RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 77 - Testo della
Trasmissione martedì 18 marzo 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Un inviato di Kofi Annan in
Corea del Nord, per verificare la distribuzione degli aiuti alimentari
L’arcivescovo di Singapore ha
ricordato il ruolo delle scuole cattoliche in uno Stato laico
I Paesi latinoamericani si
mobilitano per risolvere la crisi colombiana
Medio Oriente: il
Consiglio legislativo palestinese ha approvato i pieni poteri per il futuro
premier Abu Mazen
Nuove violenze nelle
Filippine: 18 vittime nel sud e un ordigno esploso davanti alla cattedrale di
Cotabato
Saliti a 123 ad Hong
Kong i contagi per la misteriosa infezione polmonare che ha colpito il
Continente asiatico.
18 marzo 2003
DOPO
IL FORTE APPELLO PER LA PACE DEL PAPA ALL’ANGELUS DOMENICALE,
LA
SANTA SEDE TORNA A LEVARE FORTE LA SUA VOCE
DI
FRONTE ALLA GRAVE SITUAZIONE INTERNAZIONALE
- A
cura di Alessandro Gisotti -
Il “mai più la guerra” di Giovanni Paolo II, pronunciato
all’Angelus di domenica, risuona forte anche oggi, pur nel momento in cui
sembrano drammaticamente restringersi le possibilità di sventare un conflitto
nel Golfo Persico. Stamani, il direttore della Sala Stampa Vaticana, Joaquín
Navarro-Valls, ha sottolineato la grande responsabilità che si assumono quanti
ritengono di abbandonare la via del diritto internazionale per dirimere le
controversie tra i popoli:
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Chi
decide che sono esauriti tutti i mezzi pacifici che il Diritto Internazionale mette
a disposizione, si assume una grave responsabilità di fronte a Dio, alla sua coscienza
e alla storia.
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La forte presa di posizione
della Santa Sede giunge a poche ore dal discorso con il quale il capo della
Casa Bianca ha intimato al rais di Baghdad di abbandonare il Paese:
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SADDAM
HUSSEIN AND HIS SONS MUST LEAVE IRAQ WITHIN 48 HOURS. THEIR REFUSAL TO DO SO
WILL RESULT IN MILITARY CONFLICT ...
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“Saddam
Hussein e i suoi figli – ha detto il presidente Bush – devono lasciare l’Iraq
entro 48 ore, se rifiuteranno sarà guerra”: l’ultimatum del presidente
americano è stato pronunciato a Washington, quando a Baghdad era notte fonda. Un
ultimatum respinto categoricamente dal presidente iracheno, che oggi parlando
alla televisione statale ha promesso la vittoria sugli Stati Uniti aggiungendo
che Baghdad è pronta a fronteggiare un’invasione. Sembra dunque che la finestra
della diplomazia sia prossima a chiudersi, tant’è che gli ispettori dell’Onu
sul disarmo hanno stamani lasciato il territorio iracheno per volare a Cipro.
Dal canto suo, il presidente francese Chirac ha ribadito che una guerra unilaterale
sarebbe “ingiustificata” e che l’Iraq non rappresenta oggi “una minaccia immediata”.
Parole riecheggiate dal cancelliere tedesco Schröder, mentre - sul fronte
opposto - Giappone e Australia assicurano il proprio appoggio ad un’azione
militare guidata dagli Americani. Il Consiglio dei ministri di Ankara, inoltre,
discuterà questo pomeriggio, e probabilmente approverà, il nuovo decreto sul
contributo turco alla guerra in Iraq, mentre il Parlamento lo discuterà domani.
Ma torniamo al discorso di Bush e alle immediate reazioni irachene, nella
cronaca di Paolo Mastrolilli:
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Il capo della Casa Bianca ha accusato il Palazzo di Vetro
di essere mancato alle sue responsabilità, ma ha dichiarato che l’America si
assumerà le proprie senza aspettare di essere attaccata. Quindi, si è rivolto
alla popolazione irachena, dicendo che l’obiettivo è liberarla e non colpirla e
ha intimato ai militari di non obbedire agli ordini del regime, perché qualunque
crimine di guerra verrà punito. Mentre pronunciava il suo discorso il governo
americano ha alzato il livello di allerta nazionale al colore arancione, perché
prevede che i terroristi cercheranno di colpire il Paese come ritorsione. Il
Pentagono teme anche che Baghdad provi a bombardare i soldati schierati in
Kuwait con armi chimiche per anticipare l’intervento. Il governo iracheno ha
rifiutato l’ultimatum ancora prima che Bush lo pronunciasse e Saddam ha detto
che gli invasori troveranno combattenti dietro ogni albero e ogni roccia,
pronti a difendere il Paese a costo della propria vita.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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L’ipotesi
di una guerra senza l’approvazione di una nuova risoluzione dell’Onu – ritirata
da Washington, Londra e Madrid – sta, intanto, creando notevoli difficoltà al
governo di Tony Blair. Ieri sera, ha rassegnato le dimissioni Robin Cook,
ministro per i rapporti con il Parlamento, stamani altri due sottosegretari.
Una decisione, quella di Cook – già ministro degli Esteri – che è stata
accolta, alla Camera dei Comuni, con un’ovazione da parte dei deputati
laburisti. Sulla questione della legittimità di un attacco all’Iraq si è
espresso anche il segretario generale delle Nazioni Unite. Kofi Annan, che pur
ha criticato il governo iracheno per non aver cooperato “pienamente fin
dall'inizio” ha, tuttavia, definito di “dubbia credibilità” una guerra
all’Iraq. Un dibattito che resta acceso: l’amministrazione statunitense
ritiene, infatti, sufficiente per un’operazione militare la risoluzione 1441
votata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza, lo scorso 8 novembre. Sulla
controversia giuridica, Fausta Speranza ha raccolto il parere del prof.
