RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n.
336 - Testo della trasmissione di mercoledì 1 dicembre 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
La
Romania al ballottaggio il prossimo 12 dicembre per le presidenziali. Si
sfideranno il premier Nastase e il leader dell’opposizione Basescu
In
Mozambico finisce l’era Chissano. Il Paese africano chiamato oggi alle urne per
eleggere il nuovo capo dello Stato e per rinnovare il Parlamento
Italia. La Camera ha
approvato oggi l’art. 1 del testo di riforma dell’ordinamento giudiziario. Ieri
lo sciopero generale.
1 dicembre 2004
SE
SI VIOLANO I DIRITTI DEI POVERI, NON SI COMPIE SOLO UN ATTO SCORRETTO
E INIQUO. PER LA BIBBIA SI
PERPETRA ANCHE UN ATTO CONTRO DIO:
COSI’ IL PAPA ALL’UDIENZA.
RIFERIMENTO DELLA SUA CATECHESI IL SALMO 71
Violare i diritti dei poveri,
non è solo un atto politicamente scorretto e moralmente iniquo ma è anche “un
delitto religioso”: così il Papa all’Udienza generale in Aula Paolo VI, nella
sua catechesi a partire dal Salmo 71 sul potere regale del Messia. Il servizio
di Fausta Speranza:
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Giustizia e
poveri sono parole-chiave della riflessione di Giovanni Paolo II che parla di
impegno morale di reggere il popolo secondo equità e diritto. Base di ogni
“buon governo” – spiega il Papa – è la giustizia. Ma c’è anche qualcosa di più:
il Papa ricorda di non dimenticare i poveri che – afferma – “di solito sono
invece le vittime del potere”. Ribadisce che “se si violano i diritti dei
poveri, non si compie solo un atto politicamente scorretto e moralmente iniquo.
Per la Bibbia si perpetra anche un atto contro Dio”. E il Papa lo definisce
anche “un delitto religioso”, “perché – spiega – il Signore è il tutore e il
difensore dei miseri e degli oppressi, delle vedove e degli orfani, cioè di
coloro che non hanno protettori umani”.
La Tradizione – spiega il Papa –
legge questo Salmo come premessa della venuta di Cristo, e i “segni
dell’ingresso del Messia nella nostra storia” sono i valori che definisce “capitali”:
ecco che torna la giustizia, questa volta accanto alla parola “pace”.
(canto)
Il chiaro
insegnamento del Papa prende spunto oggi dal Salmo 71 ma si arricchisce anche
della speranza profetica espressa da Isaia: il Messia “giudicherà
con giustizia i poveri e prenderà decisioni eque per gli oppressi del Paese”.
E usa, poi, le parole di San
Paolo per richiamare il senso della fede del cristiano: la convinzione che
“sorgerà per noi la giustizia e nel nostro volgerci verso Dio sorgerà per noi
l’abbondanza della pace”.
Una significativa e ampia
parabola di riflessione, quella del Papa, che lui stesso riassume con una frase
estremamente concreta:
“Colui che ha il potere deve essere giusto e onesto, deve recare la
pace e tener cura dei più deboli e dei bisognosi”.
Tra i saluti, particolare è il
ringraziamento in polacco rivolto alla città di Radom che, in una cerimonia
ieri sera, ha conferito al Papa il titolo di “cittadino onorario”. E poi
l’invito a tutti a guardare a Gesù che “in questo tempo di Avvento attendiamo
come Salvatore”. “Sia Lui – è la preghiera del Papa – a sostenervi in ogni
momento della vostra vita”.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre
la prima pagina l’Ucraina: il Parlamento chiede le dimissioni del governo di
Viktor Yanukovic.
Nelle
vaticane, la catechesi e la cronaca dell’udienza generale.
La
visita del cardinale Crescenzio Sepe in Cambogia.
Nelle
estere, Romania: respinta la richiesta di annullare il voto parlamentare e
presidenziale.
Nella
pagina culturale, un articolo di Marco Impagliazzo a settant’anni dalla morte
del cardinale Pietro Gasparri.
Un
articolo di Giovanni Morello in merito alla mostra su Raffaello allestita alla
“National Gallery” di Londra.
Nelle
pagine italiane, in primo piano lo sciopero: si replica con bus, tram e metrò.
In
rilievo i temi del fisco e della camorra.
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1
dicembre 2004
ANCORA DIFFICILE LA CRISI POLITICA IN UCRAINA.
IL PARLAMENTO DI KIEV APPROVA LA SFIDUCIA AL
GOVERNO DI YANUKOVICH.
FORTE APPELLO DEL CARDINALE
UCRAINO HUSAR
E DI ALTRI LEADER CRISTIANI DEL PAESE
AL PRESIDENTE KUCHMA, PERCHE’ SI FACCIA GARANTE
DEI DIRITTI COSTITUZIONALI
- Servizio di Barbara Castelli e Alessandro De
Carolis -
In primo piano ancora la crisi
politica in Ucraina. Al parlamento stamani è passata la mozione
dell’opposizione, mentre si fa sempre più concreta l’ipotesi di nuove elezioni
presidenziali. La tensione, comunque, resta alta per le strade. I sostenitori
del leader dell’opposizione Yushenko sono tornati oggi a bloccare tutti gli
accessi alla sede del governo a Kiev. Il servizio di Barbara Castelli:
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La Rada Suprema, il Parlamento
ucraino, ha approvato questa mattina in stretta misura una mozione di sfiducia
al governo del premier filo-russo Viktor Yanukovich, voluta dalla opposizione.
