RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 87 - Testo della
Trasmissione venerdì 28 marzo 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
Ricevuti dal Santo Padre i
presidenti del Senato russo e del Parlamento ucraino.
OGGI IN PRIMO PIANO:
La guerra
continua a seminare vittime in Iraq, mentre arrivano i primi aiuti umanitari e
le Chiese cristiane insieme ai fratelli musulmani lanciano un accorato appello
per la pace. Preoccupazione per i prigionieri di guerra: con noi, Daniele Scaglione, il
presidente dell’Europarlamento Pat Cox e il
cardinale Oscar Maradiaga.
CHIESA E
SOCIETA’:
Le acque
del lago Titicaca, al confine tra Perù e Bolivia, hanno inondato 17 centri
abitati.
Ritrovato dopo quasi 3
anni il corpo dell’ex presidente serbo Stambolic.
Tensione altissima tra
Tokyo e Pyongyang, dopo il lancio di due satelliti spia giapponesi.
Burundi, violenze alle
porte di Bujumbura: 66 ribelli uccisi.
Scontri in Ciad, la guerriglia
mette in fuga l’esercito.
Il Rwanda protesta con
l’Onu: la Repubblica democratica del Congo ha violato gli accordi.
28 marzo 2003
I SACERDOTI PARTECIPINO
ASSIDUAMENTE AL SACRAMENTO DELLA CONFESSIONE
E LO AMMINISTRINO SECONDO L’INSEGNAMENTO
DELLA CHIESA.
COSI’
IL PAPA NEL DISCORSO ALLA PENITENZIERIA APOSTOLICA RICEVUTA OGGI IN VATICANO
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Servizio di Paolo Ondarza -
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Nel
sacramento della Penitenza il sacerdote offra ai fedeli “la carità
dell’accoglienza premurosa, senza avarizia del suo tempo e senza asperità o
freddezza del tratto”. Così Giovanni Paolo II stamani in Sala Clementina
nell’udienza ai docenti e agli alunni del corso della Penitenzieria Apostolica,
il tribunale della Santa Sede, nato nel XIII secolo sotto Onorio III,
competente per il cosiddetto “foro interno”, ossia, l’ambito privato dei
fedeli, anche per quanto riguarda il sacramento della penitenza e l’uso delle
indulgenze. Citando il Concilio Vaticano II, il Papa ha ricordato “il
privilegiato rapporto che esiste tra il sacerdozio e il sacramento della
Riconciliazione, che dal presbitero deve essere innanzitutto ricevuto con fede
ed umiltà, oltre che con convinta frequenza”:
“I
ministri della grazia sacramentale si uniscono intimamente a Cristo Salvatore e
Pastore attraverso la fruttuosa recezione dei
Sacramenti, soprattutto con la confessione sacramentale frequente, giacché essa
- che va preparata con un quotidiano esame di coscienza - favorisce in sommo
grado la necessaria conversione del cuore all'amore del Padre delle
misericordie".
La confessione, ha continuato Giovanni Paolo
II, oltre ad essere occasione di esame di sé stessi, è “momento ineffabile di
esperienza della carità che il Signore nutre per ogni uomo nella sua
irrepetibile individualità: balsamo consolatore per le molteplici forme di
sofferenza da cui è segnata la vita”. Il Santo Padre non ha mancato di
richiamare l’attenzione sulla “doverosa adesione” dei ministri al Magistero,
con speciale riguardo a quei problemi che riguardano la bioetica e la normativa
morale e canonica dell’ambito matrimoniale. Il sacerdote abbia un atteggiamento
caritatevole nel “riferire senza varianti ideologiche e sconti arbitrari
l’insegnamento genuino della Chiesa” :
“Quanti svolgono in nome di Dio e della Chiesa questo
delicatissimo ministero hanno il preciso dovere di non coltivare, ed ancor più
di non manifestare in sede sacramentale, valutazioni personali non rispondenti
a ciò che la Chiesa insegna e proclama. ‘Non si può scambiare con amore il
venir meno alla verità per un malinteso senso di comprensione’”.
“Il sacramento della Penitenza se ben amministrato e
ricevuto si rivela strumento principe
di discernimento vocazionale”. “Ai candidati al sacerdozio il direttore
spirituale offre non solo il discernimento, ma anche l’esempio della sua vita,
cercando di riprodurre in sé il Cuore di Cristo”. Su tutti i partecipanti
all’Udienza Giovanni Paolo II ha invocato attraverso l’intercessione di Maria,
Madre della Chiesa, “il dono della santità, mediante il sacramento della
Penitenza umilmente ricevuto e generosamente offerto”. Giovanni Paolo II ha poi
rivolto un saluto al pro-penitenziere maggiore mons. Luigi De Magistris, il
quale ha definito l’incontro odierno con il Pontefice “un’esperienza
indelebile” per l’antica istituzione.
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ALTRE UDIENZE: DAL PAPA IL PRESIDENTE DEL SENATO RUSSO
E IL PRESIDENTE DEL PARLAMENTO UCRAINO
Il Papa
ha ricevuto stamani in successive udienze il presidente del Senato della
Federazione Russa, Sergey M. Mironov, e il presidente del Parlamento
dell’Ucraina, Volodimyr Litvin, ciascuno con le persone del seguito.
Successivamente i due esponenti hanno incontrato anche il cardinale
segretario di Stato, Angelo Sodano. “Nel corso dei colloqui – ha detto il
portavoce della Sala Stampa Joaquin Navarro Valls – c’è stato uno scambio di
opinioni sui rapporti Chiesa-Stato nei rispettivi Paesi e sulle prospettive di
pace nell’ora presente”.
Sia Mironov che Litvin hanno avuto in questi giorni a Roma
colloqui con le autorità italiane, con particolare riguardo alla situazione
internazionale e agli sviluppi della crisi irachena, oltre che sui rapporti
bilaterali e con l’Unione Europea.
Nel corso della mattinata, il Santo Padre ha inoltre
ricevuto due vescovi dell’Indonesia in visita “ad Limina” e il cardinale
Crescenzio Sepe, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei
Popoli. Nel pomeriggio, infine, udienza del Pontefice al cardinale Joseph
Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.
