RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 88 - Testo della
Trasmissione sabato 29 marzo 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Drammatica
situazione negli ospedali di Baghdad al decimo giorno di guerra. Nuovi appelli
e iniziative per la pace: con noi, il vescovo caldeo
Emmanuel Delly, Nicoletta Dentico e il prof. Antonio Maria Baggio.
CHIESA E
SOCIETA’:
Su
Chiesa e informatica, un Congresso continentale americano in Messico dal 2
aprile.
E’
un medico italiano l’ultima vittima della polmonite atipica.
Serbia
sotto shock dopo il ritrovamento del corpo dell’ex presidente Stambolic.
Oggi
a Pretoria la firma del protocollo sulla gestione della sicurezza nella
Repubblica Democratica del Congo.
29 marzo 2003
“NON SI DEVE MAI AMMETTERE CHE LA GUERRA DIVIDA
LE RELIGIONI”.
“NON POSSIAMO PERMETTERE
CHE UNA TRAGEDIA UMANA
DIVENTI
ANCHE UNA CATASTROFE RELIGIOSA”.
COSI’
IL PAPA AI VESCOVI DELL’INDONESIA,
UN
PAESE A LARGA MAGGIORANZA MUSULMANA
-
Servizio di Carla Cotignoli -
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“In questo momento di grande
tensione nell’intera comunità mondiale” il Papa ha ribadito che “non si deve
mai ammettere che la guerra divida le religioni”, ed ha incoraggiato i vescovi
dell’Indonesia, ricevuti questa mattina in Vaticano per la quinquennale visita
canonica, a “cogliere proprio questo momento di gravi sconvolgimenti”, come
“un’occasione per lavorare fraternamente, insieme a tutto il popolo, con i fedeli delle altre religioni e
con tutti gli uomini e donne di buona volontà per assicurare comprensione,
cooperazione e solidarietà”. Giovanni Paolo II ha ancora affermato: “Non
possiamo permettere che una tragedia umana diventi anche una catastrofe
religiosa”. Qui è chiaro il riferimento alla guerra in Iraq e ai timori di uno
scontro di civiltà e religioni.
E’ una
consegna particolarmente significativa quella
affidata ai vescovi di un Paese, a grande maggioranza musulmana, in cui
- come ha ricordato il Papa - “la comunità cristiana ha sofferto discriminazione
e pregiudizi, è stata vittima di atti di distruzione e vandalismo”, un Paese
che a Bali, ha subito il terribile attentato
terrorista che ha provocato molte vittime.
Il Santo Padre II ha messo in guarda: “Non si deve cadere nella
tentazione di generalizzare le azioni di una minoranza estremista. L’autentica
religione – ha affermato – non appoggia terrorismo e violenza, ma cerca di
promuovere in ogni modo l’unità e la pace dell’intera famiglia umana”.
Il Papa, sin dalle prime
battute del suo discorso, aveva riconosciuto ai vescovi indonesiani “un ruolo
di avanguardia nel promuovere la pace e l’armonia in un Paese composto da così
tanti gruppi”. Si contano infatti in circa 300 le etnie. “Unità nella
diversità – ha ricordato - è
iscritto nello stemma stesso che contraddistingue l’Indonesia”. E guardando alle differenze etniche e
culturali degli stessi vescovi
indonesiani, ha osservano che “nell’atmosfera di fede, dialogo e fiducia
reciproca possono loro stessi offrire un modello di speranza per tutta
l’Indonesia”.
Molti altri poi sono stati i
temi trattati dal Papa: dall’opera di inculturazione per evitare che il
cattolicesimo “sia visto con sospetto”, all’importanza del dialogo
interreligioso di cui ha riconosciuto il notevole livello già in atto nel
Paese. Ancora Giovanni Paolo II ha trattato del consolidamento della democrazia
nel Paese, della libertà religiosa garantita dalla Costituzione. E ancora è
passato a parlare della particolare attenzione dovuta ai poveri, alla famiglia,
alla formazione permanente dei sacerdoti. Un’annotazione particolare tocca
l’apporto dei religiosi e delle religiose che – ha detto – “devono essere guida
nella ricerca di Dio a cui è particolarmente sensibile l’Asia così ricca di
forme di spiritualità e di ascetismo”.
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Il Papa
ha ricevuto in udienza questa mattina il presidente del Parlamento della Repubblica
Slovacca, Pavol Hrusovsky, con le persone del seguito.
Il
presidente Hrusovsky ha partecipato ieri, presso il Pontificio Istituto Orientale,
alla presentazione del volume “Relazioni
internazionali giuridiche bilaterali tra la Santa Sede e gli Stati: esperienza e prospettive”. Il volume raccoglie
gli atti del Convegno sullo stesso tema svoltosi a Roma il 12 e il 13 dicembre
2001, per iniziativa dell’Ambasciata slovacca presso la Santa Sede. Alla
presentazione hanno partecipato il cardinale Jozef Tomko, prefetto emerito
della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, l’arcivescovo Jean Louis
Tauran, segretario per i Rapporti della Santa Sede con gli Stati, ed altre
personalità.
