RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 84 - Testo della
Trasmissione martedì 25 marzo 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
Annunciato ufficialmente in Vaticano il viaggio del
Santo Padre in Spagna per il 3 e 4 maggio.
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E
SOCIETA’:
La
Chiesa slovacca ricorda oggi il “Venerdì Santo di Bratislava”
Si riparla di negoziati in
Israele per risolvere la crisi con i palestinesi
Ondata di arresti a Cuba
nei confronti dei dissidenti
In Nigeria spostata al 3
giugno la sentenza per Amina Lawal, la donna condannata a morte per adulterio
Oltre 100 morti in Congo
per il rovesciamento di un battello nel Lago Tanganica.
25 marzo 2003
“VERITÀ E SOLIDARIETÀ, VIEPER LA PACE
ANCHE NEI MASS MEDIA:
COSI’
IL PAPA ALLA PLENARIA
DEL
PONTIFICIO CONSIGLIO PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
-
Servizio di Carla Cotignoli -
**********
Verità e solidarietà. E’ questa la sfida lanciata
dal Papa agli uomini e donne impegnati nei media, ricevendo questa mattina in
udienza i membri della Plenaria del pontificio Consiglio per le comunicazioni
sociali.
“Verità e solidarietà – ha detto Giovanni Paolo II
- sono i due mezzi più efficaci per superare l’odio, risolvere i conflitti ed
eliminare la violenza”. Non solo: sono “indispensabili per ristabilire e
rafforzare i legami di comprensione, fiducia e compassione che uniscono
persone, popoli, nazioni” e per costruire “una cultura della vita, una civiltà
dell’amore, un mondo di pace”.
E’ agli operatori dei media, per “l’influenza
potente e pervasiva” che esercitano sull’opinione pubblica, che il Papa ha
affidato la diffusione sempre più ampia della verità e della solidarietà,
indicando questi due valori come “obiettivi fondamentali della comunicazione
sociale”.
Proprio oggi, solennità dell’Annunciazione,
Giovanni Paolo II ha ricordato ai cristiani che operano nel mondo dei media, il
dovere di annunciare “la Buona Notizia della salvezza in Gesù Cristo annunciata
dall’Angelo Gabriele a Maria”. Qui il Santo Padre – citando l’enciclica Pacem
in Terris di Papa Giovanni XXIII, ha approfondito il significato della parola
“verità”: “non è ristretta soltanto ai fatti e all’informazione – ha detto - ma
riguarda in modo anche la natura e il destino della persona umana, la società,
il bene comune e il rapporto con Dio”.
**********
Tra i membri della Plenaria del Pontificio
Consiglio per le Comunicazioni Sociali, vi è anche il cardinale Roger Michael
Mahony, arcivescovo di Los Angeles. Giovanni Peduto gli ha chiesto una
riflessione sull’attuale drammatica situazione mondiale:
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R. – WE
ARE IN VERY DIFFICULT …
Stiamo vivendo momenti molto difficili, come ha
sottolineato il Pontefice. Ogni volta in cui le nazioni entrano in guerra, non
si fa altro che ammettere un fallimento nel trovare soluzioni più umane e
ragionevoli alla soluzione dei
conflitti. Sfortunatamente la guerra non è mai stata un beneficio per
nessuno e ha sempre creato molte difficoltà. Con il Papa noi preghiamo perché
le ostilità si concludano al più presto. Preghiamo affinché la popolazione
irachena abbia un futuro migliore e preghiamo affinché si riesca a trovare una
via per sanare le molte ferite e divisioni che colpiscono il Medio Oriente.
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FORTE RICHIAMO DEL PAPA AL RISPETTO DELLA DIGNITA’ UMANA
ANCHE NEI CONFLITTI PIU’
ASPRI, IN UN MESSAGGIO AI CAPPELLANI MILITARI GIUNTI A ROMA PER PARTECIPARE
A UN CORSO DI FORMAZIONE
AL DIRITTO UMANITARIO
-
Servizio di Paolo Ondarza -
**********
“Perfino in mezzo ai combattimenti più aspri è sempre
possibile, e quindi doveroso, rispettare la dignità dell’avversario militare,
la dignità delle vittime civili, la dignità indelebile di ogni essere umano
coinvolto negli scontri armati”. Così il Papa nel messaggio ai 41 Cappellani Militari, riuniti in Vaticano
in occasione di un corso internazionale di formazione al diritto umanitario,
organizzato congiuntamente, nelle giornate di oggi e domani, dalla
Congregazione per i Vescovi e dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della
Pace.
“Dovrebbe essere chiaro a tutti – si legge nel messaggio -
che la guerra come strumento di risoluzione delle contese tra gli Stati è stata
ripudiata, prima ancora che dalla Carta delle Nazioni Unite, dalla coscienza di
gran parte dell’umanità. Ne costituisce una prova tangibile “il vasto movimento
contemporaneo a favore della pace”, che traduce questa convinzione di uomini di
ogni continente e di ogni cultura. Il pensiero delle vittime, delle distruzioni e delle sofferenze
provocate dai conflitti armati arreca sempre profonda preoccupazione e grande
dolore”.
“Senza la conversone del cuore non c’è pace! Alla pace non si arriva se non attraverso l’amore!”
Giovanni Paolo II ricorda come in questa “ora difficile della storia”, in cui il mondo si trova
ancora una volta ad ascoltare il fragore delle armi, a tutti sia chiesto
“l’impegno a lavorare e pregare affinché le guerre scompaiano dall’orizzonte
dell’umanità”. A tale riguardo il Pontefice ribadisce, come già in occasione
dei raduni di Assisi, “l’importanza dello sforzo delle diverse religioni per
sostenere la ricerca della pace” e ricorda come “nella prospettiva di fede, la
pace, pur frutto di accordi politici e
intese fra individui e popoli”, sia “dono di Dio, che va invocato
insistentemente con la preghiera e la penitenza”.
“Voi, cappellani militari cattolici” – afferma poi
Giovanni Paolo II - “non dovete trascurare di offrire il vostro contributo per
un’appropriata educazione del personale
militare ai valori che animano il diritto umanitario e ne fanno non solo un
codice giuridico, ma anzitutto un codice etico”. “E’ proprio quando le armi si
scatenano che diventa imperativa l’esigenza di regole miranti a rendere meno disumane
le operazioni belliche”. Il Papa
ricorda come nel corso dei secoli sia andata “gradualmente crescendo la
consapevolezza di una simile esigenza”, fino alla progressiva formazione di un
vero e proprio corpus giuridico, definito come diritto internazionale
umanitario”.
