RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 70 - Testo della
Trasmissione martedì 11 marzo 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Tony Blair avverte: se
Francia e Russia ponessero il veto sulla seconda risoluzione Onu, aiuterebbero
Saddam “a cavarsela”
La situazione a
Baghdad, nella testimonianza del giornalista Alberto Negri, da 50 giorni in
Iraq
Tayyip Erdogan a breve
nuovo premier della Turchia
Fallite le trattative
per la riunificazione di Cipro.
11 marzo 2003
IMPEGNARSI
PER LA PACE, LA GIUSTIZIA E LA FRATERNITA’:
E’ L’ESORTAZONE DI GIOVANNI PAOLO II AI
GIOVANI, CONTENUTA NEL
MESSAGGIO
PER LA PROSSIMA GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTU’
INCENTRATA SULLA FIGURA DI MARIA E LA
PREGHIERA DEL ROSARIO
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
“Ecco
la tua Madre”. Per la 18.ma Giornata mondiale della Gioventù, il Papa sceglie
un tema che si sposa con l’Anno del Rosario e nel messaggio - diramato oggi -
per l’evento, che ricorre il 13 aprile prossimo, Domenica delle Palme, esorta i
giovani ad impegnarsi per promuovere la pace e la giustizia invitandoli inoltre
a seguire l’esempio di Maria per entrare in un “rapporto più vero e più
personale con Gesù”. In vista del prossimo Incontro mondiale – previsto per il
2005 a Colonia, in Germania - il Papa ha quindi indicato i temi scelti per la
prossima Gmg (la 19.ma), “Vogliamo vedere Gesù” e per la 20.ma, “Siamo venuti
per adorarlo”. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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In
“questo tempo minacciato dalla violenza, dall’odio e dalla guerra”, testimoniate
che solo Cristo “può donare la vera pace al cuore dell’uomo, alle famiglie e ai
popoli della terra”. Giovanni Paolo II rivolge una viva esortazione ai giovani
chiedendo loro di impegnarsi nel “ricercare e promuovere la pace, la giustizia
e la fraternità”. Sottolineando come sulla Croce, Gesù “può riversare la sua
sofferenza nel cuore della Madre”, così – dichiara – “ogni figlio che soffre ne
sente il bisogno”. Anche nella sofferenza, allora, anche dinnanzi alla “solitudine”,
gli “insuccessi” e le “delusioni” della vita “personale” e “professionale”, di
fronte “alla violenza delle guerre e la morte degli innocenti” i giovani non
sono soli. “Come a Giovanni ai piedi della Croce – avverte – Gesù dona anche a
voi sua Madre, perché vi conforti con la sua tenerezza”.
Giovanni
Paolo II non manca, d’altro canto, di ribadire come il Vangelo evochi “la
dimensione spirituale di tale accoglienza, del nuovo legame che si instaura fra
Maria e Giovanni”. Proprio Lei, aggiunge, “svolgendo il suo ministero materno,
vi educa e vi modella fino a che Cristo non sia formato in voi pienamente”.
Quindi, il Santo Padre – rammentando il suo motto pontificale Totus Tuus – parla
con affetto della figura di Maria. Nella mia vita, rivela, ho “costantemente
sperimentato” la “presenza amorevole ed efficace della Madre del Signore” che
“mi accompagna ogni giorno nel compimento della missione di Successore di
Pietro”. Esprime così l’auspicio che affidandosi a Maria ed “aperti al soffio
dello Spirito”, i giovani divengano “apostoli intrepidi”, capaci di diffondere
“il fuoco della carità e la luce della verità”. Il cristianesimo, tiene a
rimarcare, “non è un’opinione e non consiste in parole vane”, ma è Cristo, una
“Persona, è il Vivente”. Ecco allora la vocazione cristiana: “incontrare Gesù,
amarlo e farlo amare”.
Il Papa
volge poi l’attenzione al Rosario. Recitare questa antica preghiera mariana,
spiega, significa “guardare Gesù con gli occhi di sua Madre”. “Non vergognatevi
– dice il Papa ai giovani – di recitare il Rosario da soli, mentre andate a
scuola, all’università o al lavoro, per strada e sui mezzi di trasporto
pubblico” e ancora “non esitate a proporne la recita in casa”, poiché esso
“ravviva e rinsalda i legami tra i membri della famiglia”. Questa preghiera,
aggiunge, “vi aiuterà ad essere forti nella fede, costanti nella carità,
gioiosi e perseveranti nella speranza”. Il Papa esorta perciò i giovani a
rifuggire nella propria esistenza dall’ “egoismo” e la “pigrizia”. “Ora più che
mai – avverte – è urgente che voi siate le sentinelle del mattino”. E
conclude con parole di speranza e incoraggiamento: “l’umanità – afferma – ha un
bisogno imperioso della testimonianza di giovani liberi e coraggiosi, che osino
andare controcorrente e proclamare con forza ed entusiasmo la propria fede in
Dio, Signore e Salvatore”.
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PROVVISTE
DI CHIESE IN ARGENTINA E STATI UNITI.
RINUNCIA
E SUCCESSIONE IN PERU’
Il Papa
ha nominato arcivescovo metropolita di Bahía Blanca, in Argentina, il presule
mons. Guillermo José Garlatti, , finora vescovo di San Rafael. La sede di Bahía
Blanca era vacante in seguito alla rinuncia dell’arcivescovo mons. Rómulo García,
presentata nel giugno della scorso anno per limiti di età.
Negli
Stati Uniti d’America, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo
pastorale della diocesi di Norwich, presentata dal vescovo mons. Daniel Anthony
Hart, per limiti di età. Giovanni Paolo II ha quindi nominato vescovo di
Norwich il presule mons. Michael Richard Cote, finora vescovo ausiliare della
diocesi di Portland.
In Perú,
il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale del vicariato
apostolico di San Ramón, presentata dal presule francescano mons. Julio Ojeda
Pascual, dell’Ordine dei Frati Minori, in conformità alla norma canonica relativa
a “infermità o altra grave causa”. Gli subentra un altro presule francescano,
mons. Gerardo Zerdìn Bukovec, anch’egli dell’Ordine dei Frati Minori, finora
coadiutore dello stesso vicariato apostolico.
