RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 84 - Testo della Trasmissione martedì 25 marzo 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Verità e solidarietà, mezzi efficaci per vincere l’odio e risolvere i conflitti: così Giovanni Paolo II, nell’udienza alla Plenaria del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali: con noi, il cardinale  Roger Mahony

 

Anche nei conflitti più aspri, rispettare la dignità dell’avversario, delle vittime civili e di ogni essere umano: lo ricorda il Papa in un messaggio ai cappellani militari di tutto il mondo, riuniti a Roma per un convegno sul diritto umanitario, organizzato dalla Santa Sede

 

Annunciato ufficialmente in Vaticano il viaggio del Santo Padre in Spagna per il 3 e 4 maggio.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

La voce dei vescovi italiani per la rapida fine della guerra in Iraq, mentre la Caritas e altri organismi si mobilitano per gli aiuti umanitari. Vittime e paura a Baghdad e Bassora: drammatica testimonianza di mons. Shlemon Warduni. I pareri di Andrea Nativi e Carlo Scognamiglio.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Globalizzazione e tutela dell’ambiente umano al centro dei “Dialoghi in Cattedrale” nella Basilica di San Giovanni in Laterano, con il cardinale Tettamanzi e il commissario europeo Monti

 

E’ iniziata ieri a Nairobi la prima sessione del Parlamento della gioventù, organismo creato per la tutela dei diritti dei giovani africani

 

La Chiesa slovacca ricorda oggi il “Venerdì Santo di Bratislava”

 

"Il popolo congolese ha diritto alla pace!": questo l’appello lanciato dai vescovi della Repubblica democratica del Congo

 

Presentato ieri a Firenze un progetto comune fra le Misericordie d’Italia e il governo ecuadoriano per la realizzazione nel Paese andino di strutture sanitarie e socio-assistenziali.

 

24 ORE NEL MONDO:

Si riparla di negoziati in Israele per risolvere la crisi con i palestinesi

 

Ondata di arresti a Cuba nei confronti dei dissidenti

 

In Nigeria spostata al 3 giugno la sentenza per Amina Lawal, la donna condannata a morte per adulterio

 

Oltre 100 morti in Congo per il rovesciamento di un battello nel Lago Tanganica.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

25 marzo 2003

 

“VERITÀ E SOLIDARIETÀ, VIEPER LA PACE ANCHE NEI MASS MEDIA:

COSI’ IL PAPA ALLA PLENARIA

DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI

- Servizio di Carla Cotignoli -

 

 

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Verità e solidarietà. E’ questa la sfida lanciata dal Papa agli uomini e donne impegnati nei media, ricevendo questa mattina in udienza i membri della Plenaria del pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali.

 

“Verità e solidarietà – ha detto Giovanni Paolo II - sono i due mezzi più efficaci per superare l’odio, risolvere i conflitti ed eliminare la violenza”. Non solo: sono “indispensabili per ristabilire e rafforzare i legami di comprensione, fiducia e compassione che uniscono persone, popoli, nazioni” e per costruire “una cultura della vita, una civiltà dell’amore, un mondo di pace”.

 

 

E’ agli operatori dei media, per “l’influenza potente e pervasiva” che esercitano sull’opinione pubblica, che il Papa ha affidato la diffusione sempre più ampia della verità e della solidarietà, indicando questi due valori come “obiettivi fondamentali della comunicazione sociale”. 

 

Proprio oggi, solennità dell’Annunciazione, Giovanni Paolo II ha ricordato ai cristiani che operano nel mondo dei media, il dovere di annunciare “la Buona Notizia della salvezza in Gesù Cristo annunciata dall’Angelo Gabriele a Maria”. Qui il Santo Padre – citando l’enciclica Pacem in Terris di Papa Giovanni XXIII, ha approfondito il significato della parola “verità”: “non è ristretta soltanto ai fatti e all’informazione – ha detto - ma riguarda in modo anche la natura e il destino della persona umana, la società, il bene comune e il rapporto con Dio”. 

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Tra i membri della Plenaria del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, vi è anche il cardinale Roger Michael Mahony, arcivescovo di Los Angeles. Giovanni Peduto gli ha chiesto una riflessione sull’attuale drammatica situazione mondiale:

 

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R. – WE ARE IN VERY DIFFICULT …

Stiamo vivendo momenti molto difficili, come ha sottolineato il Pontefice. Ogni volta in cui le nazioni entrano in guerra, non si fa altro che ammettere un fallimento nel trovare soluzioni più umane e ragionevoli alla soluzione dei  conflitti. Sfortunatamente la guerra non è mai stata un beneficio per nessuno e ha sempre creato molte difficoltà. Con il Papa noi preghiamo perché le ostilità si concludano al più presto. Preghiamo affinché la popolazione irachena abbia un futuro migliore e preghiamo affinché si riesca a trovare una via per sanare le molte ferite e divisioni che colpiscono il Medio Oriente.

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FORTE RICHIAMO DEL PAPA AL RISPETTO DELLA DIGNITA’ UMANA

ANCHE NEI CONFLITTI PIU’ ASPRI, IN UN MESSAGGIO AI CAPPELLANI MILITARI GIUNTI A ROMA PER PARTECIPARE

A UN CORSO DI FORMAZIONE AL DIRITTO UMANITARIO

- Servizio di Paolo Ondarza -

 

 

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“Perfino in mezzo ai combattimenti più aspri è sempre possibile, e quindi doveroso, rispettare la dignità dell’avversario militare, la dignità delle vittime civili, la dignità indelebile di ogni essere umano coinvolto negli scontri armati”. Così il Papa nel messaggio ai  41 Cappellani Militari, riuniti in Vaticano in occasione di un corso internazionale di formazione al diritto umanitario, organizzato congiuntamente, nelle giornate di oggi e domani, dalla Congregazione per i Vescovi e dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. 

 

“Dovrebbe essere chiaro a tutti – si legge nel messaggio - che la guerra come strumento di risoluzione delle contese tra gli Stati è stata ripudiata, prima ancora che dalla Carta delle Nazioni Unite, dalla coscienza di gran parte dell’umanità. Ne costituisce una prova tangibile “il vasto movimento contemporaneo a favore della pace”, che traduce questa convinzione di uomini di ogni continente e di ogni cultura. Il pensiero delle vittime,  delle distruzioni e delle sofferenze provocate dai conflitti armati arreca sempre profonda preoccupazione e grande dolore”.

