RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 29 - Testo della Trasmissione di mercoledì 29 gennaio 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La Sapienza, dono di Dio agli uomini, per capire a fondo il senso della vita e della storia: la riflessione del Papa nella catechesi biblica all’udienza generale in Vaticano.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Le grandi attese di pace nel mondo e l’appello ad una rinnovata solidarietà sociale in Italia, temi prioritari nel comunicato finale del Consiglio permanente della Cei: con noi, il segretario generale, mons. Giuseppe Betòri.

 

Le prospettive politiche in Israele, dopo il “trionfo” elettorale di Sharon e il “crollo” laburista: una analisi di Antonio Ferrari.

 

L’esperienza di un medico italiano nel Burundi, martoriato dalla decennale guerra civile: la testimonianza del dott. Vincenzo Monti.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Si inaugura stasera a Barcellona l’Anno della Mercede, evento ecclesiale che richiama l’attenzione sugli emarginati e sui carcerati.

 

Chiesa e comunità civile vietnamite plaudono alle Suore locali della Santa Croce, impegnate per lo sviluppo sociale delle donne.

 

Presentata ieri a Firenze una nuova iniziativa del progetto di adozione a distanza “Agata Smeralda”.

 

Commento di Paolo Pobbiati, coordinatore per il Tibet di Amnesty Italia, della notizia dell’esecuzione di un monaco tibetano, avvenuta lo scorso 26 gennaio.

 

24 ORE NEL MONDO:

 Il presidente Bush, parlando alla nazione americana, prepara gli Stati Uniti alla guerra contro l’Iraq.

 

Netta vittoria del Likud di Sharon alle elezioni israeliane; sconfitti i laburisti.

 

Si aggrava la situazione in Costa d’Avorio, pronti a rientrare in patria centinaia di francesi.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

29 gennaio 2003

 

 

LA SAPIENZA, DONO DIVINO CHE ORIENTA NELLE SCELTE MORALI DELL’ESISTENZA,

E DÀ LA CAPACITÀ DI PENETRARE NEL SENSO PROFONDO DELLA VITA E DELLA STORIA

LA CATECHESI BIBLICA DEL PAPA ALL’UDIENZA GENERALE

 

In questo tempo spesso connotato dalla confusione e dallo smarrimento, di grande attualità è l’odierna catechesi del Papa all’udienza generale. E’ incentrata su quello che Giovanni Paolo II definisce un “tesoro insostituibile”, un “dono preziosissimo”: la sapienza. La sua meditazione sul cantico tratto dal capitolo 9 del Libro della Sapienza, è densa di toni esistenziali. Il servizio di Carla Cotignoli:

 

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(canto)

 

Come sempre, il Papa è stato accolto all’Aula Paolo VI in  un clima festoso dagli oltre 3000 pellegrini provenienti non solo dall’Europa, ma anche da Australia, Stati Uniti e Cile.

 

Sin dalle prime battute della sua catechesi il Santo Padre ha approfondito il significato profondo  del “tesoro insostituibile” che è la sapienza. Non è una dote umana, ma “un dono divino”.

 

“La sapienza - ha detto - non è la semplice intelligenza o l’abilità pratica”. “E’ la capacità di penetrare nel senso profondo dell’essere, della vita e della storia, andando oltre la superficie delle cose e degli eventi per scoprirne il significato ultimo, voluto dal Signore”. “La sapienza è infatti  la partecipazione alla mente stessa di Dio che ‘con la sua sapienza ha formato l’uomo’”. Si comprende allora perché dobbiamo implorare questo dono da Dio, così come fece Salomone.

 

“Senza questo dono si ha la consapevolezza di essere senza guida, quasi privi di una stella polare che orienti nelle scelte morali dell’esistenza”.

 

Per questo la Liturgia ci fa pregare con le parole del Libro della Sapienza all’inizio della giornata, “proprio perché Dio con la sua sapienza sia accanto a noi e “ci assista e affianchi nella fatica quotidiana, svelandoci il bene e il male, il giusto e l’ingiusto”.

 

“Con la mano nella mano della Sapienza divina noi ci inoltriamo fiduciosi nel mondo”. E’ “in Cristo la Sapienza di Dio”,  ha ancora detto il Papa richiamando i Padri della Chiesa che, sulla scia di san Paolo definivano Cristo “potenza di Dio e sapienza di Dio”. E la preghiera del Santo Padre si volge a  Cristo, attraverso le parole di Sant’Ambrogio:

 

“Insegnami le parole ricche di sapienza, perché tu sei la Sapienza! Se si entrerà attraverso di Te, non si ingannerà, perché non può sbagliarsi chi abbia fatto il suo ingresso nella dimora della Verità”.

