RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 80 - Testo della Trasmissione venerdì 21 marzo 2003

 

Sommario

 

 

 

Il  PAPA E LA SANTA SEDE:

“Cristo è la nostra pace”. Davanti alla follia della guerra, il tema ecclesiologico della “riconciliazione universale” proposto dal padre Raniero Cantalamessa nella prima predica di Quaresima in Vaticano, alla presenza del Papa e della Curia Romana –

 

L’ungherese Laszlo Batthyany Strattmann, medico dei poveri, domenica prossima all’onore degli altari.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Dalla preoccupazione di Giovanni Paolo II per la guerra alle manifestazioni per la pace e agli impegni della solidarietà: con noi, il cardinale Roger Etchegaray e il responsabile dell’Unicef Roberto Salvan.

 

Nel secondo giorno di guerra, gli angloamericani sferrano l’attacco di terra. Nella notte, colpiti a Baghdad i palazzi ministeriali: le testimonianze del nunzio Fernando Filoni e dell’esule iracheno Adib Fateh Ali

 

Oggi Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale: ai nostri microfoni, il giurista Giovanni Conso.

 

CHIESA E SOCIETA’:

In un incontro a Palermo per i giovani e le famiglie l’arcivescovo Renato Martino ricorda i cardini della vera pace.

 

Al Forum mondiale sull’acqua il problema della gestione delle risorse idriche. L’Onu denuncia i ritardi dei governi nell’applicare misure efficaci per il risparmio.

 

In aumento le vittime dell’epidemia del virus Ebola in Congo

 

Le Caritas dei Paesi del continente americano riunite a Città del Messico

 

Invito del Consiglio Mondiale delle Chiese alle religioni affinché lavorino in favore della pace nel mondo

 

 

24 ORE NEL MONDO:

Cresce la tensione tra Corea del Nord e Stati Uniti: Pyongyang accusa Washington di preparare un attacco nella penisola – Incursione dell’esercito israeliano a Qalkilia: arrestati 13 palestinesi tra cui un responsabile militare di Hamas – Ricercato negli Stati Uniti un militante di Al Qaeda.

 

 

  IL PAPA E LA SANTA SEDE

21 marzo 2003

 

 

QUESTA MATTINA, VENERDI’ DI QUARESIMA

IL PAPA E LA CURIA ROMANA IN PREGHIERA E MEDITAZIONE

SULLO SFONDO DEL DRAMMA DELLA GUERRA.

LE PAROLE DI RICONCILIAZIONE UNIVERSALE

NELLA PRIMA PREDICA DI PADRE RANIERO CANTALAMESSA

 

Oggi venerdì di Quaresima, il Papa e la Curia Romana, si sono ritirati, come è tradizione, per un’ora di preghiera e meditazione. Padre Raniero Cantalamessa, il predicatore della Casa pontificia, ha incentrato la prima predica  sulla Lettera agli Efesini che parla di “riconciliazione universale” e annuncia “Cristo nostra pace”. Particolarmente significative le sue parole sullo sfondo del dramma della guerra in atto. Ma ascoltiamo padre Cantalamessa, nel servizio di Carla Cotignoli.

 

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“Nella Lettera agli Efesini si parla di riconciliazione universale, di inimicizie distrutte, di muri di divisione abbattuti, ma noi siamo costretti a leggerla in un momento in cui intorno a noi non si odono che “rumori di guerra” e l’inimicizia sembra trionfare a livello planetario, tra gli stessi alleati di un tempo. Ma questa è una ragione in più per tornare a riascoltare queste parole. ‘Cristo è la nostra pace’, si legge nella Lettera agli Efesini. ‘Egli è venuto ad annunciare pace: pace ai vicini e pace ai lontani: sono parole che abbiamo sentito risuonare fino all’ultimo, in questi giorni, sulla bocca del vicario di Cristo’”.

 

Così padre Cantalamessa ha iniziato la sua prima predica di Quaresima. Ed ha invitato all’ascolto della Parola di Dio per “tener viva la nostra speranza”. La sua è stata una meditazione densa, incentrata sul mistero della Chiesa che – come scrive il Papa nella Novo millennio ineunte - è “mistero di comunione” che ha nella carità, cioè nell’amore evangelico, il suo “cuore”.

 

Ci soffermiamo sull’ultima parte di carattere più spirituale e ascetico. Qui padre Cantalamessa definisce la stessa Lettera agli Efesini “un continuo richiamo al cambiamento e alla conversione”. E mette in luce proprio i versi che chiamano in causa coloro che sono chiamati a “’presiedere’ ai lavori di costruzione della casa di Dio, cioè i capi, i pastori, non esclusi i predicatori”: “ciascuno stia attento come costruisce”.

 

“Ciò che decide della bontà della nostra opera – ha detto il predicatore – non è tanto ciò che uno fa, quanto l’intenzione con cui uno lo fa”. “E’ forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio?”.  “La Quaresima – ha ricordato – non è solo tempo di privazioni, ma anche di correzioni di rotta, di rettifica delle intenzioni”. E qui, lo stesso predicatore ha raccontato una sua esperienza personale di questi giorni:

 

“Questa predica sulla rettitudine di intenzione non si concretizzava, era come bloccata, tutto fermo, fino all’altro giorno. Finché una vocina non ha posto dentro di me la domanda più ovvia: ‘E tu, con che intenzione fai la predica sulla purezza di intenzioni?’. Quel giorno (era martedì scorso), nella Messa c’era un brano evangelico che sembrava essere lì per aiutare il predicatore (e non solo lui) a fare il suo esame di coscienza: ‘Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini …’ E’ bastato permettere alla parola di Dio di fare il suo lavoro, di convincere di peccato, il tutto seguito da una buona confessione, che la predica, buona o cattiva che sia, si è subito concretizzata nella mia mente e ho potuto scriverla”.

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UDIENZE: DAL PAPA LA PRESIDENZA COLLEGIALE DI BOSNIA ERZEGOVINA.

 NOMINE: NUOVO ARCIVESCOVO A QUITO

 

Il Papa ha ricevuto in udienza stamani il presidente di turno della Repubblica di Bosnia Erzegovina, Mirko Sarovic, con gli altri due membri della presidenza collegiale e il seguito.

 

L’udienza si inserisce nel contesto della preparazione della visita del Papa nel Paese per la beatificazione di Ivan Mertz, prevista verso la fine di giugno. I membri della Presidenza collegiale sono stati ricevuti successivamente dal segretario di Stato, cardinale Angelo Sodano, e dal segretario per i Rapporti con gli Stati, mons. Jean Louis Tauran.

