RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVIII  n. 37 - Testo della Trasmissione di venerdì 6 febbraio 2004

 

Sommario

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Annunciare con coraggio il Vangelo nonostante il relativismo culturale dei nostri tempi: così il Papa nell’udienza alla Congregazione per la dottrina della fede. La piena adesione alla verità cattolica – dice Giovanni Paolo II – non diminuisce ma esalta la libertà umana.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Strage nella Metropolitana di Mosca per un attentato kamikaze: almeno 39 i morti. Il leader indipendentista ceceno Mashkadov nega ogni responsabilità. Appello del presidente Putin al mondo: uniamoci contro il terrorismo. Il commento di Giulietto Chiesa

 

Ieri sera in San Giovanni in Laterano la Messa per i 36 anni della comunità di Sant’Egidio: per il cardinale Ruini è la testimonianza che la fede quando è autentica genera carità e solidarietà. Con noi il cardinale Francesco Pompedda e Marco Impagliazzo

 

Il comitato nazionale di bioetica ha presentato al governo un documento sul cosiddetto “testamento biologico”: ne parliamo col prof. Francesco D’Agostino

 

CHIESA E SOCIETA’:

In prima linea per la pace: la Chiesa colombiana ha accettato di mediare tra il governo e la guerriglia dell’Esercito di liberazione nazionale per porre fine a 40 anni di guerra civile.

 

Mezzo miliardo di dollari: è questa secondo l’Onu la cifra necessaria alla ricostruzione della Liberia

 

Il vescovo di Sarh, in Ciad, Edmond Djitangar, in una lettera pastorale condanna con fermezza le mutilazioni genitali femminili

 

E’ stata inaugurata a Manila la prima comunità delle suore di Don Orione nel quartiere povero di Quezon City

 

In Mongolia, si è riunito il primo Consiglio pastorale della parrocchia di San Pietro e Paolo, “chiesa madre” del Paese asiatico

 

24 ORE NEL MONDO:

Il virus dei polli trovato anche nei suini in Vietnam: morta un’altra bambina ad Hanoi. 18 finora le vittime dall’inizio dell’epidemia

 

Ancora polemiche negli Stati Uniti e in Gran Bretagna sulle armi di distruzione di massa in Iraq.

 

India: sciolta la Camera Bassa del Parlamento.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

6 febbraio 2004

 

LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE FONDAMENTALE PER CONTRASTARE

LE CORRENTI CULTURALI CHE TRAVISANO IL MAGISTERO PONTIFICIO ED ECCLESIALE:

“L’ADESIONE ALLA VERITA’ ESALTA LA LIBERTA’ UMANA”

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

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Hanno bisogno di un “annuncio coraggioso” le verità contenute nel Vangelo e nel magistero ecclesiale. Bisogno di un “rinnovato slancio evangelizzatore”, per salvare l’uomo dal “facile pragmatismo” dei nostri tempi, nei quali gli insegnamenti del Papa e della Chiesa o non sono recepiti o vengono “travisati” su pressione di particolari correnti di pensiero. E’ stato un discorso di intensità non comune quello rivolto questa mattina da Giovanni Paolo II ai circa 80 membri della Congregazione per la Dottrina della fede, ricevuti in udienza al termine della loro sessione plenaria. Un discorso che ha toccato con precisione alcuni punti nevralgici della missione e della vita interna della Chiesa.

 

“Promuovere e tutelare la verità della fede cattolica”: è questo, ha riaffermato subito il Papa, il compito “delicato” del dicastero vaticano. E il punto di partenza risiede nella trasmissione del Vangelo - a chi già crede come ai lontani – da offrire anzitutto con l’esempio della testimonianza della vita: “prima parola” con la quale la Buona novella viene annunciata. “Certo il Vangelo esige la libera adesione dell’uomo”, ha osservato il Pontefice. Ma, ha spiegato, subito dopo:

 

“La piena adesione alla verità cattolica non diminuisce, ma esalta la libertà umana e la sollecita verso il suo compimento, in un amore gratuito e colmo di premura per il bene di tutti gli uomini”.

 

E’ in questo orizzonte di carità, ha proseguito, “che muove quella nuova evangelizzazione, cui ho più volte invitato tutta la Chiesa ed a cui desidero richiamarla ancora all’inizio di questo terzo millennio”. Il Papa si è poi soffermato sul grado di accoglienza e comprensione riservato agli insegnamenti della Chiesa da parte dei cattolici, “spesso disorientati più che informati dalle immediate reazioni e interpretazioni dei mezzi di comunicazione sociale”. Invitando tutti i vescovi a valorizzare il magistero pontificio, “che contribuisce a formare la coscienza cristiana dei fedeli”, Giovanni Paolo II ha affermato con chiarezza che la ricezione di un documento non può essere “un fatto mediatico”, ma deve essere visto soprattutto come “un evento ecclesiale”: una “parola autorevole che fa luce su una verità di fede o su alcuni aspetti della dottrina cattolica contestati o travisati da particolari correnti di pensiero e di azione”.

