RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 16 - Testo della
Trasmissione di giovedì 16 gennaio
2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E
SOCIETA’:
Aperto a
Roma il 14 gennaio l’Incontro “Libertà di religione: diritto umano negato in
Birmania”.
Eletto
ieri dal Parlamento di Strasburgo il nuovo difensore civico europeo.
Blix all’Unione
europea: l’Onu chiederà un nuovo rapporto degli ispettori in febbraio.
Prosegue a Parigi la
conferenza per la pace in Costa D’Avorio.
Ecuador: insediato il
nuovo capo di Stato, Gutierrez.
E’ polemica in Italia
per il sì della Consulta al referendum sull’art. 18.
16 gennaio 2003
POLITICHE ATTENTE E SOLIDALI NEI
RIGUARDI DELLA FAMIGLIA,
DEI GIOVANI E DELLE FASCE SOCIALI PIU’
DEBOLI.
QUESTO
L’INVITO RIVOLTO DAL PAPA AGLI AMMINISTRATORI DELLA REGIONE LAZIO,
DEL COMUNE E DELLA PROVINCIA DI ROMA
-
Servizio di Alessandro De Carolis -
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Uno sguardo attento alle realtà sociali del Lazio, ai suoi
bisogni: quelli delle famiglie, dei giovani, dei lavoratori, degli immigrati,
dei poveri, dei malati. Ma anche l’importanza della collaborazione tra amministrazioni
locali e la Chiesa con le sue istituzioni, per il bene dei cittadini. Sono i
temi toccati questa mattina da Giovanni Paolo II durante il tradizionale
incontro di inizio anno con il presidente della Regione Lazio, Francesco
Storace, il presidente della Provincia di Roma, Silvano Moffa, e il sindaco
della capitale, Walter Veltroni.
“In un momento di forte
preoccupazione per le sorti della pace nel mondo e gravato anche da non pochi
problemi nazionali e locali”, il Papa ha nuovamente orientato lo sguardo alla
pace e alla riconciliazione: valori enunciati - lo ha ricordato - durante la
“memorabile” visita al Parlamento italiano, lo scorso 14 novembre, ma sempre
validi da ricercare e promuovere anche in orizzonti più ristretti, in particolare,
nel territorio che da due millenni è culla della tradizione cristiana:
“Proprio quando crescono i
pericoli di scontro e di conflitto fra le diverse Nazioni e culture, emerge più
nitida e più urgente quella missione di amore, e quindi di pace, di reciproca
comprensione e riconciliazione che è propria del cristianesimo e che pertanto
corrisponde alla vocazione storica di Roma, centro della cattolicità”.
Con attenzione ai singoli ambiti
della vita sociale, Giovanni Paolo II si è soffermato sulle problematiche che
caratterizzano il Lazio e la sue gente, ma che “minacciano l’Italia come molte
altre nazioni”. A partire, ha osservato, dalla “crisi di tante famiglie”, dalla
“scarsità delle nascite”, dall’”invecchiamento della popolazione”. Per essere
risolti, tali problemi, ha affermato il Pontefice, hanno bisogno della
“cordiale e operosa collaborazione” della Chiesa con le istituzioni civili.
Collaborazione sui temi della famiglia, che ha bisogno di riscoprire la
“sacralità” dei suoi vincoli, e collaborazione nel settore educativo. “La comunità
cristiana - ha detto il Papa - ha qui un fondamentale campo di testimonianza e
di impegno”:
“Ma è ugualmente
indispensabile che la famiglia fondata sul matrimonio sia oggetto privilegiato
delle politiche sociali: mi rallegro pertanto per lo sviluppo delle iniziative
a favore delle famiglie (...) Parimenti importante è la nostra reciproca collaborazione
riguardo alla formazione delle giovani generazioni, in aiuto alla primaria
responsabilità delle famiglie. Il sostegno alle Scuole cattoliche, come agli Oratori
e ad altri organismi educativi promossi dalla comunità cristiana, è una delle
forme in cui si esplica positivamente tale collaborazione”.