 

In seguito all’accordo di Dayton del 1995, che ha posto fine alla guerra civile, la Repubblica balcanica è divisa in due entità, ciascuna dotata di un proprio parlamento e governo: la Federazione croato-musulmana e la Repubblica serba Srpska. La Presidenza centrale della Repubblica è composta da tre membri eletti per due anni in rappresentanza delle tre etnie, un musulmano, un serbo e un croato.

 

Nel corso della mattinata, il Pontefice ha anche ricevuto altri cinque vescovi della Conferenza episcopale dell’Indonesia, in visita “ad Limina”.

 

Il Santo Padre ha nominato amministratore apostolico dell’eparchia greco-melkita di Akka, Haifa, Nazareth e tutta la Galilea, il presule libanese mons. Georges Haddad, dal 21 marzo dello scorso anno primo esarca apostolico per i greco-melkiti cattolici residenti in Argentina.

 

In Egitto, il Papa ha dato la sua benedizione all’erezione dell’eparchia di Guizeh, con territorio smembrato dall’eparchia patriarcale di Alessandria dei copti cattolici, effettuata dal Sinodo dei Vescovi della Chiesa copta-cattolica il 29 settembre 2002. Il Pontefice, in pari tempo, ha dato la sua benedizione al trasferimento effettuato dal medesimo Sinodo di mons. Andraos Salama, vescovo ausiliare di Alessandria dei copti, alla nuova sede eparchiale di Guizeh.

 

In Ecuador, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Quito, presentata dal cardinale Antonio José Gonzàlez Zumàrraga, per raggiunti limiti di età. Il Papa ha quindi nominato arcivescovo di Quito il presule mons. Raùl Eduardo Vela Chiriboga, finora ordinario militare dell’Ecuador.

 

 

LASZLO BATTHYANY-STRATTMANN, LAICO E PADRE DI FAMIGLIA,

NOTO IN UNGHERIA COME IL MEDICO DEI POVERI,

DOMENICA PROSSIMA ALL’ONORE DEGLI ALTARI

- Servizio di Giovanni Peduto -

 

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Nacque in Ungheria a Dunakiliti nel 1870, settimo figlio di un’antica e nobile famiglia ungherese. A 12 anni morì la madre dopo una grave malattia e da quel momento decise: “Diventerò un medico e guarirò gratuitamente i malati poveri”. László Batthyány-Strattmann nel 1896 realizzò il suo desiderio e si iscrisse alla Facoltà di medicina di Vienna, dove si laureò nel 1900. Si era sposato due anni prima con la contessa Maria Teresia Coreth, donna di profonda religiosità. Il loro matrimonio fu molto felice, pieno di armonia e Dio lo benedisse con il dono di 13 figli. Nel 1902 fondò a Köpcsény un ospedale con 25 posti letto, dove all’inizio lavorò come medico generico. Più tardi si specializzò in chirurgia e nel 1906 in oculistica. Fondò in seguito un altro ospedale ed un ricovero per bambini.

 

La fama della sua eccezionale professionalità medica e del suo comportamento gentile e comunicativo si diffuse ovunque. Così tanti ammalati andavano a farsi curare da lui che le ferrovie ungheresi istituirono un “treno-ospedale” per loro. Visitava e curava anche il più semplice malato come avrebbe curato un principe. Si era sparsa ovunque la fama che era il medico dei poveri e da ogni posto arrivavano persone appartenenti alle classi più povere, che egli curava gratis. Per le cure ed il soggiorno in ospedale chiedeva solo di dire per lui un Padre Nostro. Inoltre, dava spesso un sostegno economico considerevole agli ammalati bisognosi. Ma oltre che della loro salute fisica, si occupava anche della salute spirituale. Prima di ogni intervento chirurgico faceva pregare gli ammalati assieme a lui e poi li convinceva che la guarigione non era merito suo ma veniva da Dio. Nel congedarli, dava ad ogni ammalato un’immagine sacra ed un libretto il cui titolo era: “Apri gli occhi e guarda”.

 

Mentre la maggior parte degli aristocratici contemporanei di László Batthyány-Strattmann tenevano bei discorsi sulla giustizia sociale, ma facevano molto poco a questo scopo, egli invece cercò di dare un esempio di come si può migliorare concretamente la condizione delle classi più povere. Si sapeva che ogni giorno prelevava una somma considerevole di denaro e la dava ad una suora assistente perché la distribuisse tra i poveri, senza tenere una contabilità delle donazioni. Educava anche i suoi figli all’amore verso i poveri e alla povertà di spirito. Essi hanno raccontato che non sapevano neppure di essere ricchi. Avevano tutto ciò ci cui c’era bisogno, ma non conoscevano il superfluo e lo spreco.

 

Grande fu sempre la gratitudine dei malati e dei poveri verso il loro benefattore: mentre ancora egli era in vita, lo ritenevano un santo. Le sue ricette, le immaginette e i libretti da lui ricevuti passavano di mano in mano, considerati come reliquie. Nel 1923, László Batthyány-Strattmann festeggiò le nozze d’argento e in quell’occasione il Papa gli conferì una onorificenza per il lavoro svolto tra gli ammalati. Il riconoscimento gli fu portato dal nunzio apostolico, arcivescovo Schioppa, che dopo scrisse al Pontefice: “Gli ungheresi considerano László Batthyány-Strattmann come un santo, e io posso assicurare Vostra Santità che lo è veramente”.

 

Il vero spirito cristiano del nostro nuovo Beato ungherese si espresse soprattutto nel momento delle prove. Una delle più difficili per lui fu la morte del figlio primogenito che venne a mancare a 21 anni a causa di un’appendicite. Secondo i ricordi dei familiari, quando chiuse gli occhi del figlio disse: “Adesso andiamo in cappella, a ringraziare il Buon Dio che ce lo ha lasciato con noi fino ad ora”. Allo stesso modo, accettando la volontà di Dio, sopportò con serenità la sua malattia. Nel 1929 si ricoverò nel sanatorio Löw di Vienna e dopo 14 mesi di profonde sofferenze, vissute con eroica pazienza, morì il 22 gennaio 1931. Il cardinale arcivescovo Piffl celebrò la cerimonia funebre. Pur essendo malato, volle essere presente, dicendo: “Raramente ho la possibilità di seppellire un santo”.

 

Abbiamo con noi ora il postulatore della causa di beatificazione, mons. László Németh.