In fine mattinata, il Santo Padre ha inoltre ricevuto il
cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i Vescovi.
Il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale
dell’eparchia di Tiruvalla dei Siro-Malankaresi, nello Stato indiano del
Kerala, presentata da mons. Geevarghese Mar Timotheos, per limiti di età.
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“Mai la guerra divida le
religioni del mondo” è il titolo che apre la prima pagina: in un momento
sconvolgente per la comunità mondiale, Giovanni Paolo II incoraggia i vescovi
dell’Indonesia a cooperare, come fratelli impegnati per la pace, con le
comunità di altre fedi religiose.
Al centro della prima pagina,
campeggia la frase “La strage nel mercato”, stagliata su una foto che ritrae il
viso di un ragazzo, drammaticamente segnato dalle “cicatrici” della guerra.
Numerosi morti e feriti nella
strage del mercato di al Nasser a Shola, alla periferia di Bagdad.
Nelle vaticane, un approfondito
contributo del cardinale Lopez Trujillo dal titolo: “Partial-birth abortion”:
da un crimine disumano all'umanizzazione.
Le iniziative per la pace
promosse nelle diocesi italiane.
Nelle pagine estere, il
dettagliato resoconto della situazione umanitaria in Iraq.
Gli alleati riorganizzano lo
schieramento militare. Cresce la protesta in tutti i Paesi islamici.
Nella pagina culturale, un
contributo di Francesco Licinio Galati dal titolo “Un editore al servizio della
Verità”: scritti di don Valentino Gambi raccolti in un volume.
Nelle pagine italiane, in primo
piano la situazione politica in riferimento alla crisi irachena. Decretato lo
stato d'emergenza nazionale: un atto dovuto, precisa il Governo, ma che
"non tranquillizza certo l'opinione pubblica di un Paese dichiaratamente
non belligerante".
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29 marzo 2003
BOMBARDAMENTI A TAPPETO SU BAGHDAD E
COMBATTIMENTI CRUENTI
IN
MOLTE ZONE DELL’IRAQ.
LE
FORZE ALLEATE SI RIORGANIZZANO IN VISTA DELL’ATTACCO ALLA CAPITALE,
NELLA
QUALE SI AGGRAVA LA SITUAZIONE SANITARIA.
MANIFESTAZIONI
ED APPELLI DI PACE IN TUTTO IL MONDO
- A
cura di Alessandro De Carolis -
No alla nuova risoluzione dell'Onu “petrolio contro cibo”.
L’Iraq, per bocca del suo ministro dell'informazione, Mohammed Saeed al Shahaf,
ha rigettato qualche ora fa la proposta delle Nazioni Unite, rispedendo al
mittente la possibilità di trovare un’opzione non armata al conflitto in corso.
Intanto, le immagini drammatiche del decimo giorno di guerra mostrano Baghdad
sotto un diluvio incessante di bombe e missili. Ma anche la morte di cinque
soldati americani uccisi a Najaf, in seguito ad un taxi-bomba guidato da un
kamikaze. O i cinquanta uomini della Guardia repubblicana - il reparto militare
d’èlite di Saddam Hussein - uccisi dai raid degli elicotteri da guerra
statunitensi Apache. Dal punto di vista strategico, l’offensiva militare
angloamericana prosegue, con alterne vicende, diretta al cuore del potere
iracheno ed il comando generale in Qatar spiega di essere in procinto di
ridisegnare, nei prossimi 5-6 giorni, la dislocazione sul campo di uomini e mezzi.
