RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 90 - Testo della Trasmissione lunedì 31 marzo 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Accorato appello della Congregazione per le Chiese Orientali, a nome del Papa, in vista della tradizionale “colletta” per i cristiani di Terra Santa, più che mai bisognosi di sostegno anche a causa della guerra.

 

Il segretario di Giovanni Paolo II, mons. Stanislao Dziwisz, ricoverato per accertamenti al Policlinico Gemelli.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

La tragedia dell’umanità ferita e martoriata in Iraq da una guerra “inutile e ingiusta”, secondo la rivista dei gesuiti statunitensi “America”: con noi, il nunzio a Baghdad mons. Fernando Filoni e i giornalisti Guido Olimpio e Younis Tawfik.

 

Una testimonianza di amore tra i bambini di strada in Mozambico: intervista con Barbara Hofmann, “ambasciatrice di pace”.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Riunita da oggi a Zagabria l’assemblea dei vescovi croati: in primo piano, la prevista visita del Papa e il ruolo dei laici nella Chiesa.

 

Prolungata di un anno la missione dell’Onu in Afghanistan per il consolidamento della pace e la ricostruzione del Paese.

 

Per la prima volta i fedeli della città uzbeka di Urgench celebreranno la prossima Veglia pasquale in una vera chiesa.

 

Morti in Cina 16 operai per una esplosione ieri in una miniera di carbone.

 

La Guinea-Bissau, uno dei Paesi più poveri al mondo, oltre alla miseria si trova a fronteggiare una grave crisi politica.

 

Annunciato dal Consiglio d’Europa il lancio di 30 nuovi portali Internet in altrettante lingue europee.

 

50 anni fa veniva fondato in Spagna l’Istituto “Fossores della Misericordia”, per la cura dei cimiteri.

 

24 ORE NEL MONDO:

Allarme dalla missione Enduring Freedom: con l’attacco all’Iraq, in Afghanistan crescono gli attentati contro le forze militari occidentali.

 

A Tel Aviv, smantellata una cellula della Jihad islamica che preparava una nuova esplosione.

 

Da oggi in Macedonia, dispiegato il primo contingente militare dell’Unione europea.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

31 marzo 2003

 

 

APPELLO DELLA CONGREGAZIONE PER LE CHIESE ORIENTALI

AI VESCOVI DI TUTTO IL MONDO, IN VISTA DELLA TRADIZIONALE COLLETTA

PER I CRISTIANI DI TERRA SANTA, PIU’ CHE MAI BISOGNOSI DI SOSTEGNO

NELLE CIRCOSTANZE ATTUALI

 

- A cura di Paolo Salvo -

 

Un “accorato appello” a sostenere i cristiani di Terra Santa, in vista del Venerdì Santo, giorno che per volontà dei Sommi Pontefici è tradizionalmente dedicato alla preghiera e alla “colletta” per la comunità cattolica locale e per il mantenimento dei Luoghi della Redenzione, è rivolto dalla Congregazione per le Chiese Orientali a tutti i vescovi cattolici del mondo: un appello che quest’anno, anche a causa della guerra, assume un particolare significato di vicinanza alle comunità cristiane così duramente provate. 

 

In una lettera in sei lingue firmata dal cardinale Ignace Moussa Doud, prefetto del dicastero, si ricorda che, in ascolto agli appelli di vari Pontefici, da Paolo V nel Seicento fino a Giovanni Paolo II, “la comunità cattolica, con la fedeltà della fraternità ecclesiale, ha sempre mostrato alla Chiesa di Gerusalemme la sua sollecita vicinanza, sostenendo la testimonianza ‘unica’ che essa è chiamata a dare davanti al mondo”.

 

“La drammatica situazione attuale – sottolinea quindi la lettera del cardinale Daoud – impone uno sforzo del tutto speciale anche in termini materiali. I cristiani di Terra Santa, particolarmente tentati nelle presenti circostanze dal senso di isolamento e di abbandono, devono, infatti, sperimentare la carità evangelica che tutti ci unisce in Cristo e l’incoraggiamento di tutta la Chiesa a rimanere nelle comunità d’origine”.

 

Nella lettera si precisa che la Congregazione per le Chiese Orientali, per mandato pontificio, ha la responsabilità di coordinare l’intervento della Chiesa universale per renderlo equo ed efficace. Comunità ed enti cattolici, da parte loro, attendono il sostegno non solo per le necessità ordinarie, ma anche per “gli imponenti bisogni straordinari” di numerose scuole ed istituti di formazione e cultura, ospedali, e centri di assistenza sanitaria e caritativa, come pure di strutture pastorali ed educative attorno alle quali si sviluppa la custodia dei luoghi santi e si esprime la vita dei cristiani.

 

Il cardinale Daoud rinnova pertanto l’appello annuale, “molto accorato”, a tutte le diocesi del mondo, per la Terra Santa, “facendo eco agli innumerevoli pronunciamenti con i quali il Santo Padre continua a mostrare la sua paterna vicinanza alla Chiesa che vive nella Terra del Signore Gesù”. A nome di Giovanni Paolo II, il cardinale Daoud ringrazia tutti i vescovi ed i loro collaboratori, “per l’ammirevole sensibilità finora dimostrata”, con la “piena fiducia” che tale sensibilità  “troverà conferma anche in avvenire”.

 

 

UDIENZE DI OGGI

 

Il Papa ha ricevuto in udienza stamani il ministro degli Esteri del Brasile, Celso Luiz Nunez Amorim, con il seguito.

 

Sempre questa mattina, il Santo Padre ha ricevuto in udienza il cardinale Bernard Agré, arcivescovo di Abidjan, in Costa d’Avorio.