 

“Senza la conversone del cuore  non c’è pace! Alla pace non si arriva se non attraverso l’amore!” Giovanni Paolo II ricorda come in questa “ora difficile  della storia”, in cui il mondo si trova ancora una volta ad ascoltare il fragore delle armi, a tutti sia chiesto “l’impegno a lavorare e pregare affinché le guerre scompaiano dall’orizzonte dell’umanità”. A tale riguardo il Pontefice ribadisce, come già in occasione dei raduni di Assisi, “l’importanza dello sforzo delle diverse religioni per sostenere la ricerca della pace” e ricorda come “nella prospettiva di fede, la pace, pur frutto  di accordi politici e intese fra individui e popoli”, sia “dono di Dio, che va invocato insistentemente con la preghiera e la penitenza”.

 

“Voi, cappellani militari cattolici” – afferma poi Giovanni Paolo II - “non dovete trascurare di offrire il vostro contributo per un’appropriata  educazione del personale militare ai valori che animano il diritto umanitario e ne fanno non solo un codice giuridico, ma anzitutto un codice etico”. “E’ proprio quando le armi si scatenano che diventa imperativa l’esigenza di regole miranti a rendere meno disumane le operazioni  belliche”. Il Papa ricorda come nel corso dei secoli sia andata “gradualmente crescendo la consapevolezza di una simile esigenza”, fino alla progressiva formazione di un vero e proprio corpus giuridico, definito come diritto internazionale umanitario”.

 

Notevole in proposito il contributo del cristianesimo da sempre impegnato “a mitigare la tradizionale ferocia della guerra” in modo da assicurare “un trattamento più umano a chi era coinvolto nell’ostilità”. Contributo cristiano è l’affermazione del “valore autonomo dell’uomo e della sua preminente dignità di persona con una sua propria individualità, completa nella sua costituzione essenziale, e dotata di coscienza razionale e libera volontà; contributo che – sottolinea il Papa -  è “alla base delle nostre odierne convenzioni internazionali”.

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Il corso internazionale di formazione al diritto umanitario che, come abbiamo ascoltato si svolge nelle giornate di oggi e domani, è rivolto a 41 cappellani provenienti da 34 ordinariati di tutto il mondo. Si tratta della prima iniziativa del genere, maturata per assolvere l’impegno preso dalla santa Sede di promuovere un’adeguata formazione dei cappellani militari affinché possano concorrere al rispetto delle regole umanitarie disposte dagli strumenti giuridici internazionali in vigore. Ma su questa prima mattinata di lavori ascoltiamo il servizio Paolo Scappucci.

 

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Promuovere un'appropriata formazione dei cappellani militari, affinché siano meglio in grado di concorrere all'applicazione delle regole umanitarie durante i conflitti armati è lo scopo del corso di studio inaugurato stamane nella sede del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace in Roma con la partecipazione di un cinquantina di cappellani di quasi tutti gli Ordinariati militari (34 su 37) del mondo.

 

Lo ha sottolineato il presidente del dicastero vaticano, arcivescovo Renato Martino, dopo che il segretario della Congregazione dei vescovi (copromotrice dell'incontro), arcivescovo Francesco Monterisi, aveva letto un messaggio augurale del Papa ai partecipanti. "La sollecitudine umanitaria - ha detto mons. Martino - rappresenta un salutare antidoto per evitare che il fragore della armi soffochi la voce delle vittime della guerra" ed è "una prefigurazione di quella pace alla quale gli stessi contendenti anelano".

 

Dopo aver rilevato che il Corso "cade in un momento drammatico internazionale, in cui purtroppo si è scatenata ancora una volta la furia della guerra", il presidente di Giustizia e Pace ha affermato che "il diritto umanitario si rifiuta di ammettere la logica spietata dell'homo homini lupus e cerca di superare le divisioni per avvicinare le persone alla radice della loro comune umanità".

 

Ha preso quindi la parola Cornelio Sommaruga, già presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa, il quale - dopo una panoramica sulla storia e gli sviluppi del diritto umanitario o Diritto di Ginevra - ha posto in luce come il suo scopo consiste nel far sì che l'umanità non cada nella barbarie assoluta, o quanto meno metta degli ostacoli a tale caduta. Il rispetto del Diritto di Ginevra - egli ha sostenuto - contribuisce a gettare le basi su cui un ordine pacifico possa essere ristabilito alla fine delle ostilità. Ed ha concluso citando la Parabola del Buon Samaritano, rivendicando per la Croce Rossa il diritto di poter agire per proteggere i più indifesi con fatti e non con parole.

 

E' seguita l'illustrazione per sommi capi del diritto umanitario nell'insegnamento della Chiesa, svolta da Giorgio Filibeck, capo ufficio di Giustizia e Pace, il quale - non senza possibili riferimenti alle drammatiche vicende in Iraq - ha citato la "Gaudium et Spes": "Altra cosa è servirsi delle armi per difendere i giusti diritti dei popoli ed altra cosa voler imporre il proprio dominio su altre nazioni. Né la ‘potentia belli’ rende legittimo ogni suo uso militare o politico. Né per il fatto che ormai una guerra è ormai disgraziatamente scoppiata, diventa per questo lecita ogni cosa tra le parti in conflitto.”

 

Egli ha quindi evidenziato l'appoggio della Chiesa a tutti gli strumenti internazionali del diritto umanitario e l'incoraggiamento della Santa Sede per l'istituzione della Corte Penale Internazionale. Filibeck ha poi posto in massimo rilievo l'importanza del contributo dei cappellani militari nel lavoro educativo per fronteggiare "il paradossale effetto di assuefazione delle coscienze, quasi che il crescente sentimento di compassione davanti al tragico spettacolo delle vittime della guerra conduca alla rassegnazione invece che a una reazione in grado di influire sulle scelte politiche e militari". Contributo, evidentemente, non tanto sul piano tecnico-giuridico, ma piuttosto pedagogico con riferimento ai grandi principi soggiacenti al diritto umanitario: dignità, solidarietà, unità della famiglia umana, primato del diritto sulla forza.

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ANNUNCIATO UFFICIALMENTE IN VATICANO

IL PROSSIMO VIAGGIO DEL PAPA IN SPAGNA

 

Il Papa compirà un viaggio apostolico in Spagna nei giorni 3 e 4 maggio prossimo. Lo ha annunciato ufficialmente questa mattina il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Joaquín Navarro Valls, confermando così la notizia già anticipata dalla Conferenza episcopale spagnola. Giovanni Paolo II sarà a Madrid, come precisato dal portavoce vaticano, per la canonizzazione di cinque beati.

