RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 86 - Testo della
Trasmissione giovedì 27 marzo 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Ancora
bombe su Baghdad, numerosi morti, edifici distrutti, colpito anche il
patriarcato caldeo. Bloccata
la macchina della solidarietà per la distribuzione degli aiuti alla popolazione
civile. Nuovo appello di Kofi Annan, per fronteggiare la crisi umanitaria: con noi il vescovo ausiliare Shlemon Warduni, Lucio Caracciolo, Maria
Pia Garavaglia, i cardinali Roberto Tucci e Castrillòn Hoyos.
CHIESA E
SOCIETA’:
Nei Territori palestinesi manifestazioni a sostegno
di Saddam Hussein; nuovi raid israeliani nella Striscia di Gaza.
Nuove sanguinose violenze in Algeria causate dal
Gruppo Islamico Armato.
Si estende la guerra civile in Liberia.
Difficoltà nella formazione del governo in Costa
d’Avorio.
Ingresso di sette Paesi dell’est europeo nella
Nato.
27 marzo 2003
SEMPLICITÀ E VICINANZA AI SOFFERENTI:
QUESTI I VALORI EVANGELICI
SOTTOLINEATI
DA GIOVANNI PAOLO II AI PARTECIPANTI
ALLA RIUNIONE PLENARIA DELLA PONTIFICA COMMISSIONE
PER L’AMERICA LATINA,
RICEVUTI OGGI IN UDIENZA
- A
cura di Matteo Ambu -
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“La
Chiesa deve porre il centro della sua attenzione pastorale e della sua azione
evangelizzatrice in Cristo crocifisso e risorto. Tutto quello che si progetta
in campo ecclesiale deve partire da Cristo e dal suo Vangelo”. Con queste
parole riprese dall’Esortazione Apostolica “Ecclesia in America”, Giovanni
Paolo II ha incitato ad un vigoroso slancio evangelizzatore i partecipanti alla
riunione plenaria della Pontifica Commissione per l’America Latina, ricevuti
oggi in udienza.
Il Santo Padre ha ricordato i problemi del continente: per
rispondere a queste sfide ha invocato l’impegno di persone che con ardore,
entusiasmo, spirito ecclesiale, colme di fede e speranza, annuncino con forza
Cristo. Per questo Giovanni Paolo II ha voluto precisare il ruolo delle
strutture nelle quali queste persone lavorano. “Tali strutture – ha detto –
devono essere semplici, agili, in maniera che non stanchino, ma aiutino e
facilitino il lavoro pastorale; d’altra parte devono essere efficaci, secondo
le esigenze del tempo. Ai fini dell’evangelizzazione – ha proseguito Giovanni
Paolo II – è importante sfruttare tutte le moderne tecniche, ma evitando la
burocratizzazione eccessiva, la moltiplicazione dei viaggi e delle riunioni,
così come l’impiego superfluo di persone, tempo e risorse economiche che
potrebbero essere destinate meglio all’azione diretta dell’annuncio evangelico
e all’attenzione verso i più bisognosi. Lo stile della vita della Chiesa deve
riflettere il volto semplice dell’America Latina”.
Giovanni Paolo II ha perciò ribadito ai presuli la
sollecitudine che la Chiesa è chiamata a dimostrare verso i diseredati, gli
indigeni, gli operai, i migranti, gli emarginati e gli infermi: le persone che
soffrono costituiscono per il Santo Padre il primo ambito in cui la Chiesa è
chiamata ad operare. Per questo il Papa ha lanciato un’esortazione a trovare
nuovi metodi ed iniziative per essere sempre più vicini ai fedeli.
Il Santo Padre ha poi introdotto il problema pastorale
della diffusione delle sette. Esso costituisce per la Chiesa una sfida a
rinnovare lo stile di accoglienza nelle comunità ed un forte stimolo ad una
nuova e coraggiosa evangelizzazione destinata soprattutto agli adulti. Perciò
il Papa ha in conclusione richiamato la missione che Cristo affida ad ogni cristiano.
“Fare della Chiesa la
casa e la scuola della comunione: ecco – ha detto citando la Novo millennio
ineunte – la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se
vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde
del mondo”.
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I GRANDI VALORI UMANI E SPIRITUALI A
FONDAMENTO DELLA PACE,
NEL
SALUTO DEL PAPA AI GRANDUCHI DI LUSSEMBURRGO RICEVUTI IN VATICANO
- A
cura di Paolo Salvo -
Il
pensiero del Papa è andato a coloro che soffrono per la povertà, l’ingiustizia
e la guerra, con uno speciale richiamo al “patrimonio di valori” in grado di
dare un’anima alla costruzione dell’Europa, nell’indirizzo di saluto ai
Granduchi di Lussemburgo, Henri e Maria Teresa, giunti martedì scorso in Italia
per una visita di Stato e ricevuti stamani in Vaticano con le persone del seguito.
“La costruzione dell’Unione Europea – ha sottolineato in
primo luogo Giovanni Paolo II – non può limitarsi ai soli campi dell’economia e
dell’organizza-zione del mercato”, ma deve anzitutto promuovere “un modello di
società che onori la dignità fondamentale di tutto l’uomo e i suoi diritti, e
che privilegi tra le persone e i popoli rapporti fondati sulla giustizia, il
rispetto reciproco e la pace”. E’ proprio in questo spirito che lavora la Santa
Sede – ha aggiunto – per ricordare instancabilmente il valore dell’uomo secondo
gli insegnamenti del Concilio.