 

 

IL SEGRETARIO DEL PAPA, MONS. STANISLAO DZIWISZ,

RICOVERATO AL POLICLINICO GEMELLI

 

Il segretario di Giovanni Paolo II, mons. Stanislao Dziwisz, è ricoverato da sabato scorso al Policlinico Gemelli, dove si era recato per sottoporsi ad alcuni esami. Il presule polacco, che compirà 64 anni il prossimo 27 aprile, è stato ricoverato precauzionalmente presso l’unità coronarica del Gemelli. Il suo rientro in Vaticano è previsto nel giro di pochi giorni.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

"Insidiata la speranza dell'umanità" è il titolo che apre la prima pagina.

L'Angelus Domini del Papa: il dolore per gli scontri che insanguinano l'Iraq e il gioioso annuncio di un nuovo importante documento dedicato al sacramento dell'Eucaristia, "memoriale perenne" dell'amore di Dio per l'uomo.

Al centro della pagina, l'annuncio del Papa: "Il prossimo Giovedì Santo firmerò l'Enciclica sull'Eucaristia".

 

Nelle vaticane, una pagina dedicata alle iniziative per la pace nelle diocesi italiane, in risposta ai ripetuti appelli del Santo Padre.

Una pagina per la Conferenza del nuovo arcivescovo di Esztergom-Budapest e primate d'Ungheria - alla Pontificia Università Gregoriana - incentrata sul tema "Dinamica storica della tensione tra universale e particolare nella società civile e nella Chiesa".

Il dettagliato ragguaglio della visita del cardinale Zenon Grocholewski ai centri di educazione cattolica a Taiwan.

 

Nelle pagine estere, continuano, intensi, i bombardamenti sull'Iraq.

La Croce Rossa internazionale denuncia l'aggravarsi delle condizioni della popolazione civile: iniziative di sostegno da parte della Germania e degli Emirati Arabi.

Medio Oriente: attentato suicida provoca cinquanta feriti a Natanya; l'attacco rivendicato dalla Jihad islamica e collegato esplicitamente alla crisi nel Golfo.

 

Nella pagina culturale, per la rubrica "Incontri", l'intervista di Franco Lanza ad Anna Maria Chiavacci, critica letteraria e dantista.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la situazione politica in riferimento alla crisi irachena. Alla Camera, mozioni sull'intervento umanitario.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

31 marzo 2003

 

 

PRIMI SCONTRI SUL TERRENO TRA LE TRUPPE ANGLO-AMERICANE

 E LA GUARDIA REPUBBLICANA DI SADDAM HUSSEIN,

MENTRE LA POPOLAZIONE DI BAGHDAD

E’ SEMPRE PIU’ PROVATA DAI BOMBARDAMENTI.

 ROVENTE POLEMICA TRA SIRIA E STATI UNITI SULLE ARMI VENDUTE ALL’IRAQ

 

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

Nel dodicesimo giorno di guerra nel Golfo, procedono incessanti i bombardamenti su Baghdad, a cui si aggiungono gli attacchi missilistici sempre più frequenti e massicci sul fronte nord dell’Iraq. Secondo un reporter della France Presse, venti persone tra cui 11 bambini sono rimasti uccisi in seguito ad un raid sulla capitale irachena nella notte tra il 29 e il 30 marzo. Sul piano militare, per gli americani sarebbe stata ridotta del 50 per cento la capacità della Guardia repubblicana, mentre proprio il corpo d’elite di Saddam Hussein sta combattendo a Najaf, 150 chilometri a sud dalla capitale, nel primo combattimento terrestre con le forze della fanteria americana. Truppe alleate hanno, inoltre, compiuto un’incursione a nord di Nassiriya, alla ricerca di dirigenti iracheni di primo piano fra cui Ali Hassan Al Majid, cugino di Saddam Hussein, responsabile nel 1988 di una campagna di repressione nel Kurdistan iracheno in cui furono massicciamente impiegate armi chimiche che provocarono migliaia di morti tra gli abitanti di Halabja. Ma torniamo a Baghdad, dove la popolazione è ormai spossata dal martellamento continuo dei raid missilistici, come sottolinea il nunzio apostolico, mons. Fernando Filoni, contattato stamani da Roberto Piermarini:

 

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R. – Tutta la notte si sono sentite esplosioni attorno alla città, lontane dalla Nunziatura. Esplosioni anche nella zona degli uffici governativi. Fino a poco tempo fa si sono sentite esplosioni e bombardamenti. Quindi, la notte è passata sotto tensione, almeno per la maggior parte della gente, che non riesce a trovare un minimo di riposo.

 

D. – Mons. Filoni, che notizie ha avuto dagli altri vescovi del Paese? Ieri come è trascorsa la domenica?

 

R. – Si sono svolte le cerimonie religiose, le messe, come al solito nelle chiese cattoliche. Secondo le informazioni che mi hanno dato alcuni vescovi e parroci, i due terzi della comunità cristiana si riuniscono. Ma bisogna pensare anche che c’è una buona parte di cristiani che sono ritornati ai villaggi di origine. Da Bassora, l’altro ieri, l’arcivescovo aveva fatto sapere che la situazione attorno alla chiesa, dove c’è la comunità maggiore che si riunisce, era tranquilla. Solo una chiesa in periferia era rimasta colpita: una bomba era  caduta nel giardino e il tetto della chiesa era crollato. Però fino a quel momento non c’erano danni a persone.

