RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 90 - Testo della
Trasmissione lunedì 31 marzo 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
La tragedia dell’umanità
ferita e martoriata in Iraq da una guerra “inutile e ingiusta”, secondo la
rivista dei gesuiti statunitensi “America”: con noi,
il nunzio a Baghdad mons. Fernando Filoni e i
giornalisti Guido Olimpio e Younis Tawfik.
CHIESA E
SOCIETA’:
Morti
in Cina 16 operai per una esplosione ieri in una miniera di carbone.
Allarme dalla missione
Enduring Freedom: con l’attacco all’Iraq, in Afghanistan crescono gli attentati
contro le forze militari occidentali.
A Tel Aviv, smantellata
una cellula della Jihad islamica che preparava una nuova esplosione.
Da oggi in Macedonia,
dispiegato il primo contingente militare dell’Unione europea.
31 marzo 2003
APPELLO DELLA CONGREGAZIONE PER
LE CHIESE ORIENTALI
AI
VESCOVI DI TUTTO IL MONDO, IN VISTA DELLA TRADIZIONALE COLLETTA
PER I
CRISTIANI DI TERRA SANTA, PIU’ CHE MAI BISOGNOSI DI SOSTEGNO
NELLE
CIRCOSTANZE ATTUALI
- A
cura di Paolo Salvo -
Un
“accorato appello” a sostenere i cristiani di Terra Santa, in vista del Venerdì
Santo, giorno che per volontà dei Sommi Pontefici è tradizionalmente dedicato
alla preghiera e alla “colletta” per la comunità cattolica locale e per il mantenimento
dei Luoghi della Redenzione, è rivolto dalla Congregazione per le Chiese
Orientali a tutti i vescovi cattolici del mondo: un appello che quest’anno,
anche a causa della guerra, assume un particolare significato di vicinanza alle
comunità cristiane così duramente provate.
In una lettera in sei lingue firmata dal cardinale Ignace
Moussa Doud, prefetto del dicastero, si ricorda che, in ascolto agli appelli di
vari Pontefici, da Paolo V nel Seicento fino a Giovanni Paolo II, “la comunità
cattolica, con la fedeltà della fraternità ecclesiale, ha sempre mostrato alla
Chiesa di Gerusalemme la sua sollecita vicinanza, sostenendo la testimonianza
‘unica’ che essa è chiamata a dare davanti al mondo”.
“La drammatica situazione attuale – sottolinea quindi la
lettera del cardinale Daoud – impone uno sforzo del tutto speciale anche in
termini materiali. I cristiani di Terra Santa, particolarmente tentati nelle
presenti circostanze dal senso di isolamento e di abbandono, devono, infatti,
sperimentare la carità evangelica che tutti ci unisce in Cristo e
l’incoraggiamento di tutta la Chiesa a rimanere nelle comunità d’origine”.
Nella lettera si precisa che la Congregazione per le
Chiese Orientali, per mandato pontificio, ha la responsabilità di coordinare
l’intervento della Chiesa universale per renderlo equo ed efficace. Comunità ed
enti cattolici, da parte loro, attendono il sostegno non solo per le necessità
ordinarie, ma anche per “gli imponenti bisogni straordinari” di numerose scuole
ed istituti di formazione e cultura, ospedali, e centri di assistenza sanitaria
e caritativa, come pure di strutture pastorali ed educative attorno alle quali
si sviluppa la custodia dei luoghi santi e si esprime la vita dei cristiani.
Il cardinale Daoud rinnova pertanto l’appello annuale,
“molto accorato”, a tutte le diocesi del mondo, per la Terra Santa, “facendo
eco agli innumerevoli pronunciamenti con i quali il Santo Padre continua a
mostrare la sua paterna vicinanza alla Chiesa che vive nella Terra del Signore
Gesù”. A nome di Giovanni Paolo II, il cardinale Daoud ringrazia tutti i
vescovi ed i loro collaboratori, “per l’ammirevole sensibilità finora
dimostrata”, con la “piena fiducia” che tale sensibilità “troverà conferma anche in avvenire”.
Il Papa
ha ricevuto in udienza stamani il ministro degli Esteri del Brasile, Celso Luiz
Nunez Amorim, con il seguito.
Sempre questa mattina, il Santo Padre ha ricevuto in
udienza il cardinale Bernard Agré, arcivescovo di Abidjan, in Costa d’Avorio.
IL SEGRETARIO DEL PAPA, MONS. STANISLAO
DZIWISZ,
RICOVERATO
AL POLICLINICO GEMELLI
Il
segretario di Giovanni Paolo II, mons. Stanislao Dziwisz, è ricoverato da
sabato scorso al Policlinico Gemelli, dove si era recato per sottoporsi ad
alcuni esami. Il presule polacco, che compirà 64 anni il prossimo 27 aprile, è
stato ricoverato precauzionalmente presso l’unità coronarica del Gemelli. Il
suo rientro in Vaticano è previsto nel giro di pochi giorni.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
"Insidiata la speranza
dell'umanità" è il titolo che apre la prima pagina.
L'Angelus Domini del Papa: il
dolore per gli scontri che insanguinano l'Iraq e il gioioso annuncio di un
nuovo importante documento dedicato al sacramento dell'Eucaristia,
"memoriale perenne" dell'amore di Dio per l'uomo.
Al centro della pagina,
l'annuncio del Papa: "Il prossimo Giovedì Santo firmerò l'Enciclica
sull'Eucaristia".
Nelle vaticane, una pagina
dedicata alle iniziative per la pace nelle diocesi italiane, in risposta ai
ripetuti appelli del Santo Padre.
Una pagina per la Conferenza
del nuovo arcivescovo di Esztergom-Budapest e primate d'Ungheria - alla
Pontificia Università Gregoriana - incentrata sul tema "Dinamica
storica della tensione tra universale e particolare nella società civile e
nella Chiesa".
