RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 86 - Testo della Trasmissione giovedì 27 marzo 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Le strategie della evangelizzazione per fronteggiare le sfide attuali, indicate da Giovanni Paolo II alla Plenaria della Pontificia Commissione per l’America Latina.

 

Il pensiero del Papa per le vittime della povertà, delle ingiustizie e della guerra, nel saluto ai Granduchi di Lussemburgo, ricevuti in Vaticano.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Ancora bombe su Baghdad, numerosi morti, edifici distrutti, colpito anche il patriarcato caldeo. Bloccata la macchina della solidarietà per la distribuzione degli aiuti alla popolazione civile. Nuovo appello di Kofi Annan, per fronteggiare la crisi umanitaria: con noi il vescovo ausiliare Shlemon Warduni, Lucio Caracciolo, Maria Pia Garavaglia, i cardinali Roberto Tucci e Castrillòn Hoyos.

 

CHIESA E SOCIETA’:

“L’ideologia della guerra preventiva è un terribile errore perché distrugge le basi del diritto internazionale”: così il cardinale dell’Honduras Maradiaga parlando a Roma di “violenza e pace in America Latina”.

 

Sono almeno 10 mila le persone rimaste senza un tetto dopo le violente precipitazioni che negli ultimi giorni hanno investito la zona meridionale della Zambia.

 

“La Chiesa cattolica in Cina”, tema di un Convegno internazionale nella Pontificia Università Urbaniana.

 

L’acqua che scorre nel sottosuolo del Bangladesh contiene alti livelli  di arsenico. Secondo le Nazioni Unite 25 milioni di abitanti rischiano di ammalarsi e, in alcuni casi, la morte.

 

Questo fine settimana la città di Sydney ospiterà una Conferenza internazionale sul tema “Abramo, un simbolo di speranza e del comune legame per ebrei, cristiani e musulmani”.

 

24 ORE NEL MONDO:

Nei Territori palestinesi manifestazioni a sostegno di Saddam Hussein; nuovi raid israeliani nella Striscia di Gaza.

 

Nuove sanguinose violenze in Algeria causate dal Gruppo Islamico Armato.

 

Si estende la guerra civile in Liberia.

 

Difficoltà nella formazione del governo in Costa d’Avorio.

 

Ingresso di sette Paesi dell’est europeo nella Nato.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

27 marzo 2003

 

 

SEMPLICITÀ E VICINANZA AI SOFFERENTI: QUESTI I VALORI EVANGELICI

SOTTOLINEATI DA GIOVANNI PAOLO II AI PARTECIPANTI

ALLA RIUNIONE PLENARIA DELLA PONTIFICA COMMISSIONE PER L’AMERICA LATINA,

RICEVUTI OGGI IN UDIENZA

 

- A cura di Matteo Ambu -

 

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“La Chiesa deve porre il centro della sua attenzione pastorale e della sua azione evangelizzatrice in Cristo crocifisso e risorto. Tutto quello che si progetta in campo ecclesiale deve partire da Cristo e dal suo Vangelo”. Con queste parole riprese dall’Esortazione Apostolica “Ecclesia in America”, Giovanni Paolo II ha incitato ad un vigoroso slancio evangelizzatore i partecipanti alla riunione plenaria della Pontifica Commissione per l’America Latina, ricevuti oggi in udienza.

 

Il Santo Padre ha ricordato i problemi del continente: per rispondere a queste sfide ha invocato l’impegno di persone che con ardore, entusiasmo, spirito ecclesiale, colme di fede e speranza, annuncino con forza Cristo. Per questo Giovanni Paolo II ha voluto precisare il ruolo delle strutture nelle quali queste persone lavorano. “Tali strutture – ha detto – devono essere semplici, agili, in maniera che non stanchino, ma aiutino e facilitino il lavoro pastorale; d’altra parte devono essere efficaci, secondo le esigenze del tempo. Ai fini dell’evangelizzazione – ha proseguito Giovanni Paolo II – è importante sfruttare tutte le moderne tecniche, ma evitando la burocratizzazione eccessiva, la moltiplicazione dei viaggi e delle riunioni, così come l’impiego superfluo di persone, tempo e risorse economiche che potrebbero essere destinate meglio all’azione diretta dell’annuncio evangelico e all’attenzione verso i più bisognosi. Lo stile della vita della Chiesa deve riflettere il volto semplice dell’America Latina”.

 

Giovanni Paolo II ha perciò ribadito ai presuli la sollecitudine che la Chiesa è chiamata a dimostrare verso i diseredati, gli indigeni, gli operai, i migranti, gli emarginati e gli infermi: le persone che soffrono costituiscono per il Santo Padre il primo ambito in cui la Chiesa è chiamata ad operare. Per questo il Papa ha lanciato un’esortazione a trovare nuovi metodi ed iniziative per essere sempre più vicini ai fedeli.

 

Il Santo Padre ha poi introdotto il problema pastorale della diffusione delle sette. Esso costituisce per la Chiesa una sfida a rinnovare lo stile di accoglienza nelle comunità ed un forte stimolo ad una nuova e coraggiosa evangelizzazione destinata soprattutto agli adulti. Perciò il Papa ha in conclusione richiamato la missione che Cristo affida ad ogni cristiano. “Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco – ha detto citando la Novo millennio ineunte – la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo”.

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I GRANDI VALORI UMANI E SPIRITUALI A FONDAMENTO DELLA PACE,

NEL SALUTO DEL PAPA AI GRANDUCHI DI LUSSEMBURRGO RICEVUTI IN VATICANO

 

- A cura di Paolo Salvo -

 

Il pensiero del Papa è andato a coloro che soffrono per la povertà, l’ingiustizia e la guerra, con uno speciale richiamo al “patrimonio di valori” in grado di dare un’anima alla costruzione dell’Europa, nell’indirizzo di saluto ai Granduchi di Lussemburgo, Henri e Maria Teresa, giunti martedì scorso in Italia per una visita di Stato e ricevuti stamani in Vaticano con le persone del seguito.