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Negli ultimi bombardamenti, è stata colpita anche la televisione di Stato irachena, che tuttavia ha ripreso in mattinata le trasmissioni interrotte per alcune ore. Intanto, per la prima volta dall’inizio del conflitto, la tv satellitare araba Al Jazeera ha mandato in onda una conferenza stampa del ministro degli esteri iracheno, Naji Sabri per il quale gli americani “sono intrappolati dalle loro illusioni”. Ma come viene percepito dai vertici politici e militari statunitensi l’evolversi del conflitto? Da New York, il servizio di Paolo Mastrolilli:

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Le truppe di terra americane, ferme da alcuni giorni, avrebbero ripreso lentamente ad avanzare verso la capitale, circondando anche le altre città contese nel sud. Alcuni analisti però sostengono che stanno aspettando i rinforzi appena mobilitati, perché allo stato attuale non sarebbero in grado di conquistare Baghdad, senza sanguinosi scontri nelle strade. Le truppe britanniche hanno lanciato nuovi attacchi contro Bassora, dove hanno catturato un generale iracheno, ma il controllo della città resta difficile da ottenere. Il capo del pentagono Rumsfeld e il generale Franks, che comanda le truppe nel Golfo, hanno difeso la strategia adottata finora e hanno smentito una pausa nelle operazioni. Rumsfeld ha negato anche di avere avuto divergenze con i militari riguardo il numero dei soldati mobilitati. Ieri, però, è avvenuto un altro attacco da parte di un civile contro le truppe americane. E’ successo nel Kuwait dove un egiziano ha lanciato il proprio camion contro un gruppo di soldati, colpendone circa 15.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Intanto, non si placa la polemica rovente tra Washington e Damasco sulle armi fornite dalla Siria all’Iraq. Dopo le dure parole di Rumsfled, ieri è stata la volta del segretario di Stato americano Powell che ha sollecitato il governo siriano a smettere d’appoggiare il regime di Baghdad. Sulla delicata questione degli armamenti illegalmente venduti agli iracheni, Andrea Sarubbi ha raccolto l’opinione di Guido Olimpio, esperto di terrorismo del Corriere della Sera:

 

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R. - Le armi sono arrivate da una rete molto estesa. Diciamo che i fornitori principali sono i Paesi dell’Europa dell’Est: si è parlato della Serbia, della Slovacchia, della Russia, della Bulgaria, dell’Ucraina, della Bielorussia. Gli snodi di questo traffico sono stati essenzialmente i porti della ex Jugoslavia sul Mediterraneo, il ponte del Montenegro e poi la Siria, che è il punto di passaggio principale per l’ingresso di materiale.

 

D. – Quindi, ha ragione Powell quando accusa la Siria?

 

R. – Non c’è dubbio che ci sia qualche forma di collaborazione con il regime. Si è anche parlato di una percentuale che i siriani incamererebbero in cambio del traffico di armi, circa un 20 per cento. E si è anche detto che in passato gli americani avevano scoperto traffici di petrolio tra Siria ed Iraq, ma avevano chiuso un occhio in cambio di informazioni su Al Qaeda, fornite dai servizi segreti siriani. Quindi, insomma è un grande baratto.

 

D. – In questo traffico è coinvolta o no anche la Corea del Nord, un altro di quegli Stati che Bush chiama “canaglia”?

 

R. – Prove dirette non ne abbiamo, ma si hanno molti sospetti. C’è stato un caso un paio di mesi fa, quando è stata intercettata una nave nel Mar Rosso con dei missili Scud, e si è detto che questi missili Scud andavano nello Yemen, una spiegazione che non ha mai convinto al 100 per cento. Diciamo che i missili nord coreani oggi sono in diversi Paesi dell’area, Siria compresa ed Iran.

 

D. – E l’Occidente ha qualche responsabilità in questo riarmo dell’Iraq?

 

R. – Il coinvolgimento occidentale era molto più pesante negli anni ’80, primi anni ’90, quando indubbiamente gli abbiamo venduto di tutto: tecnologia a doppio uso, ossia suscettibili impieghi militari e civili, armamenti, expertise, know-how. Compresi anche gli americani. Poi, dopo la Guerra del Golfo, questo si è ridotto. Però, non posso escludere che attraverso triangolazioni qualche società abbia venduto delle armi o, diciamo, tecnologia all’Iraq.

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Sul fronte umanitario, il Programma alimentare mondiale (Pam) delle Nazioni Unite ha chiesto 1,3 miliardi di dollari per far fronte all’emergenza alimentare in Iraq. Cresce, intanto, la preoccupazione tra le truppe anglo-americane dopo l’attacco kamikaze che sabato, a Najaf, ha provocato la morte di quattro marine. Il vicepremier iracheno Tareq Aziz ha affermato di non avere dubbi sulla possibilità di nuovi attacchi suicidi contro militari americani e britannici. Dal canto suo, un portavoce dell’esercito iracheno ha annunciato la presenza in Iraq di oltre quattromila volontari arabi di diversa nazionalità pronti a compiere attentati suicidi. Ma quali spiegazioni dare alla reazione del popolo iracheno di fronte a questa guerra? Ascoltiamo il giornalista e scrittore iracheno Younis Tawfik:

 

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R. – E’ dovuta ad una politica mal condotta e mal calcolata dalla parte degli alleati. Questa guerra per gli iracheni, e soprattutto per l’opposizione irachena, è una guerra illegittima, non per liberare il popolo iracheno ma per interessi propri. Il popolo stesso, non avendo a priori fiducia in questa operazione perché ha già subito un segno di tradimento nel ’91, ha reagito con sentimento nazionalista: oggi, il popolo si stringe attorno a Saddam – e questo è un ennesimo errore della politica occidentale – e la gente oggi combatte per difendere la propria terra.

 

D. – In questa guerra è comparso l’incubo dei kamikaze: c’è il rischio che il virus del fondamentalismo possa attecchire nella società irachena finora immune da questo male?

 

R. – Era già previsto, l’avevamo già detto: guardate che questo conflitto potrà alimentare odio, rancore e reazioni integraliste e violente di carattere terroristico come questa. Il Papa stesso l’aveva detto. Una società laica come quella irachena non ha mai conosciuto il fondamentalismo islamico, non aveva questo virus. Purtroppo, con questa guerra che poi è strumentalizzata soprattutto dal regime e dall’integralismo islamico, è diventata come fosse anche una guerra contro l’islam, contro un popolo islamico e contro un territorio islamico.

