RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 76 - Testo della Trasmissione  lunedì 17 marzo 2003

 

Sommario

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il grido del Papa ieri: “Mai più la guerra!”, mentre cresce nella comunità internazionale il fronte del ‘no’ ad un attacco armato all’Iraq: ai nostri microfoni, Giorgio Rumi, l’arcivescovo Renato Martino, Alberto Negri ed il vescovo Shlemon Warduni

 

 Domenica prossima in Vaticano, cinque nuovi beati saranno elevati agli onori degli altari. Tra questi, il sacerdote francese Pierre Bonhomme: intervista con il postulatore, Andrea Ambrosi.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

L’ombra cupa della crisi irachena sui lavori della Commissione dell’Onu per i diritti umani, aperta stamane a Ginevra: con noi, Marco Bertotto.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Un anno fa veniva ucciso in un agguato l’arcivescovo di Cali, mons. Isaías Duarte Cancino

 

 Le agenzie umanitarie si preparano in Giordania per l’arrivo dei profughi provenienti dall’Iraq

 

 Compie un anno Envisat, il più grande satellite per l’osservazione della Terra mai messo in orbita

 

 Documento dei vescovi della Bolivia sulla situazione idrica del Paese.

 

24 ORE NEL MONDO:

Due incursioni in Medio Oriente: 9 morti e diversi feriti

 

 Vittoria del centro alle legislative ieri in Finlandia

 

Golpe nella Repubblica Centroafricana: Bangui saccheggiata dai ribelli

 

Successo del Fronte ex-guerrigliero alle elezioni comunali e legislative in Salvador

 

Attentato nell’India nord- orientale: 11 morti e 50 feriti.

 

 

 

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

17 marzo 2003

 

 

 

“MAI PIU’ LA GUERRA”:

 VASTA ECO NELL’OPINIONE PUBBLICA AL GRIDO DEL PAPA DI IERI.

LA FEDE DI GIOVANNI PAOLO II NEL CREDERE OLTRE OGNI SPERANZA,

LA FEDE NELLA PREGHIERA E NELLA CONVERSIONE

 

 

“Il grido del Papa: mai più la guerra”. “Ho visto la guerra. Mai più un altro conflitto”. “L’appello di Wojtyla: non è troppo tardi per negoziare”. “Ho vissuto l’orrore delle armi, devo ricordarlo ai più giovani”. “C’è ancora spazio per la pace”. Vasta l’eco sulla stampa al grido di pace lanciato ancora una volta da Giovanni Paolo II, ieri all’Angelus. Nella stessa prima pagina dei quotidiani, campeggiano altri titoli: “Bush all’Onu: è il giorno della verità”. “Bush ultimatum all’ONU”. E’ il tam tam della guerra che sembra farsi sempre più vicina. Ma il Santo Padre ha detto anche altro. Servizio di Carla Cotignoli:

 

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Ieri il Papa ha lanciato innanzitutto un forte richiamo a “non perdere la fiducia di fronte a quest’umanità segnata da gravi squilibri e tanta violenza”. “Su questo mondo si riflette – ha detto Giovanni Paolo II – l’Amore di Dio che rifulge in pienezza sul volto di Cristo”. Riascoltiamo le sue parole:

 

“Solo Cristo può rinnovare i cuori e ridare speranza ai popoli. L’odierna liturgia, presentando il misterioso evento della Trasfigurazione, ci fa sperimentare la potenza della sua luce, che vince le tenebre del dubbio e del pale. In questa prospettiva di fede, desidero rinnovare un pressante appello a moltiplicare l’impegno della preghiera e della penitenza, per invocare da Cristo il dono della sua pace. Senza conversione del cuore non c’è pace”.

 

“In questa prospettiva di fede”. Il significato profondo di questa parola: “fede”, il Papa ce l’ha ricordato con la forza della comunicazione poetica dei versi finali del Trittico Romano, quando rievoca l’avventura di fede di Abramo, il Padre di ebrei, cristiani e musulmani; e, strana coincidenza, iniziò proprio a Ur dei Caldei, l’attuale Iraq. “In quella terra di Caldea – scrive il Papa – Abramo udì quella voce: ‘Vai’”. “Abram decise di seguire la Voce. La Voce proferiva: diventerai il padre di molti popoli, la tua discendenza si moltiplicherà, come la sabbia sulla riva del mare”. “Come può avverarsi una simile promessa – meditò Abram, quando la natura mi ha negato i dono della paternità?”. Abram credette. “Un anno dopo insieme con Sara gioivano della nascita del figlio, anche se erano avanti con gli anni”. “Abramo: questo nome significherà: ‘Colui che credette contro ogni speranza’”. Si può leggere qui  la rivelazione più profonda di ciò che spinge il Papa in questa impari lotta per la pace. E Abramo credette in quella promessa di paternità anche quando salendo sul monte si preparava a sacrificare il suo figlio. Ma la sua mano fu fermata. Non di meno esige il Vangelo: “Se avrete fede come un granello di senape e direte a questo monte spostati, il monte si sposterà”. La fede entra in gioco proprio quando umanamente tutto dice il contrario. Non è forse questa la conversione più profonda che il Papa chiede?

