RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n.
243 - Testo della trasmissione di lunedì 30
agosto 2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO
CHIESA E SOCIETA’:
Commemorazione sabato in Kenya per la morte di padre
Kaiser
Un indiano e un pakistano ricevono il
“Nobel asiatico”.
Il ministro degli Esteri
francese, giunto al Cairo, lancia un nuovo appello per i giornalisti rapiti;
altre vittime negli scontri tra forze americane e miliziani sciiti a Baghdad
Una bambina palestinese
di nove anni uccisa per errore in un attacco in Cisgiordania. Il premier Sharon
pronto a presentare le tappe del ritiro dei coloni israeliani da Gaza
Vittoria annunciata per
il ministro degli Interni Alkhanov nelle elezioni presidenziali in Cecenia.
30 agosto 2004
VIVERE UNA REALE ESPERIENZA DI CHIESA COME POPOLO DI DIO,
PER ESSERE TESTIMONI DEL VANGELO SENZA SCONTI,
ANCHE FINO AL MARTIRIO:
UN COMMENTO ALL’ANGELUS DI IERI
- Intervista con don Luigi Negri -
“Il martirio è un segno preclaro della santità
della Chiesa”. Santità alla quale tutti i cristiani sono chiamati, anche se non
attraverso il sacrificio supremo della vita, con una testimonianza del Vangelo
senza eccezioni o cedimenti al compromesso. All’Angelus di ieri, ancora una
volta Giovanni Paolo II ha indicato alla Chiesa il valore assoluto di chi ha versato
e versa tuttora il proprio sangue per l’annuncio di Cristo nel mondo. Ma ha
precisato che il martire non deve restare un modello inarrivabile per un
cristiano, ma al contrario uno sprone a seguire con coerenza la propria
vocazione. A partire dalle parole del Papa, una riflessione di don Luigi Negri,
docente d’introduzione alla teologia e storia della filosofia all’Università
Cattolica di Milano, al microfono di Alessandro De Carolis:
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R. - Io credo
che l’intervento realmente singolare di Giovanni Paolo II all’Angelus di ieri
abbia un enorme valore educativo. Io non credo che l’obiezione dei cristiani di
oggi al martirio sia di carattere psicologico o morale, perché nessuno si può
sentire “capace” del martirio. Per questo la Chiesa ha sempre fortemente sconsigliato
l’autodenuncia. Mi pare che la difficoltà sia di carattere culturale. In altre
parole, è come se si fosse obnubilata l’idea di testimonianza, l’idea che la
Chiesa sia un popolo che testimonia il Signore come ragione nuova d’essere
nella vita, nelle circostanze, negli incontri, nella professione, negli
ambienti: si tratta di un “popolo di santi” che testimonia e in mezzo al quale
a qualcuno può essere chiesto ancora oggi, come ha ricordato il Papa, il
sacrificio supremo. Credo che manchi invece a molta parte del popolo cristiano
la precondizione alla testimonianza. Il fatto è che siamo chiamati ad essere testimoni. Non a caso, nella
tradizione cattolica, ‘testimonianza’ e ‘martirio’ hanno, linguisticamente, la
stessa radice.
D. - A cosa si
dovrebbe questa mancata attitudine alla testimonianza?
R. - Credo si
tratti di una difficoltà nel fare l’esperienza reale della Chiesa come popolo.
Quando invece della dimensione di popolo, il cristianesimo è ridotto sostanzialmente
a certi valori di carattere anche religioso, o morale, o psicologico, o
affettivo, diventa molto meno agevole pensare che si debba essere testimoni. Di
opinioni o di valori, non si è testimoni. Si è testimoni di un’esperienza di vita:
l’esperienza di vita del Cristo morto e risorto che vive sacramentalmente nella
Chiesa.
D. - Il Papa
ieri ha detto chiaramente: i cristiani vivano il Vangelo senza eccezioni. Ultimamente,
nei suoi discorsi Giovanni Paolo II ha messo più volte l’accento sull’eroismo
della fede anche nella vita quotidiana...
R. – Certo. E questo eroismo
della fede quotidiana è quello che il Concilio ha chiamato “la santità comune
del popolo di Dio”, quello che Giovanni Paolo II ha ripreso nella Novo millennio
ineunte. E’ questa la grande sfida culturale: qualcuno può essere chiamato
al martirio, ma è certamente nell’orizzonte della testimonianza di un grande
avvenimento di fede, di speranza e di carità che i cristiani si realizzano e
gli uomini vengono provocati dalla presenza di Cristo, qui ed ora.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
La
prima pagina è dedicata all'Angelus. Giovanni Paolo II ha sottolineato con forza
che i cristiani sono chiamati ad un eroismo quotidiano che può giungere sino al
supremo sacrificio del martirio.
Nelle
vaticane, l'articolo dell'inviato Gianfranco Grieco, da Mosca, sulla Santa
Messa celebrata dal Cardinale Kasper nell'ambito del solenne avvenimento della
consegna dell'Icona della Madre di Dio di Kazan'.
Nelle
estere, in evidenza l'Iraq: si teme per la sorte dei due giornalisti francesi;
appello del Presidente Chirac per la loro liberazione.
Nella
pagina culturale, un articolo di Gaetano Vallini in merito alla mostra - a
Trento (fino al 7 novembre) - sul tema "Guerrieri, principi ed eroi fra il
Danubio e il Po, dalla Preistoria all'Alto Medioevo".
