RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 67 - Testo della
Trasmissione sabato 8 marzo 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
L’Iraq procede con la distruzione di altri 6
missili al Samoud, mentre ieri Washington ha lanciato un ultimatum a Saddam
In Medio
Oriente nuovi episodi di violenza mentre a Ramallah si è riunito il comitato
centrale dell’Olp per ratificare la nomina di Abu Mazen a primo ministro
Referendum
oggi a Malta sull’adesione all’Unione Europea.
8
marzo 2003
CON IL PAPA QUESTA MATTINA IN VATICANO MIGLIAIA DI
GIOVANI
DEL
SERVIZIO CIVILE NAZIONALE,
TESTIMONI
DI ACCOGLIENZA E SOLIDARIETA’.
L’OMAGGIO
PARTICOLARE DI GIOVANNI PAOLO II ALLE DONNE VOLONTARIE
-
Servizio di Roberta Gisotti -
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(musica)
A colpo d’occhio migliaia di sciarpe bianche, e poi
musica, canzoni che hanno riecheggiato nell’Aula Paolo VI: la voglia di esserci
di 8500 giovani, ragazze e ragazzi del Servizio civile che stamane sono venuti
a Roma da ogni parte d’Italia per incontrare il Papa. L’appuntamento è iniziato
alle 9.30 con uno spettacolo che è stato trasmesso da Telepace e Sat Duemila:
tra gli artisti presenti Aleandro Baldi e Paolo Vallesi. Poi intorno alle 11,
accolto da un’ovazione, l’arrivo di Giovanni Paolo II:
“Grazie per questa visita, che mi offre
l’opportunità di conoscervi meglio e di esprimervi apprezzamento per la
professionalità e la dedizione con cui andate incontro a quanti si trovano in
difficoltà, pronti ad offrire loro il vostro sostegno”.
Giovani - ha ricordato il Santo Padre - che “per
convinzione personale profonda hanno scelto di svolgere il servizio civile in
luogo di quello militare” e ragazze e ragazzi che grazie alle nuove normative
“hanno deciso di consacrare alcuni anni della loro gioventù alla nobile causa
del bene comune, per costruire una società imperniata sui valori umani e
spirituali, diffondendo la cultura dell’accoglienza e della solidarietà.”
Dunque un “segno dei tempi”, il servizio civile
nell’attuale momento storico e per
questo anche la Chiesa - ha sottolineato Giovanni Paolo II - intende fare
spazio a questa preziosa riserva di energie, collaborando con le Istituzioni
civili alla ridefinizione del quadro giuridico entro cui dar vita al nuovo
Servizio civile, le cui prospettive in Italia sono state illustrate al Papa
dall’on. Carlo Giovanardi, ministro per i rapporti con il Parlamento, presente
all’incontro. Tutela dei diritti delle persone, educazione alla pace e alla
cooperazione internazionale, formazione dei minori, assistenza domiciliare e
ospedaliera, sostegno nel lavoro agli handicappati, promozione culturale e
ambientale: i principali campi di azione del Servizio civile. E poi un omaggio
particolare del Santo Padre:
“Mi piace
quest'oggi, giorno dedicato alla donna, ricordare il contributo che proprio
tante donne, attraverso il servizio civile nazionale, hanno dato e continuano
ad offrire al consolidarsi delle comunità civili ed ecclesiali.”
Come questa
ragazza, una fra tante, al microfono di Dorotea Gambardella:
“Sono Giuliana Bosio, arrivo da Torino. Sto facendo il
servizio civile in un centro diurno per handicappati. Sentivo il bisogno di
dare una mano a qualcuno, perché mi sento fortunata e voglio dare solidarietà”.
(musica)
**********
Nell’Aula
Paolo VI ad incontrare stamattina Giovanni Paolo II era anche un folto gruppo
di dirigenti, dipendenti e familiari della Banca di Credito Cooperativo Sangro
Teatina, accompagnati dall’arcivescovo di Chieti-Vasto, mons. Edoardo
Menichelli. Una Istituzione fondata 100 anni fa grazie – ha ricordato il Papa –
alla provvida iniziativa di quattro sacerdoti: si chiamava allora Cassa Rurale
Cattolica Depositi e Prestiti San Francesco d’Assisi e l’intento era di andare
incontro ai ceti rurali, non di rado vittime dell’usura. Lo stile di
solidarietà e l’ispirazione etico-sociale improntata al Vangelo sono rimaste patrimonio di questa Banca che
opera in Abruzzo e Molise. “Che la vostra attività prosegua - ha auspicato il Santo Padre - mantenendo lo
spirito delle origini e si apra con coraggio e lungimiranza alle emergenti
necessità dell’attuale momento storico.”
IN
UDIENZA DAL PAPA IL CARDINALE VICARIO CAMILLO RUINI,
CON I RESPONSABILI DELLA PASTORALE
UNIVERSITARIA E GIOVANILE.
NOMINA DI CURIA. PROVVISTE DI CHIESE IN
ITALIA E GUINEA EQUATORIALE
Giovanni Paolo II ha ricevuto questa mattina il cardinale
vicario, Camillo Ruini, con mons. Marco Frisina, direttore dell’Ufficio
liturgico del Vicariato di Roma, mons. Lorenzo Lezzi, direttore dell’Ufficio
per la pastorale universitaria, mons. Mauro Parmeggiani, direttore del Servizio
per la pastorale giovanile, e tre cappellani di atenei, ossia il gesuita padre
Gian Giacomo Rotelli, cappellano dell’Università “La Sapienza”, don Natale
Loda, cappellano dell’Università “Tor Vergata”, e il salesiano don Enrico Dal
Covolo, cappellano della Pontificia Università Salesiana.
Sabato prossimo 15 marzo si terrà la prima Giornata
europea degli universitari, promossa dal Consiglio delle Conferenze Episcopali
d’Europa (Ccee) e dal Comitato europeo dei cappellani universitari, in
collaborazione con il Vicariato di Roma-Ufficio per la pastorale universitaria.
L’avvenimento principale avrà luogo alla presenza del Santo Padre sabato
pomeriggio, nell’Aula “Paolo VI” in Vaticano. L’iniziativa del mondo universitario
cattolico intende dar seguito all’indizione dell’Anno del Rosario da parte di
Giovanni Paolo II e ricordare i 25 anni dall’inizio del suo Pontificato.
L’evento sarà presentato giovedì a mezzogiorno nella sede della Radio Vaticana
a Palazzo Pio.
Sempre questa mattina, il Papa ha ricevuto in successive
udienze l’arcivescovo Ivo Scapolo, nunzio apostolico in Bolivia, e il prelato
mons. Paul Richard Gallagher, osservatore permanente della Santa Sede presso il
Consiglio d’Europa.