Notevole in proposito il contributo del cristianesimo da
sempre impegnato “a mitigare la tradizionale ferocia della guerra” in modo da
assicurare “un trattamento più umano a chi era coinvolto nell’ostilità”.
Contributo cristiano è l’affermazione del “valore autonomo dell’uomo e della
sua preminente dignità di persona con una sua propria individualità, completa
nella sua costituzione essenziale, e dotata di coscienza razionale e libera
volontà; contributo che – sottolinea il Papa -
è “alla base delle nostre odierne convenzioni internazionali”.
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Il
corso internazionale di formazione al diritto umanitario che, come abbiamo
ascoltato si svolge nelle giornate di oggi e domani, è rivolto a 41 cappellani
provenienti da 34 ordinariati di tutto il mondo. Si tratta della prima
iniziativa del genere, maturata per assolvere l’impegno preso dalla santa Sede
di promuovere un’adeguata formazione dei cappellani militari affinché possano
concorrere al rispetto delle regole umanitarie disposte dagli strumenti
giuridici internazionali in vigore. Ma su questa prima mattinata di lavori
ascoltiamo il servizio Paolo Scappucci.
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Promuovere un'appropriata formazione
dei cappellani militari, affinché siano meglio in grado di concorrere
all'applicazione delle regole umanitarie durante i conflitti armati è lo scopo
del corso di studio inaugurato stamane nella sede del Pontificio
Consiglio della Giustizia e della Pace in Roma con la partecipazione di
un cinquantina di cappellani di quasi tutti gli Ordinariati militari (34 su
37) del mondo.
Lo ha sottolineato il presidente del
dicastero vaticano, arcivescovo Renato Martino, dopo che il segretario
della Congregazione dei vescovi (copromotrice dell'incontro), arcivescovo Francesco
Monterisi, aveva letto un messaggio augurale del Papa ai partecipanti. "La
sollecitudine
umanitaria - ha detto
mons. Martino - rappresenta un salutare
antidoto per evitare che il fragore
della armi soffochi la voce delle vittime della guerra" ed è
"una prefigurazione di quella
pace alla quale gli stessi contendenti anelano".
Dopo aver rilevato che il Corso
"cade in un momento drammatico internazionale, in cui purtroppo si è
scatenata ancora una volta la furia della guerra", il presidente di
Giustizia e Pace ha affermato che "il diritto umanitario si rifiuta di
ammettere la logica spietata dell'homo homini lupus e cerca di superare le
divisioni per avvicinare le persone alla radice della loro comune
umanità".
Ha preso quindi la parola Cornelio
Sommaruga, già presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa,
il quale - dopo una panoramica sulla storia e gli sviluppi del diritto umanitario o
Diritto di Ginevra - ha
posto in luce come il suo scopo consiste nel far sì che l'umanità non cada nella barbarie assoluta, o quanto meno metta degli
ostacoli a tale caduta. Il rispetto
del Diritto di Ginevra - egli
ha sostenuto - contribuisce a gettare le basi su cui un ordine pacifico possa essere
ristabilito alla fine delle ostilità. Ed ha concluso citando la Parabola del Buon Samaritano, rivendicando per la
Croce Rossa il diritto di poter agire per proteggere i più indifesi con fatti e non con parole.
E' seguita l'illustrazione per sommi
capi del diritto umanitario nell'insegnamento della Chiesa, svolta da
Giorgio Filibeck, capo ufficio di Giustizia e Pace, il quale - non senza possibili riferimenti alle drammatiche vicende in Iraq - ha
citato la "Gaudium et Spes": "Altra cosa è servirsi delle armi per difendere i giusti diritti
dei popoli ed altra cosa voler imporre il proprio dominio su altre nazioni. Né la ‘potentia belli’
rende legittimo ogni suo uso militare o politico. Né per il fatto
che ormai una guerra è ormai disgraziatamente scoppiata, diventa per questo
lecita ogni cosa tra le parti in conflitto.”
Egli ha quindi evidenziato l'appoggio
della Chiesa a tutti gli strumenti internazionali del diritto umanitario e
l'incoraggiamento della Santa Sede per l'istituzione della Corte Penale
Internazionale. Filibeck ha poi posto in massimo rilievo l'importanza
del contributo dei cappellani militari nel lavoro educativo per fronteggiare
"il paradossale effetto di assuefazione delle coscienze, quasi che il
crescente sentimento di compassione davanti al tragico spettacolo delle vittime
della guerra conduca alla rassegnazione invece che a una
reazione in grado di influire sulle scelte politiche e militari". Contributo, evidentemente,
non tanto sul piano tecnico-giuridico, ma piuttosto pedagogico con
riferimento ai grandi principi soggiacenti al diritto umanitario: dignità, solidarietà,
unità della famiglia umana, primato del diritto sulla forza.
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ANNUNCIATO UFFICIALMENTE IN VATICANO
IL
PROSSIMO VIAGGIO DEL PAPA IN SPAGNA
Il Papa
compirà un viaggio apostolico in Spagna nei giorni 3 e 4 maggio prossimo. Lo ha
annunciato ufficialmente questa mattina il direttore della Sala Stampa della
Santa Sede, Joaquín Navarro Valls, confermando così la notizia già anticipata
dalla Conferenza episcopale spagnola. Giovanni Paolo II sarà a Madrid, come
precisato dal portavoce vaticano, per la canonizzazione di cinque beati.
Si
tratta di due sacerdoti, Pedro Poveda Castroverde, martire, fondatore della
Istituzione Teresiana, e José Maria Rubio y Peralta, della Compagnia di Gesù; e
di tre religiose, Genoveva Torres Morales, fondatrice della Congregazione delle
Suore del Sacro Cuore di Gesù e dei Santi Angeli; Angela de la Cruz, fondatrice
delle Sorelle della Compagnia della Croce; e Marìa Maravillas de Jesùs,
dell’Ordine delle Carmelitane Scalze.
Sarà
questo il quinto viaggio del Papa in Spagna, dopo quelli compiuti tra il 1982 e
il 1993.
ALTRE
UDIENZE DI OGGI E PROVVISTE DI CHIESE IN POLONIA,
STATI
UNITI, CANADA E ITALIA
Il Papa
ha ricevuto in udienza stamani il nuovo arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San
Giovanni Rotondo, mons. Domenico Umberto D’Ambrosio, delegato della Santa Sede
per le Opere di San Pio da Pietrelcina.
Sempre questa mattina, il Santo Padre ha ricevuto quattro
vescovi della Conferenza episcopale d’Indonesia, in visita “ad Limina”.