Il dettagliato ragguaglio della
visita del cardinale Zenon Grocholewski ai centri di educazione cattolica a
Taiwan.
Nelle pagine estere,
continuano, intensi, i bombardamenti sull'Iraq.
La Croce Rossa internazionale
denuncia l'aggravarsi delle condizioni della popolazione civile: iniziative di
sostegno da parte della Germania e degli Emirati Arabi.
Medio Oriente: attentato
suicida provoca cinquanta feriti a Natanya; l'attacco rivendicato dalla Jihad
islamica e collegato esplicitamente alla crisi nel Golfo.
Nella pagina culturale, per la
rubrica "Incontri", l'intervista di Franco Lanza ad Anna Maria
Chiavacci, critica letteraria e dantista.
Nelle pagine italiane, in primo
piano la situazione politica in riferimento alla crisi irachena. Alla Camera,
mozioni sull'intervento umanitario.
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31 marzo 2003
PRIMI SCONTRI SUL TERRENO TRA LE TRUPPE ANGLO-AMERICANE
E LA GUARDIA REPUBBLICANA DI SADDAM HUSSEIN,
MENTRE
LA POPOLAZIONE DI BAGHDAD
E’
SEMPRE PIU’ PROVATA DAI BOMBARDAMENTI.
ROVENTE POLEMICA TRA SIRIA E STATI UNITI
SULLE ARMI VENDUTE ALL’IRAQ
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
Nel dodicesimo giorno di guerra nel Golfo, procedono
incessanti i bombardamenti su Baghdad, a cui si aggiungono gli attacchi
missilistici sempre più frequenti e massicci sul fronte nord dell’Iraq. Secondo
un reporter della France Presse, venti persone tra cui 11 bambini sono
rimasti uccisi in seguito ad un raid sulla capitale irachena nella notte tra il
29 e il 30 marzo. Sul piano militare, per gli americani sarebbe stata ridotta
del 50 per cento la capacità della Guardia repubblicana, mentre proprio il
corpo d’elite di Saddam Hussein sta combattendo a Najaf, 150 chilometri a sud
dalla capitale, nel primo combattimento terrestre con le forze della fanteria
americana. Truppe alleate hanno, inoltre, compiuto un’incursione a nord di
Nassiriya, alla ricerca di dirigenti iracheni di primo piano fra cui Ali Hassan
Al Majid, cugino di Saddam Hussein, responsabile nel 1988 di una campagna di
repressione nel Kurdistan iracheno in cui furono massicciamente impiegate armi
chimiche che provocarono migliaia di morti tra gli abitanti di Halabja. Ma torniamo a Baghdad, dove la popolazione è ormai
spossata dal martellamento continuo dei raid missilistici, come sottolinea il
nunzio apostolico, mons. Fernando Filoni, contattato stamani da Roberto
Piermarini:
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R. – Tutta la notte si sono sentite esplosioni attorno
alla città, lontane dalla Nunziatura. Esplosioni anche nella zona degli uffici
governativi. Fino a poco tempo fa si sono sentite esplosioni e bombardamenti.
Quindi, la notte è passata sotto tensione, almeno per la maggior parte della
gente, che non riesce a trovare un minimo di riposo.
D. – Mons. Filoni, che notizie ha avuto dagli altri
vescovi del Paese? Ieri come è trascorsa la domenica?
R. – Si sono svolte le cerimonie religiose, le messe, come
al solito nelle chiese cattoliche. Secondo le informazioni che mi hanno dato
alcuni vescovi e parroci, i due terzi della comunità cristiana si riuniscono.
Ma bisogna pensare anche che c’è una buona parte di cristiani che sono
ritornati ai villaggi di origine. Da Bassora, l’altro ieri, l’arcivescovo aveva
fatto sapere che la situazione attorno alla chiesa, dove c’è la comunità
maggiore che si riunisce, era tranquilla. Solo una chiesa in periferia era
rimasta colpita: una bomba era caduta
nel giardino e il tetto della chiesa era crollato. Però fino a quel momento non
c’erano danni a persone.
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Negli ultimi bombardamenti, è stata colpita anche la televisione di Stato
irachena, che tuttavia ha ripreso in mattinata le trasmissioni interrotte per
alcune ore. Intanto, per la prima volta dall’inizio del conflitto, la tv
satellitare araba Al Jazeera ha mandato in onda una conferenza stampa del
ministro degli esteri iracheno, Naji Sabri per il quale gli americani “sono intrappolati
dalle loro illusioni”. Ma come viene percepito dai vertici politici e militari
statunitensi l’evolversi del conflitto? Da New York, il servizio di Paolo
Mastrolilli:
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Le truppe di terra americane, ferme da alcuni giorni,
avrebbero ripreso lentamente ad avanzare verso la capitale, circondando anche
le altre città contese nel sud. Alcuni analisti però sostengono che stanno
aspettando i rinforzi appena mobilitati, perché allo stato attuale non
sarebbero in grado di conquistare Baghdad, senza sanguinosi scontri nelle
strade. Le truppe britanniche hanno lanciato nuovi attacchi contro Bassora,
dove hanno catturato un generale iracheno, ma il controllo della città resta
difficile da ottenere. Il capo del pentagono Rumsfeld e il generale Franks, che
comanda le truppe nel Golfo, hanno difeso la strategia adottata finora e hanno
smentito una pausa nelle operazioni. Rumsfeld ha negato anche di avere avuto
divergenze con i militari riguardo il numero dei soldati mobilitati. Ieri,
però, è avvenuto un altro attacco da parte di un civile contro le truppe
americane. E’ successo nel Kuwait dove un egiziano ha lanciato il proprio
camion contro un gruppo di soldati, colpendone circa 15.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Intanto, non si placa la polemica rovente tra Washington e
Damasco sulle armi fornite dalla Siria all’Iraq. Dopo le dure parole di
Rumsfled, ieri è stata la volta del segretario di Stato americano Powell che ha
sollecitato il governo siriano a smettere d’appoggiare il regime di Baghdad.