E’ infine da segnalare che ieri il Papa ha accettato la
rinuncia al governo pastorale della diocesi di Vàc, in Ungheria, presentata dal
vescovo mons. Ferenc Keszthelyi, dell’Ordine Cistercense, per raggiunti limiti
di età.
INCONTRO DEL SEGRETARIO PER I RAPPORTI CON GLI STATI,
ARCIVESCOVO TAURAN,
CON GLI AMBASCIATORI DELL’UNIONE EUROPEA
Nell’ambito
dei periodici incontri con i rappresentanti diplomatici presso la Santa Sede,
ieri pomeriggio, l’arcivescovo Jean Luis Tauran, segretario per i rapporti con
gli Stati, ha ricevuto gli ambasciatori dei Paesi dell’Unione Europea. Lo ha
comunicato stamani il direttore della sala stampa vaticana, Joaquin Navarro
Valls che ha definito l’incontro “un’occasione per uno scambio di vedute sulla
situazione in Iraq, sullo stato della futura Convenzione europea e sulla
situazione internazionale in generale”.
L’IMPOTENZA A CAMBIARE LE LOGICHE
UMANE E FAR TRIONFARE LE RAGIONI
DELLA
PACE RENDE PIU’ URGENTE CHE LA CHIESA RISPLENDA
COME
SEGNO DI UNITA’ E PACE
COSI’
PADRE RANIERO CANTALAMESSA
NELLA
SECONDA PREDICA DI QUARESIMA ALLA CURIA ROMANA
La
responsabilità della Chiesa di essere strumento di unità e di pace tra gli
uomini è stata al centro della seconda predica di Quaresima tenuta questa mattina
da padre Raniero Cantalamessa davanti al Papa e alla Curia Romana. “L’impotenza
a cambiare le logiche umane e far trionfare le ragioni della pace nel mondo -
ha detto il predicatore della Casa Pontificia - ci fa sentire con più urgenza,
in questi giorni, il bisogno di realizzare tutto ciò nella Chiesa, in modo che,
‘in un mondo lacerato da discordie, la Chiesa risplenda segno profetico di unità
e di pace’”. Ecco alcuni passi più significativi della predica odierna.
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Un pericolo mortale per
l’organismo umano sono gli emboli, grumi solidi, liquidi o gassosi che si
formano nelle vene e nelle arterie e che, se non sono rimossi in tempo,
impediscono la libera circolazione del sangue e possono provocare danni molto
gravi, persino la paralisi. Anche il corpo di Cristo che è la Chiesa conosce
questo pericolo. Gli emboli, o i trombi, sono in questo caso ostacoli posti
alla comunione, perdoni non accordati, inimicizie croniche; sono anche le cose
elencate nel testo appena letto: asprezza, sdegno, ira, maldicenza, malignità.
Se vogliamo ”conservare l’unità dello Spirito per
mezzo del vincolo della pace”, occorre fare periodicamente una radiografia,
cioè un bell’esame di coscienza per assicurarci che non ci siano emboli che
dipendono da noi. A livello ecumenico si sta lavorando per rimuovere
pazientemente i grossi emboli che si sono formati tra Chiesa e Chiesa, ma
l’impegno deve proseguire a livello più capillare tra comunità e comunità, tra
categoria e categoria all’interno della stessa Chiesa (per esempio tra clero e
laici, tra uomini e donne) e infine tra persona e persona.
Sant’Agostino
non si stanca di mettere in risalto i miracoli che avvengono quando si coltiva
questo amore per l’unità. Tu - scrive - senti l’Apostolo elencare tutti quei
meravigliosi carismi e forse ti rattristi pensando di non averne nessuno. Ma,
attento: se tu ami l’unità, tutto quello che in essa è posseduto da qualcuno,
lo possiedi anche tu! Bandisci l’invidia e sarà tuo ciò che è mio, e se io
bandisco l’invidia, è mio ciò che possiedi tu. Nella comunione ecclesiale il
carisma di uno diventa il carisma di tutti.
Solo
l’occhio nel corpo ha la capacità di vedere. Ma forse che l’occhio vede
soltanto per se stesso? Non è tutto il corpo che beneficia della sua capacità
di vedere? Solo la mano agisce, ma forse che essa agisce soltanto per se
stessa? Se un sasso sta per colpire l’occhio, forse che la mano se ne resta
tranquilla e inerte, dicendo che tanto il colpo non è diretto contro di essa?
Lo stesso avviene nel corpo di Cristo: quello che ogni membro è e fa, lo è e lo
fa per tutti! Il segno “evidente” che si possiede lo Spirito non è il parlare
in lingue o fare miracoli, ma l’amore per l’unità. “Sappiate che avete lo Spirito
Santo quando acconsentite a che il vostro cuore aderisca all’unità attraverso
una sincera carità”.
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NELLA TARDA MATTINATA DI OGGI SI
SONO CONCLUSI IN VATICANO I LAVORI DELL’ASSEMBLEA PLENARIA
DEL
PONTIFICIO CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI. CON NOI IL SOTTOSEGRETARIO
ANGELO SCELZO
-
Servizio di Giovanni Peduto -
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I partecipanti hanno affrontato una serie di temi di
grande interesse che si radicano soprattutto su un rapporto di conoscenze e
interscambi da tutte le parti del mondo. Si è avuto il polso di come la
comunicazione avanza, si esprime in tutti i continenti e questo per il
Dicastero è una ricchezza inestimabile che ogni anno viene ad arricchire il suo
impegno, il suo patrimonio di conoscenza, e facilita i rapporti con le
Conferenze episcopali. Al sottosegretario del Pontificio Consiglio delle
Comunicazioni Sociali, dott. Angelo Scelzo, chiediamo:
D. – E’ emerso dalle relazioni dei partecipanti un
incremento dei media nell’evangelizzazione?