“La dimensione religiosa dell’uomo e dei popoli, di cui
non si può trascurare l’importanza, permette per l’appunto a ciascuno – ha
affermato il Papa – di esprimere il suo essere profondo, di riconoscere la sua
origine in Dio e di comprendere il senso della sua azione in termini di
missione e di responsabilità”. Una responsabilità collegata al “valore
inalienabile della nostra comune umanità” e diretta “nei confronti di ogni
uomo, particolarmente di coloro che soffrono per la povertà, il mancato
rispetto della loro dignità o che conoscono la prova della guerra”. Il Papa si
è quindi rallegrato che tanti giovani europei abbiano oggi “sete dello spirito
delle Beatitudini” e siano “pronti ad accoglierlo ancor più nella loro vita”.
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“Un grido di dolore della
popolazione irachena” è il titolo che apre la prima pagina, in riferimento alle
crescenti sofferenze prodotte dall'imperversare del conflitto in Iraq.
Nelle vaticane, nel discorso
all’Assemblea Plenaria della Cal, il Papa ha esortato ad evangelizzare in
profondità, con uno stile di vita ecclesiale che rifletta il volto semplice dell’America
Latina, allo scopo di rispondere alla sfida delle sette.
Nel discorso alle Loro Altezze
Reali i Granduchi di Lussemburgo, il Santo Padre ha ricordato l’urgenza
del “dovere” e della “responsabilità” nei riguardi di quanti soffrono per
la povertà e conoscono la prova della guerra.
Dichiarazione sulla guerra con
l’Iraq del presidente dei vescovi cattolici degli Stati Uniti d’America.
Conferenza dell’arcivescovo
Tauran, in un convegno a Montecassino, sulla Carta Costituzionale
Europea.
L'intervento dell’osservatore
permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra,
nella 59.ma sessione della Commissione dei diritti umani.
Un articolo di Francesco Maria
Valiante dal titolo: Due “incontri” legati dalla Corona: il 7 ottobre 2003
Giovanni Paolo II pellegrino a Pompei.
Una pagina dedicata alla Serva
di Dio Suor Consolata Betrone, nel primo centenario della nascita.
Nelle pagine estere, pesanti
bombardamenti segnano l’inizio della seconda settimana di conflitto in Iraq.
Un dettagliato articolo
riguardante la complessa situazione sul versante umanitario.
Incontro a Camp David tra Bush
e Blair per affrontare le questioni del dopo guerra.
Medio Oriente: cruenta
incursione israeliana a Gaza.
Nella pagina culturale, un
contributo di Claudio Toscani dal titolo “L’analisi dei testi come avventura
culturale”: la raffinata critica letteraria di Oreste Macrì nel volume “Da
Betocchi a Tentori”.
Nelle pagine italiane, in primo
piano la situazione politica in riferimento alla crisi irachena.
In rilievo il tema del
terrorismo.
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27 marzo 2003
MORTI
E FERITI A BAGHDAD SOTTO LE BOMBE.
EDIFICI
DISTRUTTI, COLPITO ANCHE IL PATRIARCATO CALDEO.
IL
GRIDO DELLA POPOALZIONE: CESSI LA GUERRA!
- A
cura di Paolo Ondarza -
Ad una settimana dall’inizio della guerra, la fine
della tempesta di sabbia su Baghdad non è certamente coincisa con una tregua
dei bombardamenti che continuano a mietere numerose vittime. Oggi il ministro
della Difesa britannico Geoff Hoon ha comunicato che esistono le prove della
volontà da parte di Saddam Hussein di “fare uso di armi di distruzione di
massa”. Nel frattempo il ministro iracheno della Sanità Umid Mehdat Mubarak ha
fornito il bilancio degli iracheni uccisi nelle ultime 24 ore nella capitale:
almeno 36 uomini. Sarebbero invece circa 350 i civili morti dall’inizio del
conflitto e 3 mila e 650 i feriti. Tra
i danni arrecati dalle bombe lanciate stamani va segnalato quello alla chiesa
ed al patriarcato dei caldei. In merito Francesca Sabatinelli ha intervistato mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad dei Caldei.
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R. – E’ una situazione di guerra atroce che non ha
misericordia né cuore né conosce l’amore cristiano. Perciò, nemmeno i diritti
umani, i diritti civili sono rispettati. E questo ogni giorno diviene più
atroce. Tra i civili certamente le vittime ci sono, specialmente dopo gli
ultimi bombardamenti di ieri e di oggi. Oggi noi vescovi di Baghdad – cattolici
e ortodossi – ci siamo riuniti ed abbiamo pubblicato un appello: noi, uniti ai
nostri fratelli musulmani, chiediamo a tutti di rivolgere un appello urgente
per far cessare il fuoco.
D. – Mons. Warduni, lei parlava della violazione dei
diritti umani ...
R. – Già la guerra stessa è una violazione dei diritti umani. Noi siamo
nella nostra casa: perché vengono ad invadere la nostra casa? Con quale diritto
fanno questo? Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu deve prendere le decisioni,
non i singoli Stati!
D. – Mons. Warduni, in questo momento la situazione lì a
Baghdad, com’è?
R. – La situazione peggiora ogni giorno, perché la paura,
lo sgomento aumentano ogni giorno, perché i bombardamenti non cessano né di
giorno né di notte, sono sempre più atroci e più terribili. Voglio dire che i
nostri bambini gridano al cielo, le nostre donne, i nostri giovani, i nostri
vecchi e chiedono al buon Dio per mezzo di tutti voi la pace: la pace, non la
guerra! Cessi la guerra!
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“L’avvenuto
miglioramento delle condizioni atmosferiche in Iraq incrementerà le operazioni
angloamericane”. E’ quanto ha detto oggi un ufficiale superiore americano presso
il Comando centrale della base di As Sayliya, in Qatar. Al momento unità dei marine americani
procedono l’avanzata verso Baghdad, divise in due colonne: una a sud-est e
l’altra ad ovest della capitale. Nel corso della loro marcia avrebbero già
presi prigionieri centinaia di soldati iracheni.