Sulla delicata questione degli armamenti illegalmente venduti agli iracheni,
Andrea Sarubbi ha raccolto l’opinione di Guido Olimpio, esperto di terrorismo
del Corriere della Sera:
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R. - Le armi sono arrivate da una rete molto estesa. Diciamo che i
fornitori principali sono i Paesi dell’Europa dell’Est: si è parlato della
Serbia, della Slovacchia, della Russia, della Bulgaria, dell’Ucraina, della
Bielorussia. Gli snodi di questo traffico sono stati essenzialmente i porti
della ex Jugoslavia sul Mediterraneo, il ponte del Montenegro e poi la Siria,
che è il punto di passaggio principale per l’ingresso di materiale.
D. – Quindi, ha ragione Powell quando accusa la Siria?
R. – Non c’è dubbio che ci sia qualche forma di collaborazione
con il regime. Si è anche parlato di una percentuale che i siriani
incamererebbero in cambio del traffico di armi, circa un 20 per cento. E si è
anche detto che in passato gli americani avevano scoperto traffici di petrolio
tra Siria ed Iraq, ma avevano chiuso un occhio in cambio di informazioni su Al
Qaeda, fornite dai servizi segreti siriani. Quindi, insomma è un grande
baratto.
D. – In questo traffico è coinvolta o no anche la Corea
del Nord, un altro di quegli Stati che Bush chiama “canaglia”?
R. – Prove dirette non ne abbiamo, ma si hanno molti
sospetti. C’è stato un caso un paio di mesi fa, quando è stata intercettata una
nave nel Mar Rosso con dei missili Scud, e si è detto che questi missili Scud
andavano nello Yemen, una spiegazione che non ha mai convinto al 100 per cento.
Diciamo che i missili nord coreani oggi sono in diversi Paesi dell’area, Siria
compresa ed Iran.
D. – E l’Occidente ha qualche responsabilità in questo
riarmo dell’Iraq?
R. – Il coinvolgimento occidentale era molto più pesante
negli anni ’80, primi anni ’90, quando indubbiamente gli abbiamo venduto di
tutto: tecnologia a doppio uso, ossia suscettibili impieghi militari e civili,
armamenti, expertise, know-how. Compresi anche gli americani. Poi, dopo la
Guerra del Golfo, questo si è ridotto. Però, non posso escludere che attraverso
triangolazioni qualche società abbia venduto delle armi o, diciamo, tecnologia
all’Iraq.
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Sul fronte umanitario, il Programma alimentare mondiale (Pam) delle Nazioni
Unite ha chiesto 1,3 miliardi di dollari per far fronte all’emergenza alimentare
in Iraq. Cresce, intanto, la preoccupazione tra le truppe anglo-americane dopo
l’attacco kamikaze che sabato, a Najaf, ha provocato la morte di quattro
marine. Il vicepremier iracheno Tareq Aziz ha affermato di non avere dubbi
sulla possibilità di nuovi attacchi suicidi contro militari americani e
britannici. Dal canto suo, un portavoce dell’esercito iracheno ha annunciato la
presenza in Iraq di oltre quattromila volontari arabi di diversa nazionalità
pronti a compiere attentati suicidi. Ma quali
spiegazioni dare alla reazione del popolo iracheno di fronte a questa guerra?
Ascoltiamo il giornalista e scrittore iracheno Younis Tawfik:
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R. – E’ dovuta ad una politica mal condotta e mal
calcolata dalla parte degli alleati. Questa guerra per gli iracheni, e
soprattutto per l’opposizione irachena, è una guerra illegittima, non per
liberare il popolo iracheno ma per interessi propri. Il popolo stesso, non
avendo a priori fiducia in questa operazione perché ha già subito un segno di
tradimento nel ’91, ha reagito con sentimento nazionalista: oggi, il popolo si
stringe attorno a Saddam – e questo è un ennesimo errore della politica
occidentale – e la gente oggi combatte per difendere la propria terra.
D. – In questa guerra è comparso l’incubo dei kamikaze:
c’è il rischio che il virus del fondamentalismo possa attecchire nella società
irachena finora immune da questo male?
R. – Era già previsto, l’avevamo già detto: guardate che
questo conflitto potrà alimentare odio, rancore e reazioni integraliste e
violente di carattere terroristico come questa. Il Papa stesso l’aveva detto.
Una società laica come quella irachena non ha mai conosciuto il fondamentalismo
islamico, non aveva questo virus. Purtroppo, con questa guerra che poi è
strumentalizzata soprattutto dal regime e dall’integralismo islamico, è
diventata come fosse anche una guerra contro l’islam, contro un popolo islamico
e contro un territorio islamico.
D. – Un terribile regime, un durissimo embargo, tre guerre
in vent’anni: dove il popolo iracheno troverà la forza, le risorse per
costruire un futuro di pace e di libertà?
R. – Credo che dopo quello che è successo e sta
succedendo, che il popolo iracheno avrà ancora tanto da combattere e da
lottare. Innanzitutto, bisogna convincere questo popolo, bisogna convincerlo
che questa operazione è contro il regime; in secondo luogo, bisogna ritrovare
la legittimità internazionale, non continuare ad intestardirsi ad agire da
soli, individualmente, credendo di essere dalla parte del giusto. Bisogna dar
fiducia al popolo iracheno, bisogna anche riuscire a riconciliare l’islam ed il
cristianesimo, continuando con questa lotta per la pace e per il dialogo.