Ma la constatazione di una campagna bellica tutt’altro che facile sta
cominciando a incrinare, negli Stati Uniti, il consenso popolare nei riguardi
della Casa Bianca. Il servizio di Paolo Mastrolilli:
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L’offensiva di terra sembra quasi ferma, in attesa del
probabile attacco alla capitale, e cominciano ad alzarsi diverse voci che
criticano i piani di guerra. Anche il generale che comanda le truppe di terra
ha detto che la resistenza degli iracheni era stata sottovalutata e questo
potrebbe allungare il conflitto oltre i tempi previsti da Washington. Il
presidente Bush ha riposto alle critiche, affermando che le forze americane ed
inglesi stanno facendo progressi. Washington ha detto anche di aver debellato
due cellule di agenti iracheni, che preparavano attacchi contro interessi
americani all’estero. Mentre per la prima volta ieri,un missile ha colpito
Kuwait City, senza però fare vittime. Infine, una notizia dal fronte Onu, dove
ieri era stata approvata all’unanimità la ripresa del programma “Petrolio per
cibo” a scopo umanitario in favore dell’Iraq: il capo degli ispettori sul
disarmo, Hans Blix, invece ha annunciato che lascerà l’incarico a giugno.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Sul fronte opposto della guerra, la resistenza offerta
dalle truppe regolari e irregolari dell’Iraq è sempre determinata, anche in
zone sulle quali le forze alleate hanno da tempo esteso il controllo. Come ad
esempio a Nassiriya, teatro oggi di un nuovo attacco dei marines. O a Kirkuk,
nel nord, dove, pur ripiegando, gli iracheni hanno dato fuoco ad alcuni pozzi di petrolio. Nel suo
aggiornamento quotidiano, il ministro dell’Informazione iracheno - la cui sede
ministeriale è stata pesantemente bombardata nelle ultime ore - ha anche definito “propaganda di basso
costo” quella che accusa i soldati del regime di far uso di tattiche di guerriglia
e “un atto da codardi” la strage del mercato di ieri, dove 51 civili e 49 sono
rimasti feriti in seguito ad una esplosione. Episodio, questo, sul quale il
comando alleato non si è pronunciato in attesa di informazioni. Saeed al Shahaf
ha poi parlato di Bush e Blair come di “criminali di guerra” e ha riferito di
140 morti e 350 feriti nelle ultime 24 ore. I bombardamenti, dunque, colpiscono
sempre più duramente la capitale e i vescovi cattolici non si stancano di
lanciare appelli. Francesca Sabatinelli ha raggiunto a
Baghdad il vescovo ausiliare emerito di Babilonia dei Caldei, Emmanuel Delly:
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R. - Tutta la notte ci sono stati bombardamenti di
missili. Stamattina hanno bombardato il centro delle comunicazioni, a 150 metri
dalla Nunziatura apostolica. Ma ringraziamo il Signore, stiamo bene. Il centro
delle comunicazioni è rovinato, ed ora le comunicazioni sono interrotte a
Baghdad. Da una parte all’altra, non c’è più comunicazione.
D. - Mons. Delly, ci parli dei civili …
R. - Dall’inizio della guerra
fino ad oggi, secondo il portavoce iracheno, sono 350 i civili morti. E i
soldati non si contano, poveretti. Sicuramente saranno molti. I feriti sono più
di 3-4 mila.
D. - Mons. Delly, cosa fa in
queste ore la popolazione? Resta nelle proprie case?
R. – La gente non può uscire. C’è paura che cada un
missile, un aeroplano … E’ pericoloso avventurarsi di fuori. Così ci hanno
detto. Io, insieme a mons. Warduni e al nunzio apostolico, siamo andati a
visitare tutte le nostre parrocchie a Baghdad, per incoraggiare la gente. E
quando ci vedono si sentono un po’ più confortati. Molti dei nostri sono
partiti e si sono recati nei loro villaggi al nord. Ma anche lì stanno male,
perché i villaggi adesso sono affollati.
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Un’analoga immagine di Baghdad è
quella che emerge dalla descrizione dei Medici senza frontiere, uno degli
organismi umanitari presenti in forze nei punti caldi del conflitto iracheno.
Dopo gli ultimi raid sulla capitale, il lavoro sanitario sta facendosi più
duro, come conferma il direttore generale di Medici senza frontiere, Nicoletta
Dentico, intervistata da Benedetta Capelli:
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R. – Il resoconto dei medici che stanno lavorando all’Alkindi
Hospital, nel nordest della capitale, conferma questa drammatica realtà,
con l’arrivo di molti morti e moltissimi feriti. Di fatto, stiamo lavorando a
pieno regime. Fortunatamente, sono arrivati ieri mattina due tir contenenti dieci
tonnellate di materiali chirurgici, di kit per le chirurgie, di kit per
l’utilizzo dell’acqua e altre cose, e quindi in questo momento possiamo
lavorare con disponibilità del materiale.
D. – Com’è la situazione negli ospedali iracheni?
R. – Noi possiamo parlare soltanto per quello dove
operiamo - l’Alkindi Hospital, appunto - che ha 250 letti ed è uno dei
più grandi di Baghdad. Fino a qualche giorno fa, la situazione era abbastanza
sotto controllo, nel senso che il personale sanitario lavorava, ma ciò che
mancava erano le attrezzature: i fili di sutura, le bende, le fasce, gli
strumenti basilari di lavoro. Per questo, i nostri team hanno immediatamente
chiesto da Amman il rifornimento con materiali medici. Certo che, negli ultimi
giorni, anche dal punto di vista delle vittime, l’emergenza è cresciuta.
D. – Si possono fare delle stime?
R. – No. E’ molto difficile in questo momento fare delle
stime, perché ovviamente noi stiamo lavorando in uno specifico contesto ed
abbiamo più o meno la fotografia di quello che succede lì: la nostra
rappresentazione della situazione è sicuramente parziale e poi va tenuto conto
che, purtroppo, evolve di ora in ora.