R. – Sì, e questo soprattutto nei Paesi che hanno avuto
per ragioni economiche e sociali un approccio più difficile con i mezzi di
comunicazione. Vediamo che il gap è sempre più colmato e vediamo che in
alcune parti si annullano, quasi, degli
stadi di dislivello, per arrivare ad uno stadio di maggiore equilibrio, perché
alcune volte le nuove tecnologie favoriscono la possibilità di colmare il livello
che era, in alcuni Paesi, molto squilibrato. Però, è anche vero che lo sviluppo
delle tecnologie pone di fronte anche al problema del divario di risorse, e
questo è certamente un tema al quale bisogna dedicare molta attenzione perché
non vorremmo che lo sviluppo delle tecnologie alla fine diventi un fattore di
discriminazione ulteriore nell’uso dei media.
D. – Dalla periferia della Chiesa vengono avanzate istanze
al Pontificio Consiglio?
R. –
Soprattutto quello di un maggior sostegno, di una vicinanza che si esprima
anche in aiuti soprattutto tecnici, di coordinamento, di impostazione. Dalla
periferia viene soprattutto la richiesta di sentire sempre più vicino l’impegno
che tutta la Chiesa universale profonde in questo settore. E’ come se ci fosse
l’esigenza di avere una rete sempre attiva, sempre in movimento, una rete che
può essere supportata dai contributi di tutti; una interazione sempre attiva e
sempre costante, che annulla alcune volte le distinzioni tra centro e periferia
ma che diventa veramente, alcune volte, un organismo compatto, unico, tutto
impegnato a sviluppare questi temi.
D. – Il Dicastero ha progettato delle strategie per
l’immediato futuro?
R. – La
strategia è quella di sempre, quella di essere – appunto – vicini al lavoro di
chi nel mondo è impegnato a diffondere, a sviluppare, a fare in modo che la
parola del Papa e tutto l’impegno che il Vaticano esprime nel campo della
comunicazione possa essere sempre più efficace, sempre più autentico e sempre
più veritiero. Questo si può fare a livello di studio con documenti, con
riflessioni, ma si può fare anche sul piano concreto, aiutando e portando il
nostro contributo in situazioni locali concrete che mettono maggiormente in
relazione la Chiesa di Roma con le Chiese nel mondo.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
"L'Iraq
sempre più profondamente ferito" è il titolo che apre, con eloquente evidenza,
la prima pagina.
Sempre in prima, il richiamo
dell'articolo (nelle pagine estere) di Francesco Maria Valiante dal titolo
"Quegli occhi senza più sogni di un bambino di Baghdad": un bambino
che, da mercoledì, giace, gravemente ferito, su un lettino dell'ospedale di
Baghdad.
Nelle vaticane, nel discorso ai
partecipanti al Corso promosso dalla Penitenzeria Apostolica, il Papa ha
sottolineato che il sacerdote deve riferire l'insegnamento genuino della Chiesa
senza varianti ideologiche e senza sconti arbitrari.
Una monografica, a cura di
Alfredo Marranzini, sul tema "Una pagina di storia familiare del medico
san Giuseppe Moscati".
Una pagina dedicata al cammino
della Chiesa in Italia.
Una pagina per l'ingresso in
diocesi del nuovo vescovo di Castellaneta.
Nelle pagine estere, il
dettagliato resoconto dei diversi aspetti legati alla situazione umanitaria in
Iraq.
Gli Usa rafforzano il
contingente militare, mentre le truppe si avvicinano a Baghdad.
Continue ed imponenti
manifestazioni per la pace.
Medio Oriente: le sofferenze
dei palestinesi; ancora una giovane vita stroncata.
Nella pagina culturale, un
contributo di Angelo Mundula dal titolo "La natura è il canto della
vita": riflessioni sulle stagioni.
Nelle pagine italiane, in primo
piano la situazione politica in riferimento alla crisi irachena: in
particolare, le polemiche seguite alla partenza dei parà dalla base di Vicenza.
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28 marzo 2003
NUOVI BOMBARDAMENTI SU BAGHDAD E BASSORA.
IL
PENTAGONO ORDINA L’INVIO DI OLTRE 100 MILA SOLDATI NEL GOLFO.
IN
ARRIVO I PRIMI AIUTI UMANITARI, MENTRE L’EUROPA SI DIVIDE
SULLA
POSIZIONE DA DOTTARE IN MERITO AL CONFLITTO.
APPELLO
DELLE CHIESE CRISTIANE DELL’IRAQ PER LA PACE
- A
cura di Alessandro De Carolis -
Civili
iracheni fuggono dall’inferno di Bassora e gli uomini di Saddam Hussein aprono
il fuoco contro di loro. Suscita immediato scalpore la notizia rilanciata
questa mattina dalla Bbc e dall’altra emittente satellitare britannica Sky
News. Il tentativo di attraversare un ponte, ha riferito alle televisioni il
capitano Sanford, si è trasformato in una sorta di tiro al bersaglio quando
gruppi di miliziani hanno sparato contro la folla alcuni colpi di mortaio,
provocando dei feriti e la risposta armata delle truppe angloamericane. La
notizia non è stata confermata da parte irachena, ma aggiunge purtroppo una
nuova pagina di orrore il conflitto nel Golfo Persico, dopo la strage del
mercato di Baghdad. Anche oggi, il centro della capitale è stato preso di mira dagli ordigni sganciati dai B52
americani, mentre all’esterno proseguono le manovre di accerchiamento, per un
assedio che scatterà probabilmente tra 5-10 giorni.