 

Si tratta di due sacerdoti, Pedro Poveda Castroverde, martire, fondatore della Istituzione Teresiana, e José Maria Rubio y Peralta, della Compagnia di Gesù; e di tre religiose, Genoveva Torres Morales, fondatrice della Congregazione delle Suore del Sacro Cuore di Gesù e dei Santi Angeli; Angela de la Cruz, fondatrice delle Sorelle della Compagnia della Croce; e Marìa Maravillas de Jesùs, dell’Ordine delle Carmelitane Scalze.

 

Sarà questo il quinto viaggio del Papa in Spagna, dopo quelli compiuti tra il 1982 e il 1993.

 

 

ALTRE UDIENZE DI OGGI E PROVVISTE DI CHIESE IN POLONIA,

STATI UNITI, CANADA E ITALIA

 

Il Papa ha ricevuto in udienza stamani il nuovo arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, mons. Domenico Umberto D’Ambrosio, delegato della Santa Sede per le Opere di San Pio da Pietrelcina.

 

Sempre questa mattina, il Santo Padre ha ricevuto quattro vescovi della Conferenza episcopale d’Indonesia, in visita “ad Limina”.

 

In Polonia, il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Wloclawek, presentata dal vescovo mons. Bronislaw Dembowski, per limiti di età. Giovanni Paolo II ha quindi nominato nuovo vescovo di Wloclawek il sacerdote Wieslaw Alojzy Mering, 57enne, del clero diocesano di Pelplin, finora rettore del locale seminario.

 

Negli Stati Uniti, il Papa ha nominato vescovo dell’eparchia di Saint Nicholas of Chicago degli Ucraini il sacerdote 61enne Richard Seminack, del clero dell’eparchia di Saint Josaphat in Parma degli Ucraini, finora parroco della chiesa della SS. Trinità di Carnegie in Pennsylvania.

 

In Canada, il Pontefice ha nominato ausiliare della diocesi di Halifax il sacerdote padre Claude Champagne, 55enne, degli Oblati di Maria Immacolata, finora superiore della provincia oblata di Saint Joseph, Montréal, elevandolo alla dignità vescovile.

 

In Italia, il Santo Padre ha accettato la rinuncia all’ufficio di ausiliare di Brescia, presentata dal vescovo mons. Vigilio Mario Olmi, per limiti di età. Come nuovo ausiliare di Brescia, il Papa ha quindi nominato il sacerdote Francesco Beschi, di 51 anni, attuale pro vicario generale della stessa diocesi, elevandolo alla dignità vescovile.

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

 

 

Il giornale si apre sottolineando che in Iraq il conflitto imperversa su vasta scala.

Sempre in prima, si impone il titolo tratto dal Messaggio del Papa ai Cappellani militari “Lavorare e pregare affinché le guerre scompaiano dall’orizzonte dell’umanità”.

 

Nelle vaticane, nel discorso ai partecipanti all’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Giovanni Paolo II ha evidenziato che la verità e la solidarietà sono necessarie se l’umanità deve riuscire a costruire una cultura della vita, una civiltà dell’amore, un mondo di pace.

Un articolo sul conferimento dell’ordinazione sacerdotale, da parte del cardinale  Crescenzio Sepe, a sei giovani congolesi dell'Ordine dei Chierici Regolari Minori.

Le iniziative di preghiera per la pace nelle diocesi italiane.

Le Lettere quaresimali dei vescovi italiani. 

 

Nelle pagine estere, la Lega Araba esprime una ferma condanna delle operazioni militari di Usa e Gran Bretagna in Iraq.

A Bassora  mancano, a venerdì, acqua ed energia elettrica. 

Medio Oriente: nei Territori ancora uccisioni ed arresti.

 

Nella pagina culturale, “La solitudine” è il titolo dell’elzeviro di Luigi Maria Personè.

Nell’“Osservatore libri”, un approfondito contributo di Agnello Baldi dal titolo: “Un approccio critico alla ‘Divina Commedia’ che evita le trappole delle antinomie e dello storicismo esasperato”: pubblicata una selezione di “Lecturae Dantis” da Fernando Salsano negli ultimi quarant’anni.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la situazione politica  in riferimento alla crisi irachena.

In rilievo, la questione relativa alla proposta di ridurre ad un solo anno di separazione (invece dei tre attualmente previsti) il tempo per inoltrare la domanda di divorzio. Al riguardo, il giornale sottolinea, tra l’altro, che è “piuttosto chiara l’assurdità di una drastica contrazione del tempo in cui si decide il futuro di un matrimonio”.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

25 marzo 2003

 

I VESCOVI ITALIANI SOLIDALI CON IL PAPA NEL “NO” ALLA GUERRA.

IN IRAQ, GRAVE LA SITUAZIONE UMANITARIA A BASSORA,

MA IL RESTO DEL MONDO E’ PRONTO A INVIARE AIUTI E DENARO

NON APPENA L’AFFLUSSO DELLE SCORTE SARA’ RESO POSSIBILE

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

La guerra in Iraq “abbia termine al più presto, siano risparmiate le vite umane e siano ristabiliti costruttivi rapporti internazionali”. L’affermazione del cardinale Camillo Ruini rivela l’onda lunga dell’eco suscitata dall’ultimo grido di Giovanni Paolo II, levato domenica scorsa in favore della pace. Un grido ripetuto stamani contro la guerra come “strumento di risoluzione di contese”. Nel suo intervento di ieri, all’apertura del Consiglio permanente della Cei, il presidente dei vescovi italiani ha assicurato al Papa la totale solidarietà dell’episcopato da lui guidato e si è a lungo soffermato sulle drammatiche conseguenze che il conflitto iracheno potrà avere, su scala mondiale, a livello sociopolitico e religioso. Il servizio di Ignazio Ingrao:

 

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Il presidente della Cei ha espresso la profonda preoccupazione che il conflitto in Iraq possa degenerare in uno scontro di civiltà, che per di più potrebbe tragicamente richiamarsi a malintese motivazioni religiose. Preoccupazione anche per il deterioramento dell’intero sistema dei rapporti internazionali che l’attuale guerra, e i contrasti che l’hanno preceduta, stanno provocando. Questa, ha osservato il cardinale Ruini, è una prova assai difficile per le Nazioni Unite e per l’Unione Europea. Questa prova pesa anche sull’Italia, sconvolge i suoi consolidati punti di riferimento in Europa e nel mondo, e mette a nudo ed esaspera le sue divisioni e contrapposizioni interne. Tuttavia non dobbiamo deporre la speranza, ha raccomandato il cardinale. In particolare, le nazioni europee devono ricavare dalle attuali divisioni la consapevolezza della necessità di superare le logiche particolaristiche, per esprimersi con una voce comune sulla scena del mondo. Apprezzamento del presidente della Cei è stato manifestato per la straordinaria mobilitazione di uomini e donne in tutto il mondo contro la guerra. Ma il porporato ha anche invitato al costante discernimento, affinché l’impegno per la pace non sia confuso con finalità ed interessi assai diversi, o inquinato da logiche che in realtà sono di scontro.