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INZIATA IN VATICANO LA VISITA AD LIMINA DEI VESCOVI DELL’INDONESIA

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

         Giovanni Paolo II ha ricevuto questa mattina un primo gruppo di presuli dell’Indonesia, giunti a Roma per la loro visita ad Limina. I cinque arcivescovi accolti dal Pontefice erano guidati dal presidente della locale Conferenza episcopale, il cardinale Julius Riyadi Darmaatmadja, alla guida dell’arcidiocesi di Jakarta.

 

         L’arcipelago indonesiano, il più vasto al mondo, si trova in una posizione ponte tra il continente asiatico e l’Oceania, e raggruppa circa 15 mila isole di varie dimensioni, di cui solo la metà abitate, e distribuite esattamente a cavallo dell’equatore. Analoga all’estrema frammentarietà territoriale è la composizione etnica della popolazione, stimata attorno ai 210 milioni e formata da giavanesi, sundanesi, malesi e maduresi, oltre ad altri ceppi minoritari. L’Indonesia è anche il più popoloso Stato a maggioranza musulmana, di poco inferiore al 90 per cento. I battezzati, secondo l’Annuario statistico della Chiesa cattolica del 2000, sono oltre sei milioni, distribuiti in poco più di mille parrocchie. La gerarchia della comunità ecclesiale indonesiana conta 41 vescovi, 1.100 sacerdoti secolari e 1.770 religiosi. I diaconi sono 14, circa 7 mila le religiose e 22 mila i catechisti.

 

         Le sanguinose pagine di violenza che per tre anni avevano visto musulmani e cristiani in lotta fra loro nell’arcipelago delle Molucche, con la morte di 13 mila persone, sono ormai solo un drammatico ricordo. Da un anno, l’accordo di pace siglato dalle due comunità ha riportato un clima di distensione reciproca nell’area, così come il governo del presidente Megawati Sukarnoputri può ascrivere tra i successi del proprio operato una parziale ripresa dell’economia, gravemente danneggiata dalla crisi del ‘98. Proprio il miglioramento dei conti pubblici ha indotto i Paesi creditori ad accordare a Giakarta, nel maggio 2002, una ristrutturazione del debito estero per circa 5 miliardi e mezzo di dollari. Quello in corso, per l’Indonesia, è anche il primo anno dalla definitiva chiusura della vicenda di Timor Est, dopo l’elezione a presidente dello storico leader indipendentista Gusmao e la formale proclamazione dell’indipendenza dell’ex colonia portoghese avvenuta il 20 maggio 2002.

 

 

RINUNCIA E NOMINA IN KENYA

 

Il Santo Padre ha accettato, sabato scorso, la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Machakos nel Kenya, presentata da mons. Urbanus Joseph Kioko, in conformità al Codice di Diritto Canonico. Allo stesso incarico il Papa ha nominato il rev. Martin Musonde Kivuva, del clero di Mombasa, co-direttore della Società cattolica di produzione televisiva “Ukweli Video” di Nairobi.  

 

 

DOMENICA PROSSIMA AVREMO 5 NUOVI BEATI TRA I QUALI PIERRE BONHOMME,

SACERDOTE FRANCESE FONDATORE DELLE SUORE

DI NOSTRA SIGNORA DEL CALVARIO.

CON NOI IL POSTULATORE AVVOCATO ANDREA AMBROSI

- Servizio di Giovanni Peduto -

 

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Tutta la vita di Pierre Bonhomme, che non è stata lunga, si è svolta nella prima metà del 1800. Difatti è nato nel 1803 ed è morto nel 1861. Non si è mai spostato dalla sua diocesi di Cahors. Sin da fanciullo ha anticipato quelle disposizioni che poi si manifesteranno in età matura: viva intelligenza, amore per lo studio, facilità di apprendere e poi di esprimersi, profondo sentimento religioso, tendenza alla semplicità ed alla povertà. Il seminario di Cahors l’ha visto alunno dal 1818 al 1823, prima, poi dal ’24 al ’27. C’è stato un intervallo di quasi due anni in cui lui è uscito dal seminario perché non sentiva la vocazione. Aveva ancora un certo trasporto per lo svago, il divertimento, i giochi; per cui, profondamente onesto com’era, è uscito dal seminario e ha frequentato il Collegio Reale di Cahors per studiare lettere ed in un biennio è arrivato al baccellierato con voti molti alti, tanto da meritarsi una borsa di studio. Rientrò poi in seminario e fece gli studi in modo molto determinato. Essendo quella di Cahors, nella prima metà dell’800, una zona abbastanza depressa dalla Francia una Francia che usciva dalla Rivoluzione francese e si trovava arretrata sotto tanti punti di vista Pierre Bonhomme, ordinato sacerdote, sentì viva l’esigenza di far studiare i tanti ragazzi che erano per strada senza un futuro. Quindi, si diede prima all’educazione, poi si prese anche cura delle persone disagiate. Nel 1832 fondò la Congregazione delle Figlie di Maria, che l’anno dopo sono diventate l’Istituto di Nostra Signora del Calvario, con lo scopo dell’educazione dei bambini e l’assistenza ai poveri, agli anziani, agli alienati mentali e ai sordomuti. Un gruppo molto numeroso di questi ultimi, di cui ancora si occupano le sue Suore, sarà presente il giorno 23 in Piazza di San Pietro. Questa attività rendeva Pierre Bonhomme in quell’epoca indubbiamente un sacerdote molto all’avanguardia. Ma cediamo la parola al postulatore della causa di Beatificazione, l’avvocato Andrea Ambrosi:

 

