RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 17 - Testo della
Trasmissione di venerdì 17 gennaio
2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
In un Rapporto dell’Onu, la difficile sfida per integrare gli
zingari nella nuova Europa.
“No a una
guerra ‘preventiva’ contro l’Iraq”: editoriale della “Civiltà Cattolica”.
CHIESA E
SOCIETA’:
In Malawi e Mozambico,
isolate dalle alluvioni intere province già provate dall’emergenza fame.
La guerra civile in Nepal ha
causato, dal 1996 ad oggi, la morte di 150 bambini e 2 mila orfani.
Iraq,
gli ispettori tornano a chiedere nuovo tempo. Ma gli Usa annunciano: presto
nuove prove contro Saddam.
L’inviato
russo a Pechino per tentare una mediazione nella crisi nordcoreana.
Nuovo
attentato delle Farc a Medellín: quattro le vittime.
A
Parigi il terzo giorno di negoziati per la Costa d’Avorio. Presente ai colloqui
la Comunità di Sant’Egidio.
Stanno
bene i missionari bloccati nel nord del Centrafrica: 25 di loro sono ora in
Ciad.
17 gennaio 2003
LA VICINANZA ALLE TOMBE DEGLI APOSTOLI E IL CONTATTO
CON I PELLEGRINI
SIA DI
STIMOLO PER APPROFONDIRE LA VOSTRA FEDE:
COSI’,
GIOVANNI PAOLO II NEL SALUTO DI INIZIO ANNO AI FUNZIONARI
E AGLI
AGENTI DELL’ISPETTORATO
DI PUBBLICA SICUREZZA PRESSO IL VATICANO
- A
cura di Alessandro Gisotti -
Il
contatto quotidiano con le folle di pellegrini “vi sia di stimolo ad approfondire
sempre più la vostra fede”: è l’esortazione che Giovanni Paolo II ha rivolto ai
funzionari ed agenti dell’Ispettorato di pubblica sicurezza presso il Vaticano,
ricevuti stamani nella Sala Clementina per i tradizionali auguri di inizio
anno. La “vicinanza alle tombe degli Apostoli”, ha proseguito il Pontefice,
possa essere un “incessante richiamo a condurre una vita esemplare, ispirata
alla piena adesione a Cristo”. Ed ha così messo in rilievo che la “fedeltà alle
proprie convinzioni religiose e morali, e la coerente applicazione dei principi
evangelici costituiscono una sorgente di vera pace ed intima gioia”.
Il
Santo Padre ha quindi espresso viva gratitudine agli uomini dell’Ispettorato
per il servizio svolto sempre con “premura e sollecitudine”. Compito
“importante e non facile”, ha rilevato, giacché richiede un “alto senso di responsabilità
e una costante dedizione al proprio dovere”. Una “fedele vigilanza”, ha detto
ancora, che non si esaurisce nelle adiacenze del Vaticano, ma accompagna il
Papa nelle visite pastorali a Roma e nel resto dell’Italia. Un pensiero speciale
è stato, infine, rivolto dal Pontefice al dottor Salvatore Festa che, proprio
in questi giorni, ha assunto il compito di dirigente generale dell’Ispettorato
di pubblica sicurezza.
Proseguendo
gli incontri con i vescovi del Brasile in visita “ad Limina”, il Papa ha
ricevuto altri sette presuli del Paese, che è il più popoloso dell’America
Latina, con oltre 172 milioni di abitanti.
In Cile, il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo
pastorale della diocesi di Linares, presentata dal vescovo mons. Carlos Marcio
Camus Larenas, per raggiunti limiti di età. Alla guida della stessa diocesi
cilena, il Santo Padre ha nominato il vescovo mons. Tomislav Koljatic Maroevic,
finora ausiliare di Concepciòn.
LA DISTINZIONE TRA PLURALISMO E RELATIVISMO, TEMA CHIAVE
DELLA
“NOTA DOTTRINALE” SULL’IMPEGNO DEI CATTOLICI IN POLITICA,
PUBBLICATA
IERI DALLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
- Con
noi, il cardinale Joseph Ratzinger -
Un “vademecum” per i cattolici impegnati nella politica di
fronte al pericoloso emergere di “orientamenti ambigui” e “posizioni
discutibili” nella società contemporanea. Questo l’obiettivo primario della
Nota dottrinale sul comportamento dei fedeli chiamati alla partecipazione della
vita pubblica. Un documento, pubblicato ieri dalla Congregazione per la
Dottrina della Fede, con l’intento di richiamare alcuni principi propri della
coscienza cristiana che ispirano l’impegno sociale e politico dei cattolici
nelle società democratiche. Esigenza ancor più sentita oggi con la dispersione
dei politici cattolici in più partiti, a volte profondamente diversi tra loro
per storia e programmi. Tema centrale della Nota - articolata in quattro capitoli
- la distinzione tra pluralismo e relativismo come spiega il prefetto della
Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Joseph Ratzinger, al
microfono di Stefan Kempis:
**********
R. -
Nel documento distinguiamo soprattutto tra pluralismo e relativismo. Il pluralismo
in politica è una cosa naturale, ovvia perché per tante questioni politiche non
c’è una risposta già fatta, già evidente, ma ci sono diverse possibilità di
reagire alle diverse sfide della situazione attuale. Quindi il pluralismo è una
cosa normale in politica. Il relativismo invece afferma che non c’è nessuna
verità etica e morale obbligatoria, vincolante per la coscienza del cristiano.
Se ci incamminiamo su questa strada pensando che il pluralismo sia la stessa
cosa che il relativismo perdiamo proprio i fondamenti dell’umanità e anche i
fondamenti della democrazia che è basata sul consenso di un minimo di etica
quale condizione per la verità, per l’umanità e per la condizione democratica.
In questo senso distinguiamo anche tra laicità e laicismo. Laicità vuol dire la
giusta autonomia dello Stato, della sfera politica. Non spetta alla gerarchia
della Chiesa indicare ai politici che cosa fare. Sono i laici, con la loro
coscienza illuminata, che hanno la responsabilità di trovare la strade giusta.
Ecco, decisiva è la ragione giusta, pratica che si orienta ai grandi valori
determinanti per l’essere umano. Il laicismo, invece, è un’idea per la quale i
contenuti morali della fede cristiana non dovrebbero entrare in politica,
sarebbero da escludere e si creerebbero due mondi che non si possono toccare.