I deputati hanno, inoltre, chiesto al presidente uscente Leonid Kuchma di
formare “un governo di fiducia popolare”, fino all’insediamento del prossimo
capo dello Stato. Proprio il presidente uscente oggi si è detto favorevole a
nuove elezioni presidenziali su due turni, invece di una semplice ripetizione
del ballottaggio tra Viktor Yushenko e Viktor Yanukovic. La crisi politica
innescata dalla controversa tornata elettorale del 21 novembre scorso,
comunque, vinto secondo i dati ufficiali dall’attuale premier filo-russo
Yanukovic, ma contestato come frutto di colossali brogli dai sostenitori del
suo avversario, il liberale Yushenko, resta ancora aperta.
Diversi manifestanti sono
tornati a bloccare tutti gli accessi alla sede del governo a Kiev, impedendo ai
funzionari di entrare. A condividere queste inquietudini anche la comunità
internazionale. Ieri l’improvvisa missione dell’Alto rappresentante per la
politica estera e di sicurezza dell’Unione Europea, Javier Solana; oggi quelle
dei presidenti polacco, Aleksander Kwasniewski, e lituano, Valdas Adamkus. E la
crisi ucraina è al centro anche della riunione straordinaria dei presidenti dei
gruppi del Parlamento europeo a Bruxelles, come anche della sessione plenaria
dell’Europarlamento prevista nella stessa giornata di oggi.
L’Unione Europea “non appoggia
nessuno dei candidati che aspirano alla presidenza dell'Ucraina”, ha detto oggi
Jan Peter Balkenende, primo ministro dell’Olanda, Paese che ha la presidenza di
turno dell’UE, ma “sostiene tutti gli sforzi per giungere pacificamente ad un
accordo”. Il parlamento di Donetsk, intanto, una regione dell’Ucraina
orientale, ha convocato un referendum autonomistico per il prossimo 9 gennaio.
La consultazione popolare stabilirà se la regione, in cui si parla il russo e
che garantisce il 25 per cento del Prodotto interno lordo, possa diventare un
soggetto amministrativo autonomo nel quadro dello Stato federato ucraino.
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Il capo dello Stato e il
Parlamento dell’Ucraina hanno il dovere di prendere al più presto le decisioni
necessarie a garantire il ritorno alla normalità nel Paese, sconvolto dalle
proteste post-elettorali. Con una lettera aperta da toni piuttosto critici,
indirizzata al presidente Kuchma, sei leader ucraini di varie confessioni cristiane,
tra cui il cardinale Lubomyr Husar, hanno espresso le proprie perplessità ai
vertici istituzionali sulla gestione della crisi politica. Ce ne parla
Alessandro De Carolis.
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L’Ucraina è davanti a un
“momento storico” e decisivo e il suo presidente, come garante della
Costituzione, ha il dovere di assicurare stabilità al Paese e di mettere
davanti alle proprie responsabilità coloro che si sono resi autori, abusando
del loro potere, dell’attuale crisi istituzionale. Ha un profilo “alto” e una
prosa asciutta il richiamo rivolto dalle massime autorità religiose cristiane
ucraine al presidente Kuchma. Il cardinale Husar e altri cinque leader – il
Patriarca ortodosso, Filarete, il capo dei Battisti, Komendant, il vescovo
pentecostale, Panochko, quello evangelico, Padun, e il vicario generale
cattolico, Trofimijak – hanno preso congiuntamente posizione su quanto, a loro
avviso, sta accadendo nella nazione, dopo il contestatissimo esito delle ultime
presidenziali.
Secondo
i sei leader religiosi, è compito primario del capo dello Stato intervenire con
forza, viceversa – affermano - saranno i cittadini che escono nelle piazze a
“trasformarsi in garanti” per “reclamare la verità”. “La diffusione delle
proteste popolari dimostra che i diritti delle persone sono stati violati
brutalmente” e gli ucraini, sostengono, non ritorneranno a casa se tali diritti
“non saranno stati rinnovati e garantiti”. La gente “ha ragione – dichiarano
ancora i leader cristiani - nell'attendere da lei quelle decisioni che soltanto
il presidente può prendere come garante della Costituzione ucraina”. Il
ritardare nell’assumerle, osservano, viene interpretato dalla gente come un
“piano premeditato” diretto contro i loro interessi. “È in vostro potere
dissipare questa diffidenza e confermare il primato della legge - si legge più
avanti a mo’ di appello – “anche nel caso in cui ciò dovesse costringervi ad un
qualche sacrificio personale”. Inoltre, è l’esortazione al presidente, “la sua
azione è immediatamente necessaria per mettere davanti alle proprie responsabilità
coloro che si sono resi colpevoli della falsificazione delle elezioni,
attraverso l'abuso di potere, ed anche coloro che stanno insidiosamente
studiando piani per dividere il Paese”.
In questo passaggio storico,
concludono, “possa l'aiuto del Signore aiutarla a leggere correttamente ‘i
segni del tempo’, e a comprendere in modo particolare di dover dimostrare la
sua responsabilità personale prima di tutto a Lui”.
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RIPARTIRE DALLE DONNE:
IL MESSAGGIO DEL SEGRETARIO GENERALE DELL’ONU NELL’ODIERNA GIORNATA MONDIALE
CONTRO L’AIDS.