 

“La costruzione dell’Unione Europea – ha sottolineato in primo luogo Giovanni Paolo II – non può limitarsi ai soli campi dell’economia e dell’organizza-zione del mercato”, ma deve anzitutto promuovere “un modello di società che onori la dignità fondamentale di tutto l’uomo e i suoi diritti, e che privilegi tra le persone e i popoli rapporti fondati sulla giustizia, il rispetto reciproco e la pace”. E’ proprio in questo spirito che lavora la Santa Sede – ha aggiunto – per ricordare instancabilmente il valore dell’uomo secondo gli insegnamenti del Concilio.

 

“La dimensione religiosa dell’uomo e dei popoli, di cui non si può trascurare l’importanza, permette per l’appunto a ciascuno – ha affermato il Papa – di esprimere il suo essere profondo, di riconoscere la sua origine in Dio e di comprendere il senso della sua azione in termini di missione e di responsabilità”. Una responsabilità collegata al “valore inalienabile della nostra comune umanità” e diretta “nei confronti di ogni uomo, particolarmente di coloro che soffrono per la povertà, il mancato rispetto della loro dignità o che conoscono la prova della guerra”. Il Papa si è quindi rallegrato che tanti giovani europei abbiano oggi “sete dello spirito delle Beatitudini” e siano “pronti ad accoglierlo ancor più nella loro vita”.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

“Un grido di dolore della popolazione irachena” è il titolo che apre la prima pagina, in riferimento alle crescenti sofferenze prodotte dall'imperversare del conflitto in Iraq.

 

Nelle vaticane, nel discorso all’Assemblea Plenaria della Cal, il Papa ha esortato ad evangelizzare in profondità, con uno stile di vita ecclesiale che rifletta il volto semplice dell’America Latina, allo scopo di rispondere alla sfida delle sette.

Nel discorso alle Loro Altezze Reali i Granduchi di Lussemburgo, il Santo Padre ha ricordato l’urgenza del “dovere” e della “responsabilità” nei riguardi di quanti soffrono per la povertà e conoscono la prova della guerra. 

Dichiarazione sulla guerra con l’Iraq del presidente dei vescovi cattolici degli Stati Uniti d’America.

Conferenza dell’arcivescovo Tauran, in un convegno a Montecassino, sulla Carta Costituzionale Europea. 

L'intervento dell’osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, nella 59.ma sessione della Commissione dei diritti umani.

Un articolo di Francesco Maria Valiante dal titolo: Due “incontri” legati dalla Corona: il 7 ottobre 2003 Giovanni Paolo II pellegrino a Pompei.

Una pagina dedicata alla Serva di Dio Suor Consolata Betrone, nel primo centenario della nascita.

 

Nelle pagine estere, pesanti bombardamenti segnano l’inizio della seconda settimana di conflitto in Iraq.

Un dettagliato articolo riguardante la complessa situazione sul versante umanitario. 

Incontro a Camp David tra Bush e Blair per affrontare le questioni del dopo guerra.

Medio Oriente: cruenta incursione israeliana a Gaza.

Nella pagina culturale, un contributo di Claudio Toscani dal titolo “L’analisi dei testi come avventura culturale”: la raffinata critica letteraria di Oreste Macrì nel volume “Da Betocchi a Tentori”.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la situazione politica in riferimento alla crisi irachena.

In rilievo il tema del terrorismo.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

27 marzo 2003

 

 

MORTI E FERITI A BAGHDAD SOTTO LE BOMBE.

EDIFICI DISTRUTTI, COLPITO ANCHE IL PATRIARCATO CALDEO.

IL GRIDO DELLA POPOALZIONE: CESSI LA GUERRA!

 

- A cura di Paolo Ondarza -

 

Ad una settimana dall’inizio della guerra, la fine della tempesta di sabbia su Baghdad non è certamente coincisa con una tregua dei bombardamenti che continuano a mietere numerose vittime. Oggi il ministro della Difesa britannico Geoff Hoon ha comunicato che esistono le prove della volontà da parte di Saddam Hussein di “fare uso di armi di distruzione di massa”. Nel frattempo il ministro iracheno della Sanità Umid Mehdat Mubarak ha fornito il bilancio degli iracheni uccisi nelle ultime 24 ore nella capitale: almeno 36 uomini. Sarebbero invece circa 350 i civili morti dall’inizio del conflitto e 3 mila e 650 i feriti.  Tra i danni arrecati dalle bombe lanciate stamani va segnalato quello alla chiesa ed al patriarcato dei caldei. In merito Francesca Sabatinelli ha intervistato mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad dei Caldei.

 

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R. – E’ una situazione di guerra atroce che non ha misericordia né cuore né conosce l’amore cristiano. Perciò, nemmeno i diritti umani, i diritti civili sono rispettati. E questo ogni giorno diviene più atroce. Tra i civili certamente le vittime ci sono, specialmente dopo gli ultimi bombardamenti di ieri e di oggi. Oggi noi vescovi di Baghdad – cattolici e ortodossi – ci siamo riuniti ed abbiamo pubblicato un appello: noi, uniti ai nostri fratelli musulmani, chiediamo a tutti di rivolgere un appello urgente per far cessare il fuoco.

 

D. – Mons. Warduni, lei parlava della violazione dei diritti umani ...

 

R. – Già la guerra stessa è una violazione dei diritti umani. Noi siamo nella nostra casa: perché vengono ad invadere la nostra casa? Con quale diritto fanno questo? Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu deve prendere le decisioni, non i singoli Stati!

