RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 29 - Testo della
Trasmissione di mercoledì 29 gennaio 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E
SOCIETA’:
Presentata
ieri a Firenze una nuova iniziativa del progetto di adozione a distanza “Agata
Smeralda”.
Il presidente Bush,
parlando alla nazione americana, prepara gli Stati Uniti alla guerra contro
l’Iraq.
Netta vittoria del Likud di Sharon alle elezioni
israeliane; sconfitti i laburisti.
Si aggrava la situazione in Costa d’Avorio, pronti
a rientrare in patria centinaia di francesi.
29 gennaio 2003
LA SAPIENZA, DONO DIVINO CHE ORIENTA
NELLE SCELTE MORALI DELL’ESISTENZA,
E DÀ LA CAPACITÀ DI PENETRARE NEL
SENSO PROFONDO DELLA VITA E DELLA STORIA
LA CATECHESI BIBLICA DEL PAPA
ALL’UDIENZA GENERALE
In
questo tempo spesso connotato dalla confusione e dallo smarrimento, di grande
attualità è l’odierna catechesi del Papa all’udienza generale. E’ incentrata su
quello che Giovanni Paolo II definisce un “tesoro insostituibile”, un “dono preziosissimo”:
la sapienza. La sua meditazione sul cantico tratto dal capitolo 9 del Libro
della Sapienza, è densa di toni esistenziali. Il servizio di Carla Cotignoli:
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(canto)
Come
sempre, il Papa è stato accolto all’Aula Paolo VI in un clima festoso dagli oltre 3000 pellegrini provenienti non solo
dall’Europa, ma anche da Australia, Stati Uniti e Cile.
Sin
dalle prime battute della sua catechesi il Santo Padre ha approfondito il
significato profondo del “tesoro
insostituibile” che è la sapienza. Non è una dote umana, ma “un dono divino”.
“La
sapienza - ha detto - non è la semplice intelligenza o l’abilità pratica”. “E’
la capacità di penetrare nel senso profondo dell’essere, della vita e della storia,
andando oltre la superficie delle cose e degli eventi per scoprirne il
significato ultimo, voluto dal Signore”. “La sapienza è infatti la partecipazione alla mente stessa di Dio
che ‘con la sua sapienza ha formato l’uomo’”. Si comprende allora perché dobbiamo
implorare questo dono da Dio, così come fece Salomone.
“Senza
questo dono si ha la consapevolezza di essere senza guida, quasi privi di una
stella polare che orienti nelle scelte morali dell’esistenza”.
Per
questo la Liturgia ci fa pregare con le parole del Libro della Sapienza
all’inizio della giornata, “proprio perché Dio con la sua sapienza sia accanto
a noi e “ci assista e affianchi nella fatica quotidiana, svelandoci il bene e
il male, il giusto e l’ingiusto”.
“Con
la mano nella mano della Sapienza divina noi ci inoltriamo fiduciosi nel
mondo”. E’ “in Cristo la Sapienza di Dio”,
ha ancora detto il Papa richiamando i Padri della Chiesa che, sulla scia
di san Paolo definivano Cristo “potenza di Dio e sapienza di Dio”. E la
preghiera del Santo Padre si volge a
Cristo, attraverso le parole di Sant’Ambrogio:
“Insegnami le parole ricche di sapienza, perché tu sei la
Sapienza! Se si entrerà attraverso di Te, non si ingannerà, perché non può
sbagliarsi chi abbia fatto il suo ingresso nella dimora della Verità”.
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PROVVISTE
DI CHIESE IN INDONESIA, ETIOPIA E SRI LANKA:
NUOVI
PASTORI PER COMUNITA’ IN CRESCITA
- A
cura di Paolo Salvo -
Il Papa
ha istituito in Indonesia la nuova provincia ecclesiastica di Samarinda, con territorio
distaccato dalla provincia ecclesiastica di Pontianak. Essa comprenderà le
diocesi suffraganee di Banjarmasin, Palangkaraya e Tanjung Selor.
Come primo arcivescovo metropolita di Samarinda, il Santo
Padre ha nominato l’attuale vescovo della diocesi, mons. Florentinus Sului
Haiang Hau, dei Missionari della Sacra Famiglia.
In tutta l’Indonesia, i cattolici sono più di sei milioni,
sugli oltre 210 milioni di abitanti, in grande maggioranza musulmani. La
provincia ecclesiastica di Pontianak comprende otto diocesi, con circa 890 mila
cattolici su oltre 11 milioni e mezzo di abitanti. E’ la provincia dove si
registra il più rapido aumento dei fedeli cattolici rispetto a tutto
l’arcipelago indonesiano, soprattutto tra i “Dayak”, popolo autoctono del vasto
territorio dell’isola di Kalimantan. La sede di Samarinda, che diviene ora
arcidiocesi, è stata evangelizzata dai Frati Cappuccini e dai Missionari della
Sacra Famiglia. Su oltre un milione e mezzo di abitanti, distribuiti in quasi
115 mila kmq, i cattolici sono 100 mila, in maggioranza Dayak e in continua
ascesa.