 

D. – Lei è ungherese: cosa rappresenta per la sua patria questa beatificazione?

 

R. – Dopo la caduta del Muro di Berlino, l’Ungheria ha avuto come primo beato, il 9 novembre 1997, un vescovo martire, Vilmos Apor. Il secondo, che verrà beatificato qui a Roma, è invece un laico. Penso che per la nostra Chiesa questo possa essere un simbolo: un vescovo ed un laico. La nostra Chiesa ha bisogno di molto impegno da parte dei laici per il futuro. Quest’anno, la Conferenza episcopale ungherese ha come motto dell’anno la fedeltà nel matrimonio. E questo Beato ne è un simbolo, con sua moglie e la sua bella famiglia, con l’educazione che ha dato ai suoi figli. Questa beatificazione viene a proposito, per il rinnovamento della nostra Chiesa.

 

D. – Verranno molti pellegrini dall’Ungheria?

 

R. – Questa beatificazione è legata anche all’Austria, perché László Batthyány-Strattmann è sepolto in Austria, da dove verranno 700 pellegrini. Altri 5 mila giungeranno dall’Ungheria.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Così apre la prima pagina: "Un anelito di pace attraversa il mondo". Centinaia di migliaia di persone manifestano contro la guerra in ogni parte del pianeta.

Truppe angloamericane entrano in Iraq.

Appello di Annan per i civili: rispettate la legge internazionale.

 

Nelle vaticane, una pagina sulle celebrazioni in onore di San Benedetto, patrono primario d'Europa: l'omelia del cardinale Giovanni Battista Re al Monastero di Montecassino; l'omelia del cardinale Agostino Cacciavillan a Sant'Anselmo sull'Aventino.

Le iniziative in favore della pace promosse dalle diocesi italiane in risposta all'appello del Santo Padre.

Una pagina dedicata alle Lettere pastorali dei vescovi italiani.

Nel cammino della Chiesa in Europa, due articoli sui trecento anni del Seminario di Malta.

 

Nelle pagine estere, Libano: un morto e tredici feriti per una bomba a Sidone.

Terrorismo: allarme ricina in una stazione di Parigi.

Un articolo dal titolo "Acqua, fonte essenziale di vita": Giornata mondiale dell'acqua, 22 marzo 2003.

 

Nella pagina culturale, un contributo di Giovanni Marchi dal titolo "Un inguaribile curioso dell'uomo": a cento anni dalla nascita di Georges Simenon.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano i diversi aspetti della situazione politica attraverso l'evolversi della crisi irachena.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

21 marzo 2003

 

 

 

DALL’APPRENSIONE DEL PAPA PER UNA GUERRA INTESA COME “SCONFITTA”,

ALLE MANIFESTAZIONI DEI PACIFISTI SU SCALA MONDIALE:

PER IL CONFLITTO IN IRAQ, SCATTA L’ORA DELLA SOLIDARIETA’

SPIRITUALE E UMANITARIA

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

“La Santa Sede ha appreso con profondo dolore l’evolversi degli ultimi eventi in Iraq”. Questa affermazione, pronunciata ieri dal portavoce vaticano, Navarro Valls, condensa tutta l’apprensione con la quale Giovanni Paolo II e la Chiesa con lui sta seguendo l’evoluzione del primo conflitto internazionale del terzo millennio. Un conflitto che si presta a molte letture, su tutte le quali ricordiamo quella offerta dal cardinale Roberto Tucci: guerra ovvero “una sconfitta della ragione e del Vangelo”, nel senso che “non è compreso”. Tra i collaboratori del Pontefice che si sono adoperati, per così dire, “in prima linea” contro lo scoppio delle ostilità figura il cardinale Roger Etchegaray, inviato un mese fa da Giovanni Paolo II a Baghdad per un colloquio con Saddam Hussein. Il porporato ha definito quello in corso da un giorno e mezzo “conflitto universale che scuote il mondo intero”. Bernard Decottignies, della nostra redazione francese, lo ha intervistato:

 

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R. – CE PEUPLE IRAQUIEN SENT FORTEMENT SURTOUT EN CES JOURS CI...

      Il popolo iracheno avverte con forza, soprattutto in questi giorni, la solidarietà della comunità: della famiglia umana, più semplicemente...

 

D. - Al di là del conflitto che tocca l’Iraq, lei pensa si tratti di un conflitto più ampio?

 

R. – CE QUI M’A FRAPPE – J’AI BEAUCOUP PENSE A CELA CES TEMPS-CI...

Quello che mi ha parecchio colpito - e in questi giorni ci ho riflettuto molto - è che, finora, a scuola si imparava dell’esistenza di due guerre mondiali. Ma questa che è appena scoppiata credo debba a maggior ragione essere definita ‘mondiale’: perché la sua deflagrazione scuote veramente il mondo intero, e lo stiamo vedendo! E non scuote solamente l’Iraq o il Medio Oriente. Grazie agli enormi sforzi compiuti nelle ultime settimane e negli ultimi mesi per evitare la guerra, possiamo dire che la coscienza dell’umanità si è come svegliata: anzi si è risvegliata, forse, acuita soprattutto da questo compito prioritario che è la pace: la pace tra gli uomini, tra i popoli ...

 

D. - E’ un fatto importante? Possiamo definirlo un “risultato”?

 

R. – MOI JE CROIS QUE, MALGRE TOUT CE QUE L’ON PEUT DIRE, ...

Io credo che, malgrado tutto quanto si possa dire – è vero, si è parlato di delusione e di disillusione - il Papa, in primo luogo, è stato il protagonista o comunque uno dei protagonisti più ostinati e coraggiosi schieratosi in favore della pace. Sappiamo bene di tutti coloro che hanno contribuito a lavorare per la pace, che poi non è arrivata, ma penso che grazie a tutti questi sforzi è accaduta una cosa molto positiva: l’umanità intera ha preso maggiormente coscienza di cosa sia la pace.

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In queste ore, moltissimi organismi ecclesiali di ogni parte del mondo levano appelli di condanna della guerra e per il rapido ripristino della pace. Il Consiglio permanente dei vescovi canadesi definisce “tragica” la situazione innescata dall’offensiva angloamericana in Iraq, invita i cattolici del Paese a stringersi in preghiera con loro e con il Papa, spende parole accorate per la popolazione civile irachena, costretta - affermano - “a subire gli effetti più devastanti” del conflitto. “Che la guerra non abbia l’ultima parola!”, esclama il titolo di un comunicato del Consiglio delle Chiese cristiane di Francia. In questi tempi di crisi - scrivono, riecheggiando il Papa, “noi invitiamo tutti i cristiani a porre più che mai al servizio della pace le armi spirituali della preghiera e del digiuno”.