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Ha avuto un epilogo positivo la vicenda dei sette giornalisti italiani
che ieri erano stati fermati dai soldati iracheni ad un posto di blocco, mentre
tentavano di entrare a Bassora. Dopo una notte senza notizie sulla loro sorte,
stamani alcuni di loro hanno telefonato alle rispettive redazioni in Italia,
affermando di essere liberi e di trovarsi in un hotel di Baghdad. In
precedenza, l’ambasciatore iracheno a Mosca, Abbas Khalaf, aveva detto che ai
cronisti sarebbe stato rilasciato un visto per continuare a svolgere il loro
lavoro in Iraq.
Dopo gli appelli del presidente del Parlamento europeo, Pat
Cox, e della Commissione europea, Romano Prodi, a ritrovare l’unità
continentale messa in crisi dalla Guerra del Golfo, da Parigi è giunto stamani
un segnale di distensione. L’Eliseo ha reso noto che oggi, nel corso di una
telefonata, il presidente francese Chirac e il primo ministro britannico Blair
si sono detti d’accordo sul fatto che “Francia e Gran Bretagna lavorino
strettamente insieme” sul dopoguerra in Iraq. Nel mondo, intanto, le
manifestazioni contro la guerra si susseguono e ampliano anch’esse il proprio
fronte. Anche la Cina ha concesso la possibilità di scendere in piazza, anche
se a gruppi di non più di un centinaio di persone, per protestare contro il
conflitto iracheno. Da Washington a Teheran, dalla Germania al Pakistan, cortei
di pacifisti hanno invocato la fine della guerra.
Numerose anche in Italia proteste
e gli appelli. Come quello contenuto nella petizione che un cartello di
associazioni cattoliche - tra le quali Azione Cattolica, Acli, Agesci, Pax
Christi - ha indirizzato al governo e ai parlamentari di ogni schieramento e ai
responsabili politici europei, chiedendo "un cessate il fuoco che ponga
termine all’inutile strage in Iraq” e un rafforzamento dell’egida dell’Onu in
caso di conflitti armati. Sulle ragioni della pace, sempre difese dal Papa,
contro il ricorso alle armi come mezzo di ripristino dell’ordine, ascoltiamo il
parere di Antonio Maria Baggio, docente di etica politica all’a Pontificia
Università Gregoriana, al microfono di Luca Collodi:
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E’ giusto rifarsi al Catechismo proprio perché è stato
invocato, specialmente da alcuni gruppi di cattolici statunitensi, per
sostenere il contrario di ciò che afferma il Papa: e cioè che questa guerra
avrebbe le caratteristiche di essere ritenuta “giusta”. Ora, la dottrina cattolica
dice che, per giustificare dal punto di vista etico un intervento armato,
bisogna trovarsi di fronte ad un pericolo molto grave, attuale - che sta già
accadendo, quindi, o che è accaduto - e che all’intervento armato si deve
ricorrere solo dopo che tutte le altre possibili strade per riparare il male e
per impedire che esso si ripeta sono state sperimentate e si siano rivelate
inefficaci o impraticabili. Poi, ci vuole anche una proporzionalità tra il male
che l’intervento vuole evitare o riparare e quello che invece, per forza di
cose, un intervento armato viene a provocare. E poi bisogna tener conto anche
degli effetti di ciò che si produce alla lunga sulle generazioni, sui divari
che possono nascere tra i popoli. Dunque, non ci sono le caratteristiche per dire
che questa è una guerra giusta. E lo afferma il Papa che, naturalmente, ha la
rappresentanza ufficiale, la capacità ed il ruolo di interpretazione dottrinale.
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Il conflitto in Iraq e la dottrina della guerra preventiva
contro i cosiddetti “Stati canaglia”, giudicati pericolosi per la sicurezza di
un Paese, potrebbe rilanciare la corsa agli armamenti, convenzionali e non, e
la necessità di un arsenale fornito non più solo come deterrente. Ascoltiamo il
parere del segretario generale di Archivio Disarmo, Fabrizio Battistelli,
nell’intervista di Stefano Lezczynski:
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R. – E sicuramente
in tema di armamenti si andrà verso una radicalizzazione del conflitto,
anche se è un conflitto solo potenziale che molti Paesi hanno con i propri
vicini o potenzialmente persino con gli Stati Uniti. E l’Iran, per esempio, è
un testimone interessato e coinvolto della guerra in Iraq, quindi sicuramente
questo processo potrebbe anche dare vita ad una mini corsa agli armamenti
regionale. Certamente questo sarà l’effetto che avrà, per esempio, sulla Siria,
Paese che è molto esposto e che, a differenza dell’Iran, invece, è amico
dell’Iraq.