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PROVVISTE DI CHIESE IN INDONESIA, ETIOPIA E SRI LANKA:

NUOVI PASTORI PER COMUNITA’ IN CRESCITA

- A cura di Paolo Salvo -

 

Il Papa ha istituito in Indonesia la nuova provincia ecclesiastica di Samarinda, con territorio distaccato dalla provincia ecclesiastica di Pontianak. Essa comprenderà le diocesi suffraganee di Banjarmasin, Palangkaraya e Tanjung Selor.

 

Come primo arcivescovo metropolita di Samarinda, il Santo Padre ha nominato l’attuale vescovo della diocesi, mons. Florentinus Sului Haiang Hau, dei Missionari della Sacra Famiglia.

 

In tutta l’Indonesia, i cattolici sono più di sei milioni, sugli oltre 210 milioni di abitanti, in grande maggioranza musulmani. La provincia ecclesiastica di Pontianak comprende otto diocesi, con circa 890 mila cattolici su oltre 11 milioni e mezzo di abitanti. E’ la provincia dove si registra il più rapido aumento dei fedeli cattolici rispetto a tutto l’arcipelago indonesiano, soprattutto tra i “Dayak”, popolo autoctono del vasto territorio dell’isola di Kalimantan. La sede di Samarinda, che diviene ora arcidiocesi, è stata evangelizzata dai Frati Cappuccini e dai Missionari della Sacra Famiglia. Su oltre un milione e mezzo di abitanti, distribuiti in quasi 115 mila kmq, i cattolici sono 100 mila, in maggioranza Dayak e in continua ascesa.

 

In Etiopia, il Pontefice ha nominato vicario apostolico di Meki il sacerdote Abraha Desta, di 51 anni, attuale cancelliere e segretario generale del segretariato cattolico dell’eparchia di Adigrat, elevandolo alla dignità vescovile.Il nuovo presule subentra al vescovo mons. YohannesWoldegiorgis, scomparso nel settembre dello scorso anno.

 

Il vicariato apostolico di Meki, che si estende nella regione sud-orientale dell’Etiopia ed è considerato un’area di prima evangelizzazione ad gentes, è affidato alla cura pastorale dell’Istituto Missioni Consolata. Su circa 5 milioni e mezzo di abitanti, i cattolici sono poco più di 20 mila, distribuiti in dieci parrocchie e assistiti da una trentina di sacerdoti, tra diocesani e religiosi. Vi sono una cinquantina di suore e venti seminaristi maggiori.

 

Nello Sri Lanka, il Papa ha nominato vescovo di Ratnapura il sacerdote Harold Anthony Perera, di 51 anni, attuale direttore  del filosofato del Seminario maggiore nazionale. La diocesi era vacante dal 1° ottobre 2001, in seguito alla nomina del vescovo mons. Albert Malcolm Ranjith a segretario aggiunto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, con incarico di presidente delle Pontificie Opere Missionarie. Situata nel Sud dello Sri Lanka, la diocesi di Ratnapura, ha un milione e 766 mila abitanti, di cui oltre 25 mila cattolici, distribuiti in 21 parrocchie e assistiti da 27 sacerdoti, in maggioranza diocesani. La Chiesa locale comprende otto fratelli religiosi, 80 religiose e nove seminaristi maggiori.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

"Bush: il regime di Saddam Hussein è la minaccia maggiore per gli Usa" è il titolo che apre la prima pagina nel discorso sullo stato dell'Unione, il capo della Casa Bianca denuncia violazioni dell'Iraq.

Sempre in prima, la drammatica notizia che nel Sahel orientale, secondo le stime fornite dal "Pam", la malnutrizione minaccia la vita di 580.000 persone.

"Con la Corona insanguinata tra le mani" è il titolo del pensiero di Tommaso Toschi dedicato all'Anno del Rosario.

 

Nelle vaticane, la catechesi e la cronaca dell'udienza generale.

Una pagina dedicata al IV Incontro mondiale delle famiglie a Manila, appena conclusosi.

Nel cammino della Chiesa in America, l'intervento dell'arcivescovo di Buenos Aires dedicato alla pastorale giovanile.

 

Nelle pagine estere, Medio Oriente: affermazione del Likud nelle elezioni legislative.

Corea del Nord: Pyongyang valuterà le proposte sudcoreane, allo scopo di uscire dalla crisi nucleare.

In Costa d'Avorio sono ripresi i combattimenti.

 

Nella pagina culturale, un contributo di Danilo Veneruso dal titolo "Un punto d'incontro tra teologia e filosofia": "Paideia e Vangelo" di Salvatore Nicolosi.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano, i commenti e le reazioni riguardo al fatto che i processi Imi-Sir/Lodo Mondadori e Sme restano a Milano.

Il tema del fisco.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

29 gennaio 2003

 

 

LA PACE POSSIBILE NASCE NELLE COSCIENZE DEGLI UOMINI,

 E LA GUERRA NON E’ UN EVENTO INELUTTABILE.