L’IMPEGNO DELLA CHIESA PER SOSTENERE LE DONNE
VITTIME DEL VIRUS HIV
ED OTTENERE GIUSTIZIA PER I PIU’ POVERI, CUI SONO
NEGATI I FARMACI
- Intervista con il vescovo José Redrado -
Riflettori puntati sulle donne
nell’odierna Giornata mondiale di lotta contro l’AIDS. Stamane a Roma si è
svolta una Conferenza organizzata dalle Nazioni Unite, cui hanno partecipato
varie agenzie dell’ONU, impegnate a vario titolo per contrastare questa
terribile malattia, che oggi minaccia in tutto il mondo la vita di quasi 40
milioni di persone infettate dal virus HIV. Ad ospitare l’incontro a Palazzetto
Venezia, l’Istituto di ricerca sul crimine e la giustizia (UNICRI), Il servizio
di Roberta Gisotti:
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Le donne vittime di abusi, violenze,
discriminazioni, povertà, ignoranza al centro di questa Conferenza, cui hanno
portato il loro apporto responsabili oltre che dell’UNICRI, dell’Organizzazione
mondiale della sanità (OMS), dell’UNICEF, dell’Organizzazione mondiale sulle
migrazioni (OIM), dell’IFAD e del Ministero italiano degli Esteri. Tutti hanno
concordato che la debolezza familiare e sociale rende le donne più vulnerabili
all’AIDS, nonostante le colpe ricadano in massima parte sui comportamenti
sessuali degli uomini.
A più di 20 anni dalla comparsa dell’epidemia si contano 21 milioni e
800 mila morti, di cui 9 milioni donne e 4 milioni e 300 mila bambini. E sono
39 milioni e 400 mila le persone infettate nel mondo – il livello più alto mai
raggiunto – di cui la metà sono donne, con punte del 60 per cento nell’Africa
Subsahariana. Una tendenza in preoccupante aumento che non va ignorata o
sottovalutata, come ha sottolineato il segretario generale dell’ONU, nel suo
Messaggio per la Giornata che è stato letto durante l’incontro.
“Rompiamo
il silenzio” – è stato detto stamane – di fronte alla crescente indifferenza verso
questo male, che non è stato ancora sconfitto. C’è bisogno allora di maggiori
finanziamenti per la ricerca, per la cura dei sieropositivi e degli ammalati e
per la prevenzione.
Un
rapporto di “Medici senza frontiere” denuncia che il 95 per cento dei malati di
AIDS non dispone delle terapie necessarie e punta l’indice sulle grandi Case
farmaceutiche, che mantengono alti i prezzi delle medicine ed impediscono la
diffusione di farmaci generici alternativi.
Che
fare? Ripartire con un impegno a tutto campo, raccomanda l’ONU, puntando anzitutto
sulle donne, che sono anche le più attive e coraggiose nel combattere l’AIDS.
Dal
Palazzetto Venezia, Roberta Gisotti
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Per la Giornata di lotta contro
l’AIDS il presidente del Pontificio Consiglio per la pastorale della salute, il
cardinale Javier Lozano Barragán, ha pubblicato un messaggio in cui sottolinea che “più l’infezione progredisce fra
le donne, che sono il pilastro delle famiglie e delle comunità, più aumenta il
rischio di crollo sociale”. Tra le questioni sollevate dal porporato anche
quella relativa al costo dei medicinali per i malati dei Paesi poveri. Su questo
problema Giovanni Peduto ha sentito il segretario del medesimo dicastero, il
vescovo José Redrado:
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R. – Il messaggio della Chiesa è
stato sempre e continuerà ad essere quello della solidarietà. A questo
proposito sono stati fatti grandi progressi, ma sono ancora tanti i problemi da
affrontare. Bisogna realmente prendere atto che se non ci sono i medicinali è
veramente difficile combattere contro questa malattia. L’accesso a questi
medicinali è fondamentale. La Chiesa è impegnata in questa direzione. Se l’80
per cento dei farmaci prodotti vengono consumati da circa il 15 per cento della
popolazione del Pianeta, non solo si pone un problema di giustizia nella distribuzione
dei medicinali stessi, ma anche di un super consumo di alcuni prodotti
impiegati non con scopi terapeutici e quindi con un abuso di medicinali. Il
Papa è ormai da tempo che sta insistendo sull’accesso ai medicinali, parlando
anche di “farmaci orfani” per diverse malattie, tra cui quelli relativi
all’AIDS. A questo riguardo è necessario riuscire ad abbassare veramente molto
il costo, perché se i ricchi possono avere questi medicinali e quindi curarsi,
mentre ai poveri questo è negato, dove sta la giustizia, dove sta la
solidarietà, dove sta la carità?
D. – Il Papa ha definito
l’epidemia dell’AIDS come una “patologia dello spirito”. Quali programmi di
tipo pastorale ed educativo la Chiesa ha adottato per aumentare la formazione
su questa drammatica piaga sociale?
R. – Il Papa ne ha parlato in diverse occasioni. L’AIDS incide anche sul
piano dei valori morali ed esistenziali ed è una vera patologia dello spirito.
Da parte sua la Chiesa ha messo in campo contro l’AIDS numerose iniziative
riguardo la prevenzione, l’educazione e l’assistenza multiforme dei malati e
dei loro familiari; si tratta di programmi promossi dalle Conferenze
episcopali, dalle diocesi, dalle Congregazioni religiose, ma anche dagli organismi
e dalle associazioni cattoliche, che si impegnano in azioni incisive e
capillari, che richiamano anche ai valori morali e religiosi della sessualità,
della fedeltà. La Chiesa non soltanto “parla”, ma “fa” anche; è una Chiesa che
fa gesti di solidarietà, di professionalità, di rispetto della persona, di
assistenza, di non discriminazione. E’ una presenza accogliente per i malati e
i familiari. La Chiesa, nella parola e nel gesto, vuole manifestare soprattutto
questo grande amore di Dio per l’uomo.