Invece i grandi valori etici, messi in luce dalla fede cristiana, sono
d’orientamento anche in politica e questo orientamento vincolante per una
coscienza illuminata non toglie niente alla libertà del politico. Al contrario,
osservare i fondamenti dell’umanesimo è anche difendere la libertà umana.
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IL FENOMENO DELLE SETTE IN AMERICA
LATINA
AL
CENTRO DI UNA RIUNIONE INTERDICASTERIALE
IN VATICANO.
CON
NOI, L’ARCIVESCOVO MICHAEL FITZGERALD
-
Servizio di Giovanni Peduto -
**********
Il proliferare delle sette preoccupa molto la Chiesa;
questo fenomeno si verifica soprattutto in America Latina. A tal riguardo si è
svolto in questi giorni a Roma un incontro con diversi vescovi del Celam,
Consiglio episcopale latinoamericano, rappresentanti del Pontificio Consiglio
per il dialogo interreligioso e del Pontificio Consiglio per la promozione
dell’unità dei cristiani. Lo scopo è stato di mettere a punto una strategia in
vista della riunione plenaria della Pontificia Commissione per l’America Latina
che il prossimo aprile si dovrà occupare appunto del fenomeno delle sette in
America Latina. Con noi ora l’arcivescovo Michael Fitzgerald, presidente del
Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, che ha partecipato
all’incontro:
D. – Eccellenza, anzitutto cos’è una setta e come si
spiega il fenomeno delle sette?
R. – Direi che quando parliamo di sette vogliamo parlare
di gruppi piuttosto cristiani ma che sono di una tendenza aggressiva contro la
Chiesa cattolica, non c’è un rapporto pacifico e talvolta con una tendenza ad
utilizzare metodi, forse, che non sono giusti nell’aumentare il loro numero.
Dunque, la preoccupazione di questa riunione era cercare di discernere le cause
interne alla Chiesa, alcune debolezze della Chiesa, forse la mancanza di
partecipazione del laicato nella vera vita della Chiesa, ma anche cause
esterne: si parla di un cambiamento di epoca, una nuova era, in un certo senso,
con i fattori economici, fattori di migrazione interna, le persone che vengono
dalle zone rurali alle città: nel loro villaggio sapevano dove era la chiesa,
tutto era nella comunità rurale, comunità pastorale. Vengono nella massa della
gente in città, non sanno dove andare, trovano chiese, chiesette di gruppi
cristiani che sono lì e allora vanno facilmente in queste chiese, dove sono
accolti e lasciano la Chiesa cattolica.
D. – Come mai questo fenomeno è presente particolarmente
in America Latina?
R. – E’ presente anche in altre parti del mondo, ma forse
in America Latina c’è stata un’evangelizzazione assai rapida che ha coinvolto
tutta la popolazione, ma la crescita in qualità della Chiesa non ha seguito
quella numerica. Dunque, ci sono delle debolezze della Chiesa, lì: mancanza di
sacerdoti e di pastori che possano aiutare le persone. Abbiamo anche detto la
necessità di una profonda esperienza di Cristo, e forse questo manca. Ci sono
diversi aspetti, credo, che spiegano perché in America Latina c’è un aumento
del numero delle diverse Chiese e comunità e anche movimenti settari. Si vede
più lì perché, come ho detto, era un continente massicciamente cattolico,
invece adesso comincia un pluralismo religioso e questo nuovo fenomeno è un
fenomeno che esiste in altri continenti: in Europa siamo più abituati a questo
fenomeno del pluralismo religioso, almeno in Gran Bretagna, in Francia, in
Germania, in Olanda, eccetera. Forse meno in Italia, però anche lì, in Italia,
ci sono adesso diverse comunità e credo che sia una sfida per la Chiesa
universale.
D. – E’ possibile un approccio dialogico con le sette?
R. – Credo che si possa attuare un approccio dialogico ad
ogni persona. Si deve capire perché le persone lasciano la Chiesa cattolica e
vanno altrove, qual è la loro aspirazione, cosa cercano e accompagnare queste
persone. Dunque, con una grande misericordia. Non è la stessa cosa che un
dialogo formale, strutturale tra la Chiesa cattolica che si impegna come Chiesa
e gruppi che sono opposti alla Chiesa. Ma anche all’interno, per esempio, del
Movimento pentecostale ci sono dei pentecostali che sono in dialogo con la
Chiesa cattolica - ci ha ricordato questo il cardinale Kasper - e interessati a
scoprire il senso della Chiesa. Il cardinale Kasper ha parlato dell’ecumenismo
come di uno scambio di doni: noi abbiamo qualcosa da imparare da queste
persone, ma loro anche hanno qualcosa da imparare da noi. E questo dialogo,
questa ricerca insieme può anche far sì che siamo più vicini gli uni agli
altri.
D. – Eccellenza, è possibile quantificare il problema
delle sette?
R. – Questo non è possibile. Abbiamo taluni dati
statistici per ogni Paese dell’America Latina e c’è una grande varietà, ma
anche le statistiche sono molto variabili perché come si può calcolare ad esempio
quanti pentecostali ci sono? Noi cattolici sappiamo quanti battesimi facciamo,
ma io non credo che loro registrino ogni persona che aderisce al loro gruppo. E
poi, ci sono delle persone che hanno – purtroppo – una doppia appartenenza:
sono ancora cattolici ma vanno anche altrove. Dunque, io credo che la quantificazione
non aiuta tanto.
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La prima pagina si apre con la
situazione in Iraq: scoperte dagli ispettori dodici testate chimiche vuote.
Sempre in prima, un articolo di
Enzo Bianchi dal titolo: “La valenza universale della preghiera del Rosario” .
Nelle pagine vaticane, nel
discorso all'Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano, il Papa ha
espresso il suo profondo ringraziamento per la “disponibilità” e per la “fedele
vigilanza”.
Una riflessione del vescovo
Rino Fisichella sulla Nota dottrinale della Congregazione per la dottrina della
fede.
"Il presbitero, pastore e
guida della comunità parrocchiale", è il titolo della riflessione di
Giovanni Carrù sul Documento della Congregazione per il clero.
La prefazione del cardinale
Dionigi Tettamanzi al volume di Carlo Cremona dedicato alla venerabile
Celestina Donati.
Un contributo di Eleuterio
Fortino sull'Ottavario di preghiera per l'unità dei cristiani.