 

E “opportune iniziative” il Papa ha chiesto siano promosse anche per meglio diffondere la comprensione della “legge morale naturale”, argomento già affrontato nelle encicliche Veritatis splendor e Fides et ratio. Sulla base di tale legge - già parte del patrimonio del sapere umano e purificata dalla Rivelazione - “si può costruire, ha asserito, una piattaforma di valori condivisi” in grado di sviluppare “un dialogo costruttivo” con la società secolare. In altre parole un punto di riferimento più alto e “oggettivo” per le legislazioni “che spesso - ha rilevato - si basano soltanto sul consenso sociale”. Infine, il Papa ha concluso accennando all’aumento dei casi disciplinari sottoposti alla Congregazione per la Dottrina della fede. Giovanni Paolo II ha invitato non solo a “vagliare bene sia il giusto principio della proporzionalità tra colpa e pena”, sia l’esigenza di proteggere i credenti. Ma ha indicato nella “giusta ed equilibrata” formazione dei futuri sacerdoti la “migliore garanzia” perché essi vivano “con gioia e generosità” il celibato ecclesiastico per il Regno di Dio.

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 ALTRE UDIENZE E NOMINE

 

Nel corso della mattina il Papa ha ricevuto anche due vescovi della Conferenza episcopale francese in visita “ad limina”.

 

Il Santo Padre ha quindi nominato arcivescovo coadiutore di Cartagena (Colombia), mons. Jorge Enrique Jiménez Carvajal, della Congregazione di Gesù e Maria (eudisti), finora vescovo di Zipaquirá. Mons. Jiménez Carvajal è nato a Bucaramanga il 29 marzo 1942 ed è stato ordinato sacerdote il 17 giugno 1967. Dal 1999 al 2003 è stato presidente del Celam. Mons. Jiménez Carvajal è inoltre membro del Pontificio Consiglio per la pastorale della salute e della Pontificia Commissione per l'America Latina.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina notizia della strage nella metropolitana di Mosca, che ha causato decine di morti; il presidente Putin invita la comunità internazionale ad unirsi contro il terrorismo “peste del XXI secolo”. 

 

Nelle vaticane, nel discorso ai partecipanti alla Sessione Plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, Giovanni Paolo II ha sottolineato che l’odierno contesto esige più che mai l’annuncio coraggioso delle verità che salvano l'uomo e un rinnovato slancio evangelizzatore.

Due pagine dedicate al cammino della Chiesa in Italia. 

 

Nelle estere, riguardo all’Iraq si evidenzia che la Cia non sostenne mai che il Paese asiatico rappresentasse una “minaccia imminente” per gli Stati Uniti; dichiarazioni del direttore della Cia.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Francesco Licinio Galati sul “Profilo di Clio” di Iosif Brodskij.

 

Nelle pagine italiane, in rilievo i temi del terrorismo e delle riforme.

 

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

6 febbraio 2004

 

 

LA RUSSIA RIPOMBA NELLA PAURA. UN ATTENTATO QUESTA MATTINA

NELLA METROPOLITANA DI MOSCA HA PROVOCATO ALMENO 39 MORTI.

UNANIME LA CONDANNA DELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE

- Intervista con Giulietto Chiesa -

 

Un nuovo tragico attentato ha colpito questa mattina il centro di Mosca. Una donna kamikaze si è fatta esplodere in una stazione della metropolitana causando la morte di almeno 39 persone e un centinaio di feriti. Immediato l’intervento del presidente Putin, che ha esortato la comunità internazionale ad unirsi contro il terrorismo, mentre il leader indipendentista ceceno, Aslan Maskhadov, ha smentito qualsiasi responsabilità nell'attentato. Il servizio di Salvatore Sabatino:

 

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Una città colpita al cuore. Mosca si è risvegliata nella paura, con l’ennesimo sanguinoso attentato. Una donna kamikaze si è introdotta nella metropolitana della capitale russa, facendosi esplodere nell’ora di punta; nel momento in cui sono centinaia di migliaia i moscoviti che si spostano da una parte all’altra della città. E’ stata una strage: almeno 39 i morti, un centinaio i feriti. La deflagrazione è avvenuta in una zona centrale della città, a due passi dal Cremlino, sulla seconda vettura di un convoglio in corsa dove si trovavano circa 1.500 persone. La linea della metro è stata completamente bloccata e 700 persone che si trovavano sulle altre vetture sono state  evacuate dai vigili del fuoco e riportate in superficie.