 

         Del nuovo scenario aperto dall’Operazione Libertà per l’Iraq ha parlato ieri anche il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan. La sua dichiarazione ha rivelato l’amarezza per una guerra intrapresa “nonostante il massimo dello sforzo prodotto dalla comunità internazionale e dalle Nazioni Unite” e il realismo di chi preferisce, ora, guardare alle realtà del presente, “per difficili che possano essere”, e alle vie che possano condurre a “una più forte unità nel futuro”. Spostando lo sguardo sull’emergenza aperta dalla guerra tra i civili iracheni, Kofi Annan ha detto di sperare che tutte le parti “osserveranno scrupolosamente i requisiti della legge umanitaria internazionale”, assicurando in questo senso “l’assistenza e il supporto delle Nazioni Unite”. Vediamo allora com’è la situazione in Iraq, partendo dai più deboli, i bambini, già provati da un decennio di embargo. Il parere del direttore generale dell’Unicef Italia, Roberto Salvan, al microfono di Benedetta Capelli:

 

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R. - Quello che abbiamo constatato è che dal ’91 al 2002-03 la mortalità infantile è aumentata. Ora, con l’intervento armato, con i bombardamenti e con la guerra, che ci auguriamo duri il più breve tempo possibile, la situazione si aggrava. Diventa difficile poter dare una stima di quanti bambini si possano salvare. Noi possiamo dire che ora la situazione diventa assolutamente molto più complicata.

 

D. - Emotivamente, quali effetti può provocare la guerra sui bambini?

 

R. - I bambini sono certamente il settore della popolazione che più subirà questo evento. Lo abbiamo riscontrato dappertutto: in Sudan, in Kosovo, in Rwanda, a Timor Est. Sui bambini, successivamente, bisognerà fare un intervento mirato attraverso gli insegnanti, attraverso delle equipe specializzate, aiutando le famiglie a far recuperare ai loro figli una vita normale. Perché i bambini, va sempre sottolineato, non sono certamente colpevoli di quello che sta accadendo.

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         Le notizie che filtrano dalle zone interne dell’Iraq mostrano un quadro preoccupante dal punto di vista dei profughi. Mosul, Kirkuk, Erbil sono le località nordirachene che disegnano in modo drammatico l’attuale geografia degli sfollati. Almeno centomila persone starebbero dirigendosi vero i rifugi di montagna e verso la frontiera turca, secondo informazioni rilasciate da Orhan Ketene, rappresentante del Fronte turcomanno iracheno. Questi spostamenti, i primi di un esodo peraltro previsto, sollecitano la macchina umanitaria che già vede Stati e agenzie internazionali pronte ad intervenire. il Dipartimento dell'Agricoltura americano ha fatto sapere di voler inviare in Iraq 600 mila tonnellate di grano: la “prima tranche di uno sforzo molto più ampio - ha spiegato il sottosegretario all'agricoltura J.B. Penn - che si svilupperà nelle prossime settimane”. Anche l’esecutivo dell’Ue ritiene necessario “svincolare” - sono parole del commissario europeo per  gli aiuti umanitari, Poul Nielson - circa 100 milioni di euro da destinare all’Iraq, traendoli dai fondi di riserva di emergenza comunitari. In zona operazioni militari, va segnalato che all’apertura di un primo corridoio umanitario stanno dedicandosi i soldati britannici della Royal Marine. Le truppe, in marcia verso Bassora, hanno posto sotto sicurezza i pozzi petroliferi della penisola di Faw, sminando il terreno circostante per far transitare gli aiuti.

 

         Dalla solidarietà degli operatori umanitari a quella dei pacifisti. Il primo giorno di guerra è coinciso con la prima mobilitazione di massa su scala mondiale. Metropoli e città americane, europee, asiatiche, africane, australiane sono state occupate da centinaia di migliaia di persone, di ogni categoria sociale, che hanno espresso il proprio dissenso al conflitto in corso. Un dissenso paradossalmente non sempre “pacifico”, giacché molte decine di dimostranti - a Washington come al Cairo, a Madrid come a Giakarta - hanno esasperato i toni della protesta, provocando interventi della polizia e arresti. Nello Yemen, il bilancio più grave: a Sanaa, sono rimasti uccisi tre manifestanti e un poliziotto negli scontri scoppiati tra manifestanti e forze dell’ordine. Ma per una panoramica generale delle manifestazioni, ascoltiamo il servizio di salvatore Sabatino:

 

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Il mondo si colora di arcobaleno. La pace prende possesso delle principali piazze mondiali. A cominciare da ieri, giornata in cui, allo scoccare dell’attacco in Iraq, si è alzata l’onda del no alla guerra, che ha investito i cinque continenti. I primi manifestanti sono scesi in piazza in Australia, seguiti a ruota, man mano, dagli europei e dagli stessi statunitensi. Oltre 500 persone sono state arrestate a San Francisco, dove le manifestazioni hanno preso una piega violenta quando gli attivisti hanno bloccato il traffico e la polizia in tenuta anti-sommossa è intervenuta per disperderli.

 

I raduni più massicci si sono svolti, però, in Europa. “Serpentoni” colorati hanno invaso le principali strade di Parigi, Berlino, Madrid, Londra, noncuranti delle differenti posizioni assunte dai vari governi nella crisi. Un movimento trasversale, potremmo dire, che unisce popoli diversi, accomunati da un unico messaggio: “no alla guerra”. In Italia, la manifestazione più imponente si è svolta ieri sera a Roma, dove una moltitudine silenziosa ha invaso per una suggestiva fiaccolata via dei Fori Imperiali. Anche il Colosseo si è vestito di arcobaleno con una serie di diapositive proiettate sulla facciata principale. Manifestazioni spontanee si sono svolte anche nelle altre città italiane, prima fra tutte Milano, con non pochi problemi per la mobilità: bloccati per ore i binari nelle stazioni di Napoli, Bologna, Firenze e Padova. E oggi si replica, con una mobilitazione che i pacifisti promettono di estendere ad oltranza.