 

D. – Mons. Warduni, in questo momento la situazione lì a Baghdad, com’è?

 

R. – La situazione peggiora ogni giorno, perché la paura, lo sgomento aumentano ogni giorno, perché i bombardamenti non cessano né di giorno né di notte, sono sempre più atroci e più terribili. Voglio dire che i nostri bambini gridano al cielo, le nostre donne, i nostri giovani, i nostri vecchi e chiedono al buon Dio per mezzo di tutti voi la pace: la pace, non la guerra! Cessi la guerra!

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 “L’avvenuto miglioramento delle condizioni atmosferiche in Iraq incrementerà le operazioni angloamericane”. E’ quanto ha detto oggi un ufficiale superiore americano presso il Comando centrale della base di As Sayliya, in Qatar. Al momento unità dei marine americani procedono l’avanzata verso Baghdad, divise in due colonne: una a sud-est e l’altra ad ovest della capitale. Nel corso della loro marcia avrebbero già presi prigionieri centinaia di soldati iracheni.

 

Oggi intanto una fonte della difesa britannica ha comunicato all’agenzia di stampa Reuters che la prima priorità delle forze a guida Usa che stanno aprendo un nuovo fronte nel nord dell'Iraq è quella di rafforzare le linee curde piuttosto che lanciare un attacco a Baghdad dal nord.  Ma come si vivono negli Stati Uniti queste ultime ore? Ci risponde da New York Paolo Mastrolilli.

 

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Le difficoltà degli ultimi giorni hanno avuto un impatto sulla linea della Casa Bianca e infatti ieri Bush, pur ribadendo che la vittoria finale è sicura, ha avvertito che la guerra non sarà breve come molti si aspettavano. Il presidente è andato nella base della Florida, dove si trova il comando delle operazioni, e ha detto che i piani procedono bene, ma ha aggiunto che non è possibile conoscere la durata del conflitto e bisogna essere pronti a battaglie difficili.

 

Ieri sera, poi, Bush ha accolto a Camp David  il premier britannico Blair per discutere la strategia militare e l’attacco a  Baghdad, gli aiuti umanitari e il ruolo dell’Onu nella ricostruzione che Londra vuole e Washington osteggia.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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E a proposito di strategie militari, quanti sono i fronti militari in questa guerra? Giada Aquilino ha rivolto la domanda a Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica “Limes”.

 

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R. – Al di là dei fronti classici, che sono il fronte di Baghdad, creato dall’avanzata da sud delle truppe anglo-americane, e il fronte nord, quello che coinvolge i curdi, vi sono una serie di fronti locali, forse minimi,  forse maggiori, che costringono gli americani a combattere una guerriglia che non è esattamente il loro forte, né il loro terreno preferito.

 

D. – Quanto durerà questo conflitto, che dovrebbe vedere, come momento decisivo la battaglia a Baghdad?

 

R. – Io penso che gli americani tireranno ancora le cose per le lunghe sia per accorciare la loro logistica, il loro treno logistico, che si estende per centinaia di chilometri, e quindi evitare di essere colpiti ai fianchi o alle spalle mentre assediano Baghdad, sia anche per concedere una ultimissima, estrema chance a quei generali che volessero sottrarsi al dominio di Saddam per saltare il fosso e quindi far crollare da dentro il regime evitando una Stalingrado irachena.

 

D. –Da un conflitto così imprevedibile, come verrà riscritta la geopolitica dell’area mediorientale?

 

R. – La geopolitica irachena, mediorientale, ma direi anche mondiale, è già in corso di riscrittura. Non c’è più nulla di determinato, nullo di fisso. Fin d’ora possiamo dire che il prezzo che tutti pagheremo per questa guerra sarà molto alto.

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Gli Stati Uniti hanno richiesto al governo turco l'uso di tre basi aeree per condurre missioni di bombardamento sull'Iraq. La notizia pubblicata oggi dal quotidiano turco ''Turkish Daily Radikal'' informa inoltre che il governo turco si sarebbe già dichiarato disponibile alla concessione delle basi per il trasferimento di soldati feriti o dei morti. Intanto c’è attesa per un accordo tra Ankara e Washington sull’invio di truppe turche nel nord dell’Iraq. Se questo avvenisse potrebbe pregiudicare un ingresso della Turchia nell’Unione Europea, come ha spiegato il commissario europeo all’allargamento, il tedesco Guenter Verheugen.

 

Il governo turco ha fatto sapere che oltre ai soldati già inviati sul fronte in sostegno degli Usa, lascerà partire altri uomini solo se costretto dall’emergenza profughi o da un coinvolgimento in scontri armati. Sul controverso atteggiamento dei turchi Andrea Sarubbi ha raccolto l’opinione di Arduino Paniccia, docente di Studi Strategici all’Università di Trieste.

 

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R. - Gli americani non troveranno più i turchi sugli attenti, pronti soltanto ad obbedire, ma si troveranno sicuramente un alleato, con il quale, però, dovranno fare i conti sia di tipo geopolitico, sia di tipo economico.

 

D.- Che vantaggi potrà ottenere direttamente la Turchia dalla ricostruzione in Iraq?

 

R. – Uno dei settori trainanti della Turchia, grazie anche alla grande crescita della popolazione, è proprio il settore delle costruzioni, dove le imprese turche, i consorzi turchi, già da tempo operano con molto successo in tutta l’area. In questo, credo che le aziende europee e americane dovranno confrontarsi con la competizione delle aziende turche che hanno accumulato negli ultimi 20 anni una grande esperienza.

