RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 77 - Testo della Trasmissione martedì 18 marzo 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

“Mai più la guerra!”. Dopo il forte appello lanciato dal Papa all’Angelus domenicale, la voce della Santa Sede torna a levarsi di fronte alla gravità della situazione internazionale: con noi, il portavoce vaticano Joaquín Navarro Valls, il nunzio apostolico a Baghdad mons. Fernando Filoni, il prof. Vincenzo Cannizzaro, la portavoce del Pam Marina Catena, e il nostro direttore generale padre Pasquale Borgomeo

 

L’invito a ricercare attraverso la fede il senso profondo dell’esistenza e delle complesse situazioni dell’epoca contemporanea, nel Messaggio di Giovanni Paolo II per il IV Centenario di San Giuseppe da Copertino, popolare mistico francescano

 

Tra i nuovi beati di domenica prossima, la spagnola Juana Marìa Condesa Lluch, che si consacrò alla promozione delle giovani operaie.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Si moltiplicano le iniziative a livello ecclesiale e sociale per scongiurare una guerra in Iraq: ai nostri microfoni, il presidente della Focsiv Sergio Marelli.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Per ricordare la visita del Papa in Terra Santa, un concerto a Roma, con l’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Yosef Lamdan

 

Un inviato di Kofi Annan in Corea del Nord, per verificare la distribuzione degli aiuti alimentari

 

L’arcivescovo di Singapore ha ricordato il ruolo delle scuole cattoliche in uno Stato laico

 

I Paesi latinoamericani si mobilitano per risolvere la crisi colombiana

 

24 ORE NEL MONDO:

Medio Oriente: il Consiglio legislativo palestinese ha approvato i pieni poteri per il futuro premier Abu Mazen

 

Nuove violenze nelle Filippine: 18 vittime nel sud e un ordigno esploso davanti alla cattedrale di Cotabato

 

Saliti a 123 ad Hong Kong i contagi per la misteriosa infezione polmonare che ha colpito il Continente asiatico.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

18 marzo 2003

 

DOPO IL FORTE APPELLO PER LA PACE DEL PAPA ALL’ANGELUS DOMENICALE,

LA SANTA SEDE TORNA A LEVARE FORTE LA SUA VOCE

DI FRONTE ALLA GRAVE SITUAZIONE INTERNAZIONALE

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

 

Il “mai più la guerra” di Giovanni Paolo II, pronunciato all’Angelus di domenica, risuona forte anche oggi, pur nel momento in cui sembrano drammaticamente restringersi le possibilità di sventare un conflitto nel Golfo Persico. Stamani, il direttore della Sala Stampa Vaticana, Joaquín Navarro-Valls, ha sottolineato la grande responsabilità che si assumono quanti ritengono di abbandonare la via del diritto internazionale per dirimere le controversie tra i popoli:

        

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Chi decide che sono esauriti tutti i mezzi pacifici che il Diritto Internazionale mette a disposizione, si assume una grave responsabilità di fronte a Dio, alla sua coscienza e alla storia.

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La forte presa di posizione della Santa Sede giunge a poche ore dal discorso con il quale il capo della Casa Bianca ha intimato al rais di Baghdad di abbandonare il Paese:

 

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SADDAM HUSSEIN AND HIS SONS MUST LEAVE IRAQ WITHIN 48 HOURS. THEIR REFUSAL TO DO SO WILL RESULT IN MILITARY CONFLICT ...

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“Saddam Hussein e i suoi figli – ha detto il presidente Bush – devono lasciare l’Iraq entro 48 ore, se rifiuteranno sarà guerra”: l’ultimatum del presidente americano è stato pronunciato a Washington, quando a Baghdad era notte fonda. Un ultimatum respinto categoricamente dal presidente iracheno, che oggi parlando alla televisione statale ha promesso la vittoria sugli Stati Uniti aggiungendo che Baghdad è pronta a fronteggiare un’invasione. Sembra dunque che la finestra della diplomazia sia prossima a chiudersi, tant’è che gli ispettori dell’Onu sul disarmo hanno stamani lasciato il territorio iracheno per volare a Cipro. Dal canto suo, il presidente francese Chirac ha ribadito che una guerra unilaterale sarebbe “ingiustificata” e che l’Iraq non rappresenta oggi “una minaccia immediata”. Parole riecheggiate dal cancelliere tedesco Schröder, mentre - sul fronte opposto - Giappone e Australia assicurano il proprio appoggio ad un’azione militare guidata dagli Americani. Il Consiglio dei ministri di Ankara, inoltre, discuterà questo pomeriggio, e probabilmente approverà, il nuovo decreto sul contributo turco alla guerra in Iraq, mentre il Parlamento lo discuterà domani. Ma torniamo al discorso di Bush e alle immediate reazioni irachene, nella cronaca di Paolo Mastrolilli:

 

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Il capo della Casa Bianca ha accusato il Palazzo di Vetro di essere mancato alle sue responsabilità, ma ha dichiarato che l’America si assumerà le proprie senza aspettare di essere attaccata. Quindi, si è rivolto alla popolazione irachena, dicendo che l’obiettivo è liberarla e non colpirla e ha intimato ai militari di non obbedire agli ordini del regime, perché qualunque crimine di guerra verrà punito. Mentre pronunciava il suo discorso il governo americano ha alzato il livello di allerta nazionale al colore arancione, perché prevede che i terroristi cercheranno di colpire il Paese come ritorsione. Il Pentagono teme anche che Baghdad provi a bombardare i soldati schierati in Kuwait con armi chimiche per anticipare l’intervento. Il governo iracheno ha rifiutato l’ultimatum ancora prima che Bush lo pronunciasse e Saddam ha detto che gli invasori troveranno combattenti dietro ogni albero e ogni roccia, pronti a difendere il Paese a costo della propria vita.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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L’ipotesi di una guerra senza l’approvazione di una nuova risoluzione dell’Onu – ritirata da Washington, Londra e Madrid – sta, intanto, creando notevoli difficoltà al governo di Tony Blair. Ieri sera, ha rassegnato le dimissioni Robin Cook, ministro per i rapporti con il Parlamento, stamani altri due sottosegretari. Una decisione, quella di Cook – già ministro degli Esteri – che è stata accolta, alla Camera dei Comuni, con un’ovazione da parte dei deputati laburisti. Sulla questione della legittimità di un attacco all’Iraq si è espresso anche il segretario generale delle Nazioni Unite. Kofi Annan, che pur ha criticato il governo iracheno per non aver cooperato “pienamente fin dall'inizio” ha, tuttavia, definito di “dubbia credibilità” una guerra all’Iraq. Un dibattito che resta acceso: l’amministrazione statunitense ritiene, infatti, sufficiente per un’operazione militare la risoluzione 1441 votata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza, lo scorso 8 novembre. Sulla controversia giuridica, Fausta Speranza ha raccolto il parere del prof. Vincenzo Cannizzaro, docente dell’Istituto di diritto internazionale e dell’Unione europea di Macerata:

 

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R. – Io direi che i meccanismi delle Nazioni Unite sono chiari nello stabilire che l’accertamento di una situazione di minaccia alla pace e la decisione di quali azioni adottare spettano al Consiglio di Sicurezza e non ai singoli Stati. La Risoluzione 1441 darebbe agli Stati la possibilità di usare la forza minacciando delle serie conseguenze. In effetti, c’è questo nel paragrafo 13 della Risoluzione, però nel paragrafo 14 si soggiunge che la questione rimane sull’agenda del Consiglio di Sicurezza il quale quindi dovrà provvedere su questo punto di vista e direi che un’azione unilaterale senza una nuova risoluzione del Consiglio è contrario alla Carta. In ciò, devo dire, sono anche confortato dal parere di tantissimi autorevoli colleghi. Leggevo sul ‘Guardian’, quotidiano inglese, una quasi unanimità di posizioni da parte dei più autorevoli giuristi inglesi di diritto internazionale.

 

D. – E allora chiediamoci: è legittimo questo non ricorrere ad un’altra risoluzione, visto che i passi del Consiglio di Sicurezza sono questi?

 

R. – Direi: è illegittimo adottare misure unilaterali in assenza di una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza. La scelta di quali siano le serie conseguenze, ma anche se fosse una guerra, la decisione di quale sia l’obiettivo della guerra – non necessariamente la caduta del regime iracheno ma, per esempio, il disarmo controllato – tutto questo fa parte di un processo di accertamento che nel sistema della Carta e anche nella Risoluzione 1441 è riconosciuto esclusivamente al Consiglio di Sicurezza.

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Con il passare delle ore verso la scadenza dell’ultimatum americano a Saddam, aumenta la preoccupazione per l’emergenza umanitaria, che potrebbe scaturire dal conflitto. Secondo fonti locali, nel nord del Paese, migliaia di persone sarebbero già in marcia verso le cittadine al confine turco orientale con l'Iraq. Tra le organizzazioni in prima linea nel sostegno alle popolazioni irachene c’è il Programma alimentare mondiale, che, attraverso la sua portavoce Marina Catena, spiega – al microfono di Maria Di Maggio - le iniziative messe in campo dall’agenzia dell’Onu per far fronte all’eventualità di una guerra in Iraq:

 

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R. – Il programma alimentare delle Nazioni Unite è presente in Iraq, con i suoi programmi, da circa 10 anni. Per prepararci – anche se ovviamente bisogna deplorare qualsiasi tipo di intervento armato e un’organizzazione umanitaria che si rispetti deve comunque prepararsi ed essere pronta qualora ciò accada -  noi abbiamo già preposizionato il cibo che dovrebbe essere sufficiente a sfamare circa 250 mila persone nelle prime dieci settimane successive ad un eventuale conflitto. Nel frattempo ci stiamo muovendo per preposizionare altre 32 mila tonnellate di cibo, che dovrebbero servire a sfamare circa 900 mila persone, sempre nelle prossime dieci settimane. Ovviamente abbiamo previsto due scenari. Uno scenario nel quale ci potrebbero essere circa 5 milioni di persone che avrebbero bisogno immediato di cibo, e uno scenario invece molto più grave nel quale ce ne potrebbero essere 10 milioni. Ovviamente, gli effetti di un intervento armato non possono essere prevedibili prima, quindi ci siamo preparati a vari tipi di scenari. Bisogna sottolineare che attualmente la popolazione irachena è quasi interamente dipendente dal cibo che viene distribuito dalle Nazioni Unite, e, dunque, è evidente che un conflitto non può che portare un ulteriore aggravamento di questa che è una situazione di malnutrizione, della quale soffrono soprattutto i bambini. Comunque siamo pronti, con ciò che abbiamo stimato necessario, per poter aiutare la popolazione.

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Se, dunque, il conflitto sembra imminente e molti cercano di mettersi al riparo, il nunzio apostolico, mons. Fernando Filoni, ha annunciato – al microfono di Gudrun Sailer – che rimarrà a Baghdad in rappresentanza del Pontefice:

 

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R. – Il ministero degli Esteri ovviamente è informato che noi rimaniamo qui ed ha manifestato la sua soddisfazione per la presenza della Missione della Santa Sede e della Nunziatura qui nel Paese. Da parte nostra non abbiamo come Nunziatura soltanto un obbligo di rappresentanza diplomatica, ma abbiamo l’obbligo di rappresentare il Santo Padre e quindi la preoccupazione in questo momento del Santo Padre presso la Chiesa locale, che è una Chiesa ricca, viva, che finora ha avuto la sua libertà di culto rispettata.

 

D. – Mons. Filoni, i pochi cattolici che vivono in Iraq, il 2,8 per cento della popolazione circa, come stanno affrontando questa emergenza guerra?