Nelle
pagine italiane, in primo piano un articolo sui gravi disordini verificatisi durante
un corteo - organizzato ad Acerra - contro la costruzione del termovalorizzatore
dei rifiuti: pietre contro la polizia, cariche e lacrimogeni.
In
rilievo anche il tema dell'immigrazione.
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30
agosto 2004
AL
VIA, STASERA, A NEW YORK LA CONVENTION REPUBBLICANA, CHE CONFERMERA’
BUSH
COME CANDIDATO ALLA PRESIDENZA PER UN EVENTUALE SECONDO MANDATO.
IERI,
IN PRIMO PIANO, L’IMPONENTE MANIFESTAZIONE
CONTRO LA POLITICA DELLA CASA BIANCA
-
Intervista con il prof. Stefano Silvestri -
Una
tappa cruciale sulla strada per le elezioni presidenziali americane: tra poche
ore, prenderà il via al Madison Square Garden di New York la Convention
Repubblicana. L’assemblea di partito incoronerà il presidente George W. Bush
candidato per un eventuale nuovo mandato presidenziale. Stasera, si
avvicenderanno sul podio l’ex sindaco di New York, Rudy Giuliani, e il senatore
John Mc Cain, eroe di guerra in Vietnam. Bush parlerà giovedì sera a chiusura
dell’evento. La vigilia della Convention è stata, tuttavia, dominata dagli
oppositori del presidente, che in migliaia hanno sfilato per le vie di New
York. Una manifestazione imponente, di cui ci riferisce Paolo Mastrolilli:
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Nella folla, controllata da
circa 10 mila poliziotti, c’erano diversi veterani delle guerre in Iraq e in
Vietnam, che hanno accusato il capo della Casa Bianca di averli mandati a combattere
per una bugia e a morire per il petrolio. Quando il corteo è arrivato al
Madison Square Garden, che da oggi ospiterà la Convention, si è fermato a
pregare in memoria di quasi mille caduti, simboleggiati da bare coperte dalla
bandiera. La polizia ha arrestato circa 50 persone nel corso della giornata, ma
non ci sono stati incidenti o violenze. Il presidente Bush, in un’intervista al
settimanale “Time”, ha detto che l’invasione dell’Iraq è stata un successo
eccezionale ma che avrebbe usato una tattica diversa se avesse saputo che il
nemico era pronto alla guerriglia. Da oggi questi temi saranno al centro della
Convention, che avviene a poche strade di distanza da Ground Zero dove i
terroristi colpirono l’11 settembre del 2001. Ma i repubblicani, oltre a
sottolineare la reazione di Bush a quegli attacchi, vogliono anche riportare
l’attenzione su slogan come ‘conservatorismo compassionevole’, usato quattro
anni fa per attirare gli elettori di centro e segnalare al Paese che il
presidente si preoccupa anche dell’economia e dei problemi interni.
Da New York, per la Radio
Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Sulla
Convention Repubblicana e la strategia del partito di Bush per vincere le elezioni,
la nota di Empedocle Maffia:
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Si riuniscono a pochi isolati da
dove sorgevano le Torri Gemelle, i Repubblicani. Così vogliono spiegare, nel
modo emotivamente più favorevole, perché chiedono al Paese di confermare Bush
alla Casa Bianca per altri quattro anni: perché è il presidente che ha fissato
il radar americano sulla lotta al terrorismo, e tutto il resto è in secondo
piano. I repubblicani si propongono di risolvere le presidenziali di novembre
sul punto più semplice e più definitivo: quello dell’America da difendere
contro il terrorismo. Se riescono a far passare questo punto come unica priorità
nazionale, tutta la zona buia della presidenza Bush diventa meno probabile come
elemento da giudicare nel voto. Alleanze internazionali saltate, due milioni di
disoccupati, una guerra preventiva contro l’Iraq diventata l’incubo di
un’enorme e costosa avventura in termini di vite umane e di miliardi di
dollari. Tutto questo diventa non più ragione per cambiare presidente, ma
prezzo che si è dovuto pagare ad una situazione nella quale l’America va difesa
da un attacco costante. E’ una strategia che si confronta con un Paese
politicamente spaccato come non avveniva da decenni. Ma tutti gli uomini del
presidente la ritengono l’unica in grado di portarli a vincere a novembre.
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Secondo
tutti i sondaggi, l’elettorato americano sembra spaccato in due. Situazione che
fa prevedere un’elezione all’ultimo voto, come quattro anni fa. Quanto potrà,
dunque, influire sulle scelte degli americani questa Convention repubblicana?
Alessandro Gisotti lo ha chiesto al prof. Stefano Silvestri, presidente dello IAI,
l’Istituto Affari Internazionali:
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R. – Credo che le Convention, in
una situazione già così tesa, così politicizzata, hanno un effetto relativo nel
senso che continuano a mantenere l’attenzione sul candidato, però non credo che
cambieranno molto le posizioni degli indecisi.
D. – New York è la città ferita
dal terrorismo, ma anche il simbolo dell’America ‘liberal’, che vota Partito
democratico. La scelta di celebrare qui la Convention, può essere letta come
una doppia sfida lanciata dal partito repubblicano?
R. – In un certo senso sì. E’
una sfida che dice ai liberal: ‘Vedete, voi siete liberal ma
siete anche le vittime del terrorismo e siamo noi che vi difendiamo”. Questo
credo che voglia essere il messaggio. Bisognerà vedere se passa. Perché passi,
Bush punta soprattutto sulla sua immagina di presidente di un’America in
guerra.