**********
Opporsi
alla guerra contro l’Iraq significa, per un credente americano, essere sleale
nei confronti della propria terra? In altre parole, nell’attuale contingenza
internazionale, l’opzione si misura nel contrasto: “O con Dio o con il Paese?”.
Non necessariamente, se ci si sofferma sulle ragioni del conflitto in corso, La
domanda iniziale è il punto di partenza dell’ultimo editoriale di “America”, la
rivista dei Gesuiti statunitensi, che giudica la seconda Guerra del Golfo
“arrogante”, “inutile” e “stupida”. Ascoltiamo Alessandro De Carolis:
“God or country?” titola l’articolo, che pone in chiaro,
sin dalle prime battute, come “quasi tutte le Chiese degli Stati Uniti” stiano
“opponendosi alla guerra con l’Iraq”, ad eccezione di alcuni leader della
Chiesa battista del Sud. Questa divisione, fa intendere l’editoriale, sta
lacerando in modo più o meno profondo gli americani, costretti a scegliere tra
“le avventure militari del loro presidente” e il “richiamo morale dei loro capi
religiosi”. La risposta a questo quesito delle coscienze, secondo la rivista,
non riguarda tanto la questione se Saddam Hussein - definito un inaffidabile
“tiranno sanguinario” - debba essere disarmato, quanto piuttosto se debba
essere disarmato “da una guerra” e debba esserlo “ora”. Riscontrato il
fallimento sul terreno di una campagna militare breve, “America” analizza quale
tipo di efficacia abbiano prodotto le misure restrittive adottate in passato.
All’embargo imposto all’Iraq dalle Nazioni Unite viene attribuito certamente il
peggioramento della situazione socio umanitaria della popolazione locale, ma
anche il merito di aver tuttavia impedito il riarmo di Saddam e la riattivazione
del suo programma nucleare. Così come alle no fly zone angloamericane
quello di aver difeso i curdi nel nord e gli sciiti a sud. Dunque, afferma la
rivista dei gesuiti, “il rafforzamento del sistema di ispezioni dell’Onu e lo
sviluppo di una più robusta strategia di contenimento” sarebbero sufficienti al
controllo della minaccia irachena.
L’editoriale critica invece duramente la politica di
scontro con il Palazzo di Vetro voluta dalla Casa Bianca: il ritenere “giusta
l’azione unilaterale” e l’avallo ad una politica di prevenzione e di dominio
mondiale, si legge nell’articolo, hanno creato “condizioni di grande
instabilità e di sospetto nei confronti degli Usa all’interno del consesso
mondiale”. Un errore, soggiunge, è stato anche l’aver cercato una
legittimazione di “facciata” al conflitto, fatta di “intimidazione” nei
confronti dei Paesi deboli e ricorrendo al “libretto degli assegni” con le
nazioni di media potenza come la Turchia. Nei confronti degli Stati del
cosiddetto “asse del male”, poi, “America” definisce quella voluta da Bush una
“guerra di scelta”: si è preferito porre in testa alla strategia di prevenzione
il meno pericoloso Iraq piuttosto che la Corea del Nord o il Pakistan, del
quale - scrive “America” - sono noti sia i “legami con Al Qaeda”, sia l’aiuto
offerto dai propri scienziati ai programmi nucleari dell’Iran e della stessa
Nord Corea.
Essendo ingiusta e inutile, dunque, conclude l’editoriale,
l’offensiva armata contro l’Iraq non ha ragione di provocare crisi di coscienza
nei cattolici americani, così come negli uomini di altre fedi. Dal momento che
essa – si legge - porterà alla proliferazione delle armi di distruzione di
massa, all’intensificazione del terrorismo e al rafforzamento
dell’antimericanismo nel resto del mondo “per generazioni, opporsi oggi alla
guerra vuol dire “scegliere entrambi: Dio e il Paese”.
Il prolungamento dell’offensiva militare angloamericana
sta dando corpo a serrate e sempre più partecipate manifestazioni di protesta,
nel mondo. Imponente quella di ieri a Peshawar, in Pakistan, con 300 mila
persone. A Giakarta, in Indonesia, in 200 mila hanno inscenato il più grande
corteo dall’inizio delle ostilità. Ma anche Calcutta e Rabat, la capitale del
Marocco, hanno visto decine di migliaia di persone innalzare cori antiamericani
e, in qualche caso, inviti ad “attacchi suicidi”. Anche la Spagna e la Grecia,
in Europa, sono state attraversate da manifestazioni di pacifisti. Da ieri, in
cima al monte Olimpo, a 2.900 metri di altezza, campeggia un enorme pannello,
realizzato dagli universitari di Salonicco, che recita “Fermiamo la guerra”. E
il sentimento antibellico ha trovato la possibilità di esprimersi anche in
Cina, sia pure a determinate condizioni di sicurezza rigorosamente fissate
dalla polizia. Il servizio, da Pechino, del corrispondente francese Mickaël
Sztanke:
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D. - SI LA POLICE CINOISE
AVAIT DONNE HIER SON ACCORD POUR LE DEROULEMENT ...
“Pur avendo dato ieri l’assenso allo svolgimento della
prima manifestazione anti-guerra, la polizia aveva però stabilito che non più
di un massimo di 350 persone avrebbero potuto dimostrare nelle strade della
capitale. Solo poche decine di studenti si sono riuniti nel punto stabilito,
con un dispositivo poliziesco impressionante: si contavano dieci volte tanti
poliziotti quanti erano i manifestanti. Al di là di questi pochi studenti, i
giornalisti cinesi e stranieri non hanno potuto scorgere che un solo striscione
in lontananza sul quale era scritta in inglese una frase contro la guerra.