Oggi intanto una fonte della difesa britannica ha
comunicato all’agenzia di stampa Reuters che la prima priorità delle forze a
guida Usa che stanno aprendo un nuovo fronte nel nord dell'Iraq è quella di
rafforzare le linee curde piuttosto che lanciare un attacco a Baghdad dal nord.
Ma come si vivono negli Stati Uniti queste
ultime ore? Ci risponde da New York Paolo Mastrolilli.
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Le difficoltà degli ultimi giorni hanno avuto un impatto
sulla linea della Casa Bianca e infatti ieri Bush, pur ribadendo che la
vittoria finale è sicura, ha avvertito che la guerra non sarà breve come molti
si aspettavano. Il presidente è andato nella base della Florida, dove si trova
il comando delle operazioni, e ha detto che i piani procedono bene, ma ha
aggiunto che non è possibile conoscere la durata del conflitto e bisogna essere
pronti a battaglie difficili.
Ieri sera, poi, Bush ha accolto a Camp David il premier britannico Blair per discutere la
strategia militare e l’attacco a
Baghdad, gli aiuti umanitari e il ruolo dell’Onu nella ricostruzione che
Londra vuole e Washington osteggia.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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E a proposito di strategie militari, quanti sono i
fronti militari in questa guerra? Giada Aquilino ha rivolto la domanda a Lucio Caracciolo, direttore della rivista di
geopolitica “Limes”.
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R. – Al di là dei fronti classici, che sono il fronte di
Baghdad, creato dall’avanzata da sud delle truppe anglo-americane, e il fronte
nord, quello che coinvolge i curdi, vi sono una serie di fronti locali, forse
minimi, forse maggiori, che costringono
gli americani a combattere una guerriglia che non è esattamente il loro forte,
né il loro terreno preferito.
D. – Quanto durerà questo conflitto, che dovrebbe vedere,
come momento decisivo la battaglia a Baghdad?
R. – Io penso che gli americani tireranno ancora le cose per le lunghe
sia per accorciare la loro logistica, il loro treno logistico, che si estende
per centinaia di chilometri, e quindi evitare di essere colpiti ai fianchi o
alle spalle mentre assediano Baghdad, sia anche per concedere una ultimissima,
estrema chance a quei generali che volessero sottrarsi al dominio di Saddam per
saltare il fosso e quindi far crollare da dentro il regime evitando una
Stalingrado irachena.
D. –Da un conflitto così imprevedibile, come verrà
riscritta la geopolitica dell’area mediorientale?
R. – La geopolitica irachena, mediorientale, ma direi
anche mondiale, è già in corso di riscrittura. Non c’è più nulla di
determinato, nullo di fisso. Fin d’ora possiamo dire che il prezzo che tutti
pagheremo per questa guerra sarà molto alto.
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Gli Stati Uniti hanno richiesto al governo turco
l'uso di tre basi aeree per condurre missioni di bombardamento sull'Iraq. La
notizia pubblicata oggi dal quotidiano turco ''Turkish Daily Radikal'' informa
inoltre che il governo turco si sarebbe già dichiarato disponibile alla
concessione delle basi per il trasferimento di soldati feriti o dei morti.
Intanto c’è attesa per un accordo tra Ankara e Washington sull’invio di truppe
turche nel nord dell’Iraq. Se questo avvenisse potrebbe pregiudicare un
ingresso della Turchia nell’Unione Europea, come ha spiegato il commissario
europeo all’allargamento, il tedesco Guenter Verheugen.
Il governo turco ha fatto sapere che oltre ai
soldati già inviati sul fronte in sostegno degli Usa, lascerà partire altri
uomini solo se costretto dall’emergenza profughi o da un coinvolgimento in
scontri armati. Sul controverso atteggiamento dei turchi Andrea Sarubbi ha
raccolto l’opinione di Arduino Paniccia, docente di Studi Strategici
all’Università di Trieste.
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R. - Gli americani non troveranno più i turchi sugli
attenti, pronti soltanto ad obbedire, ma si troveranno sicuramente un alleato,
con il quale, però, dovranno fare i conti sia di tipo geopolitico, sia di tipo
economico.
D.- Che vantaggi potrà ottenere direttamente la Turchia
dalla ricostruzione in Iraq?
R. – Uno dei settori trainanti della Turchia, grazie anche alla grande
crescita della popolazione, è proprio il settore delle costruzioni, dove le
imprese turche, i consorzi turchi, già da tempo operano con molto successo in
tutta l’area. In questo, credo che le aziende europee e americane dovranno confrontarsi
con la competizione delle aziende turche che hanno accumulato negli ultimi 20
anni una grande esperienza.
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E questa mattina l'Europarlamento a Bruxelles non é stato
in grado di pronunciarsi sulla guerra
in Iraq: l'aula ha infatti bocciato tutte le proposte di risoluzione presentate dai vari gruppi
politici.
Affrontiamo ora un altro aspetto della guerra al centro
delle polemiche e dei dibattiti dell’opinione pubblica: il ruolo della stampa
nel conflitto in Iraq. La cosiddetta “guerra in diretta” infatti non è solo
combattuta con le armi, ma anche con le parole ed infervora il dibattito
sull’etica dell’informazione. Proprio ieri la televisione panaraba al Jazeera
ha mostrato due soldati morti e due prigionieri, tutti britannici.