D. – Molti osservatori hanno
registrato negli ultimi mesi un approccio del presidente Bush – se vogliamo –
più moderato, tanto in politica estera che interna. Si parla anche di
‘conservatorismo compassionevole’. I repubblicani cercano voti al centro?
R. – Certamente. L’economia non
va molto bene, i democratici hanno puntato molto sui problemi di povertà, di
disoccupazione e quindi i repubblicani hanno bisogno di ritornare sul tema
della ‘compassione’.
D. – Dopo le Convention, la
nuova fase elettorale prima del voto del 2 novembre saranno i faccia a faccia
tra Bush e Kerry. Su cosa giocheranno i due contendenti per conquistare i pochi
indecisi?
R. – Credo che Bush vorrà far
passare l’immagine di un presidente dalle idee chiare, messaggio semplice, di
fronte ad un Kerry che è più complesso e contraddittorio. Kerry vorrà fare
passare il messaggio che la sua politica è altrettanto decisa ed efficace di
quella di Bush per quanto riguarda la lotta al terrorismo, ma vorrà
sottolineare soprattutto gli aspetti sociali ed economici.
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IN UN SUGGESTIVO STADIO DOVE C’ERA UNA SPIGA PER
OGNI ATLETA,
SI SONO CHIUSE IERI SERA LE 28.ME OLIMPIADI
DELL’ERA MODERNA.
ITALIANA L’ULTIMA PRESTIGIOSA MEDAGLIA AL
MARATONETA STEFANO BALDINI
- Intervista con Pietro Mennea -
In una notte di luna piena e in
uno stadio trasformato in un campo di grano, con 10.500 spighe – una per ogni
atleta – si sono chiuse ieri sera le 28.me Olimpiadi dell’era moderna.
Cominciate il 13 agosto scorso, le Olimpiadi di Atene hanno assegnato l’ultima
medaglia, quella della maratona che è una delle più prestigiose, all’ora del
tramonto. L’ha vinta l’italiano Stefano Baldini, giunto in solitudine
all’interno dello stadio Panathinaikon nel cuore
della città. Un’ultima vittoria che però ha fatto discutere. Di questo ma anche
del bilancio di emozioni e medaglie, ci riferisce Roberto Zichittella:
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Il Brasile ha fatto
ricorso perché il corridore Lima, che guidava la corsa fino a pochi chilometri
dal traguardo, è stato aggredito da uno spettatore, ma sembra che il ricorso
non verrà accolto. L’Italia ha chiuso così in modo trionfale i giochi con un
bottino di 32 medaglie, delle quali dieci d’oro. Il presidente della
Repubblica, Ciampi, si è complimentato con il presidente del Comitato olimpico
nazionale italiano, Petrucci. Il medagliere finale vede in testa gli Stati
Uniti, con un totale di 103 medaglie: gli americani si confermano primi ma non
sono più la superpotenza sportiva di un tempo. Dietro agli Stati Uniti avanza a
grandi passi la Cina, che ha vinto medaglie anche nel nuoto e nell’atletica.
Per i cinesi, una prova generale in vista delle Olimpiadi di Pechino tra
quattro anni. Bene anche la Russia, ma meno forte di un tempo. Fanno grandi
progressi gli australiani, che superano il bottino di Sydney 2000; bene i
giapponesi, i tedeschi e i francesi. Tra i Paesi africani, note di merito al
Sud Africa e allo Zimbabwe, che hanno vinto medaglie nel nuoto. Tra i
protagonisti da ricordare, citiamo il nuotatore americano Phelps e il fondista
marocchino El Guerrouj.
Possiamo dire che
quelle di Atene sono state delle belle Olimpiadi: lo ha riconosciuto anche il
belga Jacques Roggue, presidente del Comitato Olimpico internazionale.
Nonostante i timori forse eccessivi della vigilia, la sicurezza dei Giochi non
è mai stata in pericolo. Nessun episodio, anche minore, ha mai rappresentato
una minaccia. L’organizzazione ha funzionato senza troppi intoppi: i trasporti
sono stati efficienti, la città non è apparsa stravolta e il clima di Atene è
stato allegro, da vera festa dello sport. Alla fine, sui giochi forse soltanto
due le ombre: le polemiche sull’obiettività delle giurie di ginnastica e
pugilato e la piaga del doping. Il caso dei velocisti greci Kenteris e Phanu,
esclusi alla vigilia delle Olimpiadi, i pasticci dei sollevatori di pesi e i
vincitori di medaglie costretti a restituire i loro trofei ci ricordano che per
troppi atleti l’idea dello sport pulito non esiste. Sarà un tema su cui
riflettere nei prossimi mesi.
Roberto Zichittella,
da Atene, per la Radio Vaticana.
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Ma per quali aspetti questa
Olimpiade sarà ricordata? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Pietro Mennea,
campione olimpionico a Mosca nel 1980 e deputato europeo nella scorsa
legislatura:
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R. – I
motivi sono diversi e sono importanti. Anzitutto i casi di doping che si sono
verificati ad Atene non sono solo un fatto negativo per la manifestazione ma
anche un fatto positivo, perché hanno reso più credibile l’evento. Ci sono
stati poi i risultati, ultimo quello di Baldini che ha vinto la maratona, ma
anche il bel risultato della Pellegrini, della squadra della Pallanuoto, della
Vezzali, che considero la più grande atleta in assoluto dello sport femminile
italiano. Naturalmente i greci hanno organizzato benissimo questi Giochi
Olimpici. L’evento io l’ho seguito tantissimo e posso dire, avendo disputato
cinque edizioni dei Giochi Olimpici, che mi è piaciuto moltissimo sia dal punto
di vista agonistico che dal punto di vista organizzativo.
