RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 17 - Testo della Trasmissione di venerdì 17 gennaio  2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La viva gratitudine del Papa ai funzionari e agli agenti dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano, nella tradizionale udienza per il nuovo anno.

 

Le distinzioni tra pluralismo politico e relativismo etico, tra laicità e laicismo, nella “Nota” pubblicata ieri dalla Congregazione per la Dottrina della Fede: con noi, il prefetto del dicastero, cardinale Joseph Ratzinger.

 

Il fenomeno delle sette in America Latina, esaminato in una riunione in Vaticano: ce ne parla l’arcivescovo Michael Fitzgerald.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Concluso ieri a Gerusalemme il 3° Incontro internazionale di vescovi sulla situazione dei cristiani in Terra Santa: ai nostri microfoni, il patriarca latino mons. Michel Sabbah.

 

Si celebra oggi in Italia la Giornata annuale per il dialogo tra cattolici ed ebrei: intervista con mons. Giuseppe Chiaretti.

 

In un Rapporto dell’Onu, la difficile sfida per integrare gli zingari nella nuova Europa.

 

I 90 anni di “Padre Lardo”, benemerito fondatore di “Aiuto alla Chiesa che soffre”: con noi il religioso olandese e Attilio Tamburini.

 

“No a una guerra ‘preventiva’ contro l’Iraq”: editoriale della “Civiltà Cattolica”.

 

CHIESA E SOCIETA’:

In Malawi e Mozambico, isolate dalle alluvioni intere province già provate dall’emergenza fame.

 

In concomitanza con l’Incontro mondiale delle famiglie previsto alla fine di gennaio a Manila, si moltiplicano nel mondo le iniziative dedicate alla famiglia.

 

Il governo della Repubblica Democratica del Congo ha chiesto ufficialmente all’Onu la creazione di un tribunale penale internazionale per giudicare i crimini e le violazioni dei diritti umani perpetrati nel nord-est del Paese.

 

La Chiesa cattolica in Corea del Sud, piccola minoranza ma luogo di qualità per la formazione della classe dirigente.

 

La guerra civile in Nepal ha causato, dal 1996 ad oggi, la morte di 150 bambini e 2 mila orfani.

 

Il servizio di accoglienza e assistenza per i profughi e i rifugiati della Compagnia di Gesù mette in guardia l’Unione Europea sui rischi di un eccessivo irrigidimento delle misure per contenere l’immigrazione nel continente.

 

24 ORE NEL MONDO:

Iraq, gli ispettori tornano a chiedere nuovo tempo. Ma gli Usa annunciano: presto nuove prove contro Saddam.

 

L’inviato russo a Pechino per tentare una mediazione nella crisi nordcoreana.

 

Nuovo attentato delle Farc a Medellín: quattro le vittime.

 

A Parigi il terzo giorno di negoziati per la Costa d’Avorio. Presente ai colloqui la Comunità di Sant’Egidio.

 

Stanno bene i missionari bloccati nel nord del Centrafrica: 25 di loro sono ora in Ciad.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

17 gennaio 2003

 

 

LA VICINANZA ALLE TOMBE DEGLI APOSTOLI E IL CONTATTO CON I PELLEGRINI

SIA DI STIMOLO PER APPROFONDIRE LA VOSTRA FEDE:

COSI’, GIOVANNI PAOLO II NEL SALUTO DI INIZIO ANNO AI FUNZIONARI

E AGLI AGENTI DELL’ISPETTORATO

 DI PUBBLICA SICUREZZA PRESSO IL VATICANO

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

Il contatto quotidiano con le folle di pellegrini “vi sia di stimolo ad approfondire sempre più la vostra fede”: è l’esortazione che Giovanni Paolo II ha rivolto ai funzionari ed agenti dell’Ispettorato di pubblica sicurezza presso il Vaticano, ricevuti stamani nella Sala Clementina per i tradizionali auguri di inizio anno. La “vicinanza alle tombe degli Apostoli”, ha proseguito il Pontefice, possa essere un “incessante richiamo a condurre una vita esemplare, ispirata alla piena adesione a Cristo”. Ed ha così messo in rilievo che la “fedeltà alle proprie convinzioni religiose e morali, e la coerente applicazione dei principi evangelici costituiscono una sorgente di vera pace ed intima gioia”.

 

Il Santo Padre ha quindi espresso viva gratitudine agli uomini dell’Ispettorato per il servizio svolto sempre con “premura e sollecitudine”. Compito “importante e non facile”, ha rilevato, giacché richiede un “alto senso di responsabilità e una costante dedizione al proprio dovere”. Una “fedele vigilanza”, ha detto ancora, che non si esaurisce nelle adiacenze del Vaticano, ma accompagna il Papa nelle visite pastorali a Roma e nel resto dell’Italia. Un pensiero speciale è stato, infine, rivolto dal Pontefice al dottor Salvatore Festa che, proprio in questi giorni, ha assunto il compito di dirigente generale dell’Ispettorato di pubblica sicurezza.

 

 

ALTRE UDIENZE E PROVVISTA DI CHIESA IN CILE

 

Proseguendo gli incontri con i vescovi del Brasile in visita “ad Limina”, il Papa ha ricevuto altri sette presuli del Paese, che è il più popoloso dell’America Latina, con oltre 172 milioni di abitanti.

 

In Cile, il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Linares, presentata dal vescovo mons. Carlos Marcio Camus Larenas, per raggiunti limiti di età. Alla guida della stessa diocesi cilena, il Santo Padre ha nominato il vescovo mons. Tomislav Koljatic Maroevic, finora ausiliare di Concepciòn.