Il Lazio e la provincia romana, ha
proseguito Giovanni Paolo II, hanno “notevoli potenzialità” per quanto riguarda
l’incremento dell’occupazione. Ad esempio, c’è un patrimonio storico e
artistico straordinario che “offre grandi opportunità di sviluppo e di lavoro”,
ha notato il Pontefice. Per il quale, anche la forza lavoro costituita dagli
immigrati è un patrimonio che va sempre “meglio compreso e valorizzato”. Infine, l’emarginazione: quella dei poveri e
l’altra, diversa, dei malati. Giovanni Paolo II ha detto di apprezzare
sinceramente gli sforzi di solidarietà compiuti dalle amministrazioni per
alleviare i disagi “di tante persone e famiglie, in modo particolare di
moltissimi anziani”. Ed ha invitato ad avere costantemente uno spirito “di attenta
sollecitudine” verso di loro e verso i malati. “Conosco le difficoltà” che attraversa
il settore sanitario e “che rendono tanto più meritori gli sforzi e i lodevoli
progressi compiuti”, ha concluso il Papa, che ha assicurato - anche in questo
caso - il contributo delle istituzioni ospedaliere di matrice cattolica.
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PUBBLICATA OGGI DALLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA
DELLA FEDE
UNA
“NOTA DOTTRINALE CIRCA ALCUNE QUESTIONI RIGUARDANTI L’IMPEGNO
E IL
COMPORTAMENTO DEI CATTOLICI NELLA VITA POLITICA”.
CON
NOI L’ARCIVESCOVO TARCISIO BERTONE
-
Servizio di Giovanni Peduto -
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E’ una Nota non di carattere puramente o prettamente
pastorale, anche se ha dei risvolti pastorali e delle incidenze nella vita
sociale, nell’impegno sociale dei cattolici. E’ una Nota dottrinale, cioè vuole
illustrare alcuni principi-guida per il comportamento dei cattolici che sono
impegnati nella vita politica: alcuni criteri fondamentali dal punto di vista
dottrinale, esattamente, quindi dal punto di vista dei principi che devono
dirigere le prese di posizione e anche la coerenza di vita dei cattolici che
professionalmente si dedicano al bene comune della società ma con
un’ispirazione profondamente cristiana: questa è la peculiarità. Ma quali sono
le motivazioni all’origine di questo documento? La parola all’arcivescovo
Tarcisio Bertone, finora segretario della Congregazione per la dottrina della
fede e da poco nominato dal Pontefice arcivescovo di Genova:
R. – Il problema è la grande dispersione dei politici
cattolici in una frammentazione di compagini di impegno politico: c’è una
grande dispersione in tutti i partiti politici, per usare una terminologia
italiana, in tutti i partiti dell’arco costituzionale, per fare un esempio. Il
problema nasce dalla divisione che ormai è indotta nei comportamenti di molti
politici tra il privato e il pubblico. Direi che questo è un punto nodale
fondamentale. Cioè, molti dicono che in privato possono, devono per coerenza
essere cattolici praticanti, ma nel pubblico, nell’attività pubblica, devono
tener conto del cosiddetto pluralismo che vige nella società e allora non
possono farsi portavoce di una sola parte o di un nucleo di principi che
corrispondono ad un’appartenenza - per esempio, all’appartenenza religiosa alla
religione cristiana. L’altro punto fondamentale, che connota la situazione di
oggi, è il relativismo connesso con il pluralismo. Essendoci un grande
pluralismo di opzioni, di appartenenze, di opinioni nella società, non si può
proporre una verità assoluta, una verità universale, soprattutto in certi
settori che toccano la vita pubblica e soprattutto la legislazione che deve guidare
la vita di una compagine sociale di una nazione, e allora il relativismo è
dominante e imperante. Il relativismo offusca l’annuncio della verità e la
fedeltà alla verità, che viene sopraffatta dalla libertà, e da una libertà che
diventa un assoluto, non solo per tutti i cittadini di una Nazione, ma anche
per tutti gli operatori politici, coloro che dovrebbero pensare anche a fornire
la società di alcuni principi guida e di una legislazione che fissi un alveo di
cammino della società verso il bene comune. Allora, questi due punti nodali
sono un po’ le ragioni che hanno prodotto la necessità di elaborare questa Nota
dottrinale.