D. – Più volte si è detto: far
gestire lo sport agli atleti. Come vede questa eventualità?
R. – Chi vince l’Olimpiade vanta
un’esperienza che solo pochissimi possono vantare. Lo sportivo preparato,
quando smette, sono sicuro che è in grado di occuparsi di sport e di occuparsi
di coloro che non hanno fatto agonismo e non sanno cosa sia l’agonismo
sportivo. Abbinare, dunque, l’esperienza sportiva ad una di preparazione è
importante. Credo che lo sportivo abbia pieno diritto di occuparsi dello sport
dal punto di vista organizzativo.
D. – Si guarda già alle
Olimpiadi di Pechino 2008, un appuntamento per certi versi inedito, che metterà
l’Occidente in stretto rapporto con la Cina…
R. – Anche la Cina affronta una
certa sfida con l’organizzazione dei Giochi Olimpici del 2008, perché ha un suo
fine che va al di là di quello che è l’evento sportivo. La Cina deve dimostrare
al mondo che è un Paese cambiato in tutti i sensi, dal punto di vista politico
ed economico e per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani. Quindi, per
questo Paese la sfida forse è ancora più impegnativa. Credo però che sia una
sfida che potrebbe vincere.
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24 MILA BAMBINI RAGGIUNTI IN 35 PAESI DEL MONDO:
E’ LA DIMENSIONE DELL’IMPEGNO
DELL’ORGANIZZAZIONE NON GOVERNATIVA ITALIANA AVSI.
UNA TESTIMONIANZA DELLA PRESENZA IN BURUNDI
- Intervista con Riccardo Bevilacqua -
24 mila bambini raggiunti in 35
Paesi del mondo. Questo, in cifre, l’aiuto che l’AVSI, un’organizzazione non
governativa italiana, assicura al pianeta infanzia attraverso programmi di
sostegno a distanza. Attiva dal 1972, l’AVSI tocca le zone più povere del
mondo, fra cui il Burundi. Questo Paese africano è ancora sotto shock dopo il
recente attacco al campo profughi di Gatumba, in cui hanno perso la vita circa
160 persone. Francesca Fialdini ha raggiunto telefonicamente Riccardo
Bevilacqua, operatore dell’AVSI a Bujumbura, capitale del Paese:
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R. – L’assistenza passa prima
per l’educazione, il più grande motore di sviluppo e di speranza per questi
Paesi. Basti pensare che un bambino su quattro non riesce a terminare l’anno
scolastico per abbandono. Bisogna lottare contro quelle situazioni di povertà
che non permettono la frequentazione normale. Quindi, il nostro intervento
nell’educazione non si limita alle spese scolastiche, ma anche ad un sostegno
sociale per la famiglia. Finanziamo un piccolo commercio di carbone per
metterla in condizione di non dover chiedere al bambino di sostenere dei ruoli
che non sono quelli dell’infanzia.
D. – Quanto risentite del clima
di instabilità?
R. – Il clima di instabilità non
ci aiuta, perché noi lavoriamo nei quartieri nord della capitale Bujumbura, che
sono i quartieri più colpiti. Quindi, ogni volta che si verificano questi
episodi c’è un saccheggio delle già povere abitazioni di queste famiglie. Cerchiamo
di fare delle distribuzioni per rifornirli del minimo degli utensili per la
vita quotidiana.
D. – Qual è la condizione
dell’infanzia?
R. – L’infanzia è stata molto
colpita dalla situazione di crisi che va avanti dal ’93 e, quindi, da 11 anni.
Ci sono bambini che hanno conosciuto solo lo stato di guerra e altri che sono
inquadrati nelle truppe dei ribelli.
D. – Riuscite a raggiungere
anche bambini soldato?
R. – Ci sono dei progetti pilota
con l’Unicef per trovare una metodologia adatta, perché ci vuole un’assistenza
anche psicologica e bisogna poi preparare la popolazione a reintegrare questi
bambini.
D. – Può farci un esempio per
capire l’effetto della vostra azione?
R. – Posso citare una bambina,
chiamata Awa, che abbiamo trovato in una situazione davvero precaria.
Attraverso il sostegno a distanza, attraverso l’aiuto di una famiglia italiana
siamo riusciti a dare una casa ad Awa e siamo riusciti ad iscriverla a scuola
regolarmente e a farla ricominciare a sperare per il futuro.