Vincenzo Cannizzaro, docente dell’Istituto di diritto internazionale e
dell’Unione europea di Macerata:
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R. – Io direi che i meccanismi delle Nazioni Unite sono
chiari nello stabilire che l’accertamento di una situazione di minaccia alla
pace e la decisione di quali azioni adottare spettano al Consiglio di Sicurezza
e non ai singoli Stati. La Risoluzione 1441 darebbe agli Stati la possibilità
di usare la forza minacciando delle serie conseguenze. In effetti, c’è questo
nel paragrafo 13 della Risoluzione, però nel paragrafo 14 si soggiunge che la
questione rimane sull’agenda del Consiglio di Sicurezza il quale quindi dovrà
provvedere su questo punto di vista e direi che un’azione unilaterale senza una
nuova risoluzione del Consiglio è contrario alla Carta. In ciò, devo dire, sono
anche confortato dal parere di tantissimi autorevoli colleghi. Leggevo sul ‘Guardian’,
quotidiano inglese, una quasi unanimità di posizioni da parte dei più
autorevoli giuristi inglesi di diritto internazionale.
D. – E allora chiediamoci: è legittimo questo non
ricorrere ad un’altra risoluzione, visto che i passi del Consiglio di Sicurezza
sono questi?
R. – Direi: è illegittimo adottare misure unilaterali in
assenza di una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza. La scelta di quali
siano le serie conseguenze, ma anche se fosse una guerra, la decisione di quale
sia l’obiettivo della guerra – non necessariamente la caduta del regime
iracheno ma, per esempio, il disarmo controllato – tutto questo fa parte di un
processo di accertamento che nel sistema della Carta e anche nella Risoluzione
1441 è riconosciuto esclusivamente al Consiglio di Sicurezza.
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Con il
passare delle ore verso la scadenza dell’ultimatum americano a Saddam, aumenta
la preoccupazione per l’emergenza umanitaria, che potrebbe scaturire dal
conflitto. Secondo fonti locali, nel nord del Paese, migliaia di persone
sarebbero già in marcia verso le cittadine al confine turco orientale con
l'Iraq. Tra le organizzazioni in prima linea nel sostegno alle popolazioni
irachene c’è il Programma alimentare mondiale, che, attraverso la sua portavoce
Marina Catena, spiega – al microfono di Maria Di Maggio - le iniziative messe
in campo dall’agenzia dell’Onu per far fronte all’eventualità di una guerra in
Iraq:
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R. – Il programma alimentare delle Nazioni Unite è
presente in Iraq, con i suoi programmi, da circa 10 anni. Per prepararci –
anche se ovviamente bisogna deplorare qualsiasi tipo di intervento armato e
un’organizzazione umanitaria che si rispetti deve comunque prepararsi ed essere
pronta qualora ciò accada - noi abbiamo
già preposizionato il cibo che dovrebbe essere sufficiente a sfamare circa 250
mila persone nelle prime dieci settimane successive ad un eventuale conflitto.
Nel frattempo ci stiamo muovendo per preposizionare altre 32 mila tonnellate di
cibo, che dovrebbero servire a sfamare circa 900 mila persone, sempre nelle
prossime dieci settimane. Ovviamente abbiamo previsto due scenari. Uno scenario
nel quale ci potrebbero essere circa 5 milioni di persone che avrebbero bisogno
immediato di cibo, e uno scenario invece molto più grave nel quale ce ne potrebbero
essere 10 milioni. Ovviamente, gli effetti di un intervento armato non possono
essere prevedibili prima, quindi ci siamo preparati a vari tipi di scenari.
Bisogna sottolineare che attualmente la popolazione irachena è quasi interamente
dipendente dal cibo che viene distribuito dalle Nazioni Unite, e, dunque, è evidente
che un conflitto non può che portare un ulteriore aggravamento di questa che è
una situazione di malnutrizione, della quale soffrono soprattutto i bambini.
Comunque siamo pronti, con ciò che abbiamo stimato necessario, per poter aiutare
la popolazione.
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Se, dunque, il conflitto sembra imminente e molti cercano
di mettersi al riparo, il nunzio apostolico, mons. Fernando Filoni, ha annunciato
– al microfono di Gudrun Sailer – che rimarrà a Baghdad in rappresentanza del
Pontefice:
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R. – Il ministero degli Esteri ovviamente è informato che
noi rimaniamo qui ed ha manifestato la sua soddisfazione per la presenza della
Missione della Santa Sede e della Nunziatura qui nel Paese. Da parte nostra non
abbiamo come Nunziatura soltanto un obbligo di rappresentanza diplomatica, ma
abbiamo l’obbligo di rappresentare il Santo Padre e quindi la preoccupazione in
questo momento del Santo Padre presso la Chiesa locale, che è una Chiesa ricca,
viva, che finora ha avuto la sua libertà di culto rispettata.
D. – Mons. Filoni, i pochi cattolici che vivono in Iraq,
il 2,8 per cento della popolazione circa, come stanno affrontando questa
emergenza guerra?
R. – Vivono la preoccupazione di tutta la gente e
ovviamente non è che in quanto cristiani siano risparmiati da queste terribili
prove del passato, ma vivono anche adesso questa notevole preoccupazione per il
loro futuro.
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E proprio al
futuro bisogna guardare con speranza, pur in una situazione drammatica, che il
mondo sta vivendo con angoscia. Partire da quel vibrante appello per la pace
del Santo Padre. Un appello, che, come sottolinea al microfono di Fabio
Colagrande il nostro direttore generale, padre Pasquale Borgomeo, non può
essere ignorato:
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R. – In un’ora densa di
trepidazione per le sorti del mondo, il Papa, dopo il silenzio del suo ritiro
spirituale, è tornato a lanciare un pressante appello in favore della pace. Un
appello che è difficile ignorare, alla luce del quale leggeremo anzi gli avvenimenti
che nei prossimi giorni saremo chiamati a vivere. “Sappiamo bene – ha affermato
il Papa – che non è possibile la pace ad ogni costo. Ma sappiamo tutti quanto è
grande questa responsabilità”. Ancora una volta, fede, sollecitudine e realismo
in un appello che sentiamo già storico e che ci fa rabbrividire al pensiero di
vederlo inascoltato. E’ sotto gli occhi di tutti quanto sia lontana l’Onu, da
un avallo dell’intervento militare in Iraq. Ma sembra degno di seria considerazione
anche il fenomeno d’una schiacciante maggioranza di cittadini contrari alla
guerra proprio nei Paesi i cui governi si apprestano a condurla o ad appoggiarla.