 

 

LA DISTINZIONE TRA PLURALISMO E RELATIVISMO, TEMA CHIAVE

DELLA “NOTA DOTTRINALE” SULL’IMPEGNO DEI CATTOLICI IN POLITICA,

PUBBLICATA IERI DALLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

- Con noi, il cardinale Joseph Ratzinger -

 

Un “vademecum” per i cattolici impegnati nella politica di fronte al pericoloso emergere di “orientamenti ambigui” e “posizioni discutibili” nella società contemporanea. Questo l’obiettivo primario della Nota dottrinale sul comportamento dei fedeli chiamati alla partecipazione della vita pubblica. Un documento, pubblicato ieri dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, con l’intento di richiamare alcuni principi propri della coscienza cristiana che ispirano l’impegno sociale e politico dei cattolici nelle società democratiche. Esigenza ancor più sentita oggi con la dispersione dei politici cattolici in più partiti, a volte profondamente diversi tra loro per storia e programmi. Tema centrale della Nota - articolata in quattro capitoli - la distinzione tra pluralismo e relativismo come spiega il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Joseph Ratzinger, al microfono di Stefan Kempis:

 

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R. - Nel documento distinguiamo soprattutto tra pluralismo e relativismo. Il pluralismo in politica è una cosa naturale, ovvia perché per tante questioni politiche non c’è una risposta già fatta, già evidente, ma ci sono diverse possibilità di reagire alle diverse sfide della situazione attuale. Quindi il pluralismo è una cosa normale in politica. Il relativismo invece afferma che non c’è nessuna verità etica e morale obbligatoria, vincolante per la coscienza del cristiano. Se ci incamminiamo su questa strada pensando che il pluralismo sia la stessa cosa che il relativismo perdiamo proprio i fondamenti dell’umanità e anche i fondamenti della democrazia che è basata sul consenso di un minimo di etica quale condizione per la verità, per l’umanità e per la condizione democratica. In questo senso distinguiamo anche tra laicità e laicismo. Laicità vuol dire la giusta autonomia dello Stato, della sfera politica. Non spetta alla gerarchia della Chiesa indicare ai politici che cosa fare. Sono i laici, con la loro coscienza illuminata, che hanno la responsabilità di trovare la strade giusta. Ecco, decisiva è la ragione giusta, pratica che si orienta ai grandi valori determinanti per l’essere umano. Il laicismo, invece, è un’idea per la quale i contenuti morali della fede cristiana non dovrebbero entrare in politica, sarebbero da escludere e si creerebbero due mondi che non si possono toccare. Invece i grandi valori etici, messi in luce dalla fede cristiana, sono d’orientamento anche in politica e questo orientamento vincolante per una coscienza illuminata non toglie niente alla libertà del politico. Al contrario, osservare i fondamenti dell’umanesimo è anche difendere la libertà umana.

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IL FENOMENO DELLE SETTE IN AMERICA LATINA

AL CENTRO DI UNA RIUNIONE  INTERDICASTERIALE IN VATICANO.

CON NOI, L’ARCIVESCOVO MICHAEL FITZGERALD

- Servizio di Giovanni Peduto -

 

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Il proliferare delle sette preoccupa molto la Chiesa; questo fenomeno si verifica soprattutto in America Latina. A tal riguardo si è svolto in questi giorni a Roma un incontro con diversi vescovi del Celam, Consiglio episcopale latinoamericano, rappresentanti del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Lo scopo è stato di mettere a punto una strategia in vista della riunione plenaria della Pontificia Commissione per l’America Latina che il prossimo aprile si dovrà occupare appunto del fenomeno delle sette in America Latina. Con noi ora l’arcivescovo Michael Fitzgerald, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, che ha partecipato all’incontro:

 

D. – Eccellenza, anzitutto cos’è una setta e come si spiega il fenomeno delle sette?

 

R. – Direi che quando parliamo di sette vogliamo parlare di gruppi piuttosto cristiani ma che sono di una tendenza aggressiva contro la Chiesa cattolica, non c’è un rapporto pacifico e talvolta con una tendenza ad utilizzare metodi, forse, che non sono giusti nell’aumentare il loro numero. Dunque, la preoccupazione di questa riunione era cercare di discernere le cause interne alla Chiesa, alcune debolezze della Chiesa, forse la mancanza di partecipazione del laicato nella vera vita della Chiesa, ma anche cause esterne: si parla di un cambiamento di epoca, una nuova era, in un certo senso, con i fattori economici, fattori di migrazione interna, le persone che vengono dalle zone rurali alle città: nel loro villaggio sapevano dove era la chiesa, tutto era nella comunità rurale, comunità pastorale. Vengono nella massa della gente in città, non sanno dove andare, trovano chiese, chiesette di gruppi cristiani che sono lì e allora vanno facilmente in queste chiese, dove sono accolti e lasciano la Chiesa cattolica.

 

D. – Come mai questo fenomeno è presente particolarmente in America Latina?

 

R. – E’ presente anche in altre parti del mondo, ma forse in America Latina c’è stata un’evangelizzazione assai rapida che ha coinvolto tutta la popolazione, ma la crescita in qualità della Chiesa non ha seguito quella numerica. Dunque, ci sono delle debolezze della Chiesa, lì: mancanza di sacerdoti e di pastori che possano aiutare le persone. Abbiamo anche detto la necessità di una profonda esperienza di Cristo, e forse questo manca. Ci sono diversi aspetti, credo, che spiegano perché in America Latina c’è un aumento del numero delle diverse Chiese e comunità e anche movimenti settari. Si vede più lì perché, come ho detto, era un continente massicciamente cattolico, invece adesso comincia un pluralismo religioso e questo nuovo fenomeno è un fenomeno che esiste in altri continenti: in Europa siamo più abituati a questo fenomeno del pluralismo religioso, almeno in Gran Bretagna, in Francia, in Germania, in Olanda, eccetera. Forse meno in Italia, però anche lì, in Italia, ci sono adesso diverse comunità e credo che sia una sfida per la Chiesa universale.

 

D. – E’ possibile un approccio dialogico con le sette?

 

R. – Credo che si possa attuare un approccio dialogico ad ogni persona. Si deve capire perché le persone lasciano la Chiesa cattolica e vanno altrove, qual è la loro aspirazione, cosa cercano e accompagnare queste persone. Dunque, con una grande misericordia. Non è la stessa cosa che un dialogo formale, strutturale tra la Chiesa cattolica che si impegna come Chiesa e gruppi che sono opposti alla Chiesa. Ma anche all’interno, per esempio, del Movimento pentecostale ci sono dei pentecostali che sono in dialogo con la Chiesa cattolica - ci ha ricordato questo il cardinale Kasper - e interessati a scoprire il senso della Chiesa. Il cardinale Kasper ha parlato dell’ecumenismo come di uno scambio di doni: noi abbiamo qualcosa da imparare da queste persone, ma loro anche hanno qualcosa da imparare da noi. E questo dialogo, questa ricerca insieme può anche far sì che siamo più vicini gli uni agli altri.

