RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 60 - Testo della Trasmissione sabato 1 marzo 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Nell’integrazione europea, la Romania non dimentichi il suo patrimonio di valori cristiani: così Giovanni Paolo II ai vescovi romeni, al termine della visita “ad Limina”.

 

Lo stretto legame tra lavoro e dignità della persona, richiamato dal Pontefice nell’udienza al Gruppo Olivetti Tecnost.

 

Un messaggio del Papa sulla crisi irachena sarà recato dal cardinale Pio Laghi al presidente americano George Bush.

 

In visita al Santo Padre oggi pomeriggio la comunità del Seminario romano maggiore: con noi, il rettore mons. Pietro Fragnelli.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

L’Europa e la crisi irachena, tema di un Convegno dell’Aspen Institute a Roma: intervista con il prof. Carlo Scognamiglio.

 

Liturgia e musica sacra in un Convegno ad Assisi: ai nostri microfoni, mons. Tarcisio Cola.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Una preghiera per la pace al posto del pranzo proposta per Mercoledì delle Ceneri dal cardinale Dionigi Tettamanzi nella diocesi di Milano

 

Una commissione dell’Onu in Costa d’Avorio per indagare sui crimini durante la crisi.

 

I vescovi dell’Africa e dell’Europa, in un documento sui rapporti tra i due continenti, chiedono più farmaci per fronteggiare l’Aids, meno armi, più controllo sul commercio di petrolio e diamanti e stabilità politica.

 

Resta grave la situazione in Burundi, dove proseguono gli scontri tra governo e ribelli, nonostante la tregua firmata dalle parti.

 

Le radici cristiane ricordano chi siamo e da dove veniamo: così mons. Merisi in un servizio pubblicato da alcuni settimanali nella diocesi di Milano.

 

24 ORE NEL MONDO:

L’Iraq distrugge i primi quattro missili Al Samoud 2. Per la Francia un segno che le ispezioni “funzionano”, mentre Bush commenta: “è un inganno”. Della crisi araba parla anche la Lega Araba, riunita da oggi in Egitto.

 

Nuovo esecutivo in Austria: dopo 3 mesi di trattative, il cancelliere Schüssel ha presentato ieri la lista dei ministri.

 

Vaclav Klaus è il nuovo presidente della Repubblica Ceca.

 

In Zimbabwe la polizia ha arrestato ieri mattina 20 religiosi cristiani, che rivendicavano il diritto di espressione delle Chiese locali.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

1 marzo 2003

 

 

NEL PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA, LA ROMANIA NON DIMENTICHI

IL SUO PATRIMONIO DI VALORI CRISTIANI: COSI’ GIOVANNI PAOLO II NEL DISCORSO

AI PRESULI ROMENI, RICEVUTI STAMANI AL TERMINE DELLA VISITA AD LIMINA

 

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

Nell’attuale processo d’integrazione europea, la Romania deve riscoprire la sua ricca eredità spirituale a “beneficio dell’unità e della vitalità dell’intero Continente”. Così, Giovanni Paolo II nel discorso indirizzato ai presuli romeni, ricevuti in udienza al termine della visita ad Limina. Il Pontefice, che ha ricordato l’emozionante visita in terra romena nel maggio del 1999, ha espresso parole di vivo incoraggiamento affinché si intensifichi il dialogo fraterno tra i cattolici e gli ortodossi di Romania. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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La “crisi di una visione cristiana della vita”. E’ questo, ha detto il Papa, il “triste retaggio della dittatura comunista” in Romania. Ecco allora che diventa “necessario promuovere il dialogo e la collaborazione tra quanti hanno ricevuto l’annuncio salvifico di Cristo”. In tale contesto, un ambito di particolare rilievo è quello della pastorale familiare, tenendo conto dei “pericoli” dell’odierna società. “Non si sottolineerà mai abbastanza – ha avvertito il Pontefice – l’importanza di un sano primato della famiglia nell’insieme dell’opera di educazione delle nuove generazioni”. Occorre, perciò, sviluppare centri di formazione “in sintonia con i fratelli della Chiesa Ortodossa”, dove i giovani possano “conoscere la comune eredità evangelica”, testimoniandola “in modo incisivo nella società”.

 

Il Papa ha poi esortato i fedeli a seguire coraggiosamente Cristo “con la determinazione” e “l’eroica testimonianza” dei cristiani che “hanno sostenuto sofferenze indicibili sotto il regime comunista”, senza “venir meno alla fedeltà al Vangelo”. Se il popolo della Romania, ha aggiunto, “ha saputo resistere al materialismo ateo militante”, occorre ora far emergere “l’eredità dell’annuncio cristiano” spronando ciascuno a “rendere una coerente testimonianza evangelica”. Solo così, ha proseguito, sarà possibile “contrastare la pericolosa avanzata di una visione materialista dell’esistenza”. Ancor più oggi che è in atto il processo di integrazione della Romania nell’Unione europea. Un “dato positivo”, ha constatato Giovanni Paolo II, anche “se non manca il rischio di qualche ambiguità”. L’impatto di una visione per certi aspetti “condizionata dal consumismo e dall’individualismo egoistico” può infatti comportare il pericolo che i cittadini romeni non sappiano riconoscere valori e disvalori della società occidentale, finendo per “dimenticare le ricchezze cristiane presenti nella loro tradizione”. Quindi, ha richiamato il popolo romeno a “mantenere salda” l’adesione al “patrimonio millenario dei valori cristiani”.

 

Proprio per far fronte all’emergere di queste urgenze, Giovanni Paolo II ha messo l’accento sull’esigenza di “ricuperare quanto prima la piena unità” tra i cristiani. Un principio, ha detto, riaffermato in occasione della visita. lo scorso mese di ottobre, a Roma del Patriarca ortodosso di Romania, Teoctist. Circostanza, ha spiegato, in cui è emerso in modo chiaro che la “testimonianza comune dei cristiani” è necessaria “per comunicare in modo efficace il Vangelo al mondo di oggi”.