 

Il pensiero è immediatamente andato alla Cecenia, alle ripetute minacce degli indipendentisti di colpire la metropoli, dopo l’annuncio, lo scorso anno, dell’estensione della guerra a tutto il territorio della Federazione di fronte al rifiuto delle autorità russe a qualsiasi negoziato di pace con i ribelli e di fronte a quello che venne definito “il genocidio del popolo ceceno”. Ed il ricordo è corso all’attacco perpetrato in dicembre da due donne kamikaze fattesi esplodere alla vigilia delle elezioni per il rinnovo della Duma a due passi dalla Piazza Rossa. O ancora a quel concerto alla periferia di Mosca, in cui un’altra donna suicida si fece saltare in aria tra la gente, provocando una carneficina. Immediata la dichiarazione di non responsabilità nell’accaduto da parte del governo indipendentista ceceno del presidente Maskhadov. Il vicepremier Zakaiev, ha detto che il presidente e il suo governo “non hanno nulla a che fare con questa sanguinosa provocazione”, condannandola “nel modo più deciso”. Poco prima il presidente russo Vladimir Putin aveva espresso la sua ferma condanna, chiamando il mondo ad unirsi per consentire una vittoria contro il terrorismo, definito “la peste del XXI secolo”. Il capo del Cremlino ha successivamente tuonato: “Con i terroristi la Russia non tratta, li elimina”, sottolineando che gli attentati non lo spingeranno al negoziato. Unanime la condanna della comunità internazionale.

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Ma perché il terrorismo ha voluto colpire nuovamente il cuore di Mosca? Giada Aquilino lo ha chiesto a Giulietto Chiesa, inviato speciale de ‘La Stampa’ ed esperto di questioni russe:

 

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R. – E’ chiaro che la matrice è una matrice immediatamente attribuibile ai ceceni ed è in ogni caso un intervento nella politica interna della Russia in un momento in cui il presidente in carica si appresta a stravincere le elezioni. E siccome Putin ha dichiarato che considera la questione cecena una questione da risolvere con una vittoria militare, si risponde che Putin non riuscirà a raggiungere questo risultato e che lo colpiranno a Mosca. Si tratta probabilmente dell’avvio di una campagna di terrore che accompagnerà la campagna elettorale di Putin da qui ad un mese.

 

D. – Putin ha invitato la Comunità internazionale ad unire gli sforzi per combattere il terrorismo, definito “peste del XXI secolo”. Quale sarà ora la linea del Cremlino verso il terrorismo?

 

R. – Sarà la linea precedente. Ritengo che questo uso del terrorismo ceceno per accomunare la Russia al resto del mondo non funziona. Si tratta di un problema specifico, che è quello della Cecenia; si tratta di un problema che riguarda specificatamente Putin e la Russia. Il terrorismo a Mosca non si può combattere, perché in queste condizioni praticamente i ceceni si muovono anche nella capitale russa come pesci nella loro acqua, così come in tutte le altre città: non c’è via di uscita. Ci sarebbe soltanto se Mosca, e in particolare Putin, decidesse di cercare un dialogo con l’unico interlocutore che è rimasto sul tappeto e che è Maskhadov, che è il presidente che fu a suo tempo regolarmente eletto: l’attuale presidente Zadirov non rappresenta nessuno se non una parte degli stessi ex combattenti militari. Quindi far finta di dialogare con Zadirov significa non dialogare con i ceceni. Questa soluzione porterà inevitabilmente ad un prolungamento inesorabile della guerra e del terrorismo.

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VIA  LIBERA IN ITALIA AL ‘TESTAMENTO BIOLOGICO’: IL COMITATO NAZIONALE

DI BIOETICA CHIARISCE IN UN DOCUMENTO LIMITI E CONDIZIONI.

LA PAROLA ORA AL PARLAMENTO

- Intervista con il professor Francesco D’Agostino -

 

Lo hanno chiamato “testamento biologico”: diversi Paesi europei hanno già legiferato in merito ed ora si appresta a farlo anche l’Italia. Per questo ieri il Comitato nazionale di bioetica ha presentato al Governo e al Parlamento un documento che dà legittimità alle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat). Si tratta della possibilità offerta al cittadino di esprimere per iscritto la propria volontà sui trattamenti sanitari ai quali desidera o non desidera essere sottoposto nel caso in cui, per malattia o trauma, non fosse più in grado di manifestare il proprio consenso. Lo scopo che ha guidato il Comitato è di offrire una piattaforma unitaria a chi dovrà legiferare, disponendo finora di diversi testi contradditori su una materia complessa, che tocca aspetti etici, psicologici e sociali.

 

Ma come potrà una persona valutare e giudicare ‘cose’ di medicina che le sono estranee, e capire ad esempio se un trattamento sanitario sconfina nell’accanimento terapeutico o no? Roberta Gisotti ha intervistato il prof. Francesco D’Agostino, presidente del Comitato nazionale di  bioetica

 

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R. – Al giorno d’oggi, sempre più di frequente, ci troviamo di fronte ad un ventaglio di possibilità terapeutiche, tutte giustificate, per affrontare le singole malattie. E sempre di più diventa importante che il paziente dia al medico curante un orientamento essenziale sul tipo di terapia che egli – il paziente – ritiene preferibile per diverse ragioni, anche di carattere psicologico, di carattere sociale e di carattere economico. Quindi, le direttive anticipate servono fondamentalmente a questo: ad aiutare il medico che deve trattare il malato, diventato incapace, a scegliere tra diverse possibili terapie, quella che egli sa – attraverso le dichiarazioni anticipate di trattamento – che il malato avrebbe prediletto.