All’altro capo della capitale, nel campus dell’università di Pechino, una
ventina di studenti si erano raccolti davanti ad uno stand sul quale erano
esposte le foto dei feriti iracheni. Separati dai manifestanti cinesi, 150 stranieri
residenti a Pechino e scortati da altrettanti poliziotti hanno avuto il permesso
di sfilare davanti all’ambasciata americana. La tensione che regnava a Pechino
in occasione di questa prima giornata di manifestazioni contro la guerra in
Iraq si è risolta in un fiasco ed ha deluso molti cinesi, che hanno rivendicato
il diritto di svolgere una ‘vera’ manifestazione”.
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L’AMORE INCONDIZIONATO CHE SPOSTA LE MONTAGNE.
LA
TESTIMONIANZA DI BARBARA HOFMANN
TRA I
BAMBINI DI STRADA DEL MOZAMBICO
-
Intervista con Barbara Hofmann -
Nel
Mozambico, un Paese provato da 12 anni di guerra e dall’emergenza fame, i
bambini soffrono maggiormente le terribili conseguenze di questi drammi. Ma le
sofferenze e le più tristi prospettive di vita non sempre lasciano la loro eco
di dolore inascoltato. Tremila e cinquecento minori destinati alla vita di
strada hanno potuto accedere alla scuola primaria e secondaria. Centinaia hanno
trovato ospitalità e sono riusciti ad integrarsi nella società grazie ad una
straordinaria testimonianza di abnegazione caritatevole. Quella di Asem,
l’associazione per i bambini in Mozambico fondata nel 1991 da Barbara Hofmann,
la donna svizzera che proprio per la sue iniziative umanitarie ha ricevuto l’8
marzo scorso il “Premio ambasciatrice di pace”. Il servizio di Debora Donnini.
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Dare riparo ai tanti bambini che in Mozambico, logorato da
anni di conflitto, vivono per strada, orfani, soggetti all’orrore delle violenze
e degli abusi. Con questo intento, 12 anni fa, Barbara Hofmann, svizzera,
allora non ancora trentenne, ha deciso di creare Asem, come ci racconta lei
stessa.
R. - Dico sempre che è stato per destino che ho conosciuto
il Mozambico. Una volta sono stata lì, ho visto la realtà. Era ancora durante
la guerra e si sentiva parlare moltissimo dei bambini. Mi sono detta che non se
ne poteva solo parlare, ma che si sarebbe dovuto fare qualcosa. Era un Paese
chiuso, un Paese di guerra, un Paese comunista dove una persona,
individualmente non poteva fare nulla. Allora sono ritornata in Svizzera, ho
creato l’Associazione per i bambini mozambicani, l’Asem, ho venduto tutto ciò
che avevo, ho preso i soldi e sono ritornata con un’associazione alle spalle,
un contratto ed un biglietto da visita, così ho potuto fare qualcosa.
Barbara ha fondato due case per accogliere bambini e ragazzi, due scuole e
microprogetti per l’autofinanziamento. Ma il suo programma prevede anche di
ricostruire la storia di ogni bambino, per aiutarlo a rintracciare, se
possibile, la sua famiglia di origine. Ma quanti bambini sono stati aiutati da
questa opera a studiare e a reintegrarsi? Ancora Barbara Hofmann:
R. - Ci sono migliaia di bambini che sono passati da noi.
Migliaia anche che hanno studiato o che stanno studiando. Le storie di successo
a diversi livelli, direi che sono quasi il 90 per cento, quando grazie al
nostro aiuto il bambino o il giovane ha
potuto avere un lavoro, avere una formazione, insomma uscire dalla
prostituzione o dalla spazzatura o quel che sia, avere una vita con dignità. Lo
dico per noi lì, lo dico per voi qui, la cosa più importante è l’amore,
l’attenzione ed il calore umano che si dà, e con questo tu puoi cambiare il
mondo.
D. – Quante rinunce ha dovuto fare lei per dedicarsi a
questa missione?
R. – Tutto sembrava impossibile, specie i primi anni, però
ho ricevuto talmente tanto che io non posso dire che ho rinunciato a qualcosa.
Ovviamente ho rinunciato a qualcosa, ho rinunciato ad andare a teatro, ho
rinunciato a vedere concerti, esposizioni, forse ho rinunciato a tante cose
anche nella mia vita privata e non è stato facile. Per i primi 7 anni ho
lavorato 365 giorni all’anno, ma se tu ricevi tanto dall’altra parte, non è una
rinuncia. La cosa bella che ho ricevuto, l’insegnamento che ho ricevuto da
questi bambini è altamente superiore. Penso anche che una cosa che mi ha
salvata spesso, è l’amore per il prossimo, l’amore incondizionato che - lo dico
perché è vero - può spostare delle
montagne. Se sei sulla strada giusta, non sei mai sola, hai sempre la
Provvidenza.
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31 marzo 2003
E’ INIZIATA OGGI A ZAGABRIA
L’ASSEMBLEA DELLA CONFERENZA EPISCOPALE CROATA.
L’ATTENZIONE
DEI VESCOVI E’ RIVOLTA IN PRIMO PIANO ALLA PROSSIMA VISITA DEL PAPA NEL PAESE
ZAGABRIA. = E’ in corso a Zagabria, in programma
da oggi fino al prossimo 4 aprile, l’Assemblea della conferenza episcopale
croata. Tra i temi affrontati dai vescovi, figurano la prossima visita del
Santo Padre nel Paese, prevista dal 5 al 9 giugno, il ruolo dei laici nella
Chiesa croata e la preparazione della Giornata dei cattolici dell’Europa
centrale. Queste tematiche sono già state ampiamente trattate nella lettera
pastorale “Chiamati alla santità”. Si tratta di un documento programmatico con
cui i presuli esortano la Chiesa croata ad una attività pastorale più intensa
nella prospettiva della santità. Nel documento i vescovi concentrano inoltre la
propria attenzione sul triplice servizio che consiste nell’annuncio della
parola di Dio, nella celebrazione dei misteri di Cristo e nella cura pastorale
per il popolo di Dio. All’ultimo censimento del 2001, l’80% dei quasi cinque
milioni di abitanti, si è dichiarato cattolico. Il territorio croato è
suddiviso nelle tre sedi metropolitane di Zagabria, Spalato e Fiume. (A.L.)
