente pronunciarci chiaramente su alcuni nostri atteggiamenti nei
confronti della donna. Non possiamo rimanere silenziosi davanti a certi abusi”:
lo afferma mons. Edmond Djitangar, vescovo di Sarh, nel sud del Ciad, in una
lettera pastorale diffusa di recente con l’obiettivo di ridare alla donna il
suo giusto posto nella società e nella Chiesa. La lettera invita le comunità
cristiane a costruire spazi in cui le donne possano sviluppare la propria
coscienza e parlare dei propri problemi in modo da offrire occasioni di
formazione umana e spirituale. Nel documento, diffuso dall’agenzia Misna, mons.
Djitangar denuncia la “negli-genza nella scolarizzazione delle ragazze”, che
diventano vittime di discrimina-zioni e di sottomissione nei confronti dell'uomo.
Il vescovo di Sarh condanna, inoltre, con fermezza le mutilazioni genitali
femminili “vietate nella nostra Chie-sa-famiglia di Dio perché rappresentano un
attentato all’integrità della persona umana come Dio l'ha creata”. Mons.
Djitangar denuncia “il coraggio delle associazioni femminili e delle donne
cristiane” che s’impegnano nel combattere “l’escissione e altre pratiche che
impediscono la crescita delle persone”. Le donne, prosegue, “hanno bisogno di
essere riconosciute e rispettate in quanto creature amate da Dio” (A.G.)
AIUTARE
GLI ULTIMI TRA GLI ULTIMI: CON QUESTO INTENTO E’ STATA
INAUGURATA A MANILA LA PRIMA COMUNITA’ DELLE
SUORE
DI DON ORIONE NEL
QUARTIERE POVERO DI QUEZON CITY
MANILA.= “Da alcuni anni stavamo progettando di
aprire una comunità delle Piccole suore missionarie della Carità nelle
Filippine, oggi si è avverato questo sogno”. E’ quanto ha dichiarato con
soddisfazione - all’agenzia Fides - suor Maria Ortensia Turati, Superiora
generale delle Piccole suore
missionarie della Carità fondate dal Beato Luigi Orione, che assieme a suor
Noemi Guzzi ha accompa-gnato a Manila le prime suore orionine che opereranno in
una delle zone più povere della metropoli asiatica. “La mia presenza qui vuole
simboleggiare la presenza di tutta la grande Famiglia orionina - ha proseguito
Suor Ortensia - che idealmente sosterrà ed incoraggerà le nostre consorelle
missionarie, che da oggi si mettono al servizio del popolo filippino”. La zona
dove opereranno, Quezon City ed in particolare di Payatas, è tristemente famosa
per l’alta concentrazione di popolazione, che sopravvive a ridosso di una
discarica maleodorante. “Proprio per questo - ha affermato suor Noemi - la
sfida, per noi suore di Don Orione, è più grande ed impegnativa. Ma non ci
scoraggiamo”. In questa prima fase le suore orionine conteranno sull’appoggio
dei Figli della Divina Provvidenza, che da anni sono presenti con un Piccolo
Cottolengo a Montalban, una parrocchia a Payatas e numerose attività
nell’ambito sociale sparse nella vasta area della discarica di Manila. (A.G.)
IN MONGOLIA, PRIMA ASSEMBLEA PARROCCHIALE SULLA MISSIONE:
PRESTO VERRANNO BATTEZZATI 106 CATECUMENI, FACENDO QUASI
RADDOPPIARE
IL NUMERO DEI CATTOLICI PRESENTI NEL PAESE ASIATICO
ULAN BATOR.= In Mongolia, si è riunito il
primo consiglio pastorale della parrocchia di san Pietro e Paolo, “chiesa
madre” del Paese asiatico. L’assemblea - informa l’agenzia AsiaNews - si è
tenuta in tre diversi incontri svoltisi in queste settimane concentrandosi
sulla missione della comunità cristiana, che in Mongolia è ai primi passi, dopo
secoli di ostilità e abbandono. Divisi in piccoli gruppi di discussione, i
fedeli hanno fatto molte proposte: migliorare la
catechesi, organizzare incontri mensili sulla Bibbia, aumentare le opportunità
di formazione per i battezzati e cercare di riavvicinare quanti non frequentano
più la chiesa. È anche emersa la necessità di un maggiore uso dei mezzi di
comunicazione per i fedeli e i non cristiani. In un prossimo futuro – riferisce
AsiaNews – si spera di pubblicare libretti sulla chiesa locale, il
cattolicesimo, la storia del cristianesimo, e anche un calendario cattolico.
Sono 106 i catecumeni in attesa del Battesimo, che faranno quasi raddoppiare la
comunità della Chiesa cattolica della Mongolia, nata nel 1992. Le 3 parrocchie:
Buon Pastore, Santa Maria e san Pietro e Paolo, stanno preparando i candidati,
alcuni dei quali saranno iniziati alla fede durante la vigilia di Pasqua, il
prossimo aprile. (A.G.)