 

Per la Radio Vaticana, Ignazio Ingrao.

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Non rinunciare alla speranza, è l’auspicio del cardinale Ruini. Una convinzione che in questi giorni di conflitto, pur con accenti diversi, è corsa di bocca in bocca, attraverso i continenti, tra coloro che hanno voluto manifestare in massa il personale dissenso alle operazioni belliche in Iraq. Un “vasto movimento contemporaneo in favore della pace”, lo ha definito stamani il Pontefice, che “traduce questa convinzione di uomini di ogni continente e di ogni cultura”. Anche i rappresentanti delle diverse religioni del pianeta hanno dimostrato, con i loro ripetuti appelli, che sperare nella pace mentre esplodono le bombe non è un’utopia, ma significa gettare le fondamenta per il futuro che verrà. E’ questo anche il parere di un esperto islamista, padre Justo Lacunza:

 

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R. - Io direi che nei momenti bui della storia, quando si consumano le tragedie davanti ai nostri occhi, bisogna camminare e bisogna non temere di camminare lentamente. Quello che non possiamo fare è fermarci. Io conservo una grande speranza e mi auguro che questa guerra sia una grande lezione per l’umanità, perché la strada della forza, la strada della violenza, la strada dei bombardamenti, la strada del conflitto non sia presa mai più per risolvere i problemi. O che i problemi delle armi, dei regimi dittatoriali, i problemi dell’inquinamento, dell’acqua, delle risorse, i problemi degli scontri, dell’uso della religione, della civiltà o della cultura vengano usati come strumento per colpire gli altri. Evidentemente, c’è sempre la tentazione e il pericolo che ciò avvenga. Ma io mi auguro di no. Sinceramente, ho una grande fiducia nella pace: non soltanto come tassello necessario e importante, ma come tassello fondamentale per poter costruire l’armonia, per poter costruire e ricostruire i ponti, gli agganci e i rapporti fra comunità, società, popoli e Stati diversi della terra. Questo è il mio augurio profondo. Non ho perduto in nessun momento la speranza che la pace sia più forte della guerra. E nemmeno che il desiderio di armonia dell’uomo e della donna - il loro voler vedere negli altri una parte dell’umanità in senso cristiano, come fratelli e sorelle - sia la strada unica e invincibile per battere il male, la violenza, il terrorismo in tutte le loro forme.

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Il tema della pace sarà uno dei principali argomenti di discussione alla prossima riunione plenaria della Comece, la Commissione degli episcopati della Comunità europea. L’incontro si terrà a Bruxelles il 27 e il 28 marzo prossimi, nel corso del quale verrà affrontato anche il tema della nuova Costituzione comunitaria e in particolare, informa un comunicato, “le recenti evoluzioni nel quadro delle proposte avanzate dalla Chiesa all’Unione europea”.     

        

La guerra, intanto, con le sue pagine che ogni giorno svelano il volto di nuovi drammi, continua ad essere una realtà in tutto l’Iraq. A partire dalla capitale, da sei giorni sotto un diluvio martellante di missili e di bombe. Ecco, allora, una nuova testimonianza in presa diretta da mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad dei caldei, che racconta, nell’intervista di Sergio Centofanti, come la popolazione stia affrontando gli effetti della guerra:

 

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R. – Con tanta paura, perché i bombardamenti oggi non sono mai cessati. La gente cerca di sopravvivere: il giorno va a fare la spesa, le macchine camminano... Ma c’è sempre la sirena ci sono i bombardamenti. I grandi edifici del governo sono stati colpiti e certamente le case vicine sono state danneggiate.

 

D. – Mons. Warduni, siate a conoscenza che le truppe anglo-americane sono ad un centinaio di chilometri da Baghdad?

 

R. – No, non lo sappiamo, perché le notizie sono contraddittorie. Il governo lo nega.

 

D. – La televisione irachena ha mostrato i soldati americani uccisi o catturati: quali sono state le reazioni a Baghdad?

 

R. – Vedere dei giovani così, ammazzati, catturati, è una cosa dolorosa da qualsiasi posto vengano, perché noi siamo cristiani e pensiamo nello spirito dell’amore e del Vangelo. Bush e Blair, però, devono fermare la loro attenzione su questi cadaveri, su questi poveri giovani che sono venuti qui per forza, non perché lo abbiano voluto.

 

D. – Mons. Warduni, vuole lanciare un appello personale al presidente Bush?

 

R. – Certamente. Io, a mio nome, a nome dei nostri bambini, dei nostri giovani, dei suoi giovani, faccio un appello di fratellanza, di amore cristiano, di pace. Lo dico in nome di Cristo e questo è quello che chiediamo al signor Bush: come cristiano, faccia cessare la guerra e pensi bene alle parole di Cristo, perché Cristo semina l’amore.

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Ancor più grave di Baghdad viene dipinta la situazione di Bassora. La seconda città dell’Iraq, con circa un milione e mezzo di abitanti, è a rischio di “disastro umanitario” ha avvertito ieri con preoccupazione il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan. Teatro di sanguinosi combattimenti al suo esterno, la città è priva di elettricità, di acqua, scarseggia il cibo, con disagi ormai intollerabili per i civili. La conferma arriva anche dal portavoce della Caritas ad Amman, Hanno Schaeffer, che sovrintende alle operazioni in Iraq:

 

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“AMERICANS BOMBARDMENTS ARE IN A RESIDENCE AREA IN BASSORA ...

I bombardamenti a Bassora hanno colpito il distretto di Al Sahad, una zona residenziale a circa 20 km dal centro della città. Ieri, gli americani e gli inglesi hanno martellato la città per almeno tre ore e combattimenti sono ripresi anche questa mattina. Nella città sono state tagliate acqua ed elettricità, e oramai comunicare con l’esterno è quasi impossibile. Dal centro abitato si alzano colonne di fumo. I morti sono almeno una sessantina, quasi tutti civili, donne e bambini e i feriti almeno 300”.