Le immagini di
scarsissima qualità, puntavano come al solito sull’impatto emotivo suscitato
negli spettatori di tutto il mondo: due cadaveri di uomini in divisa, ricoperti
di sangue, sdraiati in terra sulla schiena. Ma quanto la stampa in questi
giorni è realmente rispettosa dei
principi etici e informativi che dovrebbero animarla? Quanto alla base
di tutto si nascondono interessi propagandistici delle due opposte fazioni? E
soprattutto qual è il ruolo dell’informazione? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto al
prof. Stefano Martelli, docente di teoria e tecniche della comunicazione
all’Università di Palermo:
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R. – In questo momento gioca un ruolo importantissimo,
perché c’è una grande aspettativa in tutte le genti del mondo a rendersi conto
degli sviluppi di questa sciagurata vicenda. C’è un problema di legittimazione:
America, Gran Bretagna e Australia sono intervenute senza un mandato preciso
dell’Onu. Su chi ha deciso di ricorrere alle armi pesa quindi la responsabilità
di giustificare quello che sta avvenendo. L’informazione ha una grande
importanza proprio per la questione morale che sta dietro a queste scelte
tragiche di questi ultimi tempi.
D. – La guerra delle parole e le icone delle armi possono
uccidere la verità: come è possibile evitare le trappole dell’informazione?
R. – Noi abbiamo sicuramente una nuova strategia
informativa, gestita dagli alleati. Gli Stati Uniti si sono resi conto che il
vero fronte su cui si deve vincere non è soltanto il terreno in cui le armi
parlano, ma è soprattutto il fronte interno, cioè l’opinione pubblica sia dei
Paesi coinvolti nel conflitto ma anche l’opinione della società civile globale,
che si esprime soprattutto attraverso le manifestazioni di protesta. La guerra
delle parole è sicuramente più delicata e decisiva di quella delle armi. Le
immagini che ci vengono dalle riprese televisive sul fronte sono icone che
logorano coloro che sostengono che sarà una guerra breve, che sarà una guerra
chirurgica, che le bombe sono intelligenti. Si rivela invece l’orrore della
guerra, di tutte le guerre, specialmente di questa che rischia di diventare
altamente disumanizzante.
D. – L’offerta mediatica tende ad abbattere ogni confine,
proponendo scene anche molto forti. Dove si colloca il confine tra l’esigenza
informativa e l’osservanza dei principi etici?
R. – Compito delicato della professione giornalistica è
quello di riuscire a rendere conto della realtà senza cadere in quella moda
recente della drammatizzazione delle notizie, che fa tanto audience ma che
sicuramente finisce per offendere sia le vittime della guerra, che vengono in
questa maniera colpite due volte – la prima volta dalle armi, la seconda dalla
immagini – ma anche l’intera opinione pubblica. Credo che da questo punto di
vista sia molto bello il documento che i giornalisti cattolici dell’Ucsi,
l’Unione cattolica stampa italiana, ha appena fatto uscire. Si intitola: “Un
minuto di parole al servizio della pace”, in cui i giornalisti chiedono di
essere illuminati da Dio affinché possano contribuire a far crescere una
cultura del dialogo e le ragioni della pace. E’ un grande compito
dell’informazione, riuscire a dissolvere negli spiriti la psicosi bellica e la
convinzione che soltanto le armi possono risolvere i problemi.
D. – I giornalisti e la guerra: il ruolo dei mass media è
limitato solo all’informazione, o si pongono anche dei valori aggiuntivi?
R. – Ci sono un’infinità di ruoli che la stampa, la radio,
la tv e gli inviati speciali nelle zone di guerra possono svolgere per aiutare
a tenere aperti i canali di dialogo, lo scambio di idee, di esperienze e tutto
ciò che serve alle persone per non odiarsi. E’ necessario trovare terreni
d’intesa per costruire ponti di pace.
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Tutto il mondo ieri ha potuto assistere alle crude
immagini della strage del mercato di
Baghdad. Episodio su cui si continua ad indagare: almeno 15 morti e numerosi i
feriti, ma il Pentagono non ha dubbi
sulla responsabilità della strage: “e' colpa di Saddam Hussein”, che avrebbe
costruito “gli obiettivi militari” in mezzo alle città, tra moschee, scuole,
negozi e abitazioni. L'organizzazione umanitaria Amnesty International ha
sollecitato intanto l'apertura di un'inchiesta “immediata e imparziale”.
LA MACCHINA DELLA SOLIDARIETA’
COSTRETTA A RINVIARE
LA
DISTRIBUZIONE DEGLI AIUTI IN IRAQ.
NUOVO
APPELLO DI KOFI ANNAN PER FRONTEGGIARE LA CRISI UMANITARIA
- A
cura di Alessandro De Carolis -
“Sono sempre più preoccupato per le vittime civili di
questo conflitto”. E poi: “Piangiamo i morti, ma non possiamo non essere
preoccupati dei vivi, in particolare dei bambini”. Ormai da giorni, il
segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, si prodiga in dichiarazioni ed
appelli per sollecitare i governi e le organizzazioni internazionali ad
accelerare l’invio degli aiuti umanitari nelle zone di guerra. Annan ha parlato
ieri all’apertura della prima sessione pubblica del Consiglio di sicurezza
dall’inizio del conflitto iracheno. Ma al Palazzo di vetro erano riuniti anche
i massimi rappresentanti delle agenzie Onu incaricate di portare soccorso ai
civili iracheni, pronte ad entrare in azione - ha assicurato Kofi Annan - “non
appena la situazione lo consentirà”. Proprio il ritardo che sta accumulando la
distribuzione organica di cibo, acqua e beni di prima necessità aumenta di ora
in ora il rischio di collasso della popolazione irachena, a partire da Bassora:
città indicata da molti esperti sull’orlo della catastrofe. La preoccupazione è
pienamente condivisa da Maria Pia Garavaglia,
vicepresidente del Comitato della Croce Rossa internazionale, intervistata da
Alessandro De Carolis:
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R. - A Bassora credo moltissime centinaia di persone siano vicine alla
morte per sfinimento, per fame. Soprattutto i bambini, i vecchi, che - già
malati - adesso sono addirittura privati di tutto.