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I PRINCIPI ETICI, CULTURALI E RELIGIOSI DEL LAVORO,

RICHIAMATI STAMANE DAL PAPA RICEVENDO UNA RAPPRESENTANZA DELLA OLIVETTI TECNOST

 

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

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La dignità del lavoro si manifesta “nel fatto che i prodotti, per essere tali, richiedono il sigillo dell’uomo”: lo aveva affermato con decisione Giovanni Paolo II 13 anni fa, il 19 marzo del ’90, visitando le Officine Olivetti di Ivrea, e lo ha ribadito oggi ricevendo circa 350 persone fra dirigenti, funzionari e collaboratori di uno dei “gruppi industriali maggiormente impegnati - ha ricordato il Papa - nell'attuale fase di riorganizzazione e di rilancio dei settori produttivi dell'economia italiana.”;  azienda che ha raccolto l’eredità dell’ing. Adriano Olivetti, “stimato imprenditore”, “che riteneva il lavoro una singolare opportunità di crescita umana per tutti.” 

 

Si è rivolto Giovanni Paolo II al vescovo di Ivrea, mons. Arrigo Miglio, e al presidente della Olivetti Tecnost, Bruno Lamborghini, per sottolineare “lo stretto legame che esiste tra il lavoro e la dignità della persona”, e che è di “fondamentale importanza” “nel momento storico ed economico che stiamo attraversando”: “una fase di transizione - ha spiegato il Papa - carica di contraddizioni e di problemi, ma non priva di spinte e stimoli innovativi.” Ed “è un'occasione privilegiata per riaffermare la centralità dell'uomo nelle diverse tappe della progettazione, della produzione, della messa in commercio e dell'uso dei beni di consumo.” Ogni prodotto esprime dunque l’opera dell’uomo.

 

“Dietro ciascuno di essi, per quanto sofisticato e perfetto, si celano l'intelligenza, la volontà e le energie di un uomo o di una donna. La tecnologia, anche la più avanzata, non sopprime questa esigenza”.

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IL CARDINALE PIO LAGHI NOMINATO DAL PAPA SUO INVIATO SPECIALE

PRESSO IL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI, GEORGE W. BUSH

 

- A cura di Paolo Salvo -

 

Il Papa ha indirizzato un messaggio al presidente americano George W. Bush, che sarà recato a Washington dal cardinale Pio Laghi nei prossimi giorni. Lo ha annunciato stamani il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Joaquìn Navarro Valls, in una dichiarazione rilasciata ai giornalisti.

 

“Nel contesto della crisi irachena” – è detto nel testo – il Santo Padre ha designato quale suo Inviato speciale presso il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, sua eminenza il cardinale Pio Laghi. “Il cardinale, che lascerà Roma nei prossimi giorni, sarà latore di un messaggio di Sua Santità – si legge nella dichiarazione – e avrà modo di illustrare la posizione e le iniziative intraprese dalla Santa Sede per contribuire al disarmo e alla pace in Medio Oriente”.

 

Il cardinale Pio Laghi, che ha 80 anni, già prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, ha al suo attivo una intensa attività diplomatica. Infatti, prima della nomina cardinalizia, avvenuta nel Concistoro del 28 giugno 1991, è stato nunzio apostolico in Argentina dall’aprile del 1974 al dicembre del 1980, quando fu nominato delegato apostolico negli Stati Uniti d’America. Alcuni anni dopo, allacciati i rapporti ufficiali tra Santa Sede e Stati Uniti, divenne pro nunzio apostolico a Washington, incarico che mantenne fino all’aprile 1990, quando venne chiamato alla guida della Congregazione per l’Educazione Cattolica. La sua permanenza alla nunziatura di Washington abbraccia quindi gli anni della presidenza di Ronald Reagan e di George Bush senior.

 

La nomina odierna segue l’analoga missione affidata dal Papa al cardinale Roger Etchegaray come suo Inviato speciale in Iraq, dove il porporato francese si è recato dal 10 al 17 febbraio scorso.

 

 

ALTRE UDIENZE DI OGGI E NOMINA DI CURIA

 

Nel corso della mattinata, il Papa ha ricevuto in successive udienze: l’arcivescovo Jòzef Wesolowski, nunzio apostolico in Kazakhstan, Tadjikistan, Kyrgyzstan e Uzbekistan; e il vescovo Benito Stanislao Andreotti, già abate ordinario di Subiaco, con il benedettino dom Mauro Meacci, abate dell’abbazia territoriale di Subiaco.

 

Sempre questa mattina, il Santo Padre ha ricevuto il prof. Lorenzo Ornaghi, rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore; e successivamente il presidente dell’agenzia di stampa russa Itar-Tass, Vitalij Ignatenko, con l’ingegnere Ara Abramjan, presidente dell’Organizzazione federale “Unione degli Armeni di Russia”.

 

Il Pontefice ha infine ricevuto in udienza il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

 

Il Papa ha nominato sottosegretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi il prelato mons. Bernard A. Hebda, finora aiutante di studio presso lo stesso organismo.

 

 

IN OCCASIONE DELLA FESTA DELLA MADONNA DELLA FIDUCIA LA COMUNITA’

DEL SEMINARIO ROMANO MAGGIORE SI RIUNISCE QUESTO POMERIGGIO

ATTORNO AL SANTOPADRE NELL’AULA PAOLO VI IN VATICANO:

CON NOI, IL RETTORE MONS. PIETRO FRAGNELLI

 

- Servizio di Giovanni Peduto -

 