In Etiopia, il Pontefice ha nominato vicario apostolico di
Meki il sacerdote Abraha Desta, di 51 anni, attuale cancelliere e segretario
generale del segretariato cattolico dell’eparchia di Adigrat, elevandolo alla
dignità vescovile.Il nuovo presule subentra al vescovo mons.
YohannesWoldegiorgis, scomparso nel settembre dello scorso anno.
Il vicariato apostolico di Meki, che si estende nella
regione sud-orientale dell’Etiopia ed è considerato un’area di prima
evangelizzazione ad gentes, è affidato
alla cura pastorale dell’Istituto Missioni Consolata. Su circa 5 milioni e mezzo
di abitanti, i cattolici sono poco più di 20 mila, distribuiti in dieci
parrocchie e assistiti da una trentina di sacerdoti, tra diocesani e religiosi.
Vi sono una cinquantina di suore e venti seminaristi maggiori.
Nello Sri Lanka, il Papa ha nominato vescovo di Ratnapura
il sacerdote Harold Anthony Perera, di 51 anni, attuale direttore del filosofato del Seminario maggiore
nazionale. La diocesi era vacante dal 1° ottobre 2001, in seguito alla nomina
del vescovo mons. Albert Malcolm Ranjith a segretario aggiunto della Congregazione
per l’Evangelizzazione dei Popoli, con incarico di presidente delle Pontificie
Opere Missionarie. Situata nel Sud dello Sri Lanka, la diocesi di Ratnapura, ha
un milione e 766 mila abitanti, di cui oltre 25 mila cattolici, distribuiti in
21 parrocchie e assistiti da 27 sacerdoti, in maggioranza diocesani. La Chiesa
locale comprende otto fratelli religiosi, 80 religiose e nove seminaristi
maggiori.
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"Bush:
il regime di Saddam Hussein è la minaccia maggiore per gli Usa" è il
titolo che apre la prima pagina nel discorso sullo stato dell'Unione, il capo
della Casa Bianca denuncia violazioni dell'Iraq.
Sempre in prima, la drammatica
notizia che nel Sahel orientale, secondo le stime fornite dal "Pam",
la malnutrizione minaccia la vita di 580.000 persone.
"Con la Corona
insanguinata tra le mani" è il titolo del pensiero di Tommaso Toschi
dedicato all'Anno del Rosario.
Nelle vaticane, la catechesi e
la cronaca dell'udienza generale.
Una pagina dedicata al IV
Incontro mondiale delle famiglie a Manila, appena conclusosi.
Nel cammino della Chiesa in
America, l'intervento dell'arcivescovo di Buenos Aires dedicato alla pastorale
giovanile.
Nelle pagine estere, Medio Oriente:
affermazione del Likud nelle elezioni legislative.
Corea del Nord: Pyongyang
valuterà le proposte sudcoreane, allo scopo di uscire dalla crisi nucleare.
In Costa d'Avorio sono ripresi
i combattimenti.
Nella pagina culturale, un
contributo di Danilo Veneruso dal titolo "Un punto d'incontro tra teologia
e filosofia": "Paideia e Vangelo" di Salvatore Nicolosi.
Nelle pagine italiane, in primo
piano, i commenti e le reazioni riguardo al fatto che i processi Imi-Sir/Lodo
Mondadori e Sme restano a Milano.
Il tema del fisco.
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LA PACE POSSIBILE NASCE NELLE COSCIENZE DEGLI
UOMINI,
E LA GUERRA NON E’ UN EVENTO
INELUTTABILE.
I VESCOVI ITALIANI CHIEDONO AL LORO PAESE COESIONE POLITICA
E SOLIDARIETA’ SOCIALE PER AFFRONTARE LA CRISI ECON0MICA E LE GRANDI
RIFORME
- Servizio di Roberta Gisotti -
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Le attese di pace per il mondo intero e la preoccupazione
crescente per le situazioni di conflitto in Medio Oriente, in Costa d’Avorio e
nella Repubblica Centrafricana; l’incerto esito della crisi internazionale
legata all’Iraq; le minacce del terrorismo internazionale; la decisione della
Corea del Nord di ritirarsi dal trattato di non proliferazione nucleare:
critici e drammatici eventi che i vescovi italiani auspicano possano cambiare
corso con un impegno sincero delle parti interessate e attraverso il ruolo
prezioso della solidarietà tra i popoli. Lo ha testimoniato mons. Giuseppe
Betori, segretario generale della Cei, durante la conferenza stampa, ieri,
ospitata dalla nostra emittente, illustrando il documento finale del Consiglio
episcopale permanente, riunito di recente a Roma.