D. - Questa situazione di Bassora, che è un po’ il simbolo
della tragedia umanitaria, ci porta diritti alla questione degli aiuti
umanitari, annunciati da giorni da tutti i Paesi occidentali. Visto che la
distribuzione su larga scala non è ancora cominciata, il problema qual è: la
sicurezza o la logistica?
R. - Entrambe le cose, ed anche un po’ di farsa. Lo dico davvero con un
grande magone e capisco quando il Papa parla dell’“oppressione del suo cuore”.
Perché quando i corridoi umanitari non sono ancora ben delineati, gli aiuti arrivano
purtroppo in maniera sbagliata in sé. Mi spiego: se sono le forze armate a
distribuire gli aiuti, questi vengono identificati con le forze armate. In questo
caso, è assolutamente fuori luogo usare l’aggettivo “umanitario”, anche perché,
inizialmente, gli aiuti finiscono nelle mani dei più forti: spesso fedayn o
militari di Saddam senza divisa. E in quest’ultimo caso non è verificabile che
a riceverli siano le persone che ne hanno davvero bisogno.
D. - E’ stato predisposto un piano perché ciò non avvenga?
R. - La Croce Rossa internazionale è dall’ottobre scorso
che sta programmando una risposta, la stessa di sempre, purtroppo, per tutti i
conflitti. Avevamo preparato centinaia di migliaia di kit sanitari, di cibo,
tende, stufe, ecc., pensando che avremmo poi avuto ai confini milioni di
profughi, almeno un milione e mezzo, due milioni. Ma dal punto di vista
dell’avvio di un aiuto che sia veramente umanitario, sono preoccupata, perché
non credo sarà immediato. Apprezzo che il presidente della Commissione europea,
Prodi, abbia fatto sapere ieri che gli aiuti saranno affidati alla Croce Rossa
e alle Ong e non alle forze armate. Questo è un modo di non tradire il diritto
internazionale umanitario e di usare correttamente l’aggettivo “umanitario”.
D. - Parliamo per un istante dei prigionieri di guerra.
Avrete la possibilità di visitarli, su entrambi i fronti, per verificare il
trattamento a cui sono sottoposti?
R. - Lo speriamo. La terza Convenzione di Ginevra - che fa
parte di quel complesso di norme che si chiama Diritto dei conflitti, nel senso
che anche in guerra bisogna rispettare delle regole - prevede che entro sette
giorni dall’aver catturato dei prigionieri si segnali ciò al Comitato
internazionale della Croce Rossa, la quale ha il diritto e il dovere di
visitarli. Chi non accettasse questa prassi, si porrebbe al di fuori di ogni
ordinamento internazionale.
D. - Come giudica
l’esposizione mediatica dei prigionieri di guerra?
R. - E’ contro l’art. 17 della terza Convenzione, perché i prigionieri di
guerra, ricordiamo, non sono detenuti, persone che devono scontare una pena:
sono dei belligeranti con pari dignità e qualità rispetto ai belligeranti del
campo avverso. Trattarli degnamente ed umanamente, inoltre, è segno di
intelligenza politica, di intelligenza strategica, di rispetto delle regole.
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Come una goccia nel mare dei bisogni, ieri un primo
convoglio di acqua e cibo donati dal Kuwait ha raggiunto, sfidando una tempesta
di sabbia, la città portuale di Umm Qasr. Anche le condizioni climatiche
avverse degli ultimi giorni hanno concorso a rallentare la macchina della
solidarietà, che continua comunque a promettere somme ingenti, messe a
disposizioni dei governi. A Washington, l'amministrazione Bush ha chiesto al
Congresso di approvare uno stanziamento di 320 milioni di dollari per
l'acquisto di generi alimentari d'urgenza, come piselli, fagioli e olio di semi. Lo ha annunciato Andrew
Natsios, responsabile dell'Agenzia
federale per gli aiuti allo sviluppo internazionale (USAid). Anche la Francia -
per bocca del portavoce del governo di Parigi, Jean-Francois Copè – ha fatto
sapere oggi di voler sbloccare aiuti in favore dell’Iraq per 10 milioni di
euro.
Intanto, dopo i colpi che ieri hanno fatto strage di
civili a Baghdad, il clima già drammatico della capitale si è fatto ancor più
cupo. Ascoltiamo la testimonianza di Marinella Correggia, volontaria
dell’Associazione “Un ponte per …”, raggiunta telefonicamente a Baghdad da
Benedetta Capelli:
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Gli iracheni reagiscono facendo gesti di vita, continuando
ad essere molto ospitali. Sottolineano sempre il fatto che una cosa è la
popolazione ed un’altra il governo. L’intera popolazione è sotto il terrore
delle bombe e patisce difficoltà materiali di ogni tipo. Si respira un’atmosfera
molto irreale. Si prevedono dei probabili combattimenti anche all’interno della
città. Le bombe, poi, non arrivano solo di notte, ma anche di giorno.
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Il capitolo profughi è, al momento, un problema di minore
entità rispetto agli abitanti delle località bombardate. Ma già nella zona di
Mosul, secondo gli operatori di Caritas Internationalis, circa 4 mila persone
hanno abbandonato le proprie case per dirigersi verso Karakosh, 45 km ad est di
Mosul. In Giordania, dove non si segnalano arrivi particolari, 45 volontari -
informa ancora la Caritas -sono pronti a lavorare nei campi della Mezza Luna
Rossa ad un programma idrico-igienico e di distribuzione di generi non
alimentari.