 

D. – Quindi, la persona che sceglierà di fare questo ‘testamento biologico’ dovrà essere comunque assistito da una figura professionale ...

 

R. – Le dichiarazioni anticipate di trattamento non solo devono essere firmate da persone capaci di intendere e di volere, ma devono essere firmate da persone informate adeguatamente e che non sarebbero valide, le dichiarazioni anticipate, se consistessero nella mera firma messa in calce ad un modulo prestampato, di quelli che – per esempio – si possono scaricare da internet. Aggiungiamo anche che non è affatto obbligatorio firmare le dichiarazioni anticipate.

 

D. – Il medico, comunque, non sarà obbligato ad attenersi alle indicazioni date in anticipo dal paziente. Quindi, che valore avranno?

 

R . – Fino ad oggi, il medico non solo non è tenuto e non sarà mai tenuto nemmeno in futuro a rispettare puntualmente le dichiarazioni. Ma il medico potrebbe anche non leggerle. Se il nostro documento verrà tradotto in legge dal Parlamento, invece, le dichiarazioni avranno una validità giuridica: il medico sarà obbligato a tenerne conto, a leggerle e a riflettere su di esse; non sarà obbligato a rispettarle ma dovrà per iscritto, nella cartella clinica, indicare le ragioni per le quali egli ritiene opportuno o applicare le dichiarazioni anticipate o non applicarle.

 

D. – Professore, non c’è rischio, secondo lei, che si vada verso il riconoscimento dell’eutanasia, voglio dire che nessuno, o quasi, a mente fredda accetta l’idea di poter vivere situazioni di sofferenza estrema ...

 

R. – Nessuna richiesta eutanasica può essere validamente inglobata nelle dichiarazioni anticipate di trattamento. In altre parole, tutto quello che legalmente il paziente può pretendere dal medico in un rapporto faccia a faccia, quando il paziente è capace di intendere e di volere, e solo questo, potrà essere introdotto nelle dichiarazioni anticipate di trattamento.

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IERI SERA IN SAN GIOVANNI IN LATERANO LA MESSA PRESIEDUTA DAL CARDINALE RUINI PER I 36 ANNI DELLA COMUNITA DI SANT’EGIDIO

- Intervista con il cardinale Francesco Pompedda e Marco Impagliazzo -

 

Un intenso spirito di solidarietà unito ad una profonda fede. È quanto ha caratterizzato l’impegno della Comunità di Sant’Egidio fin dalla sua nascita, nel febbraio 1968. Lo ha sottolineato il cardinale vicario, Camillo Ruini, che ieri ha presieduto la Santa Messa per celebrare il 36. mo anniversario della fondazione di una Comunità che oggi annovera 50mila membri in 63 paesi del mondo. Il rito si è svolto nella Basilica Lateranense, a Roma, alla presenza di rappresentanti delle comunità orientali e africane, di delegazioni europee e di esponenti del mondo politico italiano. Il servizio è di Dorotea Gambardella.

 

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“Questa festa della Comunità di Sant’Egidio è la celebrazione della forza del Vangelo in questo nostro mondo contemporaneo”.

 

(musica)

 

Rievocando l’insegnamento di Giovanni Paolo II, secondo cui il segreto del futuro e della fecondità della vita cristiana è in un cuore che crede, quindi che prega, il cardinale vicario, Camillo Ruini, ha messo in evidenza come “questo primato della fede vissuta” abbia ispirato il lungo cammino della Comunità di Sant’Egidio, “il cui cuore è in un’intensa vita spirituale, in una profonda fede, che rinnova l’energia”. Una fede – ha detto – senza la quale i cristiani si sentirebbero impotenti in un mondo tanto complesso come quello contemporaneo.

 

L’importanza della spiritualità è stata anche al centro dell’intervento tenuto al termine della celebrazione eucaristica, dal fondatore di Sant’Egidio, Andrea Riccardi:

 

“I problemi concreti del nostro tempo, quelli dei più poveri, quelli della pace, ci sono cari. Ma abbiamo compreso sempre più, negli anni, che non c’è solidarietà duratura e profonda senza autentica spiritualità”.

 

Il porporato, nella sua omelia, ha anche ricordato le molteplici iniziative che vedono impegnata da 36 anni Sant’Egidio. Per un bilancio del 2003, ascoltiamo il presidente della Comunità, Marco Impagliazzo:

 

R. – E’ stato un anno con i poveri, l’esempio più evidente è quello del Natale appena trascorso in cui soltanto a Roma abbiamo messo a tavola 6 mila persone in difficoltà.

 

D. – Quali sono i vostri progetti per quest’anno?

 

R. – In particolare, noi vorremmo continuare il programma che si chiama ‘Dream’ di cura dei malati di Aids, in Africa, che è iniziato negli scorsi anni in Mozambico e che quest’anno sarà allargato a tanti altri Paesi dell’Africa. Grazie ad esso, sono nati i primi 300 bambini sani da madri malate di Aids. E poi gli anziani, un’altra nostra priorità, soprattutto dopo quest’estate, dopo le tante morti degli anziani per il caldo in Italia, in Francia e in altri Paesi d’Europa, abbiamo voluto incrementare i nostri servizi per gli anziani e far capire alla società che gli anziani vanno accolti, vanno tenuti a casa perché negli istituti e nei cronicari si muore più facilmente.