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E’ la protettrice del Seminario romano maggiore, la Madonna della Fiducia, e la sua festa cade il sabato precedente il Mercoledì delle Ceneri. Con Giovanni Paolo II fin dagli inizi del Pontificato si è stabilita la consuetudine dell’incontro del Papa con i seminaristi della sua diocesi, e così pure questo pomeriggio. Il Pontefice li ha sempre esortati, nelle sue visite al Seminario e negli incontri in Vaticano, ad amare Maria negli anni della loro formazione e poi nel ministero, specialmente con la recita del Rosario. Fra qualche ora, non solo gli alunni del Seminario romano maggiore, ma pure gli altri giovani che vi si accostano per una ricerca vocazionali o per incontri formativi, converranno assieme a parenti, amici e conoscenti nell’Aula Paolo VI. Assieme a loro, questa volta, per esplicita volontà di Giovanni Paolo II, saranno anche i seminaristi romani del Capranica, del Divino Amore e del Seminario Redemptoris Mater. Il raduno avrà questo svolgimento. Alle 16.30, meditazione dei Misteri gaudiosi con canti, recita del Santo Rosario e testimonianze. Alle 18 farà ingresso in Aula il Pontefice che verrà salutato dal cardinale vicario Camillo Ruini, e dal rettore del Seminario, mons. Pietro Fragnelli. Seguirà l’esecuzione dell’Oratorio di mons. Marco Frisina, dal titolo ‘Confido in te’, ispirato ai testi di Santa Faustina Kowalska e, infine, il discorso del Santo Padre. Con noi è ora mons. Fragnelli che, diciamolo subito, è l’ultima volta che ospitiamo nei nostri studi in veste di rettore del Seminario perché qualche giorno fa, il 14 febbraio scorso, è stato nominato vescovo di Castellaneta, in Puglia.

 

D. – Monsignore, lei è stato prima direttore spirituale e quindi rettore: una decina e più di anni di esperienza in seminario. Quale bagaglio porta ora con sé?

 

R. – Devo dire che l’esperienza romana è stata molto importante per me come uomo, come credente e come prete. In questi giorni, in modo particolare, ho scoperto, ho toccato con mano quanto sia bello lavorare nella Chiesa particolare di Roma nella quale si formano i nostri seminaristi ma ci formiamo anche noi educatori. In particolare, direi che questa esperienza mi ha insegnato a tessere insieme ogni giorno, sotto lo sguardo del Sommo Pontefice, il cammino vissuto nella custodia e nella libertà, nella vigilanza e nell’incoraggiamento: un lavoro educativo esaltante che noi, al Maggiore, riassumiamo con la parola ‘fiducia’. La fiducia la porto con me, anche nel mio stemma, preso dalla conclusione degli Atti degli Apostoli: ‘cum omni fiducia’. Desidero in questo momento ringraziare quanti mi sono stati vicini nel cammino. Un momento di trepidazione e di grazia in cui il dono della preghiera e dell’amicizia diventano più luminosi. Desidero camminare ancora insieme con loro sotto lo sguardo di Maria per accogliere tutti, come dice la conclusione degli Atti: ‘Annunciare il Regno di Dio e insegnare le cose che riguardano il Signore Gesù Cristo con tutta franchezza’.

 

D. – Il seminarista oggi è, in particolare, il seminarista a Roma: quali istanze porta con sé? Quali difficoltà, quali urgenze nuove deve fronteggiare?

 

R. – Come tutti i giovani di oggi, anche i seminaristi di Roma e del mondo sono gelosi e in genere desiderano fare da soli; tendono, a volte, ad ostentare un’autonomia che è solo apparente. Hanno paura di essere giudicati inadeguati ed a volte finiscono con il bardarsi con quella che chiamiamo ‘la corazza di Saul’, che li rende ancora più goffi ed incapaci, forse, di una vera lotta spirituale. Ma quando matura la loro fiducia in Dio e nella Chiesa, possiamo dire che si affidano al rapporto educativo con una sorprendente docilità. Diventano capaci di collaborare allora con l’educatore e, in generale, con l’adulto – genitore o parroco che sia – e abbiamo assistito tante volte, noi educatori, a fioriture straordinarie, a vere e proprie primavere umane e spirituali in cui scopri che sono capaci di liberarsi di tutto ciò che li ostacola nel cammino verso il meglio. Allora cercano la povertà di spirito, che si manifesta in profonda obbedienza e nella libera scelta della castità. Con una immagine di un filosofo che forse è lontano dalla fede, noi possiamo dire che ‘diventano alberi che crescono alti proprio perché, ad un certo punto, imparano a rinunciare all’edera e alle viti che vi si allacciano’.

 

D. – E adesso veniamo un po’ ai numeri: qual è l’andamento vocazionale?

 

R. – Noi abbiamo in questi ultimi sei anni 215 nuovi alunni che sono entrati nel nostro Seminario, nell’arco di tempo 1997-2002; 99 di loro sono entrati per diventare preti a Roma. La media è di circa il 46 per cento per la diocesi di Roma sul totale degli ingressi. Merita fermare un attimo l’attenzione sul fatto che su questo centinaio di vocazioni per Roma, 51 provengono proprio da Roma, 28 dal resto dell’Italia e 20 dall’estero. La percentuale dei romani è dunque di poco superiore al 50 per cento e tuttavia è un segnale incoraggiante, mi pare, un segnale che le parrocchie, le realtà pastorali di Roma possono accogliere come una indicazione di tendenza e una indicazione di marcia alla luce anche di quello che il convegno diocesano sulle vocazioni dello scorso giugno e il lavoro in atto ci stanno indicando. La media è che ogni anno si ordinano 25-26 preti tra i nostri alunni e una dozzina di loro in media sono per la diocesi di Roma. Possiamo dire che su 161 ordinazioni negli ultimi cinque anni, 64 sono per la diocesi di Roma e i sacerdoti romani sono mediamente il 40 per cento degli ordinati. Cifre queste che ci fanno riflettere sul fatto che certamente la comunità cristiana, stimolata dagli orientamenti del Santo Padre e del Vicariato, sta rispondendo. Mi è capitato di avvertire la trepidazione, la gioia dei sacerdoti che ripensano con gratitudine alla loro vocazione e si sono rimessi con buona lena a parlare di vocazione e a testimoniare la gioia di essere prete.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

"Il mondo chiamato a dare una speranza alla pace": è il titolo che apre la prima pagina in riferimento alla crisi irachena. Il cardinale Laghi in partenza per Washington con un messaggio del Santo Padre da consegnare al presidente degli Usa.