D. – Il suo contenuto adesso, in grandi linee:
R. – Intanto, sottolineo già il titolo: “Nota dottrinale
circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici
nella vita politica”. Qui si sottolinea l’impegno: di fatti, il primo capitolo
parte da un insegnamento costante della Chiesa sull’impegno del cristiano nel
mondo in duemila anni di storia, a cominciare dalla famosa Lettera a Diogneto,
nella quale l’autore affermava che “i cristiani partecipano alla vita pubblica
come veri cittadini”, e quindi non devono essere passivi, non devono
disimpegnarsi dalla vita pubblica, non devono cedere agli altri questo compito
sociale, ma devono impegnarsi in prima persona, e anzi proprio la Lettera a
Diogneto diceva che i cristiani devono essere l’anima del mondo. E pensiamo che
Diogneto scriveva in un mondo pagano, in un mondo non ancora pervaso
dall’annuncio cristiano e dall’esperienza cristiana di vita personale e
sociale.
Il secondo
capitolo presenta alcuni punti nodali del complesso processo culturale che si
denota all’orizzonte della vita sociale, e il processo culturale riguarda
soprattutto quello che è chiamato giustamente un certo “relativismo culturale”
che offre evidenti segni nella teorizzazione e nella difesa del pluralismo etico:
non c’è più un nucleo etico fondamentale. Uno dei problemi cruciali che stanno
anche tanto a cuore al Santo Padre è la perdita di rilevanza della legge
naturale: anche in ambiti cattolici si rimuove il concetto della legge naturale
universale, e quindi del diritto naturale universalmente valido. Cioè, questo
denominatore comune che dovrebbe guidare credenti e non credenti, cristiani e
non cristiani, ma che i cristiani, in forza della loro missione, della loro
vocazione sono chiamati in prima linea a mettere in rilievo e a proporre nel
concerto anche delle proposte politiche, culturali, è obliterato, quasi
annullato. In Italia è proposto un
progetto culturale cristiano, e ogni cristiano, secondo la matrice da
cui proviene, è chiamato come gli altri, che provengono da altre estrazioni
culturali, a dare il proprio specifico contributo per la costruzione di una
società a misura d’uomo.
Il terzo capitolo presenta i principi della dottrina
cattolica su “laicità e pluralismo”, un corretto concetto di laicità.
Evidentemente è diversa la impostazione anche comportamentale all’interno della
Chiesa - per chi appartiene alla Chiesa cattolica - all’interno del popolo di
Dio, e all’interno di una società civile. Sappiamo che anche il Concilio, nella
Gaudium et Spes, ha sancito una legittima autonomia delle realtà terrene
ed una sana laicità dello Stato. Ma una cosa è affermare una sana laicità dello
Stato, un’altra cosa è proporre - come anche già qualche commentatore ha fatto
a proposito di questo documento, nelle anticipazioni che sono state presentate
dai giornali - un vieto laicismo anticlericale che parla di ingerenza della
Chiesa nella società civile o che parla di “divieto” alla Chiesa di intervenire
in tutto ciò che riguarda la impostazione della società civile. Questa
dicotomia è una dicotomia inaccettabile. Il Concilio afferma: “La comunità
politica e la Chiesa sono indipendenti ed autonome l’una dall’altra nel proprio
campo. Tutte e due, anche se a titolo diverso, sono al servizio della stessa
persona umana. Esse svolgeranno questo servizio a vantaggio di tutti in maniera
tanto più efficace quanto meglio coltivano una sana collaborazione tra di loro”
(Gaudium et Spes, no. 76).
Il quarto capitolo tratta alcuni aspetti particolari
attinenti al rapporto fede-cultura, libertà e verità.
D. – Eccellenza, possiamo definire questo documento un
‘vademecum’ per i cattolici impegnati in politica?