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L’afflusso in Iraq degli aiuti umanitari - pronti a partire da varie zone del mondo - dovrebbe cominciare comunque tra breve. Il controllo assunto dagli angloamericani della cittadina portuale irachena di Um Qasr dovrebbe consentire l’apertura di un corridoio umanitario nelle prossime 48 ore. Lo ha confermato stamani un comandante delle truppe britanniche nel Golfo Persico. Sempre oggi, il presidente della Commissione europea ha confermato la mobilitazione di “tutte le risorse possibili” in favore dell’Iraq, compresi cento milioni di euro in aiuti immediati. Analogo discorso da parte del governo australiano: il premier John Howard ha affermato stamattina in Parlamento del prossimo invio in Iraq di cibo, acqua e medicine.

 

Tra le organizzazioni umanitarie che operano in zona di guerra vi è anche Emergency, presente da otto anni in Iraq con numerose strutture sanitarie, nelle quali hanno trovato cure e assistenza 580 mila persone. Benedetta Capelli ha raggiunto telefonicamente il fondatore di Emergency, il chirurgo Gino Strada, che assieme al suo team si trova in una località del settentrione iracheno, pronto a soccorrere i feriti di guerra e i profughi, con una costante attenzione alle vittime delle mine antiuomo:

 

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R. – In questo momento, io mi trovo in Iraq, ad Erbil, dove c’è uno dei due ospedali di Emergency. Siamo circa a 15 km dalla linea del fronte delle Forze governative.

 

D. – La Caritas dice che ci sono 1300 famiglie in viaggio da Mosul. Com’è la situazione dal vostro punto di vista?

 

R. – Qui si vede poco, anche perché noi ci muoviamo poco. Erbil è una grossa città di 6-700 mila abitanti ed è semideserta. Chi ha potuto, se ne è andato verso le montagne, verso il confine con l’Iran. E’ possibile che si verifichino movimenti di popolazione e di profughi verso questa zona, nei prossimi giorni. La cosa, ovviamente, ci preoccupa molto, perché ci risulta - ma sono notizie che non possiamo controllare - che tutte le strade sono state fortemente minate. Ciò rischia di produrre molti incidenti.

 

D. – Emergency come è dispiegata sul territorio iracheno?

 

R. – Noi abbiamo due ospedali, circa 20 posti di pronto soccorso, che sono situati molto vicino alla linea del fronte e che sono tutti attrezzati con ambulanze, medici e infermieri. Abbiamo cercato di svuotare i nostri ospedali per far fronte ad un grande flusso di pazienti. In questo momento abbiamo circa 250 posti letto liberi, tra Erbil e l’altro ospedale Sulaimāniya. E noi ci stiamo preparando soprattutto all’attività chirurgica. E’ chiaro che, se vi saranno forti movimenti di popolazione, siamo pronti a dare coperte, cibo, qualsiasi cosa serva. In questo momento, tra l’altro, in questa parte dell’Iraq, fa ancora molto freddo, per essere la fine di marzo. La primavera non è proprio all’orizzonte. Questo potrebbe creare problemi, soprattutto ai bambini e agli anziani, nel dover dormire all’aperto.

 

D. – Rimane sempre l’emergenza delle mine antiuomo…

 

R. – La gente che vive qui sa molto meglio di noi cosa sono le mine, che rischio rappresentano. Il problema è quello di fornire una chirurgia di alto livello, e questo è ciò che facciamo nei nostri ospedali, soprattutto offrendo la possibilità di trasporti verso gli ospedali. Credo che il problema centrale sarà proprio quello dei trasporti, dei feriti e di chi ha bisogno. Ed ovviamente il trasporto su strade minate complica molto la situazione. I nostri posti di pronto soccorso sono tutti dotati di un servizio di ambulanze 24 ore al giorno. Speriamo di riuscire a dare una mano sul serio. Certo, è una grande preoccupazione, soprattutto se ci saranno fughe, movimenti di sfollati, perché allora le migliaia di persone si spargeranno  e non andranno in giro in modo ordinato. Chi ha paura scappa, e quando si scappa spesso si finisce in un campo minato, anche perché è un territorio che non si conosce: la gente non è più a casa propria.

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RIPRESA L’AVANZATA DELLE TRUPPE ANGLO-AMERICANE VERSO BAGHDAD,

MENTRE LE FORZE IRACHENE OPPONGONO UNA STRENUA RESISTENZA A BASSORA

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

 

Nel sesto giorno di guerra in Iraq, i marine americani hanno combattuto una dura battaglia con le forze irachene nella città meridionale di Nassiriya, riuscendo - secondo quanto riferisce l’agenzia Reuters - ad aprirsi un varco e a passare sulla riva orientale del fiume Eufrate, da dove possono ora avanzare verso Baghdad. Proprio a sud della capitale irachena - sotto bombardamento anche stamani - fonti militari britanniche riferiscono che le forze alleate hanno attaccato le postazioni della Guardia repubblicana, reparto d’élite dell’esercito di Saddam Hussein. Lo stesso premier inglese Blair ha affermato che la divisione “Medina” del corpo scelto del raìs “è sotto pesante attacco aereo”. Un giornalista della France Presse sul posto riferisce inoltre che più di 100 cadaveri di iracheni, dei quali è impossibile dire se siano militari o civili, sono visibili sulla strada a nord di Nassiryia, che conduce a Baghdad.

 

 Dal canto suo, il governo iracheno sostiene che, nelle ultime 24 ore, nell'Iraq meridionale sono stati abbattuti tre elicotteri ed uccisi otto soldati anglo-americani. Ma fonti militari alleate confermano soltanto la morte di un soldato britannico nel Sud del Paese. Un’area, questa, dove si registra la strenua resistenza degli iracheni a Bassora. Il comando britannico in Qatar ha dovuto, stamani, rettificare precedenti dichiarazioni del proprio portavoce, precisando che non è previsto per il momento, un ingresso delle truppe nella città. Rimanendo nel quadrante sud dell’Iraq, un portavoce dell’esercito iracheno ha affermato che, ad Al Faw, nella notte tra lunedì e martedì è avvenuta “la prima operazione suicida” da parte di un cittadino iracheno contro gli angloamericani. L’azione sarebbe stata compiuta da un civile contro un carro armato. Con l’avanzare delle truppe alleate verso Baghdad, cresce anche il timore che Saddam Hussein possa utilizzare armi bio-chimiche. Una preoccupazione manifestata ieri dal segretario di Stato americano, Colin Powell.

 

Intanto, sul fronte diplomatico, non si placano le polemiche tra Mosca e Washington dopo il ritrovamento vicino Bassora di missili di fabbricazione russa, assieme a granate d’artiglieria di fabbricazione inglese. Il Cremlino ha respinto ogni addebito, ma ieri il portavoce della Casa Bianca, Fleischer, ha dichiarato che gli Stati Uniti “hanno prove credibili che aziende russe abbiano fornito assistenza e materiale proibiti al regime iracheno”. Sulla controversa vicenda, Giancarlo La Vella ha raccolto l’opinione di Andrea Nativi, direttore della Rivista Italiana Difesa:

 

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R. – C’era da aspettarsi che certi discorsi fatti nei mesi precedenti, relativi alle forniture in violazione dell’embargo Onu, potessero emergere. Purtroppo la capacità russa di controllare determinate esportazioni non è straordinaria, per cui queste forniture sono avvenute e adesso si vedono gli effetti sul campo.