Un articolo di Giampaolo Mattei dal titolo "La guerra è un omicidio in grande": con Giovanni Paolo II verso il Mercoledì delle Ceneri, giornata di preghiera e di digiuno per la pace. Ristampato, a cinquant'anni dalla prima edizione, il volume "L'inutilità della guerra" di Igino Giordani.

"In strada con la corona del Rosario tra le mani" è il titolo del pensiero dedicato all'Anno del Rosario.

Riguardo alla sempre tormentata situazione in Medio Oriente, si sottolinea quanto segue: 3 mila morti dall'inizio della nuova Intifada.

 

Nelle pagine vaticane, nel discorso alla Conferenza Episocopale Romena, il Santo Padre ha esortato la Chiesa di Romania a "non temere", soprattutto di fronte a compiti "veramente impegnativi".

Nel discorso al Gruppo Olivetti Tecnost, il Papa ha richiamato l'esigenza di riaffermare la centralità dell'uomo nelle diverse tappe della progettazione della produzione, della messa in commercio e dell'uso dei beni di consumo. 

L'omelia del cardinale Tomko nella Santa Messa in ricordo dell'arcivescovo Zago, in occasione del secondo anniversario della morte.

 

Nelle pagine estere, Unione Europea: la futura Costituzione recepirà tra i suoi fondamenti i valori della religione.

Usa: "no" della Camera alla clonazione umana. 

Argentina: una maestra costretta a rivolgersi al tribunale per ottenere assistenza alimentare per i suoi figli.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Marco Impagliazzo dal titolo "I salesiani a Testaccio": un nuovo contributo alla storiografia dell'Ordine.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano l'evolversi della situazione alla Fiat.

Il tema dell'economia.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

1 marzo 2003

 

 

L’EUROPA E LA CRISI IRACHENA,

TRA I TEMI AL CENTRO DEL CONVEGNO DELL’ASPEN INSTITUTE IN CORSO A ROMA

- Intervista con Carlo Scognamiglio -

 

Di Iraq si sta parlando anche a Roma, dove è in corso il convegno dell’Aspen Institute sul tema “Ridisegnare l’Europa. Le sfide della prossima presidenza semestrale italiana”. Ma, tra le sfide attuali dell’Unione, c’è quella della posizione, possibilmente unitaria, da prendere sull’attacco a Baghdad. Ma perché sembra certo che la guerra sia ormai l’unica soluzione alla crisi? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Carlo Scognamiglio, ex presidente del senato italiano e presidente dell’Aspen Institute Italia:

 

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R. – Sono stati rivolti parecchi appelli a Saddam Hussein, ultimamente anche dal ministro degli Esteri russo, per garantire al presidente dell’Iraq l’incolumità personale in cambio della pace, lasciando l’Iraq e potendo rifugiarsi in Russia, in un Paese assolutamente affidabile da questo punto di vista. La risposta è sempre stata negativa. Un altro modo per evitare la guerra sarebbe l’accettazione senza condizioni del disarmo. La nostra speranza, ovviamente, è rivolta a questo; ovvero che l’azione di pressione internazionale su Saddam Hussein giunga a questo risultato. Un risultato che tutti sperano. Nessuno vuole che ci sia un conflitto armato. Vedremo gli sviluppi nei prossimi giorni. Mi pare ormai che i tempi che gli americani danno siano molto stretti e saranno queste le ore decisive.

 

D. – Saddam Hussein ha iniziato la distruzione dei missili Al Samoud 2. Secondo lei questa è una risposta strumentale proprio per allungare i tempi di un possibile attacco americano?

 

R. – Questo è molto difficile da dire. Per quel poco di tecnico che posso dire, quei missili per l’Iraq, a questo punto, erano completamente inutili, nel senso che sarebbero stati il primo bersaglio dell’attacco americano. La rinuncia a questa arma, dunque, non rappresenta un sacrificio per Saddam Hussein. D’altra parte non credo che questa degli Al Samoud 2 sarà la questione risolutiva.

 

D. – L’Europa intanto è alle prese con la prima Costituzione della sua storia, con il prossimo ingresso di dieci Paesi. E, proposito della Costituzione, il dibattito sull’inserimento nel testo del riferimento alle radici culturali, religiose, cristiane, potrà giungere ad un risultato positivo, secondo quanto auspicato dal Santo Padre più volte?

 

R. – Posso solo dire che, molto più modestamente, c’è anche il mio auspicio. Ma una previsione non è possibile farla. Dipenderà dalla volontà dell’Assemblea dell’Unione. E poi dipenderà anche dalla discussione che si farà in Consiglio, perché è chiaro che la Convenzione non produrrà una costituzione, ma una proposta o alcune linee guida su cui poi il Consiglio dovrà lavorare per varare un testo definitivo. Al di là della realizzazione della Carta, si tratta di un processo lungo. Come è avvenuto per gli Stati Uniti, c’è chi stima che ci vogliano anche 50 anni per arrivare ad un livello di consapevolezza della costituzionalizzazione dell’Europa. Speriamo che ce ne vogliano di meno, ma le vicende dell’attualità, come questa crisi per l’Iraq e sull’Iraq, da un lato mostrano le difficoltà che si frappongono per un’Europa unita, soprattutto nella politica estera e di difesa, dall’altro lato spiegano a tutti qual è il costo di non avere un’Europa unita.

 

D. – Tornando proprio alla crisi irachena, se gli Stati Uniti attaccassero senza una seconda risoluzione dell’Onu che cosa potrebbe succedere?

 

R. – Certamente sarebbe un grosso problema per il governo italiano su quale posizione prendere: rompere con gli Stati Uniti o rompere con l’opinione pubblica. Oltre a questo, siccome è convinzione generale che, in mancanza di una seconda risoluzione, comunque gli Stati Uniti passerebbero all’azione, sempre che Saddam non risponda all’intimazione della prima delibera, questo vorrebbe dire il crollo di tutta l’architettura su cui è basato l’ordine internazionale, con  l’Onu, la Nato e anche l’Unione Europea. Bisognerebbe ricostruire tutto da capo, in sostanza. Si tornerebbe all’anno zero. Sarebbe una questione che speriamo di non dover prendere in considerazione.