Sollevando per un istante lo sguardo dal conflitto e dai suoi
mille risvolti, viene da chiedersi che cosa ne sia della voce di chi ha sempre
rifiutato il ricorso alle armi, di quella parte dell’opinione pubblica mondiale
che ha accompagnato la prima settimana di combattimenti con ripetute
manifestazioni di protesta ai quattro angoli del pianeta. Soprattutto -
osservando le immagini di guerra in arrivo dal Golfo - molti si domandano che
valore abbiano avuto e abbiano tuttora gli instancabili appelli di Giovanni
Paolo II per la pace, divenuti ormai quasi quotidiani, e il febbrile lavoro
della diplomazia vaticana messo in campo fino all’ultimo istante riservato al
confronto delle parole. Il cardinale Roberto Tucci,
al microfono di Rosario Tronnolone, spiega il valore profondo di questo
impegno:
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R. - No, non è stato affatto un lavoro inutile.
Certamente, il Santo Padre non poteva impedire ai governi di decidere
liberamente. Sono certo che abbia fatto tutto quello che gli era consentito
fare: sforzarsi cioè di illuminare le coscienze - e anzitutto la coscienza dei
responsabili politici - sui principi di ordine etico, di diritto
internazionale, soprattutto evangelici, che dovevano essere tenuti presenti
nelle loro decisioni. Io credo che il Papa abbia fatto un grande passo avanti,
nella linea della Pacem in terris.
D. - Qual è l’urgenza più grande in questo momento?
R. - L’assistenza umanitaria. Speriamo che vengano ascoltate le voci
dell’Onu, della Croce Rossa internazionale, della Caritas. Poi, il rispetto del
diritto umanitario. Che Saddam Hussein ed i suoi non rispettino il diritto
umanitario, purtroppo c’è da aspettarselo, dato il tipo di regime che vige
ancora in Iraq. Ma voglio sperare che i Paesi occidentali che vanno lì con
l’idea di portare anche libertà e democrazia si rendano conto che, dal punto di
vista dell’opinione pubblica non solo occidentale ma soprattutto islamica, sarà
molto grave se si verificassero delle gravi infrazioni del diritto umanitario
proprio da parte dei Paesi che vogliono portare democrazia e libertà.
D. - Come dobbiamo reagire di fronte agli spunti che ci
arrivano dai mezzi di comunicazione di massa?
R. - Credo sia molto pericoloso guardare alla guerra come
ad una specie di match tra due squadre di calcio: qui si tratta del dramma di
coloro che muoiono. Ci sono i soldati che cadono da una parte e dall’altra, c’è
il dramma delle popolazioni civili che immancabilmente vengono toccate da
questa guerra. Quindi, dovremmo davvero essere molto angosciati, in questo
momento.
D. - Se, come tutti quanti ci auguriamo, il conflitto sarà breve, quali
saranno i primi passi da compiere nell’immediato dopoguerra?
R. - Io spero che vi sia la preoccupazione di restaurare l’unica
autorità, per quanto difettosa, che esiste al di sopra delle parti in campo
internazionale, che è l’autorità dell’Onu. Avere indebolito le Nazioni Unite -
ha affermato l’arcivescovo Jean-Louis Tauran, segretario per i Rapporti con gli
Stati - è stata una cosa molto grave. Se non ne troviamo uno migliore, dobbiamo
salvaguardare questo strumento. L’Onu è il risultato delle esperienze tragiche
della seconda guerra mondiale. Chi ha approvato la Carta dell’Onu, ha assicurato
il mondo che non avrebbe più usato la guerra per risolvere i problemi.
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La preghiera come mezzo per ottenere da Dio la pace del
mondo. Giovanni Paolo II lo ha ripetuto di nuovo ieri, sollecitando i credenti
a implorarla attraverso la recita del Rosario. Anche il cardinale Dario
Castrillòn Hoyos, prefetto della Congregazione per il clero - nella Messa di
apertura dell’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni
Sociali, che si conclude domani - si è ispirato a Maria come modello di
comunicazione. Giovanni Peduto, che sta seguendo i lavori della plenaria, ha
raccolto il pensiero del porporato:
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R. - Io ho preso dal Santo Padre l’immagine di Maria come
“porta” attraverso la quale il Verbo incarnato è arrivato al mondo. E’ lei la
porta che si apre da parte di Dio, presente nel suo grembo, perché noi andiamo
a Gesù. Quello di oggi è un mondo pieno di ostilità, pieno di aggressività,
come mostrano anche le immagini terribili che la televisione ci rimanda
dell’Iraq. Il mondo ha bisogno di amore, il mondo ha bisogno di una sensibilità
che non sia la sensibilità che nasce dal peccato, ma una sensibilità che nasce
dalla natura umana, elevata in Cristo Gesù. Così la donna può dare al mondo,
attraverso la comunicazione sociale l’affetto di Dio. Può presentare l’amore di
Dio in una forma femminile che è molto importante per questo mondo, orfano
d’amore.
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27 marzo 2003
“L’IDEOLOGIA DELLA GUERRA
PREVENTIVA E’ UN TERRIBILE ERRORE
PERCHE’
DISTRUGGE LE BASI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE”.