I VESCOVI ITALIANI CHIEDONO AL LORO PAESE COESIONE POLITICA

E SOLIDARIETA’ SOCIALE PER AFFRONTARE LA CRISI ECON0MICA E LE GRANDI RIFORME

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

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Le attese di pace per il mondo intero e la preoccupazione crescente per le situazioni di conflitto in Medio Oriente, in Costa d’Avorio e nella Repubblica Centrafricana; l’incerto esito della crisi internazionale legata all’Iraq; le minacce del terrorismo internazionale; la decisione della Corea del Nord di ritirarsi dal trattato di non proliferazione nucleare: critici e drammatici eventi che i vescovi italiani auspicano possano cambiare corso con un impegno sincero delle parti interessate e attraverso il ruolo prezioso della solidarietà tra i popoli. Lo ha testimoniato mons. Giuseppe Betori, segretario generale della Cei, durante la conferenza stampa, ieri, ospitata dalla nostra emittente, illustrando il documento finale del Consiglio episcopale permanente, riunito di recente a Roma.

 

“Riteniamo che non basti proclamare appelli per la pace, ma occorra costruire coscienze capaci di fare progetti di pace. La pace è un progetto arduo, ma è un progetto possibile. E’ possibile solo a partire da coscienze di pace: per lo meno, questo è il compito fondamentale della Chiesa che non è un compito diplomatico, un compito tanto meno di diretto intervento sugli scenari delle guerre. Noi riteniamo che su un valore di questo genere, tutte le agenzie educative dovrebbero convergere nel riproporre appunto itinerari pedagogici di pace. Altrimenti, l’invocare la pace ogni volta che essa è minacciata, diventa inefficace perché manca la possibilità di fare appello a delle coscienze che condividano concretamente il valore”.

 

La guerra in Iraq non è comunque un evento ineluttabile pur se dovesse ottenere l’approvazione delle Nazioni Unite, ha spiegato il vescovo Betori, a nome della Cei.

 

“L’autorizzazione dell’Onu è uno degli elementi che compongono uno scenario di plausibilità di una guerra. Non è l’unico elemento, ovviamente, perché se resta la dimensione preventiva della guerra - e non ‘la guerra è una risposta ad una concreta situazione di attacco nei confronti della pace stessa e della sopravvivenza dei popoli’ - è chiaro che non è la semplice autorizzazione dell’Onu a rendere giusta una guerra. E’ uno degli elementi”.

 

I presuli italiani ricordano pure le difficoltà della Chiesa cattolica nella Federazione Russa e le innumerevoli vittime di violenze e sopraffazioni, tra cui tanti cristiani uccisi in varie parti del mondo lo scorso anno. 

 

Sull’Europa allargata a ben 25 Paesi, i vescovi insistono perché vi sia “spazio e riconoscimento per le Chiese e le istituzioni religiose”. Guardando all’Italia, alla difficile congiuntura economica nazionale e internazionale, i presuli sollecitano i politici ma anche tutte le componenti sociali, perché sappiano “avviare cambiamenti nei comportamenti e ancor prima nella mentalità dei cittadini.” I presuli citando le gravi difficoltà della grande industria, in particolare della Fiat, raccomandano “una rinnovata solidarietà e coesione delle forze politiche, imprenditoriali e sindacali” “Principi  che “andrebbero estesi anche per l’auspicata riforma delle istituzioni, delle strutture di governo, del federalismo e del rapporto tra i diversi poteri e funzioni dello Stato – in particolare tra potere politico e magistratura - con la formulazione di un disegno complessivo organico e sufficientemente condiviso.” I vescovi lamentano l’assenza di una riforma fiscale che ponga al centro la famiglia e politiche atte a conciliare la maternità e la cura dei figli con gli impegni lavorativi. Esprimono anche perplessità riguardo il disegno di legge sulla prostituzione, che non incide sulle radici morali e comportamentali del grave fenomeno. E sollecitano quanto prima una legge sulla procreazione medicalmente assistita. Non hanno infine dimenticato di rinnovare la richiesta di Giovanni Paolo II per un provvedimento concreto a favore dei carcerati. Ascoltiamo mons. Betori.

 

“Noi riteniamo che la volontà politica, se c’è, è capace anche di esprimere un gesto sul quale noi non ci siamo mai espressi a riguardo della modalità e della entità. Noi, con il Santo Padre, chiediamo un gesto di clemenza, di riduzione della pena ma che non può andar da solo: questa, se vogliamo, è un po’ la novità del nostro comunicato, in quanto si insiste che accanto a questo ci sia una reale attenzione alla condizione delle persone nel carcere. Non basta liberare questi o altri in anticipo rispetto al momento finale della pena; occorre anche guardare alle condizioni del carcere perché se non assolve anche alla sua funzione di recupero della persona, non basta il gesto di clemenza richiesto”.