 

D. – Ma anche se ciò avvenisse, non sarebbe un’occasione per rifondare i rapporti internazionali, non più sugli equilibri derivati dall’esito della Seconda Guerra mondiale?

 

R. – Sì, è vero, ma mi domando come, dopo una crisi di queste dimensioni, sarebbe possibile, e con che spirito, ricostruire? L’azzeramento dell’organizzazione internazionale non è un passo in avanti, in ogni caso; è sempre un passo indietro. Tenere in piedi l’Onu, organo che ha consentito di superare la prova della guerra fredda, è una questione di vitale interesse per tutti, in particolare per un Paese come l’Italia - e non solo l’Italia - che solo in quelle sedi può far valere il proprio interesse nazionale.

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LITURGIA E MUSICA

IN UN CONVEGNO AD ASSISI

- Intervista con mons. Tarcisio Cola -

 

Si è concluso nei giorni scorsi ad Assisi, presso il centro congressi Domus Pacis, il convegno nazionale sul tema “Liturgia e musica sacra nella nuova evangelizzazione”, organizzato dall’Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi e dall’Associazione Italiana Santa Cecilia. L’importanza della musica sacra, il suo ruolo coinvolgente nell’elevare l’animo verso Dio, rappresenta un tema attualissimo, come ha sottolineato lo stesso Giovanni Paolo II all’udienza generale di mercoledì scorso. Qual è, dunque, il legame tra liturgia e musica sacra? Teresa Gerundino lo ha chiesto a mons. Tarcisio Cola, segretario generale dell’Associazione Santa Cecilia.

 

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R. - E’ uno strumento che aiuta il popolo ad esprimere la fede, a celebrare i misteri e a rendere più solenne una celebrazione, sottolineando anche l’aspetto comunitario. Ad esempio, se pensiamo ad un coro che canta, sono tante voci che fanno un’unica voce, un’unica espressione di fede, quindi la musica è a servizio della Liturgia. E’ un rapporto strettissimo.

 

D. – Perché questo Convegno? Su cosa si vuole porre l’attenzione?

 

R. – Mirava a rispondere un po’ a quella che è la preoccupazione prima della Chiesa anche in Italia, cioè la Nuova evangelizzazione di cui parla spesso anche il Papa. Uno che canta bene, appropriatamente, scegliendo il canto adatto al momento rituale, alla celebrazione che si sta svolgendo, evangelizza chi è lì presente. Il Convegno cade anche nella memoria del centenario del ‘motu proprio’ di San Pio X, grande Papa, che nel 1903 ha emanato un documento di suo pugno, proprio sulla restaurazione della musica sacra nella Liturgia.

 

D. – Qual è lo stato attuale della musica sacra?

 

R. – Molte volte, ancora abbiamo o il coro, o la scola cantorum, o la cappella musicale, che solennizza la celebrazione, ma rende magari muta l’assemblea. Abbiamo ministri, che sarebbero i primi interessati ed impegnati nel canto, che sono ministri muti, che non sanno cantare, non conoscono le loro parti, non hanno avuto nei seminari una loro formazione musicale. Oppure ci troviamo dall’altra parte, assemblee che magari cantano tutto loro e che escludono la scola cantorum.

 

D. – Il Papa ha richiamato all’udienza generale di mercoledì scorso la comunità cristiana ad un esame di coscienza, affinché nella Liturgia possa ritornare la bellezza della musica e del canto. Cosa si può fare per seguire le parole del Pontefice?

 

R. – Ci vuole l’impegno di tutti, ma prima di tutto, del celebrante e ancor più, se vogliamo accogliere con attenzione l’invito del Papa, ci troviamo ad un richiamo forte, ad una scelta seria dei canti che eseguiamo durante la Liturgia. Lui parla di testi sciatti e di canti di poco valore. La musica e il canto sono una parte essenziale, importante nella celebrazione e non è così una cenerentola o un qualche cosa che vi si aggiunge, perché purtroppo in molte comunità succede che all’ultimo momento si scelgano melodie, canti, suoni, e così dicendo riempiamo l’inizio della Messa, della Comunione alla fine, con vari pezzi musicali che non hanno nulla a che fare con il mistero che si celebra. Quindi, tutto nella celebrazione eucaristica ha un senso, quello di portarci alla celebrazione di quel mistero.

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CHIESA E SOCIETA’

1 marzo 2003

 

 

LA PREGHIERA PER SPEZZARE LE CATENE DELL’ODIO.

IL CARDINALE TETTAMANZI INVITA TUTTI I MILANESI A PREGARE

ANCHE NELLA PAUSA PRANZO PER LA CAUSA DELLA PACE

 

MILANO. = Dedicare la “pausa pranzo” alla causa della pace: è la singolare proposta suggerita dal cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, ai suoi fedeli nel Messaggio alla diocesi. Invitando i milanesi a fare del prossimo 5 marzo, mercoledì delle Ceneri, una Giornata di preghiera e di digiuno per la pace, come suggerito da Giovanni Paolo II, il porporato propone che in tutte le chiese della diocesi, “in tutte le Messe di mercoledì si preghi per la pace”. Il cardinale Tettamanzi annuncia, inoltre, che lui stesso presiederà in Duomo, il 5 marzo alle ore 12.45 - durante, appunto, il consueto intervallo nella giornata lavorativa per la “pausa pranzo” - un “momento di preghiera per la pace”, al quale invita a partecipare “i cattolici, i fratelli delle altre Chiese cristiane e le persone di buona volontà che lo desiderano”. Un’iniziativa, questa, da promuovere secondo l’arcivescovo “anche nelle città e nei paesi” della diocesi ambrosiana, spronati a predisporre, “a livello parrocchiale o interparrocchiale, un momento analogo di preghiera, o durante l’intervallo del mezzogiorno o in qualche altro orario più opportuno”. Tettamanzi sollecita anche “ogni famiglia cristiana” a “recitare insieme il Rosario”, la sera del 5 marzo, e “a vivere in quello stesso giorno - personalmente e secondo le modalità che ciascuno vorrà scegliere - il digiuno o un gesto particolarmente significativo di penitenza”. Per quanto riguarda le comunità di rito ambrosiano, secondo l’arcivescovo “sarà soprattutto il Primo Venerdì di Quaresima il giorno con cui rispondere con particolare intensità all’invito del Papa, finalizzando quanto già la Chiesa ci chiede in quella giornata di digiuno all’invo-cazione della pace”. (B.C.)