Il Santo Padre ha nominato presidente della Commissione
permanente per la tutela dei Monumenti Storici e Artistici della Santa Sede
l’arcivescovo Francesco Marchisano. Il presule ricopre attualmente anche la
carica di presidente della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della
Chiesa e della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.
In Italia, il Papa ha nominato arcivescovo di
Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo e delegato della Santa Sede per le
Opere di San Pio da Pietrelcina mons. Domenico Umberto D’Ambrosio, finora
arcivescovo di Foggia-Bovino. Il presule subentra a mons. Vincenzo D’Addario,
trasferito nell’agosto della scorso anno alla guida della diocesi di
Teramo-Atri. Nel gennaio scorso, la denominazione di San Giovanni Rotondo fu
aggiunta a quella di Manfredonia-Vieste per indicare l’arcidiocesi pugliese.
In Guinea Equatoriale, il Pontefice ha nominato vescovo di Ebebiyin il sacerdote padre
Alfred Maria Oburu Asue, di 55 anni, attuale superiore regionale dei missionari
claretiani e parroco a Franceville in Gabon. Prende il posto di mons. Juan
Matogo Oyana, anch’egli missionario claretiano, trasferito lo scorso anno alla
diocesi di Bata.
AL VIA, DOMANI, GLI ESERCIZI
SPIRITUALI DEL PAPA E DELLA CURIA ROMANA.
DA SANT’IGNAZIO AD OGGI, CINQUE SECOLI DI UNA PRATICA ANTICA E SEMPRE
ATTUALE PER SCOPRIRE IN SE STESSI LA VOCE DI DIO
- Intervista con il gesuita, padre Mario Marcolini -
“Gli Esercizi sono certamente quanto di meglio io posso
concepire, conoscere e comprendere in questa vita, sia per il progresso personale
di un uomo, sia per i frutti, l'aiuto e il profitto ch'egli può procurare a
molti altri”. E’ il 16 novembre 1536 quando Ignazio di Loyola scrive da Venezia
queste righe al suo confessore, Emanuele Miona. Nella lettera, il fondatore
della Compagnia di Gesù spiega l’efficacia, già ampiamente sperimentata, della
pratica spirituale da lui stesso messa a punto. Per la Chiesa del tempo, il
“mese ignaziano” - come furono definite le quattro settimane originarie degli
esercizi spirituali - fu una vera rivoluzione, non subito compresa appieno.
L’approvazione pontificia maturò diversi anni dopo: il 31 luglio 1548, dopo
opportune verifiche, Papa Paolo III definì gli Esercizi ignaziani “pieni di
pietà e santità”, ritenendoli per il presente e per il futuro “molto utili per
il progresso spirituale dei fedeli”.
Alla vigilia della tradizionale settimana quaresimale di
esercizi spirituali del Papa e della Curia romana - che inizieranno domani e
dureranno fino a sabato 15 marzo - il percorso dottrinale e meditativo che
seguirà il predicatore designato - l’arcivescovo Prelato di Loreto, Angelo
Comastri - si snoderà attorno al tema di Dio Amore, “bella notizia” annunciata
al mondo. Sette giorni di riflessione tra passi biblici, parabole evangeliche e
vite dei Santi, scanditi dalla liturgia delle Lodi e dal Rosario: tante tessere
di un mosaico pensato - come disse Sant’Ignazio – per “preparare e disporre
l'anima a togliere tutti gli affetti disordinati e, dopo averli tolti, a
cercare e trovare la volontà di Dio nella disposizione della propria vita”.
Padre Mario Marcolini, gesuita ed esperto di esercizi spirituali che predica
nella casa di Bassano del Grappa, spiega, al microfono di Alessandro De
Carolis, l’essenza e l’attualità di questa pratica:
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R. - Posso dire
che sono una esperienza forte di Dio, suscitata dall’ascolto della sua Parola:
Parola accolta nel proprio vissuto personale, sotto l’azione dello spirito
Santo, in un clima di silenzio e di preghiera, con l’aiuto di una guida
spirituale. Questo ascolto dona la capacità del discernimento per il compimento
della propria missione battesimale oggi.
D. - Sant’Ignazio ha codificato
gli Esercizi spirituali circa 500 anni fa. Da quel momento, come si è evoluta
questa pratica?.
R. –
Sinteticamente, si può dire che da Sant’Ignazio ad oggi si può cogliere una
evoluzione, nella proposta degli Esercizi, sotto forma di predicazione.
Fortunatamente, con il Concilio Vaticano II si è avuta una ripresa degli
Esercizi, così come originariamente Sant’Ignazio li aveva pensati. Ora si
lascia parlare molto di più il Signore e la guida non fa altro che accompagnare
l’esercitante ad incontrare il suo Signore.
D. - Esercitare lo spirito sembra oggi uno sforzo un po’
fuori luogo nella società moderna che ama molto di più esercitare il corpo. C’è
richiesta oggi di vivere gli esercizi spirituali?
R. – E’ vero, esiste una contraddizione. Da una
parte, vi è una società che porta
l’uomo sulle strade del materialismo. Dall’altra, però, troviamo, specialmente
nelle giovani generazioni, un grande desiderio di spiritualità. Molto spesso,
questo desiderio porta i giovani su strade diverse, più facili, ma poi, si
verifica anche un ritorno. Ultimamente, ho avuto la possibilità di incontrare
delle persone che, dopo aver frequentato per circa 10 anni il movimento
buddista, hanno capito che l’unica vera religione è ritornare al Cristianesimo
che avevano abbandonato.
D. - Spesso, pensando agli Esercizi spirituali, li si
ritiene appannaggio di persone legate in maniera stretta all’ambiente ecclesiale,
come sacerdoti o suore. In base alla sua esperienza, che tipo di rapporto hanno
i laici con gli esercizi spirituali?
R. - Vediamo come specialmente gli Esercizi nella vita
ordinaria siano veramente frequentati, ricercati da molti laici. Qui nel
Veneto, dove mi trovo, vi sono ad esempio centinaia di persone che in questi
ultimi anni hanno fatto gli Esercizi spirituali nella vita ordinaria che durano
due anni.
D. - Per parlare dell’efficacia degli Esercizi spirituali
può essere utile il ricorso ad un esempio concreto, un’esperienza-simbolo. Ne
ricorda qualcuna?