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ISRAELE: NELLE ELEZIONI DI IERI VITTORIA PER SHARON,

 MA PROBLEMI PER LA FORMAZIONE DEL GOVERNO

- Intervista con Antonio Ferrari -

 

Moderata soddisfazione del premier israeliano Sharon per la netta vittoria riportata dal suo partito, il Likud, alle elezioni legislative di ieri. L’affermazione della destra, a fronte del brusco ridimensionamento del partito laburista, potrebbe costituire un problema per la formazione del nuovo governo israeliano. Come leader del primo partito, quale sarà ora l’atteggiamento di Sharon, da questa nuova posizione di forza, a cominciare dalla formazione del prossimo esecutivo? Giancarlo La Vella ha rivolto la domanda ad Antonio Ferrari, inviato speciale in Israele per il Corriere della Sera.

 

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R. – Il paradosso è che Sharon è in una posizione di forza e insieme di debolezza: è una vittoria, la sua, che ha anche l’amarezza della sconfitta. Bastava guardarlo, ieri sera, quando ha detto, dopo questo trionfo vero – almeno dal punto di vista numerico – “Non c’è tempo per festeggiare”, e poi ha cominciato a citare Rabin, il premier laburista ucciso che è stato un suo grande avversario. Qui sta il senso di quest’elezione: Sharon vorrebbe fare un governo con il partito sconfitto, cioè con i laburisti, che sono gli unici – assieme ai laici dello Shinui – che potrebbero garantire una sorta di “presentabilità” a questo governo; altrimenti Sharon sarebbe costretto, e i numeri glielo consentirebbero naturalmente, a fare un’alleanza con l’estrema destra, cioè con gente più oltranzista di lui, e questo è contrario alla volontà di Sharon. Ecco perché quella riportata alle elezioni dal Likud è una grande vittoria, ma ha anche il sapore di una sconfitta.

 

D. – Ferrari, e per quanto riguarda la gestione futura della crisi israelo-palestinese da parte di Sharon?

 

R. – L’unica nota positiva è proprio questo continuo riferimento di Sharon a Rabin. Rabin è stato l’uomo che ha fatto la pace con Arafat, che gli ha stretto la mano. Rabin diceva: “Bisogna combattere il terrorismo come se non ci fosse il negoziato e negoziare come se non ci fosse il terrorismo”: ecco, questo è un segnale che in qualche misura può anche significare qualcosa di importante. Per i palestinesi, in realtà, non cambia molto. L’opinione prevalente è che, almeno per un anno, se non vi saranno altre elezioni anticipate in Israele, cambierà ben poco, anche perché gli americani, invece di riprendere la mediazione per porre fine a questo conflitto, ora stanno pensando all’Iraq.

 

D. – Come è possibile che da un’elezione all’altra ci sia stato uno spostamento così radicale di voti? Sicuramente, elettori sinceramente laburisti questa volta hanno votato il partito di destra ...

 

R. – Assolutamente sì. Il travaso di voti da una parte all’altra dello schieramento politico è il fenomeno che colpisce maggiormente in questa elezione, perché la sinistra è uscita veramente molto, ma molto male, non soltanto per la sconfitta del partito laburista, ma anche per la sconfitta della sinistra laica del Meretz. Che cosa è successo, dunque? La sinistra, in pratica, ha avuto emorragie un po’ dappertutto e questa emorragia ha favorito il partito laico anti-religioso dello Shinui, che ha guadagnato dai laburisti, ha guadagnato dal Meretz e ha guadagnato dal partito degli emigrati russi. Lo Shinui si è rivolto proprio a questa gente – oltre che ai giovani – e quindi ha conquistato gran parte dei loro voti. D’altro canto, la parte moderata del partito laburista ha pensato che, durante la loro permanenza nel governo Sharon, i laburisti non hanno influito più di tanto, in quanto, in fondo, la linea politica prevalente è stata sempre quella del Likud; tanto è valso allora votare proprio per il Likud. Ecco, con queste argomentazioni penso che si possa spiegare quello che è stato il grande terremoto di queste elezioni.

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LE DRAMMATICHE CONSEGUENZE DELLA DECENNALE GUERRA CIVILE NEL BURUNDI.

PER NOI LA TESTIMONIANZA E L’ESPERIENZA DI VINCENZO MONTI,

 UN MEDICO ITALIANO NEL PAESE DELL’AFRICA CENTRO ORIENTALE

- Servizio di Cristiane Murray-

 

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Non c’è tregua nel Burundi: scontri tra esercito e ribelli scoppiati alla fine della settimana scorsa hanno costretto alla fuga decine di migliaia di civili; più di 300 mila persone hanno già pagato con la vita il prezzo di una guerra che dura da dieci anni. Nel frattempo, nel piccolo e martoriato Paese il conflitto continua a mietere feriti. Un medico italiano, il dottor Vincenzo Monti, da dieci anni lavora in due ospedali in Burundi: a Bubanza e a Gitega, con la Onlus ‘Fima’, Fondazione italiana medici per l’Africa, fondata da lui e da Giovanni Catelli. A lui chiediamo  cosa lo ha portato, dopo aver lavorato a lungo in Italia, a scegliere una strada così diversa e a cambiare vita?