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DAL
FESTIVAL DEL CINEMA DI LOCARNO A QUELLO DI VENEZIA:
LA
PRESENZA DELL’ISTITUTO LUCE,
CHE FESTEGGIA IL SUO OTTANTESIMO COMPLEANNO
- Servizio di Luca Pellegrini -
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(musica)
L’Istituto Luce non poteva
festeggiare meglio i suoi ottanta anni di vita e di attività. Questo 2004 è un
periodo particolarmente felice, con molti successi già ottenuti e molte iniziative
in programma. Nell’attesa di una grande mostra che sarà allestita a Roma, con
la collaborazione del Comune capitolino, per ripercorrere, attraverso preziosi
documenti, la storia dell’Istituto a partire dal 1924, il Presidente Andrea
Piersanti ci confida, innanzitutto, la propria soddisfazione per il
riconoscimento, una vera sorpresa, ottenuto al recente Festival di Locarno:
R. – Era già da qualche anno che
al Festival di Locarno i film italiani non pren-devano premi. Quest’anno il
vincitore assoluto sia come miglior film, sia come miglior attore, sia anche
come vincitore del premio della Giuria Ecumenica, è stato un film italiano,
co-prodotto da Luce con la partecipazione di Rai Cinema. Si tratta del film
diretto da un giovanissimo regista esordiente, Saverio Costanto, che si
intitola “Private”. E’ un film italiano, scioccante, che parla di un argomento
di straordinaria attualità, molto poco “casalingo”, che è il dramma del Medio
Oriente. Il successo a Locarno è stato totale. L’indicazione proveniente dalla
critica cinematografica presente al Festival era, sinteticamente: “Just the
best”, semplicemente il miglior film visto al Festival. La nostra
soddisfazione è stata veramente enorme.
Ed ora sta per prendere il via
il Festival di Venezia, con la presenza davvero considerevole dell’Istituto
Luce:
R. – A festeggiare l’evento c’è
un colossal: un film storico, in costume, tratto forse da una delle commedie più significative e più intriganti di
Shakespeare: “Il
mercante di Venezia”. Ovviamente il luogo scelto per l’anteprima mondiale non
poteva che essere il Festival di Venezia. Siamo molto contenti che la Mostra
del Cinema, diretta da Marco Muller, abbia deciso di accettare e di selezionare
questo film per i grandi eventi speciali dell’edizione della Mostra di
quest’anno. “Il mercante di Venezia” è diretto da Michael Radford, interpretato
da un cast composto da tutte stelle, Al Pacino, Jeremy Irons, Joseph Fiennes e
Lynn Collins. Il film sarà al centro del primo ed unico fine settimana del
Festival, il momento di maggior clamor e di maggiore mondanità. La
responsabilità che sentiamo sulle spalle è quindi enorme tanto più che – una
cosa che forse non tutti gli ascoltatori sanno – non c’è mai nulla di scontato
quando si parla della Mostra del Cinema di Venezia e non ci sono rapporti
storici che tengano. Ogni anno ogni distributore, ogni società, ogni produzione
si gioca il tutto per tutto. Abbiamo a Venezia anche altri film e fra gli
eventi speciali c’è il film “Come inguaiammo il cinema italiano” di Daniele Cipri
e Franco Maresco, che è dedicato ad un recupero della storia della critica
cinematografica abbastanza interessante, perché ricostruisce la storia di due
grandi attori dimenticati dal cinema italiano che sono Franco Franchi e Ciccio
Ingrassia. Fuori concorso avremo “Il resto di niente” di Antonietta De Lillo.
Nella Sezione “Venezia Orizzonti” c’è un film che si intitola “Musica Cubana”,
che è un po’ la continuazione virtuale di “Buenavista Social Club”, e che anche
in questo caso è prodotto con la partecipazione di Wim Wenders. Nella sezione Venezia
Cinema Digitale, c’è “Colpi di luce”; un lavoro di montaggio, realizzato da Matteo Spinola, Stefano Della Casa,
Francesca Calvelli, sul cinema di serie B degli anni Cinquanta e Sessanta.
E’ un documentario di montaggio di materiale di repertorio che fa il paio,
ovviamente, con la Rassegna Retrospettiva dedicata al cinema italiano di serie
B, che la mostra ha deciso di organizzare quest’anno. Noi abbiamo in mente, fra
i tanti appuntamenti che verranno organizzati per noi o da noi, l’idea di
continuare a lavorare e di continuare a tenere alta la testa. In questi primi
due anni di gestione mia e di Luciano Sovena, amministratore delegato, abbiamo
dimostrato che Luce non è un marchio polveroso, che Luce non significa soltanto
vecchi ed inutili archivi, ma che Luce è ancora oggi un’azienda dello Stato,
partecipata al 100 per cento dallo Stato, che è in grado di competere sul mercato
cinematografico e distributivo con prodotti di altissima qualità, che
mantengono alto il significato dell’espressione “cultura cinematografica”.
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30 agosto 2004
A SALUZZO SI SVOLGONO OGGI LE CELEBRAZIONI PER IL
VI CENTENARIO
DELLA MORTE DEL BEATO GIOVANNI GIOVENALE ANCINA.
LA LETTERA DEL CARDINALE SODANO PER IL VESCOVO
DELLA LOCALITA’ PIEMONTESE
SALUZZO. = Giovanni Paolo II
saluta con gioia le celebrazioni per il IV centenario della morte di Giovanni
Giovenale Ancina, “insigne figura di Pastore” ed “esempio di santità per gli
uomini del nostro tempo”. Il segretario di Stato vaticano, cardinale Angelo Sodano,
sintetizza con queste parole, in una lettera indirizzata al vescovo di Saluzzo,
mons. Giuseppe Guerrini, i sentimenti del Papa per le iniziative in onore del
beato. Nato a Fossano il 19 ottobre del 1545, Giovanni Giovenale Ancina giunse
a Roma nel 1574, dove acquisì un’ampia conoscenza della teologia, coltivando le
sue doti letterarie e musicali. “L’incontro con san Filippo Neri nel 1576 – si
legge nella missiva – gli illuminò ulteriormente la mente e soprattutto gli
scaldò il cuore, inducendolo a chiedere di poter essere accolto come membro
della Congregazione, all’interno della quale svolse il suo ministero di stimato
ed apprezzato predicatore, confessore e teologo”. Trasferitosi nel 1586 a Napoli,
padre Ancina si fece promotore di svariate attività pastorali e culturali.
