RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 80 - Testo della Trasmissione venerdì
21 marzo 2003
Il PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
In aumento le vittime dell’epidemia del
virus Ebola in Congo
Le Caritas dei Paesi del continente
americano riunite a Città del Messico
Cresce la tensione tra Corea del Nord e Stati Uniti:
Pyongyang accusa Washington di preparare un attacco nella penisola – Incursione
dell’esercito israeliano a Qalkilia: arrestati 13 palestinesi tra cui un
responsabile militare di Hamas – Ricercato negli Stati Uniti un militante di Al
Qaeda.
21 marzo 2003
QUESTA
MATTINA, VENERDI’ DI QUARESIMA
IL
PAPA E LA CURIA ROMANA IN PREGHIERA E MEDITAZIONE
SULLO
SFONDO DEL DRAMMA DELLA GUERRA.
LE
PAROLE DI RICONCILIAZIONE UNIVERSALE
NELLA
PRIMA PREDICA DI PADRE RANIERO CANTALAMESSA
Oggi venerdì di Quaresima, il Papa e la Curia Romana, si
sono ritirati, come è tradizione, per un’ora di preghiera e meditazione. Padre
Raniero Cantalamessa, il predicatore della Casa pontificia, ha incentrato la
prima predica sulla Lettera agli
Efesini che parla di “riconciliazione universale” e annuncia “Cristo nostra
pace”. Particolarmente significative le sue parole sullo sfondo del dramma
della guerra in atto. Ma ascoltiamo padre Cantalamessa, nel servizio di Carla Cotignoli.
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“Nella Lettera agli Efesini si
parla di riconciliazione universale, di inimicizie distrutte, di muri di
divisione abbattuti, ma noi siamo costretti a leggerla in un momento in cui
intorno a noi non si odono che “rumori di guerra” e l’inimicizia sembra
trionfare a livello planetario, tra gli stessi alleati di un tempo. Ma questa è
una ragione in più per tornare a riascoltare queste parole. ‘Cristo è la nostra
pace’, si legge nella Lettera agli Efesini. ‘Egli è venuto ad annunciare pace:
pace ai vicini e pace ai lontani: sono parole che abbiamo sentito risuonare
fino all’ultimo, in questi giorni, sulla bocca del vicario di Cristo’”.
Così padre Cantalamessa ha
iniziato la sua prima predica di Quaresima. Ed ha invitato all’ascolto della
Parola di Dio per “tener viva la nostra speranza”. La sua è stata una meditazione
densa, incentrata sul mistero della Chiesa che – come scrive il Papa nella Novo
millennio ineunte - è “mistero di comunione” che ha nella carità, cioè
nell’amore evangelico, il suo “cuore”.
Ci soffermiamo sull’ultima parte
di carattere più spirituale e ascetico. Qui padre Cantalamessa definisce la
stessa Lettera agli Efesini “un continuo richiamo al cambiamento e alla
conversione”. E mette in luce proprio i versi che chiamano in causa coloro che
sono chiamati a “’presiedere’ ai lavori di costruzione della casa di Dio, cioè
i capi, i pastori, non esclusi i predicatori”: “ciascuno stia attento come
costruisce”.
“Ciò che decide della bontà della
nostra opera – ha detto il predicatore – non è tanto ciò che uno fa, quanto
l’intenzione con cui uno lo fa”. “E’ forse il favore degli uomini che intendo
guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio?”.
“La Quaresima – ha ricordato – non è solo tempo di privazioni, ma anche
di correzioni di rotta, di rettifica delle intenzioni”. E qui, lo stesso
predicatore ha raccontato una sua esperienza personale di questi giorni:
“Questa predica sulla rettitudine
di intenzione non si concretizzava, era come bloccata, tutto fermo, fino
all’altro giorno. Finché una vocina non ha posto dentro di me la domanda più
ovvia: ‘E tu, con che intenzione fai la predica sulla purezza di intenzioni?’.
Quel giorno (era martedì scorso), nella Messa c’era un brano evangelico che
sembrava essere lì per aiutare il predicatore (e non solo lui) a fare il suo
esame di coscienza: ‘Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i
farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro
opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li
impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con
un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini …’ E’
bastato permettere alla parola di Dio di fare il suo lavoro, di convincere di
peccato, il tutto seguito da una buona confessione, che la predica, buona o
cattiva che sia, si è subito concretizzata nella mia mente e ho potuto
scriverla”.
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UDIENZE:
DAL PAPA LA PRESIDENZA COLLEGIALE DI BOSNIA ERZEGOVINA.
NOMINE: NUOVO ARCIVESCOVO A QUITO
Il Papa ha ricevuto in udienza stamani il presidente di
turno della Repubblica di Bosnia Erzegovina, Mirko Sarovic, con gli altri due
membri della presidenza collegiale e il seguito.
L’udienza si inserisce nel contesto della preparazione
della visita del Papa nel Paese per la beatificazione di Ivan Mertz, prevista
verso la fine di giugno. I membri della Presidenza collegiale sono stati
ricevuti successivamente dal segretario di Stato, cardinale Angelo Sodano, e
dal segretario per i Rapporti con gli Stati, mons. Jean Louis
Tauran.
In seguito all’accordo di Dayton del 1995, che ha posto
fine alla guerra civile, la Repubblica balcanica è divisa in due entità,
ciascuna dotata di un proprio parlamento e governo: la Federazione
croato-musulmana e la Repubblica serba Srpska. La Presidenza centrale della
Repubblica è composta da tre membri eletti per due anni in rappresentanza delle
tre etnie, un musulmano, un serbo e un croato.
Nel corso della mattinata, il
Pontefice ha anche ricevuto altri cinque vescovi della Conferenza episcopale
dell’Indonesia, in visita “ad Limina”.
Il Santo Padre ha nominato
amministratore apostolico dell’eparchia greco-melkita di Akka, Haifa, Nazareth
e tutta la Galilea, il presule libanese mons. Georges Haddad, dal 21 marzo
dello scorso anno primo esarca apostolico per i greco-melkiti cattolici
residenti in Argentina.
In Egitto, il Papa ha dato la sua
benedizione all’erezione dell’eparchia di Guizeh, con territorio smembrato
dall’eparchia patriarcale di Alessandria dei copti cattolici, effettuata dal
Sinodo dei Vescovi della Chiesa copta-cattolica il 29 settembre 2002. Il
Pontefice, in pari tempo, ha dato la sua benedizione al trasferimento
effettuato dal medesimo Sinodo di mons. Andraos Salama, vescovo ausiliare di
Alessandria dei copti, alla nuova sede eparchiale di Guizeh.