Proprio
per dar manforte a quello che dovrebbe costituire l’ultimo atto della conflitto
- oltre a registrare l’ingresso in Iraq dal Kuwait della 101.ma Divisione
elitrasportata statunitense - il Pentagono ha deciso ieri l’invio nella zona
delle operazioni di un nuovo contingente di 120 mila uomini. Intanto ieri, a Camp David, il presidente
americano Bush e il premier britannico Blair hanno concluso il loro consiglio
di guerra affermando di voler proseguire l’offensiva militare fino al completo
disarmo dell'Iraq e all’instaurazione della democrazia, “ci voglia il tempo che
ci voglia”, hanno dichiarato. I particolari del vertice nel servizio di Paolo
Mastrolilli:
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I due leader hanno accusato Baghdad di crimini di guerra,
come la presunta esecuzione di alcuni prigionieri, e hanno risposto ai dubbi
sui piani militari, affermando che il conflitto è appena cominciato e le loro
forze hanno fatto grandi progressi. Blair, che ha incontrato anche il
segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha detto che c’è un’intesa di fondo
sulla necessità di coinvolgere il Palazzo di Vetro nell’assistenza umanitaria e
nella ricostruzione del Paese. Ma ha ammesso che esistono divergenze sui dettagli,
perché Bush non vuole cedere il controllo all’Onu dopo la guerra. Ieri, il
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito per discutere della
crisi e la delegazione americana ha abbandonato l’aula quando quella irachena
l’ha accusata di volere sterminare il Paese. Il Consiglio però ha raggiunto
l’accordo per riprendere il programma di aiuti “Petrolio per cibo”.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Se
Mosca ha reagito stamani per bocca del presidente Putin, che ha chiesto “la
sospensione immediata delle ostilità”' in Iraq e la ricerca di una soluzione
politica della crisi in seno all'Onu, Baghdad ha replicato cifre alla mano alle
dichiarazioni dei due leader alleati. Il ministro iracheno dell'Informazione,
Mohammed Said Al Sahaf, ha detto oggi che 75 civili sono stati uccisi e altri
290 sono rimasti feriti nei bombardamenti nemici della notte scorsa. Nella zona
di Bassora, ha aggiunto, fin dall'inizio della guerra 116 persone sono morte e
695 sono rimaste ferite. Inoltre, il ministro iracheno ha respinto le accuse di
Blair, secondo il quale i prigionieri britannici sono stati giustiziati dopo la
cattura. Proprio la questione sul trattamento dei prigionieri di guerra suscita
la preoccupazione degli organismi di solidarietà. Ecco
il parere di Daniele Scaglione, presidente emerito della sezione italiana di
Amnesty International, al microfono di Andrea Sarubbi:
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R. - La guerra ha le sue regole e mi sembra che qui
nessuna delle due parti in conflitto le stia rispettando e si stia impegnando
per farlo. L’utilizzo degli scudi umani è un crimine, ma bombardare dove ci
sono gli scudi umani è altrettanto un crimine. Bombardamenti a pioggia, come
quelli che stiamo vedendo, è impensabile che siano bombardamenti che non vanno
a colpire i civili, e in quanto tali, quindi, sono da considerarsi altri
crimini. E allo stesso modo il trattamento dei prigionieri: non sembra, né da
una parte né dall’altra, essere fatto seguendo le regole del diritto
umanitario.
D. - Quali sono i timori di Amnesty al nono giorno di
guerra?
R. - La
questione umanitaria, intesa indubbiamente come protezione dei civili. L’idea
che possano essere bombardati degli strumenti come la televisione è
allucinante, aberrante. Quello che vediamo poi è un’inadeguata preparazione
nella gestione dei profughi, nella gestione dell’emergenza umanitaria, ossia nel
portare cibo, medicinali a coloro che sono vittime indirette della guerra.
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C’è una buona notizia, proprio sul fronte degli aiuti ai
civili iracheni. Dopo i ritardi dei giorni scorsi, è approdata poco fa nel
porto di Umm Qasr la nave britannica Sir Galahad, con un carico di 200
tonnellate di beni di prima necessità. La loro distribuzione, secondo il
portavoce delle forze britanniche nel Golfo, il capitano di Gruppo Al Lockwood,
dovrebbe avvenire nell'area della cittadina portuale, ma punti di assistenza
sono stati allestiti anche lungo la strada che conduce a Bassora.
A
differenza della prima, la seconda Guerra del Golfo ha frantumato l’unità dei
Paesi del vecchio continente. Ieri pomeriggio, a Bruxelles, un gioco di veti incrociati
non ha permesso all’Unione Europea di
approvare uno dei sette progetti di
risoluzione sulla crisi irachena, presentati da tutti i gruppi politici.
Una frattura profonda ma non irreparabile, secondo il presidente della Commissione
europea, Romano Prodi, per il quale la strada della coesione continentale è
stata “interrotta dalla guerra in Iraq, ma non è chiusa”. La
cautela di Prodi si coglie anche nelle parole del presidente
dell’Europarlamento di Strasburgo, Pat Cox, al quale Charles Collins, della
nostra redazione inglese, ha domandato se ritiene che tali divisioni possano
essere sanate:
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R. – I BELIEVE SO, I HOPE SO ...
Voglio credere di sì, lo spero. Da un punto di vista politico e per la
carica che rivesto farò tutto il possibile per influenzare il risultato di
questo dibattito in modo che il Parlamento europeo tragga i dovuti insegnamenti
da questa situazione e li possa applicare in futuro. Abbiamo avuto delle
profonde divisioni e delle discussioni molto accese, del resto gli argomenti
trattati erano molteplici e tutti delicati. Nel gennaio scorso tuttavia il
Parlamento con una netta maggioranza si è detto profondamente preoccupato circa
il concetto di ‘guerra preventiva’ ed ha espresso l’auspicio che l’Onu ed il
Consiglio di Sicurezza mantenessero un ruolo determinante. Per poter tornare ad
essere efficaci dobbiamo riscoprire la capacità di agire nel segno del mutuo
rispetto e delle reciproca solidarietà, soprattutto nelle fasi decisionali. Una
cosa non facile, ma indispensabile per il futuro dell’Europa.
D. - Il
processo di costruzione della politica estera comune è risultato fortemente
danneggiato, si tratta di un qualcosa di irreparabile?
R. – I DON’T KNOW, IT’S VERY
DRAMMATIC ...
Al momento
manca la necessaria serenità per trarre delle conclusioni al riguardo. Certo,
abbiamo fatto un passo indietro sia nei rapporti inter-personali tra capi di
Stato e di Governo, sia a livello di rapporti tra Stati membri, come anche tra
questi e gli Stati che stanno per aderire all’Ue. Ma anche nei rapporti transatlantici
con gli Usa e in ambito Onu le cose non sono andate meglio. Penso che per
superare il trauma provocato dalle divisioni attuali ci sia bisogno di un
momento di serena riflessione, anche se ho potuto constatare alcuni segnali
positivi. C’è ad esempio un forte consenso degli Stati Ue in due ambiti: il
primo, riguarda la convinzione che l’Onu debba riprendere il programma “oil for
food”, il secondo riguarda la prevalenza della preoccupazione per la situazione
umanitaria in Iraq, rispetto alla questione se questa guerra sia giusta o meno.