R. – Certamente. Ve ne è una che mi ha lasciato
sconcertato per il modo in cui lo spirito opera nelle persone. Una giovane, che
da più di 15 anni aveva abbandonato la fede, si è trovata a vivere il mese
ignaziano e, dopo alcuni mesi, si è licenziata per entrare in un convento di
suore. Ma a parte questo episodio limite, ci sono tante persone trasformate
dagli esercizi spirituali. Posso leggere alcuni passi di qualche lettera che ho
ricevuto in questo tempo. Per esempio, un sacerdote mi scrive: per me gli
Esercizi sono stati un’esperienza che ha segnato la mia vita spirituale e
sacerdotale dopo 25 anni di sacerdozio. L’hanno rinnovata. Ho fatto una vera
esperienza rigenerante nello spirito, stupenda, pur nella fatica degli
Esercizi.
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NUMEROSE INIZIATIVE DI COLLABORAZIONE IN AGENDA
IN SEGUITO ALLA RECENTE VISITA
DELLA DELEGAZIONE DELLA SANTA SEDE
ALLA CHIESA ORTODOSSA DI GRECIA AD
ATENE SEGNO DI UN NUOVO SLANCIO ECUMENICO NEL COMUNICATO DEL PONTIFICIO
CONSIGLIO
PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI
- Servizio di Carla
Cotignoli -
Numerose le
iniziative concrete avviate in seguito alla recente visita della
delegazione della Santa Sede guidata dal cardinale Walter Kasper alla Chiesa
ortodossa di Grecia ad Atene. Toccano gli ambiti più diversi: il processo di
integrazione europea, il dialogo teologico cattolico-ortodosso, scambi
accademici a livello universitario, collaborazione in vista dei Giochi Olimpici
del 2004 in Grecia. E’ quanto riferisce un comunicato pubblicato oggi dal Pontificio consiglio per
l’unità dei cristiani. Servizio di Carla Cotignoli.
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I numerosi momenti di incontro e collaborazione in agenda
per le Chiese cattolica e ortodossa di Grecia sono un segno del profondo cambiamento
avviato a partire dal viaggio del Papa nella capitale greca del maggio 2001.
“Per comprendere l’ampiezza del cambiamento – si legge nel comunicato – basti
ricordare che la Chiesa ortodossa di Grecia fu una delle due Chiese che
declinarono l’invito a designare propri osservatori al Concilio Vaticano II”.
Ma veniamo ai
fatti. Una delegazione cattolica
guidata da cardinale, ritornerà ad Atene nel prossimo maggio (4-6) per
partecipare ad una Conferenza internazionale promossa dalla Chiesa ortodossa di
Grecia, su un tema che sta a cuore alle due Chiese: “I principi morali ed i valori sulla cui base strutturare l’Europa”.
Pochi giorni dopo - dal 21 al
24 maggio - due specialisti della Chiesa ortodossa di Grecia saranno a Roma per
partecipare ad un simposio accademico su una questione cruciale per
l’ecumenismo: il Ministero Petrino.
La settimana seguente (1-3
giugno) un rappresentante del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani
sarà in Grecia, a Tessalonica, per partecipare al simposio, promosso dalla
Chiesa ortodossa di Grecia, sul dialogo teologico cattolico-ortodosso, alla
Facoltà di Teologia dell’Università Aristotele.
Ancora verranno incrementati
gli scambi accademici tra le Università
cattoliche ed ortodosse e si cercherà di “estendere ad un maggior numero di
candidati la possibilità di frequentare i centri teologici di formazione degli
uni e degli altri”.
Le Olimpiadi del 2004 che si
terranno in Grecia saranno un’altra preziosa occasione di collaborazione “tra
musei e biblioteche per far conoscere meglio la storia dei contatti tra Roma e
Bisanzio”.
In
questi ultimi anni poi i lavori della Commissione Mista Internazionale per il
dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme
avevano subito una battuta d’arresto. E’ stata confermata l’intenzione della
Chiesa ortodossa di Grecia di contribuire alla riattivazione di questo dialogo.
“Tenendo conto della posizione di tale Chiesa nell’insieme delle Chiese
ortodosse - si legge ancora nel comunicato -
si può sperare che un tale positivo sviluppo valga effettivamente ad
offrire nuove possibilità alla Commissione Mista internazionale di dialogo”.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Un articolo dell'arcivescovo
Renato Raffaele Martino dal titolo "Il Papa e la pace" apre la prima
pagina: un articolo che si inserisce nell'ambito della riflessione quaresimale
ispirata ad una "mobilitazione penitenziale per la pace".
Riguardo alla crisi irachena si
rileva la divisione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu.
Nelle vaticane, in occasione
dell'odierna udienza, il Papa ha sottolineato che il Servizio civile,
contributo ai Paesi emergenti e a quelli segnati dalla guerra, è un "segno
dei tempi".
Due pagine sull'inaugurazione,
a Cuba, della Casa di Santa Brigida: l'intervista dell'inviato Giampaolo Mattei
al card. Ortega y Alamino e a Madre Tekla Famiglietti.
Un articolo di Giuseppe Buono
dal titolo "Il Rosario per la missione": una riflessione sul
Messaggio del Santo Padre per la Giornata Missionaria Mondiale.
Una pagina dedicata alla
Quaresima nelle diocesi italiane.
Nelle pagine estere, Medio
Oriente: ucciso un leader storico di Hamas in un raid aereo israeliano a Gaza;
i fondamentalisti islamici armati annunciano attacchi contro i parlamentari di
Tel Aviv.
Corea del Nord: conferme
sull'imminenza di un nuovo test missilistico.
In Costa d'Avorio i violenti
scontri tra i ribelli e l'esercito governativo hanno causato non meno di
duecento morti fra i civili.
Nella pagina culturale, per la
rubrica "Oggi", un articolo di Marco Bellizi dal titolo "Alma
Petri e Nadia Lioce: la forza dei sentimenti e il vuoto del cuore": due
figure di donna che hanno segnato la data dell'8 marzo.
Un contributo di Franco Patruno
dal titolo "Sussulti di astioso laicismo": contro la fiction
televisiva su Santa Maria Goretti.
Due monografiche dal titolo
"Aperte alla consultazione le carte dell'Archivio Segreto Vaticano
relative ai rapporti Santa Sede-Germania (1922-1939).
Nelle pagine italiane, i temi
della giustizia e del terrorismo. La nomina del nuovo Cda della Rai.