 

Infine, non si può trascurare l’impegno profuso da Sant’Egidio in favore del dialogo ecumenico. Basti pensare all’Incontro mondiale interreligioso svoltosi ad Aachen, in Germania, nel settembre scorso. Ascoltiamo, in proposito, una riflessione del cardinale, Mario Francesco Pompedda, prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica:

 

“E’ un po’ nello spirito della comunità stessa di Sant’Egidio questo anelito di unione che corrisponde al testamento che Cristo ci ha lasciato: prego perché siate una cosa sola”.

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CHIESA E SOCIETA’

6 febbraio 2004

 

 

IN PRIMA LINEA PER LA PACE: LA CHIESA COLOMBIANA HA ACCETTATO

DI MEDIARE TRA IL GOVERNO DI BOGOTA’ E I GUERRIGLIERI DELL’ESERCITO DI LIBERAZIONE NAZIONALE. IL CARDINALE PEDRO RUBIANO SAENZ, PRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE COLOMBIANA, HA ASSICURATO L’IMPEGNO DELLA CHIESA

 PER UNA SOLUZIONE POLITICA DELLA GUERRA CIVILE

 

BOGOTA’.= Passo importante per un Paese scosso da una guerra civile lunga quarant’anni. La Chiesa cattolica colombiana è disposta a facilitare il dialogo tra il governo e l’Esercito di liberazione nazionale: lo ha reso noto il cardinale Pedro Rubiano Sáenz, presidente della Conferenza episcopale del Paese sudamericano, riunita in assemblea ordinaria nella capitale Bogotá. Il porporato ha così risposto ufficialmente ad una lettera inviata ai vescovi colombiani dal “comando centrale” del gruppo guerrigliero, che afferma di voler “tornare a collocare nello scenario nazionale proposte per un dialogo”, aggiungendo di “aver optato per una soluzione politica del conflitto”. Per il cardinale Rubiano Sáenz, “esiste una volontà piena da entrambe le parti a negoziare e la Chiesa è disposta a continuare a costruire spazi di dialogo”. La richiesta dell’Esercito di liberazione nazionale, ha sottolineato, deve essere accompagnata da “proposte e azioni concrete di pace”. Già nel dicembre scorso, la mediazione della Chiesa colombiana era risultata determinante per ottenere il rilascio di alcuni turisti stranieri rapiti dal gruppo guerrigliero. Secondo il porporato, è importante che i ribelli stiano “pensando che la pace si può costruire solo sulla base della verità, della giustizia e della riparazione dei danni causati alle vittime”. La Chiesa è già impegnata da tempo nella mediazione tra il presidente Alvaro Uribe e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), il più importante gruppo della guerriglia di sinistra colombiana. (A.G.)

 

 

MEZZO MILIARDO DI DOLLARI: E’ QUESTA LA CIFRA NECESSARIA

ALLA RICOSTRUZIONE DELLA LIBERIA. IERI, AL PALAZZO DI VETRO DI NEW YORK, L’APERTURA DELLA CONFERENZA DEI DONATORI PER IL PAESE AFRICANO ALLA RICERCA DI UNA PACE STABILE DOPO 14 ANNI DI GUERRA CIVILE

- A cura di Elena Molinari -

 

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NEW YORK.= La Liberia è ad un passo dal collasso. E’ con toni drammatici che gruppi umanitari si sono rivolti ieri ai governi industrializzati, chiedendo 488 milioni di dollari per soccorrere al più presto il martoriato Paese africano. La sede dell’appello è la conferenza per la Liberia, organizzata dall’Onu a New York, che ieri ha visto impegnati il segretario di Stato americano Powell e il segretario generale dell’Onu, Annan, oltre al ministro degli esteri francese Villepin. Il timore più grosso è che la Liberia scivoli di nuovo nella guerra civile, se il nuovo esecutivo di Monrovia non verrà messo nelle condizioni finanziarie di governare. Uno scenario raccapricciante, dopo 14 anni di lotte intestine che sono costate la vita ad almeno 250 mila persone. E la pace, raggiunta in agosto con i ribelli, dopo la partenza del presidente Taylor, sembra precaria: il programma di disarmo della guerriglia, ad esempio, è già in stallo proprio per la mancanza di fondi. “Sappiamo tutti, fino troppo bene – ha detto Annan – cosa succede agli Stati impoveriti ed abbandonati a se stessi che diventano rifugio per sbandati e terroristi”. Gli Stati Uniti hanno già promesso 445 milioni di dollari e quasi altrettanti potrebbero arrivare dall’Unione Europea. Ma non bastano e devono essere incanalati alla svelta e soprattutto per finanziare la missione di 15 mila caschi blu dell’Onu, che devono mantenere l’ordine nel Paese.