IN AFGHANISTAN L’ONU CONTINUERA’ A SVOLGERE ANCORA PER
UN ANNO I PROPRI SFORZI
PER IL
CONSOLIDAMENTO DELLA PACE E LA RICOSTRUZIONE DEL PAESE
NEW YORK. = Nella riunione del
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è votata ad unanimità la mozione
che proroga di un anno la missione in Afghanistan. Nel documento si legge che
“l’Onu deve continuare a svolgere il suo ruolo centrale ed imparziale negli
sforzi internazionali di assistenza al popolo afgano, per il consolidamento
della pace e per la ricostruzione del Paese”. In Afghanistan si prevedono
elezioni generali per il 2004, ma in un suo commento, l’agenzia di stampa Associated
Press, sostiene che “il primo ministro Hamid Karzai controlla solo la
capitale Kabul, mentre i signori della guerra rimangono forti nelle altre
province del Paese”. Il proseguimento della missione per un periodo tanto
lungo lascia trasparire il clima di
incertezza che pesa sul futuro dell’Afghanistan. Intanto il governo americano
ha concesso all’Fbi, la polizia federale, di aprire un proprio ufficio a Kabul.
La decisione rientra nel potenziamento delle strutture investigative Usa
all’indomani dell’attentato alle “Torri gemelle”. (A.L.)
PER LA PROSSIMA PASQUA IN UZBEKISTAN
CI SARÀ UNA NUOVA CHIESA.
NELLA CITTÀ DI URGENCH SINO AD ORA LA SANTA
MESSA ERA CELEBRATA
NELLA
CASE DEI PARROCCHIANI
TASHKENT.
= Dopo due anni di Sante Messe celebrate nelle case dei parrocchiani, un gruppo
di fedeli uzbeki di Urgench, nella zona occidentale del Paese, si prepara a
celebrare la veglia pasquale in una vera chiesa. Secondo l’agenzia Fides, ben
presto un edificio sarà adibito a chiesa parrocchiale dedicata alla Vergine Maria
della Carità. Al suo interno i fedeli avranno a disposizione una cappella per
la Santa Messa e locali per le catechesi ed i gruppi laicali. Sarà la prima e unica
chiesa cattolica a Urgench. Come prevede la legge, per il riconoscimento della
parrocchia è stata presentata all’ufficio dei culti un’apposita domanda sottoscritta
da almeno cento adulti. Una parrocchiana, andando di porta in porta, ha
raccolto 150 firme. La stessa fedele si è recata nella capitale Tashkent, per
chiedere al superiore della Missio sui iuris in Uzbekistan di mandare un
sacerdote nella regione di Khorezm. In Uzbekistan tre quarti dei 25 milioni di
abitanti è musulmano. La Chiesa cattolica è rinata con la fine dell’Urss: i
fedeli sono circa 3 mila, serviti da 9 sacerdoti, distribuiti in 5 parrocchie. (A.M/M.A.)
16 OPERAI SONO MORTI IN CINA PER
UN’ESPLOSIONE AVVENUTA IERI
IN UNA
MINIERA DI CARBONE. GLI IMPIANTI MINERARI DEL PAESE ASIATICO
SONO TRA I PIÙ PERICOLOSI AL MONDO
PECHINO.
= Ennesima tragedia in miniera in Cina: 16 operai sono morti in un’esplosione
alimentata dall’accumulo di gas nella miniera di carbone di Mongjiagou, nella
regione del Liaoning. Nel pozzo dove lavoravano 45 minatori, 19 sono stati tratti
in salvo e 10 sono rimasti feriti. L’esplosione è avvenuta nella sera di
domenica e le operazioni di soccorso sono ancora in atto. La scorsa settimana
un’altra esplosione aveva causato la morte di almeno 50 uomini e 22 dispersi
nella miniera di Mengnanzhuang, nel distretto di Luliang. Gli impianti minerari
cinesi sono tra i più pericolosi del mondo. Secondo dati ufficiali dell’Ufficio
di controllo sul lavoro dello Stato, nel 2002 in Cina sarebbero rimasti uccisi
in incendi, crolli o allagamenti dei cunicoli oltre 4500 operai. Le autorità
cinesi hanno più volte promesso di migliorare gli standard di sicurezza,
compresa la formazione dei minatori, ma gli incidenti continuano ad essere
frequenti. (A.L.)
LA MISERIA CONTINUA A DOMINARE LA GUINEA BISSAU.
NEL PAESE,
UNO
DEI PIU’ POVERI AL MONDO, SI AGGIUNGE
UNA GRAVE CRISI POLITICA
BISSAU.
= “Dopo quasi due settimane di sciopero i lavoratori sono riusciti a strappare
soltanto vuote e inconsistenti promesse, nonostante siano molti coloro che non
ricevono alcun tipo di stipendio da più di sette mesi. Solo la miseria continua
davvero a dominare la Guinea-Bissau”. E’ questa la testimonianza che l’Agenzia
missionaria Misna ha ricevuto da una fonte locale. Già noto come uno dei Paesi
più poveri al mondo, la Guinea-Bissau sta vivendo una crisi politica sempre più
grave. Sciolto in novembre il parlamento controllato dall’opposizione, il
presidente Kumba Ialà sembra intenzionato a limitare sempre più le libertà civili,
procedendo soprattutto contro i giornalisti, le emittenti radio, i sindacalisti
e chiunque critica il potere. Le elezioni, che dovevano svolgersi a febbraio,
sono state posticipate al prossimo 20 aprile. “Anche la Comunità Internazionale
ci ha completamente dimenticato - aggiunge con voce rassegnata la fonte della
Misna - mentre una vera e propria esplosione sociale potrebbe avvenire da un
momento all'altro. Ormai l'umanità guarda solo alla tragedia della guerra in
Iraq.” “Ma ci sono tanti Iraq nel mondo”, conclude la fonte della Misna,
aggiungendo che perfino le missioni cattoliche hanno subito in quattro mesi una
decina di assalti da parte di banditi armati. (A.L.)