LO HA
AFFERMATO IERI IL CARDINALE ONDUREGNO ANDRE RODIGUEZ MARADIAGA
NEL
CORSO DI UNA CONFERENZA SUL TEMA “VIOLENZA E PACE IN AMERICA LATINA”
ROMA. = “Le vere armi distruttive di massa che stanno
minando l’umanità sono la povertà e l’ingiustizia”. Lo ha detto ieri
l’arcivescovo di Tegucigalpa, il cardinale onduregno Andres Rodriguez
Maradiaga, nel corso di una conferenza sul tema “Violenza e pace in America
Latina”. Nell’incontro, promosso dall’ambasciata dell’Argentina presso la Santa
Sede, il porporato ha sottolineato lo stretto rapporto tra la pace e la
giustizia. “Il mondo – ha affermato – non si costruisce con il denaro o con il
potere ma sui quattro pilastri indicati da Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem
in Terris: la verità, la giustizia, l’amore e la libertà”. Il cardinale ha
sostenuto che “l’ideologia della guerra preventiva è un terribile errore perché
distrugge le basi del diritto internazionale”. Riferendosi al processo di integrazione
tra l’America Latina ed il resto del mondo, il porporato ha aggiunto che
“bisogna puntare su un commercio giusto
e non vincolato da politiche protezionistiche”. Alla conferenza hanno assistito,
tra gli altri, l’arcivescovo Giuseppe Pittau, segretario della Congregazione
per l’educazione cattolica ed il cardinale Giovanni Cheli. Il cardinale Rodriguez
Maradiaga ha infine preannunciato che nel mese di maggio il Consiglio
episcopale latino americano (Celam) terrà, in Paraguay, un’assemblea generale
per dare concretezza ad “una pastorale della speranza” per l’America Latina.
(A.L.)
NELLA ZAMBIA, GIÀ DURAMENTE PROVATO
DALL’EMERGENZA FAME,
ALMENO
10 MILA PERSONE SONO RIMASTE SENZA UN TETTO A CAUSA
DELLE
VIOLENTE PRECIPITAZIONI CHE HANNO COLPITO
L’AREA
MERIDIONALE DEL PAESE
LUSAKA. = Sono almeno 10 mila le persone rimaste senza un
tetto dopo le violente precipitazioni che negli ultimi giorni hanno investito
la zona meridionale della Zambia. Fonti ufficiali del governo di Lusaka hanno
riferito che le inondazioni causate dalle forti piogge, provocate dal passaggio
sul Paese africano del ciclone Japhet, hanno distrutto moltissime
infrastrutture. Il distretto più colpito è stato quello di Gwembe, 380
chilometri a sud della capitale Lusaka. Alcune aree sarebbero rimaste isolate a
causa del fango e dei detriti che hanno reso impraticabili le strade della zona
oltre ad aver interrotto la fornitura d’acqua e di elettricità. Le inondazioni
seguono un lungo periodo di siccità che ha portato la Zambia in cima alla lista
dei Paesi dell’Africa australe colpiti dall’emergenza fame. Più di un quarto
dei 10 milioni di abitanti della Zambia rischia infatti, secondo le più recenti
stime del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam), di morire di
inedia. Le intense precipitazioni degli ultimi giorni avrebbero distrutto oltre
2 mila ettari di coltivazioni di mais. L’unica fonte di sussistenza per una
gran parte della popolazione è legata, soprattutto in questo drammatico momento,
agli aiuti umanitari. (A.L.)
SI APRE OGGI POMERIGGIO A ROMA, NELLA
PONTIFICIA UNIVERSITÀ URBANIANA,
IL
CONVEGNO INTERNAZIONALE SU “LA CHIESA CATTOLICA IN CINA”
PER
APPROFONDIRE LA STORIA DELLA CHIESA NEL PAESE ASIATICO
ROMA. = Le vicende storiche dell’evangelizzazione della
Cina sono affrontate nel Convegno internazionale “La Chiesa cattolica in Cina
dal 1840 al 1911” che si svolgere a Roma, da questo pomeriggio fino a sabato
prossimo, nella Pontificia Università Urbaniana. Il convegno è promosso
dall’Università cattolica del Sacro cuore e dall’associazione Tian Xia Yi
Jia (Sotto il cielo una sola famiglia), fondata nel 1989 per promuovere gli
studi sulla Cina contemporanea. Scopo del convegno è quello di approfondire la
presenza della Chiesa e delle varie congregazioni missionarie nel Paese
asiatico dopo il 1840, quando con la prima guerra dell’oppio, ebbe inizio quel
processo storico che portò al crollo dell’Impero ed alla proclamazione della
Repubblica. A queste vicende, ed in particolare al problema del rapporto tra la
Chiesa cattolica e il colonialismo europeo in Cina, ha fatto più volte
riferimento, negli ultimi anni, Giovanni Paolo II. Su questa linea, tratteggiata
dal Papa, il convegno analizzerà l’atteggiamento della Santa Sede e delle diverse
congregazioni missionarie nei confronti della Cina, della sua cultura e del suo
popolo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. (A.L.)
L’ACQUA CHE SCORRE NEL SOTTOSUOLO DEL
BANGLADESH CONTIENE ALTI LIVELLI
DI ARSENICO.