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L’andamento
incerto della guerra in Iraq comincia a influenzare il futuro dell’economia
mondiale. Oltre ai costi del conflitto e della ricostruzione, il rischio per il
possibile diffondersi del terrorismo sta generando ansia nei mercati, a partire
da Wall Street. L’allarme arriva dal Fondo Monetario Internazionale che non
esclude una recessione globale. Le prime conseguenze si fanno già sentire anche in
America Latina, soprattutto per l’impennata dei prezzi del petrolio, come riferisce
il cardinale honduregno, Oscar Rodriguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa:
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R. - Siamo
davvero molto preoccupati per questa guerra in Iraq, che ha già avuto
conseguenze molto negative nel continente, specialmente nell’area del
Centroamerica. Abbiamo le nostre democrazie, che sono fragili per diversi
motivi, soprattutto per la crescente povertà in tutto il continente, e con questa
guerra soprattutto hanno già incominciato a farsi sentire gli aumenti del
prezzo del petrolio. Paradossalmente, in Europa il prezzo si è abbassato: per
noi, è salito. Quasi tutta la produzione del Venezuela veniva venduta in America
Centrale a prezzi speciali, adesso per il grande sciopero che c’è stato lì e
per la crisi dell’Iraq abbiamo già delle conseguenze. Un secondo momento è
questo: l’area centroamericana soprattutto ha una grande presenza di turismo
nordamericano, che è già totalmente interrotto. Dunque, le linee aree sono in
crisi, gli alberghi sono in crisi, i ristoranti sono in crisi e questa agitazione
si trasferisce alle strade, quando c’è molta più disoccupazione e anche
violenza civile. Dunque, siamo molto preoccupati per questo. In tutte le popolazioni
c’è il rifiuto della guerra e abbiamo fatto grandi campagne di preghiera
soprattutto sapendo che il Buon Dio può anche portare la pace.
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E
concludiamo con l’ultimo, accorato appello per il ritorno della pace nel loro
Paese levato dai capi delle Chiese cristiane in Iraq. Il documento esorta alla
cessazione degli scontri ed alla ripresa del dialogo. Ascoltiamone un
passaggio, letto da un portavoce delle Chiese cristiane irachene:
**********
Ci
sono ancora tante vie e molti mezzi per arrivare alla soluzione dei problemi
mondiali con il dialogo e la comprensione affinché tutti vivano una vita
tranquilla e pacifica. Noi, responsabili delle Chiese cristiane, insieme con i
nostri fratelli musulmani in Iraq, dove viviamo insieme con amore e carità
fraterna da centinaia di anni in questo Paese pacifico, ringraziamo tutti quelli
che lavorano per la fine dell’aggressione contro di noi e chiediamo loro di
continuare la preghiera e l’opera assidua per influenzare coloro che hanno
nelle loro mani la decisione della cessazione di questa aggressione sul nostro
popolo. Questa aggressione causa la morte di bambini, di anziani, di donne e
degli ammalati e, non ultimi, dei nostri giovani che devono difendere con
fedeltà e lealtà la patria.
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“CONCEZIONE EBRAICA E CRISTIANA
DELLA FAMIGLIA”.
E’ IL
TITOLO DEL DIBATTITO SVOLTOSI IN QUESTI GIORNI
NELLA
PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE
Nella Pontificia Università Lateranense si è svolto il 26
ed il 27 marzo l’incontro sul tema “Concezione ebraica e cristiana della
famiglia”. Il colloquio, proposto dall’Ambasciata di Israele presso la Santa
Sede, è stato organizzato dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per gli
studi su matrimonio e famiglia di Roma e dallo Shalom Hartman Institute
di Gerusalemme. Sugli aspetti in comune tra la concezione ebraica e quella
cristiana sul matrimonio, ascoltiamo il preside del Pontificio Istituto
Giovanni Paolo II, mons. Rino Fisichella, al microfono di Amedeo Lomonaco.
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R. – Il primo
elemento in comune, è quello che Gesù stesso ha richiamato quando ha voluto
istituire il matrimonio cristiano ed è un rimando a quella dimensione
originaria ed originante dell’atto creativo di Dio. Riprendendo il tema della
genesi e della Torah, Dio li creò maschio e femmina e chiese che lasciassero il
padre e la madre per unirsi l’uno con l’altro nell’amore ed in questa capacità
di essere uno per l’altro segno della donazione totale. E’ evidente che siamo
in una dimensione dell’amore e della dedizione e del dover pensare alla
procreazione. Tutti questi elementi sono condivisi anche dalla concezione
ebraica.
D. – La
tradizione cristiana e la dottrina ebraica considerano la famiglia la base
portante della società. Come si traduce nelle due concezioni questa centralità
della famiglia?
R. – La
centralità della famiglia, sia nell’una come nell’altra religione, è in primo
luogo la dimensione di una continuità, sia la continuità del rapporto che la
continuità della generazione. Ma all’interno di questa continuità della generazione
pensiamo al grande valore che ha per Israele, come anche per la Chiesa
cattolica, il tema della trasmissione della tradizione. Quindi la famiglia rimane
il centro ed è il cuore dove la trasmissione della fede diventa centrale per le
generazioni future.
D. – Si può
dire dunque che questo incontro costituisca un ulteriore passo in avanti nel
rapporto di conoscenza tra ebrei e cristiani?
R. –
Certamente, però è una conoscenza che non è fatta più soltanto sui libri e
sullo studio delle tradizioni, ma è una conoscenza fatta a livello di incontro
interpersonale. L’istituto ‘Giovanni Paolo II’, si incontra appunto con professori
del ‘Shalom Hartman Institute’ di Gerusalemme. E’ un incontro tra docenti, che
permette sia lo scambio delle conoscenze che già si hanno, ma consente anche di
avere nuove conoscenze che permettano di guardare al futuro in un modo diverso.