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OGGI E DOMANI A L’AVANA LE CERIMONIE PER
L’INAUGURAZIONE DELLA PRIMA CASA DELLE SUORE BRIGIDINE A CUBA VOLUTA DA FIDEL
CASTRO: CON NOI L’ABBADESSA TEKLA FAMIGLIETTI E L’AMBASCIATORE DI CUBA PRESSO
LA SANTA SEDE
-
Servizio di Giovanni Peduto -
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Il primo appuntamento sarà la concelebrazione eucaristica
in cattedrale presieduta dal cardinale prefetto della Congregazione per
l’evangelizzazione dei popoli, Crescenzio Sepe. Alla cerimonia, prevista per le
10, corrispondenti in Italia alle 16, parteciperanno il cardinale arcivescovo
di L’Avana, Ortega y Alamino, l’arcivescovo messicano di Guadalajara, cardinale
Sandoval Iñiguez e numerosi altri presuli e presbiteri. Quando da noi saranno
le 23, a Cuba le 17, ci sarà l’inaugurazione del nuovo convento brigidino con
gli annessi locali per le opere apostoliche, alla presenza del presidente di
Cuba, comandante Fidel Castro Ruz. Aprirà la cerimonia l’abbadessa generale
delle Suore di Santa Brigida, madre Tekla Famiglietti. Seguirà il discorso di Fidel
Castro. Il cardinale Sandoval tratteggerà l’iter dell’evento. Il prof. Eusebio
Leal Spengler, Historiador della città di L’Avana, descriverà la realizzazione
dell’opera di restauro e costruzione. In fine seguirà la benedizione dei locali
da parte del cardinale Crescenzio Sepe. Domani alle 10, ora di Cuba, la
concelebrazione eucaristica nella nuova cappella del convento brigidino
presieduta dal cardinale Crescenzio Sepe, con il rito di consacrazione del
nuovo altare. Alle 17, ora di Cuba, la solenne celebrazione dei Vespri nella
cappella del convento brigidino. Questa casa fu voluta da Fidel Castro che la
chiese espressamente al Santo Padre in ricordo della visita del Pontefice a
Cuba 5 anni or sono. La parola a madre Tekla Famiglietti:
R. - Infatti, come lei ha ben detto, fu proprio Fidel Castro a fare la
domanda a noi di portare l’Ordine a Cuba, scrivendo al Santo Padre che lo
voleva questo in ricordo del suo viaggio apostolico, e nel volere mettere in
pratica proprio le parole del Santo Padre che Cuba si deve aprire al mondo e il
mondo a Cuba. E allora noi su questa scia con i dovuti permessi ecco che
andiamo a cinque anni dal viaggio del Santo Padre a Cuba e vogliamo offrirlo
questo dono al Santo Padre di aprire questa casa anche in ricordo del suo 25.mo
anno di pontificato.
D. – Madre Tekla, come è scaturita questa iniziativa: quando Fidel Castro
ha chiesto di volere una casa di Suore Brigidine a Cuba?
R. – Esattamente quando il
Comandante si trovava, a Città del Messico, nel 2000, per l’insediamento del
nuovo presidente Fox. Allora, trovandomi anch’io lì, in Messico, manifestai al
presidente della Conferenza episcopale messicana il desiderio di portare
l’Ordine a Cuba. Egli riferì subito questo mio desiderio a Fidel Castro -
eravamo al pranzo ufficiale - e lo stesso giorno Fidel Castro vi aderì: “Sì,
una comunità di suore impegnate nella causa ecumenica è proprio quello che
desideriamo a Cuba”. E subito scrisse al Santo Padre.
D. – Come è strutturato, e quante suore lo occuperanno?
R. – L’edificio era già stato in passato un convento che Fidel Castro ha
donato all’Ordine. Ha una capienza per 24 religiose, con due cappelle, una per
il noviziato ed una per il pubblico, e poi abbiamo fatto costruire anche un’ala
per gli ospiti, come casa di esercizi e tutto quello che è compatibile con il
nostro carisma. Per il momento vi saranno otto religiose di tre nazionalità:
messicane, indiane e polacche.
Cosa rappresenta per Cuba questa
casa di Suore Brigidine? Lo abbiamo chiesto all’Ambasciatore di Cuba presso la
Santa Sede, Isidro Gòmez Santos:
R. – In primo luogo, è un avvenimento molto positivo a cui noi guardiamo
con molta simpatia. Come lei sa, noi abbiamo fatto del nostro meglio per
aiutare le Suore di Santa Brigida ad andare a Cuba perché è una nuova
congregazione che farà del bene a tutti: alla Chiesa, alla popolazione, al
Paese. Attualmente, è il 56.mo ordine religioso femminile presente a Cuba, 22
sono gli ordini maschili. C’è quindi una grande presenza della Chiesa nel
nostro Paese. Io sono assolutamente sicuro che le suore avranno un ruolo
importante dal punto di vista sociale e spirituale. Sarà una cosa molto
positiva per Cuba.
Le Brigidine sono ormai suore di frontiera: hanno adesso
case, oltre che in Italia, in Svezia – la patria d’origine di Santa Brigida –
in Svizzera, in Inghilterra, Polonia, India, Messico, da poco nelle Filippine
e, soprattutto in Israele, a Betlemme, da appena un anno, e in ultimo ora a
Cuba.
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LE INIZIATIVE A FAVORE DELLO SVILUPPO DEVONO ESSERE
CENTRATE SUI BISOGNI
E LE PRIORITÀ DELLE DONNE. COSÌ IL SEGRETARIO
GENERALE DELL’ONU, KOFI ANNAN,
NEL SUO MESSAGGIO PER L’8 MARZO. IN QUESTO GIORNO DI
FESTA,
BARBARA HOFMANN RICEVE IL PREMIO AMBASCIATRICE DI
PACE
- Con noi, Barbara Hofmann -
Le iniziative per lo sviluppo
devono essere focalizzate sui bisogni e le priorità delle donne. E’ quanto
sostiene il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, nel suo
messaggio per l’odierna Giornata Internazionale della donna. “Quando le donne
sono pienamente coinvolte - afferma - i benefici sono immediatamente
percepibili, le famiglie più sane e meglio alimentate, i redditi, i risparmi e
gli investimenti crescono e i vantaggi si ripercuotono sulla comunità e sul
Paese”. Di qui, l’appello a sostenere
la parità tra i due sessi, a promuovere l’istruzione delle bambine, ad
insegnare a leggere e scrivere a mezzo miliardo di donne adulte - i due terzi
di analfabeti al mondo - a mettere, infine, le giovani al centro della lotta
contro l’Aids. Secondo Kofi Annan “soltanto investendo sulle donne di tutto il
mondo si può sperare di raggiungere entro il 2010 gli Obiettivi di Sviluppo del
Millennio”. Un esempio di donna strenuamente impegnata a difesa dei più deboli
è Maria do Rosario Farmhouse, direttrice del Servizio dei gesuiti per i
Rifugiati (Jrs) in Portogallo. A conferma dell’alto valore del lavoro svolto in
questi anni, Maria do Rosario verrà oggi insignita dal presidente della
Repubblica portoghese, Jorge Sampajo, delle insegne dell’Ordine dell’Infante
Dome Henrique.