D. – Fa un po’ impressione l’idea che questa corsa al
riarmo possa avvenire proprio in quegli Stati che vengono definiti o
identificati come ‘Stati-canaglia’. Lei cosa ne pensa?
R. – Penso che questo non è sorprendente perché è chiaro
che nel momento in cui ci si sente nel mirino, le reazioni sono due: o c’è la
reazione della resa, o c’è la reazione del rafforzamento militare. Un caso,
direi, paradossale, eclatante è quello della Corea del Nord. Qui, addirittura,
abbiamo l’opposto: abbiamo uno Stato che sta cercando di attirare l’attenzione
degli Stati Uniti sul fatto che costruisce l’arma nucleare.
D. – Non si sa bene quale tipo di armamenti potrebbe
svilupparsi maggiormente, se quelli convenzionali oppure quelli
non-convenzionali ...
R. – Nel caso della Corea del Nord è chiarissimo; mentre
sull’Iraq di Saddam abbiamo tuttora dei dubbi, se il regime possedesse armi di
sterminio di massa, certamente le possiede o le sta mettendo a punto la Corea
del Nord.
D. – L’Italia produce ed esporta molte armi?
R. – L’Italia ha una sua produzione di una certa
importanza, tecnologicamente abbastanza avanzata, ad un livello medio, diciamo,
con una base industriale non enorme ma significativa. Il vero problema
dell’industria militare italiana è la sua direzione politica, cioè a tutt’oggi
questa è un’industria che non riceve precise direttive e strategie da chi
dovrebbe farlo, cioè dal governo, e non solo da questo governo, per essere
sinceri fino in fondo.
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L’AFRICA CHE GUARDA AL FUTURO IN UN
CONVEGNO INTERNAZIONALE AD ANCONA
-
Intervista con Eugenio Melandri -
Guardare all’Africa che si alza in piedi e che si organizza per
migliorare il proprio futuro. Questo il messaggio che il convegno
internazionale “Africa in piedi”, in corso ad Ancona da ieri a domani, si
propone di trasmettere. Ce ne parla, al microfono di Dorotea Gambardella,
Eugenio Melandri, presidente dell’Associazione “Chiama l’Africa”:
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R. – L’anno scorso abbiamo detto che per cooperare con
l’Africa dobbiamo smetterla con gli aiuti e dobbiamo promuovere i diritti.
Quest’anno diciamo: “Per cooperare con l’Africa, bisogna guardare l’Africa che si
alza in piedi, la società civile che cresce, che si organizza; cooperare
significa mettersi in relazione tra gruppi umani, gruppi dell’Europa con gruppi
dell’Africa a tutto campo”.
D. – Che cosa deve cambiare nel mondo, perché l’Africa
migliori la propria situazione?
R. – Rimettere in sesto tutti gli organismi di carattere
economico-commerciale che esistono nel mondo e che fanno tornare i conti solo
nelle tasche dei ricchi.
D. – Si parla sempre delle responsabilità dell’Occidente.
Ma l’Africa ha delle responsabilità, e quali?
R. – Ma certo che l’Africa ha delle responsabilità,
soprattutto nelle sue classi dirigenti che forse, anche a causa della
colonizzazione, sono arrivate spesso impreparate al potere; gruppi dirigenti
spesso corrotti, dittatoriali, gente che fa i propri interessi invece che fare
l’interesse pubblico; così come è responsabilità dell’Africa, molto spesso,
tanta incapacità di uscire, di dialogare al di fuori del proprio gruppo etnico.
Ci sono anche delle responsabilità di carattere culturale, manca l’idea del
risparmio ... Ci sono varie cose. Però, sono piccole cose in confronto ad una
serie di responsabilità globali che ci portiamo avanti da cinquecento anni!
D. – Che cosa, invece, può fare il singolo individuo?
R. – Possiamo impegnarci perché, a cominciare dal piccolo,
già dai Comuni, ci mettiamo in relazioni umane con situazioni del continente
africano e dei Paesi più poveri, ma per scambi di carattere umano, non per fare
l’elemosina!
D. – L’attenzione del mondo è concentrata sulla guerra
contro l’Iraq: quanto essa sta oscurando le guerre che da decenni si combattono
in Africa?
R. – Ma, vede, erano già dimenticate prima, continuano ad
essere dimenticate anche oggi. Forse questo fatto di scontrarsi con una guerra,
con tanto carico di sofferenza, ci può aiutare a dire che in Africa,
soprattutto, queste sofferenze sono pane quotidiano. Si parla della gente che
fugge da Bassora perché non c’è l’acqua: io ricordo donne africane che fanno
20, 25 chilometri al giorno per andare a prendere una ciotola d’acqua ...
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29 marzo 2003
“VERSO UNA RETE UMANA DI RISPOSTE
ED AIUTI”.