D. – Nonostante tutto ciò l’attacco all’Iraq è imminente
...
R. – Vorrei ricordare ancora le parole del Papa, quando
egli dice: di fronte alle tremende conseguenze che un’operazione militare
internazionale avrebbe per le popolazioni dell’Iraq e per l’equilibrio
dell’intera regione del Medio Oriente, già tanto provata, nonché per gli
estremismi che potrebbero derivarne dico a tutti c’è ancora spazio per la pace,
non è mai troppo tardi per comprendersi, per continuare a trattare. Se poi i
responsabili della decisione di scatenare la guerra credessero in coscienza di
doverla prendere, sappiano che dovranno renderne conto a Dio, alla comunità
internazionale e un giorno, al giudizio della storia. Evitino perciò di
attribuirsi una missione salvifica e non pretendano di agire in nostro nome. Not in my name abbiamo letto sui
cartelli di tanti manifestanti contro la guerra. Ecco, non in nostro nome, non
in nome dei valori della civiltà occidentale. E soprattutto non nel Santo Nome
di Dio.
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L’ESEMPIO
DI SAN GIUSEPPE DA COPERTINO SPRONI OGNI CREDENTE A VIVERE
CON PASSIONE ED ENTUSIASMO NELLE COMPLESSE
SITUAZIONI DELL’EPOCA
CONTEMPORANEA.
COSI’ IL PAPA, NEL MESSAGGIO PER IL QUARTO CENTENARIO
DALLA NASCITA DEL SANTO MARCHIGIANO, INDIRIZZATO
AL MINISTRO GENERALE
DEI FRATI CONVENTUALI JOACHIM GIERMEK
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Servizio di Paolo Ondarza -
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“L’eroica
testimonianza evangelica di San Giuseppe da Copertino costituisce per ciascuno
un forte richiamo a vivere con passione ed entusiasmo la propria fede, nelle
molteplici e complesse situazioni dell’epoca contemporanea”. E’ quanto scrive
Giovanni Paolo II in un messaggio indirizzato al ministro generale dell’Ordine
Francescano dei Frati Minori Conventuali, padre Joachim Giermek, redatto in occasione
del 400.mo anniversario dalla nascita del santo, avvenuta il 17 giugno 1603.
San Giuseppe da Copertino, conosciuto anche come il “Santo dei voli”, “a motivo
delle sue frequenti estasi e della straordinarietà delle esperienze mistiche,
invita i fedeli a ricercare il senso profondo dell’esistenza e ad incontrare
personalmente Iddio abbandonandosi pienamente
alla sua volontà”.
“Patrono degli studenti” il santo marchigiano “incoraggia
il mondo della cultura a fondare il sapere umano sulla sapienza di Dio”. Grazie
alla docilità ai suggerimenti divini egli può essere considerato ancora oggi
come guida spirituale di chiunque voglia porsi alla sequela di Cristo,
indicando il primato di Dio nella vita di ogni uomo, il valore della preghiera
e della contemplazione, l’appassionata adesione al Vangelo sine glossa,
senza compromessi. Pienamente francescana fu la spiritualità di san Giuseppe da
Copertino che, ricorda il Santo Padre, “fu innamorato del mistero
dell’Incarnazione” contemplando con danze e canti la tenerezza divina del
Bambinello o piangendo davanti al Crocifisso che egli vedeva “inchiodato alla
Croce col martello dell’ingratitudine, dell’egoismo e dell’indiffe-renza”.
Esemplare la devozione del Santo all’Eucarestia, “pane
degli angeli”, da lui indicata come “Sacramento dove il Figlio di Dio fatto
uomo appare ai fedeli non faccia a faccia, ma cuore a cuore”. Obbediente al
Successore di Pietro e devotamente attaccato alla Vergine Maria, “Protettrice,
Signora, Patrona, Madre, Sposa, Adiutrice”, san Giuseppe da Copertino –
continua il Pontefice – “risplende la sapienza dei piccoli e lo spirito delle
beatitudini evangeliche”: semplice, obbediente, distaccato da tutto e in
continuo cammino”. “Non poteva negare
la straordinarietà dei doni di cui era fatto oggetto ma, ben lungi da qualsiasi
atteggiamento di orgoglio o di vanto, andava alimentando sentimenti di umiltà e di verità, attribuendo
tutto il merito del bene che fioriva tra le sue mani alla gratuita azione di
Dio”.
Giovanni Paolo II conclude il messaggio, redatto in
occasione del quarto centenario dalla nascita del “santo dei voli”, invitando
tutti a soffermarsi sull’indole gioiosa, affabile e cordiale con tutti, propria
di san Giuseppe da Copertino. Contemplando tali qualità, il Papa esprime l’auspicio
che, nel corso delle celebrazioni giubilari di quest’anno, “possano tutti
imparare a percorrere la strada che conduce ad una santità ‘feriale’,
contrassegnata dal compimento fedele del proprio quotidiano dovere”.
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Il Papa
ha ricevuto stamani sei presuli della Conferenza Episcopale dell’Indonesia, in
visita “ad Limina”.
Sempre questa mattina, il Santo Padre ha ricevuto in
udienza il cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per
l’Educazione Cattolica, con l’arcivescovo Giuseppe Pittau, segretario, e il
prelato Angelo Vincenzo Zani, sottosegretario dello stesso dicastero.