In Ecuador, il Santo Padre ha
accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Quito,
presentata dal cardinale Antonio José Gonzàlez Zumàrraga, per raggiunti limiti
di età. Il Papa ha quindi nominato arcivescovo di Quito il presule mons. Raùl
Eduardo Vela Chiriboga, finora ordinario militare dell’Ecuador.
LASZLO
BATTHYANY-STRATTMANN, LAICO E PADRE DI FAMIGLIA,
NOTO
IN UNGHERIA COME IL MEDICO DEI POVERI,
DOMENICA
PROSSIMA ALL’ONORE DEGLI ALTARI
- Servizio di Giovanni Peduto -
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Nacque in Ungheria a Dunakiliti
nel 1870, settimo figlio di un’antica e nobile famiglia ungherese. A 12 anni
morì la madre dopo una grave malattia e da quel momento decise: “Diventerò un
medico e guarirò gratuitamente i malati poveri”. László Batthyány-Strattmann
nel 1896 realizzò il suo desiderio e si iscrisse alla Facoltà di medicina di
Vienna, dove si laureò nel 1900. Si era sposato due anni prima con la contessa
Maria Teresia Coreth, donna di profonda religiosità. Il loro matrimonio fu
molto felice, pieno di armonia e Dio lo benedisse con il dono di 13 figli. Nel
1902 fondò a Köpcsény un ospedale con 25 posti letto, dove all’inizio lavorò
come medico generico. Più tardi si specializzò in chirurgia e nel 1906 in
oculistica. Fondò in seguito un altro ospedale ed un ricovero per bambini.
La fama della sua eccezionale
professionalità medica e del suo comportamento gentile e comunicativo si
diffuse ovunque. Così tanti ammalati andavano a farsi curare da lui che le
ferrovie ungheresi istituirono un “treno-ospedale” per loro. Visitava e curava
anche il più semplice malato come avrebbe curato un principe. Si era sparsa
ovunque la fama che era il medico dei poveri e da ogni posto arrivavano persone
appartenenti alle classi più povere, che egli curava gratis. Per le cure ed il
soggiorno in ospedale chiedeva solo di dire per lui un Padre Nostro. Inoltre,
dava spesso un sostegno economico considerevole agli ammalati bisognosi. Ma
oltre che della loro salute fisica, si occupava anche della salute spirituale.
Prima di ogni intervento chirurgico faceva pregare gli ammalati assieme a lui e
poi li convinceva che la guarigione non era merito suo ma veniva da Dio. Nel
congedarli, dava ad ogni ammalato un’immagine sacra ed un libretto il cui
titolo era: “Apri gli occhi e guarda”.
Mentre la maggior parte degli
aristocratici contemporanei di László Batthyány-Strattmann tenevano bei
discorsi sulla giustizia sociale, ma facevano molto poco a questo scopo, egli
invece cercò di dare un esempio di come si può migliorare concretamente la
condizione delle classi più povere. Si sapeva che ogni giorno prelevava una
somma considerevole di denaro e la dava ad una suora assistente perché la
distribuisse tra i poveri, senza tenere una contabilità delle donazioni.
Educava anche i suoi figli all’amore verso i poveri e alla povertà di spirito.
Essi hanno raccontato che non sapevano neppure di essere ricchi. Avevano tutto
ciò ci cui c’era bisogno, ma non conoscevano il superfluo e lo spreco.
Grande fu sempre la gratitudine
dei malati e dei poveri verso il loro benefattore: mentre ancora egli era in
vita, lo ritenevano un santo. Le sue ricette, le immaginette e i libretti da
lui ricevuti passavano di mano in mano, considerati come reliquie. Nel 1923,
László Batthyány-Strattmann festeggiò le nozze d’argento e in quell’occasione
il Papa gli conferì una onorificenza per il lavoro svolto tra gli ammalati. Il
riconoscimento gli fu portato dal nunzio apostolico, arcivescovo Schioppa, che
dopo scrisse al Pontefice: “Gli ungheresi considerano László
Batthyány-Strattmann come un santo, e io posso assicurare Vostra Santità che lo
è veramente”.
Il vero spirito cristiano del
nostro nuovo Beato ungherese si espresse soprattutto nel momento delle prove.
Una delle più difficili per lui fu la morte del figlio primogenito che venne a
mancare a 21 anni a causa di un’appendicite. Secondo i ricordi dei familiari,
quando chiuse gli occhi del figlio disse: “Adesso andiamo in cappella, a
ringraziare il Buon Dio che ce lo ha lasciato con noi fino ad ora”. Allo stesso
modo, accettando la volontà di Dio, sopportò con serenità la sua malattia. Nel
1929 si ricoverò nel sanatorio Löw di Vienna e dopo 14 mesi di profonde
sofferenze, vissute con eroica pazienza, morì il 22 gennaio 1931. Il cardinale
arcivescovo Piffl celebrò la cerimonia funebre. Pur essendo malato, volle essere
presente, dicendo: “Raramente ho la possibilità di seppellire un santo”.
Abbiamo con noi ora il postulatore
della causa di beatificazione, mons. László Németh.
D. – Lei è
ungherese: cosa rappresenta per la sua patria questa beatificazione?
R. – Dopo la caduta del Muro di Berlino, l’Ungheria ha
avuto come primo beato, il 9 novembre 1997, un vescovo martire, Vilmos Apor. Il
secondo, che verrà beatificato qui a Roma, è invece un laico. Penso che per la
nostra Chiesa questo possa essere un simbolo: un vescovo ed un laico. La nostra
Chiesa ha bisogno di molto impegno da parte dei laici per il futuro.
Quest’anno, la Conferenza episcopale ungherese ha come motto dell’anno la
fedeltà nel matrimonio. E questo Beato ne è un simbolo, con sua moglie e la sua
bella famiglia, con l’educazione che ha dato ai suoi figli. Questa
beatificazione viene a proposito, per il rinnovamento della nostra Chiesa.
D. – Verranno molti
pellegrini dall’Ungheria?
R. – Questa
beatificazione è legata anche all’Austria, perché László Batthyány-Strattmann è
sepolto in Austria, da dove verranno 700 pellegrini. Altri 5 mila giungeranno
dall’Ungheria.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Così
apre la prima pagina: "Un anelito di pace attraversa il mondo". Centinaia
di migliaia di persone manifestano contro la guerra in ogni parte del pianeta.
Truppe
angloamericane entrano in Iraq.
Appello di Annan per i civili:
rispettate la legge internazionale.