IL PAPA IN PREGHIERA PER LA PACE
NEL MONDO IN QUESTI ESERCIZI SPIRITUALI PREDICATI DALL’ARCIVESCOVO ANGELO
COMASTRI. LE MEDITAZIONI SULLA PRESENZA
DI DIO NELLA STORIA, COME UNO SPOSO INNAMORATO
DELL’UMANITA’
-
Servizio di Giovanni Peduto -
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Immerso negli Esercizi spirituali,il Pontefice prega per
la pace nel mondo, come ha promesso
domenica all’Angelus. Ricordiamo che domani, mercoledì, non vi sarà l’udienza
generale, per via, appunto, degli Esercizi predicati dall’arcivescovo prelato
di Loreto, Angelo Comastri, che ci ha offerto sprazzi di sintesi delle
meditazioni svolte ieri pomeriggio e questa mattina, che hanno mirato ad
illustrare la strada di Dio dentro la storia degli uomini. Dio è entrato nella
nostra storia. Ed è chiaro che entrando nella nostra storia Dio manifesta il
suo volto...
Noi abbiamo scoperto che, mentre Dio percorre le vie degli
uomini, manifesta un volto che non avremmo mai immaginato ed è il volto di una
bontà, di una tenerezza, di una misericordia infinita. E’ meraviglioso il
dialogo tra Dio e Mosè. Mosè, quando viene chiamato dal Signore presenta mille
obiezioni, perché cerca di fuggire la vocazione, di fuggire la chiamata del
Signore. In quel dialogo meraviglioso tra Dio e Mosè viene fuori un raggio di
luce splendido, perché Mosè ad un certo punto dice: ”Io vado dagli Israeliti e
dico ‘mi ha mandato Dio, mi ha mandato il Signore’. E se loro mi chiedono: ‘E
come si chiama?’ Io cosa dirò?”. Allora Dio dà quella risposta che per molti è
un enigma, mentre invece, letta bene e illuminata nel contesto, contiene un
raggio di luce luminosissimo. Dio dice: “Tu dirai: Jahvè. Colui che è, mi ha
mandato. Perché io sono colui che sono”.
Sembra un giochetto, ma il senso lo si capisce quando si
illuminano queste parole con l’originale ebraico. Nella lingua ebraica il verbo
essere non ha il significato astratto che ha per noi occidentali di oggi. Nella
lingua ebraica il verbo essere significa esserci, essere accanto. Perché per il
semita una persona c’è soltanto se è accanto. Se non è accanto è come se non ci
fosse...
Allora Dio vuol dire a Mosè: “Guarda Mosè, io sono colui
che è sempre accanto. Io sono colui che si è legato a voi, si è legato a te, si
è legato ad Abramo, ad Isacco, a Giacobbe. Io sono quindi un Dio che ama”.
Questo è il senso della rivelazione di Dio. Tanto è vero che sempre a Mosè, in
un momento direi drammatico della sua vocazione di profeta, Mosè dice al Signore:
“Senti Signore, fammi vedere la tua gloria”. E fammi vedere la tua gloria vuol
dire fammi vedere il tuo volto. Il Signore risponde a Mosè: ”Guarda Mosè, tu
non puoi vedere il mio volto, perché se tu vedessi il mio volto, se mi vedessi
faccia a faccia, sarebbe finita la storia per te. Perché quando hai visto
l’infinito, cos’altro puoi fare? E’ finita la storia. Tu in questo momento puoi
vedere soltanto le mie spalle”. Allora, c’è quella pagina meravigliosa della
Teofania, Dio che mette Mosè in una grotta, poi mette una mano davanti. Mosè
non può vedere quando passa Dio, e solo quando Dio è passato può vedere le
spalle. Come sono queste spalle di Dio?
E quindi cosa possiamo vedere di Dio fin da ora?...
E’ detto subito. Quando Mosè insiste: “Ma dimmi il nome”.
Il Signore dice: “Io sono il Signore misericordioso e fedele”. Questo è il nome
di Dio. Questa è la rivelazione di Dio. E nella storia della salvezza viene
fuori che questa misericordia di Dio si scontra in continuazione con
l’infedeltà dell’uomo: Dio ama l’uomo, ma l’uomo si stanca di Dio; Dio è come
uno sposo innamorato dell’umanità, ma questa umanità è una sposa veramente stravagante,
una sposa capricciosa. Addirittura, i profeti arriveranno a dire: “E’ una
prostituta”.
E chi può amare una prostituta? ...
Ebbene, ecco il grande annuncio:
Dio resta fedele. Dio è misericordioso e fedele. Osea ha scritto pagine
incantevoli proprio su questo. E la storia di Osea diventa un paradigma per
raccontare la storia del rapporto tra Dio e l’umanità. Attraverso Osea è come
se Dio volesse dire al suo popolo, ma anche a tutta l’umanità: “Vedete, la mia
storia è come quella di Osea. Osea ha avuto per sposa una donna infedele, una
donna prostituta. Ma questo è successo anche a me, anche a me che sono il
vostro Dio. Io amo perdutamente l’umanità, e l’umanità non è fedele. Però, io
continuo ad amarla e continuo a sfidarla con il mio amore fedele”. E ad un
certo punto il profeta Geremia dice: “Ma questa storia - fedeltà e infedeltà -
finirà, perché verranno i tempi, verrà il giorno in cui Dio farà un’alleanza
nuova. Ci toglierà il cuore di pietra e ci darà il cuore di carne”. Ormai viene
già annunciato il grande evento che è l’incarnazione, la venuta del Figlio di
Dio.
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SUL RITROVAMENTO DEI REPERTI ARCHEOLOGICI IN
VATICANO
DICHIARAZIONE
DEL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PERMANENTE PER LA TUTELA
DEI
MONUMENTI STORICI E ARTISTICI DELLA SANTA SEDE,
MONS. FRANCESCO MARCHISANO
- A cura di
Carla Cotignoli -
In
risposta ad alcuni quesiti dei giornalisti circa i lavori di costruzione di un
parcheggio all’interno della Città del Vaticano e sul ritrovamento in situ di
reperti archeologici, il Presidente della Commissione Permanente per la Tutela
dei Monumenti Storici e Artistici della Santa Sede, S.E. Mons. Francesco
Marchisano, ha informato circa un suo lungo sopralluogo fatto ieri mattina.