 

D. – Sono forniture avvenute nell’ambito di un generico commercio di armi che la Russia fa, non specificamente per armare Saddam Hussein …

 

R. – Però lo fanno. E quello è un soggetto che non va armato in nessun modo.

 

D. – C’è il pericolo che i rapporti tra Stati Uniti e Russia diventino più difficili?

 

R. – Onestamente mi sembra solo un gioco tattico che non dovrebbe avere grosse conseguenze, visto che hanno tutti e due diversi interessi in comune. Adesso il problema, più che altro, sarà, per esempio, pensare a quale potrà essere il ruolo della Russia in una ricostruzione dell’Iraq e nello sfruttamento delle sue risorse.

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Sul fronte nord della guerra nel Golfo Persico, l’Alleanza Atlantica ha “accettato” la creazione di una striscia di 20 chilometri nel Kurdistan iracheno, gestita dalla Turchia. Il segretario generale della Nato, Robertson, ha spiegato che la zona di cuscinetto sarà utilizzata esclusivamente per ragioni umanitarie. Il rispetto di questo impegno, ha detto, il presidente della Commissione di Bruxelles, Prodi, sarà per il governo di Ankara “una delle prove del fuoco”, in vista dell’ingresso nell’Unione europea. Se, dunque, i ministri degli Esteri arabi - riuniti alla Lega Araba - hanno concordato ieri la condanna dell’ “aggressione” contro l'Iraq, cresce in tutto il mondo la preoccupazione che il conflitto nel Golfo possa destabilizzare il Medio Oriente. Una prospettiva, questa, sulla quale inciderà pesantemente la condotta e la durata del conflitto. Ne è convinto il prof. Carlo Scognamiglio, già presidente del Senato italiano e attualmente presidente dell’Aspen Institute Italia:

 

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R. – Certamente la durata della guerra avrà un’importanza di primissimo piano. Tanto più breve sarà, meglio sarà sotto ogni profilo, innanzitutto quello evidentemente delle vittime, dei danni, e in secondo luogo quello delle possibilità di uscire da questa drammatica vicenda con una soluzione positiva e non con una soluzione negativa.

 

D. – La guerra all’Iraq è stata presentata da Bush e Blair come una tappa fondamentale nella lotta al terrorismo. Non c’è il rischio che invece dissolva la coalizione antiterrorismo pazientemente costruita dagli americani, dopo l’11 settembre?

 

R. – Sulla coalizione anti-terrorismo bisognerebbe distinguere tre aspetti. Uno è morale, e su questo penso sia impensabile che nella coalizione anti terrorismo ci possano essere cambiamenti. Il secondo è politico, e su questo piano ci sono fortissime divisioni, che peraltro preesistevano, tra la Francia e gli Stati Uniti. Sul piano militare si tratterà di vedere se senza più Saddam Hussein si spegneranno le radici del terrorismo.

 

D. – Secondo il presidente della Commissione Europea, Prodi, sullo sfondo di questa guerra, osteggiata da gran parte dell’opinione pubblica mondiale, potremmo assistere ad un rinascente anti americanismo nel Vecchio Continente …

 

R. – La mia opinione intanto è che questo rischio sia reale e che sia gravissimo. Se ci si chiede perché un popolo che basa la sua vita sugli stessi fondamenti di storia, di cultura, di religioni, di lingua sia così profondamente diviso, l’unica spiegazione che può essere data non è certo nei valori e nella cultura delle due aree dell’Occidente, ma nella percezione molto diversa che si ha negli Stati Uniti di quello che è accaduto l’11 settembre. Nessuno di noi ritiene che dopo l’attacco a Pearl Harbor gli americani non avrebbero dovuto reagire. E questo è l’animo con il quale gli americani vedono queste vicende. Loro vedono l’intervento in Afghanistan prima, l’intervento in Iraq poi, come la diretta conseguenza di un attacco che è stato subito dagli Stati Uniti. Gli europei tendono a rimuovere questo fatto, questo dato di fatto, anche perché non è successo agli europei. Da noi, forse in modo gravemente leggero, la percezione del pericolo, costituita dal terrorismo islamico, è incredibilmente minore rispetto agli Stati Uniti. Questo può spingere ad un atteggiamento anti-americano che, secondo me, è profondamente sbagliato, ma soprattutto è pericoloso per il futuro del mondo.

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L’evoluzione della Seconda Guerra del Golfo avrà, come prevedibile, un forte impatto sull’economia mondiale e, in particolare, sulle casse dell’erario statunitense. Fonti dell’amministrazione di Washington, riferiscono che il presidente Bush è intenzionato a chiedere al Congresso lo stanziamento di 75-80 miliardi di dollari per coprire i costi del conflitto e rafforzare le misure anti-terrorismo. Una cifra gigantesca, come spiega il prof. Riccardo Moro, direttore della Fondazione Giustizia e Solidarietà, al microfono di Fausta Speranza:

 

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R. – Il prodotto interno lordo del Vietnam è di 30 miliardi di dollari, vuol dire che gli 80 milioni di vietnamiti producono e spendono per vivere in tutto un anno, 30 miliardi di dollari, cioè meno della metà di questi 80 che si propongono per la guerra. Il programma strategico di riduzione della povertà, che il governo della Zambia ha approvato, per il 2002-2004, prevede un spesa complessiva di 1,2 miliardi di dollari, un ottantesimo di quanto si pensa di spendere in questa guerra. Nella Zambia vivono 10 milioni di persone, di cui l’80 per cento vive sotto la soglia di povertà, cioè con meno di un dollaro al giorno.

 

D. – Le borse risentono della situazione con gli alti e i bassi, ma cosa invece, secondo lei, non segnalano i mercati internazionali all’attenzione dell’opinione pubblica?

 

R. – Nella settimana scorsa abbiamo visto che la guerra sembra aver dato ossigeno ad alcune borse e per altro le aperture di oggi e la chiusura di ieri fanno vedere che la dinamica era probabilmente solo una dinamica di un breve periodo. Allora questi risultati di forte incremento e forte contrazione sono i risultati di un comportamento fortemente speculativo e ci mostrano una sostanziale serenità degli operatori finanziari che vanno in giro a fare business e a fare profitto con i denari di cui dispongono, che i risparmiatori hanno loro messo in mano. Direi che non ci mostrano una grande sensibilità per la situazione in cui il mondo si sta trovando.