Nelle
vaticane, una pagina sulle celebrazioni in onore di San Benedetto, patrono
primario d'Europa: l'omelia del cardinale Giovanni Battista Re al Monastero di
Montecassino; l'omelia del cardinale Agostino Cacciavillan a Sant'Anselmo sull'Aventino.
Le iniziative in favore della
pace promosse dalle diocesi italiane in risposta all'appello del Santo Padre.
Una pagina dedicata alle
Lettere pastorali dei vescovi italiani.
Nel
cammino della Chiesa in Europa, due articoli sui trecento anni del Seminario di
Malta.
Nelle pagine estere, Libano: un
morto e tredici feriti per una bomba a Sidone.
Terrorismo: allarme ricina in
una stazione di Parigi.
Un
articolo dal titolo "Acqua, fonte essenziale di vita": Giornata
mondiale dell'acqua, 22 marzo 2003.
Nella
pagina culturale, un contributo di Giovanni Marchi dal titolo "Un inguaribile
curioso dell'uomo": a cento anni dalla nascita di Georges Simenon.
Nelle
pagine italiane, in primo piano i diversi aspetti della situazione politica attraverso
l'evolversi della crisi irachena.
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21 marzo 2003
DALL’APPRENSIONE
DEL PAPA PER UNA GUERRA INTESA COME “SCONFITTA”,
ALLE
MANIFESTAZIONI DEI PACIFISTI SU SCALA MONDIALE:
PER IL
CONFLITTO IN IRAQ, SCATTA L’ORA DELLA SOLIDARIETA’
- A
cura di Alessandro De Carolis -
“La Santa Sede ha appreso con
profondo dolore l’evolversi degli ultimi eventi in Iraq”. Questa affermazione,
pronunciata ieri dal portavoce vaticano, Navarro Valls, condensa tutta
l’apprensione con la quale Giovanni Paolo II e la Chiesa con lui sta seguendo
l’evoluzione del primo conflitto internazionale del terzo millennio. Un
conflitto che si presta a molte letture, su tutte le quali ricordiamo quella
offerta dal cardinale Roberto Tucci: guerra ovvero “una sconfitta della ragione
e del Vangelo”, nel senso che “non è compreso”. Tra i collaboratori del
Pontefice che si sono adoperati, per così dire, “in prima linea” contro lo
scoppio delle ostilità figura il cardinale Roger Etchegaray, inviato un mese fa
da Giovanni Paolo II a Baghdad per un colloquio con Saddam Hussein. Il
porporato ha definito quello in corso da un giorno e mezzo “conflitto
universale che scuote il mondo intero”. Bernard Decottignies, della nostra
redazione francese, lo ha intervistato:
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R. – CE PEUPLE IRAQUIEN SENT FORTEMENT SURTOUT EN CES JOURS CI...
Il popolo iracheno avverte con forza, soprattutto in questi
giorni, la solidarietà della comunità: della famiglia umana, più
semplicemente...
D. -
Al di là del conflitto che tocca l’Iraq, lei pensa si tratti di un conflitto
più ampio?
R. – CE QUI M’A FRAPPE – J’AI BEAUCOUP PENSE A CELA CES TEMPS-CI...
Quello che mi ha parecchio colpito
- e in questi giorni ci ho riflettuto molto - è che, finora, a scuola si
imparava dell’esistenza di due guerre mondiali. Ma questa che è appena
scoppiata credo debba a maggior ragione essere definita ‘mondiale’: perché la
sua deflagrazione scuote veramente il mondo intero, e lo stiamo vedendo! E non
scuote solamente l’Iraq o il Medio Oriente. Grazie agli enormi sforzi compiuti
nelle ultime settimane e negli ultimi mesi per evitare la guerra, possiamo dire
che la coscienza dell’umanità si è come svegliata: anzi si è risvegliata,
forse, acuita soprattutto da questo compito prioritario che è la pace: la pace
tra gli uomini, tra i popoli ...
D. -
E’ un fatto importante? Possiamo definirlo un “risultato”?
R. – MOI JE CROIS QUE, MALGRE
TOUT CE QUE L’ON PEUT DIRE, ...
Io credo che, malgrado tutto
quanto si possa dire – è vero, si è parlato di delusione e di disillusione - il
Papa, in primo luogo, è stato il protagonista o comunque uno dei protagonisti
più ostinati e coraggiosi schieratosi in favore della pace. Sappiamo bene di
tutti coloro che hanno contribuito a lavorare per la pace, che poi non è
arrivata, ma penso che grazie a tutti questi sforzi è accaduta una cosa molto
positiva: l’umanità intera ha preso maggiormente coscienza di cosa sia la pace.
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In queste ore, moltissimi
organismi ecclesiali di ogni parte del mondo levano appelli di condanna della
guerra e per il rapido ripristino della pace. Il Consiglio permanente dei
vescovi canadesi definisce “tragica” la situazione innescata dall’offensiva
angloamericana in Iraq, invita i cattolici del Paese a stringersi in preghiera
con loro e con il Papa, spende parole accorate per la popolazione civile irachena,
costretta - affermano - “a subire gli effetti più devastanti” del conflitto.
“Che la guerra non abbia l’ultima parola!”, esclama il titolo di un comunicato
del Consiglio delle Chiese cristiane di Francia. In questi tempi di crisi -
scrivono, riecheggiando il Papa, “noi invitiamo tutti i cristiani a porre più
che mai al servizio della pace le armi spirituali della preghiera e del
digiuno”.
Del nuovo
scenario aperto dall’Operazione Libertà per l’Iraq ha parlato ieri anche
il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan. La sua dichiarazione ha rivelato
l’amarezza per una guerra intrapresa “nonostante il massimo dello sforzo
prodotto dalla comunità internazionale e dalle Nazioni Unite” e il realismo di
chi preferisce, ora, guardare alle realtà del presente, “per difficili che
possano essere”, e alle vie che possano condurre a “una più forte unità nel
futuro”. Spostando lo sguardo sull’emergenza aperta dalla guerra tra i civili
iracheni, Kofi Annan ha detto di sperare che tutte le parti “osserveranno scrupolosamente
i requisiti della legge umanitaria internazionale”, assicurando in questo senso
“l’assistenza e il supporto delle Nazioni Unite”. Vediamo allora com’è la
situazione in Iraq, partendo dai più deboli, i bambini, già provati da un
decennio di embargo. Il parere del direttore generale dell’Unicef Italia,
Roberto Salvan, al microfono di Benedetta Capelli:
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R. - Quello che abbiamo constatato
è che dal ’91 al 2002-03 la mortalità infantile è aumentata. Ora, con
l’intervento armato, con i bombardamenti e con la guerra, che ci auguriamo duri
il più breve tempo possibile, la situazione si aggrava. Diventa difficile poter
dare una stima di quanti bambini si possano salvare. Noi possiamo dire che ora
la situazione diventa assolutamente molto più complicata.