 

D. – Un terribile regime, un durissimo embargo, tre guerre in vent’anni: dove il popolo iracheno troverà la forza, le risorse per costruire un futuro di pace e di libertà?

 

R. – Credo che dopo quello che è successo e sta succedendo, che il popolo iracheno avrà ancora tanto da combattere e da lottare. Innanzitutto, bisogna convincere questo popolo, bisogna convincerlo che questa operazione è contro il regime; in secondo luogo, bisogna ritrovare la legittimità internazionale, non continuare ad intestardirsi ad agire da soli, individualmente, credendo di essere dalla parte del giusto. Bisogna dar fiducia al popolo iracheno, bisogna anche riuscire a riconciliare l’islam ed il cristianesimo, continuando con questa lotta per la pace e per il dialogo.

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Opporsi alla guerra contro l’Iraq significa, per un credente americano, essere sleale nei confronti della propria terra? In altre parole, nell’attuale contingenza internazionale, l’opzione si misura nel contrasto: “O con Dio o con il Paese?”. Non necessariamente, se ci si sofferma sulle ragioni del conflitto in corso, La domanda iniziale è il punto di partenza dell’ultimo editoriale di “America”, la rivista dei Gesuiti statunitensi, che giudica la seconda Guerra del Golfo “arrogante”, “inutile” e “stupida”. Ascoltiamo Alessandro De Carolis:

 

“God or country?” titola l’articolo, che pone in chiaro, sin dalle prime battute, come “quasi tutte le Chiese degli Stati Uniti” stiano “opponendosi alla guerra con l’Iraq”, ad eccezione di alcuni leader della Chiesa battista del Sud. Questa divisione, fa intendere l’editoriale, sta lacerando in modo più o meno profondo gli americani, costretti a scegliere tra “le avventure militari del loro presidente” e il “richiamo morale dei loro capi religiosi”. La risposta a questo quesito delle coscienze, secondo la rivista, non riguarda tanto la questione se Saddam Hussein - definito un inaffidabile “tiranno sanguinario” - debba essere disarmato, quanto piuttosto se debba essere disarmato “da una guerra” e debba esserlo “ora”. Riscontrato il fallimento sul terreno di una campagna militare breve, “America” analizza quale tipo di efficacia abbiano prodotto le misure restrittive adottate in passato. All’embargo imposto all’Iraq dalle Nazioni Unite viene attribuito certamente il peggioramento della situazione socio umanitaria della popolazione locale, ma anche il merito di aver tuttavia impedito il riarmo di Saddam e la riattivazione del suo programma nucleare. Così come alle no fly zone angloamericane quello di aver difeso i curdi nel nord e gli sciiti a sud. Dunque, afferma la rivista dei gesuiti, “il rafforzamento del sistema di ispezioni dell’Onu e lo sviluppo di una più robusta strategia di contenimento” sarebbero sufficienti al controllo della minaccia irachena.

 

L’editoriale critica invece duramente la politica di scontro con il Palazzo di Vetro voluta dalla Casa Bianca: il ritenere “giusta l’azione unilaterale” e l’avallo ad una politica di prevenzione e di dominio mondiale, si legge nell’articolo, hanno creato “condizioni di grande instabilità e di sospetto nei confronti degli Usa all’interno del consesso mondiale”. Un errore, soggiunge, è stato anche l’aver cercato una legittimazione di “facciata” al conflitto, fatta di “intimidazione” nei confronti dei Paesi deboli e ricorrendo al “libretto degli assegni” con le nazioni di media potenza come la Turchia. Nei confronti degli Stati del cosiddetto “asse del male”, poi, “America” definisce quella voluta da Bush una “guerra di scelta”: si è preferito porre in testa alla strategia di prevenzione il meno pericoloso Iraq piuttosto che la Corea del Nord o il Pakistan, del quale - scrive “America” - sono noti sia i “legami con Al Qaeda”, sia l’aiuto offerto dai propri scienziati ai programmi nucleari dell’Iran e della stessa Nord Corea.

 

Essendo ingiusta e inutile, dunque, conclude l’editoriale, l’offensiva armata contro l’Iraq non ha ragione di provocare crisi di coscienza nei cattolici americani, così come negli uomini di altre fedi. Dal momento che essa – si legge - porterà alla proliferazione delle armi di distruzione di massa, all’intensificazione del terrorismo e al rafforzamento dell’antimericanismo nel resto del mondo “per generazioni, opporsi oggi alla guerra vuol dire “scegliere entrambi: Dio e il Paese”.

 

Il prolungamento dell’offensiva militare angloamericana sta dando corpo a serrate e sempre più partecipate manifestazioni di protesta, nel mondo. Imponente quella di ieri a Peshawar, in Pakistan, con 300 mila persone. A Giakarta, in Indonesia, in 200 mila hanno inscenato il più grande corteo dall’inizio delle ostilità. Ma anche Calcutta e Rabat, la capitale del Marocco, hanno visto decine di migliaia di persone innalzare cori antiamericani e, in qualche caso, inviti ad “attacchi suicidi”. Anche la Spagna e la Grecia, in Europa, sono state attraversate da manifestazioni di pacifisti. Da ieri, in cima al monte Olimpo, a 2.900 metri di altezza, campeggia un enorme pannello, realizzato dagli universitari di Salonicco, che recita “Fermiamo la guerra”. E il sentimento antibellico ha trovato la possibilità di esprimersi anche in Cina, sia pure a determinate condizioni di sicurezza rigorosamente fissate dalla polizia. Il servizio, da Pechino, del corrispondente francese Mickaël Sztanke:

 

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D. - SI LA POLICE CINOISE AVAIT DONNE HIER SON ACCORD POUR LE DEROULEMENT ...