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6
febbraio 2004
- A cura di Salvatore Sabatino -
L’ombra dell’influenza aviaria
continua ad allungarsi sul mondo. Dopo la notizia che in Vietnam il virus
avrebbe attaccato alcuni suini, è stata annunciata oggi ad Hanoi la morte di
una bambina di sei anni, che porta a 18 il totale delle vittime del virus.
L'epidemia è stata trasmessa all'uomo solo in Vietnam, dove i morti sono stati
13, e in Thailandia, dove le vittime umane sono al momento cinque. La scoperta
del virus nei suini, secondo gli esperti, è grave perché il loro sistema
immunitario è molto simile a quello dell'uomo. Massimiliano
Menichetti ha chiesto un commento all’epidemiologo Roberto Bertolini, direttore
per l'Europa della Divisione Tecnica dell'OMS. Ascoltiamo:
*********
R. – Il virus dell’influenza aviaria può colpire gli
uccelli ma può colpire anche i maiali – questa è una cosa nota – ed i maiali
possono, anche loro, essere colpiti dal virus da un’influenza molto vicina a
quella umana. Diciamo che il maiale può essere un contenitore all’interno del
quale può verificarsi la ricombinazione genetica tra il virus dell’influenza
aviaria e quello dell’influenza dei mammiferi, che può eventualmente diventare
un’influenza umana.
D. – Se l’influenza aviaria passa ai maiali, se questo
viene confermato, c’è una maggiore probabilità che anche l’uomo possa essere
infettato da questo tipo di influenza oppure è prematuro, comunque, un allarme?
R. – Dal punto di vista dell’ordine delle probabilità non
cambia molto la situazione col fatto che il virus sia stato identificato nei
maiali. Direi quindi che la situazione è sostanzialmente la stessa di quanto
fosse alcuni giorni fa. Bisogna continuare ora a monitorare, osservare, vedere.
Certo è che più l’influenza aviaria persiste nella popolazione degli uccelli e
nella popolazione animale in genere, più aumenta la possibilità che entri in
contatto con il virus umano e che si ricombini. Questo è un fenomeno che
necessita di una serie di condizioni non facilmente riscontrabili. Al momento è
una malattia animale.
D. – Sì, ma in Vietnam ci sarebbe un caso confermato e
ancora in fase di studio, di contagio da uomo a uomo e gli scienziati ritengono
che il virus sia arrivato all’uomo proprio tramite il maiale…
R. – Diciamo che il singolo caso che si può verificare di
contagio interumano – come forse è accaduto in Vietnam ad una famiglia – è
un’eventualità non comunissima ma non assolutamente eccezionale, che si è
verificata già in altri casi. Si può cioè verificare un piccolo e circoscritto
tipo di trasmissione da uomo a uomo di un virus animale in condizioni di elevato
contatto tra la persona malata e la persona sana. Ma questa è una eventualità
che già noi conosciamo. Questo non significa assolutamente che il virus abbia
subito una mutazione.
*********
Gli
analisti della Cia non avevano mai sostenuto che l’Iraq costituisse una
minaccia imminente. Le parole pronunciate ieri da George Tenet, direttore dei
servizi segreti americani, hanno rilanciato negli Stati Uniti gli interrogativi
sull’imminenza del pericolo del regime di Saddam. Mercoledì scorso, il premier
britannico Blair ha ammesso di non saperlo. Da ieri, la Cia e la Casa Bianca hanno
due tesi opposte al riguardo. Si può allora parlare di una strumentalizzazione
politica da parte dei governi? Risponde Guido Olimpio, esperto di servizi
segreti e terrorismo del Corriere della Sera:
*********
R. - Vi sono essenzialmente tre cose. La prima, c’è stata
una pressione politica, sia a Washington sia in Inghilterra perché si
dimostrasse ad ogni costo che Saddam era pericoloso; e secondo, una questione
più tecnica, ossia le informazioni non erano abbastanza accurate; ci si è
fidati di fonti poco sicure, di oppositori iracheni che tendevano ad abbellire
o ad aggravare i rapporti, e ci si è fidati molto dell’intelligence
elettronica che non permetteva di capire che cosa ci fosse dentro i laboratori.
Cioè: un satellite che fotografa dall’alto un laboratorio, magari si sa che
produce armi chimiche, ma non è detto che dentro ci siano poi in definitiva le
armi chimiche. Terzo punto: non c’è dubbio che la Cia abbia segnalato una pericolosità
del regime di Saddam Hussein, ma non nei termini e non nei contenuti che poi
sono stati enunciati dai vertici, e quindi questo ha ingenerato dei problemi e
poi – ripeto – c’è stata leggerezza. Ricordiamo che gli inglesi copiarono un
pezzo di rapporto da internet! Quindi, insomma, non c’era una grande sicurezza
delle fonti.
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Ed
un’ondata di commozione sta attraversando gli Stati Uniti. E’ stato, infatti,
trovato la scorsa notte il cadavere della ragazzina di 11 anni rapita domenica
scorsa, a Sarasota, in Florida. Lo ha annunciato poco fa l’emittente
statunitense Cnn. La notizia è stata confermata
dalla polizia locale. Per il rapimento è stato arrestato nei giorni scorsi un
pregiudicato 37enne.