“Noi lo possiamo in primo luogo definire come un testimone della speranza per il mondo d’oggi: difatti la speranza è stata il filo conduttore della sua vita. Pierre Bonhomme aveva una capacità straordinaria di superare gli ostacoli per realizzare la volontà di Dio e di ostacoli ne ebbe veramente tanti. E’ stato un missionario instancabile, molto attento ai segni dello Spirito; sempre pronto a rispondere ai bisogni della Chiesa e del mondo del suo tempo, con attenzione particolare alle persone sofferenti. Ha imboccato ogni strada che sapesse di carità. E’ andato sempre verso gli altri. Poi c’è un punto che vale la pena sottolineare, e cioè la devozione a Maria. Egli, Maria l’ha sempre considerata il veicolo ideale per arrivare al Figlio Gesù: non per nulla è nato ed è vissuto a due passi dal santuario mariano di Nostra Signora di Rocamadour, dove lui si recava quotidianamente per trovare la forza, la serenità e la gioia. E proprio a Maria del Calvario ha affidato la sua Congregazione, che conta oggi alcune centinaia di religiose con una cinquantina di case in Francia, Costa d’Avorio, Guinea, Filippine, Argentina, Paraguay e Brasile. 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

“C’è ancora spazio per la pace” è il titolo che, a tutta pagina, apre il giornale: all’Angelus, ancora un forte e accorato appello di Giovanni Paolo II, che ha ribadito con vibrante accento: “Mai più la guerra!”.

Nell’ultima pagina, incorniciato da una particolare impaginazione, il testo integrale dell’Angelus e del dopo Angelus. Inoltre, un contributo di Andrea Riccardi dal titolo: “Testimone della storia del Novecento”.

 

Nelle vaticane, la recita del Rosario guidata da Giovanni Paolo II con gli universitari d’Europa: “Con la fervorosa recita del Rosario si possono cambiare le sorti del mondo”. Il Messaggio del Santo Padre al Ministro generale dei Frati Minori Conventuali, in occasione del IV centenario della nascita di San Giuseppe da Copertino.

Un articolo sulla presa di possesso da parte del cardinale Joseph Ratzinger della chiesa suburbicaria di Ostia.

 

Nelle pagine estere, si sottolinea che sono “ore di angoscia per le minacce alla pace e di dolore per le vittime di una violenza senza più freni”.

Iraq: sempre più incombente la prospettiva della guerra. Medio Oriente: non s’interrompe il tributo di sangue innocente.

Colpo di Stato nella Repubblica Centroafricana con vittime e saccheggi.

 

Nella pagina culturale, un contributo di Danilo Veneruso dal titolo: “Un crocevia della storia che portà tra esitazioni e ripensamenti al ripudio della scelta terroristica”: a cinquant’anni dalla morte di Stalin.

Un articolo di Franco Patruno dal titolo: “Da Renoir a de Stael: l’arte moderna nello sguardo acuto di Roberto Longhi”. Una rassegna a Ravenna offre una poliedrica riflessione sull’opera del grande critico.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la situazione politica, con il costante riferimento alla crisi irachena. Il tema della giustizia.

L’uccisione, a Milano, di un giovane dei centri sociali, dopo un litigio in strada.

La persistente emergenza legata alla violenza negli stadi.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

17 marzo 2003

 

 

SI ALLARGA NELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE IL FRONTE DI OPPOSIZIONE

AD UN ATTACCO ARMATO ALL’IRAQ: RIBADITO STAMANE IL ‘NO’ ALLA GUERRA

DI FRANCIA, RUSSIA, CINA E GERMANIA,

 MA PROSEGUONO I PREPARATIVI DEGLI STATI UNITI AL CONFLITTO

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

         Un “no” deciso all’ipotesi della guerra in Iraq. All’unisono, stamani, i governi di Francia, Russia, Cina e Germania hanno ribadito la loro ferma opposizione all’ipotesi di una risoluzione dell’Onu che legittimi il ricorso alla forza per disarmare l’Iraq, come proposto ieri – nel vertice delle Azzorre – da Bush, Blair e Aznar. Sul fronte opposto, invece, Giappone e Australia hanno assicurato appoggio agli Americani anche nel caso di un ricorso alla forza senza il placet delle Nazioni Unite e il premier britannico ha convocato per il pomeriggio una riunione d'emergenza del governo. D’altro canto, a testimoniare l’imminenza di un escalation militare, il governo degli Stati Uniti ha invitato gli ispettori sul disarmo a lasciare quanto prima il territorio iracheno. Sempre stamani, poi, un portavoce dell’Onu ha dichiarato che tutti gli osservatori che controllano il confine tra Kuwait e Iraq si sono ritirati dalla zona smilitarizzata alla frontiera. Il mondo segue, dunque, con preoccupazione gli sviluppi della crisi non disperando in una soluzione che eviti il ricorso alle armi. E’ di stamani, l’appello rivolto dal patriarca ortodosso russo Alessio II ai “governi di tutti i Paesi del mondo”, perché fermino i preparativi di guerra. Ma ascoltiamo la riflessione del prof. Giorgio Rumi, docente di Storia contemporanea all'Università statale di Milano, sull’estrema esortazione del Papa, che ieri all’Angelus ha invitato, soprattutto i giovani, a dire “mai più la guerra”.