“Riteniamo
che non basti proclamare appelli per la pace, ma occorra costruire coscienze
capaci di fare progetti di pace. La pace è un progetto arduo, ma è un progetto
possibile. E’ possibile solo a partire da coscienze di pace: per lo meno,
questo è il compito fondamentale della Chiesa che non è un compito diplomatico,
un compito tanto meno di diretto intervento sugli scenari delle guerre. Noi
riteniamo che su un valore di questo genere, tutte le agenzie educative
dovrebbero convergere nel riproporre appunto itinerari pedagogici di pace.
Altrimenti, l’invocare la pace ogni volta che essa è minacciata, diventa
inefficace perché manca la possibilità di fare appello a delle coscienze che
condividano concretamente il valore”.
La guerra in Iraq non è comunque un evento ineluttabile
pur se dovesse ottenere l’approvazione delle Nazioni Unite, ha spiegato il
vescovo Betori, a nome della Cei.
“L’autorizzazione
dell’Onu è uno degli elementi che compongono uno scenario di plausibilità di
una guerra. Non è l’unico elemento, ovviamente, perché se resta la dimensione
preventiva della guerra - e non ‘la guerra è una risposta ad una concreta
situazione di attacco nei confronti della pace stessa e della sopravvivenza dei
popoli’ - è chiaro che non è la semplice autorizzazione dell’Onu a rendere
giusta una guerra. E’ uno degli elementi”.
I presuli italiani ricordano pure le difficoltà della
Chiesa cattolica nella Federazione Russa e le innumerevoli vittime di violenze
e sopraffazioni, tra cui tanti cristiani uccisi in varie parti del mondo lo
scorso anno.
Sull’Europa allargata a ben 25 Paesi, i vescovi insistono perché vi sia
“spazio e riconoscimento per le Chiese e le istituzioni religiose”. Guardando
all’Italia, alla difficile congiuntura economica nazionale e internazionale, i
presuli sollecitano i politici ma anche tutte le componenti sociali, perché
sappiano “avviare cambiamenti nei comportamenti e ancor prima nella mentalità
dei cittadini.” I presuli citando le gravi difficoltà della grande industria,
in particolare della Fiat, raccomandano “una rinnovata solidarietà e coesione
delle forze politiche, imprenditoriali e sindacali” “Principi che “andrebbero estesi anche per l’auspicata
riforma delle istituzioni, delle strutture di governo, del federalismo e del
rapporto tra i diversi poteri e funzioni dello Stato – in particolare tra potere
politico e magistratura - con la formulazione di un disegno complessivo
organico e sufficientemente condiviso.” I vescovi lamentano l’assenza di una
riforma fiscale che ponga al centro la famiglia e politiche atte a conciliare
la maternità e la cura dei figli con gli impegni lavorativi. Esprimono anche
perplessità riguardo il disegno di legge sulla prostituzione, che non incide
sulle radici morali e comportamentali del grave fenomeno. E sollecitano quanto
prima una legge sulla procreazione medicalmente assistita. Non hanno infine
dimenticato di rinnovare la richiesta di Giovanni Paolo II per un provvedimento
concreto a favore dei carcerati. Ascoltiamo mons. Betori.
“Noi
riteniamo che la volontà politica, se c’è, è capace anche di esprimere un gesto
sul quale noi non ci siamo mai espressi a riguardo della modalità e della
entità. Noi, con il Santo Padre, chiediamo un gesto di clemenza, di riduzione
della pena ma che non può andar da solo: questa, se vogliamo, è un po’ la
novità del nostro comunicato, in quanto si insiste che accanto a questo ci sia
una reale attenzione alla condizione delle persone nel carcere. Non basta liberare
questi o altri in anticipo rispetto al momento finale della pena; occorre anche
guardare alle condizioni del carcere perché se non assolve anche alla sua
funzione di recupero della persona, non basta il gesto di clemenza richiesto”.
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ISRAELE: NELLE ELEZIONI DI IERI VITTORIA PER
SHARON,
MA PROBLEMI PER LA FORMAZIONE DEL GOVERNO
-
Intervista con Antonio Ferrari -
Moderata
soddisfazione del premier israeliano Sharon per la netta vittoria riportata dal
suo partito, il Likud, alle elezioni legislative di ieri. L’affermazione della
destra, a fronte del brusco ridimensionamento del partito laburista, potrebbe
costituire un problema per la formazione del nuovo governo israeliano. Come
leader del primo partito, quale sarà ora l’atteggiamento di Sharon, da questa
nuova posizione di forza, a cominciare dalla formazione del prossimo esecutivo?
Giancarlo La Vella ha rivolto la domanda ad Antonio Ferrari, inviato speciale
in Israele per il Corriere della Sera.