D. - Emotivamente,
quali effetti può provocare la guerra sui bambini?
R. - I bambini sono certamente il
settore della popolazione che più subirà questo evento. Lo abbiamo riscontrato
dappertutto: in Sudan, in Kosovo, in Rwanda, a Timor Est. Sui bambini,
successivamente, bisognerà fare un intervento mirato attraverso gli insegnanti,
attraverso delle equipe specializzate, aiutando le famiglie a far recuperare ai
loro figli una vita normale. Perché i bambini, va sempre sottolineato, non sono
certamente colpevoli di quello che sta accadendo.
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Le notizie
che filtrano dalle zone interne dell’Iraq mostrano un quadro preoccupante dal
punto di vista dei profughi. Mosul, Kirkuk, Erbil sono le località nordirachene
che disegnano in modo drammatico l’attuale geografia degli sfollati. Almeno
centomila persone starebbero dirigendosi vero i rifugi di montagna e verso la
frontiera turca, secondo informazioni rilasciate da Orhan Ketene,
rappresentante del Fronte turcomanno iracheno. Questi spostamenti, i primi di
un esodo peraltro previsto, sollecitano la macchina umanitaria che già vede
Stati e agenzie internazionali pronte ad intervenire. il Dipartimento
dell'Agricoltura americano ha fatto sapere di voler inviare in Iraq 600 mila
tonnellate di grano: la “prima tranche di uno sforzo molto più ampio - ha
spiegato il sottosegretario all'agricoltura J.B. Penn - che si svilupperà nelle
prossime settimane”. Anche l’esecutivo dell’Ue ritiene necessario “svincolare”
- sono parole del commissario europeo per
gli aiuti umanitari, Poul Nielson - circa 100 milioni di euro da
destinare all’Iraq, traendoli dai fondi di riserva di emergenza comunitari. In
zona operazioni militari, va segnalato che all’apertura di un primo corridoio
umanitario stanno dedicandosi i soldati britannici della Royal Marine.
Le truppe, in marcia verso Bassora, hanno posto sotto sicurezza i pozzi
petroliferi della penisola di Faw, sminando il terreno circostante per far
transitare gli aiuti.
Dalla
solidarietà degli operatori umanitari a quella dei pacifisti. Il primo giorno
di guerra è coinciso con la prima mobilitazione di massa su scala mondiale.
Metropoli e città americane, europee, asiatiche, africane, australiane sono
state occupate da centinaia di migliaia di persone, di ogni categoria sociale,
che hanno espresso il proprio dissenso al conflitto in corso. Un dissenso
paradossalmente non sempre “pacifico”, giacché molte decine di dimostranti - a
Washington come al Cairo, a Madrid come a Giakarta - hanno esasperato i toni
della protesta, provocando interventi della polizia e arresti. Nello Yemen, il
bilancio più grave: a Sanaa, sono rimasti uccisi tre manifestanti e un
poliziotto negli scontri scoppiati tra manifestanti e forze dell’ordine. Ma per
una panoramica generale delle manifestazioni, ascoltiamo il servizio di
salvatore Sabatino:
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Il mondo si colora di arcobaleno.
La pace prende possesso delle principali piazze mondiali. A cominciare da ieri,
giornata in cui, allo scoccare dell’attacco in Iraq, si è alzata l’onda del no
alla guerra, che ha investito i cinque continenti. I primi manifestanti sono
scesi in piazza in Australia, seguiti a ruota, man mano, dagli europei e dagli
stessi statunitensi. Oltre 500 persone sono state arrestate a San Francisco,
dove le manifestazioni hanno preso una piega violenta quando gli attivisti
hanno bloccato il traffico e la polizia in tenuta anti-sommossa è intervenuta
per disperderli.
I raduni più massicci si sono
svolti, però, in Europa. “Serpentoni” colorati hanno invaso le principali strade
di Parigi, Berlino, Madrid, Londra, noncuranti delle differenti posizioni
assunte dai vari governi nella crisi. Un movimento trasversale, potremmo dire,
che unisce popoli diversi, accomunati da un unico messaggio: “no alla guerra”.
In Italia, la manifestazione più imponente si è svolta ieri sera a Roma, dove
una moltitudine silenziosa ha invaso per una suggestiva fiaccolata via dei Fori
Imperiali. Anche il Colosseo si è vestito di arcobaleno con una serie di
diapositive proiettate sulla facciata principale. Manifestazioni spontanee si
sono svolte anche nelle altre città italiane, prima fra tutte Milano, con non
pochi problemi per la mobilità: bloccati per ore i binari nelle stazioni di
Napoli, Bologna, Firenze e Padova. E oggi si replica, con una mobilitazione che
i pacifisti promettono di estendere ad oltranza.