LA FONDATRICE SPAGNOLA GIOVANNA MARIA CONDESA
LLUCH, CHE IL SANTO PADRE PROCLAMA BEATA DOMENICA PROSSIMA, UN’APOSTOLA DEL
MIGLIORAMENTO SOCIALE
E SPIRITUALE DELLE GIOVANI OPERAIE FRA L’800
E IL ‘900
-
Servizio di Giovanni Peduto -
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Giovanna Maria Condesa Lluch, nata a Valencia nel 1862 ed
ivi morta nel 1916, consacrò la sua vita per la promozione della donna, per le
urgenti necessità, umane e morali, delle giovani operaie, che si affacciavano
nel mondo del lavoro nelle fabbriche. Per questo godette già in vita una estesa
fama di santità, che continuò e si diffuse dopo la morte e perdura fino ai
nostri giorni. Ciò indusse la Congregazione delle Ancelle di Maria Immacolata,
da lei fondata, a promuovere la sua Causa di beatificazione. Ma andiamo con
ordine. Proveniva da una famiglia cristiana di buona posizione socioeconomica.
Ricevette una accurata formazione umana e cristiana, che contrastava con la
mentalità razionalista che si apriva lentamente nella società valenciana del
momento e che dette luogo ad una ondata di cristianizzazione. Nel periodo
dell’adolescenza e della gioventù, rafforzò la sua vita come cristiana,
nutrendosi della devozione a Gesù Sacramentato, all’Immacolata Concezione, a
San Giuseppe e a Santa Teresa, ed
acquisì progressivamente una sempre maggiore sensibilità ed impegno
verso i più bisognosi.
Molto presto scoprì il dono dell’amore di Dio che stava
sfociando abbondantemente nel suo cuore. La sua intensa vita di preghiera, la
sua costante relazione con Dio, furono la forza che resero possibile che in
ella maturassero i frutti propri di colui che vive secondo lo Spirito:
l’allegria, l’umiltà, la costanza, il dominio di se stesso, la pace, la bontà,
la dedizione, la laboriosità, la solidarietà, la fede, la speranza e l’amore.
Per tutto questo, coloro che la conobbero ce la presentano come una donna che
“riuscì a vivere l’ordinario in modo straordinario”. Aveva appena 18 anni,
quando scoprì che la volontà di Dio sulla sua vita era quella di darsi tutta ed
abbandonarsi del tutto alla causa del Regno, per mezzo dell’evangelizzazione e
del servizio alle donne operaie, interessandosi alle condizioni di vita e
lavorative di queste giovani.
Nel 1884, dopo vari anni di difficoltà ed ostacoli,
ottenne il permesso necessario per aprire a Valencia una casa che accogliesse,
formasse e ridesse dignità alle operaie che, dato il crescente processo di
industrializzazione del secolo XIX, si spostavano dai paesi alla città per
lavorare nelle fabbriche, dove erano considerate meri strumenti di lavoro.
Alcuni mesi dopo , in questa stessa casa si inaugurò una Scuola per le figlie
delle operaie; altre giovani si unirono al suo progetto condividendo gli stessi
ideali. Da questo momento cominciò a prendere forma nella sua vita quello che
sperimentò come volontà di Dio: “Io e tutto il mo per le operaie”. Convinta che
la sua opera fosse frutto dello Spirito e desiderosa che divenisse una realtà
ecclesiale, insistette per ottenere il permesso di potersi organizzare come
congregazione religiosa. Ottenne l’approvazione diocesana dell’Istituto nel
1892, che crebbe in membri e si estese in diverse zone industriali; nel 1895
emise la professione temporale insieme alle prime suore e nel 1911 la
professione perpetua.
Durante tutti questi anni la sua vita, vissuta
sull’esempio della Vergine Immacolata, fu una donazione incondizionata alla
volontà di Dio. Il 6 gennaio 1916, madre Giovanna Maria Condesa Lluch, passò a
contemplare il volto di Dio per tutta l’eternità, raggiungendo quell’anelito di
santità manifestato tante volte alle suore con queste parole: “Essere santa nel
cielo, senza alzare polvere sulla terra”. Espressione che denota come la sua vita
sia trascorsa secondo lo Spirito di Cristo Gesù, coniugando la più sublime
delle esperienze, l’intimità con Dio, con l’impegno a favore delle giovani
operaie.
L’Istituto, che nel 1947 ottenne l’approvazione pontificia
da parte di Pio XII, conta un centinaio
di religiose in una ventina di case.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
“Il mondo tra angoscia e
speranza” è il titolo che, a tutta pagina, apre il giornale. Nell’ambito della
riflessione quaresimale - ispirata alla “mobilitazione penitenziale per la
pace” - un articolo di Alberto Migone dal titolo “Disarmare i cuori”.
Sempre
in riferimento alla crisi irachena, questi gli altri titoli nel dettaglio: Ultimatum
degli Usa a Saddam Hussein: “esilio o conflitto militare”. Chirac: “Ingiustificata
una decisione unilaterale di ricorso alla guerra”.
Nelle vaticane, una pagina
dedicata alla solennità di San Giuseppe, Patrono della Chiesa universale.
La presentazione, curata dal
vescovo Elio Sgreccia e da Juan de Dios Vial Correa, del volume che raccoglie
gli Atti dell'ottava Assemblea generale della Pontificia Accademia per la Vita,
svoltasi nel febbraio 2002 ed incentrata sul tema “Natura e dignità della
persona umana a fondamento del diritto alla vita”.
Un articolo dell’arcivescovo
Ruppi dal titolo “Ritrovare la gioia del dono reciproco e il confronto della
solidarietà nelle prove”: vent’anni fa la visita pastorale di Giovanni Paolo II
a Termoli.
Un articolo di Alberto Manzoni
sull'incontro tra il cardinale Tettamanzi e l’arcivescovo Martino, a
Milano, nell’ambito di un convegno sul tema “Pacem in Terris, la
posizione della Chiesa sulla pace”.