 

“Pur avendo dato ieri l’assenso allo svolgimento della prima manifestazione anti-guerra, la polizia aveva però stabilito che non più di un massimo di 350 persone avrebbero potuto dimostrare nelle strade della capitale. Solo poche decine di studenti si sono riuniti nel punto stabilito, con un dispositivo poliziesco impressionante: si contavano dieci volte tanti poliziotti quanti erano i manifestanti. Al di là di questi pochi studenti, i giornalisti cinesi e stranieri non hanno potuto scorgere che un solo striscione in lontananza sul quale era scritta in inglese una frase contro la guerra. All’altro capo della capitale, nel campus dell’università di Pechino, una ventina di studenti si erano raccolti davanti ad uno stand sul quale erano esposte le foto dei feriti iracheni. Separati dai manifestanti cinesi, 150 stranieri residenti a Pechino e scortati da altrettanti poliziotti hanno avuto il permesso di sfilare davanti all’ambasciata americana. La tensione che regnava a Pechino in occasione di questa prima giornata di manifestazioni contro la guerra in Iraq si è risolta in un fiasco ed ha deluso molti cinesi, che hanno rivendicato il diritto di svolgere una ‘vera’ manifestazione”.

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L’AMORE INCONDIZIONATO CHE SPOSTA LE MONTAGNE.

LA TESTIMONIANZA DI BARBARA HOFMANN

TRA I BAMBINI DI STRADA DEL MOZAMBICO

- Intervista con Barbara Hofmann -

 

Nel Mozambico, un Paese provato da 12 anni di guerra e dall’emergenza fame, i bambini soffrono maggiormente le terribili conseguenze di questi drammi. Ma le sofferenze e le più tristi prospettive di vita non sempre lasciano la loro eco di dolore inascoltato. Tremila e cinquecento minori destinati alla vita di strada hanno potuto accedere alla scuola primaria e secondaria. Centinaia hanno trovato ospitalità e sono riusciti ad integrarsi nella società grazie ad una straordinaria testimonianza di abnegazione caritatevole. Quella di Asem, l’associazione per i bambini in Mozambico fondata nel 1991 da Barbara Hofmann, la donna svizzera che proprio per la sue iniziative umanitarie ha ricevuto l’8 marzo scorso il “Premio ambasciatrice di pace”. Il servizio di Debora Donnini.

 

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Dare riparo ai tanti bambini che in Mozambico, logorato da anni di conflitto, vivono per strada, orfani, soggetti all’orrore delle violenze e degli abusi. Con questo intento, 12 anni fa, Barbara Hofmann, svizzera, allora non ancora trentenne, ha deciso di creare Asem, come ci racconta lei stessa.

 

R. - Dico sempre che è stato per destino che ho conosciuto il Mozambico. Una volta sono stata lì, ho visto la realtà. Era ancora durante la guerra e si sentiva parlare moltissimo dei bambini. Mi sono detta che non se ne poteva solo parlare, ma che si sarebbe dovuto fare qualcosa. Era un Paese chiuso, un Paese di guerra, un Paese comunista dove una persona, individualmente non poteva fare nulla. Allora sono ritornata in Svizzera, ho creato l’Associazione per i bambini mozambicani, l’Asem, ho venduto tutto ciò che avevo, ho preso i soldi e sono ritornata con un’associazione alle spalle, un contratto ed un biglietto da visita, così ho potuto fare qualcosa.

 

Barbara ha fondato due case per accogliere  bambini e ragazzi, due scuole e microprogetti per l’autofinanziamento. Ma il suo programma prevede anche di ricostruire la storia di ogni bambino, per aiutarlo a rintracciare, se possibile, la sua famiglia di origine. Ma quanti bambini sono stati aiutati da questa opera a studiare e a reintegrarsi? Ancora Barbara Hofmann:

 

R. - Ci sono migliaia di bambini che sono passati da noi. Migliaia anche che hanno studiato o che stanno studiando. Le storie di successo a diversi livelli, direi che sono quasi il 90 per cento, quando grazie al nostro aiuto il bambino o  il giovane ha potuto avere un lavoro, avere una formazione, insomma uscire dalla prostituzione o dalla spazzatura o quel che sia, avere una vita con dignità. Lo dico per noi lì, lo dico per voi qui, la cosa più importante è l’amore, l’attenzione ed il calore umano che si dà, e con questo tu puoi cambiare il mondo. 

 

D. – Quante rinunce ha dovuto fare lei per dedicarsi a questa missione?

 

R. – Tutto sembrava impossibile, specie i primi anni, però ho ricevuto talmente tanto che io non posso dire che ho rinunciato a qualcosa. Ovviamente ho rinunciato a qualcosa, ho rinunciato ad andare a teatro, ho rinunciato a vedere concerti, esposizioni, forse ho rinunciato a tante cose anche nella mia vita privata e non è stato facile. Per i primi 7 anni ho lavorato 365 giorni all’anno, ma se tu ricevi tanto dall’altra parte, non è una rinuncia. La cosa bella che ho ricevuto, l’insegnamento che ho ricevuto da questi bambini è altamente superiore. Penso anche che una cosa che mi ha salvata spesso, è l’amore per il prossimo, l’amore incondizionato che - lo dico perché è vero -  può spostare delle montagne. Se sei sulla strada giusta, non sei mai sola, hai sempre la Provvidenza.

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CHIESA E SOCIETA’

31 marzo 2003

 

 

E’ INIZIATA OGGI A ZAGABRIA L’ASSEMBLEA DELLA CONFERENZA EPISCOPALE CROATA.