IL CONSIGLIO D’EUROPA HA PRESENTATO OGGI TRENTA NUOVI
PORTALI INTERNET IN ALTRETTANTE LINGUE EUROPEE.
L’INIZIATIVA PERMETTERÀ
A 800 MILIONI DI EUROPEI DI SEGUIRE I LAVORI DELL’ORGANISMO NELLA PROPRIA
LINGUA MADRE
STRASBURGO.
= Il Consiglio d’Europa utilizza internet per avvicinarsi ai cittadini. Il
segretario generale, Walter Schwimmer, ha annunciato oggi il lancio di trenta
nuovi portali in altrettante lingue europee. “Sono lieto – ha detto Schwimmer
- di annunciare il lancio di nuovi
portali linguistici che realizzano il dispositivo di comunicazione on line
messo in campo tre anni fa. Attraverso lo sviluppo sul web, utilizziamo le
nuove tecnologie per meglio avvicinarci a 800 milioni di europei”. “L’obiettivo
– ha proseguito il segretario generale - è collocare il cittadino nel cuore
della nostra attività, permettendogli di accedere ai lavori dell’organizzazione
nella sua lingua madre. Quest’orientamento costituisce una svolta nella
politica linguistica del Consiglio d'Europa. Oltre alle lingue ufficiali,
permettiamo la diffusione dei nostri documenti in più di 30 lingue”. (M.A.)
CINQUANT’ANNI FA VENIVA FONDATO IN SPAGNA
L’ISTITUTO DEI “FOSSORES DELLA MISERICORDIA”, DEDICATO ALLA CURA DEI CIMITERI.
UN
CARISMA CHE SOTTOLINEA CHE LA CARITÀ VERSO I DEFUNTI PROVIENE DALLA SPERANZA
NELLA VITA ETERNA
GUADIX. = Celebra in questi giorni
i cinquant’anni di fondazione la congregazione spagnola dei Fossores della
misericordia, l’unico istituto religioso che ha come carisma particolare la
cura dei cimiteri. Fu fondata nel 1953 da fra José Maria de Jesus Crucificado a
Guadix, in provincia di Granada, per dedicarsi alla cura dei cimiteri secondo
quanto indicano le opere di misericordia. Il nome fossores deriva dal
porsi in continuità con i primi cristiani che perseguitati si riunivano nelle
catacombe. Alcuni di loro erano addetti alla sepoltura accurata dei defunti nei
loculi: in latino erano chiamati fossores, dalla parola fossa,
che significa tomba, fossa. Le case dei Fossores della misericordia sono
adiacenti ai cimiteri, dei quali si prendono cura, anche per quanto riguarda
gli aspetti pratici come la pulizia e la manutenzione. Il loro carisma si applica
soprattutto nell’ambito spirituale: accoglienza del defunto e dei parenti in
campo santo, sepoltura, benedizione del sepolcro, preghiera per il defunto e
conforto dei parenti. A distanza di cinquant’anni solo nove religiosi (tra cui
il fondatore) sono rimasti in vita; si dividono in due comunità nella casa
madre di Guadix e nel cimitero di Logroño. In un
messaggio in occasione del Giubileo dell’istituto, fra José Maria ha sottolineato
l’importanza della cura dei defunti: con la speranza nella Risurrezione,
l’amore verso i defunti, spesso dimenticati, testimonia che la morte è l’inizio
di una nuova vita. (M.A.)
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31 marzo 2003
- A cura di Giada Aquilino -
Un nuovo episodio anti
americano si è registrato stamani a Cipro. Un uomo è stato arrestato dopo aver
lanciato una bottiglia molotov contro l’ambasciata statunitense a Nicosia.
L'attacco, che non ha provocato danni materiali, è giunto dopo che negli ultimi
giorni sull’isola sono montate le proteste contro la guerra in Iraq. In
l’Afghanistan intanto cresce il timore di nuovi attentati. Secondo il colonnello
Roger King - portavoce della missione Enduring Freedom nel Paese asiatico -
dopo l’avvio delle operazioni militari contro Saddam Hussein, in Afghanistan
c’è stata una recrudescenza degli attentati contro le forze militari
occidentali. L’allarme è stato lanciato sia per gli scontri nella località di
Skin, nel sud del Paese, tra forze americane ed afghani armati, sia per i fatti
accaduti ieri a Kabul. Sentiamo Maria Grazia Coggiola:
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Mentre la guerra in Iraq si sta
rivelando più lunga e sanguinosa del previsto, in Afghanistan sale la tensione.
Ieri sera un missile da 107 millimetri è caduto nella caserma dell’Isaf - la
forza di stabilizzazione internazionale - colpendo alcuni edifici, per fortuna non occupati. Un
altro missile, pochi minuti dopo, è caduto nella periferia est di Kabul,
fortunatamente anche questa volta senza provocare feriti. Si tratta di ordigni
abbastanza rudimentali, sparati ad una distanza di 3 km, difficilmente
orientabili su un obiettivo preciso. La caserma del contingente di pace
potrebbe quindi essere stata colpita per caso. Secondo un generale
dell’esercito afghano, a lanciare i due missili sarebbero stati gruppi che sono
contrari alla piena ripresa della vita civile in Afghanistan e che approfittano
di questo momento per colpire. Gruppi di Taleban si starebbero infatti
raggruppando per intensificare gli attacchi.