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E questa mattina l'Europarlamento a Bruxelles non é stato in  grado di pronunciarsi sulla guerra in Iraq: l'aula ha infatti bocciato tutte le proposte di  risoluzione presentate dai vari gruppi politici.

 

Affrontiamo ora un altro aspetto della guerra al centro delle polemiche e dei dibattiti dell’opinione pubblica: il ruolo della stampa nel conflitto in Iraq. La cosiddetta “guerra in diretta” infatti non è solo combattuta con le armi, ma anche con le parole ed infervora il dibattito sull’etica dell’informazione. Proprio ieri la televisione panaraba al Jazeera ha mostrato due soldati morti e due prigionieri, tutti britannici.

 

 Le immagini di scarsissima qualità, puntavano come al solito sull’impatto emotivo suscitato negli spettatori di tutto il mondo: due cadaveri di uomini in divisa, ricoperti di sangue, sdraiati in terra sulla schiena. Ma quanto la stampa in questi giorni è realmente rispettosa dei  principi etici e informativi che dovrebbero animarla? Quanto alla base di tutto si nascondono interessi propagandistici delle due opposte fazioni? E soprattutto qual è il ruolo dell’informazione? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto al prof. Stefano Martelli, docente di teoria e tecniche della comunicazione all’Università di Palermo:

 

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R. – In questo momento gioca un ruolo importantissimo, perché c’è una grande aspettativa in tutte le genti del mondo a rendersi conto degli sviluppi di questa sciagurata vicenda. C’è un problema di legittimazione: America, Gran Bretagna e Australia sono intervenute senza un mandato preciso dell’Onu. Su chi ha deciso di ricorrere alle armi pesa quindi la responsabilità di giustificare quello che sta avvenendo. L’informazione ha una grande importanza proprio per la questione morale che sta dietro a queste scelte tragiche di questi ultimi tempi.

 

D. – La guerra delle parole e le icone delle armi possono uccidere la verità: come è possibile evitare le trappole dell’informazione?

 

R. – Noi abbiamo sicuramente una nuova strategia informativa, gestita dagli alleati. Gli Stati Uniti si sono resi conto che il vero fronte su cui si deve vincere non è soltanto il terreno in cui le armi parlano, ma è soprattutto il fronte interno, cioè l’opinione pubblica sia dei Paesi coinvolti nel conflitto ma anche l’opinione della società civile globale, che si esprime soprattutto attraverso le manifestazioni di protesta. La guerra delle parole è sicuramente più delicata e decisiva di quella delle armi. Le immagini che ci vengono dalle riprese televisive sul fronte sono icone che logorano coloro che sostengono che sarà una guerra breve, che sarà una guerra chirurgica, che le bombe sono intelligenti. Si rivela invece l’orrore della guerra, di tutte le guerre, specialmente di questa che rischia di diventare altamente disumanizzante.

 

D. – L’offerta mediatica tende ad abbattere ogni confine, proponendo scene anche molto forti. Dove si colloca il confine tra l’esigenza informativa e l’osservanza dei principi etici?

 

R. – Compito delicato della professione giornalistica è quello di riuscire a rendere conto della realtà senza cadere in quella moda recente della drammatizzazione delle notizie, che fa tanto audience ma che sicuramente finisce per offendere sia le vittime della guerra, che vengono in questa maniera colpite due volte – la prima volta dalle armi, la seconda dalla immagini – ma anche l’intera opinione pubblica. Credo che da questo punto di vista sia molto bello il documento che i giornalisti cattolici dell’Ucsi, l’Unione cattolica stampa italiana, ha appena fatto uscire. Si intitola: “Un minuto di parole al servizio della pace”, in cui i giornalisti chiedono di essere illuminati da Dio affinché possano contribuire a far crescere una cultura del dialogo e le ragioni della pace. E’ un grande compito dell’informazione, riuscire a dissolvere negli spiriti la psicosi bellica e la convinzione che soltanto le armi possono risolvere i problemi.

 

D. – I giornalisti e la guerra: il ruolo dei mass media è limitato solo all’informazione, o si pongono anche dei valori aggiuntivi?

 

R. – Ci sono un’infinità di ruoli che la stampa, la radio, la tv e gli inviati speciali nelle zone di guerra possono svolgere per aiutare a tenere aperti i canali di dialogo, lo scambio di idee, di esperienze e tutto ciò che serve alle persone per non odiarsi. E’ necessario trovare terreni d’intesa per costruire ponti di pace.

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Tutto il mondo ieri ha potuto assistere alle crude immagini della strage  del mercato di Baghdad. Episodio su cui si continua ad indagare: almeno 15 morti e numerosi i feriti,  ma il Pentagono non ha dubbi sulla responsabilità della strage: “e' colpa di Saddam Hussein”, che avrebbe costruito “gli obiettivi militari” in mezzo alle città, tra moschee, scuole, negozi e abitazioni. L'organizzazione umanitaria Amnesty International ha sollecitato intanto l'apertura di un'inchiesta “immediata e imparziale”.

 

 

LA MACCHINA DELLA SOLIDARIETA’ COSTRETTA A RINVIARE

LA DISTRIBUZIONE DEGLI AIUTI IN IRAQ.