L’ATTENZIONE DEI VESCOVI E’ RIVOLTA IN PRIMO PIANO ALLA PROSSIMA VISITA DEL PAPA NEL PAESE

 

ZAGABRIA. = E’ in corso a Zagabria, in programma da oggi fino al prossimo 4 aprile, l’Assemblea della conferenza episcopale croata. Tra i temi affrontati dai vescovi, figurano la prossima visita del Santo Padre nel Paese, prevista dal 5 al 9 giugno, il ruolo dei laici nella Chiesa croata e la preparazione della Giornata dei cattolici dell’Europa centrale. Queste tematiche sono già state ampiamente trattate nella lettera pastorale “Chiamati alla santità”. Si tratta di un documento programmatico con cui i presuli esortano la Chiesa croata ad una attività pastorale più intensa nella prospettiva della santità. Nel documento i vescovi concentrano inoltre la propria attenzione sul triplice servizio che consiste nell’annuncio della parola di Dio, nella celebrazione dei misteri di Cristo e nella cura pastorale per il popolo di Dio. All’ultimo censimento del 2001, l’80% dei quasi cinque milioni di abitanti, si è dichiarato cattolico. Il territorio croato è suddiviso nelle tre sedi metropolitane di Zagabria, Spalato e Fiume. (A.L.)

 

 

IN AFGHANISTAN L’ONU CONTINUERA’ A SVOLGERE ANCORA PER UN ANNO I PROPRI SFORZI

PER IL CONSOLIDAMENTO DELLA PACE E LA RICOSTRUZIONE DEL PAESE

 

NEW YORK. = Nella riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è votata ad unanimità la mozione che proroga di un anno la missione in Afghanistan. Nel documento si legge che “l’Onu deve continuare a svolgere il suo ruolo centrale ed imparziale negli sforzi internazionali di assistenza al popolo afgano, per il consolidamento della pace e per la ricostruzione del Paese”. In Afghanistan si prevedono elezioni generali per il 2004, ma in un suo commento, l’agenzia di stampa Associated Press, sostiene che “il primo ministro Hamid Karzai controlla solo la capitale Kabul, mentre i signori della guerra rimangono forti nelle altre province del Paese”. Il proseguimento della missione per un periodo tanto lungo  lascia trasparire il clima di incertezza che pesa sul futuro dell’Afghanistan. Intanto il governo americano ha concesso all’Fbi, la polizia federale, di aprire un proprio ufficio a Kabul. La decisione rientra nel potenziamento delle strutture investigative Usa all’indomani dell’attentato alle “Torri gemelle”. (A.L.)

 

 

PER LA PROSSIMA PASQUA IN UZBEKISTAN CI SARÀ UNA NUOVA CHIESA.

 NELLA CITTÀ DI URGENCH SINO AD ORA LA SANTA MESSA ERA CELEBRATA

NELLA CASE DEI PARROCCHIANI

 

TASHKENT. = Dopo due anni di Sante Messe celebrate nelle case dei parrocchiani, un gruppo di fedeli uzbeki di Urgench, nella zona occidentale del Paese, si prepara a celebrare la veglia pasquale in una vera chiesa. Secondo l’agenzia Fides, ben presto un edificio sarà adibito a chiesa parrocchiale dedicata alla Vergine Maria della Carità. Al suo interno i fedeli avranno a disposizione una cappella per la Santa Messa e locali per le catechesi ed i gruppi laicali. Sarà la prima e unica chiesa cattolica a Urgench. Come prevede la legge, per il riconoscimento della parrocchia è stata presentata all’ufficio dei culti un’apposita domanda sottoscritta da almeno cento adulti. Una parrocchiana, andando di porta in porta, ha raccolto 150 firme. La stessa fedele si è recata nella capitale Tashkent, per chiedere al superiore della Missio sui iuris in Uzbekistan di mandare un sacerdote nella regione di Khorezm. In Uzbekistan tre quarti dei 25 milioni di abitanti è musulmano. La Chiesa cattolica è rinata con la fine dell’Urss: i fedeli sono circa 3 mila, serviti da 9 sacerdoti, distribuiti in 5 parrocchie. (A.M/M.A.)

 

 

16 OPERAI SONO MORTI IN CINA PER UN’ESPLOSIONE AVVENUTA IERI

IN UNA MINIERA DI CARBONE. GLI IMPIANTI MINERARI DEL PAESE ASIATICO

 SONO TRA I PIÙ PERICOLOSI AL MONDO

 

PECHINO. = Ennesima tragedia in miniera in Cina: 16 operai sono morti in un’esplosione alimentata dall’accumulo di gas nella miniera di carbone di Mongjiagou, nella regione del Liaoning. Nel pozzo dove lavoravano 45 minatori, 19 sono stati tratti in salvo e 10 sono rimasti feriti. L’esplosione è avvenuta nella sera di domenica e le operazioni di soccorso sono ancora in atto. La scorsa settimana un’altra esplosione aveva causato la morte di almeno 50 uomini e 22 dispersi nella miniera di Mengnanzhuang, nel distretto di Luliang. Gli impianti minerari cinesi sono tra i più pericolosi del mondo. Secondo dati ufficiali dell’Ufficio di controllo sul lavoro dello Stato, nel 2002 in Cina sarebbero rimasti uccisi in incendi, crolli o allagamenti dei cunicoli oltre 4500 operai. Le autorità cinesi hanno più volte promesso di migliorare gli standard di sicurezza, compresa la formazione dei minatori, ma gli incidenti continuano ad essere frequenti. (A.L.)