 

 

UNA SQUADRA DELL’ONU È DA IERI AL LAVORO IN COSTA D’AVORIO

PER VALUTARE LA POSSIBILITÀ DI ISTITUIRE UNA COMMISSIONE D’INCHIESTA

SUI CRIMINI COMPIUTI DURANTE LA CRISI IN CUI IL PAESE

AFRICANO È COINVOLTO DA OTTOBRE

 

GINEVRA. = Le denunce di violazioni dei diritti umani in Costa d’Avorio hanno spinto le Nazioni Unite a valutare la possibilità di istituire una commissione d’inchiesta sui crimini compiuti in oltre cinque mesi di crisi. Ad annunciarlo è lo stesso segretario generale, Kofi Annan, in una lettera indirizzata al presidente ivoriano, Laurent Gbagbo. Con questo obiettivo, è giunta ieri ad Abidjan un’équipe dell’Onu. Secondo quanto spiegato dal portavoce dell’Alto Commissariato per i diritti umani (Ohchr), José Luis Díaz, il gruppo di esperti comprende delegati dello stesso Ohchr, funzionari del Dipartimento per gli affari politici dell’Onu ed esperti legali. La missione Onu durerà fino al prossimo 11 marzo; il rapporto compilato al termine della visita verrà, quindi, trasmesso al segretario generale Kofi Annan. Nei giorni scorsi un altro gruppo di esperti delle Nazioni Unite era giunto nell’ex colonia francese per analizzare la situazione della sicurezza e le misure necessarie da adottare per far rispettare gli accordi sottoscritti a Marcoussis, in Francia, alla fine di gennaio, che prevedono la creazione di un governo di unità nazionale allargato ai ribelli. (M.A.)

 

 

PIÙ FARMACI PER FRONTEGGIARE L’AIDS, MENO ARMI,

PIÙ CONTROLLO SUL COMMERCIO

DI PETROLIO E DIAMANTI E STABILITÀ POLITICA.

E’ QUANTO CHIEDONO I VESCOVI DELL’AFRICA E DELL’EUROPA IN UN DOCUMENTO

COMUNE SUI RAPPORTI TRA I DUE CONTINENTI

 

LISBONA. = Accesso ai farmaci per la cura dell'Aids, restrizioni all’esportazione di armi e allo sfruttamento di diamanti e petrolio, dialogo tra le Chiese dei due continenti e riconoscimento della libertà religiosa: sono alcune delle raccomandazioni contenute nel documento finale del convegno “Africa ed Unione europea: partners nella solidarietà - il contributo delle Chiese”, svoltosi il 27 e 28 febbraio a Lisbona. L’incontro ha riunito i vescovi della Commissione episcopale della Comunità europea (Comece) e del Simposio delle conferenze episcopali di Africa e Magadascar (Secam), che hanno discusso del contributo della Chiesa nei rapporti tra i due continenti. Per i presuli è necessario rivedere le modalità con cui Africa ed Europa si relazionano: mentre il “vecchio continente” deve riorganizzare il sistema di aiuti ai Paesi più poveri, il continente africano è chiamato a garantire una stabilità politica basata sulla democrazia. In questo senso, è fondamentale riflettere sulle cause che portano tanti Paesi dell’Africa a combattere sanguinose guerre: l’avido sfruttamento delle risorse naturali, come diamanti e petrolio, e il traffico di armi tra i due continenti. I vescovi hanno espresso, inoltre, la propria preoccupazione per il dilagare dell’Aids in Africa ed hanno, quindi, esortato l'Unione europea a sostenere sforzi internazionali presso il Wto per migliorare l’accesso ai farmaci. All’interno di questo quadro è importante l’azione della Chiesa. Secondo i vescovi, Comece e Secam hanno il compito di contribuire alle azioni politiche delle istituzioni europee ed africane, attraverso lo scambio di informazioni sulle diverse realtà con le quali entrano in contatto. Al termine dell’incontro i presuli europei ed africani hanno, inoltre, fatto una dichiarazione comune sulla crisi irachena. “Abbiamo compreso - si legge - le tragiche conseguenze che una guerra potrebbe infliggere ai poveri dell’Africa e dell’Europa, ed invitiamo i fedeli europei ed africani ad aderire alla giornata di digiuno e preghiera per il dono della pace indetta dal Santo Padre per il 5 marzo”. (M.A.)

 

 

RESTA GRAVE LA SITUAZIONE IN BURUNDI, DOVE PROSEGUONO GLI SCONTRI

TRA GOVERNO E RIBELLI NONOSTANTE LA TREGUA FIRMATA DALLE PARTI.

L’ORGANIZZAZIONE PER LA DIFESA DEI DIRITTI UMANITARI  “HUMAN RIGHTS WATCH”

HA CHIESTO ALL’ONU L’ INVIO DEI CASCHI BLU

PER FERMARE LE SOFFERENZE DELLA POPOLAZIONE CIVILE

 