NUOVO APPELLO DI KOFI ANNAN PER FRONTEGGIARE LA CRISI UMANITARIA

 

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

“Sono sempre più preoccupato per le vittime civili di questo conflitto”. E poi: “Piangiamo i morti, ma non possiamo non essere preoccupati dei vivi, in particolare dei bambini”. Ormai da giorni, il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, si prodiga in dichiarazioni ed appelli per sollecitare i governi e le organizzazioni internazionali ad accelerare l’invio degli aiuti umanitari nelle zone di guerra. Annan ha parlato ieri all’apertura della prima sessione pubblica del Consiglio di sicurezza dall’inizio del conflitto iracheno. Ma al Palazzo di vetro erano riuniti anche i massimi rappresentanti delle agenzie Onu incaricate di portare soccorso ai civili iracheni, pronte ad entrare in azione - ha assicurato Kofi Annan - “non appena la situazione lo consentirà”. Proprio il ritardo che sta accumulando la distribuzione organica di cibo, acqua e beni di prima necessità aumenta di ora in ora il rischio di collasso della popolazione irachena, a partire da Bassora: città indicata da molti esperti sull’orlo della catastrofe. La preoccupazione è pienamente condivisa da Maria Pia Garavaglia, vicepresidente del Comitato della Croce Rossa internazionale, intervistata da Alessandro De Carolis:

 

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R. - A Bassora credo moltissime centinaia di persone siano vicine alla morte per sfinimento, per fame. Soprattutto i bambini, i vecchi, che - già malati - adesso sono addirittura privati di tutto.

 

D. - Questa situazione di Bassora, che è un po’ il simbolo della tragedia umanitaria, ci porta diritti alla questione degli aiuti umanitari, annunciati da giorni da tutti i Paesi occidentali. Visto che la distribuzione su larga scala non è ancora cominciata, il problema qual è: la sicurezza o la logistica?

 

R. - Entrambe le cose, ed anche un po’ di farsa. Lo dico davvero con un grande magone e capisco quando il Papa parla dell’“oppressione del suo cuore”. Perché quando i corridoi umanitari non sono ancora ben delineati, gli aiuti arrivano purtroppo in maniera sbagliata in sé. Mi spiego: se sono le forze armate a distribuire gli aiuti, questi vengono identificati con le forze armate. In questo caso, è assolutamente fuori luogo usare l’aggettivo “umanitario”, anche perché, inizialmente, gli aiuti finiscono nelle mani dei più forti: spesso fedayn o militari di Saddam senza divisa. E in quest’ultimo caso non è verificabile che a riceverli siano le persone che ne hanno davvero bisogno.

 

D. - E’ stato predisposto un piano perché ciò non avvenga?

 

R. - La Croce Rossa internazionale è dall’ottobre scorso che sta programmando una risposta, la stessa di sempre, purtroppo, per tutti i conflitti. Avevamo preparato centinaia di migliaia di kit sanitari, di cibo, tende, stufe, ecc., pensando che avremmo poi avuto ai confini milioni di profughi, almeno un milione e mezzo, due milioni. Ma dal punto di vista dell’avvio di un aiuto che sia veramente umanitario, sono preoccupata, perché non credo sarà immediato. Apprezzo che il presidente della Commissione europea, Prodi, abbia fatto sapere ieri che gli aiuti saranno affidati alla Croce Rossa e alle Ong e non alle forze armate. Questo è un modo di non tradire il diritto internazionale umanitario e di usare correttamente l’aggettivo “umanitario”.

 

D. - Parliamo per un istante dei prigionieri di guerra. Avrete la possibilità di visitarli, su entrambi i fronti, per verificare il trattamento a cui sono sottoposti?

 

R. - Lo speriamo. La terza Convenzione di Ginevra - che fa parte di quel complesso di norme che si chiama Diritto dei conflitti, nel senso che anche in guerra bisogna rispettare delle regole - prevede che entro sette giorni dall’aver catturato dei prigionieri si segnali ciò al Comitato internazionale della Croce Rossa, la quale ha il diritto e il dovere di visitarli. Chi non accettasse questa prassi, si porrebbe al di fuori di ogni ordinamento internazionale.

 

D. -  Come giudica l’esposizione mediatica dei prigionieri di guerra?

 

R. - E’ contro l’art. 17 della terza Convenzione, perché i prigionieri di guerra, ricordiamo, non sono detenuti, persone che devono scontare una pena: sono dei belligeranti con pari dignità e qualità rispetto ai belligeranti del campo avverso. Trattarli degnamente ed umanamente, inoltre, è segno di intelligenza politica, di intelligenza strategica, di rispetto delle regole.

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Come una goccia nel mare dei bisogni, ieri un primo convoglio di acqua e cibo donati dal Kuwait ha raggiunto, sfidando una tempesta di sabbia, la città portuale di Umm Qasr. Anche le condizioni climatiche avverse degli ultimi giorni hanno concorso a rallentare la macchina della solidarietà, che continua comunque a promettere somme ingenti, messe a disposizioni dei governi. A Washington, l'amministrazione Bush ha chiesto al Congresso di approvare uno stanziamento di 320 milioni di dollari per l'acquisto di generi alimentari d'urgenza, come piselli, fagioli  e olio di semi. Lo ha annunciato Andrew Natsios, responsabile  dell'Agenzia federale per gli aiuti allo sviluppo internazionale (USAid). Anche la Francia - per bocca del portavoce del governo di Parigi, Jean-Francois Copè – ha fatto sapere oggi di voler sbloccare aiuti in favore dell’Iraq per 10 milioni di euro.

 

Intanto, dopo i colpi che ieri hanno fatto strage di civili a Baghdad, il clima già drammatico della capitale si è fatto ancor più cupo. Ascoltiamo la testimonianza di Marinella Correggia, volontaria dell’Associazione “Un ponte per …”, raggiunta telefonicamente a Baghdad da Benedetta Capelli:

 

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Gli iracheni reagiscono facendo gesti di vita, continuando ad essere molto ospitali. Sottolineano sempre il fatto che una cosa è la popolazione ed un’altra il governo. L’intera popolazione è sotto il terrore delle bombe e patisce difficoltà materiali di ogni tipo. Si respira un’atmosfera molto irreale. Si prevedono dei probabili combattimenti anche all’interno della città. Le bombe, poi, non arrivano solo di notte, ma anche di giorno.