 

R. – Vivono la preoccupazione di tutta la gente e ovviamente non è che in quanto cristiani siano risparmiati da queste terribili prove del passato, ma vivono anche adesso questa notevole preoccupazione per il loro futuro.

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         E proprio al futuro bisogna guardare con speranza, pur in una situazione drammatica, che il mondo sta vivendo con angoscia. Partire da quel vibrante appello per la pace del Santo Padre. Un appello, che, come sottolinea al microfono di Fabio Colagrande il nostro direttore generale, padre Pasquale Borgomeo, non può essere ignorato:

 

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R. – In un’ora densa di trepidazione per le sorti del mondo, il Papa, dopo il silenzio del suo ritiro spirituale, è tornato a lanciare un pressante appello in favore della pace. Un appello che è difficile ignorare, alla luce del quale leggeremo anzi gli avvenimenti che nei prossimi giorni saremo chiamati a vivere. “Sappiamo bene – ha affermato il Papa – che non è possibile la pace ad ogni costo. Ma sappiamo tutti quanto è grande questa responsabilità”. Ancora una volta, fede, sollecitudine e realismo in un appello che sentiamo già storico e che ci fa rabbrividire al pensiero di vederlo inascoltato. E’ sotto gli occhi di tutti quanto sia lontana l’Onu, da un avallo dell’intervento militare in Iraq. Ma sembra degno di seria considerazione anche il fenomeno d’una schiacciante maggioranza di cittadini contrari alla guerra proprio nei Paesi i cui governi si apprestano a condurla o ad appoggiarla.

 

D. – Nonostante tutto ciò l’attacco all’Iraq è imminente ...

 

R. – Vorrei ricordare ancora le parole del Papa, quando egli dice: di fronte alle tremende conseguenze che un’operazione militare internazionale avrebbe per le popolazioni dell’Iraq e per l’equilibrio dell’intera regione del Medio Oriente, già tanto provata, nonché per gli estremismi che potrebbero derivarne dico a tutti c’è ancora spazio per la pace, non è mai troppo tardi per comprendersi, per continuare a trattare. Se poi i responsabili della decisione di scatenare la guerra credessero in coscienza di doverla prendere, sappiano che dovranno renderne conto a Dio, alla comunità internazionale e un giorno, al giudizio della storia. Evitino perciò di attribuirsi una missione salvifica e non pretendano di agire in nostro nome. Not in my name abbiamo letto sui cartelli di tanti manifestanti contro la guerra. Ecco, non in nostro nome, non in nome dei valori della civiltà occidentale. E soprattutto non nel Santo Nome di Dio.

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L’ESEMPIO DI SAN GIUSEPPE DA COPERTINO SPRONI OGNI CREDENTE A VIVERE

 CON PASSIONE ED ENTUSIASMO NELLE COMPLESSE SITUAZIONI DELL’EPOCA

CONTEMPORANEA. COSI’ IL PAPA, NEL MESSAGGIO PER IL QUARTO CENTENARIO

 DALLA NASCITA DEL SANTO MARCHIGIANO, INDIRIZZATO AL MINISTRO GENERALE

 DEI FRATI CONVENTUALI JOACHIM GIERMEK

- Servizio di Paolo Ondarza -

 

 

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“L’eroica testimonianza evangelica di San Giuseppe da Copertino costituisce per ciascuno un forte richiamo a vivere con passione ed entusiasmo la propria fede, nelle molteplici e complesse situazioni dell’epoca contemporanea”. E’ quanto scrive Giovanni Paolo II in un messaggio indirizzato al ministro generale dell’Ordine Francescano dei Frati Minori Conventuali, padre Joachim Giermek, redatto in occasione del 400.mo anniversario dalla nascita del santo, avvenuta il 17 giugno 1603. San Giuseppe da Copertino, conosciuto anche come il “Santo dei voli”, “a motivo delle sue frequenti estasi e della straordinarietà delle esperienze mistiche, invita i fedeli a ricercare il senso profondo dell’esistenza e ad incontrare personalmente Iddio abbandonandosi pienamente  alla sua volontà”.

 

“Patrono degli studenti” il santo marchigiano “incoraggia il mondo della cultura a fondare il sapere umano sulla sapienza di Dio”. Grazie alla docilità ai suggerimenti divini egli può essere considerato ancora oggi come guida spirituale di chiunque voglia porsi alla sequela di Cristo, indicando il primato di Dio nella vita di ogni uomo, il valore della preghiera e della contemplazione, l’appassionata adesione al Vangelo sine glossa, senza compromessi. Pienamente francescana fu la spiritualità di san Giuseppe da Copertino che, ricorda il Santo Padre, “fu innamorato del mistero dell’Incarnazione” contemplando con danze e canti la tenerezza divina del Bambinello o piangendo davanti al Crocifisso che egli vedeva “inchiodato alla Croce col martello dell’ingratitudine, dell’egoismo e dell’indiffe-renza”.

 

Esemplare la devozione del Santo all’Eucarestia, “pane degli angeli”, da lui indicata come “Sacramento dove il Figlio di Dio fatto uomo appare ai fedeli non faccia a faccia, ma cuore a cuore”. Obbediente al Successore di Pietro e devotamente attaccato alla Vergine Maria, “Protettrice, Signora, Patrona, Madre, Sposa, Adiutrice”, san Giuseppe da Copertino – continua il Pontefice – “risplende la sapienza dei piccoli e lo spirito delle beatitudini evangeliche”: semplice, obbediente, distaccato da tutto e in continuo cammino”.  “Non poteva negare la straordinarietà dei doni di cui era fatto oggetto ma, ben lungi da qualsiasi atteggiamento di orgoglio o di vanto, andava alimentando  sentimenti di umiltà e di verità, attribuendo tutto il merito del bene che fioriva tra le sue mani alla gratuita azione di Dio”.