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NELLA
SECONDA GIORNATA DI GUERRA NEL GOLFO, GLI ANGLOAMERICANI
SFERRANO
L’ATTACCO DI TERRA. NELLA NOTTE, COLPITI A BAGHDAD
I
PALAZZI MINISTERIALI DI SADDAM HUSSEIN
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
Si è aperta con una drammatica escalation militare la
seconda giornata di guerra in Iraq: le truppe anglo-americane, supportate da
forze speciali australiane, hanno, infatti, lanciato nella notte un’imponente
offensiva di terra, muovendo dalla frontiera kuwaitiana. L’agenzia Reuters
riferisce che stamani soldati americani hanno issato la bandiera a stelle e
strisce sul nuovo porto di Umm Qasr, centro dell'Iraq del sud a soli cinquanta
chilometri dalla strategica città di Bassora. Almeno 250 iracheni si sarebbero
arresi, secondo fonti militari britanniche. Poco prima, i royal marines avevano
preso il controllo delle stazioni per il pompaggio di petrolio nella penisola
di Faw, sempre nel meridione del Paese. La caduta di Umm Qasr viene, tuttavia,
smentita dal governo di Baghdad. Testimoni hanno, invece, riferito che una
colonna di carri americani è penetrata per 150 chilometri all’interno del
territorio iracheno senza incontrare resistenza. Dal canto suo, un portavoce
dell'Esercito britannico nel Golfo ha dichiarato che le forze della coalizione
potrebbero entrare a Baghdad “nell'arco di tre o quattro giorni”. Ma il primo
ministro britannico, Tony Blair, ha dichiarato oggi che la guerra non sarà
breve e proprio nel corso delle operazioni di queste ore, le forze
anglo-americane hanno subito le prime perdite: 12 soldati – otto britannici e
quattro americani – sono morti nello schianto di un elicottero nel Kuwait,
mentre un marine è stato ucciso in combattimento in Iraq. L’attacco di terra è
stato sferrato nelle stesse ore in cui Baghdad veniva sottoposta ad un
bombardamento missilistico che, secondo l’agenzia ufficiale irachena Ina, ha
provocato il ferimento di 37 civili. Il raid di stanotte è stato mirato a
colpire il cuore del regime, come ci riferisce Paolo Mastrolilli:
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Per ora, il Pentagono ha
rimandato il grande attacco denominato “shock e terrore” perché spera che
Saddam sia stato colpito nella prima ondata di bombardamenti su Baghdad e la
leadership rimasta sia disponibile ad arrendersi, evitando la distruzione del
Paese. Ieri sera il cielo di Baghdad è tornato ad illuminarsi con circa 60
missili lanciati su obiettivi come la casa di Saddam e gli uffici di Tarek
Aziz. Gli iracheni hanno cercato di reagire lanciando vettori verso le truppe
americane al confine con il Kuwait, ma i patriots hanno intercettato uno dei
missili e gli altri sono caduti nel deserto senza fare vittime. Il presidente
Bush ha riunito il governo alla Casa Bianca e si è detto sicuro di raggiungere
i suoi obiettivi. Gli esperti di intelligence stanno ancora analizzando il
video con cui Saddam si è rivolto all’Iraq dopo il primo attacco: il filmato
potrebbe essere stato registrato nei giorni scorsi e quindi resta il dubbio
sulla sorte del leader iracheno.
Da New York, per la
Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Come prevedibile, Baghdad si è affrettata a smentire la
notizia circolata a Washington. In una conferenza stampa, il ministro
dell'informazione iracheno ha dichiarato, stamani, che Saddam Hussein e i suoi
figli sono vivi, confermando però che i bombardamenti anglo-americani hanno
colpito la residenza del rais. Quest’ultimo, inoltre, ha stabilito una
ricompensa in denaro per ogni aereo nemico abbattuto e per ogni soldato
anglo-americano catturato o ucciso. Una decisione, che ha anticipato di qualche
ora la notizia - diramata da fonti militari irachene, ma categoricamente
smentita dal Pentagono - secondo cui un jet americano sarebbe stato abbattuto
all’alba. Intanto, in contrasto con le dichiarazioni delle ultime settimane,
gli iracheni hanno incendiato alcuni pozzi petroliferi nel sud del Paese, non
appena è iniziata l’offensiva di terra. Se, dunque, le forze alleate puntano
già verso la capitale, ascoltiamo come - proprio a Baghdad - si stanno vivendo queste
ore drammatiche, attraverso la testimonianza del nunzio apostolico in Iraq,
mons. Fernando Filoni:
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R. - Noi, come nunziatura, verso
le 21.00 eravamo già in cappella per le preghiere serali e abbiamo percepito
attraverso le sirene che era cominciato un altro attacco contro la capitale.
Abbiamo sentito delle esplosioni, non troppo vicine, e naturalmente la
contraerea che cercava di intercettare ciò che stava avvenendo nei cieli. Dopo
di che non abbiamo avuto altri problemi eccetto il fatto di sentire e risentire
le sirene fino alle 23.00. Ma dopo quel momento non abbiamo avuto sentore di
altre esplosioni. Quindi, la notte è passata abbastanza tranquilla. Non ci sono
stati altri problemi.
D. – Eccellenza,
come si presenta stamani Baghdad?
R. –
Oggi è venerdì, quindi di per sé sarebbe stato giorno festivo. Ovviamente i
negozi sono chiusi, la gente è scarsa nelle strade. C’è un po’ più traffico di
ieri per le strade, ma tutto sommato rimane ancora molto scarso.
D. –
Le truppe angloamericane sono entrate in Iraq nella notte. C’è percezione di
questa nuova fase del conflitto lì a Baghdad, oppure la popolazione è soltanto
preoccupata dei bombardamenti, che potrebbero ripetersi anche nelle prossime
ore?
R. –
Non credo che la popolazione locale abbia diretto accesso alle informazioni dei
fronti. Noi sappiamo come nunziatura – chi ha ovviamente radio o televisioni
collegate internazionalmente – di queste notizie attraverso questi circuiti.
Quindi, non abbiamo notizie dirette. Stamani ho sentito l’arcivescovo di
Bassora e anche loro avevano avuto una notte tutto sommato tranquilla. Non
hanno parlato di altro fino a questa mattina che di una notte tranquilla.
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Sul fronte nord della Seconda Guerra del Golfo, ieri, il
parlamento di Ankara ha approvato il decreto governativo che concede agli Stati
Uniti lo spazio aereo, ma - allo stesso tempo - consente anche alle truppe
turche di entrare nel nord dell'Iraq con l'intenzione di prevenire la
formazione di uno Stato curdo indipendente alle porte del proprio territorio.
Una presenza, quella turca nel Kurdistan iracheno, che potrebbe creare non
poche difficoltà alla coalizione anti-Saddam. Proprio nell’area, intanto,
secondo un’emittente televisiva iraniana sarebbero in azione truppe americane
in marcia verso le grandi città di Mosul e Kirkuk. Ma con quale spirito
guardano a questo conflitto i rifugiati politici iracheni, sfuggiti alle
persecuzioni della dittatura di Saddam Hussein? Francesca Sabatinelli lo ha
chiesto ad Adib Fateh Ali, responsabile del coordinamento degli esuli iracheni
in Italia:
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R. - Riteniamo che
questo regime vada disarmato, che ha armi chimiche e le ha usate contro di noi.
Riteniamo che questo regime debba essere destituito. Ma riteniamo nello stesso
momento, con uguale forza, che la guerra non può essere l’unica risposta,
perché la guerra porta distruzione, compromette il futuro del nostro Paese.
Sento dire che il regime farà saltare dei pozzi petroliferi, farà saltare le
dighe, che userà le armi chimiche contro la propria popolazione per addossare
la colpa agli americani. Sono tutte possibilità concrete, vere. Si sta facendo
scudo con l’ostaggio del popolo iracheno, per difendersi dall’attacco degli
americani. Piuttosto che motivarci ancora di più verso l’azione militare,
dovremmo salvaguardare per prima cosa la vita degli ostaggi, rimanendo però
fermi nella posizione per cui questo regime debba essere estromesso.