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Il capitolo profughi è, al momento, un problema di minore entità rispetto agli abitanti delle località bombardate. Ma già nella zona di Mosul, secondo gli operatori di Caritas Internationalis, circa 4 mila persone hanno abbandonato le proprie case per dirigersi verso Karakosh, 45 km ad est di Mosul. In Giordania, dove non si segnalano arrivi particolari, 45 volontari - informa ancora la Caritas -sono pronti a lavorare nei campi della Mezza Luna Rossa ad un programma idrico-igienico e di distribuzione di generi non alimentari.

 

Sollevando per un istante lo sguardo dal conflitto e dai suoi mille risvolti, viene da chiedersi che cosa ne sia della voce di chi ha sempre rifiutato il ricorso alle armi, di quella parte dell’opinione pubblica mondiale che ha accompagnato la prima settimana di combattimenti con ripetute manifestazioni di protesta ai quattro angoli del pianeta. Soprattutto - osservando le immagini di guerra in arrivo dal Golfo - molti si domandano che valore abbiano avuto e abbiano tuttora gli instancabili appelli di Giovanni Paolo II per la pace, divenuti ormai quasi quotidiani, e il febbrile lavoro della diplomazia vaticana messo in campo fino all’ultimo istante riservato al confronto delle parole. Il cardinale Roberto Tucci, al microfono di Rosario Tronnolone, spiega il valore profondo di questo impegno:

 

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R. - No, non è stato affatto un lavoro inutile. Certamente, il Santo Padre non poteva impedire ai governi di decidere liberamente. Sono certo che abbia fatto tutto quello che gli era consentito fare: sforzarsi cioè di illuminare le coscienze - e anzitutto la coscienza dei responsabili politici - sui principi di ordine etico, di diritto internazionale, soprattutto evangelici, che dovevano essere tenuti presenti nelle loro decisioni. Io credo che il Papa abbia fatto un grande passo avanti, nella linea della Pacem in terris.

 

D. - Qual è l’urgenza più grande in questo momento?

 

R. - L’assistenza umanitaria. Speriamo che vengano ascoltate le voci dell’Onu, della Croce Rossa internazionale, della Caritas. Poi, il rispetto del diritto umanitario. Che Saddam Hussein ed i suoi non rispettino il diritto umanitario, purtroppo c’è da aspettarselo, dato il tipo di regime che vige ancora in Iraq. Ma voglio sperare che i Paesi occidentali che vanno lì con l’idea di portare anche libertà e democrazia si rendano conto che, dal punto di vista dell’opinione pubblica non solo occidentale ma soprattutto islamica, sarà molto grave se si verificassero delle gravi infrazioni del diritto umanitario proprio da parte dei Paesi che vogliono portare democrazia e libertà.

 

D. - Come dobbiamo reagire di fronte agli spunti che ci arrivano dai mezzi di comunicazione di massa?

 

R. - Credo sia molto pericoloso guardare alla guerra come ad una specie di match tra due squadre di calcio: qui si tratta del dramma di coloro che muoiono. Ci sono i soldati che cadono da una parte e dall’altra, c’è il dramma delle popolazioni civili che immancabilmente vengono toccate da questa guerra. Quindi, dovremmo davvero essere molto angosciati, in questo momento.

 

D. - Se, come tutti quanti ci auguriamo, il conflitto sarà breve, quali saranno i primi passi da compiere nell’immediato dopoguerra?

 

R. - Io spero che vi sia la preoccupazione di restaurare l’unica autorità, per quanto difettosa, che esiste al di sopra delle parti in campo internazionale, che è l’autorità dell’Onu. Avere indebolito le Nazioni Unite - ha affermato l’arcivescovo Jean-Louis Tauran, segretario per i Rapporti con gli Stati - è stata una cosa molto grave. Se non ne troviamo uno migliore, dobbiamo salvaguardare questo strumento. L’Onu è il risultato delle esperienze tragiche della seconda guerra mondiale. Chi ha approvato la Carta dell’Onu, ha assicurato il mondo che non avrebbe più usato la guerra per risolvere i problemi.

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La preghiera come mezzo per ottenere da Dio la pace del mondo. Giovanni Paolo II lo ha ripetuto di nuovo ieri, sollecitando i credenti a implorarla attraverso la recita del Rosario. Anche il cardinale Dario Castrillòn Hoyos, prefetto della Congregazione per il clero - nella Messa di apertura dell’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, che si conclude domani - si è ispirato a Maria come modello di comunicazione. Giovanni Peduto, che sta seguendo i lavori della plenaria, ha raccolto il pensiero del porporato:

 

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R. - Io ho preso dal Santo Padre l’immagine di Maria come “porta” attraverso la quale il Verbo incarnato è arrivato al mondo. E’ lei la porta che si apre da parte di Dio, presente nel suo grembo, perché noi andiamo a Gesù. Quello di oggi è un mondo pieno di ostilità, pieno di aggressività, come mostrano anche le immagini terribili che la televisione ci rimanda dell’Iraq. Il mondo ha bisogno di amore, il mondo ha bisogno di una sensibilità che non sia la sensibilità che nasce dal peccato, ma una sensibilità che nasce dalla natura umana, elevata in Cristo Gesù. Così la donna può dare al mondo, attraverso la comunicazione sociale l’affetto di Dio. Può presentare l’amore di Dio in una forma femminile che è molto importante per questo mondo, orfano d’amore.

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CHIESA E SOCIETA’

27 marzo 2003

 

 

“L’IDEOLOGIA DELLA GUERRA PREVENTIVA E’ UN TERRIBILE ERRORE

PERCHE’ DISTRUGGE LE BASI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE”.