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R. – Il
paradosso è che Sharon è in una posizione di forza e insieme di debolezza: è
una vittoria, la sua, che ha anche l’amarezza della sconfitta. Bastava
guardarlo, ieri sera, quando ha detto, dopo questo trionfo vero – almeno dal
punto di vista numerico – “Non c’è tempo per festeggiare”, e poi ha cominciato
a citare Rabin, il premier laburista ucciso che è stato un suo grande
avversario. Qui sta il senso di quest’elezione: Sharon vorrebbe fare un governo
con il partito sconfitto, cioè con i laburisti, che sono gli unici – assieme ai
laici dello Shinui – che potrebbero garantire una sorta di “presentabilità” a
questo governo; altrimenti Sharon sarebbe costretto, e i numeri glielo
consentirebbero naturalmente, a fare un’alleanza con l’estrema destra, cioè con
gente più oltranzista di lui, e questo è contrario alla volontà di Sharon. Ecco
perché quella riportata alle elezioni dal Likud è una grande vittoria, ma ha
anche il sapore di una sconfitta.
D. – Ferrari, e
per quanto riguarda la gestione futura della crisi israelo-palestinese da parte
di Sharon?
R. – L’unica
nota positiva è proprio questo continuo riferimento di Sharon a Rabin. Rabin è
stato l’uomo che ha fatto la pace con Arafat, che gli ha stretto la mano. Rabin
diceva: “Bisogna combattere il terrorismo come se non ci fosse il negoziato e
negoziare come se non ci fosse il terrorismo”: ecco, questo è un segnale che in
qualche misura può anche significare qualcosa di importante. Per i palestinesi,
in realtà, non cambia molto. L’opinione prevalente è che, almeno per un anno,
se non vi saranno altre elezioni anticipate in Israele, cambierà ben poco,
anche perché gli americani, invece di riprendere la mediazione per porre fine a
questo conflitto, ora stanno pensando all’Iraq.
D. – Come è
possibile che da un’elezione all’altra ci sia stato uno spostamento così
radicale di voti? Sicuramente, elettori sinceramente laburisti questa volta
hanno votato il partito di destra ...
R. –
Assolutamente sì. Il travaso di voti da una parte all’altra dello schieramento
politico è il fenomeno che colpisce maggiormente in questa elezione, perché la
sinistra è uscita veramente molto, ma molto male, non soltanto per la sconfitta
del partito laburista, ma anche per la sconfitta della sinistra laica del
Meretz. Che cosa è successo, dunque? La sinistra, in pratica, ha avuto
emorragie un po’ dappertutto e questa emorragia ha favorito il partito laico
anti-religioso dello Shinui, che ha guadagnato dai laburisti, ha guadagnato dal
Meretz e ha guadagnato dal partito degli emigrati russi. Lo Shinui si è rivolto
proprio a questa gente – oltre che ai giovani – e quindi ha conquistato gran
parte dei loro voti. D’altro canto, la parte moderata del partito laburista ha
pensato che, durante la loro permanenza nel governo Sharon, i laburisti non
hanno influito più di tanto, in quanto, in fondo, la linea politica prevalente
è stata sempre quella del Likud; tanto è valso allora votare proprio per il
Likud. Ecco, con queste argomentazioni penso che si possa spiegare quello che è
stato il grande terremoto di queste elezioni.
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LE DRAMMATICHE CONSEGUENZE DELLA DECENNALE GUERRA CIVILE
NEL BURUNDI.
PER
NOI LA TESTIMONIANZA E L’ESPERIENZA DI VINCENZO MONTI,
UN MEDICO ITALIANO NEL PAESE DELL’AFRICA
CENTRO ORIENTALE
-
Servizio di Cristiane Murray-
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Non c’è tregua nel Burundi: scontri tra esercito e ribelli
scoppiati alla fine della settimana scorsa hanno costretto alla fuga decine di
migliaia di civili; più di 300 mila persone hanno già pagato con la vita il
prezzo di una guerra che dura da dieci anni. Nel frattempo, nel piccolo e
martoriato Paese il conflitto continua a mietere feriti. Un medico italiano, il
dottor Vincenzo Monti, da dieci anni lavora in due ospedali in Burundi: a
Bubanza e a Gitega, con la Onlus ‘Fima’, Fondazione italiana medici per l’Africa,
fondata da lui e da Giovanni Catelli. A lui chiediamo cosa lo ha portato, dopo aver lavorato a lungo in Italia, a
scegliere una strada così diversa e a cambiare vita?
R. – L’ho percepito come un dovere. Un medico in Italia a
65 anni viene ritenuto non abile a ricoprire il ruolo di primario in ospedale,
ma l’esperienza e la competenza acquisite lentamente nella pratica del mestiere
sono tesori da valorizzare e che non possono essere trasmessi sui libri
universitari. Considerato questo, mi sono sentito in dovere di dire: beh, la
mia esperienza, maturata negli anni, questo bagaglio di nozioni acquisito,
vanno messi al servizio dell’umanità.