Dieci anni dopo venne richiamato a Roma. La
morte, sopravvenuta repentinamente il 30 agosto del 1604, pose fine alla sua
intensa attività di riforma del clero, dei religiosi e del laicato cristiano.
Il Papa auspica - conclude il cardinale Sodano nella lettera - “che
l’anniversario dell’ingresso nell’eternità di così illustre pastore e degno
discepolo di san Filippo offra al clero, ai religiosi ed ai fedeli l’opportunità
di riviverne l’impegno di personale perfezionamento e di infaticabile dedizione
apostolica”. (B.C.)
SI SONO APERTE IERI A MILANO LE
CELEBRAZIONI PER IL 50° ANNIVERSARIO
DELLA MORTE DEL BEATO ALFREDO ILDEFONSO SCHUSTER, UNO DEGLI ARCIVESCOVI PIU’
ILLUSTRI DELLA CHIESA AMBROSIANA. IL PORPORATO,
“DIFENSORE DELLA FEDE E DEL SUO POPOLO”,
E’ STATO PROCLAMATO BEATO DA
GIOVANNI PAOLO II IL 12 MAGGIO 1996
- A cura di Fabio Brenna
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MILANO. = Il 30 agosto del 1954
moriva nel seminario di Venegono il cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, uno
degli arcivescovi più illustri della Chiesa ambrosiana, che ha guidato per 25
difficilissimi anni, dal 1929 al 1954. Il cinquantesimo anniversario della
morte del cardinale Schuster, proclamato beato da Giovanni Paolo II il 12
maggio 1996, viene ricordato nel luogo della scomparsa, il seminario di
Venegono Inferiore, che egli contribuì a far erigere e che ieri ha ospitato un
convegno, che ha rievocato il contributo dato da Schuster alla fondazione e
alla promozione di Istituti secolari. In serata, invece, l’attuale arcivescovo
di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, ha guidato una fiaccolata, cui
erano presenti i cresimati da Schuster. Un vero e proprio stuolo, visto che il
beato compì ben cinque visite pastorali nella diocesi, formata da oltre 1.100
parrocchie. Questo pomeriggio, invece, per sottolineare l’intenzione
vocazionale data a questo anniversario dalla chiesa milanese, un migliaio di
chierichetti, provenienti da tutta la diocesi, animeranno l’annuale raduno. In
serata, poi, la celebrazione solenne presieduta ancora dal cardinale
Tettamanzi, che chiuderà questa prima parte delle celebrazioni. Altri momenti
successivi saranno destinati a ricordare altri aspetti dell’azione pastorale
del beato: la promozione della famiglia degli Oblati diocesani, la promozione
della vita contemplativa, la promozione dell’arte sacra e dell’edificazione di
nuove chiese. “Spesso si tende a circoscrivere la figura del cardinale Schuster
alla preghiera e alla mistica – ha detto il cardinale Tettamanzi – ma egli fu
veramente difensore della fede e del suo popolo”.
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COMMEMORAZIONE SABATO IN KENYA PER LA MORTE DI
PADRE KAISER.
IL MISSIONARIO E’ STATO UCCISO
NELL’AGOSTO 2000
IN CIRCOSTANZE ANCORA DA CHIARIRE
NAIROBI.
= Centinaia di persone si sono riversate sabato tra le strade di Nairobi, in Kenya,
per ricordare la scomparsa di padre John Anthony Kaiser della Società
missionaria di San Giuseppe di Mill Hill, ucciso il 24 agosto 2000 in
circostanze ancora da chiarire. “Il caso non è morto”, “Bisogna andare avanti
con l’inchiesta”: recitavano alcuni striscioni. “La gente sollecitava il
proseguimento dell’indagine – ha detto all’agenzia Misna padre Alex Matua,
missionario comboniano di origine ugandese, da alcuni anni in Kenya – e chiedeva
di poter sapere finalmente la verità sul caso del missionario ucciso”. Il
corteo, partito da Uhruru Park e arrivato poco dopo presso la basilica del
Sacro Cuore, dove si è svolta la funzione religiosa, era guidato da padre
Paulino Twesigye, comboniano incaricato di animazione missionaria in Kenya.
Alla funzione hanno preso parte anche una cinquantina di keniani testimoni
degli scontri etnico-tribali del 1993 nella Rift Valley, che costarono la vita
a circa 2.000 persone. Convocato dalla Commissione d’inchiesta Akiwumi, che si
occupava di questi scontri, padre Kaiser ha deposto contro due ministri di Stato:
Ole Ntimama e Nicholas Biwot. Dopo il ritrovamento del suo cadavere nei pressi
del lago Naivasha, nell’aprile 2001 gli agenti americani dell’FBI (Federal
bureau of investigation) hanno stilato un rapporto, con l’avallo dell’allora
governo KANU (‘Kenya african national union’), sostenendo che si era suicidato.
Questa tesi, tuttavia, non ha mai convinto i vescovi keniani, che hanno chiesto
spiegazioni all’allora presidente Daniel Arap Moi, senza in pratica ottenere
risposta. L’attuale esecutivo del NARC (‘National rainbow coalition’) si sta
dimostrando, invece, più risoluto nel mandare avanti l’inchiesta. (B.C.)
PIOGGIA DI CRITICHE PER DIVERSI PAESI
UE PER INADEMPIENZE IN TEMA DI AMBIENTE.