 

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D. – Il Papa è stato protagonista nella seconda guerra mondiale, ha sofferto in prima persona, è polacco, sa cosa vuole dire un attacco ingiusto da due parti, una tenaglia mortale che ha stritolato la Polonia con sofferenze immense. Sa che cosa è la guerra di difesa, ma si rende anche conto che bisogna innovare la metodologia che ha portato al disastro sia del ’14-’18 - e suo padre era militare - e sia del ’39-’45. Avendo sofferto in proprio arriva a questo orientamento definitivo, non si può continuare sulla medesima strada della prima metà del novecento: bisogna cambiare. E individua in una nuova metodologia e nell’attività delle organizzazioni internazionali strumenti importanti per avviarci al superamento di questo stile di relazioni fra i popoli.

 

D. – A proposito di relazioni fra i popoli il mondo sembra essersi spaccato sull’Iraq. Quali conseguenze dobbiamo aspettarci nell’immediato e nel medio periodo?

 

R. – Sul breve periodo le conseguenze non sono piacevoli, perché la spaccatura c’è e soprattutto riguarda l’Europa e poi riguarda i rapporti tra Europa e Stati Uniti sulla cui collaborazione si regge tutto il nostro mondo, da tutto il ‘900. Quello che abbiamo fatto, anche in termini di diffusione della libertà e della democrazia, deriva da un accordo tra le due sponde dell’Atlantico, questa è la verità. Vedere che tutto vada in fumo è uno spettacolo tragico, bisognerà ricucire. L’operazione non è semplice, probabilmente ci sono stati errori dall’una e dall’altra, fraintendimenti da ambedue le parti.

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Tra le voci, che, in questi ultimi mesi, si sono levate con forza per indicare la necessità di una via pacifica alla crisi irachena, quella dell’arcivescovo Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, che – al microfono di Luca Collodi – ribadisce l’inaccettabilità della guerra quale strumento per risolvere le controversie tra i popoli:

        

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Al figlio che chiede pane non date un sasso; ad un popolo che da 12 anni chiede pane, ci si appresta a dare 3 mila bombe. E’ un crimine contro la pace che grida vendetta al cospetto di Dio. Preghiamo che non si abbattano sull’umanità le bibliche piaghe di una guerra spaventosa. Che farà la Chiesa? Insisterà ancora di più sulla necessità ed urgenza della pace. E come sempre sarà il Buon Samaritano che si inchinerà a fasciare le piaghe di un popolo ferito e derubato.

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Se, dunque, la macchina bellica statunitense sembra pronta a sferrare l’attacco e la diplomazia gioca le sue ultime carte, c’è un popolo intero – quello iracheno – che vive con angoscia queste ore, che potrebbero precedere l’ennesimo conflitto nella regione. Ascoltiamo la testimonianza da Baghdad di Alberto Negri, inviato speciale de “Il Sole 24-Ore”, raggiunto telefonicamente da Fausta Speranza:

 

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R. – Le file ai distributori di benzina per procurarsi l’ultimo carburante disponibile: questo è quasi un paradosso nel Paese che dispone di risorse enormi di petrolio, ma è così. Poi, soprattutto, le piccole misure di vita quotidiana che stanno prendendo tutti: a parte fare riserve di cibo, nelle case si è cominciato quasi ovunque ad attaccare lo scotch ai vetri contro i contaccolpi di bombardamento, e c’è a volte una risata quasi isterica, quando si domanda: ‘Ma che cosa farete?’, ‘Combatteremo, resisteremo, abbiamo avuto e fatto tante guerre, abbiamo visto tanti morti, resisteremo anche questa volta, supereremo anche questa prova!’, ma è chiaro che si sente la sensazione che questa volta non sarà affatto come tutte le altre.

 

D. – C’è una differenza nell’atteggiamento delle persone più adulte, più anziane ed i giovani?

 

R. – Non c’è una grande differenza, ma è chiaro che i giovani affrontano questa prova – devo dire – in un modo assolutamente incredibile, perché qui ci troviamo di fronte alla terza generazione – quasi – ‘perduta’: questo era un Paese avanzato da un punto di vista economico, sociale, dove c’erano scuole, Istituti di alto livello, dove si veniva a studiare dal resto del mondo arabo. Oggi, gli studenti iracheni e gran parte della gioventù fanno una fatica enorme a concludere i loro studi in una condizione economica delle famiglie molto grave e oggi questi giovani – ricordiamo che il 40-50 per cento della popolazione è sotto i 15 anni – queste generazioni ‘perdute’ dell’Iraq sono forse quelle che soffriranno più di tutti gli altri gli eventi di questo conflitto.

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Anche in questo momento di paura e di sofferenza del popolo iracheno, resta viva nei cristiani dell’Iraq la speranza di un futuro migliore, una speranza sorretta da una fede incrollabile come spiega mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad, al microfono di Fabio Colagrande.

 

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Noi diciamo alla gente di amarsi gli uni con gli altri, come Dio ci ama. La guerra semina la discordia, l’odio, la povertà e tutta la cultura regredisce. Perciò diciamo a tutti di cooperare per la pace. Questa pace viene solo da Dio. Quindi bisogna cooperare per la fede, perché se c’è una vera e profonda fede, quella fede chiama all’amore e quell’amore chiama all’unità. Ma in guerra c’è la disunità, c’è l’odio. Noi diciamo a tutti quanti di avere misericordia dei bambini iracheni, di avere pietà dei giovani iracheni, dei nostri vecchi, delle nostre donne, che sono disperati. Quindi, noi diciamo: “Seminiamo la pace, seminiamo l’amore e l’unità mondiale”.