D. – Ultimamente ha iniziato a coinvolgere anche altri
medici: è partito per il Burundi insieme ad un’équipe di specialisti...
R. – Certamente. Alcuni medici giovani volevano venire in
Africa per fare un esperienza ‘in corpore vili’, atteggiamento che io trovo
enormemente fastidioso. Non capisco perché debbano esserci persone-cavie su cui
fare esperimenti per acquisire esperienza. Per questo motivo ho pensato di
coinvolgere medici italiani che abbiano già una certa esperienza clinica,
chirurgica e sperimentale. Ma non ho ritenuto possibile chiedere ad un
professionista qui, a Roma, nel pieno della sua attività, di lasciare per mesi
o anni la propria occupazione; ho pensato a periodi limitati di tre settimane.
Posso pagarli poco e chiedo loro poco tempo. Tre settimane all’anno non
comportano sicuramente la perdita della professione. E’ un’occasione per loro
di acquisire un nuovo tipo di esperienza umana e morale. Credo che ne saranno
riconoscenti per tutta la vita. La conferma è che quei chirurghi che sono
venuti giù con me continuano a chiedermi di tornare. Io sono l’unico chirurgo
ortopedico, laggiù, per i bambini handicappati, per questo motivo ho chiesto
l’aiuto di altri chirurghi ortopedici.
D. – Come si può contribuire alla Fondazione?
R. – Noi chiediamo due cose: soldi, ma soprattutto aiuto
morale; sostegno morale: è importante sentirsi circondati da fiducia ed entusiasmo!
Rappresenta una vera e propria forza per andare avanti.
Chi volesse contribuire, può fare un versamento intestato
alla Onlus ‘Fima’, Fondazione italiana medici per l’Africa. Il numero del conto
corrente è 30564009.
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29 gennaio 2003
SI APRE QUESTA SERA A BARCELLONA CON UNA
CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA
PRESIEDUTA
DAL CARDINALE CARLES GORDO’ L’ANNO DELLA MERCEDE MERCE’ 2003
- A cura di Paolo Ondarza -
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BARCELLONA. = Si inaugura questa sera alle 19 a
Barcellona, l’Anno della Mercede, che durerà fino al 29 gennaio 2004. L’evento
rappresenta un’occasione per ricordare l’8° centenario del primo riscatto di
800 prigionieri ottenuto a Valencia da San Pietro Nolasco, fondatore dei
Mercedari. Già lo scorso 1° gennaio, in previsione della ricorrenza, il
cardinale arcivescovo Ricardo Marìa Carles, aveva pubblicato una lettera
pastorale dal titolo “Camminiamo con speranza”, in cui rievocava eventi
significativi accaduti nella Chiesa barcellonese durante gli anni del suo
ministero di pastore, come la celebrazione del Concilio Provinciale Tarraconense.
Il porporato è autore anche del “Piano Pastorale Diocesano”, documento che
partendo dagli scritti di San Giovanni Evangelista e dalla Lettera
Apostolica di Giovanni Paolo II, Novo
millennio ineunte, affronta alcuni problemi e sfide per la diocesi nel
tempo presente, quali il fenomeno dell’immigrazione, le risposte alle nuove
realtà pastorali e sociali, con un invito a “prendere il largo” con fiducia e
speranza nel futuro. Il cardinale Carles presiederà la celebrazione eucaristica
nel Santuario di Nostra Signora della Mercede, patrona di Barcellona.
Concelebreranno lui il nunzio apostolico in Spagna, mons. Manuel Monteiro de
Castro, i vescovi ausiliari, i vicari, i sacerdoti di Barcellona e i religiosi
Mercedari. L’emittente spagnola Radio
Estel trasmetterà in diretta la cerimonia. Numerosi gli appuntamenti
previsti in questo anno Mercè 2003,
iniziativa patrocinata dalla Fondazione Madre di Dio della Mercede e dalle
amministrazioni di Barcellona e della Catalogna allo scopo di risvegliare nei
catalani la devozione alla Madonna della Mercede e l’attenzione agli emarginati
ed ai carcerati.
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COMPLIMENTI ED ELOGI DA PARTE
DELLA CHIESA
E DELLA COMUNITA’ CIVILE VIETNAMITA PER L’IMPEGNO
DELLE SUORE AMANTI DELLA SANTA CROCE
IN FAVORE DELLO SVILUPPO
SOCIALE DELLE DONNE
HANOI.