Ha
premesso che prima di iniziare i lavori erano state fatte “ricerche su
possibili resti archeologici che si potevano forse trovare in quel luogo”, ma
“senza alcun risultato positivo”. “Solo lo scavo – ha dichiarato - ha portato alla luce pochi reperti, tra cui
due sarcofagi, uno pagano ed uno cristiano, alcuni mosaici pavimentali di
modeste dimensioni, alcuni cimeli di terracotta, come due anfore ancora mezze
interrate che ho potuto vedere”. Mons. Marchisano ha dato riconoscimento “alla
cura e all’attenzione che si sono impiegati nel lavoro di ricerca, appena è
risultato che in un angolo del futuro parcheggio sono stati ritrovati dei resti
archeologici”. Circa l’entità dei ritrovamenti ha aggiunto che “non dovrebbero
essere numerosi, perché potrebbe trattarsi di un sito funerario molto piccolo,
forse di pochissime famiglie”.
“Tutti
i materiali archeologici che provengono dallo scavo – ha ancora informato mons.
Marchiano - verranno conservati presso i Musei Vaticani e saranno messi a
disposizione degli specialisti e di tutti coloro che visiteranno i Musei”.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina un
articolo del cardinale Carlo Maria Martini dal titolo “Intercedere per la
pace con la creatività e la tenacia di Giovanni Paolo II”: un testo che si
inscrive nell'ambito della riflessione quaresimale ispirata alla
“mobilitazione penitenziale per la pace”.
Riguardo
all’Iraq, si rileva che dopo l’annuncio del veto francese, Londra è alla ricerca
di un compromesso.
Nelle vaticane, il Messaggio
del Papa per la XVIII Giornata Mondiale della Gioventù.
Una pagina dedicata alle
celebrazioni ed alle iniziative pastorali per la Quaresima nelle diocesi
italiane.
La presentazione di Mario De
Santis al volume di Giuseppina Luongo Bartolini dal titolo “Santi di
Benevento”.
Nelle pagine estere, Medio
Oriente: incursioni israeliane nella Striscia di Gaza.
Per l’“Atlante geopolitico” un
articolo di Giuseppe Petrone dal titolo “Corea del Nord: dialogo sul nucleare”.
Cipro: falliti i negoziati sul
piano dell'Onu.
Nella pagina culturale, un articolo
di Maria Maggi dal titolo “Contro i pericoli dell'ozono occorre uno sforzo
energico e coordinato”: alcune delucidazioni sull'inquinamento atmosferico.
Nell’“Osservatore libri” un
contributo di Francesco Licinio Galati dal titolo “Il vero poeta epico della
Francia dell'Ottocento”: le “Poesie” di Victor Hugo negli Oscar
Mondadori.
Nelle pagine italiane, in primo
piano la situazione politica, con particolare riferimento alla crisi irachena.
Il tema del terrorismo.
Attenzione alla questione delle pensioni.
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11 marzo 2003
IL RUOLO INSOSTITUIBILE DELLE
NAZIONI UNITE NELL’ATTUALE CRISI IRACHENA
EVIDENZIA LA NECESSITA’ DI RIFORMARE QUESTO ORGANO DI GOVERNO MONDIALE
- Intervista con padre
Pasquale Borgomeo -
“Una specie di rassegnazione sgomenta si diffonde nell’opinione pubblica,
che sente la guerra come una fatalità di cui appaiono non convincenti le motivazioni,
di cui si intuiscono le conseguenze disastrose, ma contro cui pare non ci sia
più niente da fare”: così il nostro direttore generale padre Pasquale Borgomeo
descrive il clima che avvolge questi giorni di attesa e di importanti pronunciamenti
della comunità internazionale.
Ma c’è un esercito silenzioso che continua a sperare contro ogni
speranza, così come vuole il Papa. E in quest’ottica prosegue l’intensa
attività diplomatica della Santa Sede e l’opera di mediazione della Chiesa
cattolica. Proprio oggi è iniziata la visita pastorale in Iraq del Patriarca
siro cattolico, Ignazio VIII Abdel-Ahad, che prima di partire ha inviato tre
lettere: a Giovanni Paolo II, invocando la benedizione su questo
‘pellegrinaggio’ di pace, al presidente degli Stati Uniti, Bush scongiurandolo,
in quanto cristiano, di non ricorrere alla forza, e al segretario generale
dell’Onu, Annan. Le Nazioni Unite continuano infatti a giocare un ruolo
insostituibile cosi come sottolinea padre Borgomeo nell’intervista realizzata
stamane da Fabio Colagrande nel nostro programma “One-O-Five live”.
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R. - Mai come oggi, in un’ora nella quale tutti sentono incombente il
pericolo di una guerra dalle
conseguenze imprevedibili, ci si è tanto interessati ai meccanismi di
funzionamento dell’Onu e mai ci si è tanto preoccupati che un eventuale attacco
all’Iraq portato al di fuori della sua egida, possa mandarla in frantumi. Certo
gli osservatori più attenti non si nascondono i limiti e le debolezze della
struttura, e la cronica inadeguatezza delle sue risorse rispetto ai compiti da
assolvere. Serie perplessità solleva poi il diritto di veto riservato ai membri
permanenti del Consiglio di Sicurezza, il cui esercizio può paralizzare e ha
di fatto tante volte paralizzato
l’istituzione. La stessa composizione del Consiglio di Sicurezza che vede come
membri permanenti gli Stati usciti vincitori dalla Seconda Guerra Mondiale
quasi sessant’anni fa è, a dir poco, anacronistica.