Dal canto suo - in sintonia con
il segretario generale dell’Onu - il Centro Internazionale per la Pace fra i
Popoli di Assisi, ha scelto questa giornata di festa per assegnare il Premio
Ambasciatrice di Pace. L’onorificenza, quest’anno, è stata assegnata a Barbara
Hofmann, fondatrice dell’Asem, l’associazione in sostegno dei bambini in
Mozambico. “Barbara Hofmann – si legge nelle motivazioni del premio – è la
testimone di una abnegazione caritatevole ed amorevole trasmessaci da Madre
Teresa di Calcutta’’. Antonella Villani le ha chiesto come vive questo
riconoscimento in un momento così delicato per la pace nel mondo:
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R. - Mi darò molto di più da fare perché avrò una
voce anche più grande e forse anche più ascoltata. Penso che c’è tanta gente
che sta dimenticando che ognuno può partecipare a questa pace. Il problema non
è lontano, ma è qui, davanti alla porta e se non c’è pace non avrà pace
nessuno.
D. - Lei è la fondatrice
dell’Asem, l’associazione per il sostengo dei bambini in Monzambico. Per loro la
pace è un bene prezioso?
R. - Noi abbiamo avuto la guerra
e poi sono stati firmati accordi di pace. Una signora, mia amica, aveva due
figli di 10 e 12 anni che sono nati durante la guerra. Alla notizia degli
accordi di pace noi eravamo tanto contente. Questi bambini, invece, erano
indifferenti, passivi. Sono andata da loro ed gli ho chiesto: ma non siete
contenti? C’è la pace, la pace! Mi hanno risposto: sì. E ho chiesto loro:
sapete che cosa è la pace? E mi hanno detto “no”. E’ abbastanza difficile spiegare
che cosa è la pace a qualcuno che non l’ha mai conosciuta. Diviene allora molto
importante, quindi, che quando l’abbiamo, la curiamo.
D. - Lei ha dedicato tutta la sua vita ai bambini africani. Come si
arriva a fare una scelta del genere?
R. - Ho visto una realtà. Non
era giusto vedere ciò che ho visto, non per averlo visto ma per chi lo viveva.
Avevo l’impressione che con poco si può fare molto. Anche chi non ha niente può
fare molto.
D. - Per questo amore che lei ha verso l’Africa e verso i suoi bambini
ha messo in gioco tutta se stessa, anche la sua salute. Cosa la spinge ad
andare avanti?
R. - Sono questi bambini che dall’età di 3, 5,8, 10 anni
hanno la forza e la speranza di poter vivere. Finalmente l’Africa fa parte del
mondo e il mondo è il nostro. Non possiamo dire sono in questo Paese, non mi
interessa di altro. E’ come l’acqua, il vento, il sole. E’ nostro e se perdiamo
questo non è solo l’Africa e l’Europa che perde, ma è il mondo che perde. Per
questo dobbiamo lottare per la pace nel mondo.
D. - Cosa spera per il futuro dei suoi 1.500 bambini che
vivono nei due centri che ha fondato in Mozambico?
R. - Che possano continuare ad andare a scuola. Che possano
continuare ad imparare per potere vivere una vita dignitosa grazie ad un aiuto,
grazie ad una mano, grazie all’amore, grazie alla pace. Che possano crescere
come esseri umani e contribuire quindi a loro volta ad aiutare gli altri.
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LE REAZIONI DEL MONDO ISLAMICO
DI FRONTE ALL’’EVOLUZIONE DELLA CRISI IRACHENA”
- Servizio di Alessandro Gisotti -
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Tra le conseguenze più evidenti della crisi
irachena, vi è, senza dubbio, la frattura all’interno del mondo occidentale,
come dimostrano i contrasti tra “l’asse” franco-tedesco e gli Stati Uniti.
L’eventualità di una guerra contro Saddam Hussein, tuttavia, non manca di
dividere anche il mondo islamico. Nel recente vertice dell’Organizzazione della
conferenza islamica, a Doha, si è assistito ad uno scontro acceso tra i
delegati di Iraq e Kuwait. All’ultimo vertice arabo di Sharm El Sheikh, invece,
si è consumato uno strappo tra Libia ed Arabia Saudita. Sui motivi di queste
frizioni tra i Paesi islamici, ascoltiamo l’opinione di Camille Eid,
giornalista libanese, editorialista di “Avvenire”:
R. – Se noi prendiamo, per esempio, il punto chiave sulla partecipazione
all’offensiva militare, tutti i Paesi arabi hanno detto un “no” secco, e questo
su invito del presidente siriano Assad. Però molti Paesi, soprattutto quelli
del Golfo, ospitano delle basi americane: il Qatar, l’Arabia Saudita, gli
Emirati Arabi Uniti, il Kuwait, ovviamente. Questi Paesi hanno accettato di non
partecipare con le proprie truppe ad un’azione militare, ma lasciando fare agli
americani sul loro territorio. E’ovvio che il Kuwait si schiera al primo posto
a favore di questa offensiva. Un quotidiano è uscito in questi ultimi giorni
con questo titolo: “Diciamolo senza vergogna: vogliamo abbattere il regime di
Saddam Hussein”. Gli altri Paesi sono un po’ titubanti, hanno una posizione più
imbarazzante. L’opinione pubblica in questi Paesi ha cominciato un po’ in
ritardo a manifestare contro offensiva militare, mentre i regimi non vedono
l’ora di sbarazzarsi del regime iracheno.
D. – Qual è l’atteggiamento dell’opinione pubblica islamica? Ci sono
differenze sostanziali da Stato a Stato?
R. – Differenze sostanziali esistono, forse, tra i
Paesi del Golfo in generale, che sono abbastanza rassegnati all’idea della
guerra, alla necessità di una guerra, ed il resto del mondo arabo islamico. La
Malaysia, ad esempio, è “uscita” con una dichiarazione in cui si afferma che
un’eventuale guerra potrebbe essere considerata una guerra contro il mondo
islamico, contro l’Islam come religione. Le manifestazioni si svolgono
continuamente a Damasco, come al Cairo, dove la legge vieta le manifestazioni
pubbliche, oppure in Paesi ancora più lontani come l’Algeria e il Marocco.
Quindi con il sostegno all’Iraq si avvera una spaccatura tra la posizione
ufficiale e quella dell’opinione pubblica che, comunque, si è rassegnata
all’idea di una guerra imminente e alla caduta di questo regime
Se, dunque, l’opinione pubblica
dei Paesi islamici è in gran parte contraria all’uso della forza contro l’Iraq,
più complesso è l’aspetto della percezione che il mondo musulmano ha, in questa
contingenza internazionale, dell’Occidente, come spiega padre Justo Lacunza, preside del Pontificio
Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica:
R. -
L’Occidente viene percepito almeno in tre livelli diversi: come una classe
governativa, una classe politica, che vuole gestire gli aspetti politici ed
economici del Medio Oriente e dell’Iraq. Secondo, l’Occidente viene percepito
come una grande forza economica, una grande forza anche intellettuale e un
grande potere finanziario. Terzo, come milioni e milioni di persone, che sono in
favore di una proposta di pace.