 

Giovanni Paolo II conclude il messaggio, redatto in occasione del quarto centenario dalla nascita del “santo dei voli”, invitando tutti a soffermarsi sull’indole gioiosa, affabile e cordiale con tutti, propria di san Giuseppe da Copertino. Contemplando tali qualità, il Papa esprime l’auspicio che, nel corso delle celebrazioni giubilari di quest’anno, “possano tutti imparare a percorrere la strada che conduce ad una santità ‘feriale’, contrassegnata dal compimento fedele del proprio quotidiano dovere”.

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UDIENZE DI OGGI

 

Il Papa ha ricevuto stamani sei presuli della Conferenza Episcopale dell’Indonesia, in visita “ad Limina”.

 

Sempre questa mattina, il Santo Padre ha ricevuto in udienza il cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, con l’arcivescovo Giuseppe Pittau, segretario, e il prelato Angelo Vincenzo Zani, sottosegretario dello stesso dicastero.

 

 

LA FONDATRICE SPAGNOLA GIOVANNA MARIA CONDESA LLUCH, CHE IL SANTO PADRE PROCLAMA BEATA DOMENICA PROSSIMA, UN’APOSTOLA DEL MIGLIORAMENTO SOCIALE

 E SPIRITUALE DELLE GIOVANI OPERAIE FRA L’800 E IL ‘900

- Servizio di Giovanni Peduto -

 

 

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Giovanna Maria Condesa Lluch, nata a Valencia nel 1862 ed ivi morta nel 1916, consacrò la sua vita per la promozione della donna, per le urgenti necessità, umane e morali, delle giovani operaie, che si affacciavano nel mondo del lavoro nelle fabbriche. Per questo godette già in vita una estesa fama di santità, che continuò e si diffuse dopo la morte e perdura fino ai nostri giorni. Ciò indusse la Congregazione delle Ancelle di Maria Immacolata, da lei fondata, a promuovere la sua Causa di beatificazione. Ma andiamo con ordine. Proveniva da una famiglia cristiana di buona posizione socioeconomica. Ricevette una accurata formazione umana e cristiana, che contrastava con la mentalità razionalista che si apriva lentamente nella società valenciana del momento e che dette luogo ad una ondata di cristianizzazione. Nel periodo dell’adolescenza e della gioventù, rafforzò la sua vita come cristiana, nutrendosi della devozione a Gesù Sacramentato, all’Immacolata Concezione, a San Giuseppe e a Santa Teresa, ed  acquisì progressivamente una sempre maggiore sensibilità ed impegno verso i più bisognosi.

 

 

Molto presto scoprì il dono dell’amore di Dio che stava sfociando abbondantemente nel suo cuore. La sua intensa vita di preghiera, la sua costante relazione con Dio, furono la forza che resero possibile che in ella maturassero i frutti propri di colui che vive secondo lo Spirito: l’allegria, l’umiltà, la costanza, il dominio di se stesso, la pace, la bontà, la dedizione, la laboriosità, la solidarietà, la fede, la speranza e l’amore. Per tutto questo, coloro che la conobbero ce la presentano come una donna che “riuscì a vivere l’ordinario in modo straordinario”. Aveva appena 18 anni, quando scoprì che la volontà di Dio sulla sua vita era quella di darsi tutta ed abbandonarsi del tutto alla causa del Regno, per mezzo dell’evangelizzazione e del servizio alle donne operaie, interessandosi alle condizioni di vita e lavorative di queste giovani.

 

Nel 1884, dopo vari anni di difficoltà ed ostacoli, ottenne il permesso necessario per aprire a Valencia una casa che accogliesse, formasse e ridesse dignità alle operaie che, dato il crescente processo di industrializzazione del secolo XIX, si spostavano dai paesi alla città per lavorare nelle fabbriche, dove erano considerate meri strumenti di lavoro. Alcuni mesi dopo , in questa stessa casa si inaugurò una Scuola per le figlie delle operaie; altre giovani si unirono al suo progetto condividendo gli stessi ideali. Da questo momento cominciò a prendere forma nella sua vita quello che sperimentò come volontà di Dio: “Io e tutto il mo per le operaie”. Convinta che la sua opera fosse frutto dello Spirito e desiderosa che divenisse una realtà ecclesiale, insistette per ottenere il permesso di potersi organizzare come congregazione religiosa. Ottenne l’approvazione diocesana dell’Istituto nel 1892, che crebbe in membri e si estese in diverse zone industriali; nel 1895 emise la professione temporale insieme alle prime suore e nel 1911 la professione perpetua.

 

Durante tutti questi anni la sua vita, vissuta sull’esempio della Vergine Immacolata, fu una donazione incondizionata alla volontà di Dio. Il 6 gennaio 1916, madre Giovanna Maria Condesa Lluch, passò a contemplare il volto di Dio per tutta l’eternità, raggiungendo quell’anelito di santità manifestato tante volte alle suore con queste parole: “Essere santa nel cielo, senza alzare polvere sulla terra”. Espressione che denota come la sua vita sia trascorsa secondo lo Spirito di Cristo Gesù, coniugando la più sublime delle esperienze, l’intimità con Dio, con l’impegno a favore delle giovani operaie.

 

L’Istituto, che nel 1947 ottenne l’approvazione pontificia da parte di Pio XII,  conta un centinaio di religiose in una ventina di case.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

“Il mondo tra angoscia e speranza” è il titolo che, a tutta pagina, apre il giornale. Nell’ambito della riflessione quaresimale - ispirata alla “mobilitazione penitenziale per la pace” - un articolo di Alberto Migone dal titolo “Disarmare i cuori”.

Sempre in riferimento alla crisi irachena, questi gli altri titoli nel dettaglio: Ultimatum degli Usa a Saddam Hussein: “esilio o conflitto militare”. Chirac: “Ingiustificata una decisione unilaterale di ricorso alla guerra”.

 

Nelle vaticane, una pagina dedicata alla solennità di San Giuseppe, Patrono della Chiesa universale.