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SERVE MAGGIORE IMPEGNO PER RISTABILIRE LA DIGNITA’ DELLA DONNA.

E’ L’APPELLO DEL VESCOVO DI SARH, IN CIAD, EDMOND DJITANGAR,

CHE IN UNA LETTERA PASTORALE CONDANNA CON FERMEZZA

 LE MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI

 

SARH. = “È urgente pronunciarci chiaramente su alcuni nostri atteggiamenti nei confronti della donna. Non possiamo rimanere silenziosi davanti a certi abusi”: lo afferma mons. Edmond Djitangar, vescovo di Sarh, nel sud del Ciad, in una lettera pastorale diffusa di recente con l’obiettivo di ridare alla donna il suo giusto posto nella società e nella Chiesa. La lettera invita le comunità cristiane a costruire spazi in cui le donne possano sviluppare la propria coscienza e parlare dei propri problemi in modo da offrire occasioni di formazione umana e spirituale. Nel documento, diffuso dall’agenzia Misna, mons. Djitangar denuncia la “negli-genza nella scolarizzazione delle ragazze”, che diventano vittime di discrimina-zioni e di sottomissione nei confronti dell'uomo. Il vescovo di Sarh condanna, inoltre, con fermezza le mutilazioni genitali femminili “vietate nella nostra Chie-sa-famiglia di Dio perché rappresentano un attentato all’integrità della persona umana come Dio l'ha creata”. Mons. Djitangar denuncia “il coraggio delle associazioni femminili e delle donne cristiane” che s’impegnano nel combattere “l’escissione e altre pratiche che impediscono la crescita delle persone”. Le donne, prosegue, “hanno bisogno di essere riconosciute e rispettate in quanto creature amate da Dio” (A.G.)

 

 

AIUTARE GLI ULTIMI TRA GLI ULTIMI: CON QUESTO INTENTO E’ STATA

 INAUGURATA A MANILA LA PRIMA COMUNITA’ DELLE SUORE

DI DON ORIONE NEL QUARTIERE POVERO DI QUEZON CITY

 

MANILA.= “Da alcuni anni stavamo progettando di aprire una comunità delle Piccole suore missionarie della Carità nelle Filippine, oggi si è avverato questo sogno”. E’ quanto ha dichiarato con soddisfazione - all’agenzia Fides - suor Maria Ortensia Turati, Superiora generale delle  Piccole suore missionarie della Carità fondate dal Beato Luigi Orione, che assieme a suor Noemi Guzzi ha accompa-gnato a Manila le prime suore orionine che opereranno in una delle zone più povere della metropoli asiatica. “La mia presenza qui vuole simboleggiare la presenza di tutta la grande Famiglia orionina - ha proseguito Suor Ortensia - che idealmente sosterrà ed incoraggerà le nostre consorelle missionarie, che da oggi si mettono al servizio del popolo filippino”. La zona dove opereranno, Quezon City ed in particolare di Payatas, è tristemente famosa per l’alta concentrazione di popolazione, che sopravvive a ridosso di una discarica maleodorante. “Proprio per questo - ha affermato suor Noemi - la sfida, per noi suore di Don Orione, è più grande ed impegnativa. Ma non ci scoraggiamo”. In questa prima fase le suore orionine conteranno sull’appoggio dei Figli della Divina Provvidenza, che da anni sono presenti con un Piccolo Cottolengo a Montalban, una parrocchia a Payatas e numerose attività nell’ambito sociale sparse nella vasta area della discarica di Manila. (A.G.)

 

 

IN MONGOLIA, PRIMA ASSEMBLEA PARROCCHIALE SULLA MISSIONE:

PRESTO VERRANNO BATTEZZATI 106 CATECUMENI, FACENDO QUASI RADDOPPIARE

IL NUMERO DEI CATTOLICI PRESENTI NEL PAESE ASIATICO

ULAN BATOR.= In Mongolia, si è riunito il primo consiglio pastorale della parrocchia di san Pietro e Paolo, “chiesa madre” del Paese asiatico. L’assemblea - informa l’agenzia AsiaNews - si è tenuta in tre diversi incontri svoltisi in queste settimane concentrandosi sulla missione della comunità cristiana, che in Mongolia è ai primi passi, dopo secoli di ostilità e abbandono. Divisi in piccoli gruppi di discussione, i fedeli hanno fatto molte proposte: migliorare la catechesi, organizzare incontri mensili sulla Bibbia, aumentare le opportunità di formazione per i battezzati e cercare di riavvicinare quanti non frequentano più la chiesa. È anche emersa la necessità di un maggiore uso dei mezzi di comunicazione per i fedeli e i non cristiani. In un prossimo futuro – riferisce AsiaNews – si spera di pubblicare libretti sulla chiesa locale, il cattolicesimo, la storia del cristianesimo, e anche un calendario cattolico. Sono 106 i catecumeni in attesa del Battesimo, che faranno quasi raddoppiare la comunità della Chiesa cattolica della Mongolia, nata nel 1992. Le 3 parrocchie: Buon Pastore, Santa Maria e san Pietro e Paolo, stanno preparando i candidati, alcuni dei quali saranno iniziati alla fede durante la vigilia di Pasqua, il prossimo aprile. (A.G.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