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CHIESA E SOCIETA’

25 marzo 2003

 

“LA GLOBALIZZAZIONE STA PORTANDO ALLA DISTRUZIONE DELL’AMBIENTE UMANO”.

E’ QUESTO L’ALLARME LANCIATO DAL CARDINALE DIONIGI TETTAMANZI

NEL CORSO DELL’INCONTRO TENUTOSI IERI A ROMA

SUL TEMA “LAVORO, SOLIDARIETÀ, LIBERTÀ:

UNA SOCIETÀ GLOBALE IN CHIAVE UMANISTICA?”

 

ROMA. = “La globalizzazione, svincolata da un effettivo governo del mondo, sta portando alla distruzione dell’ambiente umano, inteso come insieme culturale di tradizioni, costumi e modelli di comportamento”. A lanciare questo allarme è l’arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, intervenuto ieri a Roma nell’incontro sul tema “Lavoro, solidarietà, libertà: una società globale in chiave umanistica?”. Il dibattito, al quale ha partecipato anche il commissario europeo Mario Monti,  si è svolto nella Basilica di San Giovanni in Laterano nell’ambito dei “Dialoghi in Cattedrale”, promossi dal cardinale Camillo Ruini. “In questo momento – ha affermato il commissario europeo - l’Europa appare assente, debole e divisa ma può essere un modello da seguire per avere una globalizzazione governata più equamente”. Ad impoverire l’ambiente umano concorrono, secondo l’arcivescovo di Milano, vari fattori quali “la scomparsa dei mondi vitali capaci di alimentare un forte senso di appartenenza, la precarietà del lavoro, la marginalità culturale della famiglia e lo stile di vita consumistico”. “L’uomo delle società globali - ha aggiunto ilporporato – viene privato delle risorse spirituali necessarie alla formazione della propria coscienza o identità morale”. “L’uomo contemporaneo – ha concluso l’arcivescovo di Milano – trova crescenti ostacoli nel reperire ragioni serie, persuasive e convincenti per esprimere la propria libertà”. (A.L.)

 

 

I GIOVANI AFRICANI SI CONFRONTANO SUI GRAVI PROBLEMI

CHE AFFLIGGONO IL LORO CONTINENTE. E’ INIZIATA IERI A NAIROBI

LA PRIMA SESSIONE DEL “PARLAMENTO DELLA GIOVENTÙ”,

ORGANISMO CREATO PER LA TUTELA DEI DIRITTI DEI GIOVANI AFRICANI

 

NAIROBI. = Le giovani generazioni dell’Africa sono riunite da ieri sino a sabato prossimo a Nairobi, capitale del Kenya, per la prima sessione del “parlamento africano della gioventù”, organismo creato lo scorso anno per promuovere i diritti dei giovani nella società africana. Ai lavori sono presenti oltre 200 ragazzi tra i 15 e i 28 anni, provenienti da 45 Paesi del continente africano. I temi affrontati riguardano in particolare i problemi dei giovani, ma lo sguardo si allargherà anche alle tragedie contemporanee dell’Africa: la povertà, la carestia, la guerra, l’epidemia di Aids, l’instabilità politica e lo sviluppo economico e sociale.  Al termine dei lavori verrà stilato un documento nel quale saranno presentate le proposte studiate dalle apposite commissioni per risolvere queste ed altre problematiche africane. Alla cerimonia di apertura è intervenuto Najib Balala, ministro dello sport e della cultura del Kenya, che ha rilevato nel malgoverno una delle cause del mancato sviluppo del continente. Successivamente ha preso la parola l’ex segretario generale delle Nazioni Unite, l’egiziano Boutros Ghali, che ha esortato i partecipanti ad essere più attivi delle precedenti generazioni nel cercare di raggiungere la pace, la giustizia sociale e lo sviluppo dell’Africa. (M.A.)

 

 

LA CHIESA SLOVACCA RICORDA OGGI IL “VENERDÌ SANTO DI BRATISLAVA”.

IL 25 MARZO DEL 1988 NELLE STRADE DELL’ATTUALE CAPITALE DELLA SLOVACCHIA

SI SVOLSE UNA MANIFESTAZIONE IN FAVORE DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA.

LE AUTORITÀ COMUNISTE INTERVENNERO CON LA FORZA

PER DISPERDERE I PARTECIPANTI

 

BRATISLAVA. = La Chiesa cattolica della Slovacchia ricorda oggi una delle giornate nella quale più forte e fermo risuonò il dissenso nei confronti del regime totalitario comunista. Il 25 marzo del 1988 è ricordato dagli slovacchi come il “Venerdì Santo di Bratislava”: in quel giorno si svolse per le strade dell’attuale capitale della Slovacchia una grande manifestazione in favore della libertà religiosa. L’episcopato cattolico ha voluto celebrare l’avvenimento con un messaggio. I presuli ricordano gli sforzi del regime comunista della Cecoslovacchia affinché la società fosse completamente ateizzata. La libertà religiosa era garantita dalla costituzione e dalle leggi, era lodata dai mezzi di comunicazione, veniva illustrata nelle scuole, era affermata dai sindacati e dalle associazioni sociali. Ma la realtà era diversa. Ogni cristiano sentiva la dura lotta che si conduceva contro il cristianesimo. Verso la fine del 1987 – proseguono i vescovi – alcuni cristiani cominciarono la raccolta di firme in favore della libertà religiosa e in pochi mesi si giunse alla decisione di organizzare una manifestazione pacifica: il regime sarebbe stato affrontato con la forza della preghiera. Le autorità però non permisero la manifestazione e adottarono una serie di misure per tenere gli operai a lavoro, gli studenti lontani dai centri di aggregazione universitari, la gente delle campagne lontana da Bratislava. La città fu occupata dalle forze dell’ordine, ma nonostante questi interventi la gente accorse numerosa. La polizia però intervenne con durezza per disperdere i manifestanti e ci furono molti feriti ed arresti. I vescovi sottolineano la svolta rappresentata da quella giornata, che diffuse nei cuori dei cristiani il desiderio della libertà. “Il credente cristiano – scrivono - trova la fonte della propria dignità in Dio, e il segno principale della dignità umana è la libertà. Chi ha la propria radice in Dio, non può essere manipolato. Queste persone sono scomode per chiunque coltivi intenzioni totalitarie. Ci dobbiamo rendere conto – concludono - che la vera libertà umana ha le sue radici in Dio. Stringiamoci a Lui, perché sia Lui stesso a guidare e a custodire la nostra dignità umana”. (M.A.)