La presentazione, curata dal vescovo Elio Sgreccia e da Juan de Dios Vial Correa, del volume che raccoglie gli Atti dell'ottava Assemblea generale della Pontificia Accademia per la Vita, svoltasi nel febbraio 2002 ed incentrata sul tema “Natura e dignità della persona umana a fondamento del diritto alla vita”.

Un articolo dell’arcivescovo Ruppi dal titolo “Ritrovare la gioia del dono reciproco e il confronto della solidarietà nelle prove”: vent’anni fa la visita pastorale di Giovanni Paolo II a Termoli.

Un articolo di Alberto Manzoni sull'incontro tra il cardinale Tettamanzi e l’arcivescovo Martino, a Milano, nell’ambito di un convegno sul tema “Pacem in Terris, la posizione della Chiesa sulla pace”.

 

Nelle pagine estere, Medio Oriente: “L’ansia della pace ancora frustrata dalla spirale di violenze”; nuove vittime a Betlemme nello stillicidio quotidiano dello spargimento di sangue nei Territori.

Terrorismo: scatta l’allarme negli Stati Uniti.

Balcani: formato il Governo dell’Unione Serbia e Montenegro.

 

Nella pagina culturale, un elzeviro di Luigi Maria Personé dal titolo “Gli affezionati al mondan rumore”.

Nell’“Osservatore libri” un approfondito contributo di Vittorio Fazzo relativo al volume “Pagano e cristiano. Vita e mito di Costantino”, di Arnaldo Marcone, in cui viene affrontata la “vexata quaestio” della conversione dell’imperatore.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la situazione politica, con puntuale riferimento alla crisi irachena.

Il tema del terrorismo.

Un articolo sulle difficoltà legate alla regolarizzazione degli immigrati.

 

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

18 marzo 2003

 

 

NON ARRENDERSI ALL’EVIDENZA CHE LA GUERRA SIA INEVITABILE;

CHIESTA LA CONVOCAZIONE DELL’ASSEMBLEA GENERALE DELL’ONU;

APPELLO DI PACE DEL PATRIARCA ALESSIO II DI MOSCA.

CON NOI, SERGIO MARELLI, PRESIDENTE DELLA FOCSIV

- Servizio di Carla Cotignoli -

 

 

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“48 ore possono bastare per fermare la guerra. C’è ancora un margine”. Si può convocare subito l’Assemblea generale delle Nazioni Unite. E’ la  proposta d’emergenza lanciata ieri sera da responsabili di associazioni della società civile, movimenti ecclesiali e sindacati, come Acli, Azione Cattolica, Focsiv, Movimento dei Focolari, Cisl. Invocano l’applicazione di una risoluzione delle Nazioni Unite che consente questa convocazione straordinaria, perché l’Onu possa ancora avocare a sé ogni decisione ed evitare la guerra in Iraq. Si chiede perciò la mediazione dei presidenti Ciampi e Berlusconi. La parola, al microfono di Luca Collodi, a Sergio Marelli, presidente della Focsiv, tra i firmatari dell’appello:

 

R. – Questa nostra richiesta si rifà ad una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, la 377, che nel 1950 è stata varata proprio nei casi in cui il Consiglio di sicurezza non riesce a trovare una unanimità su delle questioni di fondamentale importanza per il mantenimento della pace e della sicurezza che – ricordiamolo sempre – è il mandato fondamentale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Questa risoluzione prevede la possibilità di ricorrere entro 24 ore alla convocazione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite e di riportare la sede decisionale dal Consiglio di Sicurezza al voto palese di un’assemblea dell’Onu. Pensiamo che l’attuale situazione, sia senz’altro una situazione di straordinaria preoccupazione e pericolosità. E quindi noi chiediamo che il segretario generale Kofi Annan, con la mediazione del presidente Ciampi e del presidente Berlusconi ricorra ed attui questa risoluzione per convocare urgentemente l’assemblea generale.

                

D. – Questo appello, però, decade se scatta  l’attacco unilaterale …

 

R. – Certo. Ma restiamo convinti che non bisogna in questo momento arrendersi all’evidenza che la guerra sia inevitabile. C’è ancora margine, c’è ancora possibilità di intervenire. Speriamo che alla fine – e per questo potrebbe bastare anche un solo minuto – prevalga questo senso etico di responsabilità che porta chi deve decidere ad evitare questa ennesima tragedia, questa ennesima sciagura contro l’Iraq.

 

Un forte appello ai governi perché facciano tutto il possibile per evitare il conflitto armato in Iraq, giunge dal Patriarca Alessio II di Mosca e di tutta la Russia e del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa. “La guerra in Iraq – si legge -  porterà inevitabilmente morte e sofferenze a un enorme numero di innocenti”, vi sono rischi anche di “una catastrofe ecologica” trattandosi di una regione petrolifera. “E’ una minaccia alla pace e stabilità del mondo intero”. Un’azione unilaterale che non tiene conto dell’”opinione della maggioranza dei popoli della Terra, distrugge il sistema legislativo internazionale e le istituzioni intergovernative”. Il patriarca Alessio parla del dialogo stabilito con leader religiosi e politici in Iraq. Ieri una delegazione composta da responsabili della Chiesa ortodossa russa e religiosi musulmani – informa l’agenzia Apic - ha raggiunto l’Iraq per una missione di pace.

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Anche il cardinale Camillo Ruini, a nome della presidenza della Cei, facendo eco all’appello del Papa, chiede “ai responsabili politici dell’Iraq” e “ai Paesi membri delle Nazioni Unite”, da un lato di “collaborare in maniera piena e immediata”, dall’altra di “non ricorrere all’uso della forza, finché non sia esaurita ogni possibilità di soluzione pacifica”. 