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NELLA SECONDA GIORNATA DI GUERRA NEL GOLFO, GLI ANGLOAMERICANI

SFERRANO L’ATTACCO DI TERRA. NELLA NOTTE, COLPITI A BAGHDAD

I PALAZZI MINISTERIALI DI SADDAM HUSSEIN

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

Si è aperta con una drammatica escalation militare la seconda giornata di guerra in Iraq: le truppe anglo-americane, supportate da forze speciali australiane, hanno, infatti, lanciato nella notte un’imponente offensiva di terra, muovendo dalla frontiera kuwaitiana. L’agenzia Reuters riferisce che stamani soldati americani hanno issato la bandiera a stelle e strisce sul nuovo porto di Umm Qasr, centro dell'Iraq del sud a soli cinquanta chilometri dalla strategica città di Bassora. Almeno 250 iracheni si sarebbero arresi, secondo fonti militari britanniche. Poco prima, i royal marines avevano preso il controllo delle stazioni per il pompaggio di petrolio nella penisola di Faw, sempre nel meridione del Paese. La caduta di Umm Qasr viene, tuttavia, smentita dal governo di Baghdad. Testimoni hanno, invece, riferito che una colonna di carri americani è penetrata per 150 chilometri all’interno del territorio iracheno senza incontrare resistenza. Dal canto suo, un portavoce dell'Esercito britannico nel Golfo ha dichiarato che le forze della coalizione potrebbero entrare a Baghdad “nell'arco di tre o quattro giorni”. Ma il primo ministro britannico, Tony Blair, ha dichiarato oggi che la guerra non sarà breve e proprio nel corso delle operazioni di queste ore, le forze anglo-americane hanno subito le prime perdite: 12 soldati – otto britannici e quattro americani – sono morti nello schianto di un elicottero nel Kuwait, mentre un marine è stato ucciso in combattimento in Iraq. L’attacco di terra è stato sferrato nelle stesse ore in cui Baghdad veniva sottoposta ad un bombardamento missilistico che, secondo l’agenzia ufficiale irachena Ina, ha provocato il ferimento di 37 civili. Il raid di stanotte è stato mirato a colpire il cuore del regime, come ci riferisce Paolo Mastrolilli:

 

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Per ora, il Pentagono ha rimandato il grande attacco denominato “shock e terrore” perché spera che Saddam sia stato colpito nella prima ondata di bombardamenti su Baghdad e la leadership rimasta sia disponibile ad arrendersi, evitando la distruzione del Paese. Ieri sera il cielo di Baghdad è tornato ad illuminarsi con circa 60 missili lanciati su obiettivi come la casa di Saddam e gli uffici di Tarek Aziz. Gli iracheni hanno cercato di reagire lanciando vettori verso le truppe americane al confine con il Kuwait, ma i patriots hanno intercettato uno dei missili e gli altri sono caduti nel deserto senza fare vittime. Il presidente Bush ha riunito il governo alla Casa Bianca e si è detto sicuro di raggiungere i suoi obiettivi. Gli esperti di intelligence stanno ancora analizzando il video con cui Saddam si è rivolto all’Iraq dopo il primo attacco: il filmato potrebbe essere stato registrato nei giorni scorsi e quindi resta il dubbio sulla sorte del leader iracheno.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Come prevedibile, Baghdad si è affrettata a smentire la notizia circolata a Washington. In una conferenza stampa, il ministro dell'informazione iracheno ha dichiarato, stamani, che Saddam Hussein e i suoi figli sono vivi, confermando però che i bombardamenti anglo-americani hanno colpito la residenza del rais. Quest’ultimo, inoltre, ha stabilito una ricompensa in denaro per ogni aereo nemico abbattuto e per ogni soldato anglo-americano catturato o ucciso. Una decisione, che ha anticipato di qualche ora la notizia - diramata da fonti militari irachene, ma categoricamente smentita dal Pentagono - secondo cui un jet americano sarebbe stato abbattuto all’alba. Intanto, in contrasto con le dichiarazioni delle ultime settimane, gli iracheni hanno incendiato alcuni pozzi petroliferi nel sud del Paese, non appena è iniziata l’offensiva di terra. Se, dunque, le forze alleate puntano già verso la capitale, ascoltiamo come - proprio a Baghdad - si stanno vivendo queste ore drammatiche, attraverso la testimonianza del nunzio apostolico in Iraq, mons. Fernando Filoni:

 

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R. - Noi, come nunziatura, verso le 21.00 eravamo già in cappella per le preghiere serali e abbiamo percepito attraverso le sirene che era cominciato un altro attacco contro la capitale. Abbiamo sentito delle esplosioni, non troppo vicine, e naturalmente la contraerea che cercava di intercettare ciò che stava avvenendo nei cieli. Dopo di che non abbiamo avuto altri problemi eccetto il fatto di sentire e risentire le sirene fino alle 23.00. Ma dopo quel momento non abbiamo avuto sentore di altre esplosioni. Quindi, la notte è passata abbastanza tranquilla. Non ci sono stati altri problemi.

 

D. – Eccellenza, come si presenta stamani Baghdad?

 

R. – Oggi è venerdì, quindi di per sé sarebbe stato giorno festivo. Ovviamente i negozi sono chiusi, la gente è scarsa nelle strade. C’è un po’ più traffico di ieri per le strade, ma tutto sommato rimane ancora molto scarso.

 

D. – Le truppe angloamericane sono entrate in Iraq nella notte. C’è percezione di questa nuova fase del conflitto lì a Baghdad, oppure la popolazione è soltanto preoccupata dei bombardamenti, che potrebbero ripetersi anche nelle prossime ore?

 

R. – Non credo che la popolazione locale abbia diretto accesso alle informazioni dei fronti. Noi sappiamo come nunziatura – chi ha ovviamente radio o televisioni collegate internazionalmente – di queste notizie attraverso questi circuiti. Quindi, non abbiamo notizie dirette. Stamani ho sentito l’arcivescovo di Bassora e anche loro avevano avuto una notte tutto sommato tranquilla. Non hanno parlato di altro fino a questa mattina che di una notte tranquilla.

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Sul fronte nord della Seconda Guerra del Golfo, ieri, il parlamento di Ankara ha approvato il decreto governativo che concede agli Stati Uniti lo spazio aereo, ma - allo stesso tempo - consente anche alle truppe turche di entrare nel nord dell'Iraq con l'intenzione di prevenire la formazione di uno Stato curdo indipendente alle porte del proprio territorio. Una presenza, quella turca nel Kurdistan iracheno, che potrebbe creare non poche difficoltà alla coalizione anti-Saddam. Proprio nell’area, intanto, secondo un’emittente televisiva iraniana sarebbero in azione truppe americane in marcia verso le grandi città di Mosul e Kirkuk. Ma con quale spirito guardano a questo conflitto i rifugiati politici iracheni, sfuggiti alle persecuzioni della dittatura di Saddam Hussein? Francesca Sabatinelli lo ha chiesto ad Adib Fateh Ali, responsabile del coordinamento degli esuli iracheni in Italia:

 

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R. - Riteniamo che questo regime vada disarmato, che ha armi chimiche e le ha usate contro di noi. Riteniamo che questo regime debba essere destituito. Ma riteniamo nello stesso momento, con uguale forza, che la guerra non può essere l’unica risposta, perché la guerra porta distruzione, compromette il futuro del nostro Paese. Sento dire che il regime farà saltare dei pozzi petroliferi, farà saltare le dighe, che userà le armi chimiche contro la propria popolazione per addossare la colpa agli americani. Sono tutte possibilità concrete, vere. Si sta facendo scudo con l’ostaggio del popolo iracheno, per difendersi dall’attacco degli americani. Piuttosto che motivarci ancora di più verso l’azione militare, dovremmo salvaguardare per prima cosa la vita degli ostaggi, rimanendo però fermi nella posizione per cui questo regime debba essere estromesso.