E’ IL
TEMA DEL CONGRESSO CONTINENTALE AMERICANO SU CHIESA E INFORMATICA
IN
PROGRAMMA DAL 2 AL 5 APRILE A MONTERREY, IN MESSICO
MONTERREY.
= “Verso una rete umana di risposte e di aiuti” è il titolo del Congresso
continentale americano su Chiesa e informatica che si svolgerà dal 2 al 5
aprile nella città messicana di Monterrey. L’incontro, organizzato dal
Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali, dal Celam e dalla Conferenza
episcopale messicana, è rivolto a religiosi, intellettuali, esperti di
comunicazione ed operatori pastorali. Il congresso costituirà uno spazio di
confronto sulle nuove tecnologie della comunicazione e sulle strategie che la
Chiesa può adottare nell’uso dello strumento informatico ai fini
dell’evangelizzazione. Obiettivo dell’incontro è quello di avviare un cammino
di collaborazione e di scambio attraverso l’affermazione di una cultura
digitale all’insegna della solidarietà e dell’aiuto reciproco. Dal dibattito, a
cui parteciperà il cardinale Darío Castrillón, prefetto della Congregazione per
il clero, si attende l’individuazione di quei criteri che orientino il processo
di informatizzazione dei diversi organismi ecclesiali. Gli interventi
proporranno spunti di riflessione su diverse tematiche quali l’interattività,
l’etica delle comunicazioni, l’evangelizzazione nell’era informatica e la
globalizzazione delle comunicazioni. Si parlerà anche di integrazione digitale
e di riduzione della distanza tra “info-poveri” ed “info-ricchi”, una
lontananza questa, che separa sempre più in base all’accesso all’informazione.
(A.L.)
IN UGANDA SONO CIRCA CINQUE MILA I BAMBINI
RAPITI DAI RIBELLI
NEGLI
ULTIMI DIECI MESI. LO RENDE NOTO HUMAN
RIGHTS WATCH,
ORGANIZZAZIONE
AMERICANA PER I DIRITTI UMANI
KAMPALA. = Nel nord dell’Uganda cinquemila bambini sono stati
rapiti negli ultimi 10 mesi dai ribelli dell'Esercito di resistenza del signore
(Lra). Il triste bilancio è stato rilasciato da Human Rights Watch (Hrw),
organizzazione americana per i diritti umani. Dallo scorso anno l'esercito
ugandese ha lanciato una campagna conosciuta con il nome di “pugno di ferro”
che avrebbe dovuto eliminare definitivamente dalla scena gli uomini di Joseph
Kony, il fondatore dello Lra. “La situazione attuale dimostra invece che questa
operazione è stata un totale insuccesso”,
ha detto alla Misna padre Carlos Rodriguez Soto, segretario della Acholi religious
leaders peace initiative (Arpli). L’imponente operazione militare
permetteva ai militari di Kampala di attraversare i confini ugandesi per dare
la caccia ai ribelli anche nel territorio sudanese. “I livelli di sicurezza in
tutto il nord Uganda – ha detto padre Rodiguez Soto - non sono aumentati e,
come dimostrano i dati dei rapimenti, la situazione è anzi peggiorata”. “Ogni
giorno – ha aggiunto il religioso - viene presentato un bilancio ufficiale in
cui l’esercito ugandese sostiene di aver ucciso un alto numero di ribelli
ma spesso viene taciuto che si tratta
dei bambini rapiti”. Dopo averli addestrati, le formazioni dei ribelli li
utilizzano in prima linea negli attacchi più rischiosi e sono proprio queste
vittime innocenti le prime a cadere. Nel rapporto diffuso ieri, Hrw sottolinea
inoltre come anche l’esercito regolare utilizzi di frequente i “bambini-soldato”.
L'Arlpi nei giorni scorsi ha inviato una lettera alle autorità ugandesi
chiedendo di porre fine all'arruolamento dei giovani, spesso anche minorenni,
che decidono di abbandonare lo Lra. I ragazzi che decidono di lasciare le
uniformi dei ribelli vengono infatti invitati a vestire quelle dell'esercito,
dal momento che hanno già un addestramento e che soprattutto conoscono bene il
nemico. (A.L.)