Ma queste e tante altre obiezioni che si possono muovere e di fatto si muovono
all’attuale funzionamento dell’Onu non autorizzano a concludere che essa ha
fatto il suo tempo e può quindi essere mandata in archivio. E’ invece legittima
una conclusione opposta: l’Onu va certo riformata nelle sue strutture ma per
rafforzarne la capacità di rappresentare efficacemente i popoli della comunità
internazionale, gettare e quindi salvaguardare le basi etiche e giuridiche di
un nuovo ordine internazionale, intervenire con efficienti forze di pace nei
conflitti regionali, dirimere controversie tra Stati membri. promuovere
politiche di sviluppo sociale, di lotta alla fame, di protezione dell’ambiente:
il tutto adeguato alla dimensione sempre più globale della vita del pianeta.
Lungi dall’essere un vecchio arnese da buttare via l’Onu è qualcosa che,
se non esistesse, bisognerebbe inventare, oggi soprattutto, allorché, crollato
uno pseudo ordine mondiale – che nessuno rimpiange – fondato sull’equi-librio
del terrore nucleare, viviamo un nuovo disordine internazionale contrassegnato
da tensioni e squilibri, nei quali il terrorismo trova il suo miglior terreno
di coltura. C’è oggi una emergente e robusta domanda di etica, di giustizia, di
dignità. C’è un forte bisogno di regole e d’istituzioni garanti. Già adesso, la
sola vigilia d’una guerra che tutti vogliono o dicono di voler scongiurare, ci
apre impietosamente gli occhi sul nostro ritardo rispetto a un mondo che cambia
rapidamente e stimola perciò la creatività e il coraggio nei migliori tra gli
uomini di intuito e di buona volontà.
D. – Rafforzare, dunque, l’Onu, padre Borgomeo. Ma di un’altra
istituzione, della Nato, ha parlato anche il presidente Ciampi, ricordando che
da questa possibile guerra potrebbe uscire indebolita anche l’Alleanza
Atlantica …
R. - Mentre l’Onu difetta di strumenti per imporre, quando sia
necessario, l’esecuzione delle sue Risoluzioni, abbiamo sulla scena
internazionale una struttura militare come la Nato, istituita in un’altra epoca
della nostra storia, con obiettivi che oggi non esistono più, anacronistica
nella sua stessa sigla e in cerca di una nuova identità. La Nato continua a
chiedere ai suoi membri una fedeltà agli impegni che oggi è difficile
giustificare date le mutate condizioni del quadro internazionale dopo la caduta
del muro di Berlino. La crisi irachena non provoca, ma rivela e naturalmente
accentua, una crisi della Nato che già esiste e sulla quale è inutile chiudere
gli occhi. Si ipotizza per questa struttura militare un nuovo nemico, che
sarebbe costituito dal terrorismo internazionale. Ciò comporterebbe però una
sua completa riforma di strutture, di metodi, di cultura, oltre che
naturalmente di volontà politica. Ma allora perché non orientarsi a concepire
una nuova Nato, come una forza militare di pace a disposizione delle Nazioni
Unite?
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ALLA PRESENZA DI KOFI
ANNAN, IL SOLENNE GIURAMENTO, OGGI ALL’AJA,
DEI GIUDICI DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE
- Intervista con il prof. Luigi Bonanate -
Con il giuramento di diciotto giudici di quattro
continenti, oggi all’Aja nasce il gruppo di lavoro della Corte penale
internazionale. Alla presenza del segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, e
della Regina d'Olanda, i giudici, che resteranno in carica nove anni, giurano
solennemente nella 'Sala dei Cavalieri' del parlamento olandese che ospita la sede della Cpi.
Dal 1998, anno in cui la Corte veniva istituita, con
il Trattato di Roma, finora ottantanove stati ne hanno ratificato lo Statuto.
Proprio oggi il Consiglio d’Eu-ropa ha lanciato un appello a tutti i governi
del pianeta che ancora non vi hanno aderito a farlo “senza indugio”. La Corte
si occuperà espressamente di crimini di guerra, crimini contro l’umanità,
genocidi, rispondendo a un’esigenza di giustizia sovranazionale che già nel
1948 era stata sottolineata da una risoluzione dell’Onu.
Un cammino importante, dunque, è stato compiuto ma
restano alcuni interrogativi. Lo sottolinea, nell’intervista di Fausta
Speranza, il prof. Luigi Bonanate, docente di relazioni internazionali
all’Università di Torino.
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R. – L’importanza della corte è
veramente grande. Naturalmente potremmo dire che in questo momento è anche
grandemente astratta. Probabilmente nel1998, anche coloro di noi che
applaudivano all’iniziativa della Conferenza a Roma non immaginavano o non
speravano che si sarebbe arrivati all’insediamento dei primi giudici in soli 5
anni. Rimane da chiedersi se questa Corte potrà funzionare. Il primo punto è
che la membership di questa Corte non è universale. Sappiamo tutti che
alcuni grandi Stati non ne fanno parte. Poi ci sarà un problema di tipo
tecnico-giuridico e cioè mi chiedo se sarà
in grado di affrontare davvero le denunce che verranno portate. Terzo
aspetto, quello della limitatezza dei suoi compiti. La Corte Penale sarà dedicata
ai crimini contro l‘umanità, alle grandi colpe collettive e non alla persecuzione
del singolo individuo, del singolo criminale politico. Si apre dunque un
cammino di grande importanza ma anche
di grande difficoltà.
D. – Fino ad adesso abbiamo
conosciuto Tribunali internazionali contro crimini di guerra ma ad hoc, cioè
istituiti temporaneamente per alcune situazioni particolari. In che cosa può
essere decisiva la scelta di una Corte permanente?
R. – Fino ad adesso si è
trattato di tribunali - diciamo - dei
vincitori nei confronti dei vinti. E’ chiaro che questo non mette le parti in
una situazione di equilibrio. Quindi la Corte, così come è stata concepita, è
tecnicamente estremamente corretta. Il problema è verificare se riuscirà a
funzionare. Questa sua posizione di assoluta terzietà è proprio il punto
delicato perché gli Stati possono sempre in qualche modo cercare, a seconda
delle circostanze, di adire o di rifiutare che qualcuno li chiami in causa. Non
c’è che la pratica che ci potrà dire qualche cosa.