Nelle pagine estere, un
articolo di Marco Impagliazzo sul discorso di Giovanni Paolo II al Corpo
Diplomatico. Il titolo all'articolo è: "La vera questione: non lasciare
solo il mondo che soffre per le guerre".
Medio Oriente: demolite nei
Territori case di presunti terroristi palestinesi.
Repubblica Centroafricana:
hanno raggiunto il Ciad 25 dei 33 religiosi che erano bloccati, da alcune
settimane, nel villaggio di Gofo.
Nella pagina culturale, un
contributo di Sergio Pagano dal titolo: "Cinque secoli di nobiltà
romana": uno studio di Nicola La Marca.
Nelle pagine italiane, la
questione legata all'Art.18. La situazione della Fiat. Il dibattito
sull'indulto.
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CONCLUSO IERI A GERUSALEMME IL 3°
INCONTRO INTERNAZIONALE DEI VESCOVI
SULLA SITUAZIONE DEI CRISTIANI IN TERRA SANTA
-
Intervista con mons. Michel Sabbah -
La drammatica situazione mediorientale e i riflessi
negativi che essa ha anche sui cristiani che vivono in Terra Santa sono stati
al centro del 3° Incontro Internazionale dei vescovi che si è concluso ieri a
Gerusalemme. Vi hanno partecipato presuli europei e nordamericani. L’evento è
stato ospitato dal patriarcato dei latini di Gerusalemme ed ha evidenziato la
necessità per le Chiese di operare sul tessuto sociale nel segno della
riconciliazione e della fratellanza. Lo conferma al microfono di Giancarlo La
Vella il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Michel Sabbah:
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R. – Tutto quello che succede in Terra Santa interessa
tutte le Chiese, perché è la terra delle radici di tutte le Chiese. Quindi, il
conflitto che stiamo vivendo adesso tra israeliani e palestinesi dovrebbe
portare le Chiese a dare un appoggio che aiuti la riconciliazione. Non portare
appoggio ad una parte piuttosto che all’altra, ma secondo il ruolo della
Chiesa, portare la riconciliazione, che Gesù Cristo ha portato a tutta
l’umanità. C’è poi l’interessamento alle condizioni umane attuali della
comunità cristiana, per aiutarla a sopravvivere a questi momenti difficili.
D. – Si parla di un esodo della comunità cristiana in
Terra Santa. Stanno andando via numerose persone, circa 2 mila, dalle ultime
notizie …
R. – Questa cifra è piccola. Non solo i cristiani, ma tutti
partono: i musulmani e gli israeliani stessi. Tutti vogliono stare lontani da
questa situazione di instabilità politica e militare, avere una vita più
pacifica altrove. Malgrado questo, noi diciamo che alcuni cristiani partono, ma
altri rimangono.
D. – Mons. Sabbah, nell’incontro dei vescovi a Gerusalemme
si è parlato della difficoltà, spesso impossibilità, per i cristiani di
accedere ai luoghi santi?
R. – L’accesso ai luoghi santi è consentito al mondo
intero, ma non è consentito ai cristiani palestinesi che vivono sotto assedio.
Adesso poi c’è questo problema dei visti per i sacerdoti e i religiosi
residenti nel Paese, che non vengono rinnovati già da mesi. Un altro rifiuto,
dunque, dell’accesso libero per i cristiani ai luoghi santi. Non si sa il perché
di queste difficoltà immesse nella vita cristiana, nella libertà d’accesso ai
luoghi santi o di residenza nei luoghi
santi. La missione dei vescovi del mondo è quella di dare speranza in questi
momenti difficili in cui manca. E’ questa la loro missione: aiutare la
riconciliazione.
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TRA CATTOLICI ED EBREI, UN DIALOGO DA COLTIVARE
-
Intervista con mons. Giuseppe Chiaretti -
Oggi si celebra in Italia la XIV Giornata per il dialogo
tra cattolici ed ebrei che ha come tema: “Mosè parlava con Dio e tutto il
popolo ne fu testimone”. Oltre ai numerosi incontri previsti, questa giornata
si presenta come l’occasione per un pacifico confronto tra diverse religioni e
per riscoprire i punti comuni tra le due fedi. Ma a che punto si trova il
dialogo tra cristiani ed ebrei? Marina Tomarro lo ha chiesto a mons. Giuseppe
Chiaretti, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il
dialogo:
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R. – Il dialogo per certi aspetti è un po’ stagnante, nel
senso che non ci sono particolari iniziative di dialogo tra l’una e l’altra
realtà. Questo però non significa che sia stagnante l’affetto. Gli ebrei ci
sono cari per ragioni ovvie, quindi non possiamo non avere attenzione verso la
loro situazione di sofferenza. Tuttavia, desidereremmo che fossero superate
tante situazioni difficili, tanti ostacoli.
D. – Amos Luzzatto pensa che il dialogo dovrebbe procedere
più velocemente. Lei cosa risponde a
proposito di questa dichiarazione?
R. – Sono d’accordo che ci sia questa esigenza. Sarebbe di
vantaggio per ambedue le parti. Purtroppo, in questo momento c’è come un grande
peso che ci schiaccia, il peso di ciò che sta avvenendo lì, nel territorio
d’Israele. Ci sentiamo tutti abbastanza umiliati. Desideriamo la pace, ma non
siamo in grado di procedere effettivamente sulla via della pace. Cosa poter
fare? Rispondiamo con la strategia della preghiera, intanto, ma vorremmo poter
parlare con maggiore efficacia alle due parti. In questo vediamo come ci
troviamo inadeguati, perché anche tra i cristiani ci sono modalità diverse di
attenzione. Quindi, ci sarebbe bisogno di trovare un comune modo di sentire e
di intervenire. Questo è anche un nostro limite come cristiani.
D. – Quali sono le speranze che lei ripone nel futuro?
R. – Le speranze sono grandi, nel senso che all’interno
della vita ecclesiale continua il dialogo con il mondo ebraico. Verso quali
orizzonti? Verso una migliore conoscenza
degli uni e degli altri. Noi abbiamo bisogno degli ebrei per conoscere
da loro il senso di tante espressioni che anch’essi hanno coltivato, perchè
sono nostri maestri. Dobbiamo riscoprirli, prenderne coscienza, guardarci con
occhi non più di antica rivalità, ma guardarci con occhio di fraternità
recuperata, in maniera da trovare le confluenze.