 

“San Francesco ci chiede di essere operatori di pace là dove viviamo”. Così il ministro generale dei Frati minori francescani padre Giacomo Bini nella lettera ai suoi confratelli, facendosi voce di tutti coloro che dicono “basta alla guerra, basta alla violenza, basta alla sopraffazione ingiusta e ad ogni forma di terrorismo, basta al desiderio sfrenato di potere, basta alle ingiustizie e agli squilibri sociali che stanno all’origine di ogni discordia e divisione”. Padre Bini chiede alla famiglia francescana una “preghiera personale e prolungata”, una “vita pacificata ri-centrata in Dio”, “una presenza dialogante”, “digiuno e penitenza” accompagnati da un impegno di condivisione fraterna con chi è ucciso dalla fame, “annuncio esplicito della pace” con un no ad “una sterile rassegnazione”. Insomma essere “profeti di pace che sanno porre gesti fraterni di riconciliazione e comunione”.

 

“Per la pace non è mai troppo tardi”. Anche la Caritas italiana si fa eco del messaggio del Papa e chiede di intensificare la preghiera, “perché una pace giusta possa prevalere in Iraq, in Palestina e in tutto il mondo”.  Nello stesso tempo  la Caritas italiana si unisce alla rete internazionale della Caritas  per mettere in atto un piano di urgenza di 736.000 euro per aiutare le Caritas locali ad operare efficacemente in caso di conflitto. “Caritas Iraq – informa un comunicato – ha curato la formazione di 400 medici e volontari, ha attrezzato 87 chiese come rifugi e centri di protezione per i civili, ha acquistato beni di prima necessità, attrezzature sanitarie e per la depurazione delle acque, medicinali salvavita per 40 centri sanitari”. La rete Caritas sta sostenendo anche i piani di emergenza in Siria, Giordania, Iran e Turchia, dove si prevede un flusso di centinaia di migliaia di rifugiati.

 

 

 

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CHIESA E SOCIETA’

18 marzo 2003

 

“NON DOBBIAMO MAI DIMENTICARE IL MESSAGGIO DI PACE DEL PAPA”. LO HA DETTO L’AMBASCIATORE D’ISRAELE PRESSO LA SANTA SEDE, YOSEF LAMDAN, AL CONCERTO PER RICORDARE IL TERZO ANNIVERSARIO

DELLA VISITA DEL PONTEFICE IN TERRA SANTA

- A cura di Graziano Motta -

 

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ROMA. = Il terzo anniversario del pellegrinaggio di Giovanni Paolo II in Terra Santa è stato commemorato ieri sera dall’ambasciata di Israele presso la Santa Sede con un concerto ospitato dal Pontificio Istituto di Musica Sacra nel suo prestigioso Auditorium. “Mentre nubi di guerra si addensano in Medio Oriente – ha detto in un discorso introduttivo l’ambasciatore Yosef Lamdan – tentiamo di elevare il nostro spirito e ricordiamo il messaggio di tempi migliori”. Secondo il calendario ebraico, esattamente tre anni fa alla medesima ora del concerto, il Papa atterrava in Israele proveniente dalla Giordania e l’ambasciatore, che fu presente all’evento, visse – ha detto – un’esperienza indimenticabile. “Il Papa si mosse tra di noi – ha ricordato – in modo da sembrare a suo agio e in perfetta armonia con ebrei, cristiani e musulmani. In noi suscitò ispirazione e ci diede speranza; il suo più grande desiderio – credo – era quello di immaginare un’era di pace tra i popoli israeliano e palestinese e in Medio Oriente in generale. Purtroppo, nei mesi seguenti la situazione si deteriorava. Emergeva la minaccia della guerra in un altro angolo della regione, ma noi non dobbiamo mai dimenticare il suo messaggio di pace, non dobbiamo mai perdere la speranza, dobbiamo continuare ad avere fede: la nostra fede comune nella dignità e nella santità intrinseche nell’uomo, creato ad immagine di Dio, ed anche nella possibilità di convivenza tra tutti i popoli della regione”. Al concerto hanno presenziato numerosi invitati tra cui personalità ecclesiastiche e molti ambasciatori di Paesi accreditati presso la Santa Sede. Il concerto è stato eseguito dal complesso Solaren Ensemble, un gruppo di giovani musicisti israeliani pieni di talento all’inizio della loro carriera professionale, diretti dal maestro Zvi Carmeli.

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INIZIA OGGI IN COREA DEL NORD LA MISSIONE DELL’INVIATO PERSONALE

DI KOFI ANNAN PER VERIFICARE I PROGRESSI PER FRONTEGGIARE

L’EMERGENZA ALIMENTARE

 

NEW YORK. = Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha inviato nella Repubblica democratica popolare di Corea il suo inviato personale, Maurice Strong, per una serie di colloqui con le autorità del Paese. La missione di Strong, 74 anni, canadese, inizia oggi e si concluderà sabato prossimo. Durante la visita l’inviato discuterà con il governo nord coreano dei progressi che la soluzione dell’emer-genza alimentare sta registrando in questi ultimi giorni. Ieri è infatti giunto in Corea del Nord il primo carico di aiuti alimentari da quando, il mese scorso, il Pam si era dichiarato ufficialmente costretto a sospendere gli invii per la mancanza di donazioni. Circa 48 mila tonnellate di grano provenienti dall’Unione Europea sono arrivate nella parte settentrionale della penisola coreana per alleviare le sofferenze della popolazione. La situazione resta sempre grave, ma la scorsa settimana anche la Corea del Sud, nell’ambito di un progetto di ampio respiro che mira a normalizzare le relazioni tra i due Stati, ha dichiarato la propria disponibilità per l’invio di alimenti. Per il 2003 Seul ha previsto infatti di inviare a Pyongyang circa 432 mila tonnellate di riso, donare all’Organizzazione mondiale della sanità 700 mila dollari per combattere la malaria e altri 500 mila all’Unicef per provvedere alle necessità dei bambini nord coreani. (M.A.)