 

D. – Eccellenza, è possibile quantificare il problema delle sette?

 

R. – Questo non è possibile. Abbiamo taluni dati statistici per ogni Paese dell’America Latina e c’è una grande varietà, ma anche le statistiche sono molto variabili perché come si può calcolare ad esempio quanti pentecostali ci sono? Noi cattolici sappiamo quanti battesimi facciamo, ma io non credo che loro registrino ogni persona che aderisce al loro gruppo. E poi, ci sono delle persone che hanno – purtroppo – una doppia appartenenza: sono ancora cattolici ma vanno anche altrove. Dunque, io credo che la quantificazione non aiuta tanto.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

La prima pagina si apre con la situazione in Iraq: scoperte dagli ispettori dodici testate chimiche vuote.

Sempre in prima, un articolo di Enzo Bianchi dal titolo: “La valenza universale della preghiera del Rosario” .

 

Nelle pagine vaticane, nel discorso all'Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano, il Papa ha espresso il suo profondo ringraziamento per la “disponibilità” e per la “fedele vigilanza”.

Una riflessione del vescovo Rino Fisichella sulla Nota dottrinale della Congregazione per la dottrina della fede.

"Il presbitero, pastore e guida della comunità parrocchiale", è il titolo della riflessione di Giovanni Carrù sul Documento della Congregazione per il clero.

La prefazione del cardinale Dionigi Tettamanzi al volume di Carlo Cremona dedicato alla venerabile Celestina Donati.

Un contributo di Eleuterio Fortino sull'Ottavario di preghiera per l'unità dei cristiani.

 

Nelle pagine estere, un articolo di Marco Impagliazzo sul discorso di Giovanni Paolo II al Corpo Diplomatico. Il titolo all'articolo è: "La vera questione: non lasciare solo il mondo che soffre per le guerre".

Medio Oriente: demolite nei Territori case di presunti terroristi palestinesi.

Repubblica Centroafricana: hanno raggiunto il Ciad 25 dei 33 religiosi che erano bloccati, da alcune settimane, nel villaggio di Gofo.

 

Nella pagina culturale, un contributo di Sergio Pagano dal titolo: "Cinque secoli di nobiltà romana": uno studio di Nicola La Marca.

 

Nelle pagine italiane, la questione legata all'Art.18. La situazione della Fiat. Il dibattito sull'indulto.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

17 gennaio 2003

 

 

CONCLUSO IERI A GERUSALEMME IL 3° INCONTRO INTERNAZIONALE DEI VESCOVI

 SULLA SITUAZIONE DEI CRISTIANI IN TERRA SANTA

- Intervista con mons. Michel Sabbah -

 

La drammatica situazione mediorientale e i riflessi negativi che essa ha anche sui cristiani che vivono in Terra Santa sono stati al centro del 3° Incontro Internazionale dei vescovi che si è concluso ieri a Gerusalemme. Vi hanno partecipato presuli europei e nordamericani. L’evento è stato ospitato dal patriarcato dei latini di Gerusalemme ed ha evidenziato la necessità per le Chiese di operare sul tessuto sociale nel segno della riconciliazione e della fratellanza. Lo conferma al microfono di Giancarlo La Vella il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Michel Sabbah:

 

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R. – Tutto quello che succede in Terra Santa interessa tutte le Chiese, perché è la terra delle radici di tutte le Chiese. Quindi, il conflitto che stiamo vivendo adesso tra israeliani e palestinesi dovrebbe portare le Chiese a dare un appoggio che aiuti la riconciliazione. Non portare appoggio ad una parte piuttosto che all’altra, ma secondo il ruolo della Chiesa, portare la riconciliazione, che Gesù Cristo ha portato a tutta l’umanità. C’è poi l’interessamento alle condizioni umane attuali della comunità cristiana, per aiutarla a sopravvivere a questi momenti difficili.

 

D. – Si parla di un esodo della comunità cristiana in Terra Santa. Stanno andando via numerose persone, circa 2 mila, dalle ultime notizie …

 

R. – Questa cifra è piccola. Non solo i cristiani, ma tutti partono: i musulmani e gli israeliani stessi. Tutti vogliono stare lontani da questa situazione di instabilità politica e militare, avere una vita più pacifica altrove. Malgrado questo, noi diciamo che alcuni cristiani partono, ma altri rimangono.

 

D. – Mons. Sabbah, nell’incontro dei vescovi a Gerusalemme si è parlato della difficoltà, spesso impossibilità, per i cristiani di accedere ai luoghi santi?

 

R. – L’accesso ai luoghi santi è consentito al mondo intero, ma non è consentito ai cristiani palestinesi che vivono sotto assedio. Adesso poi c’è questo problema dei visti per i sacerdoti e i religiosi residenti nel Paese, che non vengono rinnovati già da mesi. Un altro rifiuto, dunque, dell’accesso libero per i cristiani ai luoghi santi. Non si sa il perché di queste difficoltà immesse nella vita cristiana, nella libertà d’accesso ai luoghi  santi o di residenza nei luoghi santi. La missione dei vescovi del mondo è quella di dare speranza in questi momenti difficili in cui manca. E’ questa la loro missione: aiutare la riconciliazione.

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TRA CATTOLICI ED EBREI, UN DIALOGO DA COLTIVARE

- Intervista con mons. Giuseppe Chiaretti -

 

Oggi si celebra in Italia la XIV Giornata per il dialogo tra cattolici ed ebrei che ha come tema: “Mosè parlava con Dio e tutto il popolo ne fu testimone”. Oltre ai numerosi incontri previsti, questa giornata si presenta come l’occasione per un pacifico confronto tra diverse religioni e per riscoprire i punti comuni tra le due fedi. Ma a che punto si trova il dialogo tra cristiani ed ebrei? Marina Tomarro lo ha chiesto a mons. Giuseppe Chiaretti, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo:

 

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R. – Il dialogo per certi aspetti è un po’ stagnante, nel senso che non ci sono particolari iniziative di dialogo tra l’una e l’altra realtà. Questo però non significa che sia stagnante l’affetto. Gli ebrei ci sono cari per ragioni ovvie, quindi non possiamo non avere attenzione verso la loro situazione di sofferenza. Tuttavia, desidereremmo che fossero superate tante situazioni difficili, tanti ostacoli.

 

D. – Amos Luzzatto pensa che il dialogo dovrebbe procedere più velocemente. Lei cosa risponde a  proposito di questa dichiarazione?