 

R. – L’ho percepito come un dovere. Un medico in Italia a 65 anni viene ritenuto non abile a ricoprire il ruolo di primario in ospedale, ma l’esperienza e la competenza acquisite lentamente nella pratica del mestiere sono tesori da valorizzare e che non possono essere trasmessi sui libri universitari. Considerato questo, mi sono sentito in dovere di dire: beh, la mia esperienza, maturata negli anni, questo bagaglio di nozioni acquisito, vanno messi al servizio dell’umanità.

 

D. – Ultimamente ha iniziato a coinvolgere anche altri medici: è partito per il Burundi insieme ad un’équipe di specialisti...

 

R. – Certamente. Alcuni medici giovani volevano venire in Africa per fare un esperienza ‘in corpore vili’, atteggiamento che io trovo enormemente fastidioso. Non capisco perché debbano esserci persone-cavie su cui fare esperimenti per acquisire esperienza. Per questo motivo ho pensato di coinvolgere medici italiani che abbiano già una certa esperienza clinica, chirurgica e sperimentale. Ma non ho ritenuto possibile chiedere ad un professionista qui, a Roma, nel pieno della sua attività, di lasciare per mesi o anni la propria occupazione; ho pensato a periodi limitati di tre settimane. Posso pagarli poco e chiedo loro poco tempo. Tre settimane all’anno non comportano sicuramente la perdita della professione. E’ un’occasione per loro di acquisire un nuovo tipo di esperienza umana e morale. Credo che ne saranno riconoscenti per tutta la vita. La conferma è che quei chirurghi che sono venuti giù con me continuano a chiedermi di tornare. Io sono l’unico chirurgo ortopedico, laggiù, per i bambini handicappati, per questo motivo ho chiesto l’aiuto di altri chirurghi ortopedici.

 

D. – Come si può contribuire alla Fondazione?

 

R. – Noi chiediamo due cose: soldi, ma soprattutto aiuto morale; sostegno morale: è importante sentirsi circondati da fiducia ed entusiasmo! Rappresenta una vera e propria forza per andare avanti.

 

Chi volesse contribuire, può fare un versamento intestato alla Onlus ‘Fima’, Fondazione italiana medici per l’Africa. Il numero del conto corrente è 30564009.

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CHIESA E SOCIETA’

29 gennaio 2003

 

 

SI APRE QUESTA SERA A BARCELLONA CON UNA CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA

PRESIEDUTA DAL CARDINALE CARLES GORDO’ L’ANNO DELLA MERCEDE MERCE’ 2003

- A cura di Paolo Ondarza -

 

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BARCELLONA. = Si inaugura questa sera alle 19 a Barcellona, l’Anno della Mercede, che durerà fino al 29 gennaio 2004. L’evento rappresenta un’occasione per ricordare l’8° centenario del primo riscatto di 800 prigionieri ottenuto a Valencia da San Pietro Nolasco, fondatore dei Mercedari. Già lo scorso 1° gennaio, in previsione della ricorrenza, il cardinale arcivescovo Ricardo Marìa Carles, aveva pubblicato una lettera pastorale dal titolo “Camminiamo con speranza”, in cui rievocava eventi significativi accaduti nella Chiesa barcellonese durante gli anni del suo ministero di pastore, come la celebrazione del Concilio Provinciale Tarraconense. Il porporato è autore anche del “Piano Pastorale Diocesano”, documento che partendo dagli scritti di San Giovanni Evangelista e dalla Lettera Apostolica  di Giovanni Paolo II,  Novo millennio ineunte, affronta alcuni problemi e sfide per la diocesi nel tempo presente, quali il fenomeno dell’immigrazione, le risposte alle nuove realtà pastorali e sociali, con un invito a “prendere il largo” con fiducia e speranza nel futuro. Il cardinale Carles presiederà la celebrazione eucaristica nel Santuario di Nostra Signora della Mercede, patrona di Barcellona. Concelebreranno lui il nunzio apostolico in Spagna, mons. Manuel Monteiro de Castro, i vescovi ausiliari, i vicari, i sacerdoti di Barcellona e i religiosi Mercedari. L’emittente spagnola Radio Estel trasmetterà in diretta la cerimonia. Numerosi gli appuntamenti previsti in questo anno Mercè 2003, iniziativa patrocinata dalla Fondazione Madre di Dio della Mercede e dalle amministrazioni di Barcellona e della Catalogna allo scopo di risvegliare nei catalani la devozione alla Madonna della Mercede e l’attenzione agli emarginati ed ai carcerati.