 

 

IL RUOLO DELLE SCUOLE CATTOLICHE IN UNO STATO LAICO

RICHIAMATO  DALL’ARCIVESCOVO DI SINGAPORE, NICHOLAS CHIA,

AD UNA CONFERENZA SULL’EDUCAZIONE CATTOLICA. IL PRESULE HA SOTTOLINEATO

LA MISSIONE CHE LA CHIESA È CHIAMATA A SVOLGERE

NELLA FORMAZIONE UMANA E SPIRITUALE DEGLI ALUNNI

 

SINGAPORE. = Educare le giovani generazioni ai valori del Vangelo: è questa la missione che  l’arcivescovo di Singapore, mons. Nicholas Chia, affida alle scuole cattoliche nel suo Paese. In occasione della recente assemblea del Consiglio cattolico dell’educazione, il presule ha spiegato ai rappresentanti del personale che lavora nelle scuole cattoliche dell’arcidiocesi la delicatezza della loro professione: “Il vostro compito non è facile – ha detto – perché dipendete da due distinte autorità: la Chiesa e lo Stato. Voi condividete la mia responsabilità riguardo l’istruzione umana e l’educazione alla fede di tutti i ragazzi”. Questa comunanza è stata una punto centrale del suo discorso: “Condividete con me – ha spiegato - la missione di evangelizzazione e di formazione. Insieme realizzeremo quello che è essenziale per i giovani e per il mondo”.  Mons. Chia ha dedicato particolare attenzione alle modalità di relazione con i ragazzi quando si parla del Vangelo: la Buona Novella non va imposta, ma proposta. Nello stesso tempo, è necessario che le scuole cattoliche cerchino di inserire i valori del cristianesimo nel cammino di formazione scolastica. “Quando si tratta di religione, di educazione civica e morale – ha affermato mons. Chia – l’insegnamento non deve soltanto rispondere ai desideri dello Stato, ma deve essere attento alla missione della Chiesa”. Secondo i dati dell’Annuario statistico della Chiesa del 2000, la Chiesa gestisce 10 scuole materne, 20 primarie, 15 secondarie. I cattolici di Singapore sono 155 mila su una popolazione di più di 4 milioni di persone, le parrocchie 30, con circa 130 sacerdoti. (M.A.)

 

 

I PAESI LATINOAMERICANI SI MOBILITANO PER RISOLVERE LA CRISI COLOMBIANA.

DOPO UN GIRO DI CONSULTAZIONI CHE HA COINVOLTO ECUADOR, BRASILE, PERÙ,

VENEZUELA E LA STESSA COLOMBIA, È PROBABILE LA RICHIESTA DI UN INTERVENTO DELL’ONU COME MEDIATORE TRA IL GOVERNO DI BOGOTÀ

E LA GUERRIGLIA DELLE FARC

 

QUITO. = La crisi colombiana è al centro delle iniziative di pace dei Paesi dell’America Latina. In una recente intervista al quotidiano Hoy, il presidente ecuadoriano Lucio Gutierrez ha parlato di una raggiunta intesa con Venezuela, Brasile, Perù e Colombia per richiedere all’Onu una mediazione con la guerriglia delle Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia). La proposta era stata avanzata da Gutierrez a gennaio durante un incontro con il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan. Il presidente ecuadoriano aveva espresso appoggio e collaborazione nei confronti di un eventuale iniziativa da parte delle Nazioni Unite ma le scarse probabilità che la guerriglia accettasse l’intervento dell’organismo, non fecero decollare immediatamente il progetto. Annan comunque incoraggiò Gutiérrez a consultare i Paesi della regione. L’Ecuador patisce le conseguenze della guerra civile in atto nella confinante Colombia da 40 anni. Dalla Colombia arrivano infatti in Ecuador non solo rifugiati e sfollati, ma anche trafficanti di droga che poi impiantano coltivazioni e laboratori per la raffinazione. Ora dopo una serie di consultazioni con il capo di Stato colombiano, Alvaro Uribe, e i suoi omologhi venezuelano, Hugo Chavez, brasiliano, Luiz Inácio Lula da Silva e peruviano, Alejandro Toledo si dovrebbe arrivare ad una formale richiesta di intervento da parte dell’Onu. Intanto la crisi colombiana è già approdata sui tavoli degli organismi dell’Onu. La Commissione dei diritti umani, riunita in questi giorni a Ginevra per la sua 59.ma sessione, discute proprio oggi sulla situazione e il rispetto dei diritti umani nel Paese latinoamericano. (M.A.)

 

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24 ORE NEL MONDO

18 marzo 2003

 

- A cura di Giada Aquilino -

 

La crisi irachena domina la cronaca internazionale, ma mentre il mondo confida ancora nella via diplomatica per scongiurare un secondo conflitto nel Golfo altre emergenze si affacciano sull’area mediorientale. Nuovi scontri a fuoco sono avvenuti nelle ultime ore nella zona di Betlemme, con un bilancio di due morti: un israeliano ed uno dei più importanti capi militari di Hamas in Cisgiordania. Sul lato politico, il Consiglio legislativo palestinese ha definitivamente approvato oggi l'attribuzione di pieni poteri al futuro premier Abu Mazen. Il servizio di Graziano Motta:

 

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Il Consiglio legislativo palestinese riunito a Ramallah ha negato a Yasser Arafat i pieni poteri che pretendeva sul governo, ma su alcuni punti ha accettato un compromesso: il presidente del Consiglio si consulterà con Arafat sulla nomina e sulla distribuzione dei ministri. Ha accolto infine la proposta che il premier sia affiancato da due vice. E’ stata una battaglia non facile e l’ha spuntata il Parlamento, sostenendo che in un regime democratico spetta ai deputati e non al rais il controllo dell’esecutivo. Questa chiarificazione dovrebbe consentire a Mahmud Abbas (Abu Mazen), il primo ministro designato da Arafat, di accettare l’incarico e di avviare la formazione del governo e dovrebbe pure superare le riserve degli Stati Uniti e d’Israele per la riattivazione del dialogo di pace. Intanto con l’avvicinarsi del conflitto in Iraq, il comando della difesa israeliana ha dato l’ordine alla popolazione civile di approntare una stanza a tenuta stagna in ogni appartamento, dotandola di acqua, viveri, torce elettriche, radio, portatili e quanto necessario per l’emergenza.