 

R. – Sono d’accordo che ci sia questa esigenza. Sarebbe di vantaggio per ambedue le parti. Purtroppo, in questo momento c’è come un grande peso che ci schiaccia, il peso di ciò che sta avvenendo lì, nel territorio d’Israele. Ci sentiamo tutti abbastanza umiliati. Desideriamo la pace, ma non siamo in grado di procedere effettivamente sulla via della pace. Cosa poter fare? Rispondiamo con la strategia della preghiera, intanto, ma vorremmo poter parlare con maggiore efficacia alle due parti. In questo vediamo come ci troviamo inadeguati, perché anche tra i cristiani ci sono modalità diverse di attenzione. Quindi, ci sarebbe bisogno di trovare un comune modo di sentire e di intervenire. Questo è anche un nostro limite come cristiani.

 

D. – Quali sono le speranze che lei ripone nel futuro?

 

R. – Le speranze sono grandi, nel senso che all’interno della vita ecclesiale continua il dialogo con il mondo ebraico. Verso quali orizzonti? Verso una migliore conoscenza  degli uni e degli altri. Noi abbiamo bisogno degli ebrei per conoscere da loro il senso di tante espressioni che anch’essi hanno coltivato, perchè sono nostri maestri. Dobbiamo riscoprirli, prenderne coscienza, guardarci con occhi non più di antica rivalità, ma guardarci con occhio di fraternità recuperata, in maniera da trovare le confluenze.

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I NOVANT’ANNI DI PADRE WERENFRIED VAN STRAATEN,

MEGLIO NOTO COME PADRE LARDO, ISPIRATORE DELL’OPERA

 “AIUTO ALLA CHIESA CHE SOFFRE”.

CON NOI, IL RELIGIOSO OLANDESE E ATTILIO TAMBURRINI

- Servizio di Paolo Ondarza -

 

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Ricorre oggi, 17 gennaio, il 90.mo compleanno di padre  Werenfried van Straaten, il fondatore dell’Opera “Aiuto alla Chiesa che soffre”, meglio conosciuto come padre Lardo. Tale appellativo nacque dalla dedizione del religioso per i rifugiati tedeschi in Belgio a cui egli era solito distribuire il lardo raccolto nelle case dei contadini. Entrato a 21 anni nell’Abbazia premostratense di Tongerlo in Belgio, Werenfried van Straaten divenne responsabile dell’edizione del periodico monastico Toren sul quale nel 1947 scrisse un articolo dal titolo “Pace in terra? Non c’è posto nella locanda”. Nello scritto il religioso sollecitava aiuti per i 14 milioni di tedeschi espulsi dall’Est, tra i quali sei milioni di cattolici. La risposta superò tutte le attese e segnò l’inizio dell’attività dell’Opera di diritto pontificio “Aiuto alla Chiesa che Soffre”. Ascoltiamo in proposito l’Augurio a padre Lardo da parte di Attilio Tamburrini, presidente dell’organizzazione in Italia.

 

 

“Che lo spirito che lui ha dato all’Opera, continui ad essere presente, quando padre Werenfried sarà chiamato al riposo. Ognuno di noi ha l’esigenza di riposarsi, ma ci sono alcune persone che assecondano questo desiderio solo quando vengono chiamate in cielo. Padre Lardo è una di queste. Che lo spirito che lui ha voluto dare all’opera, caratterizzata dalla fedeltà al Santo Padre ed alla Chiesa, rimanga vivo nell’Opera. Che lo spirito del fondatore impregni l’Opera anche quando lui non ci sarà più. Questo credo sia l’augurio che lui apprezzi di più”.

 

Nel 1952 padre Lardo iniziò l’attività a favore della Chiesa perseguitata nei Paesi della “cortina di ferro”. Partecipò poi  come “peritus” al  Concilio Vaticano II dove conobbe molti vescovi di Paesi sotto regimi comunisti, aiutati direttamente o indirettamente dalla sua Opera. Dopo la caduta del totalitarismo nell’est Europa, “Aiuto alla Chiesa che soffre” si è dedicata all’impegno ecumenico per la riconciliazione e l’unità tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa. Ecco come padre Werenfried commenta i suoi 90 anni.

 

“Dalla mia ormai lunga vita, vorrei dirvi che ho constatato quanto è vero il Vangelo. Il Signore non mi ha mai piantato in asso, perché mi ha sempre aiutato, mi ha dato sempre quello che Gli chiedevo, per la Chiesa che soffre. Ecco da dove viene la mia sconfinata fiducia in Lui”. 

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“EVITARE LA TRAPPOLA DELLA DIPENDENZA”:

LA SFIDA PER INTEGRARE GLI ZINGARI IN EUROPA

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

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I Rom nell’Europa centrale ed orientale: almeno 4 forse 5 milioni di persone che vivono in condizioni di estrema miseria cronica in Ungheria, Slovacchia, Repubblica ceca, Bulgaria e Romania. A questa popolazione nomade  mai integrata nei sistemi sociali dei Paesi in cui abitano è dedicato uno speciale rapporto dell’Undp il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo. L’integrazione delle minoranze - in particolare dei Rom, che è la principale minoranza etnica della regione - è una condizione essenziale perché questi Stati entrino a pieno titolo e con successo nell’Europa unita.

 

Ma l’impresa non sarà facile se al momento gli zingari sono i più poveri tra i poveri in questi cinque Paesi, e se le loro condizioni di vita sono simili a quelle dell’Africa subsahariana: denutrizione, precarie condizioni sanitarie ed igieniche, scarsi servizi di base, analfabetismo o bassissima scolarizzazione , disoccupazione - solo il 25 per cento percepisce un salario, mentre fino al 70 per cento in alcune zone sopravvive con i sussidi dello Stato. Ma non è una povertà assimilabile a quella dei Paesi a più basso reddito: ci sono molti Rom che soffrono la fame, cui manca l’acqua corrente ed il bagno interno ma dispongono quasi tutti di Tv, parabole e molti altri elettrodomestici. 

 

Che fare? Non c’è tempo da perdere suggerisce l’Undp, bisogna cambiare l’approccio al problema, se è vero che finanziamenti per integrare i Rom negli ultimi anni ci sono stati ma l’obiettivo non è stato centrato: non si registrano infatti miglioramenti degni di nota a seguito di tali progetti. Un dato per capire: l’80 per cento dei Rom dichiara di non sapere nulla di politiche a loro favore. Allora due sono le parole chiave da cancellare per cambiare una realtà così radicata di emarginazione dei Rom: ‘dipendenza’ economica ed ‘isolamento’ sociale. L’Undp propone di ripartire su tre direttive di impegno da parte degli Stati e delle organizzazioni non governative: l’inserimento scolastico dei bambini Rom, nelle scuole normali e non differenziate, la formazione professionale e l’offerta di lavoro soprattutto per i giovani nomadi e la rappresentanza politica. Solo applicando queste strategie sarà forse possibile vincere una sfida tanto difficile che attende un’Europa civile e democratica per integrare i Rom, pure rispettandone l’identità etnica.