In Polonia, il Pontefice ha accettato la rinuncia al
governo pastorale della diocesi di Wloclawek, presentata dal vescovo mons.
Bronislaw Dembowski, per limiti di età. Giovanni Paolo II ha quindi nominato
nuovo vescovo di Wloclawek il sacerdote Wieslaw Alojzy Mering, 57enne, del
clero diocesano di Pelplin, finora rettore del locale seminario.
Negli Stati Uniti, il Papa ha nominato vescovo
dell’eparchia di Saint Nicholas of Chicago degli Ucraini il sacerdote 61enne
Richard Seminack, del clero dell’eparchia di Saint Josaphat in Parma degli
Ucraini, finora parroco della chiesa della SS. Trinità di Carnegie in Pennsylvania.
In Canada, il Pontefice ha nominato ausiliare della
diocesi di Halifax il sacerdote padre Claude Champagne, 55enne, degli Oblati di
Maria Immacolata, finora superiore della provincia oblata di Saint Joseph,
Montréal, elevandolo alla dignità vescovile.
In Italia, il Santo Padre ha accettato la rinuncia
all’ufficio di ausiliare di Brescia, presentata dal vescovo mons. Vigilio Mario
Olmi, per limiti di età. Come nuovo ausiliare di Brescia, il Papa ha quindi
nominato il sacerdote Francesco Beschi, di 51 anni, attuale pro vicario generale
della stessa diocesi, elevandolo alla dignità vescovile.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Il giornale si apre
sottolineando che in Iraq il conflitto imperversa su vasta scala.
Sempre in prima, si impone il
titolo tratto dal Messaggio del Papa ai Cappellani militari “Lavorare e pregare
affinché le guerre scompaiano dall’orizzonte dell’umanità”.
Nelle vaticane, nel discorso ai
partecipanti all’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio delle
Comunicazioni Sociali, Giovanni Paolo II ha evidenziato che la verità e la
solidarietà sono necessarie se l’umanità deve riuscire a costruire una cultura
della vita, una civiltà dell’amore, un mondo di pace.
Un articolo sul conferimento
dell’ordinazione sacerdotale, da parte del cardinale Crescenzio Sepe, a sei giovani congolesi dell'Ordine dei Chierici
Regolari Minori.
Le iniziative di preghiera per
la pace nelle diocesi italiane.
Le Lettere quaresimali dei
vescovi italiani.
Nelle pagine estere, la Lega
Araba esprime una ferma condanna delle operazioni militari di Usa e Gran
Bretagna in Iraq.
A Bassora mancano, a
venerdì, acqua ed energia elettrica.
Medio Oriente: nei Territori
ancora uccisioni ed arresti.
Nella pagina culturale, “La
solitudine” è il titolo dell’elzeviro di Luigi Maria Personè.
Nell’“Osservatore libri”, un
approfondito contributo di Agnello Baldi dal titolo: “Un approccio critico alla
‘Divina Commedia’ che evita le trappole delle antinomie e dello storicismo
esasperato”: pubblicata una selezione di “Lecturae Dantis” da Fernando Salsano
negli ultimi quarant’anni.
Nelle pagine italiane, in primo
piano la situazione politica in riferimento alla crisi irachena.
In rilievo, la questione
relativa alla proposta di ridurre ad un solo anno di separazione (invece dei
tre attualmente previsti) il tempo per inoltrare la domanda di divorzio. Al
riguardo, il giornale sottolinea, tra l’altro, che è “piuttosto chiara
l’assurdità di una drastica contrazione del tempo in cui si decide il futuro di
un matrimonio”.
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25
marzo 2003
I
VESCOVI ITALIANI SOLIDALI CON IL PAPA NEL “NO” ALLA GUERRA.
IN
IRAQ, GRAVE LA SITUAZIONE UMANITARIA A BASSORA,
MA IL
RESTO DEL MONDO E’ PRONTO A INVIARE AIUTI E DENARO
NON
APPENA L’AFFLUSSO DELLE SCORTE SARA’ RESO POSSIBILE
- A
cura di Alessandro De Carolis -
La guerra in Iraq “abbia termine al più presto, siano
risparmiate le vite umane e siano ristabiliti costruttivi rapporti
internazionali”. L’affermazione del cardinale Camillo Ruini rivela l’onda lunga
dell’eco suscitata dall’ultimo grido di Giovanni Paolo II, levato domenica
scorsa in favore della pace. Un grido ripetuto stamani contro la guerra come
“strumento di risoluzione di contese”. Nel suo intervento di ieri, all’apertura
del Consiglio permanente della Cei, il presidente dei vescovi italiani ha
assicurato al Papa la totale solidarietà dell’episcopato da lui guidato e si è
a lungo soffermato sulle drammatiche conseguenze che il conflitto iracheno
potrà avere, su scala mondiale, a livello sociopolitico e religioso. Il servizio
di Ignazio Ingrao:
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Il presidente della Cei ha espresso la profonda
preoccupazione che il conflitto in Iraq possa degenerare in uno scontro di
civiltà, che per di più potrebbe tragicamente richiamarsi a malintese
motivazioni religiose. Preoccupazione anche per il deterioramento dell’intero
sistema dei rapporti internazionali che l’attuale guerra, e i contrasti che
l’hanno preceduta, stanno provocando. Questa, ha osservato il cardinale Ruini,
è una prova assai difficile per le Nazioni Unite e per l’Unione Europea. Questa
prova pesa anche sull’Italia, sconvolge i suoi consolidati punti di riferimento
in Europa e nel mondo, e mette a nudo ed esaspera le sue divisioni e
contrapposizioni interne. Tuttavia non dobbiamo deporre la speranza, ha
raccomandato il cardinale. In particolare, le nazioni europee devono ricavare
dalle attuali divisioni la consapevolezza della necessità di superare le
logiche particolaristiche, per esprimersi con una voce comune sulla scena del
mondo. Apprezzamento del presidente della Cei è stato manifestato per la
straordinaria mobilitazione di uomini e donne in tutto il mondo contro la
guerra. Ma il porporato ha anche invitato al costante discernimento, affinché
l’impegno per la pace non sia confuso con finalità ed interessi assai diversi,
o inquinato da logiche che in realtà sono di scontro.
Per la Radio Vaticana, Ignazio Ingrao.