BUJUMBURA. = “Cresce il rischio che la popolazione del Burundi subisca l’offensiva lanciata dalle truppe governative e la sospensione delle trattative decisa dai ribelli”. Lo sostiene l'organizzazione per la difesa dei diritti umani ‘Human rights watch’ (Hrw), che chiede all'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Sergio Vieira de Mello, il rapido dispiegamento di una forza di peacekeeping africana che protegga i civili. Proprio de Mello è giunto ieri in Burundi per una serie di colloqui con rappresentanti del governo e della società civile riguardo lo stato dei diritti umani nel Paese. “La comunità internazionale - ha dichiarato Alison Des Forges, responsabile della divisone Africa di Hrw - si deve impegnare affinché la tutela della popolazione diventi la priorità della nuova forza di interposizione africana”. Il cessate il fuoco firmato lo scorso dicembre da tre dei quattro gruppi armati attivi in Burundi prevede il dispiegamento nel Paese di una forza di interposizione africana. Hrw denuncia, inoltre, gli impedimenti che le agenzie umanitarie avrebbero avuto da parte delle autorità militari burundesi, nella consegna di medicine, alimenti e aiuti alle migliaia di persone sfollate a causa del conflitto. L'organizzazione denuncia, infine, il clima di impunità che regna sulle azioni criminali commesse da appartenenti alle forze armate. Hrw cita il caso dei due militari incriminati per il massacro di Itaba, l’eccidio nel quale, secondo il governo, sono state uccise 173 persone mentre, secondo le testimonianze dall’agenzia Misna, hanno trovato la morte oltre mille civili. I due soldati sono stati rilasciati la scorsa settimana, dopo aver scontato 5 mesi di prigione. “Con questo tipo di giustizia - ha dichiarato Alison Des Forges - i soldati non si aspetteranno nessuna punizione per eventuali crimini e continueranno ad uccidere e a commettere abusi contro la popolazione”. Anche i ribelli delle Forze di difesa della democrazia (Fdd) ricevono pesanti accuse da parte di Hrw. Il movimento ribelle starebbe, intanto, continuando ad arruolare ‘personale’ e tentando di estendere il proprio controllo su nuove aree del Paese, in aperta violazione del cessate il fuoco. (M.A.)

 

 

 “LE RADICI CRISTIANE RICORDANO CHI SIAMO E DA DOVE VENIAMO”.

LO SOTTOLINEA IL VESCOVO AUSILIARE DI MILANO GIUSEPPE MERISI

IN UN SERVIZIO PUBBLICATO DA ALCUNI SETTIMANALI DELLA DIOCESI AMBROSIANA

 

MILANO. = “Riconoscere le radici cristiane significa ricordare chi siamo e da dove veniamo, senza alcun pregiudizio per le decisioni democratiche da assumere”. Lo sottolinea mons. Giuseppe Merisi, vescovo ausiliare di Milano e rappresentante Cei nella Comece (Commissione degli episcopati dell’Unione europea), in un servizio dedicato all’Europa dai settimanali delle diocesi milanesi. Sul mancato riferimento alle “radici cristiane” nei primi 16 articoli della bozza parziale di Costituzione europea era intervenuto, nei giorni scorsi, anche mons. Giuseppe Betori, segretario generale della Cei. Intervenendo nell’audizione tenuta a Montecitorio alle Commissioni riunite di Camera e Senato, competenti per gli Affari esteri e le questioni comunitarie, il presule ha suggerito di “far sentire nelle comunità cristiane e nella società civile, l’importanza di questi riferimenti e di questi contenuti”. “Non si tratta né di imporre o impedire qualche cosa a qualcuno - ha aggiunto - né di disconoscere il ruolo e l’apporto di altre radici religiose o culturali alla costruzione dell’Europa, né di rinnegare la giusta laicità dell’ordinamento della convivenza civile. Si tratta, invece, di offrire un contributo, alto e importante, alla costruzione dell’edificio comune, rispettando il contributo di tutte le altre persone di buona volontà, in un contesto di dialogo e ascolto vicendevole”. (B.C.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

1 marzo 2003

 

 

- A cura di  Salvatore Sabatino -

 

E’ iniziata la distruzione dei missili iracheni Al Samoud 2, la cui gittata è superiore a quella consentita dalle Nazioni Unite. Le autorità di Baghdad in ottemperanza a quanto detto ieri da Saddam Hussein, avevano annunciato in mattinata l’inizio delle operazioni per mettere fuori uso i primi quattro missili. E si registrano giudizi positivi sull’iniziativa irachena. “È un elemento significativo di vero disarmo” – ha riferito il capo degli ispettori Onu Hans Blix - che si unisce alla “grande attività in corso da parte irachena”. La notizia ha, però, lasciato scettici gli Stati Uniti. Da New York ci riferisce Paolo Mastrolilli:

 

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Il presidente Bush in un’intervista al giornale Usa Today ha detto che Saddam deve essere disarmato ora e il suo portavoce ha liquidato la concessione come una manovra scontata per dividere il Consiglio di Sicurezza, ma priva di sostanza, perché l’obiettivo vero deve essere il disarmo completo. Il ministro degli Esteri francese De Villepin però ha risposto che la distruzione dei missili dimostra come le ispezioni stanno funzionando e meritano più tempo per produrre altri risultati, mentre il suo collega russo Ivanov ha dichiarato che Mosca è pronta ad usare il veto all’Onu per bloccare la risoluzione americana se sarà necessario, allo scopo di garantire la stabilità internazionale. Il Consiglio di Sicurezza in realtà resta molto diviso. Alcuni Paesi, come Messico e Pakistan, hanno dato segnali di avvicinamento alla linea degli Stati Uniti, ma altri come il Cile si sono lamentati per la rigidità dimostrata da entrambe le parti, favorevoli e contrarie alla nuova risoluzione, sollecitando i membri permanenti a cercare un compromesso.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Il Pakistan, come abbiamo sentito, sembra avvicinarsi alle posizioni di Washington. E proprio questa potrebbe essere la ragione dell’attentato di ieri contro il consolato americano a Karachi, nel sud del Paese. Un gruppo di uomini armati, tra cui un afghano già arrestato dalla polizia, ha sparato contro l’esterno dell’edificio, uccidendo 3 persone e ferendone altre 7.

 

Della crisi irachena si parla oggi anche a Sharm el Sheikh, in Egitto, dove da questa mattina è in corso il summit della Lega Araba. Dall’incontro spuntano interessanti indiscrezioni. Gli Emirati Arabi avrebbero infatti, proposto a Saddam Hussein di lasciare il potere e andare via dall'Iraq, mentre il Paese sarebbe affidato alla gestione della Lega Araba e delle Nazioni Unite.