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I NOVANT’ANNI
DI PADRE WERENFRIED VAN STRAATEN,
MEGLIO NOTO COME PADRE LARDO,
ISPIRATORE DELL’OPERA
“AIUTO ALLA CHIESA CHE SOFFRE”.
CON NOI, IL RELIGIOSO OLANDESE E
ATTILIO TAMBURRINI
- Servizio di Paolo Ondarza -
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Ricorre
oggi, 17 gennaio, il 90.mo compleanno di padre
Werenfried van Straaten, il fondatore dell’Opera “Aiuto alla Chiesa che
soffre”, meglio conosciuto come padre Lardo. Tale appellativo nacque dalla
dedizione del religioso per i rifugiati tedeschi in Belgio a cui egli era
solito distribuire il lardo raccolto nelle case dei contadini. Entrato a 21
anni nell’Abbazia premostratense di Tongerlo in Belgio, Werenfried van Straaten
divenne responsabile dell’edizione del periodico monastico Toren sul quale nel 1947 scrisse un articolo dal titolo “Pace in
terra? Non c’è posto nella locanda”. Nello scritto il religioso sollecitava
aiuti per i 14 milioni di tedeschi espulsi dall’Est, tra i quali sei milioni di
cattolici. La risposta superò tutte le attese e segnò l’inizio dell’attività
dell’Opera di diritto pontificio “Aiuto alla Chiesa che Soffre”. Ascoltiamo in
proposito l’Augurio a padre Lardo da parte di Attilio Tamburrini, presidente
dell’organizzazione in Italia.
“Che
lo spirito che lui ha dato all’Opera, continui ad essere presente, quando padre
Werenfried sarà chiamato al riposo. Ognuno di noi ha l’esigenza di riposarsi,
ma ci sono alcune persone che assecondano questo desiderio solo quando vengono
chiamate in cielo. Padre Lardo è una di queste. Che lo spirito che lui ha
voluto dare all’opera, caratterizzata dalla fedeltà al Santo Padre ed alla
Chiesa, rimanga vivo nell’Opera. Che lo spirito del fondatore impregni l’Opera
anche quando lui non ci sarà più. Questo credo sia l’augurio che lui apprezzi
di più”.
Nel
1952 padre Lardo iniziò l’attività a favore della Chiesa perseguitata nei Paesi
della “cortina di ferro”. Partecipò poi
come “peritus” al Concilio
Vaticano II dove conobbe molti vescovi di Paesi sotto regimi comunisti, aiutati
direttamente o indirettamente dalla sua Opera. Dopo la caduta del totalitarismo
nell’est Europa, “Aiuto alla Chiesa che soffre” si è dedicata all’impegno
ecumenico per la riconciliazione e l’unità tra la Chiesa cattolica e quella
ortodossa. Ecco come padre Werenfried commenta i suoi 90 anni.
“Dalla
mia ormai lunga vita, vorrei dirvi che ho constatato quanto è vero il Vangelo.
Il Signore non mi ha mai piantato in asso, perché mi ha sempre aiutato, mi ha
dato sempre quello che Gli chiedevo, per la Chiesa che soffre. Ecco da dove
viene la mia sconfinata fiducia in Lui”.
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“EVITARE LA TRAPPOLA DELLA DIPENDENZA”:
LA SFIDA PER INTEGRARE GLI ZINGARI IN EUROPA
- Servizio di Roberta Gisotti -
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I Rom nell’Europa centrale ed orientale: almeno 4 forse 5
milioni di persone che vivono in condizioni di estrema miseria cronica in
Ungheria, Slovacchia, Repubblica ceca, Bulgaria e Romania. A questa popolazione
nomade mai integrata nei sistemi
sociali dei Paesi in cui abitano è dedicato uno speciale rapporto dell’Undp il
Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo. L’integrazione delle minoranze -
in particolare dei Rom, che è la principale minoranza etnica della regione - è
una condizione essenziale perché questi Stati entrino a pieno titolo e con
successo nell’Europa unita.
Ma l’impresa non sarà facile se al momento gli zingari
sono i più poveri tra i poveri in questi cinque Paesi, e se le loro condizioni
di vita sono simili a quelle dell’Africa subsahariana: denutrizione, precarie
condizioni sanitarie ed igieniche, scarsi servizi di base, analfabetismo o
bassissima scolarizzazione , disoccupazione - solo il 25 per cento percepisce
un salario, mentre fino al 70 per cento in alcune zone sopravvive con i sussidi
dello Stato. Ma non è una povertà assimilabile a quella dei Paesi a più basso
reddito: ci sono molti Rom che soffrono la fame, cui manca l’acqua corrente ed
il bagno interno ma dispongono quasi tutti di Tv, parabole e molti altri
elettrodomestici.
Che fare? Non c’è tempo da perdere suggerisce l’Undp,
bisogna cambiare l’approccio al problema, se è vero che finanziamenti per
integrare i Rom negli ultimi anni ci sono stati ma l’obiettivo non è stato
centrato: non si registrano infatti miglioramenti degni di nota a seguito di
tali progetti. Un dato per capire: l’80 per cento dei Rom dichiara di non sapere
nulla di politiche a loro favore. Allora due sono le parole chiave da
cancellare per cambiare una realtà così radicata di emarginazione dei Rom:
‘dipendenza’ economica ed ‘isolamento’ sociale. L’Undp propone di ripartire su
tre direttive di impegno da parte degli Stati e delle organizzazioni non
governative: l’inserimento scolastico dei bambini Rom, nelle scuole normali e
non differenziate, la formazione professionale e l’offerta di lavoro
soprattutto per i giovani nomadi e la rappresentanza politica. Solo applicando
queste strategie sarà forse possibile vincere una sfida tanto difficile che
attende un’Europa civile e democratica per integrare i Rom, pure rispettandone
l’identità etnica.
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NON ESISTONO GIUSTIFICAZIONI GIURIDICHE E
MORALI PER UNA GUERRA PREVENTIVA DEGLI USA CONTRO L’IRAQ,
MA SOLO CONSEGUENZE DISASTROSE PER IL MEDIO
ORIENTE E L’OCCIDENTE.