D. –
Una guerra all’Iraq e l’allontanamento di Saddam Hussein dal potere in che modo
potrebbe cambiare gli equilibri del Medio Oriente sotto il profilo politico e
quello economico?
R. - Intorno all’Iraq ci sono nazioni diverse e ognuna di
loro ha una storia, un sistema politico e ha una visione del Medio Oriente che
non è la stessa. Si tratta della Turchia, dell’Arabia Saudita, del Kuwait,
dell’Iran e della Giordania. Prendere in considerazione questo è una cosa
molto, molto importante perché una guerra farebbe scattare dei meccanismi di
contraddizione e nello stesso tempo dei meccanismi bellici fra queste nazioni,
rendendo il Medio Oriente una vera polveriera.
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8
marzo 2003
I SACERDOTI AFRICANI PRESENTI A ROMA PARTECIPANO
OGGI A
UN
MOMENTO DI RIFLESSIONE SUL CONTRIBUTO CHE LA CHIESA PUÒ DARE
NEL LORO CONTINENTE SEGNATO DAI CONFLITTI
BELLICI
ROMA. = Che contributo può dare la Chiesa in un continente
segnato dalla guerra come quello africano? Se ne parla oggi a Roma
nell’incontro di fraternità, “La riconciliazione in Africa nel contesto degli
attuali conflitti”, iniziativa promossa dal Centro internazionale di animazione
missionaria (Ciam). Al centro della riflessione le frequenti, e purtroppo
dimenticate guerre dell’Africa, che chiamano i sacerdoti ad un rinnovato
impegno evangelizzatore. L’incontro costituisce perciò un momento importante
per tutti i sacerdoti africani presenti a Roma, che hanno la possibilità di
confrontarsi e dialogare sulle tragiche vicende che il loro continente sta
vivendo. Ai lavori partecipano alcuni esperti tra i quali mons. Robert Sarah,
arcivescovo emerito di Conakry, in Guinea, segretario della Congregazione per
l’evangelizzazione dei popoli. Il Ciam è stato eretto il 31 maggio 1974 dalla
Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli secondo le direttive del
Concilio, con l'incoraggiamento e la benedizione di Paolo VI. La sua finalità
principale è offrire un servizio, con la collaborazione della Pontificia
Università Urbaniana, delle Pontificie Opere Missionarie, degli istituti
religiosi e degli organismi missionari, per il rinnovamento spirituale del
personale missionario (missionari diretti e operatori dell'animazione
missionaria), e per la crescita dello spirito missionario nella Chiesa. (M.A.)
I
VESCOVI DEL KENYA SI SONO PRONUNCIATI NEI GIORNI SCORSI CONTRO LA POSSIBILE
INTRODUZIONE DELL’ABORTO LEGALE NEL PAESE. “LA VITA UMANA - HANNO RIBADITO -COMINCIA
AL MOMENTO DEL CONCEPIMENTO”
NAIROBI.
= Ferma presa di posizione dei vescovi del Kenya contro la possibile
introduzione dell’aborto legale nel Paese. In un comunicato pubblicato
mercoledì scorso, i presuli hanno riaffermato la posizione della Chiesa cattolica nei confronti
dell’aborto: è un omicidio vero e proprio. A spingere i vescovi ad intervenire
sono state le dichiarazioni del ministro della Sanità del Kenya, Charity Ngilu,
che, nel corso di un una conferenza internazionale sulla pianificazione
familiare svoltasi a Nairobi, aveva affermato di appoggiare una politica che
permetta alle donne di praticare l’aborto in strutture ospedaliere. Il ministro
ha citato la piaga degli aborti illegali, che secondo esperti locali raggiungono
la spaventosa cifra di 700 al giorno. “La vita umana - hanno ricordato i vescovi -comincia al
momento del concepimento e la legge deve assicurare il diritto alla vita del
bambino fin dal concepimento. La vita è un sacro dono di Dio e così come la
madre desidera che i suoi diritti siano protetti, anche il bambino nel suo
grembo detiene dei diritti. Questi sono diritti inalienabili che nessuno può
violare con la scusa della libera scelta”. (M.A.)
CRESCE LA PREOCCUPAZIONE DEL GOVERNO DELLA
REPUBBLICA DEL CONGO
PER LA
DIFFUSIONE DELL’EPIDEMIA DI EBOLA. NELLA CUVETTE, LA REGIONE PIÙ COLPITA, È
STATO DECRETATO LO STATO DI QUARANTENA,
MENTRE
SONO SALITE A 94 LE PERSONE DECEDUTE
BRAZZAVILLE.
= Sono salite purtroppo a 94 le vittime accertate dell’epidemia di Ebola, che
ha colpito la regione della Cuvette, nella Repubblica del Congo. Lo ha riferito
ieri il ministero della Salute congolese. Nel Paese africano quindi non si
arresta l’emergenza per la malattia e le testimonianze dei missionari cattolici
impegnati nella regione della Cuvette confermano la gravità della situazione.
“Il governo ha decretato lo stato di emergenza – dicono le Suore della Croce
dalla loro casa nel villaggio di Engama - e la regione è in quarantena per
evitare la propagazione dell’epidemia nelle altre zone del paese”. “I malati
sono isolati negli ospedali perché il virus è molto contagioso –aggiungono - e
i medici non permettono a nessuno di toccare le persone infette. Tra la
popolazione si è diffuso il panico e molti sono fuggiti nella foresta, sperando
di evitare così la malattia”. Ma la
preoccupazione più profonda viene espressa, dalla capitale Brazzaville, dai
missionari dello Spirito Santo: “Vogliamo ricordare - dicono - che i veri drammi dell’Africa sono la malaria e l'Aids
che ogni anno provocano milioni di morti. Ebola è una malattia spaventosa e per
questo colpisce la sensibilità degli occidentali, ma si tratta di un problema
locale. Ricordiamoci invece dei milioni d’africani che soffrono per malaria e
Aids”. Ebola comunque è uno dei virus più pericolosi per facilità di
trasmissione e mortalità elevata. Non esistono cure e finora non è stato
trovato nessun vaccino efficace. La malattia si manifesta con un brusco
innalzamento della temperatura, debolezza, dolori muscolari, cefalee e mal di
gola. Seguono vomito, diarrea, eruzioni cutanee, insufficienza renale ed
epatica, emorragie interne ed esterne. La mortalità varia dal 50 al 90 per
cento dei casi. Il periodo di incubazione va da 3 a 21 giorni. Il virus è
originario delle foreste e si trasmette attraverso il contatto diretto con il
sangue, aghi e siringhe contaminati, organi e secrezioni di individui ammalati.