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Non
rinunciare alla speranza, è l’auspicio del cardinale Ruini. Una convinzione che
in questi giorni di conflitto, pur con accenti diversi, è corsa di bocca in
bocca, attraverso i continenti, tra coloro che hanno voluto manifestare in
massa il personale dissenso alle operazioni belliche in Iraq. Un “vasto
movimento contemporaneo in favore della pace”, lo ha definito stamani il
Pontefice, che “traduce questa convinzione di uomini di ogni continente e di
ogni cultura”. Anche i rappresentanti delle diverse religioni del pianeta hanno
dimostrato, con i loro ripetuti appelli, che sperare nella pace mentre
esplodono le bombe non è un’utopia, ma significa gettare le fondamenta per il
futuro che verrà. E’ questo anche il parere di un esperto islamista, padre
Justo Lacunza:
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R. - Io direi che nei momenti bui della storia, quando si
consumano le tragedie davanti ai nostri occhi, bisogna camminare e bisogna non
temere di camminare lentamente. Quello che non possiamo fare è fermarci. Io
conservo una grande speranza e mi auguro che questa guerra sia una grande
lezione per l’umanità, perché la strada della forza, la strada della violenza,
la strada dei bombardamenti, la strada del conflitto non sia presa mai più per
risolvere i problemi. O che i problemi delle armi, dei regimi dittatoriali, i
problemi dell’inquinamento, dell’acqua, delle risorse, i problemi degli
scontri, dell’uso della religione, della civiltà o della cultura vengano usati
come strumento per colpire gli altri. Evidentemente, c’è sempre la tentazione e
il pericolo che ciò avvenga. Ma io mi auguro di no. Sinceramente, ho una grande
fiducia nella pace: non soltanto come tassello necessario e importante, ma come
tassello fondamentale per poter costruire l’armonia, per poter costruire e
ricostruire i ponti, gli agganci e i rapporti fra comunità, società, popoli e
Stati diversi della terra. Questo è il mio augurio profondo. Non ho perduto in nessun
momento la speranza che la pace sia più forte della guerra. E nemmeno che il
desiderio di armonia dell’uomo e della donna - il loro voler vedere negli altri
una parte dell’umanità in senso cristiano, come fratelli e sorelle - sia la
strada unica e invincibile per battere il male, la violenza, il terrorismo in
tutte le loro forme.
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Il tema della pace sarà uno dei principali argomenti di
discussione alla prossima riunione plenaria della Comece, la Commissione degli
episcopati della Comunità europea. L’incontro si terrà a Bruxelles il 27 e il
28 marzo prossimi, nel corso del quale verrà affrontato anche il tema della
nuova Costituzione comunitaria e in particolare, informa un comunicato, “le
recenti evoluzioni nel quadro delle proposte avanzate dalla Chiesa all’Unione
europea”.
La guerra, intanto, con le sue pagine che ogni giorno
svelano il volto di nuovi drammi, continua ad essere una realtà in tutto
l’Iraq. A partire dalla capitale, da sei giorni sotto un diluvio martellante di
missili e di bombe. Ecco, allora, una nuova testimonianza in presa diretta da
mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad dei caldei, che racconta,
nell’intervista di Sergio Centofanti, come la popolazione stia affrontando gli
effetti della guerra:
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R. – Con tanta paura, perché i bombardamenti oggi non sono
mai cessati. La gente cerca di sopravvivere: il giorno va a fare la spesa, le
macchine camminano... Ma c’è sempre la sirena ci sono i bombardamenti. I grandi
edifici del governo sono stati colpiti e certamente le case vicine sono state
danneggiate.
D. – Mons. Warduni, siate a conoscenza che le truppe
anglo-americane sono ad un centinaio di chilometri da Baghdad?
R. – No, non lo sappiamo, perché le notizie sono contraddittorie. Il governo
lo nega.
D. – La televisione irachena ha mostrato i soldati americani uccisi o
catturati: quali sono state le reazioni a Baghdad?
R. – Vedere dei giovani così, ammazzati, catturati, è una
cosa dolorosa da qualsiasi posto vengano, perché noi siamo cristiani e pensiamo
nello spirito dell’amore e del Vangelo. Bush e Blair, però, devono fermare la
loro attenzione su questi cadaveri, su questi poveri giovani che sono venuti
qui per forza, non perché lo abbiano voluto.
D. – Mons. Warduni, vuole lanciare un appello personale al
presidente Bush?
R. – Certamente. Io, a mio nome, a nome dei nostri
bambini, dei nostri giovani, dei suoi giovani, faccio un appello di
fratellanza, di amore cristiano, di pace. Lo dico in nome di Cristo e questo è
quello che chiediamo al signor Bush: come cristiano, faccia cessare la guerra e
pensi bene alle parole di Cristo, perché Cristo semina l’amore.
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Ancor più grave di Baghdad viene dipinta la
situazione di Bassora. La seconda città dell’Iraq, con circa un milione e mezzo
di abitanti, è a rischio di “disastro umanitario” ha avvertito ieri con
preoccupazione il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan. Teatro di
sanguinosi combattimenti al suo esterno, la città è priva di elettricità, di
acqua, scarseggia il cibo, con disagi ormai intollerabili per i civili. La
conferma arriva anche dal portavoce della Caritas ad Amman, Hanno Schaeffer,
che sovrintende alle operazioni in Iraq:
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“AMERICANS
BOMBARDMENTS ARE IN A RESIDENCE AREA IN BASSORA ...
I bombardamenti a Bassora hanno colpito il distretto di Al
Sahad, una zona residenziale a circa 20 km dal centro della città. Ieri, gli
americani e gli inglesi hanno martellato la città per almeno tre ore e
combattimenti sono ripresi anche questa mattina. Nella città sono state
tagliate acqua ed elettricità, e oramai comunicare con l’esterno è quasi
impossibile. Dal centro abitato si alzano colonne di fumo. I morti sono almeno
una sessantina, quasi tutti civili, donne e bambini e i feriti almeno 300”.
**********
L’afflusso in Iraq degli aiuti umanitari - pronti a
partire da varie zone del mondo - dovrebbe cominciare comunque tra breve. Il
controllo assunto dagli angloamericani della cittadina portuale irachena di Um
Qasr dovrebbe consentire l’apertura di un corridoio umanitario nelle prossime
48 ore. Lo ha confermato stamani un comandante delle truppe britanniche nel
Golfo Persico. Sempre oggi, il presidente della Commissione europea ha
confermato la mobilitazione di “tutte le risorse possibili” in favore dell’Iraq,
compresi cento milioni di euro in aiuti immediati. Analogo discorso da parte
del governo australiano: il premier John Howard ha affermato stamattina in
Parlamento del prossimo invio in Iraq di cibo, acqua e medicine.