D. – Prof. Bonanate, fortemente
voluta dall’Unione Europea, questa Corte non ha trovato l’appoggio degli Stati
Uniti. Perché?
R. –
Questo è il punto più grave, più delicato e in questo momento può anche gettare
qualche luce di sospetto sui motivi del rifiuto statunitense. La ragione
tecnica è rappresentata dal fatto che gli Stati Uniti non ritengono possa esistere
una Corte al di fuori della Corte prevista per legge negli Stati Uniti per
giudicare dei cittadini, in particolare dei militari statunitensi in missione
fuori dai confini nazionali. Tutti i codici penali militari di tutti i Paesi
del mondo in effetti hanno previsto normative per i reati commessi dai loro dipendenti.
La maggior parte degli altri Paesi del mondo ha deciso di subordinare il
proprio diritto penale militare alla Corte Penale Internazionale. Gli unici –
c’è anche la Cina ed altri - che un po’ arrogantemente affermato di voler
giudicare i propri militari sono appunto questi Paesi. Questo non è ovviamente
accettabile. Non possiamo però preoccuparcene troppo. Penso che, se la Corte
funzionerà, anche i Paesi renitenti saranno ad un certo punto costretti ad
aderire.
D. – Costretti da un obbligo
morale?...
R. – Da un obbligo politico di
fronte alla pubblica opinione. Ad un certo punto non potranno più giustificarsi
se non accetteranno di entrare a loro volta nella Corte. La pressione
dell’opinione pubblica internazionale ad un certo punto li sospingerà dentro la
Corte.
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IMMIGRAZIONE IN COSTANTE
AUMENTO.
LA CARITAS ANTICIPA I DATI DEL DOSSIER STATISTICO,
MA RESTA L’INCOGNITA DEI POSSIBILI PROFUGHI IRACHENI
- Servizio di Stefano Leszczynski -
La Caritas fa il punto sulla
situazione dell’immigrazione, anticipando alcuni dati del Dossier statistico
2003. La popolazione immigrata sta aumentando in maniera considerevole e al
termine della procedura di regolarizzazione l’incidenza sulla popolazione
italiana sarà del 4 per cento. Resta tuttavia l’incognita delle possibili
conseguenze di una guerra in Iraq sui flussi migratori verso l’Europa. Il
servizio di Stefano Leszczynski.
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Al termine delle procedure di
regolarizzazione l’Italia diventerà il terzo Stato dell’Unione Europea per
numero di immigrati. La cifra, stimata dalla Caritas italiana, è di circa 2
milioni e mezzo di persone, tra le quali vengono conteggiate oltre alle 700
mila in attesa di regolarizzazione anche quelle che arriveranno per
ricongiungimento familiare. Resta tuttavia aperta l’incognita dell’effetto che
potrebbe avere sui flussi migratori un possibile conflitto in Iraq. Franco
Pittau, coordinatore del dossier statistico:
“Anche se passassero attraverso
l’Italia solo, si fa per dire, 200 mila o 300 mila rifugiati iracheni sarebbe
un disastro, perché noi abbiamo già problemi molto grossi da risolvere”.
Per il ministro delle politiche
comunitarie, Rocco Buttiglione, il governo starebbe già valutando come
affrontare un eventuale impatto di profughi iracheni, soprattutto allo scopo di
distinguere coloro che avranno titolo ad una protezione di tipo umanitario, da
coloro che invece cercheranno di sfruttare la situazione per entrare
illegalmente nel Paese.
“Certamente ci stiamo
attrezzando per questa eventualità che, ovviamente, non desideriamo e ci
auguriamo che non accada”.
Non sono poi mancate numerose
critiche da parte della Caritas alla legge Bossi-Fini che manca ancora del
regolamento di attuazione e alla mancanza di una corretta programmazione dei
flussi. Attualmente l’emergenza principale riguarda i ritardi nell’affrontare
le pratiche di regolarizzazione: in tre mesi sono state infatti esaminate meno
dell’1 per cento delle domande. Mons. Guerino Di Tora, direttore della Caritas
diocesana di Roma:
“Mi auguro che si possano fare dei notevoli passi avanti, riguardo alla regolarizzazione,
anche perché esistono situazioni umane che vanno affrontate nell’immediato”.
L’attuale legge sull’immigrazione, ha ribattuto il ministro Buttiglione,
non è la migliore possibile, ma rappresenta un buon punto di partenza. E circa
la programmazione dei flussi ha avanzato l’ipotesi di trasferire la competenza
alle regioni.
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11
marzo 2003
“PRIMA
PACIFICI, DOPO PACIFISTI”: QUESTO IL TITOLO DI UNA LETTERA PASTORALE
DELL’ARCIVESCOVO DI VALENCIA,
MONS.
AGUSTÍN GARCÍA-GASCO.
IL
PRESULE DISTINGUE TRA CHI TESTIMONIA CON LA PROPRIA VITA IL RIPUDIO
DI
OGNI TIPO DI VIOLENZA,
E CHI
ATTRAVERSO LA PACE PERSEGUE I PROPRI INTERESSI
VALENCIA. = E’ dedicata all’amore verso il prossimo e alla
pace, la consueta lettera settimanale dell’arcivescovo di Valencia, Agustín
García-Gasco. “Cattolico significa universale – esordisce il presule – perché Cristo
chiama tutte le persone senza esclusione. La nostra religione è la religione
dell’amore. Amore a Dio e al prossimo”. Mons. García-Gasco sottolinea poi come
tante persone nel corso della storia abbiano deciso di convertire la loro vita
nel segno dell’amore e del perdono. Sentimenti che includono anche la
sofferenza pacifica, secondo l’esempio di Cristo, che senza ribellarsi si
lasciò catturare. “Il cristiano è pacifico – continua l’arcivescovo di Valencia
– e lo è per convinzione cristiana e per forza di coerenza di vita. Amore e
pacifismo sono causa e conseguenza”. A questo punto il presule introduce una
distinzione: “Tuttavia il pacifismo – scrive - allo stesso modo di altre
ideologie o attività, come la politica, può perdere la sua natura, può essere
svuotato per convertirsi in un travestimento”. Il presule perciò lancia un
interrogativo: “Come distinguere – chiede - quelli che lavorano per la pace da
quelli per i quali la pace è semplicemente una strategia malefica per la loro
propria guerra?”. La risposta arriva subito dopo: “Chi sta a favore della pace
– scrive l’arcivescovo – lo è sempre, non importa chi siano i contendenti e
come afferma Cristo, gli riconoscerete dalle loro opere”. L’ultimo pensiero è
però per la situazione interna spagnola: “Non si può essere pacifista senza
essere pacifico – scrive – mons. García-Gasco – e non si capiscono quelli che
denunciano la possibile guerra contro l’Iraq e stanno zitti di fronte al
terrorismo dell’Eta. E’ buono ricordarsi e pregare per evitare un conflitto
bellico in terre lontane, però sarebbe offensivo dimenticarsi delle vittime che
hanno bagnato le terre spagnole”. (D.D./M.A.)