 

Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.

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E nei Territori non si placano le polemiche sulla morte, domenica scorsa nella Striscia di Gaza, di una pacifista americana dell’International Solidarity Movement, Rachel Corrie, travolta da un bulldozer israeliano a Rafah, mentre cercava di impedire la distruzione di un’abitazione palestinese. Per i soldati, si è trattato di una morte accidentale, ma molti testimoni non concordano con questa tesi. Nella Striscia di Gaza, Francesca Sabatinelli ha raggiunto Laura Rossi, volontaria italiana e amica di Rachel. A lei ha chiesto quale sia la linea d’azione degli israeliani a Rafah:

 

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R. – Sistematicamente, ogni giorno, stanno distruggendo abitazioni civili palestinesi, perché gli israeliani vogliono creare un’area di sicurezza sulla frontiera. Soltanto negli ultimi due anni sono state distrutte a Rafah mille abitazioni, tra cui 200 nell’ultimo mese. Le organizzazioni umanitarie, dunque, hanno deciso di stabilire una presenza qui proprio per fare in modo di interporsi tra l’esercito israeliano e le case, per cercare di evitare queste demolizioni. In un’azione di questo tipo purtroppo Rachel è stata uccisa. La percezione che noi abbiamo è che, fino a qualche tempo fa, il fatto di avere un passaporto europeo o americano ci tutelava, adesso sentiamo che non è più così. C’è proprio una politica sistematica di impedire l’aiuto umanitario. Le ambulanze vengono bloccate per ore e viene impedito l’accesso alle cure mediche. Qui le Convenzioni di Ginevra sono carta straccia.

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L'Algeria “condanna energicamente il colpo di forza” che ha messo fine al potere del presidente della Repubblica Centrafricana, Ange Félix Patassé. E’ questa una delle reazioni internazionali al golpe ordito domenica scorsa dall’ex capo di Stato maggiore, generale Bozizé. La capitale Bangui, dove è stato imposto il coprifuoco, è ancora in balia di bande armate agli ordini del generale golpista. Sentiamo Giulio Albanese:

 

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Nel corso di un discorso radiofonico, il generale golpista ha promesso che punirà coloro i quali tra i ribelli hanno messo a ferro e fuoco la città, svaligiando abitazioni private e compiendo ogni sorta di atti vandalici. Numerose sarebbero le vittime, sebbene non sia possibile disporre di cifre ufficiali. Il personale missionario risulta incolume al fianco delle comunità cristiane locali, provate dalla violenza. Sul piano internazionale va segnalata la dura condanna dell’Unione africana, che ha espresso piena solidarietà al deposto presidente Patassé, attualmente in esilio nel Camerun.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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E’ in corso al Parlamento di Belgrado il dibattito sulla ratifica della nomina di Zoran Zivkovic a capo del governo serbo, dopo l'uccisione mercoledì scorso del premier Zoran Djindjic. Zivkovic, già ministro dell'Interno jugoslavo, viene considerato un uomo vicino a Djindjic, all’interno del Partito democratico, il più importante nella coalizione di governo dell’Opposizione democratica serba.

 

Torna la violenza nelle Filippine. Diciotto persone sono morte e diverse altre sono rimaste ferite stanotte dopo che i ribelli del Fronte Moro di liberazione islamico hanno bloccato l’autostrada per Cotabato, nell’isola meridionale di Mindanao, aprendo il fuoco contro due camion carichi di passeggeri. Nelle stesse ore, a Cotabato, un ordigno è esploso davanti alla cattedrale dell’Immacolata Concezione, ferendo tre persone.

 

Proseguire le riforme economiche, iniziate negli ultimi anni in Cina. E’ l’impegno del nuovo primo ministro cinese Wen Jiabao che ha tenuto oggi una conferenza stampa al Palazzo dell'Assemblea del Popolo di Pechino. Wen ha ricordato che il problema principale della Cina è oggi ''la lenta crescita del reddito nelle campagne''. Di seguito, ha aggiunto, vengono il problema delle imprese pubbliche che non riescono a modernizzarsi, quello della crescente disoccupazione, lo sviluppo ineguale tra est ed ovest e l'inefficienza del sistema bancario. Il nuovo premier ha inoltre assicurato che la democrazia avanzerà in Cina con la messa a punto di un ''moderno sistema legale'' e con una maggiore apertura del processo decisionale.

 

E' salito a 123, ad Hong Kong, il numero delle persone contagiate dalla misteriosa infezione polmonare che ha indotto nei giorni scorsi l'Organizzazione mondiale della sanità a lanciare l'allarme per il pericolo di epidemie. Anche in Australia le autorità sanitarie stanno investigando su 21 possibili casi di contagio. La grave sindrome respiratoria ha già ucciso otto persone nel sud dell'Asia e una in Canada. Tracey McClure ha intervistato il prof. Roberto Cauda del reparto malattie infettive dell’Università Cattolica-Gemelli:

 

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R. - E’ bene ricordare che possono sorgere sospetti in presenza di una febbre che superi i 38, che si associ a sintomi respiratori importanti e anche di un caso di viaggio a Hong Kong, in Cina, o nel Vietnam e di stretti contatti con persone affette da una patologia simile. In questi casi una diagnostica radiologica, di laboratorio va iniziata. E devono essere pure messe in atto quelle precauzioni per prevenire la trasmissione per via aerea - l’uso di maschere, di camici sterili - e per limitare al massimo le possibilità ed i rischi del contagio.

 

D. – Quanto dobbiamo essere preoccupati?

 

R. – Direi che un livello di attenzione è giusto, anche perché ci sono state delle segnalazioni. Ma al momento si tratta di numeri ancora molto contenuti, che giustificano l’attenzione ma nessuna preoccupazione.

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