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La guerra in Iraq registra anche oggi forti prese di posizione a livello politico. Il presidente russo Vladimir Putin ha affermato che la crisi irachena “è uscita dal quadro di un conflitto locale” e rappresenta ora una fonte potenziale di instabilità internazionale. La crisi del Golfo, d’altro canto, sta decisamente dominando l’agenda del vertice di primavera dei leader dell’Unione europea, apertosi ieri. A Bruxelles, il clima è particolarmente teso e si tenta di ricucire la spaccatura tra Paesi favorevoli e contrari all’attacco all’Iraq. Stamani, il presidente francese Chirac ha inviato un messaggio di condoglianze al premier inglese Blair per la morte dei militari britannici nello schianto dell’elicottero in Kuwait. Lo stesso Blair ha quindi affermato, che - sulle divisioni interne al Vecchio Continente - sarà opportuno confrontarsi dopo la guerra. Le dichiarazioni di stamani seguono la difficoltosa approvazione – ieri sera – di un documento comune sulla crisi irachena, su cui ci riferisce Laura Forzinetti:

 

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In un succedersi di dichiarazioni del presidente della Commissione, Romano Prodi, del Parlamento, Pat Cox, della presidenza, di alcuni commissari, si è continuato ad auspicare di arrivare ad una posizione comune dei Quindici perché l’Unione Europea possa, parlando con una voce sola, avere un peso determinante sulla scena internazionale. L’auspicata dichiarazione comune, alla fine, c’è stata, anche se il prezzo pagato è stato alto. Ci si è accordati solo su quanto sarà dopo che la guerra sarà finita. Sul fronte aiuti umanitari, l’Unione Europea si auspica che il coordinamento sia assicurato dalle Nazioni Unite e che si possa continuare a far fronte alle esigenze umanitarie della popolazione irachena con il programma “petrolio in cambio di cibo”.

 

Da Bruxelles, per la Radio Vaticana, Laura Forzinetti.

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RICORRE OGGI LA GIORNATA INTERNAZIONALE DELL’ONU

PER L’ELIMINAZIONE DELLA DISCRIMINAZIONE RAZZIALE.

CON NOI GIOVANNI CONSO, PRESIDENTE EMERITO DELLA CORTE COSTITUZIONALE

 E VICEPRESIDENTE DELLA SIOI

- Servizio di Paolo Ondarza -

 

“Le Nazioni Unite rimangono al centro degli sforzi per migliorare le condizioni delle vittime del razzismo”. Così il segretario generale dell’Onu Kofi Annan nel messaggio in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, stabilita dall’Assemblea generale dell’Onu nel 1966. Il 21 marzo di quell’anno a Sharpeville nel Sud Africa, la polizia  uccise 69 persone che manifestavano contro l’apartheid. Si legge nel documento citato: “In questa giornata onoriamo tutte le vittime del passato e quelle di oggi, intensificando i nostri sforzi per costruire un futuro nel quale l’uguaglianza sia una realtà per tutti”. Ma quanto lavoro c’è ancora da fare per sradicare atteggiamenti xenofobi tuttora presenti in varie zone del mondo? Paolo Ondarza lo ha chiesto a Giovanni Conso, presidente emerito della Corte Costituzionale e vicepresidente della SIOI, Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale.

 

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(musica)

 

R. – Noi abbiamo tante Carte internazionali, che tutelano i valori dell’uguaglianza e della parità di diritti, ma il razzismo ha continui rigurgiti e manifestazioni talvolta molto sfacciate. Occorre lottare ancora, e con molta energia.

 

D. – Cosa alimenta atteggiamenti discriminatori?

 

R. – I fattori che li alimentano sono molteplici: le tensioni internazionali e nazionali, i contrasti politici, i contrasti economici ... Molto spesso si guarda all’altro come ad un rivale da combattere a tutti i costi, muro contro muro. Quando poi l’altro è di una razza diversa, questo determina un ulteriore motivo di violenza per chi cerca lo scontro, per chi non è tollerante, per chi non rispetta l’altro ...

 

D. – Quindi, potremmo dire che la diversità ancora oggi spaventa?

 

R. – Direi che spaventa il modo con cui la si affronta: anziché guardare alla diversità come ad un bene, fonte di arricchimento, di scambio di culture, di tradizioni, lo si usa come uno strumento di scontro, di avvilimento dell’altro in una deprecabile corsa al ribasso dei valori.

 

D. – Chi sono le vittime del razzismo, oggi?

 

R. – Ci sono razze che si cerca sistematicamente di distruggere. Pensiamo alla sorte dei curdi, la cui persecuzione negli ultimi tempi ha ripreso campo con durezza e spietatezza. Tante vittime del razzismo si possono trovare anche in Africa ... E non possiamo ignorare ciò che accade da noi: è un avvilimento quotidiano. Pensiamo ad un giocatore di calcio di colore,  famoso, ben pagato e con un alto tenore di vita: nonostante tutto ciò si ritrova ad essere insultato sul campo solo perché appartiene ad un’altra razza. L’appello del Papa: ‘No alla guerra, perché noi anziani sappiamo cosa voglia dire”, credo che possa valere anche per quanto riguarda il razzismo ... abbiamo visto approvare atteggiamenti discriminatori in nome della razza ariana. Non dimentichiamo questa assurda bandiera che Hitler e il nazismo hanno issato. La bandiera della razza pura, sarebbe ormai un vessillo da   ammainare, e invece ancora oggi ci sono eredi di quella mentalità distorta che distingueva una ‘razza nobile’ dalle altre.

 

D. – Su quali fronti è necessario operare?

 

R. – In realtà si opera abbondantemente, ma il  grande lavoro resta spesso un pezzo di carta, un documento. Manca una vera cultura dell’uguaglianza. E’ su questo campo che vanno concentrati gli sforzi.