SUL BANCO DEGLI IMPUTATI DELLA COMMISSIONE EUROPEA
ANCHE L’ITALIA, LA FRANCIA A LA GRAN BRETAGNA, SOPRATTUTTO PER NON AVER
RISPETTATO GLI OBBLIGHI SULLE RESTRIZIONI NELL’USO DELLE SOSTANZE LESIVE
DELL’OZONO
ROMA.
= Giro di vite della Commissione Europea in tema di ambiente. Nel censurare il
comportamento dei 25 Stati membri, la Commissione ha invitato Austria, Francia,
Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Portogallo, Gran Bretagna e Spagna ad
accelerare gli interventi e l’attuazione di misure per la riduzione
dell’inquinamento atmosferico nelle aree urbane. Nel mirino della Commissione
due inquinanti ritenuti tra i più dannosi per la salute, soprattutto, dei
cittadini sensibili, anziani e bambini: il biossido di azoto e il particolato.
La normativa comunitaria obbligava gli Stati membri a predisporre piani per la
riduzione dell’inquinamento entro il 31 dicembre 2003, lasciandoli liberi di
scegliere le misure più appropriate: restrizioni della circolazione o lo
spostamento in aree meno sensibili degli impianti inquinanti. I Paesi sul banco
degli imputati sono responsabili anche di altre mancanze in tema di protezione
della natura, di accesso dei cittadini alle informazioni ambientali e di tutela
delle acque. La Francia, ad esempio, non ha proceduto correttamente
all’individuazione dei siti di interesse comunitario, secondo le prescrizioni
del programma Natura 2000. Sotto accusa l’Irlanda per altri sei capi di
imputazione, in materia di biodiversità, di smaltimento illegale di rifiuti
pericolosi, di gestione delle acque costiere, di trattamento dei reflui urbani.
Consistente l’incartamento anche per la Gran Bretagna, soprattutto per la
gestione dei rifiuti urbani. Nel mirino della Commissione per violazioni del
diritto comunitario in materia ambientale anche l’Italia, rea di 28 casi di
inadempienza, con particolare riguardo alle discariche. (B.C.)
UN INDIANO E UN PAKISTANO RICEVONO IL
“NOBEL ASIATICO”.
ENTRAMBI LAVORANO ASSIDUAMENTE PER RISTABILIRE IL DIALOGO TRA NEW DELHI
E ISLAMABAD, COINVOLGENDO SOPRATTUTTO
I GIOVANI
MANILA. = Il pakistano Ibdu Abdur Rehman e l’indiano Laxminarayan
Ramdas sono i vincitori della sezione Pace e Dialogo internazionale del Premio
Ramon Magsaysay, istituito dalla medesima Fondazione e conosciuto come “il
Nobel asiatico”. Entrambi sono stati insigniti per il loro tentativo di
superare le relazioni ostili fra i due Paesi e creare un consenso popolare in
favore della pace fra India e Pakistan. Ex ammiraglio della Marina indiana in
pensione, Laxminarayan Ramdas - riferisce l’agenzia Asianews - ha lavorato in
varie organizzazioni che si battono per la pace, ultima delle quali il “Forum
per la pace e la democrazia della popolazione indiana e pakistana”; mentre
Rehman, giornalista e attivista per la pace, è l’attuale direttore della
Commissione per i diritti umani in Pakistan. Secondo i due vincitori, il
dialogo è il modo più efficace per ottenere la pace. Ma in questo, ha spiegato
Rehman, bisogna coinvolgere la popolazione. In particolare, secondo Ramdas, è
necessario investire sui giovani, che spesso assorbono i pregiudizi contro i Paesi
vicini dai libri di testo e dai media. “India e Pakistan sono al bivio per
decidere i propri destini, – ha concluso Ramdas – è necessario che i governanti
rispondano alla fortissima domanda di pace della gente. Così la pace trionferà
e sarà il popolo a vincere”. (B.C.)
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30
agosto 2004
- A cura
di Ignazio Ingrao -
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E’ di 17 morti e 96 feriti il bilancio degli scontri tra l’esercito
americano e i miliziani di Moqtada al Sadr avvenuti nella notte nel quartiere
di Sadr City a Baghdad. Lo hanno reso
noto fonti del ministero della Sanita' iracheno. Mentre l'emittente televisiva
araba al-Jazeera ha riferito che i negoziati tra rappresentanti del leader
radicale sciita e governo ad interim di Baghdad, avviati per mettere fine alle
violenze, sono stati sospesi dopo il rifiuto dei miliziani a consegnare le
armi.
Segnali
di distensione si registrano invece nei rapporti tra Iraq e Iran. Il vice primo
ministro iracheno, Barham Saleh, si è recato ieri a Teheran per portare “un
messaggio di amicizia”. E uno dei più alti dirigenti iraniani, Hassan Rohani,
ha offerto l’appoggio del suo governo
per ristabilire la sicurezza in Iraq.
Intanto
dal Cairo, dove è giunto questa notte, il ministro degli esteri francese Michel
Barnier ha lanciato un altro appello per la liberazione dei giornalisti
francesi di Radio France e Le Figaro, rapiti dall'Esercito islamico dell'Iraq'.
Per seguire da vicino le trattative il governo francese ha inviato a Baghdad il
segretario generale del Ministero degli esteri. Oggi a Parigi sono previste due
manifestazioni per la liberazione degli ostaggi, promosse dai presidenti delle
Camere e da un gruppo di intellettuali arabi. Anche il segretario generale
della Lega Araba, Amr Moussa, ha lanciato un appello per i giornalisti rapiti
così come l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per la politica estera e di
sicurezza comune, Javier Solana.