A
SOSTENERLO, L’EDITORIALE DEL PROSSIMO NUMERO DI CIVILTA’ CATTOLICA
-
Servizio di Alessandro De Carolis -
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La
“guerra preventiva” che gli Stati Uniti vorrebbero lanciare contro l’Iraq non
ha un riconoscimento giuridico né una giustificazione morale. E non porterebbe
ala vittoria della pace, ma ad uno stato di tensione generale del Medio Oriente
e a nuovi rigurgiti del terrorismo. Sono queste le considerazioni di fondo
enunciate nell’editoriale del prossimo numero della “Civiltà Cattolica”.
I primi sostenitori della guerra preventiva (pre-emptive
war) contro lo Stato mediorientale e il suo leader, Saddam Hussein -
rammenta inizialmente l’articolo - sono da sempre gli Stati Uniti. Il
presidente Bush non ha mai smesso di definire il capo di Stato iracheno un
dittatore e “un pericolo” per la stessa America e per l’umanità. I motivi sono
noti e la Civiltà Cattolica li enumera: l’Iraq disporrebbe di armi di
distruzione di massa, sia chimiche sia biologiche, starebbe lavorando per
produrre armi atomiche, possiede missili in grado di colpire Israele,
appoggerebbe il terrorismo internazionale. Ma nonostante vi siano altri Stati,
come la Corea del Nord, a costituire una minaccia per la sicurezza mondiale,
perché - si domanda la Civiltà Cattolica - Saddam Hussein “è tanto pericoloso
da dover essere abbattuto con una guerra preventiva”?
Il motivo principale, da sempre addotto dagli Usa, è dato
dal rifiuto del leader iracheno di far conoscere agli ispettori dell’Onu gli
arsenali segreti del suo Paese, nonché di distruggere le armi possedute,
secondo le clausole di disarmo impostegli dalle Nazioni Unite all’indomani
della Guerra del Golfo del ‘91. Ma un motivo, rileva l’editoriale, “che a molti
sembra debole”. Debole perché le risoluzioni dell’Onu sono state violate già 91
volte, 59 delle quali da Stati alleati degli Usa, come Israele e la Turchia.
Debole perché non si ha hanno “prove certe e documentate” sulla consistenza
della armi di distruzione di massa irachene e sulla capacità di essere usate.
Debole, ancora, perché - riconosce l’articolo - “non ci sono prove sicure che
l’Iraq abbia addestrato terroristi e ne abbia appoggiato gli attentati”.
Emerge, allora, un motivo di tipo geopolitico, dato dalla
posizione dell’Iraq, a giustificare il ricorso alla guerra preventiva. Con i
suoi circa 3 milioni di barili al giorno, e le sue riserve accertate di 112
miliardi di barili, l’Iraq è uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo,
nonché ricchissimo di gas naturale. Sorge, quindi, su “un’area vitale per
l’economia degli Stati Uniti”. Allo stesso tempo, l’Arabia Saudita, primo
produttore e fornitore in assoluto, sta diventando un Paese a rischio: sia per
le forti correnti antioccidentali che ispirano una parte della sua classe
dirigente, sia per la probabile incapacità di rispondere all’enorme incremento
di produzione di greggio che gli Usa hanno stimato necessario per il loro
fabbisogno del prossimo futuro. L’Iraq, che in 5 anni potrebbe raddoppiare la
sua attuale produzione, diviene così una valida compensazione all’Arabia
Saudita. Di qui, si legge nell’editoriale, “la necessità per gli Stati Uniti di
avere un accesso sicuro” alle sue riserve.
Alla luce di queste considerazioni di carattere
pragmatico, Civiltà Cattolica porta la riflessione sul piano più elevato della
riflessione giuridica e morale che sarebbe alla base di un’eventuale guerra
preventiva. Il Diritto internazionale, come si evince dalla Carta delle Nazioni
Unite, “non prevede, anzi esclude” la guerra preventiva. Il ricorso alla armi
può essere solo di tipo difensivo. Per quanto riguarda l’Iraq, l’editoriale
riconosce l’inesistenza “di un attacco militare in atto contro gli Stati
Uniti”. “Né è plausibile - prosegue - la minaccia di un attacco militare
imminente contro di essi”. Definisce inoltre “molto pericoloso” il ragionamento
secondo il quale l’Iraq, con i suoi armamenti, potrebbe divenire nel tempo una
minaccia per il mondo: una minaccia, cioè, da “prevenire” ora. Questo modo di
procedere, scrive la Civiltà Cattolica, “aprirebbe la via a guerre senza fine”.
Molte zone del mondo, come ad esempio il Kashmir, esploderebbero se si
affermasse il principio per cui chi si sente minacciato attacca per primo.
Sotto il profilo etico, poi, la “guerra preventiva, come ogni altra guerra, è
sempre moralmente condannabile”, ad eccezione di quella di difesa.
Dopo aver citato la lettera dei vescovi statunitensi al presidente
Bush - nella quale si dichiara “difficilmente giustificabile in questo momento”
il ricorso alla guerra preventiva, giacché i criteri della “guerra giusta” non
sarebbero fatti salvi - l’editoriale chiude con una ferma presa di posizione:
si tratta, si legge, “di guardare le cose nella loro cruda realtà. E la cruda
realtà è che una guerra in Iraq non si farebbe per le ragioni che si adducono”,
ma “anche per motivi di ordine politico ed economico”. Ed è cruda realtà è
anche il fatto che un simile conflitto, scatenato contro difese militari
dislocate nelle grandi città irachene, finirebbe per provocare “un gran numero
di vittime civili”. Inoltre non vincerebbe la pace, ma la destabilizzazione di
tutto il Medio Oriente arabo e islamico, con il terrorismo che riceverebbe
“linfa nuova”. “E’ così evidente - termina l’articolo – che il terrorismo non
si combatte con la guerra, ma con altri mezzi, quali i servizi d’intelligence
e la diplomazia”.