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L’UNITA’ NON COMPORTA CONCESSIONI RIGUARDO LE
VERITA’ DELLA FEDE,
ESIGE INNANZITUTTO UN
CAMMINO SPIRITUALE
COSÌ IL PATRIARCA ECUMENICO DI COSTANTINOPOLI
BARTOLOMEO I
ALLE
CELEBRAZIONI PER LA FESTA DI S. ANDREA APOSTOLO
- Intervista con mons. Pierre Bürcher -
“L’impegno per l’unità diviene
più urgente dopo il ritorno delle reliquie dei nostri santi predecessori
Gregorio il Teologo e Giovanni Crisostomo”. Così il Patriarca Bartolomeo ieri
nel suo denso discorso pronunciato durante la solenne cerimonia liturgica per
la festa di Sant’Andrea apostolo, fondatore e patrono del Patriarcato di
Costantinopoli. Il Patriarca ha avuto ancora parole di profonda gratitudine
verso il Papa. Prendendo spunto dalle parole dei due grandi Padri della Chiesa,
Bartolomeo I, ha approfondito le esigenze del cammino verso la piena unità. Ma ascoltiamo
il servizio di Carla Cotignoli.
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Il Patriarca si rivolge
innanzitutto a chi ancora ha un atteggiamento di “sfiducia e di timore verso il
cammino di riavvicinamento tra le Chiese”. “Crediamo – aggiunge – che col
passare del tempo ognuno si convincerà che questo cammino non comporta
concessioni riguardo le verità della fede”. Non cerchiamo infatti un’unità che
sopprima le differenze. Ricorda che l’unità chiesta da Gesù al Padre è
spirituale, personale, non è un puro fatto amministrativo, né organizzativo.
Certo l’unità della Chiesa deve essere preparata dalla condivisione delle
verità della fede. E’ questa la funzione del dialogo teologico. Ma anche quando
raggiungeremo l’accordo dottrinale – aggiunge - non avremo ancora raggiunto
l’unità. Solo nella comunione con Cristo, l’unità si realizza. E qui il
Patriarca ha richiamato la preghiera di Gesù: “che tutti siano uno”, come il
Padre e il Figlio. Ciò implica un’unità che ha come modello l’unità delle Tre
persone della Trinità. Certo è un’unità non facile da raggiungere, - riconosce
il Patriarca - presuppone che si raggiunga quell’unione con Cristo che possa
farci ripetere con san Paolo: “non sono più io a vivere, ma Cristo in me”.
Allora, “quando ci si riunisce nel nome di Cristo, non solo sentiamo, ma siamo
veramente uno in Cristo, in colui in cui ciascuno vive”. Questa unità è allora
“il grado più alto del cammino spirituale ed anche il primo ed essenziale
impegno”. Nello stesso tempo “è un dono dall’Alto”. Ma richiede un
prerequisito: uscire dalle nostre chiusure e pregiudizi storici e personali. Il
Patriarca conclude con la certezza che l’amore di Dio supplisce alle nostre
mancanze, e – citando Giovanni Crisostomo - ricorda che dà la stessa ricompensa
all’operaio dell’ultima ora, come a quello della prima. Alla solenne
celebrazione erano presenti anche oltre 40 vescovi di varie Chiese provenienti
da tutto il mondo, vescovi amici del movimento dei Focolari. Diamo la
parola a mons. Pierre Bürcher, vescovo ausiliare di Losanna, Ginevra, e
Friburgo, in Svizzera:
“E’ stato veramente un momento di grazia e di gioia per noi vescovi presenti,
ma anche per tutto il popolo di Dio. Ho sentito all’uscita della celebrazione
che la gente era veramente stupefatta. Questa gioia viene soprattutto dal
ritorno delle reliquie di San Giovanni Crisostomo e di San Gregorio di
Nazianzo. Hanno capito che questo è veramente un segno di comunione e di unità
concreta tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa”.
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CAMPAGNA DELL’AGENZIA MISSIONARIA “ASIANEWS”
PERCHE’ IN ARABIA SAUDITA
SIA
GARANTITA LA LIBERTA’ RELIGIOSA:
OGGI
CHI NON E’ MUSULMANO RISCHIA IL CARCERE
-
Intervista con padre Bernardo Cervellera e Marco Bertotto -
La
comunità internazionale deve fare pressione sull’Arabia Saudita perché garantisca
la libertà religiosa: oggi chi non è musulmano rischia il carcere. A lanciare
questo appello-denuncia è l’agenzia missionaria AsiaNews che ha promosso una
campagna perché nel Regno saudita si possa professare liberamente il proprio
credo. L’agenzia ha seguito in particolare il caso di Brian Savio O’Connor, un
protestante indiano, residente nel Paese saudita per motivi di lavoro,
arrestato nel marzo scorso con l’accusa - fra le altre - di proselitismo religioso.