Nelle
pagine estere, Medio Oriente: “L’ansia della pace ancora frustrata dalla spirale
di violenze”; nuove vittime a Betlemme nello stillicidio quotidiano dello spargimento
di sangue nei Territori.
Terrorismo: scatta l’allarme
negli Stati Uniti.
Balcani: formato il Governo
dell’Unione Serbia e Montenegro.
Nella pagina culturale, un
elzeviro di Luigi Maria Personé dal titolo “Gli affezionati al mondan rumore”.
Nell’“Osservatore libri” un
approfondito contributo di Vittorio Fazzo relativo al volume “Pagano e
cristiano. Vita e mito di Costantino”, di Arnaldo Marcone, in cui viene
affrontata la “vexata quaestio” della conversione dell’imperatore.
Nelle pagine italiane, in primo
piano la situazione politica, con puntuale riferimento alla crisi irachena.
Il tema del terrorismo.
Un articolo sulle difficoltà
legate alla regolarizzazione degli immigrati.
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18
marzo 2003
NON ARRENDERSI ALL’EVIDENZA CHE LA GUERRA SIA
INEVITABILE;
CHIESTA
LA CONVOCAZIONE DELL’ASSEMBLEA GENERALE DELL’ONU;
APPELLO
DI PACE DEL PATRIARCA ALESSIO II DI MOSCA.
CON
NOI, SERGIO MARELLI, PRESIDENTE DELLA FOCSIV
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Servizio di Carla Cotignoli -
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“48 ore
possono bastare per fermare la guerra. C’è ancora un margine”. Si può convocare
subito l’Assemblea generale delle Nazioni Unite. E’ la proposta d’emergenza lanciata ieri sera da
responsabili di associazioni della società civile, movimenti ecclesiali e
sindacati, come Acli, Azione Cattolica, Focsiv, Movimento dei Focolari, Cisl. Invocano
l’applicazione di una risoluzione delle Nazioni Unite che consente questa
convocazione straordinaria, perché l’Onu possa ancora avocare a sé ogni decisione
ed evitare la guerra in Iraq. Si chiede perciò la mediazione dei presidenti Ciampi
e Berlusconi. La parola, al microfono di Luca Collodi, a Sergio Marelli,
presidente della Focsiv, tra i firmatari dell’appello:
R. – Questa nostra richiesta si rifà ad una risoluzione
del Consiglio di Sicurezza, la 377, che nel 1950 è stata varata proprio nei
casi in cui il Consiglio di sicurezza non riesce a trovare una unanimità su
delle questioni di fondamentale importanza per il mantenimento della pace e della
sicurezza che – ricordiamolo sempre – è il mandato fondamentale
dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Questa risoluzione prevede la
possibilità di ricorrere entro 24 ore alla convocazione dell’Assemblea generale
delle Nazioni Unite e di riportare la sede decisionale dal Consiglio di
Sicurezza al voto palese di un’assemblea dell’Onu. Pensiamo che l’attuale
situazione, sia senz’altro una situazione di straordinaria preoccupazione e
pericolosità. E quindi noi chiediamo che il segretario generale Kofi Annan, con
la mediazione del presidente Ciampi e del presidente Berlusconi ricorra ed
attui questa risoluzione per convocare urgentemente l’assemblea generale.
D. – Questo appello, però, decade se scatta l’attacco unilaterale …
R. –
Certo. Ma restiamo convinti che non bisogna in questo momento arrendersi
all’evidenza che la guerra sia inevitabile. C’è ancora margine, c’è ancora
possibilità di intervenire. Speriamo che alla fine – e per questo potrebbe bastare
anche un solo minuto – prevalga questo senso etico di responsabilità che porta
chi deve decidere ad evitare questa ennesima tragedia, questa ennesima sciagura
contro l’Iraq.
Un forte appello ai governi
perché facciano tutto il possibile per evitare il conflitto armato in Iraq,
giunge dal Patriarca Alessio II di Mosca e di tutta la Russia e del Santo
Sinodo della Chiesa ortodossa russa. “La guerra in Iraq – si legge - porterà inevitabilmente morte e sofferenze a
un enorme numero di innocenti”, vi sono rischi anche di “una catastrofe
ecologica” trattandosi di una regione petrolifera. “E’ una minaccia alla pace e
stabilità del mondo intero”. Un’azione unilaterale che non tiene conto
dell’”opinione della maggioranza dei popoli della Terra, distrugge il sistema
legislativo internazionale e le istituzioni intergovernative”. Il patriarca
Alessio parla del dialogo stabilito con leader religiosi e politici in Iraq.
Ieri una delegazione composta da responsabili della Chiesa ortodossa russa e religiosi
musulmani – informa l’agenzia Apic - ha raggiunto l’Iraq per una missione di
pace.
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Anche il cardinale Camillo Ruini, a nome della presidenza
della Cei, facendo eco all’appello del Papa, chiede “ai responsabili politici
dell’Iraq” e “ai Paesi membri delle Nazioni Unite”, da un lato di “collaborare
in maniera piena e immediata”, dall’altra di “non ricorrere all’uso della
forza, finché non sia esaurita ogni possibilità di soluzione pacifica”.
“San Francesco ci chiede di essere operatori di pace là
dove viviamo”. Così il ministro generale dei Frati minori francescani padre
Giacomo Bini nella lettera ai suoi confratelli, facendosi voce di tutti coloro
che dicono “basta alla guerra, basta alla violenza, basta alla sopraffazione
ingiusta e ad ogni forma di terrorismo, basta al desiderio sfrenato di potere,
basta alle ingiustizie e agli squilibri sociali che stanno all’origine di ogni
discordia e divisione”. Padre Bini chiede alla famiglia francescana una
“preghiera personale e prolungata”, una “vita pacificata ri-centrata in Dio”,
“una presenza dialogante”, “digiuno e penitenza” accompagnati da un impegno di
condivisione fraterna con chi è ucciso dalla fame, “annuncio esplicito della
pace” con un no ad “una sterile rassegnazione”. Insomma essere “profeti di pace
che sanno porre gesti fraterni di riconciliazione e comunione”.