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17 gennaio 2003
LE ALLUVIONI CHE HANNO COLPITO IN QUESTI GIORNI IL
MALAWI E IL MOZAMBICO,
HANNO
ISOLATO INTERE PROVINCE DEI DUE PAESI
GIA’
DURAMENTE MINACCIATI DALL’EMERGENZA FAME
LILONGWE. = Secondo gli ultimi
dati forniti dalle autorità del Malawi, 300 mila persone sono rimaste senza
casa in seguito agli smottamenti del terreno provocati dalle intense piogge
cadute in questi giorni sul Paese. Il responsabile delle operazioni di soccorso
del governo, James Chiusiwa, ha dichiarato che la situazione in cui versa la
popolazione dei distretti colpiti dal maltempo è drammatica e costringe
migliaia di civili ad una lotta per la sopravvivenza. Il sovraffollamento delle
strutture di assistenza sta facendo crescere tra le autorità sanitarie del Paese
africano il timore che le malattie infettive possano propagarsi con grande rapidità
tra gli sfollati. Intanto nel vicino Mozambico le stesse piogge hanno letteralmente
spazzato via almeno 4 mila abitazioni. Secondo il governo di Maputo al momento
sarebbero circa 100 mila le persone rimaste senza un tetto. Il maltempo ha
anche distrutto numerosi impianti per la fornitura elettrica in molti distretti
del nord del Paese. Il governo del Mozambico ha già chiesto alla comunità internazionale aiuti per circa 500 milioni
di dollari. Al grave isolamento in cui versano intere province dei due Paesi,
irraggiungibili a causa delle inondazioni, bisogna purtroppo aggiungere anche
l’emergenza fame. Entrambi gli Stati, infatti, si trovano tra i sei Paesi
dell'Africa australe per i quali il Programma alimentare mondiale è mobilitato
da mesi. La situazione più grave rischia di verificarsi in Malawi dove secondo
le Nazioni Unite circa 3 milioni di persone, un terzo degli abitanti,
quest'anno rischia di morire di fame. (A.L.)
IN VISTA DELL’INCONTRO MONDIALE DELLE
FAMIGLIE CHE SI SVOLGERA’
DAL 24
AL 26 GENNAIO NELLE FILIPPINE A MANILA, SI MOLTIPLICANO NEL MONDO LE INIZIATIVE
DEDICATE ALLA FAMIGLIA.
SU
QUESTO IMPORTANTE TEMA SI È TENUTO IERI A CUBA UN INCONTRO DIOCESANO PROMOSSO
DALLA COMUNITA’ DI HOLGUIN
L'AVANA. = In vista dell'incontro mondiale delle
famiglie che si terrà prossimamente nelle Filippine a Manila, dal 24 al 26
gennaio, si stanno moltiplicando nel mondo le iniziative dedicate alle
famiglie. Un incontro su questo importante tema si è tenuto ieri nella diocesi
di Holguìn a Cuba. Per preparare debitamente i partecipanti all’evento, il
comitato organizzatore ha promosso nelle comunità e nelle parrocchie, dibattiti
e momenti di riflessione sulla spiritualità della famiglia cristiana e sul suo
ruolo nei diversi ambiti della vita sociale. Tra le iniziative intraprese dal
comitato organizzatore è da rilevare anche il bollettino informativo
settimanale, diffuso tramite posta elettronica, che in ogni suo numero ha
offerto notizie e spunti di riflessione sull'avvenimento. Per coinvolgere tutti
i membri della famiglia, gli organizzatori hanno programmato il concorso di disegno
intitolato "La mia famiglia ed io" riservato ai bambini, ed il
concorso letterario “La famiglia, cuore della nuova umanità”. (A.L.)
IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO HA CHIESTO
UFFICIALMENTE ALL’ONU LA CREAZIONE DI UN TRIBUNALE PENALE INTERNAZIONALE PER
GIUDICARE I CRIMINI E LE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI PERPETRATI NEL NORD-EST
DEL PAESE
KINSHASA. = Ieri il governo di Kinshasa ha chiesto
ufficialmente all’Onu la creazione di un tribunale penale internazionale per
giudicare i crimini e le violazioni dei diritti umani perpetrati nell’Ituri,
nel nord-est della Repubblica democratica del Congo. Nel documento presentato
al Consiglio di sicurezza dell’Onu, si richiede la creazione di una corte “ad
hoc” per processare i responsabili degli atti di genocidio e di altre gravi
violazioni del diritto umanitario internazionale. La sequela di barbarie è stata compiuta nella tormentata regione
nord-orientale, teatro di durissimi combattimenti tra le diverse fazioni
ribelli per il controllo del territorio. Il governo di Joseph Kabila sollecita
in particolare il Palazzo di vetro perché fra le persone che dovranno essere
sottoposte a giudizio sia compreso anche Jean-Pierre Bemba, capo del Movimento
di liberazione del Congo (Mlc), considerato uno dei maggiori responsabili delle
atrocità commesse contro i civili nella regione. (A.L.)
“IN COREA DEL SUD LA CHIESA CATTOLICA
COSTITUISCE UNA PUNTA DI ECCELLENZA
PER LA
FORMAZIONE DELLA CLASSE DIRIGENTE”.
LO HA
AFFERMATO IN UN’INTERVISTA RILASCIATA ALL’AGENZIA FIDES
MONS.
JOHN CHANG –YIK, SEGRETARIO GENERALE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DELLA COREA
SEOUL. = “In Corea del Sud, dove la comunità
cattolica costituisce solo il 7,4% della popolazione, oltre il 60% dei
parlamentari si professa cattolico. Questo dato si spiega grazie all’ottimo
contributo offerto dalla Chiesa nel settore dell’istruzione”. Con queste parole
mons. John Chang-yik, vescovo di Ch'unch'on e segretario generale della
Conferenza episcopale della Corea, ha evidenziato in un’intervista rilasciata
all’Agenzia Fides il ruolo svolto dalla Chiesa cattolica nella formazione della
classe dirigente. "In Corea del Sud – ha detto il vescovo - la comunità
cattolica è una piccola minoranza e gestisce, attraverso congregazioni
religiose e le diocesi, diversi complessi scolastici e due Università”.
“Il contributo offerto è importante perchè questa presenza numericamente piccola
- spiega Mons. Chang - offre un generoso e riconosciuto servizio alla società
coreana”. Le Università cattoliche, che si distinguono per la selettività delle
prove e degli esami, per la competenza del personale docente e per l'alto
livello scientifico dei centri di ricerca, portano i laureati ad essere
competitivi e ricercati sul mercato del lavoro. “La spiritualità – conclude il
presule - è un tratto distintivo degli istituti cattolici che coniugano lo studio con incontri di
catechesi e di preghiera". (A.L.)