6 febbraio 2004

 

 

- A cura di Salvatore Sabatino -

 

L’ombra dell’influenza aviaria continua ad allungarsi sul mondo. Dopo la notizia che in Vietnam il virus avrebbe attaccato alcuni suini, è stata annunciata oggi ad Hanoi la morte di una bambina di sei anni, che porta a 18 il totale delle vittime del virus. L'epidemia è stata trasmessa all'uomo solo in Vietnam, dove i morti sono stati 13, e in Thailandia, dove le vittime umane sono al momento cinque. La scoperta del virus nei suini, secondo gli esperti, è grave perché il loro sistema immunitario è molto simile a quello dell'uomo. Massimiliano Menichetti ha chiesto un commento all’epidemiologo Roberto Bertolini, direttore per l'Europa della Divisione Tecnica dell'OMS. Ascoltiamo:

 

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R. – Il virus dell’influenza aviaria può colpire gli uccelli ma può colpire anche i maiali – questa è una cosa nota – ed i maiali possono, anche loro, essere colpiti dal virus da un’influenza molto vicina a quella umana. Diciamo che il maiale può essere un contenitore all’interno del quale può verificarsi la ricombinazione genetica tra il virus dell’influenza aviaria e quello dell’influenza dei mammiferi, che può eventualmente diventare un’influenza umana.

 

D. – Se l’influenza aviaria passa ai maiali, se questo viene confermato, c’è una maggiore probabilità che anche l’uomo possa essere infettato da questo tipo di influenza oppure è prematuro, comunque, un allarme?

 

R. – Dal punto di vista dell’ordine delle probabilità non cambia molto la situazione col fatto che il virus sia stato identificato nei maiali. Direi quindi che la situazione è sostanzialmente la stessa di quanto fosse alcuni giorni fa. Bisogna continuare ora a monitorare, osservare, vedere. Certo è che più l’influenza aviaria persiste nella popolazione degli uccelli e nella popolazione animale in genere, più aumenta la possibilità che entri in contatto con il virus umano e che si ricombini. Questo è un fenomeno che necessita di una serie di condizioni non facilmente riscontrabili. Al momento è una malattia animale.

 

D. – Sì, ma in Vietnam ci sarebbe un caso confermato e ancora in fase di studio, di contagio da uomo a uomo e gli scienziati ritengono che il virus sia arrivato all’uomo proprio tramite il maiale…

 

R. – Diciamo che il singolo caso che si può verificare di contagio interumano – come forse è accaduto in Vietnam ad una famiglia – è un’eventualità non comunissima ma non assolutamente eccezionale, che si è verificata già in altri casi. Si può cioè verificare un piccolo e circoscritto tipo di trasmissione da uomo a uomo di un virus animale in condizioni di elevato contatto tra la persona malata e la persona sana. Ma questa è una eventualità che già noi conosciamo. Questo non significa assolutamente che il virus abbia subito una mutazione.

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Gli analisti della Cia non avevano mai sostenuto che l’Iraq costituisse una minaccia imminente. Le parole pronunciate ieri da George Tenet, direttore dei servizi segreti americani, hanno rilanciato negli Stati Uniti gli interrogativi sull’imminenza del pericolo del regime di Saddam. Mercoledì scorso, il premier britannico Blair ha ammesso di non saperlo. Da ieri, la Cia e la Casa Bianca hanno due tesi opposte al riguardo. Si può allora parlare di una strumentalizzazione politica da parte dei governi? Risponde Guido Olimpio, esperto di servizi segreti e terrorismo del Corriere della Sera:

 

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R. - Vi sono essenzialmente tre cose. La prima, c’è stata una pressione politica, sia a Washington sia in Inghilterra perché si dimostrasse ad ogni costo che Saddam era pericoloso; e secondo, una questione più tecnica, ossia le informazioni non erano abbastanza accurate; ci si è fidati di fonti poco sicure, di oppositori iracheni che tendevano ad abbellire o ad aggravare i rapporti, e ci si è fidati molto dell’intelligence elettronica che non permetteva di capire che cosa ci fosse dentro i laboratori. Cioè: un satellite che fotografa dall’alto un laboratorio, magari si sa che produce armi chimiche, ma non è detto che dentro ci siano poi in definitiva le armi chimiche. Terzo punto: non c’è dubbio che la Cia abbia segnalato una pericolosità del regime di Saddam Hussein, ma non nei termini e non nei contenuti che poi sono stati enunciati dai vertici, e quindi questo ha ingenerato dei problemi e poi – ripeto – c’è stata leggerezza. Ricordiamo che gli inglesi copiarono un pezzo di rapporto da internet! Quindi, insomma, non c’era una grande sicurezza delle fonti.

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Ed un’ondata di commozione sta attraversando gli Stati Uniti. E’ stato, infatti, trovato la scorsa notte il cadavere della ragazzina di 11 anni rapita domenica scorsa, a Sarasota, in Florida. Lo ha annunciato poco fa l’emittente statunitense Cnn.  La notizia è stata confermata dalla polizia locale. Per il rapimento è stato arrestato nei giorni scorsi un pregiudicato 37enne. 