 

 

"IL POPOLO CONGOLESE HA DIRITTO ALLA PACE!". E’ QUESTO L’APPELLO LANCIATO

DAI VESCOVI DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO CONTRO LA PRESENZA

DI NUMEROSE TRUPPE RWANDESI NELL’EST DEL PAESE

 

KINSHASA.= "Il popolo congolese ha diritto alla pace!". Inizia con queste parole la dura condanna lanciata dai vescovi della Repubblica Democratica del Congo contro la presenza di numerose truppe rwandesi nell'est del Paese. In una lettera pervenuta ieri all’agenzia missionaria Misna, la segreteria generale della conferenza episcopale congolese "condanna con fermezza il colpo di forza che cerca di sabotare gli sforzi per la pace compiuti fino ad adesso". "Nel tenere fede ai valori di pace e di dialogo – si legge ancora nella nota - disapproviamo questo gesto di estrema gravità e denunciamo i congolesi che favoriscono questa continua violazione della sovranità del nostro Paese”. I presuli hanno chiesto la ritirata immediata delle truppe rwandesi che si trovano posizionate nei dintorni di Lubutu e quelle ammassate nei territori di Lubero e Ruzzi. “Allo stesso modo – concludono i vescovi - esigiamo la ritirata immediata delle truppe ugandesi e la fine delle alleanze effimere che rischiano solo di perpetrare la crisi ed aumentare la miseria della popolazione congolese". Nelle ultime due settimane numerosi battaglioni rwandesi, accompagnati anche da alcuni reparti provenienti dal vicino Burundi, hanno varcato le frontiere e si sono posizionati nella zona orientale dell'ex Zaire. Una presenza confermata alla Misna nei giorni scorsi anche da mons. Melchisedec Paluku Sikuli, vescovo di Butembo-Beni, città situata nell’area orientale della Repubblica Democratica del Congo. (A.L.)

 

 

PRESENTATO IERI A FIRENZE UN PROGETTO COMUNE FRA LE MISERICORDIE D’ITALIA

E IL GOVERNO ECUADORIANO PER LA REALIZZAZIONE NEL PAESE ANDINO

DI STRUTTURE SANITARIE E SOCIO-ASSISTENZIALI.

L’INIZIATIVA MIRA A DIFFONDERE IN ECUADOR

LA CULTURA DEL VOLONTARIATO E DELLA SOLIDARIETÀ

 

FIRENZE. = Costruire un ponte tra le culture attraverso la solidarietà: con questo scopo la Confederazione nazionale delle Misericordie d’Italia ha presentato ieri a Firenze due progetti di cooperazione con il governo dell’Ecuador. L’organizzazione di volontariato italiana realizzerà a Santo Domingo de los Colorados un presidio socio-sanitario dotato di una struttura ambulatoriale e di pronto soccorso e, nella città di Ibarra, un centro di aiuto per i bambini di strada. Alla presentazione, avvenuta a piazza del Duomo nella storica sede della Misericordia di Firenze, la più antica associazione di volontariato del mondo, nata nel 1244, hanno partecipato il presidente della Confederazione nazionale delle Misericordie, Gianfranco Gabelli, e il ministro degli Esteri dell’Ecuador, Nina Pacari Vega. Nei loro interventi hanno sottolineato la portata della collaborazione tra due realtà lontane come quella italiana ed ecuadoriana. Mentre per le Misericordie il progetto è un’opportunità di “esportare” i valori del volontariato e della solidarietà, per l’Ecuador è l’occasione di ricevere un contributo alla propria crescita culturale, sociale e assistenziale. Le Misericordie sono presenti da oltre dieci anni in Ecuador, dove è nata anche una Confraternita a Santo Domingo de los Colorados, in stretto rapporto con la Misericordia di Pistoia. (M.A)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

25 marzo 2003

- A cura di Giancarlo La Vella -

 

Una bozza di un piano per una soluzione negoziata del conflitto con i palestinesi è stato preparato dal Consigliere per la Sicurezza Nazionale  israeliano, Efraim Halevy. Lo ha riferito oggi la radio delle forze armate ebraiche. Il disegno prevede il sostegno di Israele alla costituzione di  uno Stato palestinese nei Territori in cambio della rinuncia dei  palestinesi a rientrare nello Stato ebraico dei  profughi del 1948 e del loro assenso alla fine del conflitto. Intanto la tensione resta alquanto alta. L’esercito israeliano ha arrestato nella notte, in Cisgiordania, 19 palestinesi ricercati per attività terroristiche. Lo ha annunciato un portavoce militare, specificando che 2 degli arrestati sono militanti di Al Fatah.

 

12 anni di reclusione: è la condanna espressa ieri contro il generale croato Mirko Norac, per aver organizzato la deportazione e l’uccisione di almeno 50 civili serbi a Gospic nel 1991. E’ la prima volta che la magistratura croata condanna un alto ufficiale dell’Esercito per crimini di guerra ai danni della popolazione civile serba durante il conflitto serbo croato.

 

Ondata di arresti a Cuba. Nell’ultima settimana, 74 dissidenti sono finiti in manette con l’accusa di aver complottato contro il regime. La denuncia arriva dalla Conferenza episcopale cubana, che ha condannato l’azione repressiva contro l’opposizione interna.

 

La Corte federale della Nigeria ha posticipato al 3 giugno la sentenza, inizialmente prevista per oggi, sulla sorte di Amina Lawal, la donna condannata a morte per adulterio, inizialmente prevista per oggi. Decine di migliaia le firme raccolte in Italia e in altri Paesi sono state inviate al governo di Abuja per annullare la sentenza del tribunale islamico che, in questi casi, prevede la lapidazione.

 

Tragedia in Repubblica Democratica del Congo. Almeno 109 morti e alcune decine di dispersi costituiscono il tragico bilancio del rovesciamento di un  battello, sovraccarico e mal stivato, affondato nel lago Tanganika, su cui si affacciano, oltre all’ex Zaire, Burundi Tanzania e Zambia. La tragedia, avvenuta nella notte tra venerdì e sabato, sarebbe avvenuta a causa del forte vento che alzava onde anche di due metri.

 

Cresce il numero delle vittime della polmonite atipica. L’ultimo Paese colpito è il Vietnam dove ieri hanno perso la vita un medico ed una infermiera di Hanoi. Nel mondo la micidiale sindrome respiratoria ha già ucciso 15 persone mentre sono 411 i casi sospetti sparsi in 13 Paesi.

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