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La guerra in Iraq registra anche oggi forti prese di
posizione a livello politico. Il presidente russo Vladimir Putin ha affermato
che la crisi irachena “è uscita dal quadro di un conflitto locale” e
rappresenta ora una fonte potenziale di instabilità internazionale. La crisi
del Golfo, d’altro canto, sta decisamente dominando l’agenda del vertice di
primavera dei leader dell’Unione europea, apertosi ieri. A Bruxelles, il clima
è particolarmente teso e si tenta di ricucire la spaccatura tra Paesi
favorevoli e contrari all’attacco all’Iraq. Stamani, il presidente francese
Chirac ha inviato un messaggio di condoglianze al premier inglese Blair per la
morte dei militari britannici nello schianto dell’elicottero in Kuwait. Lo
stesso Blair ha quindi affermato, che - sulle divisioni interne al Vecchio
Continente - sarà opportuno confrontarsi dopo la guerra. Le dichiarazioni di
stamani seguono la difficoltosa approvazione – ieri sera – di un documento
comune sulla crisi irachena, su cui ci riferisce Laura Forzinetti:
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In un succedersi di
dichiarazioni del presidente della Commissione, Romano Prodi, del Parlamento,
Pat Cox, della presidenza, di alcuni commissari, si è continuato ad auspicare
di arrivare ad una posizione comune dei Quindici perché l’Unione Europea possa,
parlando con una voce sola, avere un peso determinante sulla scena internazionale.
L’auspicata dichiarazione comune, alla fine, c’è stata, anche se il prezzo
pagato è stato alto. Ci si è accordati solo su quanto sarà dopo che la guerra
sarà finita. Sul fronte aiuti umanitari, l’Unione Europea si auspica che il
coordinamento sia assicurato dalle Nazioni Unite e che si possa continuare a
far fronte alle esigenze umanitarie della popolazione irachena con il programma
“petrolio in cambio di cibo”.
Da Bruxelles, per la
Radio Vaticana, Laura Forzinetti.
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RICORRE
OGGI LA GIORNATA INTERNAZIONALE DELL’ONU
PER
L’ELIMINAZIONE DELLA DISCRIMINAZIONE RAZZIALE.
CON
NOI GIOVANNI CONSO, PRESIDENTE EMERITO DELLA CORTE COSTITUZIONALE
-
Servizio di Paolo Ondarza -
“Le Nazioni Unite rimangono al
centro degli sforzi per migliorare le condizioni delle vittime del razzismo”.
Così il segretario generale dell’Onu Kofi Annan nel messaggio in occasione
della Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione
razziale, stabilita dall’Assemblea generale dell’Onu nel 1966. Il 21 marzo di
quell’anno a Sharpeville nel Sud Africa, la polizia uccise 69 persone che manifestavano contro l’apartheid. Si
legge nel documento citato: “In questa giornata onoriamo tutte le vittime del
passato e quelle di oggi, intensificando i nostri sforzi per costruire un
futuro nel quale l’uguaglianza sia una realtà per tutti”. Ma quanto lavoro c’è
ancora da fare per sradicare atteggiamenti xenofobi tuttora presenti in varie
zone del mondo? Paolo Ondarza lo ha chiesto a Giovanni Conso, presidente
emerito della Corte Costituzionale e vicepresidente della SIOI, Società
Italiana per l’Organizzazione Internazionale.
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(musica)
R. – Noi abbiamo tante Carte internazionali, che tutelano i valori
dell’uguaglianza e della parità di diritti, ma il razzismo ha continui
rigurgiti e manifestazioni talvolta molto sfacciate. Occorre lottare ancora, e
con molta energia.
D. – Cosa alimenta
atteggiamenti discriminatori?
R. – I fattori che
li alimentano sono molteplici: le tensioni internazionali e nazionali, i
contrasti politici, i contrasti economici ... Molto spesso si guarda all’altro
come ad un rivale da combattere a tutti i costi, muro contro muro. Quando poi
l’altro è di una razza diversa, questo determina un ulteriore motivo di
violenza per chi cerca lo scontro, per chi non è tollerante, per chi non
rispetta l’altro ...
D. – Quindi,
potremmo dire che la diversità ancora oggi spaventa?
R. – Direi che
spaventa il modo con cui la si affronta: anziché guardare alla diversità come
ad un bene, fonte di arricchimento, di scambio di culture, di tradizioni, lo si
usa come uno strumento di scontro, di avvilimento dell’altro in una deprecabile
corsa al ribasso dei valori.
D. – Chi sono le
vittime del razzismo, oggi?
R. – Ci sono razze
che si cerca sistematicamente di distruggere. Pensiamo alla sorte dei curdi, la
cui persecuzione negli ultimi tempi ha ripreso campo con durezza e spietatezza.
Tante vittime del razzismo si possono trovare anche in Africa ... E non
possiamo ignorare ciò che accade da noi: è un avvilimento quotidiano. Pensiamo
ad un giocatore di calcio di colore,
famoso, ben pagato e con un alto tenore di vita: nonostante tutto ciò si
ritrova ad essere insultato sul campo solo perché appartiene ad un’altra razza.
L’appello del Papa: ‘No alla guerra, perché noi anziani sappiamo cosa voglia
dire”, credo che possa valere anche per quanto riguarda il razzismo ... abbiamo
visto approvare atteggiamenti discriminatori in nome della razza ariana. Non
dimentichiamo questa assurda bandiera che Hitler e il nazismo hanno issato. La
bandiera della razza pura, sarebbe ormai un vessillo da ammainare, e invece ancora oggi ci sono
eredi di quella mentalità distorta che distingueva una ‘razza nobile’ dalle
altre.
D. – Su quali
fronti è necessario operare?
R. – In realtà si
opera abbondantemente, ma il grande
lavoro resta spesso un pezzo di carta, un documento. Manca una vera cultura
dell’uguaglianza. E’ su questo campo che vanno concentrati gli sforzi.
D. – Professor
Conso, quale l’importanza di queste Giornate?
R. – Questa Giornata vuol essere una giornata dedicata ad approfondire le
tematiche di cui abbiamo parlato, a rilanciarle nei dibattiti, a cercare di
discuterne per progredire, per illuminare chi è cieco. Il dato negativo è che
quando parliamo e discutiamo su questi temi,
normalmente lo facciamo tra chi la pensa come noi. I razzisti, invece,
proprio loro purtroppo, non stanno a sentire e si mantengono alla larga da
tutte quelle meditazioni che vogliono richiamare l’importanza di questi valori.
Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire: quindi parliamone sempre di più,
sperando che prima o poi i sordi sentano come valore fondamentale la lotta
contro il razzismo.
(musica)
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21 marzo 2003
DAL
CENTRO EDUCATIVO IGNAZIANO
- A
cura di Paolo Scappucci -
PALERMO. = Giustizia, sviluppo,
solidarietà, rispetto dei diritti umani: sono quattro fondamentali valori
guida, senza i quali non si può dare una pace all’altezza dei nostri tempi e
del nostro mondo. Lo ha ricordato il presidente del Pontificio Consiglio della
Giustizia e della Pace, arcivescovo Renato Martino, parlando stamani a Palermo
in un incontro per giovani e famiglie organizzato dal Centro Educativo Ignaziano
e dall’Istituto di Formazione Politica Pedro Arrupe dei Gesuiti del capoluogo
siciliano. Dopo aver criticato il modo classico di intendere la pace (pax romana)
come risultato di conquista violenza e di stretto controllo dei conquistati ed
anche il concetto di “Pace americana”, cioè ottenuta con la forza
dell’economia, mons. Martino ha riproposto la nozione di pace come illustrato
dal Catechismo della Chiesa cattolica, non semplice assenza di guerra o
equilibrio di forze contrastanti. La pace non si può ottenere senza la tutela
dei beni delle persone, la libera comunicazione tra gli esseri umani, il
rispetto della dignità delle persone e dei popoli, l’assidua pratica della
fratellanza, tranquillità dell’ordine e frutto della giustizia. Oggi – ha
aggiunto – la guerra, sia convenzionale sia nucleare, appare improponibile;
difesa e sicurezza vanno ripensate in termini nuovi. La legittima difesa ha limiti
etici e si devono rifiutare assolutamente quei mezzi difensivi che comportano
distruzioni totali e indiscriminate. Infine, il presidente di Giustizia e Pace
ha concluso il suo intervento, proponendo ai giovani la figura di un grande
testimone di pace del nostro tempo: il siciliano Giorgio La Pira, uomo di
dialogo, di riconciliazione, di coraggio e di preghiera,affinché emulandone
l’esempio divengano anche loro lievito di speranza e di pace nella società odierna.
AL
FORUM MONDIALE SULL’ACQUA CHE SI STA SVOLGENDO A KIOTO OGGI È SI È PARLATO DI
GESTIONE DELLE RISORSE IDRICHE. L’ONU HA DENUNCIATO I RITARDI DEI GOVERNI
NELL’APPLICARE MISURE EFFICACI PER IL RISPARMIO
A cura di Chiaretta Zucconi
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KYOTO.= Al terzo Forum mondiale sull’acqua, iniziato
domenica scorsa a Kyoto, anche oggi si è parlato di corretta gestione delle
risorse idriche, ma anche di fat-
tibilità dell’obiettivo posto dalle Nazioni Unite:
dimezzare entro il 2015 il numero
delle persone che soffrono per la scarsità di acqua. In un
rapporto di 600 pagine l’Onu punta il
dito contro governi troppo lenti nell’applicare le misure che dovrebbero
alleviare la sete dell’umanità. I dati sono allarmanti: circa 2 miliardi le
persone al mondo che non hanno a disposizione sufficiente acqua pulita e 200
milioni i casi di malattie legate al consumo di acqua contaminata. L’Africa è
il continente più a rischio, ma anche in Asia,dove i fiumi sono i più inquinati
al mondo, non si scherza e in Europa soltanto 5 dei 55 fiumi più importanti
sono puliti. I Paesi più progrediti, infine, Stati Uniti e Giappone, utilizzano
più acqua di quanta ne abbiano bisogno squilibrando le scorte mondiali. A due
giorni ormai dalla chiusura della Conferenza, una la parola d’ordine: quello
dell’acqua è un problema globale e non soltanto del terzo mondo e, soprattutto,
servono fatti e non parole. Al tavolo della Conferenza di Kyoto, dove è
riecheggiato il rombo della guerra in Iraq, l’Italia ha portato proposte
interessanti, tra queste riciclare l’acqua utilizzata per i processi
industriali, opportunamente depurata, ad uso agricolo. Per questo servono
impianti e finanziamenti pubblici e privati, ma importante è anche la
formazione di professionisti del settore, i cosiddetti manager dell’acqua.
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IL
CONSIGLIO MONDIALE DELLE CHIESE HA DIFFUSO IERI UN COMUNICATO AI MARGINI DEI
LAVORI DELLA COMMISSONE DEI DIRITTI UMANI A GINEVRA. L’ORGANISMO HA INVITATO LE
RELIGIONI A LAVORARE IN FAVORE DELLA PACE TRA I PAESI DEL MONDO
GINEVRA. = Rafforzare il dialogo tra le religioni
per superare l’intolleranza e gli scontri tra le nazioni: è questo il messaggio
del Consiglio mondiale delle Chiese, organismo composto dalle comunità
protestanti e ortodosse, al quale la Chiesa cattolica partecipa in qualità di
osservatore, riunitosi ieri ai margini dei lavori della Commissione dei diritti
umani dell’Onu a Ginevra. Il Consiglio rileva la crescente intolleranza
religiosa in Paesi come India, Indonesia e Pakistan dove le divisioni tra le
comunità religiose ed etniche purtroppo hanno causato vari morti. Il Consiglio, che partecipa in questi
giorni alla riunione della Commissione dei diritti umani dell’Onu, esorta i
governi dei Paesi citati ad impegnarsi in favore della pace e del dialogo. Il
comunicato si sofferma in particolare sulla situazione della parte occidentale
dell’isola della Nuova Guinea. Il Consiglio lamenta la situazione della
popolazione dell’isola ed esorta il governo indonesiano ad adottare politiche
per favorire lo sviluppo ed il benessere. Perciò il Consiglio Mondiale delle
Chiese chiede alla Commissione dei diritti umani di adoperarsi presso Giacarta
affinché i proventi dell’utilizzo delle risorse naturali presenti nell’isola
siano distribuiti tra gli abitanti in maniera giusta. Il Consiglio infine ha
espresso la propria solidarietà e vicinanza nei confronti dei cristiani che
vivono in Terra Santa e della popolazione palestinese che soffrono a causa
della guerra. (M.A.)
LE
AUTORITÀ SANITARIE DELLA REPUBBLICA DEL CONGO HANNO COMUNICATO CHE SONO SALITE
A 111 LE VITTIME DELL’EPIDEMIA DEL VIRUS EBOLA. LA ZONA PIÙ COLPITA È LA PARTE
NORDOCCIDENTALE DEL PAESE, TRA LE CITTÀ DI KELLE E MBOMBO.