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COMPLIMENTI ED ELOGI DA PARTE DELLA CHIESA

E DELLA COMUNITA’ CIVILE VIETNAMITA PER L’IMPEGNO

DELLE SUORE AMANTI DELLA SANTA CROCE

 IN FAVORE DELLO SVILUPPO SOCIALE DELLE DONNE

 

HANOI. = L'impegno sociale degli istituti religiosi in Vietnam contro il fenomeno della disoccupazione: la Congregazione religiosa locale delle Suore Amanti della Santa Croce organizza da tempo corsi di formazione professionale allo scopo di aiutare centinaia di giovani ragazze a trovare lavoro nella provincia di Bin Dinh, a Sud di Hanoi. Alle alunne vengono impartite lezioni di ricamo, applicato su biancheria, capi di vestiario, e abiti tradizionali. I manufatti, una volta terminati, vengono venduti ad aziende che commerciano in tessuti e abbigliamento. A detta degli imprenditori che abitualmente si forniscono del lavoro artigianale delle ricamatrici di Bin Dinh, i capi realizzati sono di altissima qualità e vengono eseguiti con puntualità e serietà. Beneficano dell’opera delle Suore Amanti della Santa Croce anche i negozi cattolici di Ho Chi Min City, che contattano la Congregazione  per confezionare abiti liturgici come casule, corporali, stole e altri articoli. Le ragazze di Bin Dinh sono circa 600, tutte di età compresa fra i  16 e i 17 anni. I piccoli locali della Cattedrale di  Qui Nhon costituiscono la loro bottega. Numerosi gli elogi e i complimenti da parte della Chiesa e delle autorità civili del luogo alle religiose, per il contributo offerto allo sviluppo sociale delle donne. L’impegno delle Suore Amanti della Santa Croce - Congregazione costituita da 273 suore, 54 aspiranti e 23 novizie - è focalizzato particolarmente nelle aree rurali del Vietnam, dove le religiose, oltre ad impartire corsi di ricamo organizzano lezioni scolastiche di recupero e diversi progetti per lo sviluppo delle donne (P.O.)

 

 

PRESENTATA IERI A FIRENZE UNA NUOVA INIZIATIVA DEL PROGETTO DI ADOZIONE

 A DISTANZA “AGATA SMERALDA”: LA COSTRUZIONE DI UNA  SCUOLA

IN UN VILLAGGIO AFGHANO NEI PRESSI DI KABUL

 

FIRENZE. = "Per dire no alle guerre e per promuovere la pace è importante gettare ponti di amicizia e di aiuto. La diffidenza si supera solo se tendiamo la mano, se apriamo i nostri cuori". Con queste parole Mauro Barsi, presidente del Progetto di adozione a distanza “Agata Smeralda”, ha presentato ieri l’iniziativa di costruire una scuola in un villaggio afghano nei pressi di Kabul. “L’idea di questo progetto - ha spiegato Mauro Barsi - è del padre barnabita Giuseppe Moretti, cappellano dell’ambasciata italiana nella capitale dell’Afghanistan. A noi di “Agata Smeralda” è parso importante rispondere all’appello dei padri Barnabiti, per offrire ai bambini del villaggio di Tangi Kalai una struttura scolastica che possa anche divenire un luogo di pace”. Per la realizzazione di questa iniziativa si sono mobilitati anche i 400 soldati italiani del contingente di pace. "Il Genio militare - ha aggiunto il presidente di "Agata Smeralda" - ha provveduto alla prima progettazione, spianando l’area e utilizzandola per il momento come campo di calcio per i bambini del posto”. La scuola avrà 27 aule e potrà ospitare circa 900 alunni del villaggio, che oggi conta 3400 persone, di cui un terzo bambini dai 5 agli 11 anni. La linea di "Agata Smeralda", avviata come progetto di solidarietà in Brasile, è quella di "aiutare i bambini e le bambine, in tutte le aree del mondo, a crescere liberi nella loro terra, per essere protagonisti nella storia del loro Paese". Fino ad oggi sono stati adottati a distanza oltre 8000 bambini, sostenuti dalla generosità dei fiorentini. Il nome "Agata Smeralda" è quello della prima bambina abbandonata a Firenze fuori dall’ospedale degli Innocenti, nel lontano 1445. (A.L.)

 

 

“UN SEGNALE TERRIBILE CHE RIPORTA LA SITUAZIONE INDIETRO DI ANNI”:

 QUESTO IL COMMENTO ALLA NOTIZIA DELL’ESECUZIONE DI UN MONACO TIBETANO

 AVVENUTA LO SCORSO 26 GENNAIO

 