 

D. – Professor Conso, quale l’importanza di queste Giornate?

 

R. – Questa Giornata vuol essere una giornata dedicata ad approfondire le tematiche di cui abbiamo parlato, a rilanciarle nei dibattiti, a cercare di discuterne per progredire, per illuminare chi è cieco. Il dato negativo è che quando parliamo e discutiamo su questi temi,  normalmente lo facciamo tra chi la pensa come noi. I razzisti, invece, proprio loro purtroppo, non stanno a sentire e si mantengono alla larga da tutte quelle meditazioni che vogliono richiamare l’importanza di questi valori. Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire: quindi parliamone sempre di più, sperando che prima o poi i sordi sentano come valore fondamentale la lotta contro il razzismo.

 

(musica)

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CHIESA E SOCIETA’

21 marzo 2003

 

 

 

DAL CENTRO EDUCATIVO IGNAZIANO

 

- A cura di Paolo Scappucci -

 

PALERMO. = Giustizia, sviluppo, solidarietà, rispetto dei diritti umani: sono quattro fondamentali valori guida, senza i quali non si può dare una pace all’altezza dei nostri tempi e del nostro mondo. Lo ha ricordato il presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, arcivescovo Renato Martino, parlando stamani a Palermo in un incontro per giovani e famiglie organizzato dal Centro Educativo Ignaziano e dall’Istituto di Formazione Politica Pedro Arrupe dei Gesuiti del capoluogo siciliano. Dopo aver criticato il modo classico di intendere la pace (pax romana) come risultato di conquista violenza e di stretto controllo dei conquistati ed anche il concetto di “Pace americana”, cioè ottenuta con la forza dell’economia, mons. Martino ha riproposto la nozione di pace come illustrato dal Catechismo della Chiesa cattolica, non semplice assenza di guerra o equilibrio di forze contrastanti. La pace non si può ottenere senza la tutela dei beni delle persone, la libera comunicazione tra gli esseri umani, il rispetto della dignità delle persone e dei popoli, l’assidua pratica della fratellanza, tranquillità dell’ordine e frutto della giustizia. Oggi – ha aggiunto – la guerra, sia convenzionale sia nucleare, appare improponibile; difesa e sicurezza vanno ripensate in termini nuovi. La legittima difesa ha limiti etici e si devono rifiutare assolutamente quei mezzi difensivi che comportano distruzioni totali e indiscriminate. Infine, il presidente di Giustizia e Pace ha concluso il suo intervento, proponendo ai giovani la figura di un grande testimone di pace del nostro tempo: il siciliano Giorgio La Pira, uomo di dialogo, di riconciliazione, di coraggio e di preghiera,affinché emulandone l’esempio divengano anche loro lievito di speranza e di pace nella società odierna.

 

 

AL FORUM MONDIALE SULL’ACQUA CHE SI STA SVOLGENDO A KIOTO OGGI È SI È PARLATO DI GESTIONE DELLE RISORSE IDRICHE. L’ONU HA DENUNCIATO I RITARDI DEI GOVERNI NELL’APPLICARE MISURE EFFICACI PER IL RISPARMIO

 

A cura di Chiaretta Zucconi

 

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KYOTO.= Al terzo Forum mondiale sull’acqua, iniziato domenica scorsa a Kyoto, anche oggi si è parlato di corretta gestione delle risorse idriche, ma anche di fat-

 

 

tibilità dell’obiettivo posto dalle Nazioni Unite: dimezzare entro il 2015 il numero

delle persone che soffrono per la scarsità di acqua. In un rapporto di 600 pagine l’Onu punta  il dito contro governi troppo lenti nell’applicare le misure che dovrebbero alleviare la sete dell’umanità. I dati sono allarmanti: circa 2 miliardi le persone al mondo che non hanno a disposizione sufficiente acqua pulita e 200 milioni i casi di malattie legate al consumo di acqua contaminata. L’Africa è il continente più a rischio, ma anche in Asia,dove i fiumi sono i più inquinati al mondo, non si scherza e in Europa soltanto 5 dei 55 fiumi più importanti sono puliti. I Paesi più progrediti, infine, Stati Uniti e Giappone, utilizzano più acqua di quanta ne abbiano bisogno squilibrando le scorte mondiali. A due giorni ormai dalla chiusura della Conferenza, una la parola d’ordine: quello dell’acqua è un problema globale e non soltanto del terzo mondo e, soprattutto, servono fatti e non parole. Al tavolo della Conferenza di Kyoto, dove è riecheggiato il rombo della guerra in Iraq, l’Italia ha portato proposte interessanti, tra queste riciclare l’acqua utilizzata per i processi industriali, opportunamente depurata, ad uso agricolo. Per questo servono impianti e finanziamenti pubblici e privati, ma importante è anche la formazione di professionisti del settore, i cosiddetti manager dell’acqua.

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IL CONSIGLIO MONDIALE DELLE CHIESE HA DIFFUSO IERI UN COMUNICATO AI MARGINI DEI LAVORI DELLA COMMISSONE DEI DIRITTI UMANI A GINEVRA. L’ORGANISMO HA INVITATO LE RELIGIONI A LAVORARE IN FAVORE DELLA PACE TRA I PAESI DEL MONDO

 

GINEVRA. = Rafforzare il dialogo tra le religioni per superare l’intolleranza e gli scontri tra le nazioni: è questo il messaggio del Consiglio mondiale delle Chiese, organismo composto dalle comunità protestanti e ortodosse, al quale la Chiesa cattolica partecipa in qualità di osservatore, riunitosi ieri ai margini dei lavori della Commissione dei diritti umani dell’Onu a Ginevra. Il Consiglio rileva la crescente intolleranza religiosa in Paesi come India, Indonesia e Pakistan dove le divisioni tra le comunità religiose ed etniche purtroppo hanno causato vari morti. Il Consiglio, che partecipa in questi giorni alla riunione della Commissione dei diritti umani dell’Onu, esorta i governi dei Paesi citati ad impegnarsi in favore della pace e del dialogo. Il comunicato si sofferma in particolare sulla situazione della parte occidentale dell’isola della Nuova Guinea. Il Consiglio lamenta la situazione della popolazione dell’isola ed esorta il governo indonesiano ad adottare politiche per favorire lo sviluppo ed il benessere. Perciò il Consiglio Mondiale delle Chiese chiede alla Commissione dei diritti umani di adoperarsi presso Giacarta affinché i proventi dell’utilizzo delle risorse naturali presenti nell’isola siano distribuiti tra gli abitanti in maniera giusta. Il Consiglio infine ha espresso la propria solidarietà e vicinanza nei confronti dei cristiani che vivono in Terra Santa e della popolazione palestinese che soffrono a causa della guerra. (M.A.)

 

 

 

 

LE AUTORITÀ SANITARIE DELLA REPUBBLICA DEL CONGO HANNO COMUNICATO CHE SONO SALITE A 111 LE VITTIME DELL’EPIDEMIA DEL VIRUS EBOLA. LA ZONA PIÙ COLPITA È LA PARTE NORDOCCIDENTALE DEL PAESE, TRA LE CITTÀ DI KELLE E MBOMBO.