Tra le organizzazioni umanitarie che operano in zona di
guerra vi è anche Emergency, presente da otto anni in Iraq con numerose
strutture sanitarie, nelle quali hanno trovato cure e assistenza 580 mila
persone. Benedetta Capelli ha raggiunto telefonicamente il fondatore di Emergency,
il chirurgo Gino Strada, che assieme al suo team si trova in una località del
settentrione iracheno, pronto a soccorrere i feriti di guerra e i profughi, con
una costante attenzione alle vittime delle mine antiuomo:
**********
R. – In questo momento, io mi trovo in Iraq, ad Erbil,
dove c’è uno dei due ospedali di Emergency. Siamo circa a 15 km dalla
linea del fronte delle Forze governative.
D. – La Caritas dice che ci sono 1300 famiglie in viaggio
da Mosul. Com’è la situazione dal vostro punto di vista?
R. – Qui si vede poco, anche perché noi ci muoviamo poco.
Erbil è una grossa città di 6-700 mila abitanti ed è semideserta. Chi ha
potuto, se ne è andato verso le montagne, verso il confine con l’Iran. E’
possibile che si verifichino movimenti di popolazione e di profughi verso
questa zona, nei prossimi giorni. La cosa, ovviamente, ci preoccupa molto,
perché ci risulta - ma sono notizie che non possiamo controllare - che tutte le
strade sono state fortemente minate. Ciò rischia di produrre molti incidenti.
D. – Emergency come è dispiegata sul territorio
iracheno?
R. – Noi abbiamo due ospedali, circa 20 posti di pronto
soccorso, che sono situati molto vicino alla linea del fronte e che sono tutti
attrezzati con ambulanze, medici e infermieri. Abbiamo cercato di svuotare i
nostri ospedali per far fronte ad un grande flusso di pazienti. In questo
momento abbiamo circa 250 posti letto liberi, tra Erbil e l’altro ospedale
Sulaimāniya. E noi ci stiamo preparando soprattutto all’attività
chirurgica. E’ chiaro che, se vi saranno forti movimenti di popolazione, siamo
pronti a dare coperte, cibo, qualsiasi cosa serva. In questo momento, tra
l’altro, in questa parte dell’Iraq, fa ancora molto freddo, per essere la fine
di marzo. La primavera non è proprio all’orizzonte. Questo potrebbe creare
problemi, soprattutto ai bambini e agli anziani, nel dover dormire all’aperto.
D. – Rimane sempre l’emergenza delle mine antiuomo…
R. – La gente che vive qui sa molto meglio di noi cosa
sono le mine, che rischio rappresentano. Il problema è quello di fornire una
chirurgia di alto livello, e questo è ciò che facciamo nei nostri ospedali,
soprattutto offrendo la possibilità di trasporti verso gli ospedali. Credo che
il problema centrale sarà proprio quello dei trasporti, dei feriti e di chi ha bisogno.
Ed ovviamente il trasporto su strade minate complica molto la situazione. I
nostri posti di pronto soccorso sono tutti dotati di un servizio di ambulanze
24 ore al giorno. Speriamo di riuscire a dare una mano sul serio. Certo, è una
grande preoccupazione, soprattutto se ci saranno fughe, movimenti di sfollati,
perché allora le migliaia di persone si spargeranno e non andranno in giro in modo ordinato. Chi ha paura scappa, e
quando si scappa spesso si finisce in un campo minato, anche perché è un territorio
che non si conosce: la gente non è più a casa propria.
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RIPRESA
L’AVANZATA DELLE TRUPPE ANGLO-AMERICANE VERSO BAGHDAD,
MENTRE
LE FORZE IRACHENE OPPONGONO UNA STRENUA RESISTENZA A BASSORA
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
Nel
sesto giorno di guerra in Iraq, i marine americani hanno combattuto una dura
battaglia con le forze irachene nella città meridionale di Nassiriya, riuscendo
- secondo quanto riferisce l’agenzia Reuters - ad aprirsi un varco e a
passare sulla riva orientale del fiume Eufrate, da dove possono ora avanzare
verso Baghdad. Proprio a sud della capitale irachena - sotto bombardamento
anche stamani - fonti militari britanniche riferiscono che le forze alleate
hanno attaccato le postazioni della Guardia repubblicana, reparto d’élite
dell’esercito di Saddam Hussein. Lo stesso premier inglese Blair ha affermato
che la divisione “Medina” del corpo scelto del raìs “è sotto pesante attacco
aereo”. Un giornalista della France Presse sul posto riferisce inoltre
che più di 100 cadaveri di iracheni, dei quali è impossibile dire se siano
militari o civili, sono visibili sulla strada a nord di Nassiryia, che conduce
a Baghdad.
Dal canto suo, il governo iracheno sostiene
che, nelle ultime 24 ore, nell'Iraq meridionale sono stati abbattuti tre
elicotteri ed uccisi otto soldati anglo-americani. Ma fonti militari alleate
confermano soltanto la morte di un soldato britannico nel Sud del Paese.
Un’area, questa, dove si registra la strenua resistenza degli iracheni a
Bassora. Il comando britannico in Qatar ha dovuto, stamani, rettificare
precedenti dichiarazioni del proprio portavoce, precisando che non è previsto
per il momento, un ingresso delle truppe nella città. Rimanendo nel quadrante
sud dell’Iraq, un portavoce dell’esercito iracheno ha affermato che, ad Al Faw,
nella notte tra lunedì e martedì è avvenuta “la prima operazione suicida” da
parte di un cittadino iracheno contro gli angloamericani. L’azione sarebbe
stata compiuta da un civile contro un carro armato. Con l’avanzare delle truppe
alleate verso Baghdad, cresce anche il timore che Saddam Hussein possa utilizzare
armi bio-chimiche. Una preoccupazione manifestata ieri dal segretario di Stato
americano, Colin Powell.
Intanto,
sul fronte diplomatico, non si placano le polemiche tra Mosca e Washington dopo
il ritrovamento vicino Bassora di missili di fabbricazione russa, assieme a
granate d’artiglieria di fabbricazione inglese. Il Cremlino ha respinto ogni
addebito, ma ieri il portavoce della Casa Bianca, Fleischer, ha dichiarato che
gli Stati Uniti “hanno prove credibili che aziende russe abbiano fornito
assistenza e materiale proibiti al regime iracheno”. Sulla controversa vicenda,
Giancarlo La Vella ha raccolto l’opinione di Andrea Nativi, direttore della
Rivista Italiana Difesa:
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R. – C’era da aspettarsi che certi discorsi fatti nei mesi precedenti,
relativi alle forniture in violazione dell’embargo Onu, potessero emergere.
Purtroppo la capacità russa di controllare determinate esportazioni non è
straordinaria, per cui queste forniture sono avvenute e adesso si vedono gli
effetti sul campo.