R. – Senza dubbio. A qualsiasi formazione partitica
appartengano, con assoluto rispetto per la libertà di opzione politica, di
opzione temporale. Però la esigenza che viene sottolineata in questa Nota
dottrinale è di una coerenza con il nucleo fondamentale di criteri etici che
valgono non solo per i cattolici ma possono valere per tutti, per credenti e
non credenti. Si tratta di una concezione della società a misura d’uomo, a
misura di principi etici da cui non si può prescindere: etica ed economia,
etica e cultura, etica e legislazione (pensiamo soprattutto alla tutela della
vita e della famiglia fondata sul matrimonio). Se vogliamo educare un popolo
che sia portatore di una prospettiva di futuro per l’umanità che non sia
autolesionista, che non vada verso l’autodistruzione, dobbiamo costruire una
società secondo un progetto etico che sia veramente a favore del bene comune.
Giova ricordare la descrizione di ‘bene comune’ che ha
fatto Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in terris no. 35: “Il bene
comune ha attinenza a tutto l’uomo, tanto ai bisogni del suo corpo che alle
esigenze del suo spirito. Per cui i poteri pubblici si devono adoperare ad
attuarlo nei modi e nei gradi che ad essi convengono; in maniera però da
promuovere simultaneamente, nel riconoscimento e nel rispetto della gerarchia
dei valori, tanto la prosperità materiale che i beni spirituali”.
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Il Papa
ha ricevuto stamani in successive udienze il cardinale africano Frédéric Etsou Nzabi
Bamungwabi, arcivescovo di Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo; e
il vescovo colombiano mons. Jorge Enrique Jiménez Carvajal, presidente del
Consiglio episcopale latinoamericano.
In Ungheria, il Santo Padre ha accettato la rinuncia all’ufficio
di ausiliare della diocesi di Eger, presentata dal vescovo mons. Endre Kovàcs,
dell’Ordine Cistercense, per limiti di età.
LA CENTRALITA’ DELLA PERSONA UMANA E LA
SFIDA DELLA PACE,
TEMI
FORTI DEL DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AL CORPO DIPLOMATICO.
LE
RIFLESSIONI DEL CARDINALE ROBERTO TUCCI
“Tutto può cambiare, dipende da ciascuno di noi”. Un inno
alla speranza, alla fiducia nell’uomo. Il discorso di Giovanni Paolo II al
Corpo Diplomatico è stato anche questo. Una fiducia che va alimentata con gesti
concreti, atti coraggiosi nella convinzione che la centralità della persona
umana e il rispetto della vita sono principi intangibili alla base della convivenza
tra i popoli. Il Papa, parlando ai diplomatici, ha così richiamato tutti al
rispetto di alcuni imperativi per evitare che l’umanità precipiti nell’abisso.
Indicazioni forti, sintetizzabili in “un sì alla vita”, alla solidarietà tra
gli uomini e “un no alla morte”. Un no convinto all’egosimo e alla guerra.
Proprio su quest’ultimo punto - la sfida della pace lanciata dal Pontefice ai
leader di tutto il mondo - si è concentrata l’attenzione dell’opinione pubblica
mondiale che segue con preoccupazione l’evolversi della crisi nel Golfo Persico.
Un aspetto del documento, questo, che viene evidenziato dal cardinale Roberto
Tucci, al microfono di Rosario Tronnolone:
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R. – Mi sembra che questo discorso del Papa si ponga un
po’ come uno dei momenti fondamentali delle prese di posizioni della Chiesa nei
tempi recenti a proposito della pace e della guerra, e quindi lo metterei sul
piano dell’enciclica Pacem in terris di Papa Giovanni, dell’intervento
di Paolo VI all’Onu Mai più la guerra, del Concilio Vaticano II nella Gaudium
et Spes sulla guerra. Mi sembra che sia il testo di punta, un vertice delle
posizioni della Chiesa nei confronti della guerra. Se dovessi cercare di
interpretare i sentimenti del Santo Padre, a parte le idee che sono chiaramente
espresse in questo rispetto della vita, rispetto del diritto, dovere della
solidarietà, no alla morte, no all’egoismo, no alla guerra, credo che sia la
preoccupazione del Santo Padre per le popolazioni civili dell’Iraq, qualora
dovesse scoppiare la guerra. Mi sembra che questa preoccupazione sia nel
centro, al cuore del Santo Padre in questo momento.