Al consigliere
dell’Ambasciata di Israele presso la Santa Sede, Zvi Tal, chiediamo quali sono
state a suo giudizio le novità emerse durante il dibattito:
“La novità è che si incontrano professori, accademici,
ricercatori sia del mondo cattolico che del mondo ebraico. L’idea è di
delineare i valori comuni che esistono nelle due tradizioni religiose. Penso
che il concetto condiviso sia la comprensione comune che esiste tra ebrei e
cattolici dell’amore per Dio e per il prossimo come vocazione centrale della
persona umana che si rispecchia anche nel matrimonio e nel nucleo familiare”.
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LA NIGERIA SI AVVIA ALLE ELEZIONI DI APRILE,
TRA
TENSIONI INTERNE E CRISI PETROLIFERA
-
Intervista con il parlamentare europeo Max Van Den Berg -
Gli scontri e le tensioni dei giorni scorsi nella regione
al delta del fiume Niger, nel sud della Nigeria, hanno provocato una caduta
nella produzione nazionale di petrolio di più di ottocento barili al giorno,
cioè di più di un terzo. E’ quanto ha dichiarato il consigliere per gli affari
petroliferi del Paese, Rilwanu Lukman, spiegando che tre multinazionali hanno
evacuato il loro personale dall’area interessata dagli scontri. La Nigeria, che
è il sesto esportatore al mondo di petrolio e il primo per quanto riguarda
l’Africa, sta per affrontare le elezioni generali nel prossimo mese di aprile.
Si tratta del primo vero passaggio da una rappresentanza democraticamente
eletta ad un’altra sempre democraticamente eletta. In precedenza, infatti, nel
1999, la Nigeria usciva da un potere militare. Fausta Speranza ha raggiunto
telefonicamente il capo della missione di osservatori dell’Unione Europea per
il monitoraggio di tali elezioni, il parlamentare europeo Max Van Den Berg.
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R. – IN A COUNTRY WHERE ...
E’ chiaro che in un Paese dove le risorse nazionali
giocano un grosso ruolo e, in particolare,
sono rilevanti gli incassi dovuti al petrolio e alle compagnie petrolifere,
le discussioni su chi debba incassare, quale Stato, quale gruppo, sono sempre
occasione di tensione. E ci sono oggi
tensioni forti lungo il delta del
Niger. Ho visto io stesso lunghe file di macchine che aspettano per i rifornimenti
di benzina. Non è chiaro se questo sia direttamente legato alla questione o
meno. Credo sia ancora troppo presto per dirlo. A volte, comunque, sono file di 4 km. Questo ovviamente crea
un’atmosfera niente affatto piacevole. Questi fattori economici influiscono
chiaramente sull’atmosfera del Paese. Direi che non si può dire oggi se la
questione irachena e la discussione del petrolio a livello internazionale
abbiano ripercussioni dirette su tutta questa situazione di gestione
dell’economia legata al petrolio.
D. – Certamente la guerra in Iraq ha ed avrà terribili
conseguenze in molti aspetti. Ci sono rischi per gli equilibri in Nigeria?
R. – I WOULD SAY NO FOR THE MOMENT …
Direi di no per il momento, ma potrebbero esserci nel caso
in cui la Nigeria non fosse sicura della sua posizione politica, voglio dire se
alcuni gruppi politici si sentiranno di perdere potere. Per il momento il
presidente Obasanjo ha portato le differenti realtà politiche ad unirsi e tutti
hanno ribadito di voler lavorare duro per creare una situazione pacifica, calma
e stabile durante le prossime elezioni di aprile. Spero che ciò avvenga. Questo
è quello che posso dire in questo momento.
D. - In molti hanno parlato del fallimento delle Nazioni
Unite e dell’Unione Europea in relazione alla guerra in Iraq. Ritiene sia
importante ricordare anche quello che l’Ue continua a fare con gli osservatori
in missione per monitorare le lezioni di Paesi in difficoltà?
R. – ABSOLUTELY, SUCH MISSIONS …
Assolutamente, tali missioni si avvalgono di ottimi
analisti per quanto riguarda gli aspetti del diritto, dei media. Si tratta di
persone che sono ben preparate e dislocate in varie postazioni in tutto il
Paese interessato. L’Europa dovrebbe essere orgogliosa non solo della sua forza
militare, ma anche per questo tipo di attività in sostegno della pace, per il
suo impegno a costruire qualcosa di stabile e duraturo, fondamentale nei
processi democratici.
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28 marzo 2003
MESSAGGIO DEI VESCOVI MESSICANI PER
L’IMMINENTE CAMPAGNA ELETTORALE
CHE
PORTERÀ ALLE CONSULTAZIONI DEL 6 LUGLIO. I VESCOVI ESORTANO I FEDELI
A RECARSI ALLE URNE, INVITANO I POLITICI A
CAMPAGNE ELETTORALI SOBRIE,
E
RACCOMANDANO AI SACERDOTI DI NON ESPRIMERE PREFERENZE POLITICHE
CITTÀ
DEL MESSICO. = In previsione dell’appuntamento del 6 luglio per le elezioni
federali, statali e municipali la Conferenza dell’episcopato messicano (Cem) ha
inviato un messaggio ai fedeli dal titolo “Votiamo con responsabilità”. Le raccomandazioni
dei presuli riguardano l’affluenza alle urne e la libertà del voto per chi ha
il diritto di eleggere e, per chi sarà chiamato a governare, il lavoro onesto a
favore della crescita del Paese. Il documento invita i messicani ad esprimere
una preferenza ragionata, libera, personale e segreta nella consapevolezza che
non si può rinunciare alla partecipazione politica. In prospettiva
dell’imminente campagna elettorale, i presuli rivolgono un appello ai candidati
affinché non cedano a diatribe personali ed insulti ed invitano i politici a
realizzare una promozione elettorale sobria. “Crediamo – affermano - che in
Messico, dove esiste tanta povertà, non siano giustificabili campagne
dispendiose come le attuali, soprattutto se si considera che è il popolo quello
che alla fine le paga”. Più forte perciò si leva la richiesta nei confronti dei
politici cattolici. “Ricordiamo - affermano - il dovere morale di attenersi
alla dottrina evangelica, custodendo l’adesione alla fede cattolica e non
appoggiando leggi contrarie alla morale e all’etica come quelle che attentano
al diritto alla vita o alle istituzioni della famiglia e del matrimonio”. I
vescovi si rivolgono infine ai sacerdoti delle loro diocesi: “Come pastori -
scrivono - siamo chiamati a essere fattori di unità e comunione, di
riconciliazione e pace. Il nostro ruolo non è parlare in favore o contro quel
candidato o partito politico: dobbiamo rispettare la libertà dei fedeli nelle
scelte politiche. Nessun partito rappresenta la Chiesa e i cattolici possono
militare o dare il loro voto liberamente al partito o al candidato che meglio
risponde alle loro convinzioni personali”. (M.A.)