Il Pakistan collaborerà con l’Aiea, l’Agenzia
Internazionale per l’Energia Atomica, preoccupata per la fuga all’estero di
tecnologia nucleare. A queste dichiarazioni, del governo di Islamabad, si
aggiungono quelle del presidente Musharraf che ieri ha pubblicamente perdonato
Abdul Qadir Khan, il padre della bomba atomica pakistana, che recentemente ha
detto di aver fornito le sue conoscenze a Paesi terzi, come Iran, Corea del
Nord e Libia. Il servizio di Maria Grazia Coggiola:
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La decisione di Musharraf di concedere la clemenza allo
scienziato era prevedibile, perché il dottor Khan, nonostante le ricchezze che
avrebbe accumulato all’estero, è ancora considerato un eroe nazionale, in
patria, soprattutto dai partiti islamici che sono molto influenti nella società
pakistana. Un eventuale processo lo avrebbe umiliato troppo, e avrebbe forse
anche potuto mettere in imbarazzo il governo di Islamabad. Infatti, sono in
molti a credere che sia impensabile che esercito e servizi segreti non fossero
a conoscenza delle operazioni illegali che sono durate ben 15 anni. El Baradei,
capo dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica, ha detto ieri che la
rete del dottor Khan è solo la punta dell’iceberg di una più vasta
proliferazione nucleare. Ci sono ancora molti punti da chiarire: l’agenzia
dell’Onu di Vienna ha precisato di non aver chiesto ancora di interrogare lo
scienziato. Musharraf ha detto di essere disponibile a dare ulteriori informazioni
ma non permetterà a ispettori dell’Onu di supervisionare l’arsenale atomico
pakistano. “Il Pakistan è un Paese sovrano”, ha ricordato ieri in una conferenza
stampa.
Per la Radio Vaticana, Maria Grazia Coggiola.
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L’India verso le elezioni anticipate. Il presidente Abdul
Kalam ha firmato oggi il decreto di scioglimento della Lok Sabha –
letteralmente “Camera del popolo”, la Camera bassa del Parlamento – in scadenza
naturale a settembre. Tra aprile e maggio, 650 milioni di elettori saranno
chiamati alle urne per eleggere i 545 deputati. Il servizio di Andrea Sarubbi:
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Il premier Vajpayee lo aveva annunciato da settimane: “Avremo
un nuovo governo per aprile”. I buoni risultati elettorali nel test amministrativo
e l’eccellente raccolto agricolo, in un Paese ancora a maggioranza rurale, lo
avevano convinto da tempo a sfruttare il momento favorevole. A dicembre aveva
già sconfitto nettamente il Partito del Congresso, togliendo a Sonia Gandhi il
governo di tre Stati importanti nel nord. Ed è stata proprio questa vittoria,
inattesa nelle sue proporzioni, a convincerlo della necessità di fare in
fretta, anticipando di sette mesi la conclusione della legislatura. Nel
frattempo, il capo del governo – già vincitore delle elezioni nel ’96 e nel ‘99
– si è assicurato alleanze nuove sul fronte interno, come quella con i Tamil
Nadu, ed ha cercato lustro in politica estera, riavviando i negoziati di pace
per la contesa regione del Kashmir con il presidente pakistano, Musharraf.
L’opposizione accusa ora la maggioranza di “una scelta opportunistica”, Vajpayee
non smentisce: guarda con fiducia ai dati dell’economia, che nell’ultimo anno è
cresciuta del 7 per cento, conia uno slogan occidentale – “convertire il benessere
in voti” – che forse i poveri non capiranno e si prepara a governare l’India
per i prossimi cinque anni.
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Ed è
crisi politica anche in Lettonia, dopo le dimissioni in blocco dell’esecutivo.
Il premier, Einars Repse, ha indicato come motivo dei ritiri dagli incarichi
l’uscita dal governo di un partito alleato e dunque la perdita della
maggioranza. Il presidente del piccolo stato baltico, Vaira Vike-Freiberga, ha
sollecitato parlamento e governo a superare la crisi per non presentarsi al
prossimo ingresso in Europa in una situazione di vuoto politico.
Confermate
in Iran le dimissioni di circa 130 deputati riformatori che protestano contro
la bocciatura di migliaia di candidati riformisti alle elezioni del 20
febbraio. Si preannuncia dunque un duro scontro con i conservatori fedelissimi
al regime che rischia di far saltare le consultazioni. Intanto è atteso per
lunedì il risultato del riesame delle candidature da parte del Consiglio dei Guardiani
che finora ha riammesso solo una cinquantina di candidati su 2.500.
Ha provocato almeno 23 morti ed
oltre 600 feriti il forte terremoto che ha colpito questa mattina l’Indonesia.
Il sisma, di magnitudo 8.9 sulla scala
Richter, ha colpito la parte nord
occidentale della provincia indonesiana
di Irian Jaya, in Papuasia. Ingenti i danni materiali: danneggiati seriamente
un aeroporto, un ospedale e numerose moschee.
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