DAL 1996 AD OGGI LA GUERRA CIVILE IN NEPAL HA CAUSATO LA MORTE DI
150 BAMBINI E 2 MILA ORFANI.
QUESTO
E’ IL TERRIBILE BOLLETTINO REDATTO DALL’ASSOCIAZIONE LOCALE “CHILD WORKERS IN NEPAL CONCERNED CENTRE”
KATMANDU. = Dal 1996 ad oggi, la
guerra civile in Nepal ha causato la morte di quasi 150 bambini e 2 mila
orfani. Il terribile bollettino è stato redatto dall’associazione locale “Child Workers in Nepal Concerned Centre”
(Cwin) che ha indicato nei minori le vittime più vulnerabili del conflitto che
da sette anni oppone i ribelli maoisti al governo centrale. Il portavoce del
Cwin, Gauri Prahan, ha sottolineato che i bambini soffrono particolarmente lo
stress e i traumi psicologici causati dalla violenza, in particolare quelli che
abitano sulle colline dove più frequenti sono gli scontri. “Molti adolescenti
della zona occidentale del Nepal – ha affermato Gauri Prahan - sono stati
rapiti dai ribelli mentre erano a scuola”. Più di 7mila persone sono morte
nella guerra civile nepalese, da quando è scoppiata l’insurrezione contro la
monarchia costituzionale con l’obiettivo di instaurare uno Stato comunista. Il
2002 ha visto una terribile recrudescenza della violenza, dopo il fallimento
del primo tentativo di negoziato di pace iniziato l’anno precedente. Il Cwin,
fondato nel 1987, è una delle organizzazioni non governative pioniere per la
tutela dei diritti dei minori in Nepal. Nata con l’obiettivo di ostacolare lo
sfruttamento minorile del lavoro, l’ong si occupa anche di bambini di strada,
combatte il traffico di minori e ogni altra forma di sfruttamento, abuso e
discriminazione contro i bambini. Per i piccoli nepalesi coinvolti loro
malgrado nella guerra civile, Cwin ha predisposto un programma specifico di
aiuti alimentari e di sostegno psicologico. (A.L.)
IL JESUIT
REFUGEE SERVICE – EUROPA (JRS), IL SERVIZIO DI ACCOGLIENZA
E
ASSISTENZA DELLA COMPAGNIA DI GESÙ PER I PROFUGHI E I RIFUGIATI,
TORNA A
METTERE IN GUARDIA L’UNIONE EUROPEA SUI RISCHI DI UN ECCESSIVO
IRRIGIDIMENTO
DELLE MISURE PER CONTENERE L’IMMIGRAZIONE NEL CONTINENTE
BRUXELLES. = Il Jesuit Refugee Service – Europa (Jrs),
il servizio di accoglienza e assistenza della Compagnia di Gesù per i profughi
e i rifugiati, torna a mettere in guardia l’Unione Europea sui rischi di un
eccessivo irrigidimento delle misure per contenere l’immigrazione nel
continente. L’occasione è l’entrata in funzione dell’Eurodac, la nuova banca dati europea per l'identificazione delle
impronte digitali di chi richiede asilo, o cerca di entrare illegalmente, in
uno dei 15 Paesi comunitari. In una nota diffusa martedì, il direttore del Jrs europeo, John Dardis mette in
evidenza come le sempre più efficienti misure adottate dall’Ue per limitare
l’immigrazione illegale potrebbero compromettere anche i diritti legittimi di
persone che hanno realmente bisogno di asilo. “Se i Governi cercano di
prevenire l’abuso del sistema di asilo – rileva la nota - è importante evitare
che i richiedenti asilo non vengano abusati dal sistema”. A preoccupare in
particolare il Jrs è l’inevitabile
“criminalizzazione” di queste persone generata dal rilevamento delle loro
impronte digitali. Una “criminalizzazione” che, tra l’altro, pregiudica il loro
futuro inserimento sociale. Questo, aggiunge, è tanto più grave se si considera
che la misura riguarda anche minori che hanno compiuto 14 anni. Anche se
l’obiettivo di limitare più efficacemente gli abusi del sistema di asilo è
legittimo, rileva in conclusione la nota, “il costo in termini di dignità umana
e di libertà fondamentali potrebbe essere troppo alto”. (L.Z)
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- A cura
di Andrea Sarubbi -
Nel 12.esimo anniversario della guerra del Golfo, la
tensione tra Stati Uniti ed Iraq è tornata a salire. Ieri, il ritrovamento di
12 testate nucleari – undici vuote ed una modificata – che Baghdad sostiene
comunque di aver incluso nel rapporto consegnato all’Onu. Oggi, il discorso di
Saddam Hussein, che non ha risparmiato toni di sfida. Il servizio di Giada
Aquilino:
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Nessun allarme prematuro, ma c’è comunque bisogno di
chiarimenti. Lo svedese Blix, capo degli ispettori, non crede che la scoperta
delle testate possa avvicinare la guerra, ribadisce che i controlli in corso
non hanno intenzione di umiliare l’Iraq, e d’altra parte chiede a Saddam “un
atteggiamento più sincero”. “Se Baghdad non collabora le conseguenze non
saranno buone”, gli fa eco El Baradei, direttore dell’Agenzia internazionale
per l’energia atomica, invocando comunque più tempo per le ispezioni: una
decisione del genere – spiega – potrebbe scongiurare il pericolo del conflitto.
Della stessa idea sono anche il premier italiano, Berlusconi, ed il presidente
francese, Chirac, che oggi ha incontrato El Baradei e Blix a Parigi: il tempo
concesso alle ispezioni deve essere aumentato, ma d’altra parte l’Iraq “dia
segnali indiscutibili di una cooperazione attiva” con gli inviati dell’Onu.
Quanto al possibile conflitto, l’Eliseo ribadisce la sua linea critica: nessun
sostegno ad un’eventuale azione unilaterale, che sarebbe “in contraddizione con
le norme internazionali”. Ma in questo clima Saddam non perde occasione di
riaccendere gli animi: nel discorso per il 12.esimo anniversario della guerra
del Golfo ha ribadito che Baghdad costringerà “gli invasori al suicidio alle
porte di Baghdad”, proprio mentre la stampa araba rivela che, in caso di
attacco americano, l’Iraq sarebbe pronto a prendere in ostaggio gli ispettori
dell’Onu per usarli come scudi umani. Immediata la risposta della Casa Bianca:
gli Stati Uniti forniranno agli ispettori dell’Onu nuove prove sul riarmo
iracheno. Lo ha rivelato l’ambasciatore americano in Russia, Alexander Vershbow.