D. – Sono forniture avvenute nell’ambito di un generico
commercio di armi che la Russia fa, non specificamente per armare Saddam
Hussein …
R. – Però lo fanno. E quello è un soggetto che non va
armato in nessun modo.
D. – C’è il pericolo che i rapporti tra Stati Uniti e
Russia diventino più difficili?
R. – Onestamente mi sembra solo un gioco tattico che non dovrebbe avere
grosse conseguenze, visto che hanno tutti e due diversi interessi in comune. Adesso
il problema, più che altro, sarà, per esempio, pensare a quale potrà essere il
ruolo della Russia in una ricostruzione dell’Iraq e nello sfruttamento delle
sue risorse.
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Sul
fronte nord della guerra nel Golfo Persico, l’Alleanza Atlantica ha “accettato”
la creazione di una striscia di 20 chilometri nel Kurdistan iracheno, gestita
dalla Turchia. Il segretario generale della Nato, Robertson, ha spiegato che la
zona di cuscinetto sarà utilizzata esclusivamente per ragioni umanitarie. Il
rispetto di questo impegno, ha detto, il presidente della Commissione di
Bruxelles, Prodi, sarà per il governo di Ankara “una delle prove del fuoco”, in
vista dell’ingresso nell’Unione europea. Se, dunque, i ministri degli Esteri
arabi - riuniti alla Lega Araba - hanno concordato ieri la condanna dell’
“aggressione” contro l'Iraq, cresce in tutto il mondo la preoccupazione che il
conflitto nel Golfo possa destabilizzare il Medio Oriente. Una prospettiva,
questa, sulla quale inciderà pesantemente la condotta e la durata del
conflitto. Ne è convinto il prof. Carlo Scognamiglio, già presidente del Senato
italiano e attualmente presidente dell’Aspen Institute Italia:
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R. – Certamente la durata della guerra avrà un’importanza di primissimo piano.
Tanto più breve sarà, meglio sarà sotto ogni profilo, innanzitutto quello evidentemente
delle vittime, dei danni, e in secondo luogo quello delle possibilità di uscire
da questa drammatica vicenda con una soluzione positiva e non con una soluzione
negativa.
D. – La guerra all’Iraq è stata presentata da Bush e Blair
come una tappa fondamentale nella lotta al terrorismo. Non c’è il rischio che
invece dissolva la coalizione antiterrorismo pazientemente costruita dagli
americani, dopo l’11 settembre?
R. – Sulla coalizione anti-terrorismo bisognerebbe
distinguere tre aspetti. Uno è morale, e su questo penso sia impensabile che
nella coalizione anti terrorismo ci possano essere cambiamenti. Il secondo è
politico, e su questo piano ci sono fortissime divisioni, che peraltro
preesistevano, tra la Francia e gli Stati Uniti. Sul piano militare si tratterà
di vedere se senza più Saddam Hussein si spegneranno le radici del terrorismo.
D. – Secondo il presidente della Commissione Europea, Prodi, sullo sfondo
di questa guerra, osteggiata da gran parte dell’opinione pubblica mondiale, potremmo
assistere ad un rinascente anti americanismo nel Vecchio Continente …
R. – La mia opinione intanto è che questo rischio sia reale e che sia
gravissimo. Se ci si chiede perché un popolo che basa la sua vita sugli stessi
fondamenti di storia, di cultura, di religioni, di lingua sia così
profondamente diviso, l’unica spiegazione che può essere data non è certo nei
valori e nella cultura delle due aree dell’Occidente, ma nella percezione molto
diversa che si ha negli Stati Uniti di quello che è accaduto l’11 settembre.
Nessuno di noi ritiene che dopo l’attacco a Pearl Harbor gli americani non
avrebbero dovuto reagire. E questo è l’animo con il quale gli americani vedono
queste vicende. Loro vedono l’intervento in Afghanistan prima, l’intervento in
Iraq poi, come la diretta conseguenza di un attacco che è stato subito dagli
Stati Uniti. Gli europei tendono a rimuovere questo fatto, questo dato di
fatto, anche perché non è successo agli europei. Da noi, forse in modo
gravemente leggero, la percezione del pericolo, costituita dal terrorismo
islamico, è incredibilmente minore rispetto agli Stati Uniti. Questo può
spingere ad un atteggiamento anti-americano che, secondo me, è profondamente
sbagliato, ma soprattutto è pericoloso per il futuro del mondo.
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L’evoluzione
della Seconda Guerra del Golfo avrà, come prevedibile, un forte impatto
sull’economia mondiale e, in particolare, sulle casse dell’erario statunitense.
Fonti dell’amministrazione di Washington, riferiscono che il presidente Bush è
intenzionato a chiedere al Congresso lo stanziamento di 75-80 miliardi di
dollari per coprire i costi del conflitto e rafforzare le misure
anti-terrorismo. Una cifra gigantesca, come spiega il prof. Riccardo Moro,
direttore della Fondazione Giustizia e Solidarietà, al microfono di Fausta
Speranza:
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R. – Il prodotto interno lordo del Vietnam è di 30
miliardi di dollari, vuol dire che gli 80 milioni di vietnamiti producono e
spendono per vivere in tutto un anno, 30 miliardi di dollari, cioè meno della
metà di questi 80 che si propongono per la guerra. Il programma strategico di
riduzione della povertà, che il governo della Zambia ha approvato, per il
2002-2004, prevede un spesa complessiva di 1,2 miliardi di dollari, un
ottantesimo di quanto si pensa di spendere in questa guerra. Nella Zambia
vivono 10 milioni di persone, di cui l’80 per cento vive sotto la soglia di
povertà, cioè con meno di un dollaro al giorno.
D. – Le borse risentono della situazione con gli alti e i
bassi, ma cosa invece, secondo lei, non segnalano i mercati internazionali
all’attenzione dell’opinione pubblica?
R. – Nella settimana scorsa abbiamo visto che la guerra
sembra aver dato ossigeno ad alcune borse e per altro le aperture di oggi e la
chiusura di ieri fanno vedere che la dinamica era probabilmente solo una
dinamica di un breve periodo. Allora questi risultati di forte incremento e
forte contrazione sono i risultati di un comportamento fortemente speculativo e
ci mostrano una sostanziale serenità degli operatori finanziari che vanno in
giro a fare business e a fare profitto con i denari di cui dispongono, che i
risparmiatori hanno loro messo in mano. Direi che non ci mostrano una grande
sensibilità per la situazione in cui il mondo si sta trovando.