Per la Radio Vaticana, Maria Grazia Coggiola.
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Riprende il dialogo tra le due Coree. Seul, allo scopo di
porre fine al programma nucleare nordcoreano che ha suscitato la preoccupazione
della comunità internazionale, ha proposto a Pyongyang il piano “energia in
cambio di pace”. Si tratta di rifornire il Paese confinante di gas naturale,
proveniente dalla Russia, con cui provvedere alle necessità energetiche del
nord. In tal modo Pyongyang potrebbe abbandonare il programma di riarmo
nucleare recentemente annunciato. L’idea è del consigliere sudcoreano per la
sicurezza nazionale ed è stata riportata dal Financial Times.
Una cellula della Jihad islamica impegnata nella
preparazione di un’autobomba che doveva esplodere all'ingresso di una base
militare israeliana è stata smantellata dai servizi segreti dello Stato ebraico
nel villaggio di Jaljulya, a nord-est di Tel Aviv. Ieri la stessa Jihad aveva
rivendicato la paternità dell’attentato suicida avvenuto a Natanya, a nord di
Tel Aviv: nell’esplosione è rimasto ucciso il kamikaze; una cinquantina di
israeliani sono rimasti feriti.
Primo giorno di dispiegamento oggi in Macedonia del primo
contingente militare della storia dell’Unione europea. I militari di Bruxelles,
la cui operazione durerà sei mesi ed avrà l’obiettivo di garantire il processo
di pace tra slavi ed albanesi, prenderanno il posto dei soldati Nato presenti a
Skopje dal settembre del 2001. Il servizio di Emiliano Bos:
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L’operazione Concordia, come è stata chiamata in codice,
conterà su circa 350 uomini provenienti da tutti i Paesi dell’Unione, tranne
Danimarca ed Irlanda, e con il coinvolgimento tra gli altri anche di Canada,
Turchia e Polonia. Benché numericamente modesta, questa prima spedizione
rappresenta una manifestazione concreta della politica estera e di difesa di
Bruxelles. Il progetto, comunque, prende il via in un momento in cui i Quindici
non sono mai stati così divisi al loro interno, a causa della guerra che imperversa
in Iraq. Già a gennaio di quest’anno una forza di pace dell’Unione aveva
rilevato quella delle Nazioni Unite in Bosnia, ma ora l’Europa mette a prova la
propria capacità di impegnarsi in future missioni di pace e guarda anche a
scenari più in là dei Balcani. La Nato, con cui Bruxelles ha sottoscritto un
accordo strategico, metterà a disposizione mezzi e strutture in Macedonia, ma
questa volta la responsabilità delle operazioni spetterà all’Unione europea.
Per la Radio Vaticana, Emiliano Bos.
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Il presidente del Venezuela Hugo Chávez ha dato l'ordine
di bombardare una zona presso la frontiera con la Colombia, dopo aver scoperto
“la presenza di paramilitari colombiani” sul territorio venezuelano. Chávez ha
annunciato inoltre che il problema dell'infiltrazione di elementi armati
attraverso il confine sarà trattato in un prossimo vertice con il collega
colombiano Álvaro Uribe.
Non si
arresta l’emergenza legata all’epidemia di polmonite atipica. Le autorità di
Hong Kong hanno sigillato un complesso residenziale nel quale sono state individuate
92 persone colpite dal virus. Due le vittime registrate oggi in città. La
polmonite ha ucciso finora oltre 60 persone in diversi Paesi del mondo, mentre
i ricoverati con i sintomi della malattia sono oltre 1.600.
Nigeria.
A pochi giorni dalle elezioni parlamentari, previste per il prossimo 12 aprile,
nel Paese africano sono da registrare nuove violenze a sfondo politico e uno
sciopero generale indetto dal principale sindacato. Nei pressi della cittadina
di Port Harcourt, nello Stato del Delta del Niger, i sostenitori del partito di
governo Pdp si sono scontrati ieri con i fedelissimi del principale
schieramento d'opposizione Anpp. Domani intanto dovrebbe prendere il via lo
sciopero generale nazionale di 3 giorni, indetto dal sindacato 'National labour
congress' per chiedere che il governo federale conceda aumenti salariali ai
dipendenti del settore pubblico.
Zimbabwe.
L’opposizione del Movimento per il cambiamento democratico ha accusato
formazioni vicine al partito di governo ZANU-PF del presidente Robert Mugabe di
aver scoraggiato gli elettori dei distretti di Kuwadzana e Highfield,
costringendoli a non recarsi al voto lo scorso week end, per partecipare alle
elezioni parlamentari.
Si sono svolte regolarmente le elezioni legislative
in Benin, anche se la Commissione elettorale nazionale autonoma (Cena) ha
comunicato che dei 3 milioni di aventi diritto solo il "50 per cento"
di essi si è recato a votare. In ballo, gli 83 seggi del Parlamento. La
coalizione di governo ‘Unione per il Benin del Futuro’ (Ubf) spera di ottenere
una maggioranza più netta rispetto a quella su cui può contare attualmente (41
seggi) e che nella scorsa legislatura l'ha costretta spesso a dover scendere a
patti con i partiti d'opposizione.
In
Italia, la Corte d'Appello ha fissato per il 15 aprile prossimo un'udienza per
la discussione e la decisione relative all’istanza di ricusazione presentata a
Milano dall’onorevole Cesare Previti, nei confronti dei giudici della quarta
sezione del Tribunale dove si celebra il processo Imi-Sir/Lodo. Previti ha
presentato una ricusazione ''per grave inimicizia'', che chiama in causa il
giudice naturale e la competenza territoriale.
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