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NON ESISTONO GIUSTIFICAZIONI GIURIDICHE E MORALI PER UNA GUERRA PREVENTIVA DEGLI USA CONTRO L’IRAQ,

 MA SOLO CONSEGUENZE DISASTROSE PER IL MEDIO ORIENTE E L’OCCIDENTE.

A SOSTENERLO, L’EDITORIALE DEL PROSSIMO NUMERO DI CIVILTA’ CATTOLICA

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

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La “guerra preventiva” che gli Stati Uniti vorrebbero lanciare contro l’Iraq non ha un riconoscimento giuridico né una giustificazione morale. E non porterebbe ala vittoria della pace, ma ad uno stato di tensione generale del Medio Oriente e a nuovi rigurgiti del terrorismo. Sono queste le considerazioni di fondo enunciate nell’editoriale del prossimo numero della “Civiltà Cattolica”.

 

I primi sostenitori della guerra preventiva (pre-emptive war) contro lo Stato mediorientale e il suo leader, Saddam Hussein - rammenta inizialmente l’articolo - sono da sempre gli Stati Uniti. Il presidente Bush non ha mai smesso di definire il capo di Stato iracheno un dittatore e “un pericolo” per la stessa America e per l’umanità. I motivi sono noti e la Civiltà Cattolica li enumera: l’Iraq disporrebbe di armi di distruzione di massa, sia chimiche sia biologiche, starebbe lavorando per produrre armi atomiche, possiede missili in grado di colpire Israele, appoggerebbe il terrorismo internazionale. Ma nonostante vi siano altri Stati, come la Corea del Nord, a costituire una minaccia per la sicurezza mondiale, perché - si domanda la Civiltà Cattolica - Saddam Hussein “è tanto pericoloso da dover essere abbattuto con una guerra preventiva”?

 

Il motivo principale, da sempre addotto dagli Usa, è dato dal rifiuto del leader iracheno di far conoscere agli ispettori dell’Onu gli arsenali segreti del suo Paese, nonché di distruggere le armi possedute, secondo le clausole di disarmo impostegli dalle Nazioni Unite all’indomani della Guerra del Golfo del ‘91. Ma un motivo, rileva l’editoriale, “che a molti sembra debole”. Debole perché le risoluzioni dell’Onu sono state violate già 91 volte, 59 delle quali da Stati alleati degli Usa, come Israele e la Turchia. Debole perché non si ha hanno “prove certe e documentate” sulla consistenza della armi di distruzione di massa irachene e sulla capacità di essere usate. Debole, ancora, perché - riconosce l’articolo - “non ci sono prove sicure che l’Iraq abbia addestrato terroristi e ne abbia appoggiato gli attentati”.

 

Emerge, allora, un motivo di tipo geopolitico, dato dalla posizione dell’Iraq, a giustificare il ricorso alla guerra preventiva. Con i suoi circa 3 milioni di barili al giorno, e le sue riserve accertate di 112 miliardi di barili, l’Iraq è uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo, nonché ricchissimo di gas naturale. Sorge, quindi, su “un’area vitale per l’economia degli Stati Uniti”. Allo stesso tempo, l’Arabia Saudita, primo produttore e fornitore in assoluto, sta diventando un Paese a rischio: sia per le forti correnti antioccidentali che ispirano una parte della sua classe dirigente, sia per la probabile incapacità di rispondere all’enorme incremento di produzione di greggio che gli Usa hanno stimato necessario per il loro fabbisogno del prossimo futuro. L’Iraq, che in 5 anni potrebbe raddoppiare la sua attuale produzione, diviene così una valida compensazione all’Arabia Saudita. Di qui, si legge nell’editoriale, “la necessità per gli Stati Uniti di avere un accesso sicuro” alle sue riserve.

 

Alla luce di queste considerazioni di carattere pragmatico, Civiltà Cattolica porta la riflessione sul piano più elevato della riflessione giuridica e morale che sarebbe alla base di un’eventuale guerra preventiva. Il Diritto internazionale, come si evince dalla Carta delle Nazioni Unite, “non prevede, anzi esclude” la guerra preventiva. Il ricorso alla armi può essere solo di tipo difensivo. Per quanto riguarda l’Iraq, l’editoriale riconosce l’inesistenza “di un attacco militare in atto contro gli Stati Uniti”. “Né è plausibile - prosegue - la minaccia di un attacco militare imminente contro di essi”. Definisce inoltre “molto pericoloso” il ragionamento secondo il quale l’Iraq, con i suoi armamenti, potrebbe divenire nel tempo una minaccia per il mondo: una minaccia, cioè, da “prevenire” ora. Questo modo di procedere, scrive la Civiltà Cattolica, “aprirebbe la via a guerre senza fine”. Molte zone del mondo, come ad esempio il Kashmir, esploderebbero se si affermasse il principio per cui chi si sente minacciato attacca per primo. Sotto il profilo etico, poi, la “guerra preventiva, come ogni altra guerra, è sempre moralmente condannabile”, ad eccezione di quella di difesa.

 

Dopo aver citato la lettera dei vescovi statunitensi al presidente Bush - nella quale si dichiara “difficilmente giustificabile in questo momento” il ricorso alla guerra preventiva, giacché i criteri della “guerra giusta” non sarebbero fatti salvi - l’editoriale chiude con una ferma presa di posizione: si tratta, si legge, “di guardare le cose nella loro cruda realtà. E la cruda realtà è che una guerra in Iraq non si farebbe per le ragioni che si adducono”, ma “anche per motivi di ordine politico ed economico”. Ed è cruda realtà è anche il fatto che un simile conflitto, scatenato contro difese militari dislocate nelle grandi città irachene, finirebbe per provocare “un gran numero di vittime civili”. Inoltre non vincerebbe la pace, ma la destabilizzazione di tutto il Medio Oriente arabo e islamico, con il terrorismo che riceverebbe “linfa nuova”. “E’ così evidente - termina l’articolo – che il terrorismo non si combatte con la guerra, ma con altri mezzi, quali i servizi d’intelligence e la diplomazia”.