In Africa vi sono stati diversi casi di focolai di Ebola in tempi recenti. Nel
1976, da giugno a novembre, Ebola ha infettato 284 persone in Sudan, facendo
117 morti. Nello stesso anno, nell'allora Zaire, vi sono stati 318 casi con 280
morti tra settembre e ottobre. Ebola è tornato a colpire in Zaire nel 1995 a
Kikwit; vi furono 315 contagiati, 244 con esiti mortali. Tra i morti vi furono
7 suore che non vollero abbandonare i malati e contrassero così la malattia.
(M.A.)
LE AUTORITA’ GIUDIZIARIE DI NAZARET HANNO ORDINATO
GIOVEDÌ SCORSO
DI DEMOLIRE ENTRO TRE GIORNI LE FONDAMENTA
DELLA MOSCHEA SHIHAB ED-DIN,
COSTRUITE VICINO ALLA BASILICA
DELL’ANNUNCIAZIONE
NAZARET
= Rimane un giorno di tempo all’ente per la protezione dei luoghi santi dell’islam
in Palestina (Waqf), per demolire le strutture della controversa moschea
“Shihab ed-Din” a Nazaret. Le autorità giudiziarie della città, giovedì scorso,
hanno stabilito che le strutture costruite sino ad ora sono abusive perché
edificate contro un provvedimento del 2001 che ne intimava la sospensione e,
come tali, entro tre giorni, devono essere abbattute. Il terreno su cui si
stava costruendo la moschea, si trova vicino alla Basilica dell’Annunciazione
che comprende al suo interno la casa in cui l’arcangelo Gabriele annunciò a Maria
la nascita dei Gesù. Il luogo è venerato dai cristiani sin dal secondo secolo
dopo Cristo. Per i musulmani invece la moschea sarebbe dovuta sorgere vicino
alla tomba di Shihab ed-Din, nipote del Saladino che combatté i crociati nel
12.mo secolo. La vicinanza dei due luoghi di culto però, dall’inizio del
progetto nel 1999, è stata fonte di discordia tra la comunità islamica e quella
cristiana di Nazaret. Più volte i cristiani della Terra Santa e la Santa Sede
avevano chiesto l’intervento del governo israeliano, che per dirimere la
questione aveva costituito uno speciale comitato interministeriale. Un anno fa,
dopo consultazioni alle quali avevano partecipato anche il nunzio apostolico in
Israele, mons. Pietro Sambi, e il custode dei Luoghi Santi, il comitato aveva
espresso un parere negativo riguardo la costruzione. Adesso arriva la sentenza
della magistratura ordinaria, che dovrebbe porre fine alla vicenda. Gli
islamici invece, secondo fonti d’agenzia, si sono opposti con decisione.
Migliaia di fedeli ieri hanno partecipato alla preghiera del venerdì nel
terreno dove avrebbe dovuto sorgere la moschea e hanno dichiarato che intendono
proseguire nei lavori di costruzione. Sembrano inutili le proposte del governo
di Ariel Sharon che ha offerto sette siti distinti nella stessa città di
Nazaret per costruire una nuova moschea. Lo stesso Yasser Arafat si è offerto
come mediatore e così pure l’Arabia Saudita, che ha avanzato la proposta di
finanziare la costruzione della moschea in un altro quartiere. Tutte le offerte
sono state rifiutate dal Wafq e dal movimento islamico d’Israele. (A.M./M.A)
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8 marzo 2003
- A cura di Barbara Castelli -
L’Iraq
tenta il tutto per tutto contro la linea dura degli Stati Uniti. Baghdad ha,
infatti, iniziato oggi a distruggere altri 6 missili proibiti al Samoud 2, ma
Washington ha dato ieri il proprio ultimatum a Saddam: ancora dieci giorni di
ispezioni e poi il Consiglio di Sicurezza dell’Onu dovrà aprire la strada
all’intervento armato in Iraq. La scadenza della Casa Bianca - appoggiata da
Gran Bretagna, Spagna e Giappone - è stata data poco dopo il nuovo rapporto sul
disarmo presentato al Palazzo di Vetro dai capi dei controllori Hans Blix e Mohammed
El Baradei. Il servizio di Paolo Mastrolilli:
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Blix e Al Baradei hanno sostenuto che l’Iraq potrebbe
collaborare di più e restano ancora parecchi interrogativi sui suoi programmi
di riarmo, ma la cooperazione attiva è aumentata nelle ultime settimane e sta
producendo risultati concreti. Il diplomatico svedese ha definito la
distruzione di missili al Samoud un atto concreto di disarmo e ha citato anche
i progressi nella consegna di nuovi documenti, negli interrogatori con gli
scienziati e nella scoperta di siiti dove sarebbe avvenuta la distruzione di
parte delle armi prodotte da Baghdad. Blix ha concluso che il processo delle
ispezioni sta dando risultati e per avere risposte definitive non avrebbe
bisogno di anni o di settimane, ma di qualche mese. Al Baradei ha aggiunto che
per il momento tutte le accuse mosse all’Iraq per la ricostituzione del suo
programma di riarmo nucleare si sono rivelate infondate. Russia, Francia,
Germania e Cina hanno interpretato il rapporto come la conferma che le ispezioni
stanno funzionando e hanno ribadito l’opposizione ad ogni risoluzione che
dovesse autorizzare la guerra. Stati Uniti e Gran Bretagna, invece, hanno
proposto di emendare la loro risoluzione aggiungendo l’ultimatum del 17 marzo.
I Paesi contrari alla guerra hanno gia bocciato questo approccio. La Francia ha
suggerito un vertice di capi di Stato e di governo, ma Washington lo ha
definito inutile.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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All’interno del Consiglio di
Sicurezza dell’Onu sulla crisi irachena si è riprodotto anche ieri, dunque, il
contrasto che sta lacerando da settimane molti governi. A tal proposito,
sentiamo da Washington la nota di Empedocle Maffia:
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Da un
lato gli Stati Uniti, nella loro inamovibile voglia di resa dei conti
definitiva con Saddam Hussein. Dall’altro, la grande maggioranza dei Paesi che
considera il necessario disarmo iracheno come un processo che oggi, per
ammissione degli stessi ispettori dell’Onu, si può certificare essere
finalmente in atto. E’ la logica della costruzione della sicurezza attraverso
un processo diplomatico che si pone l’alto valore di preservare la pace, contro
la miopia di chi crede che le armi possano forzare la realtà sino a piegarla ad
interessi anche economici e ben precisi. Quel che più spaventa di questo
contrasto è il rischio di piegare la funzione del più alto consesso
internazionale alla logica del più forte e se, questa operazione non riesce, di
delegittimare le Nazioni Unite e di scegliere la via delle armi come diritto
del più forte. E’ uno scontro di valori che va oltre il caso Iraq. La ragione
si ostina a credere che la stupidità di una guerra preventiva possa ancora
essere impedita.