 

Il Pakistan collaborerà con l’Aiea, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, preoccupata per la fuga all’estero di tecnologia nucleare. A queste dichiarazioni, del governo di Islamabad, si aggiungono quelle del presidente Musharraf che ieri ha pubblicamente perdonato Abdul Qadir Khan, il padre della bomba atomica pakistana, che recentemente ha detto di aver fornito le sue conoscenze a Paesi terzi, come Iran, Corea del Nord e Libia. Il servizio di Maria Grazia Coggiola:

 

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La decisione di Musharraf di concedere la clemenza allo scienziato era prevedibile, perché il dottor Khan, nonostante le ricchezze che avrebbe accumulato all’estero, è ancora considerato un eroe nazionale, in patria, soprattutto dai partiti islamici che sono molto influenti nella società pakistana. Un eventuale processo lo avrebbe umiliato troppo, e avrebbe forse anche potuto mettere in imbarazzo il governo di Islamabad. Infatti, sono in molti a credere che sia impensabile che esercito e servizi segreti non fossero a conoscenza delle operazioni illegali che sono durate ben 15 anni. El Baradei, capo dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica, ha detto ieri che la rete del dottor Khan è solo la punta dell’iceberg di una più vasta proliferazione nucleare. Ci sono ancora molti punti da chiarire: l’agenzia dell’Onu di Vienna ha precisato di non aver chiesto ancora di interrogare lo scienziato. Musharraf ha detto di essere disponibile a dare ulteriori informazioni ma non permetterà a ispettori dell’Onu di supervisionare l’arsenale atomico pakistano. “Il Pakistan è un Paese sovrano”, ha ricordato ieri in una conferenza stampa.

 

Per la Radio Vaticana, Maria Grazia Coggiola.

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L’India verso le elezioni anticipate. Il presidente Abdul Kalam ha firmato oggi il decreto di scioglimento della Lok Sabha – letteralmente “Camera del popolo”, la Camera bassa del Parlamento – in scadenza naturale a settembre. Tra aprile e maggio, 650 milioni di elettori saranno chiamati alle urne per eleggere i 545 deputati. Il servizio di Andrea Sarubbi:

 

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Il premier Vajpayee lo aveva annunciato da settimane: “Avremo un nuovo governo per aprile”. I buoni risultati elettorali nel test amministrativo e l’eccellente raccolto agricolo, in un Paese ancora a maggioranza rurale, lo avevano convinto da tempo a sfruttare il momento favorevole. A dicembre aveva già sconfitto nettamente il Partito del Congresso, togliendo a Sonia Gandhi il governo di tre Stati importanti nel nord. Ed è stata proprio questa vittoria, inattesa nelle sue proporzioni, a convincerlo della necessità di fare in fretta, anticipando di sette mesi la conclusione della legislatura. Nel frattempo, il capo del governo – già vincitore delle elezioni nel ’96 e nel ‘99 – si è assicurato alleanze nuove sul fronte interno, come quella con i Tamil Nadu, ed ha cercato lustro in politica estera, riavviando i negoziati di pace per la contesa regione del Kashmir con il presidente pakistano, Musharraf. L’opposizione accusa ora la maggioranza di “una scelta opportunistica”, Vajpayee non smentisce: guarda con fiducia ai dati dell’economia, che nell’ultimo anno è cresciuta del 7 per cento, conia uno slogan occidentale – “convertire il benessere in voti” – che forse i poveri non capiranno e si prepara a governare l’India per i prossimi cinque anni.

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Ed è crisi politica anche in Lettonia, dopo le dimissioni in blocco dell’esecutivo. Il premier, Einars Repse, ha indicato come motivo dei ritiri dagli incarichi l’uscita dal governo di un partito alleato e dunque la perdita della maggioranza. Il presidente del piccolo stato baltico, Vaira Vike-Freiberga, ha sollecitato parlamento e governo a superare la crisi per non presentarsi al prossimo ingresso in Europa in una situazione di vuoto politico.

 

Confermate in Iran le dimissioni di circa 130 deputati riformatori che protestano contro la bocciatura di migliaia di candidati riformisti alle elezioni del 20 febbraio. Si preannuncia dunque un duro scontro con i conservatori fedelissimi al regime che rischia di far saltare le consultazioni. Intanto è atteso per lunedì il risultato del riesame delle candidature da parte del Consiglio dei Guardiani che finora ha riammesso solo una cinquantina di candidati su 2.500.

 

Ha provocato almeno 23 morti ed oltre 600 feriti il forte terremoto che ha colpito questa mattina l’Indonesia. Il sisma, di  magnitudo 8.9 sulla scala Richter,  ha colpito la parte nord occidentale della  provincia indonesiana di Irian Jaya, in Papuasia. Ingenti i danni materiali: danneggiati seriamente un aeroporto, un ospedale e numerose moschee.

 

        

 

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