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L’OMBRA CUPA DELLA CRISI IRACHENA E LA MINACCIA DI GUERRA

 GRAVANO NELL’ATMOSFERA DELLA 59.MA SESSIONE

DELLA COMMISSIONE DELLE NAZIONI UNITE PER I DIRITTI UMANI

 CHE SI E’ APERTA OGGI A GINEVRA

- Servizio di Mario Martelli -

 

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Nelle sei settimane di lavori nel Palazzo delle Nazioni di Ginevra, i 53 Stati membri della Commissione dovranno discutere ed esaminare una fitta agenda che include una nutrita serie di violazioni dei diritti umani: dal razzismo ai diritti delle minoranze, a quelli dei lavoratori migranti, alla prevenzione della violenza contro le donne, ai diritti dell’infanzia, alla prevenzione della tortura, alle esecuzioni sommarie, all’intolleranza religiosa, alla promozione dei diritti economici, sociali e culturali, al diritto allo sviluppo.

 

Sergio Vieira de Mello, Alto Commissario Onu per i diritti umani, ha ricordato - nella sua dichiarazione all’inizio della sessione - che il mondo vive attualmente un periodo di particolari convulsioni: un mondo colpito non solo dalla crisi irachena, che domina nelle prime pagine dei giornali, ma anche da tutti gli altri mali che colpiscono milioni di vite umane, non solo in Africa, ma anche in altri continenti. Ha parlato di fame, terrorismo, Aids, della situazione tragica in Israele e nei territori palestinesi occupati, della sicurezza dei civili nel caso di conflitti armati. Su questa terra - ha detto - non esistono dei paradisi dei diritti umani, ed ha concluso incitando la Commissione ad operare con successo perché i tempi attuali non divorino le nostre speranze.

 

         La presidenza di questa sessione è stata affidata all’ambasciatrice libica Najat el Mehdi  Al-Hajjaji. La sua nomina aveva sollevato contestazioni per lo scarso rispetto dei diritti umani osservato nel suo Paese, ma nel discorso inaugurale, la rappresentante di Tripoli ha sottolineato il suo impegno ad essere presidente di tutti i membri della Commissione, di tutti gli osservatori delle organizzazioni non governative, e di voler prendere in considerazione ogni idea costruttiva, ogni opinione e punto di vista. Ha messo in rilievo anche l’impegno del governo della Libia, annunciando un contributo di un milione di dollari per i programmi della Commissione e di un altro milione di dollari per i fondi a favore delle vittime di gravi violazioni dei diritti umani ed altre attività dei servizi dell’Alto Commissariato Onu.

 

Da Ginevra, Mario Martelli per la Radio Vaticana.

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Le violazioni dei diritti umani presentano a tutt’oggi una geografia purtroppo estesa in molte zone del pianeta. Sull’argomento, Marina Tomarro ha sentito Marco Bertotto, presidente di Amnesty Italia:

 

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R. - Oltre alla questione della lotta al terrorismo, c’è il problema dell’Iraq che evidentemente sarà centrale e noi ribadiremo alla Commissione per i diritti umani la nostra richiesta di inviare immediatamente osservatori sui diritti umani nella regione. Ci sono però altre situazioni in cui i diritti umani sono sistematicamente violati: situazioni in cui la comunità internazionale non ha ancora adottato misure sufficienti a garantire la protezione dei civili. Ci auguriamo che la Commissione possa adottare misure efficaci in questo senso.

 

D. - Parlando della questione irachena: come si porrà la Commissione in caso di attacco improvviso?

 

R. - La Commissione dovrà richiedere la protezione dei civili, il rispetto delle norme umanitarie. Il rischio che finora non è stato tenuto in considerazione è proprio quello delle conseguenze devastanti, dal punto di vista della crisi dei diritti umani, che potrebbero manifestarsi nei confronti di una popolazione che già ha sopportato le peggiori conseguenze dell’embargo e di una guerra che non è mai cessata.

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CHIESA E SOCIETA’

17 marzo 2003

 

 

UN ANNO FA VENIVA UCCISO IN UN AGGUATO L’ARCIVESCOVO DI CALI,

MONS. ISAÍAS DUARTE CANCINO. TUTTA LA CHIESA IN COLOMBIA

 LO HA RICORDATO COME UN “PROFETA CHE PARLÒ CON GRANDE CHIAREZZA”

 E “UN MARTIRE MODERNO DELLA CHIESA”

- A cura di Maurizio Salvi -

 

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BOGOTA’. = La Chiesa colombiana ha dedicato l’intero fine settimana alle commemorazioni della figura dell’arcivescovo di Cali, mons. Isaías Duarte Cancino, ucciso un anno fa a colpi d’arma da fuoco davanti alla sua chiesa. Già sabato i fedeli erano stati chiamati a partecipare nella cattedrale di San Pedro a Cali ad una breve, ma intensa cerimonia durante la quale autorità civili, militari e religiose si sono unite in una preghiera per la pace in Colombia. Ma l’atto centrale della commemorazione è avvenuto ieri, nella cattedrale di Medellín dove pure mons. Duarte Cancino fu vescovo per sette anni. Qui l’arcivescovo della città, mons. Alberto Giraldo Jaramillo, si è rivolto ai fedeli nella basilica metropolitana, sostenendo che “questo anniversario per noi, fratelli vescovi, è un momento di grazia molto importante, perché torniamo ad interrogarci sul coraggio e la chiarezza per parlare delle cose appropriate nell’attuale situazione del Paese. E mons. Isaías – ha concluso – fu un profeta che parlò con grande chiarezza”. Nello stesso senso, mons. Flavio Calle Zapata, vescovo fino a poco tempo fa della diocesi di Sonsón-Rionegro, che è stato minacciato di morte, ha sostenuto che il religioso assassinato è un martire moderno della Chiesa, un martire dei diritti fondamentali della persona umana, specialmente nella difesa della vita. “Il suo insegnamento ci permette di sostenere – ha concluso – che è ora di andare a cercare la soluzione alle crisi che ci colpiscono, non con la guerra totale, ma con la razionalità, il dialogo pulito e sincero ed il sacrificio di parte delle nostre posizioni, con l’obiettivo di raggiungere la pace”.