D. – Proprio questa mattina, su “Avvenire” c’è un
intervento di mons. Martino che dice: “Con la guerra non si eliminano le cause
economiche e culturali del terrorismo”: quali sono queste cause?
R. – Anzitutto, le grandi ingiustizie sociali che esistono
tra il mondo affluente e il cosiddetto mondo ‘in via di sviluppo’; cioè, il
Papa ha insistito molto sul dovere della solidarietà: quando c’è una grande
differenza tra il mondo affluente e il mondo dei Paesi in via di sviluppo, è
più facile che ci sia un sentimento aggressivo nei riguardi dell’Occidente,
perché l’Occidente viene identificato con il mondo affluente. Quindi, è più
facile che un certo fondamentalismo islamico trovi terreno per gente che
aderisca alle posizioni così estremiste, terroristiche di questo islamismo
fondamentalista. D’altro canto, se si cominciano a violare le regole
fondamentali del diritto internazionale da parte di una nazione perché questa
ha i mezzi economici e militari per imporre la sua volontà anche all’Onu, in un
certo senso, certo questa è una grave ferita all’ordine internazionale.
D. – Qualcuno sulla stampa italiana ha parlato di
unilateralismo a proposito degli interventi del Santo Padre ...
R. – Chiaro che
bisogna tener conto che in Occidente c’è almeno un sostrato. E’ rimasto un
sostrato di valori comuni con la Santa Sede, in quanto che questo mondo
occidentale è stato permeato anche e molto fortemente da valori cristiani. Il
Santo Padre si può rivolgere più facilmente a questo mondo perché può avere
ancora conservata una certa sensibilità a questi valori cristiani che sono
stati anche valori accettati o perlomeno accolti in parte dal mondo occidentale
anche più di recente. Poi, bisogna tener conto di un altro fatto: il Santo
Padre, in certe situazioni, con un mondo invece che non ha queste basi comuni
come noi - noi cattolici, noi cristiani - come può essere il mondo dell’islam,
e anche una gran parte del mondo asiatico, deve stare molto attento perché se
colpisce fortemente, se accusa certi governi non democratici in Paesi dove i
cristiani sono minoranza, c’è il pericolo che le spese di questi interventi
ricadano proprio sulla minoranza cristiana.
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“La famiglia fondata sul matrimonio sia oggetto
privilegiato delle politiche sociali” è il titolo che apre la prima pagina, in
riferimento al discorso del Papa ai rappresentanti della Regione Lazio, del
Comune e della Provincia di Roma. Si mette poi in evidenza questo passo del
discorso: “La cittadinanza onoraria di Roma è per me un ulteriore stimolo ad
incoraggiare la dedizione alla causa della pace di questa nobilissima città”.
Una riflessione di Marco Impagliazzo sul discorso di
Giovanni Paolo II al Corpo Diplomatico. Il titolo alla riflessione è “‘Tutto
può cambiare’: un richiamo alla responsabilità delle persone e degli Stati”.
“Dio ascolta la voce del cuore più che la voce della
bocca” è il titolo del pensiero dedicato all’Anno del Rosario.
Nelle pagine vaticane, Congregazione della Dottrina della
Fede: “Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il
comportamento dei cattolici nella vita politica”. Un articolo di Giulio
Masciarelli sulla “Settimana di preghiera ecumenica” nella chiesa di Santa
Brigida, a Piazza Farnese.
Nelle pagine estere, Iraq: Bush chiede appoggio alla Nato
in vista di un eventuale attacco.
Medio Oriente: Israele blocca con misure restrittive lo
sviluppo dei centri culturali palestinesi.
Venezuela: per tentare di uscire dalla crisi, costituito
un “Gruppo di Paesi amici”.