Rilasciato dopo sette mesi, ha parlato dei maltrattamenti subiti durante il
lungo periodo di detenzione lanciando un chiaro messaggio: “nelle prigioni
saudite vi sono molti altri Brian che hanno bisogno di aiuto”. Il servizio di
Eugenio Bonanata:
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Per sette mesi è stato
prigioniero e torturato nelle carceri di Riad in Arabia Saudita, accusato di
“evangelizzazione cristiana”. E’ il caso di Brian Savio O’Connor, protestante
indiano, ormai libero da circa un mese, grazie anche alla campagna internazionale
sostenuta dall’agenzia di stampa “AsiaNews” insieme con altri siti internet, cattolici
e non, sparsi nel mondo. Questo caso sposta lo sguardo verso le condizioni di
vita dei non musulmani nel Regno saudita, spesso perseguitati dalla polizia religiosa
– la “Muttawa” – che vigila per eliminare ogni tipo di manifestazione diversa
da quella dell’Islam. Un clima che suscita inquietudine per gli oltre otto
milioni di stranieri che lavorano in Arabia Saudita. Ma qual è la situazione,
in particolare per i cristiani? Sentiamo padre Bernardo Cervellera, direttore
di “AsiaNews”:
R. – In Arabia Saudita è permessa l’espressione pubblica soltanto
dell’islam e dell’islam wahabita. Fino a pochi anni fa per un cristiano era
proibito pregare anche in privato. Adesso, invece, a causa della pressione
internazionale, i principi sauditi hanno dato il permesso ai cristiani di poter
pregare almeno in privato e di potersi radunare in questo modo. Ma purtroppo la
polizia, e molta parte della società saudita, non accetta questa liberalizzazione,
per cui i cristiani vengono arrestati. Effettivamente ci sono stati moltissimi
casi in questi anni di persone che sono state prese, torturate e su pressione
internazionale liberate oppure, in ogni caso, espulse. Certo va detto che all’interno
delle prigioni saudite non si sa bene cosa succeda. Lo stesso Brian è stato
torturato per ore, appeso a testa in giù, colpito. Si dice che usavano la sua
testa come un pallone da calcio. Non bisogna aver paura di denunciare questa
situazione, perché l’Arabia, che tra l’altro è un Paese del petrolio, un Paese
ricco, non può permettersi di trattare così gli stranieri, che sfrutta per il
lavoro, non permettendogli la libertà di professare la fede. Io trovo che i
governi dove sono presenti i cristiani dovrebbero ascoltare il desiderio dei
cristiani di avere almeno un minimo di reciprocità tra la libertà che i musulmani
dell’Arabia Saudita vengono ad avere stando in Italia o all’estero, e la
libertà che i cristiani dovrebbero avere in Arabia Saudita.
Dunque, qual è lo status dei
prigionieri e ci sono violazioni del diritto internazionale? Sentiamo la
risposta di Marco Bertotto, presidente di Amnesty International Italia:
R. - Persone che hanno subito il carcere in Arabia Saudita ci parlano di
un siste-ma di giustizia del tutto carente, dell’impossibilità di poter
accedere ad una difesa da parte di un avvocato, dell’impossibilità di poter
accedere a medici indipendenti o a rappresentanti consolari nel caso di
cittadini stranieri. L’Arabia Saudita ha ratificato nel 1997 la Convenzione
delle Nazioni Unite contro la tortura, ma nessun passo concreto è stato fatto
dal governo e noi abbiamo raccolto numerose testimonianze di vittime di torture
che ci raccontano come la tortura nel Paese continua ad essere endemica, come
non vi sia alcun sistema da parte del governo per la prevenzione e la
repressione della tortura. Speriamo, però, che questa denuncia possa in qualche
modo contribuire a creare ancora maggiore attenzione sul problema delle
violazioni dei diritti umani in Arabia Saudita e spinga soprattutto le autorità
internazionali, le Nazioni Unite e tutti i governi ad esercitare una pressione
più ferma e più forte nei confronti del governo dell’Arabia Saudita.
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1 dicembre 2004
OLTRE
600 TRA MORTI E DISPERSI NELLE FILIPPINE A CAUSA
DI UNA
FORTE TEMPESTA TROPICALE
CHE HA
FLAGELLATO LA PROVINCIA DI QUEZON, AD EST DI MANILA.
MA LA
SITUAZIONE POTREBBE ANCORA PEGGIORARE NELLE PROSSIME ORE,
PER
L’ARRIVO DI UNA NUOVA PERTURBAZIONE
- A
cura di Salvatore Sabatino -
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MANILA.
= Con il passare delle ore, diventa sempre più drammatico il bilancio della tempesta
tropicale Zinnie, che ha letteralmente messo in ginocchio le Filippine.
L’ultimo bollettino diffuso da fonti ufficiali, parla di 600 vittime, tra morti
e dispersi. La maggior parte delle quali è concentrata nella provincia di
Quezon, circa 75 km a est di Manila. Un responsabile dei servizi di soccorso ha
dichiarato che il passaggio della violenta perturbazione sull'arcipelago nello
scorso fine settimana ha inoltre provocato estese inondazioni e smottamenti. Ma la situazione potrebbe
addirittura peggiorare. Il ministro della Difesa Avelino Cruz ha, infatti,
messo in guardia la popolazione: per i prossimi giorni sono attesi violenti
acquazzoni ed il bilancio delle vittime della tempesta tropicale potrebbe aggravarsi.
La depressione si è ora spostata nel sud del Mar della Cina, lasciando il posto
alla tempesta tropicale Nanmadol, che si presenta molto più violenta della
precedente. Secondo il vicegovernatore della provincia, Jayjay Suarez, la deforestazione
selvaggia ha avuto al sua parte nel disastro. E di fronte a questa emergenza
che coinvolge ormai l’intero Paese, non si fermano, invece, i gruppi ribelli.
Una decina di soldati impegnati nelle opere di soccorso, sono stati uccisi
dalla guerriglia filo-comunista. Il fatto è avvenuto non lontano dalla
capitale, Manila. Immediata ed unanime la condanna per l’accaduto. Il
presidente, la signora Gloria Macapagal Arroyo, che ha definito l’imboscata
“vigliacca e criminale” ha lasciato in anticipo il vertice Asean in corso nel
Laos per tornare in patria e coordinare, così, le operazioni di soccorso.
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LA CUSTODIA DI TERRA SANTA PRECISA CHE I SANTUARI
CRISTIANI APPARTENGONO
ALLE
RISPETTIVE CHIESE ED ENTI ECCLESIASTICI CHE NE SONO PROPRIETARI.
FUGATI
I DUBBI SULLA COSIDDETTA “APPARTENENZA ARABA DEI LUOGHI SANTI”
GERUSALEMME. = “I santuari
cristiani appartengono alle rispettive Chiese ed Enti ecclesiastici che ne sono
i proprietari”. Lo precisa una nota della Custodia di Terra Santa pervenuta ad AsiaNews.