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CHIESA E SOCIETA’

17 gennaio 2003

 

 

LE ALLUVIONI CHE HANNO COLPITO IN QUESTI GIORNI IL MALAWI E IL MOZAMBICO,

HANNO ISOLATO INTERE PROVINCE DEI DUE PAESI

GIA’ DURAMENTE MINACCIATI DALL’EMERGENZA FAME

 

LILONGWE. = Secondo gli ultimi dati forniti dalle autorità del Malawi, 300 mila persone sono rimaste senza casa in seguito agli smottamenti del terreno provocati dalle intense piogge cadute in questi giorni sul Paese. Il responsabile delle operazioni di soccorso del governo, James Chiusiwa, ha dichiarato che la situazione in cui versa la popolazione dei distretti colpiti dal maltempo è drammatica e costringe migliaia di civili ad una lotta per la sopravvivenza. Il sovraffollamento delle strutture di assistenza sta facendo crescere tra le autorità sanitarie del Paese africano il timore che le malattie infettive possano propagarsi con grande rapidità tra gli sfollati. Intanto nel vicino Mozambico le stesse piogge hanno letteralmente spazzato via almeno 4 mila abitazioni. Secondo il governo di Maputo al momento sarebbero circa 100 mila le persone rimaste senza un tetto. Il maltempo ha anche distrutto numerosi impianti per la fornitura elettrica in molti distretti del nord del Paese. Il governo del Mozambico ha già  chiesto alla comunità internazionale aiuti per circa 500 milioni di dollari. Al grave isolamento in cui versano intere province dei due Paesi, irraggiungibili a causa delle inondazioni, bisogna purtroppo aggiungere anche l’emergenza fame. Entrambi gli Stati, infatti, si trovano tra i sei Paesi dell'Africa australe per i quali il Programma alimentare mondiale è mobilitato da mesi. La situazione più grave rischia di verificarsi in Malawi dove secondo le Nazioni Unite circa 3 milioni di persone, un terzo degli abitanti, quest'anno rischia di morire di fame.  (A.L.)

 

 

IN VISTA DELL’INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE CHE SI SVOLGERA’

DAL 24 AL 26 GENNAIO NELLE FILIPPINE A MANILA, SI MOLTIPLICANO NEL MONDO LE INIZIATIVE DEDICATE ALLA FAMIGLIA.

SU QUESTO IMPORTANTE TEMA SI È TENUTO IERI A CUBA UN INCONTRO DIOCESANO PROMOSSO DALLA COMUNITA’ DI HOLGUIN

 

L'AVANA. = In vista dell'incontro mondiale delle famiglie che si terrà prossimamente nelle Filippine a Manila, dal 24 al 26 gennaio, si stanno moltiplicando nel mondo le iniziative dedicate alle famiglie. Un incontro su questo importante tema si è tenuto ieri nella diocesi di Holguìn a Cuba. Per preparare debitamente i partecipanti all’evento, il comitato organizzatore ha promosso nelle comunità e nelle parrocchie, dibattiti e momenti di riflessione sulla spiritualità della famiglia cristiana e sul suo ruolo nei diversi ambiti della vita sociale. Tra le iniziative intraprese dal comitato organizzatore è da rilevare anche il bollettino informativo settimanale, diffuso tramite posta elettronica, che in ogni suo numero ha offerto notizie e spunti di riflessione sull'avvenimento. Per coinvolgere tutti i membri della famiglia, gli organizzatori hanno programmato il concorso di disegno intitolato "La mia famiglia ed io" riservato ai bambini, ed il concorso letterario “La famiglia, cuore della nuova umanità”. (A.L.)

 

 

IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO HA CHIESTO UFFICIALMENTE ALL’ONU LA CREAZIONE DI UN TRIBUNALE PENALE INTERNAZIONALE PER GIUDICARE I CRIMINI E LE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI PERPETRATI NEL NORD-EST DEL PAESE

 

KINSHASA. = Ieri il governo di Kinshasa ha chiesto ufficialmente all’Onu la creazione di un tribunale penale internazionale per giudicare i crimini e le violazioni dei diritti umani perpetrati nell’Ituri, nel nord-est della Repubblica democratica del Congo. Nel documento presentato al Consiglio di sicurezza dell’Onu, si richiede la creazione di una corte “ad hoc” per processare i responsabili degli atti di genocidio e di altre gravi violazioni del diritto umanitario internazionale. La sequela di barbarie  è stata compiuta nella tormentata regione nord-orientale, teatro di durissimi combattimenti tra le diverse fazioni ribelli per il controllo del territorio. Il governo di Joseph Kabila sollecita in particolare il Palazzo di vetro perché fra le persone che dovranno essere sottoposte a giudizio sia compreso anche Jean-Pierre Bemba, capo del Movimento di liberazione del Congo (Mlc), considerato uno dei maggiori responsabili delle atrocità commesse contro i civili nella regione. (A.L.)

 

 

“IN COREA DEL SUD LA CHIESA CATTOLICA COSTITUISCE UNA PUNTA DI ECCELLENZA

PER LA FORMAZIONE DELLA CLASSE DIRIGENTE”.

LO HA AFFERMATO IN UN’INTERVISTA RILASCIATA ALL’AGENZIA FIDES

MONS. JOHN CHANG –YIK, SEGRETARIO GENERALE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DELLA COREA

 

SEOUL. = “In Corea del Sud, dove la comunità cattolica costituisce solo il 7,4% della popolazione, oltre il 60% dei parlamentari si professa cattolico. Questo dato si spiega grazie all’ottimo contributo offerto dalla Chiesa nel settore dell’istruzione”. Con queste parole mons. John Chang-yik, vescovo di Ch'unch'on e segretario generale della Conferenza episcopale della Corea, ha evidenziato in un’intervista rilasciata all’Agenzia Fides il ruolo svolto dalla Chiesa cattolica nella formazione della classe dirigente. "In Corea del Sud – ha detto il vescovo - la comunità cattolica è una piccola minoranza e gestisce, attraverso congregazioni religiose e le diocesi, diversi complessi scolastici e due Università”.
“Il contributo offerto è importante perchè questa presenza numericamente piccola - spiega Mons. Chang - offre un generoso e riconosciuto servizio alla società coreana”. Le Università cattoliche, che si distinguono per la selettività delle prove e degli esami, per la competenza del personale docente e per l'alto livello scientifico dei centri di ricerca, portano i laureati ad essere competitivi e ricercati sul mercato del lavoro. “La spiritualità – conclude il presule - è un tratto distintivo degli istituti cattolici che  coniugano lo studio con incontri di catechesi e di preghiera". (A.L.)