Nella pagina culturale, un contributo di Antonio Scottà
dal titolo “La rigorosità delle analisi unita ad una viva paternità pastorale”:
le “Relationes ad limina” del vescovo Longhin.
Nelle pagine italiane, in primo piano la situazione
politica. Il tema del terrorismo.
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MOSE’, IL GRANDE PATRIARCA BIBLICO AL CENTRO DEI LAVORI DELLA
14.MA GIORNATA PER L’APPROFONDIMENTO
E LO
SVILUPPO DEL DIALOGO TRA CATTOLICI ED EBREI CHE SI CELEBRA DOMANI.
CON NOI AMOS LUZZATTO, PRESIDENTE DELL’UNIONE
DELLE
COMUNITA’ EBRAICHE ITALIANE
-
Servizio di Paolo Ondarza -
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Ricorre domani, venerdì 17 gennaio, la giornata per
l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, quest’anno
sul tema “Mosè parlava con Dio e tutto il popolo ne fu testimone” tratto dal
libro dell’Esodo. Questa sera per l’occasione il Vicariato di Roma ha
organizzato alle ore 18 nell’Aula Magna dell’Ateneo Lateranense, un incontro a
più voci per celebrare la giornata di confronto tra le due religioni,
presieduto dal rettore dell’Università, mons. Rino Fisichella, presidente della
Commissione Diocesana di Roma per l’Ecumenismo e il Dialogo. Tra i vari
interventi sono previsti quello del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni
e quello del rettore della Pontificia
Università Urbaniana, mons. Ambrogio Spreafico. Ad essi seguiranno i contributi
di Paolo Ricci Sindoni, docente di Filosofia Morale all’Università degli Studi
di Messina, e del rabbino Alberto Piattelli. Diamo oggi la parola ad Amos
Luzzatto, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, attualmente
in Israele per portare la solidarietà degli ebrei italiani a parenti ed amici.
R. – La figura di Mosè ha due funzioni nella storia
ebraica. Una è quella di parlare a nome di Dio consegnando agli ebrei la legge,
facendo capire ad essi cioè che sono stati scelti, in quanto portatori di
obblighi particolari nei confronti del Signore Iddio. La seconda funzione di
Mosè consiste nel condurre il popolo nell’esodo: un cammino verso un nuovo
rapporto con se stessi e con Dio.
D. – In che modo la figura di Mosè può stimolare la
costruzione di un dialogo tra ebrei e cattolici?
R. – Intanto,
credo che il valore della legge morale dovrebbe essere un patrimo-nio, ormai,
di tutti coloro che si richiamano all’antica tradizione tramandata dalla
Bibbia. Questa stessa legge ha in sé i principi utili, se ben adoperati, a
stabilire migliori rapporti tra gli uomini e tra gruppi di uomini.
D. – Dal 1989, ogni anno, il 17 di gennaio, ebrei e
cattolici si ritrovano insieme per dialogare. Quali i punti di forza di questo incontrarsi e quali i punti ancora
da risolvere, i punti più deboli?
R. –
Esistono dei concetti sui quali temo che molte volte cristiani ed ebrei non
intendano la stessa cosa: salvezza, risurrezione, messianicità, purezza, termini,
comuni alle due religioni. Comune è poi considerare Dio, padre. Questo rapporto
filiale-paterno dovrebbe far avvicinare in una riflessione comune ebrei e
cattolici, ebrei e cristiani in genere.
D. – Verso dove è orientato il dialogo?
R. – Verso due direzioni. Una è quella di conoscersi
meglio e capirsi meglio. C’è ancora molta strada da fare, perché troppi secoli
di divisione ci separano. Abbiamo cominciato, ma adesso bisogna andare avanti.
La seconda direzione da seguire è unire le forze per affrontare insieme alcuni
problemi drammatici e imminente: la pace, la guerra, la fame nel mondo, tutti
aspetti che in questo momento storico richiedono un profondo impegno comune.
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16 gennaio 2003
UNA SEQUELA DI BARBARIE: ATTI DI CANNIBALISMO,
STRUPRI DI MASSA, OMICIDI, RAPIMENTI E SACCHEGGI.