LA ZONA È IN QUARANTENA

 

BRAZZAVILLE. = Continua l’epidemia del virus Ebola  nella Repubblica del Congo. Almeno 111 persone tra i 123 casi registrati nel nordovest del Paese sono morte da gennaio a oggi a causa del virus. L’epidemia è scoppiata nelle foreste della regione della Cuvette al confine con il Gabon. Secondo fonti d’agenzia, che riprendono dati diffusi delle autorità sanitarie di Brazzaville, le città più colpite sarebbero Kelle e Mbombo, a circa 750 km dalla capitale. Il morbo si sarebbe diffuso tra gli uomini dopo che la popolazione locale ha consumato carne di gorilla morti proprio a causa della terribile febbre emorragica. Il male attualmente è incurabile e l’unica forma di prevenzione è l’isolamento dei malati. Secondo esperti del progetto dell’Unione Europea per la salvaguardia dell’ecosistema dell’Africa centrale (Ecofac), sono stati ritrovati nella riserva naturale di Lossi centinaia di corpi senza vita di gorilla e scimpanzé che hanno contratto il virus. La riserva è situata proprio in un’area tra le due città citate precedentemente, che è stata posta in quarantena dal governo. (M.A.)

 

 

LE CARITAS DEI PAESI DEL CONTINENTE AMERICANO RIUNITE IN QUESTI GIORNI A CITTÀ DEL MESSICO. IN STUDIO PROGETTI DI COLLABORAZIONE TRA NORD E SUD DEL CONTINENTE IN FAVORE DEI PIÙ BISOGNOSI

 

CITTA’ DEL MESSICO. = I rappresentati delle Caritas nazionali del continente americano sono riuniti in questi giorni a Città del Messico in occasione del congresso “Globalizzando la solidarietà”. L’appuntamento (che si è aperto mercoledì scorso e si concluderà domenica prossima) mira a favorire il dialogo e la collaborazione tra le varie organizzazioni di pastorale sociale presenti in America. Il presidente della Caritas in America Latina e nei Caraibi e vescovo ausiliare di San Salvador, mons. Gregorio Rosa Chavez, ha spiegato che l’incontro rafforzerà i legami di fraternità e cooperazione tra le varie Chiese. “Nonostante il clima di guerra – ha affermato – la Chiesa alimenta la speranza che il dialogo sia lo strumento della pace”. Per questo il congresso vuole promuovere progetti comuni nell’area sociale che avvicinino la parte settentrionale del continente con quella meridionale. “L’incontro – ha dichiarato il segretario esecutivo della Caritas in America Latina e nei Carabi, padre Marino Bohn - consolida un lavoro di otto anni di avvicinamento e dialogo con l’America del nord”. I temi su cui i 168 partecipanti lavorano riguardano l’integrazione, la sovranità nazionale, i trattati per il libero commercio, la partecipazione politica e la cultura della solidarietà. (M.A.)

 

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

21 marzo 2003

 

 

- A cura di Barbara Castelli -

 

 

Oltre all’emergenza bellica in Iraq, a cui abbiamo dedicato un’ampia pagina nel corso di questo Radiogiornale, diamo spazio ad altre notizie dal mondo.

 

La guerra in Iraq innervosisce la Corea del Nord. Pyongyang ha accusato oggi gli Stati Uniti di preparare, contemporaneamente alle operazioni militari nel Golfo, un attacco preventivo contro i suoi impianti nucleari. Secondo quanto ha riferito l’agenzia ufficiale nord-coreana Kcna, le manovre militari iniziate in Corea del Sud da migliaia di soldati americani e sud coreani, appoggiati da navi da guerra e aerei, portano la penisola sull’orlo della guerra.

 

Resta alta la tensione in Medio Oriente. L’esercito israeliano ha arrestato nella notte 13 palestinesi a Qalkilia, nel nord della Cisgiordania. Tra gli uomini finiti in manette c’è anche Rahed Houtri, ritenuto il responsabile militare di Hamas nella città. L’uomo è accusato di aver organizzato numerosi attentati kamikaze anti-israeliani. Un alto responsabile del movimento radicale islamico Hamas ha, intanto, invitato gli iracheni a preparare “centinaia, migliaia di attentati suicidi contro gli invasori americani”.

 

Si smorza in parte in Francia l’allarme ricina: le tracce di questo potente veleno rinvenute ieri in 2 misteriosi flaconi nel deposito bagagli parigino della Gare de Lyon “non erano in dose letale”. Lo ha dichiarato stamani il ministro francese degli Interni, Nicolas Sarkozy, specificando che flaconi contenevano “acetone ed etanolo, prodotti che possono servire alla fabbricazione di ricina”.

 

Negli Stati Uniti è scattata una nuova caccia all’uomo, un presunto militante di Al Qaeda. L’Fbi è, infatti, da ieri pomeriggio sulla trecce del saudita Adnan El Shukrijumah, che avrebbe ricevuto lezioni di volo simili a quelle ricevute dagli attentatori dell’11 settembre 2001. Il presunto uomo di Osama Bin Laden si troverebbe in America per lanciare un “grande attacco terroristico”.

 

“Il Consiglio europeo condanna nel modo più fermo l’assassinio del primo ministro serbo Zoran Djindjic” e appoggia pienamente “la nuova leadership” nell’attuazione delle riforme necessarie” per l’avvicinamento “alle strutture europee e in particolare all’Ue”. Si legge così nella dichiarazione finale del vertice Ue di Bruxelles approvata oggi dai leaders dei Quindici. Il documento contempla, inoltre, la lenta crescita economica dei Paesi dell’Unione, la delicata situazione in Medio Oriente e la questione cipriota.

 

Trasferiamoci nella Repubblica Democratica del Congo. E’ stata spostata di una settimana la sessione finale del dialogo intracongolese in cui verranno ratificati ufficialmente gli accordi presi per gestire la fase di transizione del Governo. L’incontro, posticipato per problemi “logistici”, si svolgerà a Sun City, in Sudafrica, il prossimo primo e 2 aprile.

 

Cresce la paura per la diffusione della polmonite atipica anche in Italia. Nuovi casi sospetti si sono registrati, infatti, a Roma e a Milano: si tratta di 2 uomini reduci da un viaggio nelle zone a rischio. Gli specialisti hanno avviato gli esami di accertamento indicati nei protocolli del ministero della Salute, specificando che i risultati saranno disponibili nei prossimi giorni.

 

 

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