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25 marzo 2003
“LA
GLOBALIZZAZIONE STA PORTANDO ALLA DISTRUZIONE DELL’AMBIENTE UMANO”.
E’
QUESTO L’ALLARME LANCIATO DAL CARDINALE DIONIGI TETTAMANZI
NEL
CORSO DELL’INCONTRO TENUTOSI IERI A ROMA
SUL
TEMA “LAVORO, SOLIDARIETÀ, LIBERTÀ:
UNA
SOCIETÀ GLOBALE IN CHIAVE UMANISTICA?”
ROMA. =
“La globalizzazione, svincolata da un effettivo governo del mondo, sta portando
alla distruzione dell’ambiente umano, inteso come insieme culturale di
tradizioni, costumi e modelli di comportamento”. A lanciare questo allarme è
l’arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, intervenuto ieri a
Roma nell’incontro sul tema “Lavoro, solidarietà, libertà: una società globale
in chiave umanistica?”. Il dibattito, al quale ha partecipato anche il commissario
europeo Mario Monti, si è svolto nella
Basilica di San Giovanni in Laterano nell’ambito dei “Dialoghi in Cattedrale”,
promossi dal cardinale Camillo Ruini. “In questo momento – ha affermato il
commissario europeo - l’Europa appare assente, debole e divisa ma può essere un
modello da seguire per avere una globalizzazione governata più equamente”. Ad
impoverire l’ambiente umano concorrono, secondo l’arcivescovo di Milano, vari
fattori quali “la scomparsa dei mondi vitali capaci di alimentare un forte
senso di appartenenza, la precarietà del lavoro, la marginalità culturale della
famiglia e lo stile di vita consumistico”. “L’uomo delle società globali - ha
aggiunto ilporporato – viene privato delle risorse spirituali necessarie alla
formazione della propria coscienza o identità morale”. “L’uomo contemporaneo –
ha concluso l’arcivescovo di Milano – trova crescenti ostacoli nel reperire
ragioni serie, persuasive e convincenti per esprimere la propria libertà”.
(A.L.)
I
GIOVANI AFRICANI SI CONFRONTANO SUI GRAVI PROBLEMI
CHE AFFLIGGONO
IL LORO CONTINENTE. E’ INIZIATA IERI A NAIROBI
LA
PRIMA SESSIONE DEL “PARLAMENTO DELLA GIOVENTÙ”,
ORGANISMO
CREATO PER LA TUTELA DEI DIRITTI DEI GIOVANI AFRICANI
NAIROBI.
= Le giovani generazioni dell’Africa sono riunite da ieri sino a sabato prossimo
a Nairobi, capitale del Kenya, per la prima sessione del “parlamento africano
della gioventù”, organismo creato lo scorso anno per promuovere i diritti dei
giovani nella società africana. Ai lavori sono presenti oltre 200 ragazzi tra i
15 e i 28 anni, provenienti da 45 Paesi del continente africano. I temi
affrontati riguardano in particolare i problemi dei giovani, ma lo sguardo si
allargherà anche alle tragedie contemporanee dell’Africa: la povertà, la carestia,
la guerra, l’epidemia di Aids, l’instabilità politica e lo sviluppo economico e
sociale. Al termine dei lavori verrà
stilato un documento nel quale saranno presentate le proposte studiate dalle
apposite commissioni per risolvere queste ed altre problematiche africane. Alla
cerimonia di apertura è intervenuto Najib Balala, ministro dello sport e della
cultura del Kenya, che ha rilevato nel malgoverno una delle cause del mancato
sviluppo del continente. Successivamente ha preso la parola l’ex segretario
generale delle Nazioni Unite, l’egiziano Boutros Ghali, che ha esortato i
partecipanti ad essere più attivi delle precedenti generazioni nel cercare di
raggiungere la pace, la giustizia sociale e lo sviluppo dell’Africa. (M.A.)
LA
CHIESA SLOVACCA RICORDA OGGI IL “VENERDÌ SANTO DI BRATISLAVA”.
IL 25
MARZO DEL 1988 NELLE STRADE DELL’ATTUALE CAPITALE DELLA SLOVACCHIA
SI
SVOLSE UNA MANIFESTAZIONE IN FAVORE DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA.
LE
AUTORITÀ COMUNISTE INTERVENNERO CON LA FORZA
PER
DISPERDERE I PARTECIPANTI
BRATISLAVA.
= La Chiesa cattolica della Slovacchia ricorda oggi una delle giornate nella
quale più forte e fermo risuonò il dissenso nei confronti del regime totalitario
comunista. Il 25 marzo del 1988 è ricordato dagli slovacchi come il “Venerdì
Santo di Bratislava”: in quel giorno si svolse per le strade dell’attuale capitale
della Slovacchia una grande manifestazione in favore della libertà religiosa.
L’episcopato cattolico ha voluto celebrare l’avvenimento con un messaggio. I
presuli ricordano gli sforzi del regime comunista della Cecoslovacchia affinché
la società fosse completamente ateizzata. La libertà religiosa era garantita
dalla costituzione e dalle leggi, era lodata dai mezzi di comunicazione, veniva
illustrata nelle scuole, era affermata dai sindacati e dalle associazioni
sociali. Ma la realtà era diversa. Ogni cristiano sentiva la dura lotta che si
conduceva contro il cristianesimo. Verso la fine del 1987 – proseguono i
vescovi – alcuni cristiani cominciarono la raccolta di firme in favore della
libertà religiosa e in pochi mesi si giunse alla decisione di organizzare una
manifestazione pacifica: il regime sarebbe stato affrontato con la forza della
preghiera. Le autorità però non permisero la manifestazione e adottarono una
serie di misure per tenere gli operai a lavoro, gli studenti lontani dai centri
di aggregazione universitari, la gente delle campagne lontana da Bratislava. La
città fu occupata dalle forze dell’ordine, ma nonostante questi interventi la
gente accorse numerosa. La polizia però intervenne con durezza per disperdere i
manifestanti e ci furono molti feriti ed arresti. I vescovi sottolineano la
svolta rappresentata da quella giornata, che diffuse nei cuori dei cristiani il
desiderio della libertà. “Il credente cristiano – scrivono - trova la fonte
della propria dignità in Dio, e il segno principale della dignità umana è la
libertà. Chi ha la propria radice in Dio, non può essere manipolato. Queste
persone sono scomode per chiunque coltivi intenzioni totalitarie. Ci dobbiamo
rendere conto – concludono - che la vera libertà umana ha le sue radici in Dio.
Stringiamoci a Lui, perché sia Lui stesso a guidare e a custodire la nostra
dignità umana”. (M.A.)