E con un comunicato diffuso su Internet le brigate Abu Hafs al Masri
rinnovano le minacce di attentati contro l’Italia ma annunciano che la Santa Sede
non sarà tra gli obiettivi possibili.
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Una
bambina palestinese di nove anni è stata ferita stamane in Cisgiordania dalle
schegge di un razzo sparato da un elicottero israeliano. L’obiettivo
dell’azione era Mahmud Abu Khalifa, un esponente delle Brigate dei martiri di
al Aqsa, che è uscito indenne dall'attacco. Mentre quattro palestinesi, tra cui
un dirigente di Al Fatah, sono stati uccisi nei campi profughi a Gaza e nel
Libano meridionale. E oggi si è riunito il Consiglio di sicurezza israeliano
per discutere il piano di ritiro dalla striscia di Gaza e dall'estremo nord
della Cisgiordania. Il premier Ariel Sharon ha annunciato che già domani
presenterà una “dettagliata tabella di marcia” sulle tappe del ritiro. Sharon
si prefigge di ottenere entro la fine
di settembre il consenso del governo per stanziare adeguati indennizzi agli
8.000 coloni israeliani che dovranno
essere sgomberati. E per la prima volta, la Corte suprema ha autorizzato un
gruppo di drusi israeliani a recarsi in pellegrinaggio in Siria, paese
considerato ufficialmente in guerra con lo Stato di Israele.
Un comunicato di Al Qaeda ha
rivendicato l’attentato compiuto con un’autobomba ieri a Kabul, che ha ucciso
12 persone (tra cui tre americani) e provocato dozzine di feriti. L'attentato,
che ha colpito la sede di una compagnia di
sicurezza americana, era stato rivendicato in precedenza anche da un portavoce dei Talebani.
Con
oltre il 73% dei voti il ministro dell’Interno Alu Alkhanov è stato eletto
presidente della cecenia. Alkhanov, era il candidato favorito del Cremlino e
succede ad Akhmat Kadyrov, eletto nell'ottobre 2003 e ucciso in un attentato il
9 maggio. Gli altri candidati hanno ottenuto meno del 9% dei suffragi. Da Mosca
Giuseppe D’Amato:
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E’ Alu Alkhanov il nuovo presidente ceceno. Il
47.enne ministro degli interni ha vinto nettamente le elezioni di ieri.
L’affluenza alle urne si è attestata sull’80 per cento degli aventi diritto.
Per Mosca un buon risultato considerando i pesanti scontri a fuoco delle
settimane scorse. Alkhanov è stato scelto dallo stesso gruppo di potere da cui
proveniva il defunto presidente Kadyrov e la sua investitura è stata accettata
dal Cremlino. Il neo presidente intende creare una zona economica libera
nell’ex repubblica ribelle con grossi vantaggi fiscali. La disoccupazione in Cecenia
si aggira sul 70 per cento. Alkhanov spera di ridurla al 15 per cento nel giro di 5 anni.
I separatisti non riconoscono le elezioni ed hanno
promesso di uccidere il neo leader, il quale al contrario ha offerto un
ramoscello di ulivo al capo dei separatisti, se Mashkadov riconoscerà i suoi
errori.
Per la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato.
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Scade alla mezzanotte di oggi
l’ultimatum delle Nazioni Unite che ha ordinato al governo di Karthoum di
disarmare le milizie arabe nella regione sudanese del Darfur. Ma i
negoziati in corso ad Abuja, in
Nigeria, sono in fase di stallo. Nel frattempo sono partiti 155 militari
dell’esercito nigeriano incaricati dall’Unione Africana di proteggere gli
osservatori internazionali chiamati a sorvegliare l’applicazione del
cessate-il-fuoco per portare i soccorsi alle popolazioni colpite.
E’ salito a cinque morti e oltre
50 feriti il bilancio delle vittime del tifone Chaba che ha colpito l’isola di
Kyushu nel sud del Giappone, con venti ad oltre 140 chilometri orari. Le
autorità hanno fatto evacuare oltre 20 mila persone. Un cargo vietnamita è
affondato al largo dell’Oceano Pacifico e quattro marinai sono attualmente
dispersi.
Ad una settimana dalla nuova tornata di colloqui sul
Kashmir, ieri l’India ha compiuto un nuovo test per il suo armamento nucleare.
Un missile terra-terra, di una portata massima di 2500 km e capace di una
testata nucleare, è stato sperimentato per la terza volta, dopo i test
dell’aprile del 1999 e del gennaio del 2001.
Falso allarme per un dirottamento
questa mattina all’aeroporto milanese di Malpensa. L’allarme, rivelatosi
infondato, è scattato per un volo Alitalia proveniente da Miami. Per questo,
immediatamente dopo il decollo, l’aereo è stato scortato dai caccia
dell'esercito statunitense. Poi, sui cieli europei, il volo è stato prima
affiancato da caccia svizzeri e, dopo il confine italiano, da quelli
dell'Aeronautica decollati da Grosseto. A Malpensa i passeggeri sono stati
controllati uno a uno, così come i bagagli. Lo spazio aereo è rimasto chiuso
per mezz'ora e, all'interno dell'aeroporto, sono scattati tutti i sistemi di
sicurezza del piano antiterrorismo.
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