 

La spirale di violenza in Medio Oriente ha provocato ieri la vittima numero 3.000 dall’inizio della nuova Intifada, nel settembre 2000. Si tratta di un poliziotto palestinese, morto a causa delle ferite riportate il 22 febbraio scorso durante un’operazione militare israeliana nella striscia di Gaza. E questa mattina c’è da segnalare un’altra vittima: un palestinese è morto dopo essere rimasto ferito durante un’incursione dell'esercito israeliano nella Striscia di Gaza.

 

Ancora lontana la pacificazione tra la comunità greca e quella turca a Cipro. Il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, ha annunciato ieri che i leader delle due comunità si sono detti favorevoli a rinviare al 10 marzo il termine ultimo per pervenire ad un accordo: termine che, invece, sarebbe scaduto proprio ieri. La decisione ha trovato l’appoggio degli Stati Uniti.

 

Dopo 3 mesi di trattative, il cancelliere austriaco Wolfgang Schüssel ha presentato ieri il nuovo governo. Ed è un esecutivo che assomiglia molto a quello caduto in autunno: una coalizione di Centrodestra tra i popolari ed i liberalnazionali, un tempo guidati dal governatore della Carinzia, Jorg Haider. Da Vienna, Giovanni Maria Del Re:

 

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Alla fine Schüssel, dopo aver sondato anzitutto i socialdemocratici ed essere stato vicinissimo ad uno storico accordo con i verdi, ha deciso che era più semplice continuare a governare con la destra. Destra che, certamente, dopo la gravissima sconfitta di novembre deve accettare di vedere dimezzati i propri ministri che da sei passano a tre. Gli altri nove sono invece i popolari, tornati ampiamente il primo partito al voto di novembre. Tra loro figura il ministro delle finanze Carl Heinz Grasser, già liberal nazionale ed ora ufficialmente indipendente. Rimangono anche gli altri ministri chiave: agli Esteri è Benita Ferrero-Waldner; agli Interni Ernst Strasser e all’Economia, Martin Bartenstein. Adesso il governo ha annunciato aumenti delle imposte e forti misure di risparmio. Non sarà facile. La maggioranza di centro-destra in Parlamento è piuttosto risicata. Del resto Joerg Heider, che tuttora gode di vasto prestigio nel suo partito, ha già cominciato ad attaccare il nuovo esecutivo. Sono in molti in Austria a non essere tanto sicuri che Schüssel potrà evitare un nuovo voto anticipato.

 

Da Vienna, Giovanni Maria Del Re.

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La Repubblica Ceca ha da ieri un nuovo presidente. Si tratta di Vaclav Klaus, ex primo ministro ed attualmente leader dell'opposizione. Klaus è stato eletto dal Parlamento con un solo voto di scarto, ricevendo 142 dei 281 voti parlamentari, e sconfiggendo il candidato del governo, l'ex ministro dell'Educazione Jan Sokol. Succede a Vaclav Havel, che all’inizio dello scorso mese aveva rassegnato le dimissioni dopo 13 anni passati alla presidenza della Repubblica.

 

Ci trasferiamo in Africa. Pugno di ferro delle autorità dello Zimbabwe contro venti religiosi, arrestati ieri mattina mentre manifestavano nella capitale, Harare, di fronte al quartier generale della Polizia. I sacerdoti appartengono tutti alla Conferenza nazionale dei pastori dello Zimbabwe. Ce ne parla Giulio Albanese:

 

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I pastori avevano diffuso un documento contro le forze di polizia, colpevoli secondo loro di avere interrotto due settimane fa un raduno, in cui si discuteva sul ruolo della Chiesa nella difficile crisi politico-istituzionale, ma anche economica che attanaglia il Paese. In quell’occasione il 14 febbraio scorso erano anche stati arrestati il vescovo protestante, Trevor Mahanga, leader del movimento ecumenico delle chiese dello Zimbabwe, e tre attivisti per i diritti umani. I venti religiosi fermati ieri ad Harare, così come quelli arrestati a febbraio, sono stati tutti accusati di flagrante violazione della legge sull’ordine pubblico e la sicurezza, che prevede tra l’altro l’arresto immediato per tutti coloro che prendono parte a manifestazioni non preventivamente autorizzate dal governo. Nei giorni scorsi anche mons. Paioscube, arcivescovo di Boulawaio, è stato sottoposto ad interrogatori dalla polizia.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Un’importante decisione contro la clonazione umana è stata presa ieri dalla Camera dei Rappresentanti statunitense. L’assemblea ha deciso di proibirla, senza alcuna eccezione, prevedendo multe fino a un milione di dollari in caso di  violazione. I deputati hanno inoltre stabilito che non ci saranno  eccezioni, neppure per autorizzare i ricercatori a trovare nuovi  rimedi contro malattie come l’Alzheimer, il morbo di Parkinson o  il diabete.  La parola passa ora al Senato.

 

Cresce il numero delle organizzazioni terroristiche internazionali. Il governo di Washington ha inserito nella lista tre gruppi ceceni, accusati di avere contatti con al Qaeda. La decisione è stata presa anche tenendo conto del ruolo che i tre gruppi hanno avuto nell'assalto al teatro ''Dubrovka'' di Mosca, durante il quale persero la vita 160 persone.

 

Ed in chiusura una notizia positiva. Adottato nella notte dagli Stati membri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità il testo finale del primo trattato internazionale di  lotta al tabacco, il cui obiettivo è quello di far diminuire le conseguenze ''devastanti'' del fumo di sigaretta sulla salute. Dopo due anni e mezzo di negoziati, gli Stati sono riusciti a trovare un accordo sugli ultimi punti ancora in sospeso, soprattutto sulla questione del divieto della pubblicità per i prodotti derivati dal tabacco.  La Convenzione-quadro prevede che “ogni parte, nel rispetto della sua costituzione, instauri un divieto totale di qualsiasi pubblicità in favore del tabacco, della sua  promozione e patrocinio”.

 

 

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