NEL NORD EST
DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO SI STA CONSUMANDO UNA TRAGEDIA
NONOSTANTE
GLI ACCORDI DI PACE DEL DICEMBRE SCORSO.
LA DENUNCIA IN UN RAPPORTO DELL'ONU
KINSHASA. = Cannibalismo, stupri
di massa, omicidi, rapimenti, saccheggi: atti orribili e inenarrabili sono
stati compiuti negli ultimi mesi nel nord est della Repubblica Democratica del
Congo, l'ex Zaire. Lo ha accertato una Commissione di indagine dell'Onu, dopo
aver interrogato almeno 350 persone coinvolte nella tragedia. Un rapporto sulla
vicenda è stato reso noti ieri a Kinshasa. La realtà sembra andare al di là di
ogni immaginazione: una sequela di barbarie nel segno del terrore, conseguenza
di una guerra civile iniziata nell'agosto del '98 e che finora ha mietuto
almeno 2 milioni e mezzo di morti. Questa la fotografia di un Paese ricchissimo
di risorse piegato da un conflitto feroce, che non trova soluzione, malgrado gli
accordi di pace, l'ultimo firmato lo scorso dicembre a Pretoria. Per assurdo,
proprio i recenti negoziati, che non hanno previsto i necessari passi per il
riordino delle milizie interne, stanno scatenando le peggiori rappresaglie.
L'intesa, infatti, ha portato alla ritirata degli Eserciti stranieri dal Congo.
Sei, infatti, le Nazioni coinvolte: Angola, Namibia e Zimbabwe al fianco del
governo di Kinshasa; Ruanda, Uganda (che pure tra loro hanno rischiato la
guerra; mentre i guerriglieri a loro legati si combattevano apertamente) e,
marginalmente, Burundi al fianco degli antigovernativi. Smobilitate le truppe
straniere, i gruppi di guerriglia, come le milizie irregolari legate al
governo, sono rimaste senza alcun controllo, dandosi ad un vero e proprio banditismo.
Ciò soprattutto nel nord-est, area tra le più ricche e contese, di fatto
controllata dagli antigovernativi, peraltro fortemente divisi tra filoruandesi
e filougandesi. Proprio i filougandesi sono ritenuti i principali responsabili
degli orrori recenti, anche se il loro leader smentisce. La Commissione
dell’Onu ha comunque accertato che, al di là delle etichette, si tratta di miliziani
allo sbando, soldati perduti, in larga misura drogati, privi ormai di qualunque
riferimento. Questa situazione intollerabile ha spinto alla fuga precipitosa circa
150.000 civili dalla seconda metà di ottobre, e tra loro moltissimi pigmei, che
mai avevano lasciato le loro foreste.
(R.G.)
“L’IMPEGNO DELLE CHIESE EUROPEE E NORDAMERICANE A FAVORE
DELLA TERRA SANTA NON DIMENTICHI LE SCUOLE”.
E’
QUESTO L’APPELLO DI PADRE MARUN LAHHAM,
RETTORE DEL SEMINARIO DEL PATRIARCATO LATINO
DI GERUSALEMME
GERUSALEMME. = "Molto è stato fatto ma molto
resta ancora da fare". Così sollecita padre Marun Lahham, rettore del
Seminario del Patriarcato latino di Gerusalemme, le Chiese europee e
nordamericane ad operare con sollecitudine a favore della Terra Santa e dei
cristiani che vi abitano. Su questo tema in corso nella città santa un incontro
in corso in questi giorni a Gerusalemme tra i vescovi europei e nordamericani
con il patriarca latino, Michel Sabbah e il nunzio apostolico in Israele,
Pietro Sambi. Secondo il rettore “deve essere riconosciuto maggiormente il
ruolo delle scuole perché l’istruzione consente ai giovani di costruire il loro
futuro in Israele". “All’impegno dei vescovi che partecipano a questa
iniziativa - afferma padre Lahham - deve corrispondere anche quello dei
cristiani a ritornare, come pellegrini, nei Luoghi Santi”. Non si tratta solo
di un appoggio spirituale, pure innegabile e importante, ma anche materiale.