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LE AGENZIE UMANITARIE SI PREPARANO IN GIORDANIA PER L’ARRIVO DEI PROFUGHI PROVENIENTI DALL’IRAQ. SECONDO IL PAM SI RISCHIA LA CATASTROFE UMANITARIA:

SI TEME CHE NON BASTINO LE RISORSE ALIMENTARI E SANITARIE E CHE DALLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE NON ARRIVINO FONDI PER PROVVEDERE AGLI AIUTI

 

AMMAN. = Prosegue il lavoro delle organizzazioni umanitarie per rispondere all’emergenza che potrebbe essere causata da un attacco all’Iraq. Ad Amman, capitale della Giordania, squadre di volontari di diverse agenzie si preparano a fare fronte all’arrivo di profughi, alla mancanza di cibo ed alle necessità sanitarie. Nei giorni scorsi è giunta un’equipe di funzionari dell’Unicef con un carico di 1,6 tonnellate di aiuti alimentari per soccorrere i bambini iracheni profughi. Caritas e Medicine du Monde hanno inviato medici, infermieri e volontari sanitari provenienti da Grecia, Finlandia e Francia. Il Programma alimentare mondiale (Pam), nella periferia di Amman, provvede ad immagazzinare riserve alimentari per il possibile arrivo di centinaia di migliaia di persone, mentre nel nord orientale del Paese, vicino al confine con l’Iraq, si stanno allestendo due campi profughi. Secondo le organizzazioni umanitarie internazionali, la guerra rischierebbe di far soffrire per mancanza di cibo il 60 per cento della popolazione irachena. Circa 16 dei 25 milioni di iracheni vivono grazie agli aiuti alimentari distribuiti dall’Onu in base al programma “cibo per petrolio”, ma la guerra bloccherebbe ogni rifornimento: secondo il portavoce regionale del Pam, Khaled Monsour, le attuali scorte in Iraq basterebbero per non più di sei settimane. In tutta la regione, invece, le riserve di cibo – farina, cereali, biscotti – aiuterebbero 900 mila persone per un periodo di sei mesi ma, secondo alcune stime, i profughi potrebbero essere 1,5 milioni. All’interno dell’Iraq invece l’emergenza coinvolgerebbe circa 2 milioni di persone; troppe per i 13 dipendenti del Pam attualmente presenti a Baghdad. Il Pam ha chiesto un contributo internazionale di 23,5 milioni di dollari per finanziare gli aiuti, ma ne sono arrivati solo sette. Allo stesso modo è stato raccolto solo un quarto dei 120 milioni di dollari che altri organismi dell’Onu, come l’Alto Commissariato per i rifugiati o l’Unicef, ritengono necessari per i soccorsi. (M.A.)

 

 

COMPIE UN ANNO ENVISAT, IL PIÙ GRANDE SATELLITE PER L’OSSERVAZIONE

DELLA TERRA MAI MESSO IN ORBITA. GRAZIE ALL’INVIO DELLE IMMAGINI I SATELLITI DIVENTANO SEMPRE PIÙ UTILI PER LA PIANIFICAZIONE

DELLE POLITICHE ECONOMICHE E AMBIENTALI

 

KOURU. = Envisat il più grande satellite per l’osservazione della Terra mai messo in orbita, festeggia il suo primo compleanno nello spazio. Successo della ricerca spaziale europea, Envisat è stato progettato dall’Esa (Ente spaziale europeo) e  condotto nello spazio nella notte tra il 28 febbraio e l’1 marzo dell’anno scorso da un lanciatore Ariane 5 partito dalla base spaziale di Kouros, nella Guinea francese. Il satellite, chiamato Envisat dalle parole enviroment (ambiente) e satellite, è dotato di strumenti sofisticati per poter fornire agli scienziati la più ampia quantità possibile di informazioni. Oceani e terre emerse, deserti e foreste, eruzioni vulcaniche e calotte polari, sono da un anno sotto l’occhio vigile di questa meraviglia della tecnologia. Grazie all’immediato funzionamento degli strumenti, è stato possibile avere da subito immagini preziose per la ricerca, contributi importanti ed utili anche in fase di decisione politica ed economica. E’ come se il satellite compisse una diagnosi della Terra e ne rilevasse sintomi e malattie: constatata la portata di un fenomeno se ne può organizzare il controllo. Un esempio sono le fotografie delle inondazioni dello scorso agosto nella valle del fiume Elba in Germania, Austria e Repubblica Ceca: sono state utilissime per organizzare i soccorsi. Attraverso l’incrocio dei dati che i differenti strumenti di Envisat inviano a terra inoltre è possibile studiare un fenomeno naturale da più punti di vista: la visione è più completa. Un altro esempio? L’uragano Isidore, passato nel Golfo del Messico lo scorso settembre e sottoposto a diverse rilevazioni da parte di più strumenti. Gli scienziati ora hanno un quadro migliore delle dinamiche di questo tipo di fenomeni. Basterebbe infine ricordare che il primo anno di Envisat è conciso con il Summit mondiale dello sviluppo a Johannesburg. Il lavoro svolto dall’Esa e dal suo ‘gioiello’ ha creato nei leader politici la consapevolezza di quanto le informazioni ottenute con il satellite possono essere preziose per il successo di iniziative globali di sviluppo sostenibile. (M.A.)