 

 

LA MISERIA CONTINUA A DOMINARE LA GUINEA BISSAU. NEL PAESE,

UNO DEI PIU’ POVERI AL MONDO, SI AGGIUNGE  UNA GRAVE CRISI POLITICA

 

BISSAU. = “Dopo quasi due settimane di sciopero i lavoratori sono riusciti a strappare soltanto vuote e inconsistenti promesse, nonostante siano molti coloro che non ricevono alcun tipo di stipendio da più di sette mesi. Solo la miseria continua davvero a dominare la Guinea-Bissau”. E’ questa la testimonianza che l’Agenzia missionaria Misna ha ricevuto da una fonte locale. Già noto come uno dei Paesi più poveri al mondo, la Guinea-Bissau sta vivendo una crisi politica sempre più grave. Sciolto in novembre il parlamento controllato dall’opposizione, il presidente Kumba Ialà sembra intenzionato a limitare sempre più le libertà civili, procedendo soprattutto contro i giornalisti, le emittenti radio, i sindacalisti e chiunque critica il potere. Le elezioni, che dovevano svolgersi a febbraio, sono state posticipate al prossimo 20 aprile. “Anche la Comunità Internazionale ci ha completamente dimenticato - aggiunge con voce rassegnata la fonte della Misna - mentre una vera e propria esplosione sociale potrebbe avvenire da un momento all'altro. Ormai l'umanità guarda solo alla tragedia della guerra in Iraq.” “Ma ci sono tanti Iraq nel mondo”, conclude la fonte della Misna, aggiungendo che perfino le missioni cattoliche hanno subito in quattro mesi una decina di assalti da parte di banditi armati. (A.L.)

 

 

IL CONSIGLIO D’EUROPA HA PRESENTATO OGGI TRENTA NUOVI PORTALI INTERNET IN ALTRETTANTE LINGUE EUROPEE.

L’INIZIATIVA PERMETTERÀ A 800 MILIONI DI EUROPEI DI SEGUIRE I LAVORI DELL’ORGANISMO NELLA PROPRIA LINGUA MADRE

 

STRASBURGO. = Il Consiglio d’Europa utilizza internet per avvicinarsi ai cittadini. Il segretario generale, Walter Schwimmer, ha annunciato oggi il lancio di trenta nuovi portali in altrettante lingue europee. “Sono lieto – ha detto Schwimmer -  di annunciare il lancio di nuovi portali linguistici che realizzano il dispositivo di comunicazione on line messo in campo tre anni fa. Attraverso lo sviluppo sul web, utilizziamo le nuove tecnologie per meglio avvicinarci a 800 milioni di europei”. “L’obiettivo – ha proseguito il segretario generale - è collocare il cittadino nel cuore della nostra attività, permettendogli di accedere ai lavori dell’organizzazione nella sua lingua madre. Quest’orientamento costituisce una svolta nella politica linguistica del Consiglio d'Europa. Oltre alle lingue ufficiali, permettiamo la diffusione dei nostri documenti in più di 30 lingue”. (M.A.)

 

 

CINQUANT’ANNI FA VENIVA FONDATO IN SPAGNA L’ISTITUTO DEI “FOSSORES DELLA MISERICORDIA”, DEDICATO ALLA CURA DEI CIMITERI.

UN CARISMA CHE SOTTOLINEA CHE LA CARITÀ VERSO I DEFUNTI PROVIENE DALLA SPERANZA NELLA VITA ETERNA

 

GUADIX. = Celebra in questi giorni i cinquant’anni di fondazione la congregazione spagnola dei Fossores della misericordia, l’unico istituto religioso che ha come carisma particolare la cura dei cimiteri. Fu fondata nel 1953 da fra José Maria de Jesus Crucificado a Guadix, in provincia di Granada, per dedicarsi alla cura dei cimiteri secondo quanto indicano le opere di misericordia. Il nome fossores deriva dal porsi in continuità con i primi cristiani che perseguitati si riunivano nelle catacombe. Alcuni di loro erano addetti alla sepoltura accurata dei defunti nei loculi: in latino erano chiamati fossores, dalla parola fossa, che significa tomba, fossa. Le case dei Fossores della misericordia sono adiacenti ai cimiteri, dei quali si prendono cura, anche per quanto riguarda gli aspetti pratici come la pulizia e la manutenzione. Il loro carisma si applica soprattutto nell’ambito spirituale: accoglienza del defunto e dei parenti in campo santo, sepoltura, benedizione del sepolcro, preghiera per il defunto e conforto dei parenti. A distanza di cinquant’anni solo nove religiosi (tra cui il fondatore) sono rimasti in vita; si dividono in due comunità nella casa madre di Guadix e nel cimitero di Logroño. In un messaggio in occasione del Giubileo dell’istituto, fra José Maria ha sottolineato l’importanza della cura dei defunti: con la speranza nella Risurrezione, l’amore verso i defunti, spesso dimenticati, testimonia che la morte è l’inizio di una nuova vita. (M.A.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

31 marzo 2003

 

 

- A cura di Giada Aquilino -

 

Un nuovo episodio anti americano si è registrato stamani a Cipro. Un uomo è stato arrestato dopo aver lanciato una bottiglia molotov contro l’ambasciata statunitense a Nicosia. L'attacco, che non ha provocato danni materiali, è giunto dopo che negli ultimi giorni sull’isola sono montate le proteste contro la guerra in Iraq. In l’Afghanistan intanto cresce il timore di nuovi attentati. Secondo il colonnello Roger King - portavoce della missione Enduring Freedom nel Paese asiatico - dopo l’avvio delle operazioni militari contro Saddam Hussein, in Afghanistan c’è stata una recrudescenza degli attentati contro le forze militari occidentali. L’allarme è stato lanciato sia per gli scontri nella località di Skin, nel sud del Paese, tra forze americane ed afghani armati, sia per i fatti accaduti ieri a Kabul. Sentiamo Maria Grazia Coggiola:

 

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Mentre la guerra in Iraq si sta rivelando più lunga e sanguinosa del previsto, in Afghanistan sale la tensione. Ieri sera un missile da 107 millimetri è caduto nella caserma dell’Isaf - la forza di stabilizzazione internazionale - colpendo alcuni edifici, per fortuna non occupati. Un altro missile, pochi minuti dopo, è caduto nella periferia est di Kabul, fortunatamente anche questa volta senza provocare feriti. Si tratta di ordigni abbastanza rudimentali, sparati ad una distanza di 3 km, difficilmente orientabili su un obiettivo preciso. La caserma del contingente di pace potrebbe quindi essere stata colpita per caso. Secondo un generale dell’esercito afghano, a lanciare i due missili sarebbero stati gruppi che sono contrari alla piena ripresa della vita civile in Afghanistan e che approfittano di questo momento per colpire. Gruppi di Taleban si starebbero infatti raggruppando per intensificare gli attacchi.