"IL
POPOLO CONGOLESE HA DIRITTO ALLA PACE!". E’ QUESTO L’APPELLO LANCIATO
DAI
VESCOVI DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO CONTRO LA PRESENZA
DI
NUMEROSE TRUPPE RWANDESI NELL’EST DEL PAESE
KINSHASA.=
"Il popolo congolese ha diritto alla pace!". Inizia con queste parole
la dura condanna lanciata dai vescovi della Repubblica Democratica del Congo
contro la presenza di numerose truppe rwandesi nell'est del Paese. In una
lettera pervenuta ieri all’agenzia missionaria Misna, la segreteria generale
della conferenza episcopale congolese "condanna con fermezza il colpo di
forza che cerca di sabotare gli sforzi per la pace compiuti fino ad
adesso". "Nel tenere fede ai valori di pace e di dialogo – si legge
ancora nella nota - disapproviamo questo gesto di estrema gravità e denunciamo
i congolesi che favoriscono questa continua violazione della sovranità del
nostro Paese”. I presuli hanno chiesto la ritirata immediata delle truppe
rwandesi che si trovano posizionate nei dintorni di Lubutu e quelle ammassate
nei territori di Lubero e Ruzzi. “Allo stesso modo – concludono i vescovi -
esigiamo la ritirata immediata delle truppe ugandesi e la fine delle alleanze
effimere che rischiano solo di perpetrare la crisi ed aumentare la miseria
della popolazione congolese". Nelle ultime due settimane numerosi
battaglioni rwandesi, accompagnati anche da alcuni reparti provenienti dal
vicino Burundi, hanno varcato le frontiere e si sono posizionati nella zona
orientale dell'ex Zaire. Una presenza confermata alla Misna nei giorni scorsi
anche da mons. Melchisedec Paluku Sikuli, vescovo di Butembo-Beni, città
situata nell’area orientale della Repubblica Democratica del Congo. (A.L.)
PRESENTATO
IERI A FIRENZE UN PROGETTO COMUNE FRA LE MISERICORDIE D’ITALIA
E IL GOVERNO
ECUADORIANO PER LA REALIZZAZIONE NEL PAESE ANDINO
DI
STRUTTURE SANITARIE E SOCIO-ASSISTENZIALI.
L’INIZIATIVA
MIRA A DIFFONDERE IN ECUADOR
LA
CULTURA DEL VOLONTARIATO E DELLA SOLIDARIETÀ
FIRENZE.
= Costruire un ponte tra le culture attraverso la solidarietà: con questo scopo
la Confederazione nazionale delle Misericordie d’Italia ha presentato ieri a
Firenze due progetti di cooperazione con il governo dell’Ecuador.
L’organizzazione di volontariato italiana realizzerà a Santo Domingo de los
Colorados un presidio socio-sanitario dotato di una struttura ambulatoriale e
di pronto soccorso e, nella città di Ibarra, un centro di aiuto per i bambini
di strada. Alla presentazione, avvenuta a piazza del Duomo nella storica sede
della Misericordia di Firenze, la più antica associazione di volontariato del
mondo, nata nel 1244, hanno partecipato il presidente della Confederazione
nazionale delle Misericordie, Gianfranco Gabelli, e il ministro degli Esteri
dell’Ecuador, Nina Pacari Vega. Nei loro interventi hanno sottolineato la
portata della collaborazione tra due realtà lontane come quella italiana ed
ecuadoriana. Mentre per le Misericordie il progetto è un’opportunità di
“esportare” i valori del volontariato e della solidarietà, per l’Ecuador è
l’occasione di ricevere un contributo alla propria crescita culturale, sociale
e assistenziale. Le Misericordie sono presenti da oltre dieci anni in Ecuador,
dove è nata anche una Confraternita a Santo Domingo de los Colorados, in
stretto rapporto con la Misericordia di Pistoia. (M.A)
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25
marzo 2003
- A cura di Giancarlo La Vella -
Una bozza di un piano per una
soluzione negoziata del conflitto con i palestinesi è stato preparato dal
Consigliere per la Sicurezza Nazionale
israeliano, Efraim Halevy. Lo ha riferito oggi la radio delle forze
armate ebraiche. Il disegno prevede il sostegno di Israele alla costituzione
di uno Stato palestinese nei Territori
in cambio della rinuncia dei
palestinesi a rientrare nello Stato ebraico dei profughi del 1948 e del loro assenso alla
fine del conflitto. Intanto la tensione resta alquanto alta. L’esercito
israeliano ha arrestato nella notte, in Cisgiordania, 19 palestinesi ricercati
per attività terroristiche. Lo ha annunciato un portavoce militare, specificando
che 2 degli arrestati sono militanti di Al Fatah.
12 anni di reclusione: è la
condanna espressa ieri contro il generale croato Mirko Norac, per aver
organizzato la deportazione e l’uccisione di almeno 50 civili serbi a Gospic
nel 1991. E’ la prima volta che la magistratura croata condanna un alto
ufficiale dell’Esercito per crimini di guerra ai danni della popolazione civile
serba durante il conflitto serbo croato.
Ondata di arresti a Cuba. Nell’ultima settimana, 74
dissidenti sono finiti in manette con l’accusa di aver complottato contro il
regime. La denuncia arriva dalla Conferenza episcopale cubana, che ha
condannato l’azione repressiva contro l’opposizione interna.
La
Corte federale della Nigeria ha posticipato al 3 giugno la sentenza, inizialmente
prevista per oggi, sulla sorte di Amina Lawal, la donna condannata a morte per
adulterio, inizialmente prevista per oggi. Decine di migliaia le firme raccolte
in Italia e in altri Paesi sono state inviate al governo di Abuja per annullare
la sentenza del tribunale islamico che, in questi casi, prevede la lapidazione.
Tragedia
in Repubblica Democratica del Congo. Almeno 109 morti e alcune decine di
dispersi costituiscono il tragico bilancio del rovesciamento di un battello, sovraccarico e mal stivato,
affondato nel lago Tanganika, su cui si affacciano, oltre all’ex Zaire, Burundi
Tanzania e Zambia. La tragedia, avvenuta nella notte tra venerdì e sabato,
sarebbe avvenuta a causa del forte vento che alzava onde anche di due metri.
Cresce il numero delle vittime della polmonite atipica.
L’ultimo Paese colpito è il Vietnam dove ieri hanno perso la vita un medico ed
una infermiera di Hanoi. Nel mondo la micidiale sindrome respiratoria ha già
ucciso 15 persone mentre sono 411 i casi sospetti sparsi in 13 Paesi.
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