 

 

DOCUMENTO DEI VESCOVI DELLA BOLIVIA SULLA SITUAZIONE IDRICA

DEL PAESE. I PRESULI INVITANO IL GOVERNO A PRENDERE COSCIENZA

DELLA SITUAZIONE DI UN PAESE CHE PUR RICCO DI ACQUA

NON NE GARANTISCE L’ACCESSO A TUTTI I SUOI CITTADINI

 

LA PAZ. = In vista della Giornata Mondiale dell’acqua che si celebrerà il prossimo 22 marzo la Conferenza episcopale boliviana ha presentato in questi giorni la Lettera pastorale “Acqua, fonte di vita e dono per tutti”. Nel documento i vescovi analizzano la situazione delle risorse idriche nel loro Paese, che nonostante la ricchezza di fiumi e ghiacciai periodicamente affronta periodi di siccità. La Bolivia dispone infatti di tre grandi bacini - quello amazzonico, quello del Rio de la Plata e quello interno dell’Altipiano – oltre a diverse regioni che dispongono di altre risorse idriche. Nel Chapare ad esempio, piove fino a 5 mila millimetri di acqua all’anno. Ma quest’abbondanza non viene sorretta da una buona rete di invasi ed infrastrutture e perciò l’acqua si disperde. Attraverso statistiche su distribuzione ed inquinamento i presuli invece ribadiscono il diritto di ogni cittadino all’accesso delle risorse idriche. E’ forte perciò l’appello nei confronti delle istituzioni affinché tutelino con senso di responsabilità ma anche con fatti concreti questo diritto e permettano a tutti i cittadini, di qualunque strato sociale e zona geografica, di utilizzare l’acqua.(M.A.)

 

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24 ORE NEL MONDO

17 marzo 2003

- A cura di Paolo Ondarza -

 

Dal documento conclusivo del vertice delle Azzorre sulla crisi irachena, di cui ci siamo già occupati, è stata ribadita la volontà di costruire uno Stato palestinese libero che rinunci al terrorismo nei confronti di Israele. Intanto il governo statunitense ha chiesto un’indagine sulla giovane pacifista americana travolta ieri a Rafah da una ruspa dell’esercito mentre tentava di opporsi alla demolizione di una casa palestinese. E le violenze non sono cessate nelle ultime ore. I particolari nel servizio di  Graziano Motta.

 

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Due le incursioni dell’esercito israeliano. La più importante nel campo profughi di Nuseirat, ove forte è stata la resistenza dei palestinesi: sette i loro morti, fra cui un bambino di due anni e una decina di feriti, tre dei quali in condizioni gravi. Tra gli arrestati, tre membri della Jihad islamica. Arrestati pure due trafficanti di armi che si servivano dei tunnel, scavati clandestinamente fra il territorio egiziano e la Striscia di Gaza a Rafah, ove ieri, proprio nella demolizione di una casa che faceva da terminale ad uno di questi tunnel, è rimasta uccisa ad opera di una ruspa dell’esercito israeliano una giovane pacifista americana di 23 anni. Un’incursione militare israeliana pure a Beit Lahiya, nel nord della Striscia: due palestinesi sono rimasti uccisi e parecchi feriti. In campo politico l’attenzione è volta alla riunione del Consiglio legislativo palestinese a Ramallah, che sta portando alcune modifiche alla legge istitutiva di un primo ministro che dovrebbe essere coadiuvato da due vice. A Mahmud Abbas, designato da Arafat, sarebbero così affiancati altri due suoi fedelissimi, Saeb Erekat e Nabil Shaat.

 

Per Radio Vaticana, Graziano Motta.

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La Serbia, in lutto dopo l’attentato all’ex premier Zoran Djindjic, ha designato un nuovo primo ministro. Si tratta del quarantaduenne Zoran Zivkcovic, numero due del Partito democratico di Serbia e Montenegro. La nomina attende ora di essere approvata dal parlamento serbo-montenegrino.

 

Vittoria del partito di centro in Finlandia ieri alle elezioni legislative. Il successo dello schieramento della leader pacifista e antiamericanista Anneli Jaatteenmaki porta il numero dei seggi da 48 a 55 e assicura al partito il diritto di avviare le consultazioni per la formazione del nuovo governo finlandese. Il servizio è di Vincenzo Lanza.