BRAZZAVILLE.
= Continua l’epidemia del virus Ebola
nella Repubblica del Congo. Almeno 111 persone tra i 123 casi registrati
nel nordovest del Paese sono morte da gennaio a oggi a causa del virus.
L’epidemia è scoppiata nelle foreste della regione della Cuvette al confine con
il Gabon. Secondo fonti d’agenzia, che riprendono dati diffusi delle autorità
sanitarie di Brazzaville, le città più colpite sarebbero Kelle e Mbombo, a
circa 750 km dalla capitale. Il morbo si sarebbe diffuso tra gli uomini dopo
che la popolazione locale ha consumato carne di gorilla morti proprio a causa
della terribile febbre emorragica. Il male attualmente è incurabile e l’unica
forma di prevenzione è l’isolamento dei malati. Secondo esperti del progetto
dell’Unione Europea per la salvaguardia dell’ecosistema dell’Africa centrale
(Ecofac), sono stati ritrovati nella riserva naturale di Lossi centinaia di
corpi senza vita di gorilla e scimpanzé che hanno contratto il virus. La
riserva è situata proprio in un’area tra le due città citate precedentemente,
che è stata posta in quarantena dal governo. (M.A.)
LE CARITAS DEI PAESI DEL
CONTINENTE AMERICANO RIUNITE IN QUESTI GIORNI A CITTÀ DEL MESSICO. IN STUDIO
PROGETTI DI COLLABORAZIONE TRA NORD E SUD DEL CONTINENTE IN FAVORE DEI PIÙ BISOGNOSI
CITTA’ DEL MESSICO. = I rappresentati delle
Caritas nazionali del continente americano sono riuniti in questi giorni a
Città del Messico in occasione del congresso “Globalizzando la solidarietà”.
L’appuntamento (che si è aperto mercoledì scorso e si concluderà domenica
prossima) mira a favorire il dialogo e la collaborazione tra le varie
organizzazioni di pastorale sociale presenti in America. Il presidente della
Caritas in America Latina e nei Caraibi e vescovo ausiliare di San Salvador,
mons. Gregorio Rosa Chavez, ha spiegato che l’incontro rafforzerà i legami di
fraternità e cooperazione tra le varie Chiese. “Nonostante il clima di guerra –
ha affermato – la Chiesa alimenta la speranza che il dialogo sia lo strumento
della pace”. Per questo il congresso vuole promuovere progetti comuni nell’area
sociale che avvicinino la parte settentrionale del continente con quella
meridionale. “L’incontro – ha dichiarato il segretario esecutivo della Caritas
in America Latina e nei Carabi, padre Marino Bohn - consolida un lavoro di otto
anni di avvicinamento e dialogo con l’America del nord”. I temi su cui i 168
partecipanti lavorano riguardano l’integrazione, la sovranità nazionale, i
trattati per il libero commercio, la partecipazione politica e la cultura della
solidarietà. (M.A.)
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21 marzo 2003
- A cura di Barbara Castelli -
Oltre all’emergenza bellica in Iraq, a cui abbiamo
dedicato un’ampia pagina nel corso di questo Radiogiornale, diamo spazio ad
altre notizie dal mondo.
La guerra in Iraq innervosisce la Corea del Nord.
Pyongyang ha accusato oggi gli Stati Uniti di preparare, contemporaneamente
alle operazioni militari nel Golfo, un attacco preventivo contro i suoi
impianti nucleari. Secondo quanto ha riferito l’agenzia ufficiale nord-coreana
Kcna, le manovre militari iniziate in Corea del Sud da migliaia di soldati
americani e sud coreani, appoggiati da navi da guerra e aerei, portano la
penisola sull’orlo della guerra.
Resta alta la tensione in Medio Oriente. L’esercito
israeliano ha arrestato nella notte 13 palestinesi a Qalkilia, nel nord della
Cisgiordania. Tra gli uomini finiti in manette c’è anche Rahed Houtri, ritenuto
il responsabile militare di Hamas nella città. L’uomo è accusato di aver
organizzato numerosi attentati kamikaze anti-israeliani. Un alto responsabile
del movimento radicale islamico Hamas ha, intanto, invitato gli iracheni a
preparare “centinaia, migliaia di attentati suicidi contro gli invasori
americani”.
Si smorza in parte in Francia l’allarme ricina: le tracce
di questo potente veleno rinvenute ieri in 2 misteriosi flaconi nel deposito
bagagli parigino della Gare de Lyon “non erano in dose letale”. Lo ha
dichiarato stamani il ministro francese degli Interni, Nicolas Sarkozy,
specificando che flaconi contenevano “acetone ed etanolo, prodotti che possono
servire alla fabbricazione di ricina”.
Negli Stati Uniti è scattata una nuova caccia all’uomo, un
presunto militante di Al Qaeda. L’Fbi è, infatti, da ieri pomeriggio sulla
trecce del saudita Adnan El Shukrijumah, che avrebbe ricevuto lezioni di volo
simili a quelle ricevute dagli attentatori dell’11 settembre 2001. Il presunto
uomo di Osama Bin Laden si troverebbe in America per lanciare un “grande
attacco terroristico”.
“Il Consiglio europeo condanna nel modo più fermo
l’assassinio del primo ministro serbo Zoran Djindjic” e appoggia pienamente “la
nuova leadership” nell’attuazione delle riforme necessarie” per l’avvicinamento
“alle strutture europee e in particolare all’Ue”. Si legge così nella
dichiarazione finale del vertice Ue di Bruxelles approvata oggi dai leaders dei
Quindici. Il documento contempla, inoltre, la lenta crescita economica dei
Paesi dell’Unione, la delicata situazione in Medio Oriente e la questione
cipriota.
Trasferiamoci nella Repubblica Democratica del Congo. E’
stata spostata di una settimana la sessione finale del dialogo intracongolese
in cui verranno ratificati ufficialmente gli accordi presi per gestire la fase
di transizione del Governo. L’incontro, posticipato per problemi “logistici”,
si svolgerà a Sun City, in Sudafrica, il prossimo primo e 2 aprile.
Cresce la paura per la diffusione della polmonite atipica
anche in Italia. Nuovi casi sospetti si sono registrati, infatti, a Roma e a
Milano: si tratta di 2 uomini reduci da un viaggio nelle zone a rischio. Gli
specialisti hanno avviato gli esami di accertamento indicati nei protocolli del
ministero della Salute, specificando che i risultati saranno disponibili nei
prossimi giorni.
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