CONTINUA
IN AFRICA L’EMERGENZA ALIMENTARE. MALAWI, MOZAMBICO, MADAGASCAR, ETIOPIA ED
ERITREA,
COLPITE
DURAMENTE DALLA SICCITÀ,
HANNO
COSTANTE NECESSITÀ DEGLI AIUTI INTERNAZIONALI PER ALIMENTARE
LA POPOLAZIONE.
SECONDO STIME DELLE AGENZIE UMANITARIE,
MILIONI
DI PERSONE RISCHIANO LA VITA
LILONGWE.
= Un continente stretto nella morsa della fame: è questa l’attuale situazione
dell’Africa, nella quale la mancanza di cibo sta mettendo a rischio la vita di
milioni di persone. In Malawi per il secondo anno consecutivo, a causa della
siccità si è verificata una gravissima crisi alimentare. Secondo dati della
Fao, vi sono circa 3 milioni e 200 mila persone che sopravvivono grazie agli
aiuti internazionali. La siccità ha colpito la produzione di tabacco, fonte
principale di entrate del Paese, e drasticamente ridotto il raccolto del mais.
A seguito della crisi alimentare, in due anni i casi di malnutrizione grave tra
i bambini al di sotto dei 5 anni sono cresciuti dell’80 per cento e, in pochi
mesi, si è registrato un tasso di mortalità quotidiano di 2 bambini ogni
10.000. La situazione è talmente disperata che, secondo stime del ministero dell’Agricoltura
del Malawi, più del 45 per cento del raccolto di mais è stato consumato “verde”
ovvero prima che giungesse a completa maturazione. Lo scorso 27 febbraio il
governo del Malawi ha decretato lo stato d’emergenza, chiedendo l’aiuto della
comunità internazionale. La situazione è critica anche nel vicino Mozambico,
colpito anch’esso da una prolungata siccità che ha seccato i raccolti di
cereali. Era da circa cinquant’anni che le precipitazioni nel Paese non
toccavano livelli così bassi. L’emergenza è acuita dalla mancanza di risorse
alimentari alternative, come la pesca, o dal ricorso ad alimenti pericolosi o
nocivi da parte della popolazione. In Madagascar invece, il governo ha
ufficialmente proclamato lo stato di “kere” parola con cui si indica una
condizione di estrema scarsità di risorse alimentari. Questo inizio d’anno è
stato molto difficile particolarmente per le regioni meridionali. Prima la
siccità ha ridotto ai minimi termini i raccolti di manioca, patate e mais, e
successivamente due settimane di pioggia hanno provocato la morte di 13
persone, lasciandone quasi 2200 senza tetto. Infine il ciclone Fari ha
distrutto anche banani e avocadi selvatici sottraendo alla popolazione l’ultima
possibilità di alimentazione d’emergenza. Le organizzazioni non governative
hanno già da tempo attivato programmi di assistenza a cui collaborano sia il
Pam sia l’Irin, la rete di informazioni regionali integrate dell’Onu.
Ricordiamo infine anche i numerosi appelli che sono giunti dall’Etiopia ed
Eritrea. I due paesi del Corno d’Africa soffrono la mancanza di risorse
idriche, che non permettono di avere cibo a sufficienza. Particolarmente a
rischio sarebbero le persone più deboli della popolazione: anziani, bambini e
donne incinte. (M.A.)
LA COMMISSIONE PERMANENTE DELL’EPISCOPATO
ARGENTINO RIUNITA DA OGGI
SINO A VENERDÌ PROSSIMO A BUENOS AIRES. TRA I
TEMI IN AGENDA, LA VERIFICA
DEI
PROGRESSI COMPIUTI DAL PAESE PER USCIRE DALLA CRISI ECONOMICA, SOCIALE
E
POLITICA, E LO STUDIO DEL PIANO PASTORALE PER LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE
BUENOS AIRES. = I vescovi argentini si riuniscono per un
confronto sulla situazione critica del loro Paese. Inizia oggi a Buenos Aires
la 134.ma riunione della Commissione permanente della Conferenza episcopale
Argentina. L’attenzione dei presuli si concentrerà principalmente sul lavoro
svolto dai Tavoli settoriali del Dialogo argentino. Creati nel gennaio del 2002
dal presidente della repubblica, Eduardo Duhalde, i
Tavoli sono organismi di concertazione tra i diversi settori produttivi, culturali,
politici ed economici della società argentina. Attraverso le proposte di
partiti politici, associazioni di lavoratori e organizzazioni sociali, i Tavoli
hanno lo scopo di delineare mezzi di intervento a medio e lungo termine per
contrastare la crisi. L’Onu, attraverso il Programma per lo sviluppo, e la Conferenza
episcopale argentina, sono i due organismi con cui il governo del Paese porta
avanti questo progetto. I vescovi, perciò, verificheranno i risultati raggiunti
dai Tavoli in questi ultimi mesi. L’altro tema a cui i presuli dedicheranno la
loro attenzione sarà il Piano pastorale per la nuova evangelizzazione. La
Commissione permanente ha infatti il compito di mantenere una costante
attenzione sulla società, per elaborare linee pastorali adeguate alla realtà
del Paese. I lavori della Commissione, che si concluderanno venerdì 14,
costituiscono un’anticipazione degli argomenti che saranno trattati dalla 85.ma
Assemblea plenaria dell’episco-pato argentino che si terrà tra il 26 e il 31
maggio prossimi. (M.A.)