 

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Il premier uscente, Paavo Lipponen, leader socialdemocratico, ottiene anche un discreto successo con due seggi in più e può contare su 53 deputati fra i 200 del Parlamento unicamerale di Helsinki. I grandi sconfitti sono i conservatori, che perdono sei seggi scendendo a 40. Resta ora da vedere se il centro, fino a ieri all’opposizione, troverà una piattaforma d’intesa con i socialdemocratici di Paavo Lipponen su occupazione, Iraq, Nato e Stato sociale, per una coalizione verde-rossa che disporrebbe di una sufficiente maggioranza di 108 deputati su 200. Non sarà neppure facile per la leader centrista Anneli Jaatteenmaki passare dall’opposizione al governo facendo concessioni ai socialdemocratici con i quali, comunque, i centristi hanno spesso governato assieme.

 

Per la Radio Vaticana, Vincenzo Lanza.

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Autorità sanitarie mondiali in allerta per il misterioso virus, per ora conosciuto solo come “sindrome respiratoria acuta Severa”, che ha causato negli ultimi giorni la morte di almeno otto persone in Estremo Oriente e di una nel Canada. Decine i casi di  infezione, sotto forma di una polmonite acuta, segnalati ad Hong Kong e nella Cina meridionale, che sembra essere la zona di origine del virus.

 

Golpe nella Repubblica Centroafricana. Nonostante le rassicurazioni fornite dalla stampa internazionale, i ribelli dell’ex capo di Stato maggiore gen. Bozizè, hanno assunto il controllo della capitale Bangui che è stata saccheggiata. Ci riferisce Giulio Albanese.

 

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L’aereo del presidente centroafricano Patassé, che proprio sabato aveva partecipato ad un vertice a Niamey e stava rientrando a Bangui con una folta delegazione, è stato preso di mira la sera stessa dai ribelli. Questi ultimi hanno sparato durante l’atterraggio costringendo il velivolo ad interrompere la manovra. L’aereo di Patassé ha quindi ripreso quota dirigendosi verso il Cameroun, dove in serata è atterrato a Yaoundé. Intanto, i duemila invasori – quasi tutti ciadiani a cui Patassé ha detto chiaro e tondo di fare bottino per sbarcare il lunario – rappresentano una vera e propria minaccia. Proprio Bosisè è l’uomo forte, capo assoluto di un Paese disastrato. Il personale missionario, religioso e diocesano è incolume, ma tra i civili i morti sarebbero tanti, anche se al momento non se ne conosce il numero.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Prolungato fino al 30 giugno prossimo il cessate il fuoco in Sudan. A deciderlo ieri il governo di Karthoum ed i ribelli dell’Esercito Popolare della Liberazione del Sudan. L’accordo è stato firmato a Nairobi, in Kenya, città che ha ospitato i colloqui di pace tra le due parti. Ricordiamo che le Forze governative  del nord – arabo musulmane – combattono fin dal 1983 contro i ribelli dell’SPLA, che controllano la maggior parte del sud del Paese, a maggioranza cristiana ed animista.

 

Dopo le elezioni comunali e legislative svoltesi ieri in Salvador il Fronte Farabundo Martì per la Liberazione Nazionale ha annunciato di aver mantenuto il controllo della capitale San Salvador ed ottenuto una progressione in voti e seggi per l’Assemblea legislativa, sconfiggendo il Partito Arena finora al governo. Il punto della situazione di Maurizio Salvi.

 

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Mano a mano che il tribunale supremo elettorale ha scrutinato le schede, il successo del Fronte ex-guerrigliero ha preso consistenza, tanto da portare il segretario generale del Fronte Farabundo Martì per la Liberazione Nazionale a dichiarare che alla luce dei risultati, “il nostro partito è ora il primo del Paese per numero di seggi in parlamento e per consigli comunali controllati”. “Questo – ha concluso – ci permette anche di vedere con ottimismo le presidenziali del prossimo anno”. Gli osservatori ritengono che il partito del presidente Francisco Flores sia uscito penalizzato dal voto per vari fattori: non essere riuscito a dare una risposta convincente alle proteste contro i progetti di privatizzazione nella sanità pubblica, non aver risolto i problemi dell’agricoltura e della disoccupazione e non avere affrontato con la necessaria decisione l’ondata di violenza esistente nel Paese.

 

Maurizio Salvi per la Radio Vaticana.

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Undici morti e una cinquantina di feriti in gravi condizioni: questo il bilancio provvisorio di un attentato nello stato dell’Assam, nell’India nordorientale. Una mina anticarro è stata fatta esplodere al passaggio di un autobus nei pressi del villaggio di Bamungopha. Secondo la polizia la strage è da ricondurre all’organizzazione estremistica separatista Fronte Unito di Liberazione dell’Assam (Ulfa) che recentemente ha intensificato i suoi attacchi.

 

Positive le conclusioni del meeting tra la delegazione dell’Onu e il governo cambogiano per l’istituzione di un tribunale che giudichi i crimini commessi da Pol Pot e da i suoi complici tra il 1975 e il 1979. Dopo 24 anni di attesa le vittime del regime dei Khmer Rossi potranno avere giustizia: siglata una bozza di accordo in attesa ora di approvazione da parte del parlamento della Cambogia e dall’Assemblea delle Nazioni Unite prima di un avvio concreto di realizzazione del progetto.

 

Ci trasferiamo in Liechtenstein. La consultazione popolare per la revisione totale della Costituzione, lanciata dal principe Hans-Adam II,  è stata approvata ieri dall'elettorato con il 64,3% dei voti. La riforma ha ottenuto il nullaosta in tutti gli 11 comuni del Principato. Allo scrutinio ha partecipato l'87,7% dei quasi 17mila iscritti al voto.

 

 

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