LHASA. = Il 26 gennaio è stata eseguita la condanna a morte di Lobsang Dhondhup, un monaco tibetano di 28 anni. Lobsang Dhondhup era stato condannato a morte a dicembre insieme ad un suo correligionario, Tenzin Delek Rinpoché, con l'accusa di essere implicato in una serie di attentati avvenuti nella regione del Sichuan tra il 2001 ed il 2002. La condanna di Tenzin Delek è stata sospesa per due anni. La sentenza era arrivata al termine di un processo molto lontano dagli standard internazionali di equità e correttezza. Dal momento dell'arresto, avvenuto in aprile, i due imputati sono stati costretti a trascorrere lunghi periodi senza poter vedere familiari o avvocati ed hanno subito pesanti torture e maltrattamenti. Vi è il fondato timore che i due possano essere stati indicati come colpevoli unicamente a causa delle loro attività pacifiche e non violente a favore dell'indipendenza del Tibet. Amnesty International esprime la sua forte preoccupazione per la sorte di altri cinque monaci arrestati insieme a loro di cui non si è più avuta notizia. Tre di loro sarebbero stati brutalmente picchiati dalle forze di polizia prima di essere portati in carcere. “Si tratta di un segnale terribile che riporta la situazione indietro di anni - ha commentato Paolo Pobbiati, coordinatore per il Tibet di Amnesty Italia - e che cancella gli importanti gesti di distensione dei mesi scorsi, tra cui la liberazione di alcuni prigionieri politici”. Il timore è che le autorità cinesi vogliano estendere l'utilizzo della pena di morte ad accuse legate ad attività separatiste. “La Cina - ha aggiunto Paolo Pobbiati - sta portando avanti la sua particolare lotta contro il terrorismo e la criminalità colpendo senza distinzioni anche dissidenti ed attivisti che adottano strumenti di lotta non violenti”. “I tribunali cinesi - ha concluso il coordinatore per il Tibet di Amnesty Italia - sono sottoposti a forti ingerenze politiche e non danno garanzie, anche minime, ai diritti degli imputati: i processi sono solamente una ratifica di sentenze decise in altra sede”. (A.L.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

29 gennaio 2003

 

 

- A cura di Giancarlo La Vella -

 

''Ore cruciali'' potrebbero giungere molto presto. Con queste parole il presidente statunitense Bush ha preparato l'America alla guerra contro l'Iraq. Tra le perplessità della comunità internazionale, gli osservatori hanno confermato che il discorso sullo stato dell’Unione, pronunciato la notte scorsa dal capo della Casa Bianca, possa essere una sorta di chiamata alle armi. Il servizio da New York:

 

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Il capo della Casa Bianca ha iniziato parlando dei problemi economici e di politica interna, a cui ha dedicato circa i due terzi del discorso durato oltre un’ora. Il finale però lo ha riservato alla sfida contro il terrorismo e soprattutto alla possibile resa dei conti con Saddam. Bush ha accusato Baghdad di possedere ancora armi di distruzione di massa e ha annunciato che il segretario di Stato Powell andrà all’Onu il 5 febbraio per presentare le prove che l’Intelligence americana ha raccolto. Quindi ha aggiunto che Saddam sta aiutando gli uomini di Al Qaeda, riferendosi forse ai gruppi islamici che combattono i curdi nel nord dell’Iraq, e ha sostenuto che questa è una ragione in più per intervenire, allo scopo di evitare che le armi di distruzione di massa finiscano nelle mani dei terroristi. Il presidente ha promesso di consultarsi con gli alleati e la comunità internazionale, ma ha chiarito che il corso scelto dall’America non dipende dalle decisioni di altri. Quindi, ha concluso che “se la guerra ci verrà imposta combatteremo con tutta la potenza degli Stati Uniti e vinceremo”.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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E la Francia accoglie con grande favore la decisione degli Stati Uniti di presentare le prove sugli armamenti proibiti di Saddam Hussein. E nella crisi irachena interviene direttamente l’Italia, con la decisione del governo di dare il via libera all’utilizzo per motivi tecnici delle proprie basi agli aerei statunitensi. Intanto, mentre a Roma è polemica tra maggioranza e opposizione su questa decisione dell’esecutivo, Silvio Berlusconi si appresta ad una nuova missione all’estero proprio per discutere di Iraq. Il premier italiano sarà oggi a Londra, domani a New York e, ai primi di febbraio, a Mosca. E segnali di pace sulla crisi irachena giungono dall’Europa. L'alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza dell'Unione Europea, Javier Solana, a margine di una conferenza dedicata ai temi del Medio Oriente a Bruxelles, ha affermato di essere ancora convinto che la guerra in Iraq si può evitare.

 

E’ andata al di là del previsto l’affermazione del Likud alle elezione legislative svoltesi ieri in Israele per il rinnovo del parlamento, divenendo così il primo partito del Paese. Il partito della destra, guidato dal premier Ariel Sharon, ha ottenuto la maggioranza relativa, passando da 16 a 37 seggi sui 120 della Knesset. Pesante la sconfitta dei laburisti che da 25 passano a 19 eletti. Da sottolineare la parziale affermazione del partito laico di centro Shinui. Il servizio di Graziano Motta:

 