 

 

DAL 1996 AD OGGI LA GUERRA CIVILE IN NEPAL HA CAUSATO LA MORTE DI 150 BAMBINI E 2 MILA ORFANI.

QUESTO E’ IL TERRIBILE BOLLETTINO REDATTO DALL’ASSOCIAZIONE LOCALE “CHILD WORKERS IN NEPAL CONCERNED CENTRE

 

KATMANDU. = Dal 1996 ad oggi, la guerra civile in Nepal ha causato la morte di quasi 150 bambini e 2 mila orfani. Il terribile bollettino è stato redatto dall’associazione locale “Child Workers in Nepal Concerned Centre” (Cwin) che ha indicato nei minori le vittime più vulnerabili del conflitto che da sette anni oppone i ribelli maoisti al governo centrale. Il portavoce del Cwin, Gauri Prahan, ha sottolineato che i bambini soffrono particolarmente lo stress e i traumi psicologici causati dalla violenza, in particolare quelli che abitano sulle colline dove più frequenti sono gli scontri. “Molti adolescenti della zona occidentale del Nepal – ha affermato Gauri Prahan - sono stati rapiti dai ribelli mentre erano a scuola”. Più di 7mila persone sono morte nella guerra civile nepalese, da quando è scoppiata l’insurrezione contro la monarchia costituzionale con l’obiettivo di instaurare uno Stato comunista. Il 2002 ha visto una terribile recrudescenza della violenza, dopo il fallimento del primo tentativo di negoziato di pace iniziato l’anno precedente. Il Cwin, fondato nel 1987, è una delle organizzazioni non governative pioniere per la tutela dei diritti dei minori in Nepal. Nata con l’obiettivo di ostacolare lo sfruttamento minorile del lavoro, l’ong si occupa anche di bambini di strada, combatte il traffico di minori e ogni altra forma di sfruttamento, abuso e discriminazione contro i bambini. Per i piccoli nepalesi coinvolti loro malgrado nella guerra civile, Cwin ha predisposto un programma specifico di aiuti alimentari e di sostegno psicologico. (A.L.)

 

 

IL JESUIT REFUGEE SERVICE – EUROPA (JRS), IL SERVIZIO DI ACCOGLIENZA

E ASSISTENZA DELLA COMPAGNIA DI GESÙ PER I PROFUGHI E I RIFUGIATI,

TORNA A METTERE IN GUARDIA L’UNIONE EUROPEA SUI RISCHI DI UN ECCESSIVO

IRRIGIDIMENTO DELLE MISURE PER CONTENERE L’IMMIGRAZIONE NEL CONTINENTE

 

BRUXELLES. = Il Jesuit Refugee Service – Europa (Jrs), il servizio di accoglienza e assistenza della Compagnia di Gesù per i profughi e i rifugiati, torna a mettere in guardia l’Unione Europea sui rischi di un eccessivo irrigidimento delle misure per contenere l’immigrazione nel continente. L’occasione è l’entrata in funzione dell’Eurodac, la nuova banca dati europea per l'identificazione delle impronte digitali di chi richiede asilo, o cerca di entrare illegalmente, in uno dei 15 Paesi comunitari. In una nota diffusa martedì, il direttore del Jrs europeo, John Dardis mette in evidenza come le sempre più efficienti misure adottate dall’Ue per limitare l’immigrazione illegale potrebbero compromettere anche i diritti legittimi di persone che hanno realmente bisogno di asilo. “Se i Governi cercano di prevenire l’abuso del sistema di asilo – rileva la nota - è importante evitare che i richiedenti asilo non vengano abusati dal sistema”. A preoccupare in particolare il Jrs è l’inevitabile “criminalizzazione” di queste persone generata dal rilevamento delle loro impronte digitali. Una “criminalizzazione” che, tra l’altro, pregiudica il loro futuro inserimento sociale. Questo, aggiunge, è tanto più grave se si considera che la misura riguarda anche minori che hanno compiuto 14 anni. Anche se l’obiettivo di limitare più efficacemente gli abusi del sistema di asilo è legittimo, rileva in conclusione la nota, “il costo in termini di dignità umana e di libertà fondamentali potrebbe essere troppo alto”. (L.Z)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

17 gennaio 2003

 

 

- A cura di Andrea Sarubbi -

 

Nel 12.esimo anniversario della guerra del Golfo, la tensione tra Stati Uniti ed Iraq è tornata a salire. Ieri, il ritrovamento di 12 testate nucleari – undici vuote ed una modificata – che Baghdad sostiene comunque di aver incluso nel rapporto consegnato all’Onu. Oggi, il discorso di Saddam Hussein, che non ha risparmiato toni di sfida. Il servizio di Giada Aquilino:

 

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Nessun allarme prematuro, ma c’è comunque bisogno di chiarimenti. Lo svedese Blix, capo degli ispettori, non crede che la scoperta delle testate possa avvicinare la guerra, ribadisce che i controlli in corso non hanno intenzione di umiliare l’Iraq, e d’altra parte chiede a Saddam “un atteggiamento più sincero”. “Se Baghdad non collabora le conseguenze non saranno buone”, gli fa eco El Baradei, direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, invocando comunque più tempo per le ispezioni: una decisione del genere – spiega – potrebbe scongiurare il pericolo del conflitto. Della stessa idea sono anche il premier italiano, Berlusconi, ed il presidente francese, Chirac, che oggi ha incontrato El Baradei e Blix a Parigi: il tempo concesso alle ispezioni deve essere aumentato, ma d’altra parte l’Iraq “dia segnali indiscutibili di una cooperazione attiva” con gli inviati dell’Onu. Quanto al possibile conflitto, l’Eliseo ribadisce la sua linea critica: nessun sostegno ad un’eventuale azione unilaterale, che sarebbe “in contraddizione con le norme internazionali”. Ma in questo clima Saddam non perde occasione di riaccendere gli animi: nel discorso per il 12.esimo anniversario della guerra del Golfo ha ribadito che Baghdad costringerà “gli invasori al suicidio alle porte di Baghdad”, proprio mentre la stampa araba rivela che, in caso di attacco americano, l’Iraq sarebbe pronto a prendere in ostaggio gli ispettori dell’Onu per usarli come scudi umani. Immediata la risposta della Casa Bianca: gli Stati Uniti forniranno agli ispettori dell’Onu nuove prove sul riarmo iracheno. Lo ha rivelato l’ambasciatore americano in Russia, Alexander Vershbow.