NEL NORD
DALL’AFGHANISTAN, PROVATO DALL’EMERGENZA ALLUVIONI,
MIGLIAIA DI PERSONE SONO STATE COLPITE DALLE FORTI
PRECIPITAZIONI
CADUTE IN QUESTA
SETTIMANA
KABUL.
= Le forti piogge, cadute questa settimana sul nord dell’Afghanistan, hanno
distrutto centinaia di case creando disagi a migliaia di persone. Il portavoce
della missione delle Nazioni unite in Afghanistan (Unama), Manoel de Almeida el
Silva, ha affermato che “undici persone sono morte e oltre 2 mila sono state
colpite dalle improvvise alluvioni” . I maggiori disagi si sono registrati
nella provincia di Kunduz, a ridosso del confine con il Tajikistan, dove 168
abitazioni sono andate distrutte e 474 hanno subito forti danni. Le alluvioni
hanno poi interessato, in maniera meno drammatica, i distretti di Chardara,
Dasht-I-Arch e Ali Abad. “Per fronteggiare la situazione – ha detto il
portavoce della missione Onu – a Kunduz è stato predisposto un team d’emergenza
formato da militari, civili, organizzazioni non governative e rappresentanti
del ministero afgano per l’ambiente”. La missione delle Nazioni Unite ha
riportato inoltre casi di forti precipitazioni nella provincia di
Mazar-e-Sharif, ad ovest delle zone più colpite. In quell’area, il 25 marzo
scorso una squadra per le emergenze ha prestato assistenza a 325 famiglie” ha
aggiunto Manoel de Almeida el Silva. L’Afghanistan si trova comunque impreparato
a fronteggiare simili casi. Qazi Tajudin, responsabile dell’unico ufficio
afgano predisposto ad affrontare disastri naturali, il “Disaster
Preparedness Department”, ha affermato: “stiamo muovendo adesso i primi passi
nell’addestrare squadre specializzate per prestare soccorso in caso di emergenze
di portata nazionale”. Malgrado ciò, non erano stati studiati piani specifici
per casi come quello di Kunduz. (A.L.)
LE SCUOLE
CATTOLICHE EDUCHINO ALLA PACE E AL RISPETTO DELLA PERSONA.
QUESTI I
VALORI INDICATI DAL CARDINALE GROCHOLEWSKI PREFETTO
DELLA CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE
CATTOLICA ALLE SCUOLE CILENE
DURANTE LA SUA VISITA NEL PAESE ANDINO
SANTIAGO
DEL CILE. = “Le scuole cattoliche hanno il dovere di educare alla pace e al
rispetto della persona umana”. Con queste parole, il prefetto della Congregazione
per l’educazione cattolica, il cardinale Zenon Grocholewski, ha ribadito a
Santiago del Cile durante una visita che si conclude domani, il ruolo delle
istituzioni scolastiche cattoliche. “Gesù Cristo, principe della pace – ha aggiunto
- ci ha insegnato moltissimo in questo senso: la pace si crea nei cuori delle
persone”. Per il porporato è necessario che la Chiesa si orienti con decisione
verso la pace: è una sfida nei confronti del mondo contemporaneo. Da qui parte
perciò la missione delle scuole cattoliche: educare, formare gli alunni al bene
della pace. Il cardinale Grocholewski è intervenuto anche riguardo alle
proposte di inserire tra le materie scolastiche l’educazione sessuale. “C’è il
rischio - ha detto - che la sessualità sia banalizzata e resa triviale”. Il
cardinale ha perciò spiegato il valore e l’importanza che il cristianesimo dà
alla sessualità, grande dono di Dio, ma ha ammonito che se l’individuo ne è
completamente dominato ha un potenziale distruttivo. La visita del cardinale è
iniziata lunedì scorso e si concluderà domani. In questi giorni ha incontrato
il ministro dell’Educazione, Sergio Bitar e l’Area dell’educazione
dell’episcopato cileno e visitato alcune università cattoliche del Paese.
(M.A.)
LE ACQUE DEL LAGO TITICACA, AL CONFINE TRA PERU’ E
BOLIVIA, HANNO INONDATO
17
CENTRI ABITATI. SONO CIRCA TRE MILA LE FAMIGLIE RIMASTE SENZA TETTO
LIMA. =
Circa Tremila famiglie residenti sulle sponde del Lago Titicaca, nel distretto
peruviano di Pilcuyo alla frontiera tra Perù e Bolivia, sono rimaste senza
tetto a causa del drastico aumento del livello delle acque. Lo riporta la
stampa locale, precisando che erano almeno 15 anni che non si verificava uno
straripamento di tale entità. Il sindaco di Pilcuyo, Alberto Catachura Vilca,
ha spiegato che le acque del Titicaca, il lago più alto del mondo situato a
quasi cinque mila metri di altitudine, hanno inondato 17 centri abitati e
sommerso almeno 900 ettari di raccolti. La metà del raccolto è andata
irrimediabilmente perduta. L’innalzamento del livello del lago è iniziato molto
lentamente circa due mesi fa ed è stato provocato dall’insistenza delle
precipitazioni cadute su tutto l’altopiano di Puño. “Una ventina di case sono
state distrutte ed un altro migliaio di abitazioni corrono il rischio di
crollare da un momento all’altro”, ha aggiunto Catachura. I meteorologi hanno
avvertito che le piogge proseguiranno almeno fino alla fine del prossimo mese
di aprile. (A.L.)