La dichiarazione della Custodia vuole fugare dubbi sulla cosiddetta
“appartenenza araba dei Luoghi Santi”, specialmente di quelli in territori di competenza
dell’Autorità Palestinese. Nei giorni scorsi, durante un convegno svoltosi ad
Amman, in Giordania, sul tema: “Minacce e prospettive per la sopravvivenza dei
santuari musulmani e cristiani in Palestina”, padre Hannah Kildani, sacerdote
giordano, rappresentante del Patriarcato latino di Gerusalemme, aveva affermato
che “i santuari cristiani appartengono non solo a noi cristiani ma a tutti gli
arabi, musulmani o cristiani”. La nota
della Custodia afferma che i santuari cristiani della Terra Santa “in senso
simbolico potrebbero anche essere guardati come Patrimonio spirituale
dell'umanità”, ma tutto questo deve avvenire “senza lesione alcuna del diritto
patrimoniale dei propri titolari surriferiti”. P. David Jaeger, francescano di
Terra Santa e giurista, ha precisato che “le ambiguità delle dichiarazioni
riportate dalla Giordania potrebbero prestare il fianco a possibili
manipolazioni e interpretazioni in tutta la Terra Santa. Proprio in
questi giorni la Chiesa cattolica sta cercando di ottenere la revoca di una
legge israeliana che le impedisce l’accesso ai tribunali a difesa delle
proprietà sacre dei santuari. Occorre che sia riconosciuto il pieno diritto di
proprietà della Chiesa sui santuari. Altrimenti è una sfida al diritto di
proprietà”. (S.S.)
il rapporto della Chiesa con i media nel contesto
multiculturale
e multireligioso asiatico. L’ARGOMENTO E’ STATO
AFFRONTATO
AL CONVEGNO BISCOM V, TENUTOSI IN INDONESIA
DENPASAR (Indonesia). = Conoscere meglio il linguaggio
dei media per comunicare in modo efficace. Questa l’indicazione che Biscom V,
convegno di studi dei vescovi asiatici per le comunicazioni sociali tenutosi
nei giorni scorsi a Denpasar, in Indonesia, ha rivolto ai leader religiosi
cattolici in Asia. Un argomento di importanza cruciale a cui hanno
preso parte 65 tra vescovi, sacerdoti, religiosi e laici, impegnati nella
comunicazione e nel dialogo interreligioso. In agenda il tema: “Il dialogo
tra le religioni come comunicazione”. L’incontro, organizzato dall’Ufficio
per le comunicazioni sociali della Federazione delle Conferenze episcopali
dell’Asia (FABC), ha voluto mettere al centro del dibattito il complesso
rapporto della Chiesa con i media nel contesto multiculturale e multireligioso
asiatico. Collaborazione, informazione
corretta e contestualizzazione dei conflitti religiosi sono
gli argomenti proposti per raggiungere una convivenza pacifica tra le religioni
in Asia e un terreno comune di dialogo, come ha sottolineato il cardinale Julius Darmaatmadja, presidente della
Conferenza episcopale indonesiana. Il porporato ha citato in proposito
l’esempio del suo Paese. Tra le proposte emerse dal convegno: la pubblicazione
di materiale divulgativo sul dialogo interreligioso, soprattutto per i bambini;
la promozione di corsi di formazione sulle tecniche del dialogo per sacerdoti,
religiosi e catechisti, la condivisione di iniziative sociali e mediatiche
comuni con altre religioni. (R.A.-L.Z.)
MONS. RAPHAEL
CHEENATH, VESCOVO DI ORISSA INVITA AL DIALOGO E ALLA PREGHIERA PER CONTRASTARE
LA VIOLENZA DEI GRUPPI INDU’.
BHUBANESWAR (India). = I cattolici
devono essere istruiti “ad avere un atteggiamento di rispetto e tolleranza” e a
mantenere “buone relazioni con le persone delle altre religioni”. Lo afferma ad
AsiaNews mons. Raphael Cheenath, vescovo di Cuttack-Bhubaneswar, nello
stato dell’Orissa, dove i cristiani soffrono persecuzioni e violenze da parte
di gruppi fondamentalisti indù. I sacerdoti e i religiosi, secondo mons.
Cheenath, “devono predicare e promuovere incontri per diffondere il messaggio
di amore, pace e reciproca accoglienza che riguarda tutte le persone”. In
Orissa negli ultimi anni molti cristiani sono stati uccisi, centinaia di tribali
divenuti cristiani sono stati riconvertiti con la forza all’induismo, numerose
chiese sono state distrutte. Mons. Cheenath invita, dunque, i sacerdoti della
sua diocesi a tenere discorsi e interventi per incontrare persone di altre
religioni e passare del tempo con loro. “I preti devono interessarsi della
salvezza anche dei non cristiani, perché Gesù è venuto a salvare tutti”,
sottolinea il vescovo, per il quale in ogni liturgia si deve inserire una
preghiera dei fedeli per i non cristiani. “I sacerdoti non devono parlare
contro le altre religioni durante le omelie”, afferma il vescovo, per il quale
“bisogna creare un’atmosfera di dialogo in ogni parrocchia: solo in uno spirito
di amicizia si può trasmettere il Vangelo in un contesto multiculturale e
multireligioso come quello della società indiana”.