= L'impegno sociale degli istituti religiosi in Vietnam contro il fenomeno
della disoccupazione: la Congregazione religiosa locale delle Suore Amanti della
Santa Croce organizza da tempo corsi di formazione professionale allo scopo di
aiutare centinaia di giovani ragazze a trovare lavoro nella provincia di Bin
Dinh, a Sud di Hanoi. Alle alunne vengono impartite lezioni di ricamo,
applicato su biancheria, capi di vestiario, e abiti tradizionali. I manufatti,
una volta terminati, vengono venduti ad aziende che commerciano in tessuti e
abbigliamento. A detta degli imprenditori che abitualmente si forniscono del
lavoro artigianale delle ricamatrici di Bin Dinh, i capi realizzati sono di
altissima qualità e vengono eseguiti con puntualità e serietà. Beneficano
dell’opera delle Suore Amanti della Santa Croce anche i negozi cattolici di Ho
Chi Min City, che contattano la Congregazione
per confezionare abiti liturgici come casule, corporali, stole e altri
articoli. Le ragazze di Bin Dinh sono circa 600, tutte di età compresa fra
i 16 e i 17 anni. I piccoli locali
della Cattedrale di Qui Nhon
costituiscono la loro bottega. Numerosi gli elogi e i complimenti da parte
della Chiesa e delle autorità civili del luogo alle religiose, per il
contributo offerto allo sviluppo sociale delle donne. L’impegno delle Suore
Amanti della Santa Croce - Congregazione costituita da 273 suore, 54 aspiranti
e 23 novizie - è focalizzato particolarmente nelle aree rurali del Vietnam,
dove le religiose, oltre ad impartire corsi di ricamo organizzano lezioni scolastiche
di recupero e diversi progetti per lo sviluppo delle donne (P.O.)
PRESENTATA IERI A FIRENZE UNA NUOVA
INIZIATIVA DEL PROGETTO DI ADOZIONE
A DISTANZA “AGATA SMERALDA”: LA COSTRUZIONE DI UNA SCUOLA
IN UN VILLAGGIO AFGHANO NEI PRESSI
DI KABUL
FIRENZE.
= "Per dire no alle guerre e per promuovere la pace è importante gettare
ponti di amicizia e di aiuto. La diffidenza si supera solo se tendiamo la mano,
se apriamo i nostri cuori". Con queste parole Mauro Barsi, presidente del
Progetto di adozione a distanza “Agata Smeralda”, ha presentato ieri
l’iniziativa di costruire una scuola in un villaggio afghano nei pressi di
Kabul. “L’idea di questo progetto - ha spiegato Mauro Barsi - è del padre
barnabita Giuseppe Moretti, cappellano dell’ambasciata italiana nella capitale
dell’Afghanistan. A noi di “Agata Smeralda” è parso importante rispondere
all’appello dei padri Barnabiti, per offrire ai bambini del villaggio di Tangi
Kalai una struttura scolastica che possa anche divenire un luogo di pace”. Per
la realizzazione di questa iniziativa si sono mobilitati anche i 400 soldati
italiani del contingente di pace. "Il Genio militare - ha aggiunto il
presidente di "Agata Smeralda" - ha provveduto alla prima progettazione,
spianando l’area e utilizzandola per il momento come campo di calcio per i
bambini del posto”. La scuola avrà 27 aule e potrà ospitare circa 900 alunni
del villaggio, che oggi conta 3400 persone, di cui un terzo bambini dai 5 agli
11 anni. La linea di "Agata Smeralda", avviata come progetto di
solidarietà in Brasile, è quella di "aiutare i bambini e le bambine, in
tutte le aree del mondo, a crescere liberi nella loro terra, per essere
protagonisti nella storia del loro Paese". Fino ad oggi sono stati
adottati a distanza oltre 8000 bambini, sostenuti dalla generosità dei
fiorentini. Il nome "Agata Smeralda" è quello della prima bambina
abbandonata a Firenze fuori dall’ospedale degli Innocenti, nel lontano 1445.
(A.L.)
“UN SEGNALE TERRIBILE CHE RIPORTA LA SITUAZIONE
INDIETRO DI ANNI”:
QUESTO IL COMMENTO ALLA NOTIZIA
DELL’ESECUZIONE DI UN MONACO TIBETANO
AVVENUTA LO SCORSO 26 GENNAIO
LHASA. = Il 26 gennaio è stata eseguita la condanna a
morte di Lobsang Dhondhup, un monaco tibetano di 28 anni. Lobsang Dhondhup era
stato condannato a morte a dicembre insieme ad un suo correligionario, Tenzin
Delek Rinpoché, con l'accusa di essere implicato in una serie di attentati
avvenuti nella regione del Sichuan tra il 2001 ed il 2002. La condanna di
Tenzin Delek è stata sospesa per due anni. La sentenza era arrivata al termine
di un processo molto lontano dagli standard internazionali di equità e
correttezza. Dal momento dell'arresto, avvenuto in aprile, i due imputati sono
stati costretti a trascorrere lunghi periodi senza poter vedere familiari o
avvocati ed hanno subito pesanti torture e maltrattamenti. Vi è il fondato
timore che i due possano essere stati indicati come colpevoli unicamente a
causa delle loro attività pacifiche e non violente a favore dell'indipendenza
del Tibet. Amnesty International esprime la sua forte preoccupazione per la
sorte di altri cinque monaci arrestati insieme a loro di cui non si è più avuta
notizia. Tre di loro sarebbero stati brutalmente picchiati dalle forze di polizia
prima di essere portati in carcere. “Si tratta di un segnale terribile che
riporta la situazione indietro di anni - ha commentato Paolo Pobbiati,
coordinatore per il Tibet di Amnesty Italia - e che cancella gli importanti
gesti di distensione dei mesi scorsi, tra cui la liberazione di alcuni
prigionieri politici”. Il timore è che le autorità cinesi vogliano estendere
l'utilizzo della pena di morte ad accuse legate ad attività separatiste. “La
Cina - ha aggiunto Paolo Pobbiati - sta portando avanti la sua particolare
lotta contro il terrorismo e la criminalità colpendo senza distinzioni anche
dissidenti ed attivisti che adottano strumenti di lotta non violenti”. “I
tribunali cinesi - ha concluso il coordinatore per il Tibet di Amnesty Italia -
sono sottoposti a forti ingerenze politiche e non danno garanzie, anche minime,
ai diritti degli imputati: i processi sono solamente una ratifica di sentenze
decise in altra sede”. (A.L.)