“LA VITA
CHE PASSIONE”. E’ IL TITOLO DELLO SPETTACOLO TEATRALE CHE I RAGAZZI
DI
VILLA GLORI, LA CASA FAMIGLIA PER MALATI DI AIDS, METTERANNO IN SCENA
MERCOLEDÌ
PROSSIMO A ROMA PER RACCONTARE LA STORIA DI PERSONE
COLPITE
DALLA MALATTIA
ROMA. =
Uno spettacolo teatrale per far conoscere la storia di persone che hanno
sperimentato i lati oscuri e drammatici dell’esistenza, quali la droga, la violenza,
l’emarginazione ed il carcere. È l’iniziativa promossa dalla Caritas diocesana
di Roma, che mercoledì prossimo alle ore 17.30, permetterà ai ragazzi della
Casa famiglia per malati di Aids di Villa Glori di mettere in scena lo
spettacolo "La vita, che passione". "Lo spettacolo, scritto e
diretto da Massimo Raimondi, responsabile della Casa famiglia, è uno dei modi
con cui gli ospiti di Villa Glori - informa la Caritas diocesana - cercano di
far conoscere la loro storia mostrando come il problema dell’Aids sia
costituito solo per metà da un virus"."L’altra grave questione legata
all’Aids – afferma Massimo Raimondi - è lo stigma sociale che la malattia porta
con sé, una sofferenza psicologica e spirituale spesso più devastante di quella
fisica". La Casa famiglia per malati di Aids è nata il 5 dicembre del
1988, quando la diffusione del virus era ancora agli inizi e tante persone, le
più povere, morivano per strada o abbandonate in un letto di ospedale. La Caritas,
scontrandosi con la diffidenza e la paura, riuscì nel suo intento di aprire una
Casa per accogliere dignitosamente i malati. Il servizio che viene dato agli
ospiti prevede assistenza sociale e spirituale. Attraverso lo sviluppo della creatività
personale e di relazioni affettive significative, vengono anche offerti stimoli
continui in modo da rendere la vita quotidiana carica di senso. (A.L.)
E’ MORTO LO SCORSO
27 MARZO PADRE ANGELO ARPA,
IL GESUITA STUDIOSO DI CINEMA
CHE DIFESE FEDERICO FELLINI DAGLI ATTACCHI
RIVOLTI AL CELEBRE FILM “LA DOLCE VITA”
- A cura di padre Virginio Fantuzzi -
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ROMA. = Il padre Angelo Arpa è nato a Castelfranco Veneto
il 21 marzo del 1909. Aveva compiuto 94 anni pochi giorni prima di morire. Era
entrato nella provincia Torinese della Compagnia di Gesù all’età di 16 anni.
Ordinato sacerdote nel 1940, era stato un eccellente padre spirituale
dell’Istituto Arecco di Genova, dove aveva avuto la possibilità di orientare
diversi giovani alla Compagnia di Gesù. Scoprì il cinema nell’immediato
dopoguerra come strumento di apostolato. Fondò prima un cineforum e
successivamente l’Istituto Columbianum, che svolgeva un’attività culturale di
ampio respiro internazionale ed era il primo luogo dove fosse possibile vedere
in Europa i film brasiliani del cinema novo. Fondò anche una Casa di produzione
cinematografica, la Golden Star, che produsse un film di Roberto Rossellini,
dal titolo “Era notte a Roma”. Padre Arpa era poco cauto nella gestione
economica di queste istituzioni, per cui accumulò molti debiti che lo misero in
difficoltà nei confronti della Compagnia di Gesù, che si trovò a gestire una
situazione difficile nei suoi confronti. Nutrì per tutta la vita un’amicizia
fraterna con Federico Fellini. Aveva combattuto insieme ad altri confratelli
gesuiti del Centro San Fedele di Milano la grande battaglia della “Dolce Vita”.
Si trattava di riconoscere all’interno di un film molto discusso dei valori non
soltanto artistici ma anche di carattere morale e perfino religiosi. Fu apprezzato,
oltre che dal suo amicissimo Federico Fellini, anche da altri registi come
Roberto Rossellini e Pier Paolo Pasolini che si sentiva da lui capito e difeso
fino dai tempi di “Accattone”. Caratteristica di padre Arpa era stato l’intuito
con il quale sapeva cogliere fermenti spirituali e palpiti religiosi nel cinema
di qualità anche quando espressi in termini problematici. Fu stato un sacerdote
d’assalto, sempre un po’ fuori dai ranghi e comunque sempre in prima linea. Può
essere definito sicuramente un uomo di Dio, ma allo stesso tempo è stato un figlio
del suo secolo. I funerali di padre Arpa saranno celebrati lunedì prossimo alle
ore 15 presso la chiesa di Sant’Ignazio.