“Per la pace non è mai troppo tardi”. Anche la Caritas
italiana si fa eco del messaggio del Papa e chiede di intensificare la
preghiera, “perché una pace giusta possa prevalere in Iraq, in Palestina e in
tutto il mondo”. Nello stesso
tempo la Caritas italiana si unisce
alla rete internazionale della Caritas
per mettere in atto un piano di urgenza di 736.000 euro per aiutare le
Caritas locali ad operare efficacemente in caso di conflitto. “Caritas Iraq –
informa un comunicato – ha curato la formazione di 400 medici e volontari, ha
attrezzato 87 chiese come rifugi e centri di protezione per i civili, ha
acquistato beni di prima necessità, attrezzature sanitarie e per la depurazione
delle acque, medicinali salvavita per 40 centri sanitari”. La rete Caritas sta
sostenendo anche i piani di emergenza in Siria, Giordania, Iran e Turchia, dove
si prevede un flusso di centinaia di migliaia di rifugiati.
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18
marzo 2003
“NON
DOBBIAMO MAI DIMENTICARE IL MESSAGGIO DI PACE DEL PAPA”. LO HA DETTO
L’AMBASCIATORE D’ISRAELE PRESSO LA SANTA SEDE, YOSEF LAMDAN, AL CONCERTO PER
RICORDARE IL TERZO ANNIVERSARIO
DELLA
VISITA DEL PONTEFICE IN TERRA SANTA
- A
cura di Graziano Motta -
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ROMA. = Il terzo anniversario del pellegrinaggio di
Giovanni Paolo II in Terra Santa è stato commemorato ieri sera dall’ambasciata
di Israele presso la Santa Sede con un concerto ospitato dal Pontificio
Istituto di Musica Sacra nel suo prestigioso Auditorium. “Mentre nubi di guerra
si addensano in Medio Oriente – ha detto in un discorso introduttivo
l’ambasciatore Yosef Lamdan – tentiamo di elevare il nostro spirito e
ricordiamo il messaggio di tempi migliori”. Secondo il calendario ebraico,
esattamente tre anni fa alla medesima ora del concerto, il Papa atterrava in
Israele proveniente dalla Giordania e l’ambasciatore, che fu presente
all’evento, visse – ha detto – un’esperienza indimenticabile. “Il Papa si mosse
tra di noi – ha ricordato – in modo da sembrare a suo agio e in perfetta
armonia con ebrei, cristiani e musulmani. In noi suscitò ispirazione e ci diede
speranza; il suo più grande desiderio – credo – era quello di immaginare un’era
di pace tra i popoli israeliano e palestinese e in Medio Oriente in generale.
Purtroppo, nei mesi seguenti la situazione si deteriorava. Emergeva la minaccia
della guerra in un altro angolo della regione, ma noi non dobbiamo mai
dimenticare il suo messaggio di pace, non dobbiamo mai perdere la speranza,
dobbiamo continuare ad avere fede: la nostra fede comune nella dignità e nella
santità intrinseche nell’uomo, creato ad immagine di Dio, ed anche nella
possibilità di convivenza tra tutti i popoli della regione”. Al concerto hanno
presenziato numerosi invitati tra cui personalità ecclesiastiche e molti
ambasciatori di Paesi accreditati presso la Santa Sede. Il concerto è stato
eseguito dal complesso Solaren Ensemble, un gruppo di giovani musicisti
israeliani pieni di talento all’inizio della loro carriera professionale,
diretti dal maestro Zvi Carmeli.
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INIZIA
OGGI IN COREA DEL NORD LA MISSIONE DELL’INVIATO PERSONALE
DI
KOFI ANNAN PER VERIFICARE I PROGRESSI PER FRONTEGGIARE
L’EMERGENZA
ALIMENTARE
NEW
YORK. = Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha inviato nella Repubblica
democratica popolare di Corea il suo inviato personale, Maurice Strong, per una
serie di colloqui con le autorità del Paese. La missione di Strong, 74 anni,
canadese, inizia oggi e si concluderà sabato prossimo. Durante la visita
l’inviato discuterà con il governo nord coreano dei progressi che la soluzione
dell’emer-genza alimentare sta registrando in questi ultimi giorni. Ieri è
infatti giunto in Corea del Nord il primo carico di aiuti alimentari da quando,
il mese scorso, il Pam si era dichiarato ufficialmente costretto a sospendere
gli invii per la mancanza di donazioni. Circa 48 mila tonnellate di grano
provenienti dall’Unione Europea sono arrivate nella parte settentrionale della
penisola coreana per alleviare le sofferenze della popolazione. La situazione
resta sempre grave, ma la scorsa settimana anche la Corea del Sud, nell’ambito
di un progetto di ampio respiro che mira a normalizzare le relazioni tra i due
Stati, ha dichiarato la propria disponibilità per l’invio di alimenti. Per il
2003 Seul ha previsto infatti di inviare a Pyongyang circa 432 mila tonnellate
di riso, donare all’Organizzazione mondiale della sanità 700 mila dollari per
combattere la malaria e altri 500 mila all’Unicef per provvedere alle necessità
dei bambini nord coreani. (M.A.)
IL
RUOLO DELLE SCUOLE CATTOLICHE IN UNO STATO LAICO
RICHIAMATO DALL’ARCIVESCOVO DI SINGAPORE, NICHOLAS
CHIA,
AD UNA
CONFERENZA SULL’EDUCAZIONE CATTOLICA. IL PRESULE HA SOTTOLINEATO
LA
MISSIONE CHE LA CHIESA È CHIAMATA A SVOLGERE
NELLA
FORMAZIONE UMANA E SPIRITUALE DEGLI ALUNNI
SINGAPORE.