SI È
CHIUSA IERI SERA ALLA SALA PETRASSI DEL PARCO DELLA MUSICA
LA
41.MA EDIZIONE DEL FESTIVAL DI NUOVA CONSONANZA CON L’ESECUZIONE,
PER LA
PRIMA VOLTA IN ITALIA, DELLA “MESSE UN JOUR ORDINAIRE”
DEL
COMPOSITORE FRANCESE BERNARD CAVANNA,
LAVORO
COMPLESSO E DAL RILEVANTE SPESSORE DRAMMATICO
- A cura di Luca Pellegrini -
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ROMA. = La “Messe un jour
ordinaire” è stata composta tra il 1993 e il 1995 e nasce dalla collisione,
del tutto originale, tra il testo della liturgia ed un documentario cinematografico
di Jean-Michel Carrè, “Galères de femmes”, dedicato ad una serie di ritratti
femminili particolarmente duri e dolorosi. Cavanna ha voluto così affiancare
all’ordinario della messa (ma i soli Kyrie, Gloria e Credo) le parole legate
alla testimonianza di Laurence, una tossicodipendente che risponde ai quesiti
di un’associazione caritativa che desidera accoglierla. Si capisce che questa
drammatica ed interessante “Messa” non risponde a fini liturgici e sacri, ma
morali e sociali. In essa, la parola fragile, quotidiana ed estremamente umana
di Laurence - la linea “orizzontale” del testo e delle note - si confronta, incastrandosi
quasi parallelamente e spesso sovrapponendosi, con quella possente della verità
e della devozione, rappresentata dalla scrittura “verticali” della Messa. Un edificio
di suoni - acuti, talvolta acidi, dalle movenze popolari - e di parole spezzettate
e spesso angosciate, estremamente rigoroso, vitale e ricco di impressionanti
momenti drammatici che non prevedono nulla di dissacratorio, anzi, la ricca vocalità
delle due voci femminili e del tenore presenti nella partitura, traendo origine
dal belcanto per arrivare alle più recenti tecniche vocali, fa emergere la
tenuta morale e la dignitosa sincerità della protagonista, così come la forza
spirituale del coro rappresentante la massa dei fedeli. Una doppia dimensione
che accoglie diverse lingue e sprigiona stati d’animo di attesa, angoscia e,
infine, pacificazione. Bravissimi i solisti e gli interpreti dell’Ensemble
Algoritmo diretto da Marco Angius, uno dei migliori e più stimati gruppi
italiani attivi sulla scena della musica contemporanea.
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1 dicembre 2004
- A cura di
Barbara Castelli -
Ballottaggio presidenziale
domenica prossima in Romania. Si sfideranno di nuovo il prossimo 12 dicembre il
premier, Adrian Nastase, e il leader dell’oppo-sizione, Traian Basescu. I dati
ufficiali finali del primo turno delle presidenziali, svoltosi domenica scorsa,
annunciati questa mattina dall’Ufficio elettorale centrale (Bec), assegnano,
infatti, la vittoria al socialdemocratico Nastase con il 40,94 per cento delle
preferenze, contro il 33,92 per cento del centrista Basescu. Respinto ieri sera
il ricorso dell’opposizione, che chiedeva la ripetizione delle elezioni per
presunti brogli nella conta dei voti.
Il presidente della Repubblica
portoghese, Jorge Sampaio, ha sciolto ieri sera il Parlamento ed ha indetto
elezioni anticipate. Lo ha annunciato il premier, Pedro Santana Lopes, al
termine di un incontro con il capo dello Stato. Il governo del socialdemocratico,
entrato in funzione in seguito alla nomina dell’allora premier, José Manuel
Durao Barroso, a presidente della Commissione europea, è durato solo quattro
mesi. La crisi è stata aperta domenica scorsa con le dimissioni del ministro
per la gioventù e lo sport, Henrique Gouveia, che ha accusato il premier di
avere mancato di lealtà nei suoi confronti e di avergli mentito.
Il presidente serbo, Boris
Tadic, è uscito fortunatamente illeso ieri da un attentato, compiuto in pieno
centro di Belgrado. Un’automobile con a bordo un numero imprecisato di persone
ha tentato di speronare l’auto del capo dello Stato, che viaggiava con una
scorta. Sfuggito l’attentatore. Nel marzo del 2003, il premier Zoran Djindjic è
stato ucciso nella capitale serba in quello che si è rivelato un complotto tra
servizi deviati, criminalità organizzata e settori nostalgici della politica.
Medio Oriente. Il movimento
islamico palestinese Hamas ha deciso di boicottare le elezioni presidenziali
del prossimo 9 gennaio. Il favorito a succedere al defunto Arafat, nelle prime
elezioni dal 1996, è Mahmoud Abbas (Abu Mazen), un moderato del movimento al
Fatah che vorrebbe la fine della rivolta nei Territori occupati e il rilancio
del processo di pace. Voto cruciale, intanto, oggi pomeriggio per il governo
israeliano. La coalizione del premier Ariel Sharon, infatti, rischia di
sfaldarsi, se il partito alleato Shinui voterà alla Knesset contro la legge
finanziaria, come ha promesso di fare.
“Mi sembra che le condizioni per
le elezioni in Iraq non ci siano tutte. C’è uno squilibrio nella disponibilità
di mezzi d’informazione da parte dei vari partiti e c’è un problema di sicurezza”.
Così oggi il ministro della Difesa iracheno, Hazem Shalaan, in visita a Roma,
parlando dell’appuntamento elettorale del prossimo 30 gennaio. Nel Paese del
Golfo, intanto, la tensione resta alta. Tre fratelli, di 10, 12 e 14 anni, sono
stati uccisi ieri a Baquba, durante un attacco con mortai della guerriglia a
una vicina base statunitense. Sette persone, invece, sono rimaste ferite oggi
nell’esplosione di un’autobomba presso Latifiya, a sud di Baghdad, mentre il
kamikaze ha perso la vita.