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CONTINUANO IN COLOMBIA LE UCCISIONI DI
CIVILI AD OPERA SIA DEI RIBELLI
CHE
DELLE FORZE REGOLARI. LO HA DENUNCIATO IERI
LA
COMMISSIONE VITA, GIUSTIZIA E PACE DELLA DIOCESI DI QUIBDÒ
BOGOTÀ. = Non si fermano in Colombia i massacri di civili,
sia da parte dei gruppi armati ribelli che per mano delle stesse forze
regolari. Torna a denunciarlo con forza la Commissione vita, giustizia e pace
della diocesi di Quibdó. In una nota, pervenuta ieri all’Agenzia missionaria
Misna, la Commissione riferisce che la scorsa settimana Leonel Rentería, un contadino
di Yarumal-Lloro è stato assassinato da soldati del battaglione Manosalva
Flores mentre era al lavoro nei campi. “I militari, si legge nel comunicato, lo
hanno spogliato dagli abiti civili e lo hanno rivestito con l’uniforme dei
guerriglieri affermando che era un ribelle ucciso in combattimento”. Dopo
questo episodio c’è grande timore tra la popolazione e si corre il rischio di
una fuga di massa delle comunità. Anche i gruppi guerriglieri continuano ad
attentare alla vita dei civili: il 29 gennaio i combattenti dell’Esercito di
liberazione nazionale (Eln) hanno ucciso un uomo e una donna a Campo Bonito,
mentre il 1 marzo il fronte le Forze armate rivoluzionarie della Colombia
(Farc) hanno assassinato un altro civile a Tanguí. Di fronte a questo scenario
drammatico, la Commissione chiede un’investigazione rigorosa su questi fatti
affinché i responsabili di queste violazioni vengano consegnati alla giustizia.
(A.L.)
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29 marzo 2003
- A cura di Paolo Ondarza -
E’ italiana l’ultima vittima della polmonite atipica che
ha già provocato la morte di 54 persone e 1485 contagi in tutto il mondo. Si
tratta di un medico marchigiano morto stamani a Bangkok, in Thailandia. Lo ha
comunicato ufficialmente l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il Paese più
colpito dal virus che sta allarmando il globo, resta la Cina.
Una buona notizia: oggi verrà firmato il protocollo
definitivo sulla gestione della sicurezza nella Repubblica democratica del
Congo (Rdc). L’incontro tra tutti i protagonisti della crisi avverrà a Pretoria
in Sudafrica, dove sarà sottoscritto un accordo sulla struttura militare.
Secondo fonti informate, nonostante le divergenze passate, le parti avrebbero
ormai raggiunto un compromesso.
Ad
oltre due anni e mezzo dalla sua scomparsa, sono stati ritrovati ieri sulle
colline a nord di Belgrado i resti dell’ex presidente serbo Ivan Stambolic,
rapito nell’agosto del 2000 dagli stessi criminali che, due settimane fa, hanno
ucciso il premier Zoran Djindjic. Ricostruisce per noi la vicenda dell’ex
leader, Emiliano Bos.
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A sequestrare l’ex presidente della Serbia furono i
berretti rossi, le famigerate unità speciali della polizia dell’epoca di
Milosevic, come ha spiegato ieri in una Conferenza stampa il ministro degli
interni serbo. Stambolic, che fu il padrino politico di Milosevic, venne ucciso
perché avrebbe potuto candidarsi alle presidenziali proprio contro il suo
ex-delfino, divenuto ormai l’uomo forte dei Balcani. Sembra inoltre che le
autorità di Belgrado siano riuscite a far luce su questo omicidio grazie ad un
pentito finito in carcere in questi giorni nella gigantesca caccia all’uomo
lanciata all’indomani dell’omicidio del primo ministro Djindjic, ucciso a
Belgrado il 12 marzo. Le autorità ne hanno catturato il killer e hanno
smantellato le unità speciali della polizia segreta. L’altra notte, in un
conflitto a fuoco, è rimasto ucciso Dusan Spasojevic, autore del rapimento di
Stambolic e considerato anche uno dei mandanti dell’assassinio del premier
serbo.
Per la Radio Vaticana, Emiliano Bos.
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Non si
fermano le violenze in Medio Oriente: ieri due palestinesi sono stati uccisi
dai reparti speciali di Israele a Tulkarem, in Cisgiordania e nel villaggio di
Khan Yunis, nella Striscia di Gaza. In quest’ultima località sempre ieri i
reparti speciali israeliani hanno demolito la casa di un militante
dell’Intifada, accusato di un attacco ad un insediamento ebraico lo scorso
anno. Arrestati anche tre palestinesi.
E dal Nepal potrebbero giungere buoni segnali: gli
attesi colloqui di pace tra ribelli maoisti e governo nepalese inizieranno
martedì prossimo. Lo ha fatto sapere ieri il capo della delegazione governativa
incaricata dei negoziati, Narayan Singh Pun. Si attende ancora la conferma
della data da parte degli estremisti, ma la presenza del loro leader Baburam
Bhattarai nella capitale Katmandu lascia supporre che la data di partenza dei
negoziati sia vicina.
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DOMANI TORNA L’ORA LEGALE
Alle ore 2.00 di domenica 30 marzo,
entrerà in vigore l'ora estiva europea,
con conseguente spostamento delle lancette
degli orologi
in avanti di un'ora. L'ora legale resterà
in vigore
fino alla notte tra il 25 e il 26 ottobre.
Non vi saranno cambiamenti di rilievo
per il nostro Radiogiornale, che andrà in
onda alle stesse ore.