LO HA AFFERMATO IERI IL CARDINALE ONDUREGNO ANDRE RODIGUEZ MARADIAGA

NEL CORSO DI UNA CONFERENZA SUL TEMA “VIOLENZA E PACE IN AMERICA LATINA”

 

ROMA. = “Le vere armi distruttive di massa che stanno minando l’umanità sono la povertà e l’ingiustizia”. Lo ha detto ieri l’arcivescovo di Tegucigalpa, il cardinale onduregno Andres Rodriguez Maradiaga, nel corso di una conferenza sul tema “Violenza e pace in America Latina”. Nell’incontro, promosso dall’ambasciata dell’Argentina presso la Santa Sede, il porporato ha sottolineato lo stretto rapporto tra la pace e la giustizia. “Il mondo – ha affermato – non si costruisce con il denaro o con il potere ma sui quattro pilastri indicati da Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in Terris: la verità, la giustizia, l’amore e la libertà”. Il cardinale ha sostenuto che “l’ideologia della guerra preventiva è un terribile errore perché distrugge le basi del diritto internazionale”. Riferendosi al processo di integrazione tra l’America Latina ed il resto del mondo, il porporato ha aggiunto che “bisogna puntare su un commercio giusto  e non vincolato da politiche protezionistiche”. Alla conferenza hanno assistito, tra gli altri, l’arcivescovo Giuseppe Pittau, segretario della Congregazione per l’educazione cattolica ed il cardinale Giovanni Cheli. Il cardinale Rodriguez Maradiaga ha infine preannunciato che nel mese di maggio il Consiglio episcopale latino americano (Celam) terrà, in Paraguay, un’assemblea generale per dare concretezza ad “una pastorale della speranza” per l’America Latina. (A.L.)

 

 

NELLA ZAMBIA, GIÀ DURAMENTE PROVATO DALL’EMERGENZA FAME,

ALMENO 10 MILA PERSONE SONO RIMASTE SENZA UN TETTO A CAUSA

DELLE VIOLENTE PRECIPITAZIONI CHE HANNO COLPITO

L’AREA MERIDIONALE DEL PAESE

 

LUSAKA. = Sono almeno 10 mila le persone rimaste senza un tetto dopo le violente precipitazioni che negli ultimi giorni hanno investito la zona meridionale della Zambia. Fonti ufficiali del governo di Lusaka hanno riferito che le inondazioni causate dalle forti piogge, provocate dal passaggio sul Paese africano del ciclone Japhet, hanno distrutto moltissime infrastrutture. Il distretto più colpito è stato quello di Gwembe, 380 chilometri a sud della capitale Lusaka. Alcune aree sarebbero rimaste isolate a causa del fango e dei detriti che hanno reso impraticabili le strade della zona oltre ad aver interrotto la fornitura d’acqua e di elettricità. Le inondazioni seguono un lungo periodo di siccità che ha portato la Zambia in cima alla lista dei Paesi dell’Africa australe colpiti dall’emergenza fame. Più di un quarto dei 10 milioni di abitanti della Zambia rischia infatti, secondo le più recenti stime del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam), di morire di inedia. Le intense precipitazioni degli ultimi giorni avrebbero distrutto oltre 2 mila ettari di coltivazioni di mais. L’unica fonte di sussistenza per una gran parte della popolazione è legata, soprattutto in questo drammatico momento, agli aiuti umanitari. (A.L.)

 

 

SI APRE OGGI POMERIGGIO A ROMA, NELLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ URBANIANA,

IL CONVEGNO INTERNAZIONALE SU “LA CHIESA CATTOLICA IN CINA”

PER APPROFONDIRE LA STORIA DELLA CHIESA NEL PAESE ASIATICO

 

ROMA. = Le vicende storiche dell’evangelizzazione della Cina sono affrontate nel Convegno internazionale “La Chiesa cattolica in Cina dal 1840 al 1911” che si svolgere a Roma, da questo pomeriggio fino a sabato prossimo, nella Pontificia Università Urbaniana. Il convegno è promosso dall’Università cattolica del Sacro cuore e dall’associazione Tian Xia Yi Jia (Sotto il cielo una sola famiglia), fondata nel 1989 per promuovere gli studi sulla Cina contemporanea. Scopo del convegno è quello di approfondire la presenza della Chiesa e delle varie congregazioni missionarie nel Paese asiatico dopo il 1840, quando con la prima guerra dell’oppio, ebbe inizio quel processo storico che portò al crollo dell’Impero ed alla proclamazione della Repubblica. A queste vicende, ed in particolare al problema del rapporto tra la Chiesa cattolica e il colonialismo europeo in Cina, ha fatto più volte riferimento, negli ultimi anni, Giovanni Paolo II. Su questa linea, tratteggiata dal Papa, il convegno analizzerà l’atteggiamento della Santa Sede e delle diverse congregazioni missionarie nei confronti della Cina, della sua cultura e del suo popolo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. (A.L.)