L’ALTO COMMISSARIATO ONU PER I RIFUGIATI LANCIA
L’ALLARME PER I PROFUGHI
DELLA
GUERRA CIVILE IN COSTA D’AVORIO. SAREBBERO PIÙ DI UN MILIONE
SPOSTI ALLE VIOLENZE DELLE PARTI IN LOTTA
ABIDJAN.
= In Costa d’Avorio comincia ad emergere il dramma dei profughi che hanno
dovuto lasciare le loro abitazioni a causa della guerra civile scoppiata ad
ottobre. Secondo l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), circa 400
mila ivoriani si sono rifugiati nei Paesi vicini, mentre vi sarebbero circa 700
rifugiati interni. Fonti missionarie contattate dall’Agenzia Fides a Bouaké,
città nel nord della Costa d’Avorio controllata dal principale gruppo ribelle,
il Movimento patriottico della Costa d’Avorio (Mpci) parlano invece di molte
più persone. “Solo da Bouaké, che prima della guerra contava 1 milione di
abitanti – dicono - sono fuggite 600 mila persone. Contando tutta la parte
settentrionale, si arriva tranquillamente a un milione di rifugiati, a cui
bisogna aggiungere quelli fuggiti dalle zone occidentali dove agiscono
movimenti di guerriglia molti più violenti”. I missionari hanno comunque
assicurato che possono muoversi liberamente attraverso i vari posti di blocco,
per aiutare i fedeli a vivere il più serenamente possibile la Quaresima. (M.A.)
L’INTERPOL
HA CHIESTO L’ESTRADIZIONE DELL’EX PRESIDENTE DEL PERU’
ALBERTO
FUJIMORI, RIFUGIATO ATTUALMENTE IN GIAPPONE.
LO
STATISTA È STATO CITATO IN GIUDIZIO DAL GOVERNO PERUVIANO
PERCHÉ
ACCUSATO DI ESSERE COINVOLTO
IN DUE SEPARATI MASSACRI ACCADUTI NEL 1991 E
NEL 1992
- A
cura di James Blears -
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LIMA. = L’Interpol ha chiesto l’estradizione di Alberto
Fujimori: il governo peruviano ha citato in giudizio l’ex presidente con accuse
relative a due massacri accaduti nel 1991 e nel 1992. Oltre a questo, Fujimori
è accusato di corruzione e abuso di potere. Attualmente Fujimori, in possesso
della cittadinanza giapponese, è
rifugiato nel Paese nipponico che non prevede l’estradizione per i suoi
cittadini. Precedentemente, lo statista aveva rifiutato un incontro con un
commissario peruviano, e perciò le autorità di Lima hanno preparato un formale
mandato di cattura. Nei suoi 10 anni come presidente, Fujimori è riuscito a
sconfiggere il gruppo terroristico maoista “Sendero Luminoso” ed a ridurre
l’inflazione.
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11
marzo 2003
- A cura di Giada Aquilino -
Se Francia e Russia ponessero il veto sulla
seconda risoluzione dell’Onu, aiuterebbero Saddam Hussein “a
cavarsela”. Lo ha detto stamani a Londra il premier britannico Tony Blair,
incontrando i giornalisti a Downing Street al termine di un colloquio con il
collega portoghese Jose Manuel Barroso. Ieri la stessa Gran Bretagna e gli
Stati Uniti hanno dovuto rinunciare al voto previsto per oggi
al Palazzo di Vetro, temendo una sconfitta per la
loro proposta sull’Iraq. D’altra
parte nelle ultime ore si va rafforzando il fronte del ‘no’ alla guerra,
capeggiato dalla Francia. Ieri il presidente Chirac ha detto chiaramente che
Parigi non esiterà a bloccare una nuova risoluzione contro l'Iraq. E anche la
Russia ha ribadito la propria posizione:
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Il
ministro degli Esteri russo, Ivanov, ha detto che Mosca voterà contro il testo
se resterà nella forma attuale con l’ultimatum del 17 marzo. Ivanov ha quindi
lasciato intendere che Mosca è pronta ad usare il diritto di veto in Consiglio
di Sicurezza. Il presidente francese Chirac, che vorrebbe un vertice dei capi
di Stato per discutere la crisi, si è rivolto al Paese ed ha promesso anch’egli
il veto. Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, è intervenuto nella
polemica, avvertendo che un attacco senza l’autorizzazione del Palazzo di Vetro
violerebbe la Carta delle Nazioni Unite. Washington ha risposto con iniziative
che hanno coinvolto anche il presidente Bush. Il capo della Casa Bianca ha
telefonato a diversi capi di Stato e di governo, come quello cinese e
giapponese, facendo pressioni sui membri del Consiglio, ma anche sui Paesi che
possono influenzarli. Al momento però gli Stati Uniti non hanno i nove consensi
necessari a far approvare la risoluzione e quindi hanno rimandato il voto.
Washington ha anche accusato il capo degli ispettori Onu, Hans Blix, di aver
lasciato fuori dal proprio rapporto alcuni materiali vietati che Baghdad
avrebbe cercato di usare per lanciare armi chimiche e biologiche. Dall’Iraq,
Saddam Hussein ha avvertito che, se si andrà allo scontro, l’Iraq resisterà
fino all’ultimo bambino.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Mentre la comunità internazionale discute sul
futuro dell’Iraq, qual è il clima che si respira a Baghdad? Si pensa che la
guerra sia davvero alle porte? Al microfono di Roberto Piermarini risponde
Alberto Negri, inviato speciale del “Sole 24 Ore”, da quasi due mesi a Baghdad:
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R. - Direi proprio di sì. Forse non si intuisce dai
preparativi militari perché questi non sono visibili. Però si alzano pile di
sacchetti di sabbia, si vede spuntare la contraerea sui tetti della città e su
alcuni degli edifici più importanti del potere. Il clima di guerra si avverte
anche da altri segnali e soprattutto per quanto riguarda la capacità che hanno
le persone di potersi muovere. Si avverte che a poco a poco si sta stringendo
la morsa intorno ad un Paese che si prepara ad un attacco americano.