SECONDO LE NAZIONI UNITE 25 MILIONI DI ABITANTI RISCHIANO
DI
AMMALARSI E, IN ALCUNI CASI, LA MORTE
DACCA. = Circa dieci anni fa si è scoperto che le acque
del sottosuolo del Bangladesh contengono alti livelli di arsenico. Il problema
è sorto quando la popolazione ha cominciato a far uso di acqua proveniente da
pozzi di nuova escavazione invece che dai fiumi o dai ruscelli. Secondo le
Nazioni unite, a causa dell’arseni-co, 25 milioni di abitanti del Bangladesh
rischiano di ammalarsi e, in alcuni casi, la morte. Ieri è iniziato nel Paese
un importante processo per stabilire se un’organizzazione scientifica
britannica, la British geological survey (Bgs), sia colpevole di
negligenza nelle procedure di individuazione dell’arsenico nelle acque del
Paese asiatico. La denuncia è stata presentata da due cittadini del Bangladesh,
Binod Sutradhar e Lucky Begum. La società inglese è accusata di non essere
riuscita ad individuare il potente veleno nelle acque del Paese asiatico,
nell’ambito di una ricerca condotta nel 1992 sui progetti di irrigazione
nell’area centrale e nord-orientale del Paese. Sutradhar e Begum hanno
manifestato i primi sintomi di avvelenamento da cianuro ed hanno perciò deciso
di sporgere denuncia. I legali della Bgs hanno replicato che l’organizzazione
non ha alcuna responsabilità, perché stava lavorando a progetti di irrigazione
che non riguardavano la verifica della potabilità delle acque. “Il documento
elaborato dalla Bgs – affermano gli avvocati dell’organizzazione scientifica –
non dice se l’acqua è potabile e non si sofferma sull’eventuale presenza di
arsenico semplicemente perché questi argomenti non rientravano nel progetto”.
(A.L.)
SI SVOLGERÀ QUESTO FINE SETTIMANA A
SYDNEY PER PROMUOVERE
IL
DIALOGO INTERRELIGIOSO UNA CONFERENZA INTERNAZIONALE SUL TEMA
“ABRAMO,
UN SIMBOLO DI SPERANZA E DEL COMUNE LEGAME
PER
EBREI, CRISTIANI E MUSULMANI”
SYDNEY. = La città di Sydney ospiterà questo fine
settimana una Conferenza internazionale sul tema “Abramo, un simbolo di
speranza e del comune legame per ebrei, cristiani e musulmani”. L’incontro,
organizzato dalla Commissione cattolica australiana per i rapporti ecumenici e
interconfessionali, intende promuovere il dialogo interreligioso. La Conferenza
vuole dunque essere un’occasione per evidenziare le credenze ed i valori che
accomunano il giudaismo, il cristianesimo e l’islam, in un momento in cui i
rapporti tra le tre religioni monoteiste sono messi a dura prova dalle attuali
tensioni politiche internazionali. Oltre che sotto il profilo teologico, il
dibattito tra gli studiosi, i teologi e i leader religiosi prenderà in esame anche aspetti sociali e
culturali. Interverranno al convegno,
tra gli altri, studiosi provenienti dalla Scuola di divinità dell’Università di
Ankara, in Turchia ed esponenti dell’Università islamica internazionale della
Malesia. (A.L. – L.Z.)
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27 marzo 2003
- A cura di Giancarlo La Vella -
Dopo l’ampio spazio dedicato alla guerra in Iraq,
uno sguardo alle altre notizie dal mondo. Circa 1000 palestinesi hanno
partecipato stamani a Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza, ad una
manifestazione contro la guerra in Iraq e a sostegno di Saddam Hussein. Intanto
il nuovo premier palestinese incaricato, Abu Mazen, è oggi a Gaza per
incontrare i rappresentanti dei movimenti islamici Hamas e Jihad. Al centro
delle discussioni, la formazione del nuovo governo e la sospensione degli
attentati contro Israele, possibilità finora respinta dagli estremisti. Ieri,
intanto, l’esercito dello Stato ebraico, dopo dieci giorni di pausa, ha ripreso
le incursioni nella striscia di Gaza. Presi di mira obiettivi di Forza 17, la milizia
personale del presidente Arafat. Tre palestinesi, sospettati di terrorismo, sono
rimasti uccisi.
Torna a mietere vittime la violenza in Algeria.
Nove persone sono state assassinate ieri sera da un gruppo armato islamico nel
comune di Meftah, vicino ad Algeri. Le nove persone sono state fermate ad un
falso posto di blocco da un commando del Gia, il Gruppo islamico armato di
Rashid Abu Turab, molto attivo nella zona.
Sempre più drammatica la situazione in Liberia. La
guerra civile è ormai alle porte della capitale, Monrovia: i ribelli del gruppo
denominato “Liberiani uniti per la riconciliazione e la democrazia” sono ormai
ad una decina di chilometri dalla città. Ieri è stato sferrato un pesante
attacco contro la vicina località di Ricks Institute: numerose persone
sarebbero morte durante la battaglia ed alto sarebbe anche il numero degli
sfollati.
Non si sblocca la crisi politica in Costa d’Avorio,
dove è ancora lontana la composizione di un governo di unità nazionale. I
ribelli hanno respinto la proposta del presidente Gbagbo di assegnare i
ministeri della Difesa e degli Interni a due personalità di spicco del Paese, a
titolo provvisorio. In base agli accordi di Parigi, infatti, i due dicasteri
dovrebbero toccare ai ribelli ex golpisti.
Ieri, intanto, migliaia di persone hanno manifestato nella città
occidentale di Daloa, circondando le basi militari delle truppe francesi.
In un
momento in cui il valore ed il ruolo della Nato vengono fortemente messi in
discussione dalla guerra in Iraq, l’Alleanza atlantica ha aperto ieri le porte
a sette nuovi Paesi. I rappresentanti di Estonia, Lettonia, Lituania, Bulgaria,
Romania, Slovacchia e Slovenia hanno firmato a Bruxelles i protocolli di
adesione alla Nato.
Medici di Hong Kong hanno detto di aver isolato il virus
responsabile dell’epidemia di “polmonite atipica” che ha causato sinora la
morte di 50 persone in tutto il mondo. L’identificazione del virus - del quale
in precedenza era stata individuata la “famiglia” - permetterà di fare diagnosi
precise e di cominciare a lavorare ad un vaccino.
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