 

 

L’ACQUA CHE SCORRE NEL SOTTOSUOLO DEL BANGLADESH CONTIENE ALTI LIVELLI

DI ARSENICO. SECONDO LE NAZIONI UNITE 25 MILIONI DI ABITANTI RISCHIANO

DI AMMALARSI E, IN ALCUNI CASI, LA MORTE

 

DACCA. = Circa dieci anni fa si è scoperto che le acque del sottosuolo del Bangladesh contengono alti livelli di arsenico. Il problema è sorto quando la popolazione ha cominciato a far uso di acqua proveniente da pozzi di nuova escavazione invece che dai fiumi o dai ruscelli. Secondo le Nazioni unite, a causa dell’arseni-co, 25 milioni di abitanti del Bangladesh rischiano di ammalarsi e, in alcuni casi, la morte. Ieri è iniziato nel Paese un importante processo per stabilire se un’organizzazione scientifica britannica, la British geological survey (Bgs), sia colpevole di negligenza nelle procedure di individuazione dell’arsenico nelle acque del Paese asiatico. La denuncia è stata presentata da due cittadini del Bangladesh, Binod Sutradhar e Lucky Begum. La società inglese è accusata di non essere riuscita ad individuare il potente veleno nelle acque del Paese asiatico, nell’ambito di una ricerca condotta nel 1992 sui progetti di irrigazione nell’area centrale e nord-orientale del Paese. Sutradhar e Begum hanno manifestato i primi sintomi di avvelenamento da cianuro ed hanno perciò deciso di sporgere denuncia. I legali della Bgs hanno replicato che l’organizzazione non ha alcuna responsabilità, perché stava lavorando a progetti di irrigazione che non riguardavano la verifica della potabilità delle acque. “Il documento elaborato dalla Bgs – affermano gli avvocati dell’organizzazione scientifica – non dice se l’acqua è potabile e non si sofferma sull’eventuale presenza di arsenico semplicemente perché questi argomenti non rientravano nel progetto”. (A.L.)

 

 

SI SVOLGERÀ QUESTO FINE SETTIMANA A SYDNEY PER PROMUOVERE

IL DIALOGO INTERRELIGIOSO UNA CONFERENZA INTERNAZIONALE SUL TEMA

“ABRAMO, UN SIMBOLO DI SPERANZA E DEL COMUNE LEGAME

PER EBREI, CRISTIANI E MUSULMANI”

 

SYDNEY. = La città di Sydney ospiterà questo fine settimana una Conferenza internazionale sul tema “Abramo, un simbolo di speranza e del comune legame per ebrei, cristiani e musulmani”. L’incontro, organizzato dalla Commissione cattolica australiana per i rapporti ecumenici e interconfessionali, intende promuovere il dialogo interreligioso. La Conferenza vuole dunque essere un’occasione per evidenziare le credenze ed i valori che accomunano il giudaismo, il cristianesimo e l’islam, in un momento in cui i rapporti tra le tre religioni monoteiste sono messi a dura prova dalle attuali tensioni politiche internazionali. Oltre che sotto il profilo teologico, il dibattito tra gli studiosi, i teologi e i leader religiosi  prenderà in esame anche aspetti sociali e culturali. Interverranno  al convegno, tra gli altri, studiosi provenienti dalla Scuola di divinità dell’Università di Ankara, in Turchia ed esponenti dell’Università islamica internazionale della Malesia. (A.L. – L.Z.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

27 marzo 2003

 

 

- A cura di Giancarlo La Vella -

 

Dopo l’ampio spazio dedicato alla guerra in Iraq, uno sguardo alle altre notizie dal mondo. Circa 1000 palestinesi hanno partecipato stamani a Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza, ad una manifestazione contro la guerra in Iraq e a sostegno di Saddam Hussein. Intanto il nuovo premier palestinese incaricato, Abu Mazen, è oggi a Gaza per incontrare i rappresentanti dei movimenti islamici Hamas e Jihad. Al centro delle discussioni, la formazione del nuovo governo e la sospensione degli attentati contro Israele, possibilità finora respinta dagli estremisti. Ieri, intanto, l’esercito dello Stato ebraico, dopo dieci giorni di pausa, ha ripreso le incursioni nella striscia di Gaza. Presi di mira obiettivi di Forza 17, la milizia personale del presidente Arafat. Tre palestinesi, sospettati di terrorismo, sono rimasti uccisi.

 

Torna a mietere vittime la violenza in Algeria. Nove persone sono state assassinate ieri sera da un gruppo armato islamico nel comune di Meftah, vicino ad Algeri. Le nove persone sono state fermate ad un falso posto di blocco da un commando del Gia, il Gruppo islamico armato di Rashid Abu Turab, molto attivo nella zona.

 

Sempre più drammatica la situazione in Liberia. La guerra civile è ormai alle porte della capitale, Monrovia: i ribelli del gruppo denominato “Liberiani uniti per la riconciliazione e la democrazia” sono ormai ad una decina di chilometri dalla città. Ieri è stato sferrato un pesante attacco contro la vicina località di Ricks Institute: numerose persone sarebbero morte durante la battaglia ed alto sarebbe anche il numero degli sfollati.

 

Non si sblocca la crisi politica in Costa d’Avorio, dove è ancora lontana la composizione di un governo di unità nazionale. I ribelli hanno respinto la proposta del presidente Gbagbo di assegnare i ministeri della Difesa e degli Interni a due personalità di spicco del Paese, a titolo provvisorio. In base agli accordi di Parigi, infatti, i due dicasteri dovrebbero toccare ai ribelli ex golpisti.  Ieri, intanto, migliaia di persone hanno manifestato nella città occidentale di Daloa, circondando le basi militari delle truppe francesi.

 

In un momento in cui il valore ed il ruolo della Nato vengono fortemente messi in discussione dalla guerra in Iraq, l’Alleanza atlantica ha aperto ieri le porte a sette nuovi Paesi. I rappresentanti di Estonia, Lettonia, Lituania, Bulgaria, Romania, Slovacchia e Slovenia hanno firmato a Bruxelles i protocolli di adesione alla Nato.

 

Medici di Hong Kong hanno detto di aver isolato il virus responsabile dell’epidemia di “polmonite atipica” che ha causato sinora la morte di 50 persone in tutto il mondo. L’identificazione del virus - del quale in precedenza era stata individuata la “famiglia” - permetterà di fare diagnosi precise e di cominciare a lavorare ad un vaccino.

 

 

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