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Gli
Stati Uniti stringono la morsa intorno a Osama bin Laden, ma il capo di Al
Qaeda ancora non è finito nella rete. Il governo americano ha così smentito le
voci circolate sulla sua cattura, specificando che la caccia all’uomo è
concentrata nella regione pachistana di Ribat, al confine con l’Afghanistan.
Secondo fonti non ufficiali, inoltre, 7 membri di Al Qaeda sono rimasti uccisi
ieri in uno scontro con un gruppo di militari americani e pachistani nel
sud-est dell’Afghanistan. Intanto, il ministro dell’interno pachistano, Faisal
Saleh Hayat, e la Casa Bianca hanno smentito l’arresto e il ferimento di due
figli del principe del terrore.
Trasferiamoci in Medio Oriente.
Nella giornata inaugurale del Comitato centrale dell’Organizzazione per la
liberazione della Palestina, il presidente Arafat ha indicato Abu Mazen come primo
ministro palestinese. Parlando all’assemblea riunita a Ramallah, Arafat ha,
inoltre, sollecitato le organizzazioni armate dell’Intifada a mettere fine agli
attentati contro Israele e a riprendere il dialogo. Intanto, nei Territori continua
la rappresaglia israeliana. Elicotteri ‘Apache’ hanno aperto il fuoco stamani
su Gaza, uccidendo uno dei comandanti del braccio armato del movimento islamico
‘Hamas’ e 3 sue guardie del corpo. Gli stessi estremisti hanno fatto sapere che
“i dirigenti politici israeliani” sono i “bersagli prioritari” delle loro
azioni terroristiche. Un 23.nne palestinese non armato è morto, invece, a Beit
Lahia, sotto i colpi dell’esercito israeliano. Anche la violenza palestinese
non si ferma: colpita Hebron, in Cisgiordania, come ci riferisce Graziano
Motta:
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Nel quartiere periferico ebraico di Kiryat Arba i
guerriglieri palestinesi, che erano riusciti a infiltrarsi confusi tra i fedeli
che tornavano dalla prima preghiera nella tomba di Abramo, hanno aperto il
fuoco con fucili mitragliatori e bombe a mano, uccidendo una coppia nella loro
casa e ferendo 8 persone prima di essere abbattuti. Poco dopo, altri 2
guerriglieri sono stati uccisi dalle forze di sicurezza israeliane prima che
entrassero a Negohot, un vicino insediamento di coloni; portavano corpetti
esplosivi. Entrambe le operazioni sono state rivendicate dal braccio armato del
movimento fondamentalista islamico ‘Hamas’, che ieri si era assunto anche la
responsabilità della strage di ebrei, mercoledì, nella città di Haifa. Sullo
sfondo di questo scenario di guerra, si riunisce oggi a Ramallah il Consiglio
Legislativo palestinese per ratificare la nomina a primo ministro di Mahmud
Abbas, più noto come Abu Mazen.
Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.
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Cresce la tensione nella
penisola coreana. Secondo quanto ha annunciato ieri il Pentagono, la Corea del
Nord si appresterebbe a condurre un nuovo test missilistico nel weekend.
Intanto, mentre la Russia ha nuovamente invitato Washington e Pyongyang a
riprendere le trattative, la Corea del Nord ha ribadito che “la questione nucleare
nella penisola potrà essere risolta se gli Stati Uniti avranno la volontà di
affrontarla attraverso il dialogo e il negoziato”.
I maltesi hanno iniziato oggi a votare in un
referendum consultivo sull’adesione all’Unione europea. I sondaggi della vigilia
vedevano in testa il sì, caldeggiato dal partito nazionalista al potere. Ma quali
sarebbero i vantaggi per Malta, in caso di ingresso in Europa? Risponde Fulvio
Attinà, docente di Relazioni internazionali all’Università di Catania,
intervistato da Andrea Sarubbi:
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R. - I vantaggi di Malta sono tanto politici quanto
economici. Politici, nel senso di legare il futuro politico di Malta all’Unione
europea; dal punto di vista economico i vantaggi dell’isola sono quelli di
essere inserita in un mercato economico molto ampio. Malta, inoltre,
riceverebbe in aiuti di fondi strutturali più di quanto versi al bilancio
comunitario.
D. - Il partito laburista, invece, è contrario ad
un’adesione all’Europa. Come mai?
R. - Preferisce una collocazione indipendente, in
particolare preferisce avere relazioni privilegiate con i Paesi del nord Africa
e nel quadro dell’economia mondiale costituire un Paese - paradiso fiscale.
Questo non sarebbe possibile con l’adesione all’Unione Europea.
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Combattimenti
tra governativi e ribelli nella Costa D'Avorio occidentale avrebbero causato
ieri la morte di almeno 200 civili. Lo ha affermato un capo ribelle, precisando
che le vittime sono state causate da un attacco dei soldati ivoriani nella
località di Bangolo. La notizia, tuttavia, è stata smentita dai militari fedeli
al governo. Anche stamani si sarebbero registrate altri episodi di violenza: un
gruppo di uomini armati avrebbe, infatti, attaccato diversi villaggi nella
parte occidentale del Paese.
Sale a
94 vittime accertate il bilancio del virus Ebola, che ha colpito una regione
settentrionale del Congo, al confine con il Gabon. Lo ha riferito ieri il
ministero della Salute del Paese africano. L’epidemia si è sviluppata nel
gennaio scorso nei distretti di Kellè e Mbomo.
Il montenegrino Svetozar Marovic è stato eletto ieri sera
presidente della nuova unione Serbia e Montenegro, che ha sostituto dal 4
febbraio scorso la repubblica Federale della Jugoslavia. Dei 126 deputati del
nuovo parlamento, costituito da 91 serbi e 35 montenegrini, 65 hanno votato a
favore, 47 si sono pronunciati contro, mentre 14 erano assenti.
“Il terrorismo sta
distruggendo l’Amazzonia”. Così ieri il presidente colombiano, Alvaro
Uribe, al termine di un incontro a Brasilia con il presidente brasiliano,
Inacio Lula da Silva. Durate l’incontro, a porte chiuse, i due capi di Stato
hanno parlato della lotta al narcotraffico, della guerriglia alla frontiera tra
i due paesi, dell’interscambio commerciale e della bilancia commerciale.
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