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“La crisi nordcoreana potrà essere risolta soltanto
attraverso colloqui bilaterali tra Washington e Pyongyang”. Ne è convinto il
viceministro degli Esteri russo, Lossioukov, in missione oggi a Pechino.
Domani, l’inviato di Putin sarà in Corea del nord, per portare - a nome del
Cremlino - la proposta di una penisola coreana denuclearizzata. L’opera di
mediazione internazionale vede attivamente coinvolta anche la Corea del Sud: il
presidente eletto Roh Moo Hyun ha lanciato un appello agli Usa perché venga ripreso
il dialogo, ed ha annunciato un suo prossimo viaggio a Washington.
Gli attacchi suicidi in Israele continueranno, ed
Hamas rifiuterà la tregua di un anno proposta dalla dirigenza palestinese. Lo
ha affermato questa mattina un responsabile del Movimento di resistenza
islamico, mentre l’esercito israeliano ha bloccato la navigazione davanti alle
coste di Gaza, dopo l’esplosione di una nave-bomba avvenuta alle prime ore di
oggi, fortunatamente senza causare vittime. Sul fronte interno israeliano, il
Likud è nuovamente in testa nei sondaggi, a due settimane dalle elezioni legislative
del 28 gennaio.
È di 4 morti, tra cui un bambino, ed una trentina di
feriti il tragico bilancio di un nuovo terribile attentato in Colombia,
provocato dall’esplosione di un'autobomba nel centro di Medellín. Le autorità
locali hanno arrestato un uomo che avrebbe preso parte all’azione terroristica:
si tratterebbe di un gesto delle Forze armate rivoluzionarie, in risposta ad
una serie di arresti da parte del governo.
“I militari francesi resteranno in Costa d’Avorio
anche se arrivasse un contingente di pace internazionale”. Lo ha dichiarato il
generale Beth, responsabile dei 2400 soldati inviati da Parigi in territorio
ivoriano. Intanto, proprio nella capitale francese proseguono i negoziati di
pace tra governo e ribelli: ieri le delegazioni sono state ricevute dall’ex ministro
gaullista Mazeaud. Ma quale clima si respira nelle trattative? Roberto
Piermarini lo ha chiesto a Mario Giro, invitato dal governo francese come
osservatore per la Comunità di Sant’Egidio:
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R. - Mi sembra che ci sia un
clima costruttivo. Naturalmente le posizioni sono distanti sui problemi più
cruciali, come quello della cittadinanza, del riconoscimento della nazionalità
degli immigrati che stanno da 20 o 30 anni nel Paese: un Paese plurale,
complesso. Poi c’è il discorso sulla terra e quello sull’eleggibilità. Insomma,
ci sono vari problemi abbastanza complessi, che però sono vecchi e che in
questi anni di crisi non hanno trovato una soluzione definitiva. Credo che questa
conferenza, con la volontà dei mediatori francesi, abbia messo tutti quanti nello
spirito di dire che bisogna assolutamente trovare una soluzione.
D. – I ribelli come accolgono le
proposte della Francia?
R. – Con interesse, perché è la
prima volta che sono ad un tavolo e allo stesso livello degli altri. Quindi,
sono considerati parte in causa, e questo riconoscimento per loro è importante.
In questo senso, loro stanno giocando il gioco del dialogo.
D. – Che notizie arrivano dalla
Costa d’Avorio, durante questi giorni di lavori?
R. – Notizie di molta attesa. La
gran parte della popolazione vuole la pace, soprattutto la gente semplice. Le
notizie che escono da qui sono poche, perché siamo chiusi fuori Parigi in un
complesso da cui non si esce e dove si lavora con grande concentrazione. Sono,
comunque, tutti in attesa di queste notizie.
D. – Stamattina sono arrivate
notizie secondo cui Gbagbo ha detto che i ribelli stanno violando il cessate il
fuoco. A voi è arrivata questa voce?
R. – Sì, ma l’esercito francese
presente nel luogo ha già minimizzato gli avvenimenti. Non bisogna creare
squilibri in questo difficile equilibrio che si sta creando.
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Stanno tutti bene e si trovano in Ciad 25 dei 33
missionari cattolici che da alcune settimane erano radunati per motivi di sicurezza
nel nord della Repubblica Centrafricana, in una zona controllata dai ribelli
legati all’ex capo di Stato maggiore François Bozizé. Ce ne parla Giulio
Albanese:
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I 25 missionari sono giunti ieri
sera e appartengono a varie nazionalità – sono italiani, francesi, spagnoli,
polacchi, brasiliani e malgasci – e si trovano nei locali messi a disposizione
dalla diocesi cattolica di Sarh. I ribelli hanno accompagnato la carovana fino
al confine con il Ciad. Otto di loro però hanno deciso di rimanere in
Centrafrica: non hanno voluto abbandonare la loro missione, perché hanno
preferito restare vicino alla gente che ormai non ha più nulla. La guerra nella
Repubblica centrafricana ha effetti devastanti sulla popolazione locale. Va
ricordato che lo scorso 25 ottobre, uomini armati fedeli a Bozizè hanno tentato
di rovesciare il governo del presidente centrafricano Patassè. Dopo essere
stati respinti dalla capitale Bangui, i rivoltosi hanno iniziato a conquistare
le principali città del nord del Paese, che in gran parte controllano ormai da
un paio di mesi.
Per la Radio Vaticana, Giulio
Albanese.
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Tre bambini sono morti in Vietnam per l'esplosione
accidentale di una vecchia bomba a
frammentazione, probabilmente risalente agli ultimi anni del conflitto
terminato nel 1975. I piccoli, di età compresa fra i dieci e gli undici
anni, stavano giocando in un campo poco
lontano dal loro villaggio, nella
provincia di Quang Ngai, quando la bomba è scoppiata, uccidendoli sul
colpo.
Dopo settimane di estenuanti dibattiti, la
commissione costituzionale serbo-montenegrina per il varo della nuova unione
'Serbia e Montenegro' ha approvato la legge di applicazione del testo
costituzionale concordato nel dicembre scorso. Ora la parola passa ai tre
parlamenti di Serbia, Montenegro e Federazione jugoslava, che dovranno
approvare la nuova carta fondamentale.
Tornerà a riunirsi il prossimo 24 gennaio il
Parlamento della Repubblica ceca, che mercoledì non è riuscito ad eleggere il
successore di Havel. In testa alle preferenze è finora Klaus, candidato dell'opposizione
di destra.
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