“PER FAR FRONTE ALLE INGIUSTIZIE COMMESSE
NEL PASSATO È NECESSARIO DIRE LA VERITÀ”. E’ QUESTO L’APPELLO LANCIATO
DALL’ARCIVESCOVO DI NAIROBI, MONS. NDINGI MWANA’A NZEKI, PER FAR LUCE SULLE
INGIUSTIZIE COMPIUTE IN KENYA
NAIROBI. = Come far fronte ai crimini ed alle ingiustizie
del passato? È quello che si chiedono i cittadini del Kenya, dopo l’elezione
del neo presidente Mwai Kibaki. La sua
vittoria elettorale ha posto fine a quasi 40 anni di potere del partito Kenya
African National Union (Lanu) che ha governato il Paese dall'indipendenza nel
dicembre 1963 al dicembre 2002. Nel dibattito è intervenuto l’arcivescovo di
Nairobi, mons. Ndingi Mwana’a Nzeki che in un articolo apparso sul quotidiano
"East African Standard” sostiene la creazione immediata di una Commissione
per la verità, la giustizia e la riconciliazione. "I keniani sono stati
danneggiati in diversi modi ed il modo migliore per far fronte a queste
ingiustizie è dire la verità, denunciando i responsabili e delle violazioni dei
diritti umani". Il presule ha ricordato in particolare omicidi misteriosi
rimasti impuniti come quello di Robert Ouko, un ministro ucciso nel febbraio
1990, e quello di padre John Anthony Kaiser, missionario ucciso nell'Agosto
2000. L'arcivescovo di Nairobi ha sottolineato che la Chiesa non ammette la
vendetta, ma che i crimini vanno puniti secondo giustizia. (A.L.)
SI È SVOLTO NEI GIORNI SCORSI A CALCUTTA IL CAPITOLO GENERALE DELLA CONGREGAZIONE DELLE MISSIONARIE DELLA CARITÀ.
SUOR NIRMALA JOSHI È STATA CONFERMATA ALLA GUIDA DELL’ISTITUTO RELIGIOSO
CALCUTTA. = Le Missionarie della Carità, meglio note come suore di Madre Teresa, hanno confermato alla guida della Congregazione suor Nirmala Joshi per il secondo mandato consecutivo. La superiora generale, informa l’agenzia Fides, è stata rieletta da un’assemblea di 140 delegate provenienti da tutto il mondo, giunte a Calcutta, in India, per l’ottavo capitolo generale tenutosi la scorsa settimana. Suor Nirmala, 69 anni, è la secondogenita di una famiglia nepalese con 11 figli, di religione indù, convertita al cristianesimo a 23 anni e poco dopo entrata tra le suore di Madre Teresa. La Congregazione conta circa 4.400 religiose in 703 case presenti in cinque continenti. (A.M./M.A.)
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28 marzo 2003
- A cura di Andrea Sarubbi -
È stato ritrovato oggi nelle colline di Fruska Gora, una
quarantina di chilometri a nord di Belgrado, il cadavere dell’ex presidente
serbo Ivan Stambolic, scomparso nell’agosto del 2000. L’ex capo di Stato, avversario
di Milosevic, era stato rapito da quattro membri dei “berretti rossi”, il
braccio armato dei servizi segreti disciolto tre giorni fa nell’ambito delle
indagini per l'omicidio del premier Zoran Djindjic. Proprio due dei principali
indiziati del delitto Djindjic, Dusan Spasojevic e Milan Lukovic, sono rimasti
uccisi ieri sera in una sparatoria.
Nonostante gli ammonimenti ricevuti nei giorni scorsi
dalla Corea del nord, il Giappone ha effettuato stamattina il lancio di due
satelliti spia, con il compito di tenere sotto osservazione le basi militari e
le rampe di lancio missilistiche nordcoreane. Immediata la reazione di
Pyongyang: il lancio è “un atto ostile”, che “rischia di aggravare la corsa
agli armamenti in Asia”.
Continua a mietere vittime la guerra dimenticata in
Burundi. Una violenta battaglia tra l’esercito e la guerriglia si è verificata
nei pressi della capitale, Bujumbura. Ce ne parla Giulio Albanese:
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Secondo un portavoce delle forze armate, l’esercito
burundese ha ucciso 76 ribelli nel corso dei combattimenti molto intensi,
mentre un responsabile delle Forze per la difesa della democrazia, pur
confermando la violenza degli scontri a fuoco, sostiene che questa cifra sia
esagerata. Intanto, fonti indipendenti hanno confermato la notizia, precisando
che tra mercoledì e giovedì esercito e ribelli si sono confrontati duramente, lasciando
sul campo un alto numero di vittime in diverse località del comune di Bukeye,
uno dei santuari della ribellione, a circa 60 km dalla capitale Bujumbura. Va
ricordato che – nonostante un accordo per la sospensione delle ostilità,
sottoscritto lo scorso dicembre dal governo e dai tre dei quattro gruppi
ribelli del Burundi – purtroppo la guerra continua, ed a pagarne il costo più
alto è la stremata popolazione civile.
Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.
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Nuovi scontri in Ciad, tra l’esercito ed i ribelli del
Movimento per la democrazia e la giustizia (Mdjt). Le violenze, iniziate
martedì nel villaggio settentrionale di Ossini, avrebbero provocato almeno 70
morti tra i militari ed un centinaio di feriti. Da ieri, sostengono i
guerriglieri, l’esercito sarebbe stato costretto a riparare nella città di
Bardai, nell’estremo nord del Paese. Ma la notizia non ha trovato riscontri ufficiali.
In una lettera inviata al Consiglio di sicurezza dell’Onu,
il governo del Rwanda ha accusato la Repubblica democratica del Congo di non rispettare
il cessate-il-fuoco firmato a Lusaka nel 1999 e gli impegni sottoscritti a
Pretoria nel luglio 2002. Secondo Kigali, Kinshasa continuerebbe a sostenere
gli estremisti hutu ruandesi presenti sul proprio territorio, anziché
rimpatriarli. Ma gli osservatori internazionali precisano che lo stesso governo
di Kagame, pur avendo ritirato i propri uomini dal territorio congolese, non ha
smesso di appoggiare la Rcd-Goma, principale movimento anti-governativo nelle
zone orientali dell’ex Zaire.
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