= Educare le giovani generazioni ai valori del Vangelo: è questa la missione
che l’arcivescovo di Singapore, mons.
Nicholas Chia, affida alle scuole cattoliche nel suo Paese. In occasione della
recente assemblea del Consiglio cattolico dell’educazione, il presule ha
spiegato ai rappresentanti del personale che lavora nelle scuole cattoliche
dell’arcidiocesi la delicatezza della loro professione: “Il vostro compito non
è facile – ha detto – perché dipendete da due distinte autorità: la Chiesa e lo
Stato. Voi condividete la mia responsabilità riguardo l’istruzione umana e
l’educazione alla fede di tutti i ragazzi”. Questa comunanza è stata una punto
centrale del suo discorso: “Condividete con me – ha spiegato - la missione di
evangelizzazione e di formazione. Insieme realizzeremo quello che è essenziale
per i giovani e per il mondo”. Mons.
Chia ha dedicato particolare attenzione alle modalità di relazione con i
ragazzi quando si parla del Vangelo: la Buona Novella non va imposta, ma
proposta. Nello stesso tempo, è necessario che le scuole cattoliche cerchino di
inserire i valori del cristianesimo nel cammino di formazione scolastica.
“Quando si tratta di religione, di educazione civica e morale – ha affermato
mons. Chia – l’insegnamento non deve soltanto rispondere ai desideri dello
Stato, ma deve essere attento alla missione della Chiesa”. Secondo i dati
dell’Annuario statistico della Chiesa del 2000, la Chiesa gestisce 10 scuole materne,
20 primarie, 15 secondarie. I cattolici di Singapore sono 155 mila su una popolazione
di più di 4 milioni di persone, le parrocchie 30, con circa 130 sacerdoti.
(M.A.)
I
PAESI LATINOAMERICANI SI MOBILITANO PER RISOLVERE LA CRISI COLOMBIANA.
DOPO
UN GIRO DI CONSULTAZIONI CHE HA COINVOLTO ECUADOR, BRASILE, PERÙ,
VENEZUELA
E LA STESSA COLOMBIA, È PROBABILE LA RICHIESTA DI UN INTERVENTO DELL’ONU COME
MEDIATORE TRA IL GOVERNO DI BOGOTÀ
E LA
GUERRIGLIA DELLE FARC
QUITO.
= La crisi colombiana è al centro delle iniziative di pace dei Paesi
dell’America Latina. In una recente intervista al quotidiano Hoy, il presidente
ecuadoriano Lucio Gutierrez ha parlato di una raggiunta intesa con Venezuela,
Brasile, Perù e Colombia per richiedere all’Onu una mediazione con la
guerriglia delle Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia). La proposta
era stata avanzata da Gutierrez a gennaio durante un incontro con il segretario
generale dell’Onu, Kofi Annan. Il presidente ecuadoriano aveva espresso
appoggio e collaborazione nei confronti di un eventuale iniziativa da parte
delle Nazioni Unite ma le scarse probabilità che la guerriglia accettasse
l’intervento dell’organismo, non fecero decollare immediatamente il progetto.
Annan comunque incoraggiò Gutiérrez a consultare i Paesi della regione.
L’Ecuador patisce le conseguenze della guerra civile in atto nella confinante
Colombia da 40 anni. Dalla Colombia arrivano infatti in Ecuador non solo
rifugiati e sfollati, ma anche trafficanti di droga che poi impiantano coltivazioni
e laboratori per la raffinazione. Ora dopo una serie di consultazioni con il
capo di Stato colombiano, Alvaro Uribe, e i suoi omologhi venezuelano, Hugo
Chavez, brasiliano, Luiz Inácio Lula da Silva e peruviano, Alejandro Toledo si
dovrebbe arrivare ad una formale richiesta di intervento da parte dell’Onu.
Intanto la crisi colombiana è già approdata sui tavoli degli organismi
dell’Onu. La Commissione dei diritti umani, riunita in questi giorni a Ginevra
per la sua 59.ma sessione, discute proprio oggi sulla situazione e il rispetto
dei diritti umani nel Paese latinoamericano. (M.A.)
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18 marzo 2003
- A cura di Giada Aquilino -
La
crisi irachena domina la cronaca internazionale, ma mentre il mondo confida
ancora nella via diplomatica per scongiurare un secondo conflitto nel Golfo
altre emergenze si affacciano sull’area mediorientale. Nuovi scontri a fuoco
sono avvenuti nelle ultime ore nella zona di Betlemme, con un bilancio di due
morti: un israeliano ed uno dei più importanti capi militari di Hamas in
Cisgiordania. Sul lato politico, il Consiglio legislativo palestinese ha
definitivamente approvato oggi l'attribuzione di pieni poteri al futuro premier
Abu Mazen. Il servizio di Graziano Motta:
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Il Consiglio
legislativo palestinese riunito a Ramallah ha negato a Yasser Arafat i pieni
poteri che pretendeva sul governo, ma su alcuni punti ha accettato un
compromesso: il presidente del Consiglio si consulterà con Arafat sulla nomina
e sulla distribuzione dei ministri. Ha accolto infine la proposta che il
premier sia affiancato da due vice. E’ stata una battaglia non facile e l’ha spuntata
il Parlamento, sostenendo che in un regime democratico spetta ai deputati e non
al rais il controllo dell’esecutivo. Questa chiarificazione dovrebbe consentire
a Mahmud Abbas (Abu Mazen), il primo ministro designato da Arafat, di accettare
l’incarico e di avviare la formazione del governo e dovrebbe pure superare le
riserve degli Stati Uniti e d’Israele per la riattivazione del dialogo di pace.
Intanto con l’avvicinarsi del conflitto in Iraq, il comando della difesa
israeliana ha dato l’ordine alla popolazione civile di approntare una stanza a
tenuta stagna in ogni appartamento, dotandola di acqua, viveri, torce
elettriche, radio, portatili e quanto necessario per l’emergenza.
Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.
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E nei Territori non si placano le polemiche sulla morte,
domenica scorsa nella Striscia di Gaza, di una pacifista americana dell’International
Solidarity Movement, Rachel Corrie, travolta da un bulldozer israeliano a
Rafah, mentre cercava di impedire la distruzione di un’abitazione palestinese.
Per i soldati, si è trattato di una morte accidentale, ma molti testimoni non
concordano con questa tesi. Nella Striscia di Gaza, Francesca Sabatinelli ha
raggiunto Laura Rossi, volontaria italiana e amica di Rachel. A lei ha chiesto
quale sia la linea d’azione degli israeliani a Rafah:
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R. – Sistematicamente, ogni giorno, stanno distruggendo
abitazioni civili palestinesi, perché gli israeliani vogliono creare un’area di
sicurezza sulla frontiera. Soltanto negli ultimi due anni sono state distrutte
a Rafah mille abitazioni, tra cui 200 nell’ultimo mese. Le organizzazioni
umanitarie, dunque, hanno deciso di stabilire una presenza qui proprio per fare
in modo di interporsi tra l’esercito israeliano e le case, per cercare di
evitare queste demolizioni. In un’azione di questo tipo purtroppo Rachel è
stata uccisa. La percezione che noi abbiamo è che, fino a qualche tempo fa, il
fatto di avere un passaporto europeo o americano ci tutelava, adesso sentiamo
che non è più così. C’è proprio una politica sistematica di impedire l’aiuto
umanitario. Le ambulanze vengono bloccate per ore e viene impedito l’accesso
alle cure mediche. Qui le Convenzioni di Ginevra sono carta straccia.
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L'Algeria “condanna energicamente
il colpo di forza” che ha messo fine al potere del presidente della Repubblica
Centrafricana, Ange Félix Patassé. E’ questa una delle reazioni internazionali
al golpe ordito domenica scorsa dall’ex capo di Stato maggiore, generale
Bozizé. La capitale Bangui, dove è stato imposto il coprifuoco, è ancora in
balia di bande armate agli ordini del generale golpista. Sentiamo Giulio
Albanese:
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Nel corso di un discorso
radiofonico, il generale golpista ha promesso che punirà coloro i quali tra i
ribelli hanno messo a ferro e fuoco la città, svaligiando abitazioni private e compiendo
ogni sorta di atti vandalici. Numerose sarebbero le vittime, sebbene non sia
possibile disporre di cifre ufficiali. Il personale missionario risulta
incolume al fianco delle comunità cristiane locali, provate dalla violenza. Sul
piano internazionale va segnalata la dura condanna dell’Unione africana, che ha
espresso piena solidarietà al deposto presidente Patassé, attualmente in esilio nel
Camerun.
Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.
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E’ in corso al Parlamento di Belgrado il dibattito sulla ratifica
della nomina di Zoran Zivkovic a capo del governo serbo, dopo l'uccisione
mercoledì scorso del premier Zoran Djindjic. Zivkovic, già ministro dell'Interno
jugoslavo, viene considerato un uomo vicino a Djindjic, all’interno del Partito
democratico, il più importante nella coalizione di governo dell’Opposizione
democratica serba.
Torna
la violenza nelle Filippine. Diciotto persone sono morte e diverse altre sono
rimaste ferite stanotte dopo che i ribelli del Fronte Moro di liberazione
islamico hanno bloccato l’autostrada per Cotabato, nell’isola meridionale di
Mindanao, aprendo il fuoco contro due camion carichi di passeggeri. Nelle
stesse ore, a Cotabato, un ordigno è esploso davanti alla cattedrale
dell’Immacolata Concezione, ferendo tre persone.
Proseguire le riforme economiche, iniziate negli ultimi
anni in Cina. E’ l’impegno del nuovo primo ministro cinese Wen Jiabao che ha
tenuto oggi una conferenza stampa al Palazzo dell'Assemblea del Popolo di
Pechino. Wen ha ricordato che il problema principale della Cina è oggi ''la
lenta crescita del reddito nelle campagne''. Di seguito, ha aggiunto, vengono
il problema delle imprese pubbliche che non riescono a modernizzarsi, quello
della crescente disoccupazione, lo sviluppo ineguale tra est ed ovest e l'inefficienza
del sistema bancario. Il nuovo premier ha inoltre assicurato che la democrazia
avanzerà in Cina con la messa a punto di un ''moderno sistema legale'' e con
una maggiore apertura del processo decisionale.
E' salito a 123, ad Hong Kong, il numero delle persone
contagiate dalla misteriosa infezione polmonare che ha indotto nei giorni
scorsi l'Organizzazione mondiale della sanità a lanciare l'allarme per il
pericolo di epidemie. Anche in Australia le autorità sanitarie stanno
investigando su 21 possibili casi di contagio. La grave sindrome respiratoria
ha già ucciso otto persone nel sud dell'Asia e una in Canada. Tracey McClure ha
intervistato il prof. Roberto Cauda del reparto malattie infettive dell’Università
Cattolica-Gemelli:
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R. - E’ bene ricordare che possono sorgere sospetti in
presenza di una febbre che superi i 38, che si associ a sintomi respiratori
importanti e anche di un caso di viaggio a Hong Kong, in Cina, o nel Vietnam e
di stretti contatti con persone affette da una patologia simile. In questi casi
una diagnostica radiologica, di laboratorio va iniziata. E devono essere pure
messe in atto quelle precauzioni per prevenire la trasmissione per via aerea -
l’uso di maschere, di camici sterili - e per limitare al massimo le possibilità
ed i rischi del contagio.
D. – Quanto dobbiamo essere preoccupati?
R. – Direi che un livello di attenzione è giusto, anche
perché ci sono state delle segnalazioni. Ma al momento si tratta di numeri
ancora molto contenuti, che giustificano l’attenzione ma nessuna
preoccupazione.
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