D. - Ci sarà qualche gesto spettacolare da parte di Saddam
Hussein?
R. - Dubito che ci possa essere
un gesto convincente. Potrebbe esserci, in effetti, un discorso alla Nazione
del rais sulla questione del disarmo, ma credo che sarà improntato a dare
un’immagine di sé come campione del nazionalismo iracheno e del mondo arabo,
più che su un gesto spettacolare che possa convincere davvero Stati Uniti e
Gran Bretagna.
D. - E’ pesante il lavoro dopo 50 giorni a Baghdad?
R. - Direi di sì. Ci sono, comunque, delle cose molto
interessanti da seguire. Questo è un Paese con una forte ricchezza sociale e
soprattutto culturale, che può mostrare molti volti e molte facce che purtroppo
questo regime e gli eventi nasconderanno ancora una volta.
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Turchia. Il presidente del partito di governo ‘Giustizia e
Sviluppo’ (Akp), Tayyip Erdogan, neo eletto deputato, presterà giuramento oggi
come membro del Parlamento. Il governo del premier Abdullah Gul potrebbe quindi
rassegnare le dimissioni in giornata, per favorire la nomina dello stesso
Erdogan a nuovo premier. Il leader dell’Akp ha fatto sapere che il prossimo
esecutivo deciderà se il Parlamento di Ankara debba votare o non un nuovo testo
per il dispiegamento di soldati americani sul territorio turco, relativamente
alla crisi irachena.
Due miliziani palestinesi che cercavano
d'infiltrarsi nella colonia ebraica di Kfar Darom, nella Striscia di Gaza, sono
stati uccisi dai soldati israeliani. I militari hanno poi compiuto
un'incursione nel villaggio palestinese di Qarara, dove hanno distrutto un
magazzino in cui si sospettava venissero preparati esplosivi. Sul piano
politico, sarà ratificato entro 48 ore dal presidente dell'Anp Yasser Arafat il
testo adottato ieri a Ramallah dal Consiglio legislativo, che definisce le prerogative
del primo ministro designato, Abu Mazen.
Sono fallite nella notte
all’Aja le trattative per giungere ad un piano di pace per la riunificazione
dell'isola di Cipro, prima della firma del trattato di adesione all'Unione
europea, prevista per il 16 aprile ad Atene. Lo ha reso noto il segretario generale
dell’Onu Kofi Annan, che nelle ultime ha incontrato i leader delle comunità
greca e turca di Cipro. Con il fallimento dei negoziati, solo la parte greca
dell’isola entrerà nell’Ue. Il servizio di Cesare Rizzoli:
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“Abbiamo raggiunto la fine della strada. Dopo 30 anni di divisione,
l’occasione storica di una riunificazione e di una adesione di tutta Cipro
all’Europa è mancata”. Con queste parole, il segretario generale dell’Onu, Kofi
Annan, ha posto fine questa mattina all’alba al vertice dell’Aja. Per la
minoranza turco-cipriota, il leader Rauf Denktash ha chiesto l’impossibile: il
riconoscimento della parte sotto occupazione militare al nord, dove vive
separata dal 1974 la comunità turca. Da parte sua, la comunità di maggioranza
greco-cipriota, attraverso il neo presidente eletto Tassos Papadopoulos, ha
chiesto nuove garanzie per la futura Costituzione. Il piano voluto dall’Onu
prevedeva per Cipro il ripristino di uno Stato sovrano, ispirato alla
Costituzione della Svizzera, con un governo centrale comune, con poteri
limitati, e due Stati federati autonomi, con ampi poteri.
Per Radio Vaticana, Cesare
Rizzoli.
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La
Costa d’Avorio, dopo quasi sei mesi di violenze innescate dal tentato golpe di
settembre, si avvia verso la normalità. Il presidente Laurent Gbagbo ha
delegato stamani ampi poteri al nuovo premier Seydou Diarra. La delega è valida
per sei mesi rinnovabili. Diarra, in base ad un decreto presidenziale, dovrà
formare un governo di riconciliazione nazionale.
In
Sierra Leone sono state formulate le prime condanne per gli autori dei crimini
di guerra commessi nel Paese africano durante la guerra civile degli anni tra
il 1991 e il 2001, che ha provocato almeno 200mila vittime. I giudici del Tribunale
speciale per la Sierra Leone, istituito in gennaio, hanno incriminato 7 persone,
tra cui l’ex capo dei ribelli del Fronte unito rivoluzionario, Foday Sankoh, e
l’attuale ministro dell’Interno, Sam Hinga Norman.
Preoccupante
calo di consensi per il presidente del Messico, Vicente Fox. Le opposizioni
infatti hanno inflitto una pesante sconfitta al partito di Fox nelle elezioni
amministrative che si sono svolte ieri nel Messico, il più ricco Stato dell'Unione.
Il voto era un importante test elettorale in vista delle elezioni per il rinnovo
del Parlamento federale del 6 luglio prossimo. Ce ne parla Maurizio Salvi:
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Sia il Partito rivoluzionario istituzionale di centro, sia il Partito
della rivoluzione democratica di sinistra hanno compiuto progressi in voti e in
seggi, prendendo il controllo di questo Stato messicano. E come se non bastasse,
lo scrutinio dei voti è stato accompagnato da polemiche, agitazioni di
contadini e indios e da accuse di brogli. Fonti vicine a Fox hanno minimizzato
il risultato elettorale, ma non c’è dubbio che esso complichi la libertà
d’azione che il presidente pensava di avere sul delicato tema iracheno. Una
opposizione a Washington potrebbe comportare dure ritorsioni economiche riguardanti
gli emigrati clandestini e i prodotti agricoli. Un appoggio invece alla mozione
anglo-americana scatenerebbe ulteriormente l’opposizione interna, che
agiterebbe decisamente il fronte politico e sindacale.
Maurizio Salvi, per la Radio
Vaticana.
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