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E’ avvenuto un grande spostamento dell’elettorato. A rendere più evidente quello della sinistra verso il centro, c’è la disfatta del partito radicale e pacifista Meretz, che ha perso quattro seggi, attestandosi a sei; e poi si è verificato lo spostamento dal centro verso la destra nazionalista del Likud e verso lo Shinui. Qui hanno trovato casa i voti di chi ha reagito ai casi di corruzione politica e all’invadenza dei partiti confessionali. Gli elettori hanno indicato anche alla comunità internazionale, ed europea in particolare, che non credono più né ad Arafat come interlocutore per la pace, né all’alternativa di sinistra. “Ci è costata cara dopo gli accordi di Oslo”, sono le parole del presidente del Likud internazionale, confermate dalla parlamentare laburista, l’ambasciatore Colette Avital. “Forse - ha detto - dobbiamo ringraziare per la seconda volta i palestinesi”. La prima volta fu per la elezione diretta di Sharon a primo ministro, due anni fa, dopo lo scoppio dell’Intifada. E Sharon ha detto stanotte, ricordando la lotta in corso e la rivolta palestinese: “Non è l’ora delle feste, ma della riunione, dell’unità delle forze. Chiedo a tutti i partiti sionisti di formare insieme un governo di unità nazionale. Sarebbe grave che considerazioni squisitamente politiche – sono quelle rappresentate dal leader laburista Amran Mitzna – lo impedissero”.

 

Da Gerusalemme, per Radio Vaticana, Graziano Motta.

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E quella di ieri è stata un’altra giornata di violenza nei Territori con morti e feriti. Oggi il gruppo estremista di Hamas ha annunciato che i palestinesi intensificheranno la resistenza armata in relazione all'aumento della politica aggressiva della destra israeliana, uscita vincente dalle elezioni. Intanto, le autorità militari israeliane hanno revocato stamani la chiusura totale dei Territori palestinesi imposta tre giorni fa per evitare attentati durante le consultazioni.

 

A causa dell’aggravarsi degli scontri, la Francia è pronta ad evacuare i suoi cittadini dalla Costa d'Avorio in qualunque momento. Lo ha affermato oggi il ministro degli esteri francese Dominique de Villepin. Anche se il governo di Parigi non parla ancora di situazione allarmante, le aziende francesi che lavorano nel Paese africano hanno annunciato che nelle prossime ore verranno rimpatriate circa 250 persone. Intanto, per far fronte alla crisi si parla di inviare osservatori militari e civili in Costa d’Avorio. E’ questa la proposta lanciata ieri dal segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, allarmato dal proseguire della crisi, anche dopo l’accordo di pace siglato la scorsa settimana a Parigi tra governo del presidente ivoriano Gbagbo e ribelli. Ad Abidjan, infatti, si susseguono con violenza le proteste, nelle quali si registrano preoccupanti scontri tra gruppi cristiani e musulmani. Ma qual è la situazione nel Paese? Roberto Piermarini lo ha chiesto a padre José Maria Timoneda, da sette anni missionario in Costa d’Avorio, che si trova ad Abidjan:

 

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D. – Qual è la situazione in questo momento in Costa d’Avorio?

 

R. – EN ABIDJAN HAY UN SENTIMIENTO …

Ad Abidjan c’è un sentimento antifrancese che porta ad attaccare tutto quello che appare elemento culturale europeo o “bianco”. Molti negozi o luoghi legati agli interessi francesi, come l’Air France, sono stati distrutti. All’interno del Paese, nella zona che non è controllata dai ribelli, non c’è nessun problema, solo che manca il cibo. In questa zona esiste la sensazione che la riunione di Parigi non sia stata quello che tutti speravano. Soprattutto i vertici militari non accettano che ai ribelli, che finora erano stati nemici, siano stati assegnati il ministero degli Interni e quello della Difesa, e che i due ministri che controlleranno l’esercito e le forze dell’ordine, saranno proprio dei ribelli.

 

D. – Padre Timoneda c’è un rischio di un golpe militare?

 

R. – NO SE’. LOS MILITARES NO ESTAN CONTENTOS …

Non lo so. Certo è che i militari non sono contenti ... Il presidente Gbagbo ha firmato quello che è stato deciso a Parigi, ma adesso sembra tirarsi indietro dicendo che si tratta di proposte che egli non ha accettato.

 

D. – Padre Timoneda c’è un rischio in Costa d’Avorio di una guerra di religione tra cristiani e musulmani?

 

R. – NO CREO DE RELIGIONES …

Non credo di religione, ma tra nord e sud. E tra nord e sud vuol dire anche tra cristiani e musulmani. Quindi non è legata alla questione religiosa, quanto piuttosto alla questione etnica e della divisione nord e sud.

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Sono attesi per domani a Caracas i vice ministri degli esteri di Stati Uniti, Brasile, Cile, Messico, Spagna e Portogallo per trovare con governo e opposizione una via d'uscita alla crisi venezuelana. I vice ministri parteciperanno anche alle trattative con la mediazione del segretario generale dell'Organizzazione degli stati americani Cesar Gaviria. Intanto è stata prolungata di una settimana la sospensione del mercato dei cambi.

 

 

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