 

Per la Radio Vaticana, Maria Grazia Coggiola.

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Riprende il dialogo tra le due Coree. Seul, allo scopo di porre fine al programma nucleare nordcoreano che ha suscitato la preoccupazione della comunità internazionale, ha proposto a Pyongyang il piano “energia in cambio di pace”. Si tratta di rifornire il Paese confinante di gas naturale, proveniente dalla Russia, con cui provvedere alle necessità energetiche del nord. In tal modo Pyongyang potrebbe abbandonare il programma di riarmo nucleare recentemente annunciato. L’idea è del consigliere sudcoreano per la sicurezza nazionale ed è stata riportata dal Financial Times.

 

Una cellula della Jihad islamica impegnata nella preparazione di un’autobomba che doveva esplodere all'ingresso di una base militare israeliana è stata smantellata dai servizi segreti dello Stato ebraico nel villaggio di Jaljulya, a nord-est di Tel Aviv. Ieri la stessa Jihad aveva rivendicato la paternità dell’attentato suicida avvenuto a Natanya, a nord di Tel Aviv: nell’esplosione è rimasto ucciso il kamikaze; una cinquantina di israeliani sono rimasti feriti.

 

Primo giorno di dispiegamento oggi in Macedonia del primo contingente militare della storia dell’Unione europea. I militari di Bruxelles, la cui operazione durerà sei mesi ed avrà l’obiettivo di garantire il processo di pace tra slavi ed albanesi, prenderanno il posto dei soldati Nato presenti a Skopje dal settembre del 2001. Il servizio di Emiliano Bos:

 

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L’operazione Concordia, come è stata chiamata in codice, conterà su circa 350 uomini provenienti da tutti i Paesi dell’Unione, tranne Danimarca ed Irlanda, e con il coinvolgimento tra gli altri anche di Canada, Turchia e Polonia. Benché numericamente modesta, questa prima spedizione rappresenta una manifestazione concreta della politica estera e di difesa di Bruxelles. Il progetto, comunque, prende il via in un momento in cui i Quindici non sono mai stati così divisi al loro interno, a causa della guerra che imperversa in Iraq. Già a gennaio di quest’anno una forza di pace dell’Unione aveva rilevato quella delle Nazioni Unite in Bosnia, ma ora l’Europa mette a prova la propria capacità di impegnarsi in future missioni di pace e guarda anche a scenari più in là dei Balcani. La Nato, con cui Bruxelles ha sottoscritto un accordo strategico, metterà a disposizione mezzi e strutture in Macedonia, ma questa volta la responsabilità delle operazioni spetterà all’Unione europea.

 

Per la Radio Vaticana, Emiliano Bos.

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Il presidente del Venezuela Hugo Chávez ha dato l'ordine di bombardare una zona presso la frontiera con la Colombia, dopo aver scoperto “la presenza di paramilitari colombiani” sul territorio venezuelano. Chávez ha annunciato inoltre che il problema dell'infiltrazione di elementi armati attraverso il confine sarà trattato in un prossimo vertice con il collega colombiano Álvaro Uribe.

 

Non si arresta l’emergenza legata all’epidemia di polmonite atipica. Le autorità di Hong Kong hanno sigillato un complesso residenziale nel quale sono state individuate 92 persone colpite dal virus. Due le vittime registrate oggi in città. La polmonite ha ucciso finora oltre 60 persone in diversi Paesi del mondo, mentre i ricoverati con i sintomi della malattia sono oltre 1.600.

 

Nigeria. A pochi giorni dalle elezioni parlamentari, previste per il prossimo 12 aprile, nel Paese africano sono da registrare nuove violenze a sfondo politico e uno sciopero generale indetto dal principale sindacato. Nei pressi della cittadina di Port Harcourt, nello Stato del Delta del Niger, i sostenitori del partito di governo Pdp si sono scontrati ieri con i fedelissimi del principale schieramento d'opposizione Anpp. Domani intanto dovrebbe prendere il via lo sciopero generale nazionale di 3 giorni, indetto dal sindacato 'National labour congress' per chiedere che il governo federale conceda aumenti salariali ai dipendenti del settore pubblico.

 

Zimbabwe. L’opposizione del Movimento per il cambiamento democratico ha accusato formazioni vicine al partito di governo ZANU-PF del presidente Robert Mugabe di aver scoraggiato gli elettori dei distretti di Kuwadzana e Highfield, costringendoli a non recarsi al voto lo scorso week end, per partecipare alle elezioni parlamentari.

 

Si sono svolte regolarmente le elezioni legislative in Benin, anche se la Commissione elettorale nazionale autonoma (Cena) ha comunicato che dei 3 milioni di aventi diritto solo il "50 per cento" di essi si è recato a votare. In ballo, gli 83 seggi del Parlamento. La coalizione di governo ‘Unione per il Benin del Futuro’ (Ubf) spera di ottenere una maggioranza più netta rispetto a quella su cui può contare attualmente (41 seggi) e che nella scorsa legislatura l'ha costretta spesso a dover scendere a patti con i partiti d'opposizione.

 

In Italia, la Corte d'Appello ha fissato per il 15 aprile prossimo un'udienza per la discussione e la decisione relative all’istanza di ricusazione presentata a Milano dall’onorevole Cesare Previti, nei confronti dei giudici della quarta sezione del Tribunale dove si celebra il processo Imi-Sir/Lodo. Previti ha presentato una ricusazione ''per grave inimicizia'', che chiama in causa il giudice naturale e la competenza territoriale.

 

 

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