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29 gennaio 2003
- A cura
di Giancarlo La Vella -
''Ore cruciali'' potrebbero giungere molto presto.
Con queste parole il presidente statunitense Bush ha preparato l'America alla
guerra contro l'Iraq. Tra le perplessità della comunità internazionale, gli
osservatori hanno confermato che il discorso sullo stato dell’Unione,
pronunciato la notte scorsa dal capo della Casa Bianca, possa essere una sorta
di chiamata alle armi. Il servizio da New York:
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Il capo della Casa Bianca ha
iniziato parlando dei problemi economici e di politica interna, a cui ha
dedicato circa i due terzi del discorso durato oltre un’ora. Il finale però lo
ha riservato alla sfida contro il terrorismo e soprattutto alla possibile resa
dei conti con Saddam. Bush ha accusato Baghdad di possedere ancora armi di distruzione
di massa e ha annunciato che il segretario di Stato Powell andrà all’Onu il 5
febbraio per presentare le prove che l’Intelligence americana ha raccolto.
Quindi ha aggiunto che Saddam sta aiutando gli uomini di Al Qaeda, riferendosi
forse ai gruppi islamici che combattono i curdi nel nord dell’Iraq, e ha
sostenuto che questa è una ragione in più per intervenire, allo scopo di
evitare che le armi di distruzione di massa finiscano nelle mani dei terroristi.
Il presidente ha promesso di consultarsi con gli alleati e la comunità internazionale,
ma ha chiarito che il corso scelto dall’America non dipende dalle decisioni di
altri. Quindi, ha concluso che “se la guerra ci verrà imposta combatteremo con
tutta la potenza degli Stati Uniti e vinceremo”.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo
Mastrolilli.
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E la Francia accoglie con grande
favore la decisione degli Stati Uniti di presentare le prove sugli armamenti
proibiti di Saddam Hussein. E nella crisi irachena
interviene direttamente l’Italia, con la decisione del governo di dare il via
libera all’utilizzo per motivi tecnici delle proprie basi agli aerei
statunitensi. Intanto, mentre a Roma è polemica tra maggioranza e opposizione
su questa decisione dell’esecutivo, Silvio Berlusconi si appresta ad una nuova
missione all’estero proprio per discutere di Iraq. Il premier italiano sarà
oggi a Londra, domani a New York e, ai primi di febbraio, a Mosca. E segnali di
pace sulla crisi irachena giungono dall’Europa. L'alto rappresentante per la
politica estera e la sicurezza dell'Unione Europea, Javier Solana, a margine di
una conferenza dedicata ai temi del Medio Oriente a Bruxelles, ha affermato di
essere ancora convinto che la guerra in Iraq si può evitare.
E’ andata al di là del previsto
l’affermazione del Likud alle elezione legislative svoltesi ieri in Israele per
il rinnovo del parlamento, divenendo così il primo partito del Paese. Il
partito della destra, guidato dal premier Ariel Sharon, ha ottenuto la
maggioranza relativa, passando da 16 a 37 seggi sui 120 della Knesset. Pesante
la sconfitta dei laburisti che da 25 passano a 19 eletti. Da sottolineare la
parziale affermazione del partito laico di centro Shinui. Il servizio di Graziano
Motta:
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E’ avvenuto un grande
spostamento dell’elettorato. A rendere più evidente quello della sinistra verso
il centro, c’è la disfatta del partito radicale e pacifista Meretz, che ha
perso quattro seggi, attestandosi a sei; e poi si è verificato lo spostamento
dal centro verso la destra nazionalista del Likud e verso lo Shinui. Qui hanno
trovato casa i voti di chi ha reagito ai casi di corruzione politica e
all’invadenza dei partiti confessionali. Gli elettori hanno indicato anche alla
comunità internazionale, ed europea in particolare, che non credono più né ad
Arafat come interlocutore per la pace, né all’alternativa di sinistra. “Ci è
costata cara dopo gli accordi di Oslo”, sono le parole del presidente del Likud
internazionale, confermate dalla parlamentare laburista, l’ambasciatore Colette
Avital. “Forse - ha detto - dobbiamo ringraziare per la seconda volta i
palestinesi”. La prima volta fu per la elezione diretta di Sharon a primo ministro,
due anni fa, dopo lo scoppio dell’Intifada. E Sharon ha detto stanotte,
ricordando la lotta in corso e la rivolta palestinese: “Non è l’ora delle
feste, ma della riunione, dell’unità delle forze. Chiedo a tutti i partiti
sionisti di formare insieme un governo di unità nazionale. Sarebbe grave che
considerazioni squisitamente politiche – sono quelle rappresentate dal leader
laburista Amran Mitzna – lo impedissero”.