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“La crisi nordcoreana potrà essere risolta soltanto attraverso colloqui bilaterali tra Washington e Pyongyang”. Ne è convinto il viceministro degli Esteri russo, Lossioukov, in missione oggi a Pechino. Domani, l’inviato di Putin sarà in Corea del nord, per portare - a nome del Cremlino - la proposta di una penisola coreana denuclearizzata. L’opera di mediazione internazionale vede attivamente coinvolta anche la Corea del Sud: il presidente eletto Roh Moo Hyun ha lanciato un appello agli Usa perché venga ripreso il dialogo, ed ha annunciato un suo prossimo viaggio a Washington.

 

Gli attacchi suicidi in Israele continueranno, ed Hamas rifiuterà la tregua di un anno proposta dalla dirigenza palestinese. Lo ha affermato questa mattina un responsabile del Movimento di resistenza islamico, mentre l’esercito israeliano ha bloccato la navigazione davanti alle coste di Gaza, dopo l’esplosione di una nave-bomba avvenuta alle prime ore di oggi, fortunatamente senza causare vittime. Sul fronte interno israeliano, il Likud è nuovamente in testa nei sondaggi, a due settimane dalle elezioni legislative del 28 gennaio.

 

È di 4 morti, tra cui un bambino, ed una trentina di feriti il tragico bilancio di un nuovo terribile attentato in Colombia, provocato dall’esplosione di un'autobomba nel centro di Medellín. Le autorità locali hanno arrestato un uomo che avrebbe preso parte all’azione terroristica: si tratterebbe di un gesto delle Forze armate rivoluzionarie, in risposta ad una serie di arresti da parte del governo.

 

“I militari francesi resteranno in Costa d’Avorio anche se arrivasse un contingente di pace internazionale”. Lo ha dichiarato il generale Beth, responsabile dei 2400 soldati inviati da Parigi in territorio ivoriano. Intanto, proprio nella capitale francese proseguono i negoziati di pace tra governo e ribelli: ieri le delegazioni sono state ricevute dall’ex ministro gaullista Mazeaud. Ma quale clima si respira nelle trattative? Roberto Piermarini lo ha chiesto a Mario Giro, invitato dal governo francese come osservatore per la Comunità di Sant’Egidio:

 

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R. - Mi sembra che ci sia un clima costruttivo. Naturalmente le posizioni sono distanti sui problemi più cruciali, come quello della cittadinanza, del riconoscimento della nazionalità degli immigrati che stanno da 20 o 30 anni nel Paese: un Paese plurale, complesso. Poi c’è il discorso sulla terra e quello sull’eleggibilità. Insomma, ci sono vari problemi abbastanza complessi, che però sono vecchi e che in questi anni di crisi non hanno trovato una soluzione definitiva. Credo che questa conferenza, con la volontà dei mediatori francesi, abbia messo tutti quanti nello spirito di dire che bisogna assolutamente trovare una soluzione.

 

D. – I ribelli come accolgono le proposte della Francia?

 

R. – Con interesse, perché è la prima volta che sono ad un tavolo e allo stesso livello degli altri. Quindi, sono considerati parte in causa, e questo riconoscimento per loro è importante. In questo senso, loro stanno giocando il gioco del dialogo.

 

D. – Che notizie arrivano dalla Costa d’Avorio, durante questi giorni di lavori?

 

R. – Notizie di molta attesa. La gran parte della popolazione vuole la pace, soprattutto la gente semplice. Le notizie che escono da qui sono poche, perché siamo chiusi fuori Parigi in un complesso da cui non si esce e dove si lavora con grande concentrazione. Sono, comunque, tutti in attesa di queste notizie.

 

D. – Stamattina sono arrivate notizie secondo cui Gbagbo ha detto che i ribelli stanno violando il cessate il fuoco. A voi è arrivata questa voce?

 

R. – Sì, ma l’esercito francese presente nel luogo ha già minimizzato gli avvenimenti. Non bisogna creare squilibri in questo difficile equilibrio che si sta creando.

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Stanno tutti bene e si trovano in Ciad 25 dei 33 missionari cattolici che da alcune settimane erano radunati per motivi di sicurezza nel nord della Repubblica Centrafricana, in una zona controllata dai ribelli legati all’ex capo di Stato maggiore François Bozizé. Ce ne parla Giulio Albanese:

 

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I 25 missionari sono giunti ieri sera e appartengono a varie nazionalità – sono italiani, francesi, spagnoli, polacchi, brasiliani e malgasci – e si trovano nei locali messi a disposizione dalla diocesi cattolica di Sarh. I ribelli hanno accompagnato la carovana fino al confine con il Ciad. Otto di loro però hanno deciso di rimanere in Centrafrica: non hanno voluto abbandonare la loro missione, perché hanno preferito restare vicino alla gente che ormai non ha più nulla. La guerra nella Repubblica centrafricana ha effetti devastanti sulla popolazione locale. Va ricordato che lo scorso 25 ottobre, uomini armati fedeli a Bozizè hanno tentato di rovesciare il governo del presidente centrafricano Patassè. Dopo essere stati respinti dalla capitale Bangui, i rivoltosi hanno iniziato a conquistare le principali città del nord del Paese, che in gran parte controllano ormai da un paio di mesi.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Tre bambini sono morti in Vietnam per l'esplosione accidentale di una vecchia bomba a  frammentazione, probabilmente risalente agli ultimi anni del conflitto terminato nel 1975. I piccoli, di età compresa fra i dieci e gli undici anni,  stavano giocando in un campo poco lontano dal loro villaggio, nella  provincia di Quang Ngai, quando la bomba è scoppiata, uccidendoli sul colpo.

 

Dopo settimane di estenuanti dibattiti, la commissione costituzionale serbo-montenegrina per il varo della nuova unione 'Serbia e Montenegro' ha approvato la legge di applicazione del testo costituzionale concordato nel dicembre scorso. Ora la parola passa ai tre parlamenti di Serbia, Montenegro e Federazione jugoslava, che dovranno approvare la nuova carta fondamentale.

 

Tornerà a riunirsi il prossimo 24 gennaio il Parlamento della Repubblica ceca, che mercoledì non è riuscito ad eleggere il successore di Havel. In testa alle preferenze è finora Klaus, candidato dell'opposizione di destra.

 

 

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