Dopo 18 anni, in Mozambico
finisce oggi l’era del presidente Joaquim Chissano. Il Paese – che in questi
due decenni ha trovato la pace, ma non ancora il benessere economico – è
infatti chiamato alle urne per eleggere il nuovo capo dello Stato e per
rinnovare il Parlamento. Giulio Albanese:
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Il grande favorito nella corsa
alla massima carica dello Stato è Armando Guebuza, che partecipò ai colloqui di
Roma tra il FRELIMO, il Fronte di Liberazione del Mozambico, e il movimento
rivale, la RENAMO, la Resistenza nazionale mozambicana, colloqui culminati
negli accordi di pace del 1992. Delfino del presidente uscente, Guebuza, 68
anni, ai tempi della guerra civile era un gerarca del FRELIMO. Non era
assolutamente il candidato di Chissano, ma il partito non ne ha voluto sapere,
privilegiando la vecchia guardia storica, dunque Guebuza. Guebuza dovrà
vedersela con Alfonso Dhlakama,
leader storico della RENAMO. Battuto di misura da Chissano nel ’94 e nel ’99,
il leader della RENAMO ha accusato il governo uscente di corruzione e
quant’altro. Vi sono poi altri candidati minori che potrebbero disperdere voti
e costringere i mozambicani a tornare alle urne per il ballottaggio. Si vota
anche per il Parlamento: in quello uscente sedevano 133 deputati del FRELIMO e
127 della RENAMO. A detta della stragrande maggioranza degli osservatori, sotto
la guida di Chissano il Mozambico ha fatto importanti passi avanti; ciò
nonostante, il 54 per cento della popolazione, vale a dire circa 17 milioni di
abitanti, resta sotto la soglia di povertà. Il tasso di disoccupazione supera
il 50 per cento e quasi la metà del bilancio nazionale dipende dagli aiuti
della comunità internazionale.
Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.
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Cresce
nuovamente la tensione nella Repubblica Democratica del Congo. Un gruppo di un
centinaio di soldati, “sospettati di essere rwandesi”, è stato individuato
nella zona di Rutshuru, 70 chilometri a nord di Goma, dagli uomini della
Missione delle Nazioni Unite nella RDC (Monuc). Ieri il colonnello Etienne
Bindu, comandante delle forze armate della regione congolese del Kivu del Nord,
ha denunciato un’offensiva militare sferrata domenica dall’esercito rwandese su
una cittadina nel Congo orientale. L’operazione avrebbe causato la morte di 19
civili.
Trasferiamoci in Italia. Con 253
sì, 200 no e cinque astenuti l’Aula della Camera ha approvato questa mattina il
primo dei due articoli di cui si compone il testo di riforma dell’Ordinamento
giudiziario. L’Assemblea ora passa all’esame dell’articolo 2, su cui sono stati
presentati dalle opposizioni 32 emendamenti.
Dopo lo
sciopero generale di ieri contro la Finanziaria oggi i sindacati del pubblico
impiego hanno deciso un nuovo sciopero della categoria contro quello hce è
stato definito “un attacco senza precedenti sferrato al lavoro pubblico”. La
giornata di ieri ha segnato anche ufficialmente il ritorno di Romano Prodi come
capo dell’opposizione. Subito un duello a distanza con il premier Berlusconi,
primo segnale di una lunga e dura campagna elettorale. Il servizio è di
Giampiero Guadagni:
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Una grande prova di compattezza,
secondo l’opposizione; uno sciopero paradossale, ribatte la maggioranza. La
mobilitazione di ieri dei sindacati, al di là della consueta guerra di cifre
sulla partecipazione, provoca una dura polemica politica. Per il centrodestra,
che ha appena varato una riforma fiscale con la riduzione delle imposte sulle
persone fisiche e, in misura minore, sulle attività produttive, ieri è sceso in
piazza il “partito delle tasse”; per il centrosinistra, in sintonia con CGIL,
CISL e UIL, il governo è ormai isolato dal Paese e dà con una mano molto meno
di quanto non tolga con l’altra. L’Italia è da rifare, ha detto Romano Prodi
che ha partecipato alla manifestazione ed è andato a lanciare il suo allarme
sull’economia e anche sulla par condicio televisiva direttamente al Quirinale.
Un’offensiva duramente criticata dal premier Berlusconi: il primo round di una
sfida elettorale che si annuncia senza esclusione di colpi. Ma cosa accadrà,
adesso? L’opposizione presenterà la prossima settimana una sua proposta sul
fisco, ma nel centrosinistra ci sono due linee diverse. Chi, come Prodi e
Bertinotti, rifiuta del tutto il piano del centrodestra e chi, come la
“Margherita” e il responsabile economico dei DS, Bersani, ritiene che abbassare
le tasse sia comunque necessario. Forza Italia, intanto, sta preparando manifestazioni
in tutta Italia per spiegare Finanziaria e riforma fiscale; i sindacati, da
parte loro, stanno già ragionando sulle prossime mosse e intanto insistono nel
chiedere al governo tavole di confronto sul Mezzogiorno e sul contratto del
pubblico impiego.
Per la Radio Vaticana, Giampiero
Guadagni.
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Ennesima battuta di arresto nel
processo di pace nello Sri Lanka. Il governo di Colombo ha, infatti, rifiutato
stamani la proposta dei membri del Movimento ribelle delle Tigri Tamil di
riprendere le trattative senza condizioni. Il processo di riconciliazione è in
fase di stallo dallo scorso aprile 2003.
Sono tutti morti
i 166 minatori rimasti intrappolati nella miniera di carbone esplosa domenica
scorsa a Chenjiashan, nella Cina centrale. Dal pozzo della deflagrazione sono
riusciti a mettersi in salvo 127 minatori, mentre 45 sono stati ricoverati in
gravi condizioni. Questa mattina, intanto, altri tredici minatori hanno perso
la vita nell’esplosione avvenuta in una miniera di carbone nella provincia
meridionale di Guizhou. In Cina ogni anno muoiono più di 7.000 persone nelle
miniere di carbone, che sono le più pericolose al mondo.
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