Da Gerusalemme,
per Radio Vaticana, Graziano Motta.
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E quella di ieri è stata
un’altra giornata di violenza nei Territori con morti e feriti. Oggi il gruppo
estremista di Hamas ha annunciato che i palestinesi intensificheranno la
resistenza armata in relazione all'aumento della politica aggressiva della destra
israeliana, uscita vincente dalle elezioni. Intanto, le autorità militari
israeliane hanno revocato stamani la chiusura totale dei Territori palestinesi
imposta tre giorni fa per evitare attentati durante le consultazioni.
A causa dell’aggravarsi degli scontri, la Francia è
pronta ad evacuare i suoi cittadini dalla Costa d'Avorio in qualunque momento.
Lo ha affermato oggi il ministro degli esteri francese Dominique de Villepin.
Anche se il governo di Parigi non parla ancora di situazione allarmante, le
aziende francesi che lavorano nel Paese africano hanno annunciato che nelle
prossime ore verranno rimpatriate circa 250 persone. Intanto, per far fronte
alla crisi si parla di inviare osservatori militari e civili in Costa d’Avorio.
E’ questa la proposta lanciata ieri dal segretario generale dell’Onu, Kofi
Annan, allarmato dal proseguire della crisi, anche dopo l’accordo di pace
siglato la scorsa settimana a Parigi tra governo del presidente ivoriano Gbagbo
e ribelli. Ad Abidjan, infatti, si susseguono con violenza le proteste, nelle
quali si registrano preoccupanti scontri tra gruppi cristiani e musulmani. Ma
qual è la situazione nel Paese? Roberto Piermarini lo ha chiesto a padre José Maria
Timoneda, da sette anni missionario in Costa d’Avorio, che si trova ad Abidjan:
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D. – Qual è la situazione in
questo momento in Costa d’Avorio?
R. – EN ABIDJAN HAY UN
SENTIMIENTO …
Ad Abidjan c’è un sentimento
antifrancese che porta ad attaccare tutto quello che appare elemento culturale
europeo o “bianco”. Molti negozi o luoghi legati agli interessi francesi, come
l’Air France, sono stati distrutti. All’interno del Paese, nella zona che non è
controllata dai ribelli, non c’è nessun problema, solo che manca il cibo. In
questa zona esiste la sensazione che la riunione di Parigi non sia stata quello
che tutti speravano. Soprattutto i vertici militari non accettano che ai
ribelli, che finora erano stati nemici, siano stati assegnati il ministero
degli Interni e quello della Difesa, e che i due ministri che controlleranno
l’esercito e le forze dell’ordine, saranno proprio dei ribelli.
D. – Padre Timoneda c’è un
rischio di un golpe militare?
R. – NO SE’. LOS MILITARES NO
ESTAN CONTENTOS …
Non lo so. Certo è che i
militari non sono contenti ... Il presidente Gbagbo ha firmato quello che è
stato deciso a Parigi, ma adesso sembra tirarsi indietro dicendo che si tratta
di proposte che egli non ha accettato.
D. – Padre Timoneda c’è un
rischio in Costa d’Avorio di una guerra di religione tra cristiani e musulmani?
R. – NO CREO DE RELIGIONES …
Non credo di religione, ma tra
nord e sud. E tra nord e sud vuol dire anche tra cristiani e musulmani. Quindi
non è legata alla questione religiosa, quanto piuttosto alla questione etnica e
della divisione nord e sud.
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Sono attesi per domani a Caracas
i vice ministri degli esteri di Stati Uniti, Brasile, Cile, Messico, Spagna e
Portogallo per trovare con governo e opposizione una via d'uscita alla crisi
venezuelana. I vice ministri parteciperanno anche alle trattative con la
mediazione del segretario generale dell'Organizzazione degli stati americani
Cesar Gaviria. Intanto è stata prolungata di una settimana la sospensione del
mercato dei cambi.
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