“La presenza di pellegrini - prosegue il religioso - permetterebbe infatti di
risollevare l’economia locale dando respiro a molte famiglie, non solo
cristiane, che vivono di artigianato e di turismo”. Nonostante le difficoltà
dei cristiani in Terra Santa non mancano le vocazioni. "Nel nostro
Seminario a Gerusalemme - conclude padre Lahham - abbiamo 23 seminaristi a cui
è affidato il futuro dei cristiani della Terra Santa”. (A.L.)
L’OSSERVATORIO CENTRAFRICANO DEI DIRITTI
DELL’UOMO
HA
ESPRESSO SOSTEGNO INCONDIZIONATO A MONS. PAULIN POMODIMO,
VESCOVO DI BOSSANGOA, NOMINATO COORDINATORE
DEL “DIALOGO NAZIONALE”
BANGUI. = “Appoggio e sostegno
incondizionato” è stato espresso dall’Osservatorio centrafricano dei diritti
dell’uomo (Ocdh) nei confronti di mons. Paulin Pomodimo, vescovo di Bossangoa e
coordinatore del “dialogo nazionale”. Il cammino di riconciliazione dovrebbe
coinvolgere sia le formazioni politiche che la società civile del tormentato
Paese, dove da quasi tre mesi i ribelli legati all’ex capo di Stato maggiore,
François Bozizé, controllano gran parte delle zone settentrionali. Il
presidente dell’Ocdh, Lambert Zokoezo, ha sottolineato che la nomina del presule
alla guida dell’organismo, chiamato a favorire l’incontro tra tutte le parti politiche
del Paese, è "una garanzia morale e un atto di fiducia alla società".
Alcune settimane fa il presidente della Repubblica Centrafricana, Ange Felix
Patassé, ha incaricato mons. Pomodimo di coordinare il tavolo del negoziato
interno per superare l’empasse politico-militare del Paese. "La Repubblica
Centrafricana - si legge in un appello alla pace dell’Osservatorio - deve
smettere di compiere violazioni, saccheggi, massacri ed esecuzioni sommarie per
riprendere un dialogo costruttivo che non escluda nessuno". L’iniziativa
guidata dal vescovo di Bossangoa, tenacemente richiesta dall’opposizione e
promossa dal capo di Stato nel mese di novembre, ha preso avvio soltanto la
scorsa settimana. (A.L.)
LA CHIESA CATTOLICA IN BIRMANIA E’ UNA
REALTA’ VIVA IN UN PAESE OPPRESSO.
COSI’ PADRE VITO DEL PRETE,
SEGRETARIO
NAZIONALE DELLA PONTIFICIA UNIONE MISSIONARIA
HA APERTO A ROMA IL 14 GENNAIO L’INCONTRO
“LIBERTA’ DI RELIGIONE: DIRITTO UMANO NEGATO
IN BIRMANIA”
ROMA. = "I problemi che affliggono la
diffusione del messaggio cristiano in Birmania non sono diversi da quelli che
riguardano tutto il sud-est asiatico ma le condizioni in cui versano i
missionari e gli ecclesiastici presenti nel Paese sono molto più gravi che
altrove". Con queste parole padre Vito Del Prete, missionario e segretario
nazionale della Pontificia unione missionaria, è intervenuto, il 14 gennaio
all’incontro "Libertà di religione: diritto umano negato in
Birmania". "La giunta militare che governa il Paese da più di
quarant’anni - ha affermato il religioso - persevera in una costante
persecuzione dei cattolici e non rispetta i diritti umani”. A tutt’oggi le
missioni non possono avere scuole, ai cristiani è proibito ogni tipo di
proselitismo e raduno e le comunità vengono ritenute conniventi con i
guerriglieri del nord. "Nonostante i problemi - ha aggiunto il missionario
- in Birmania esiste una Chiesa viva, che pur sopportando sulla sua pelle il
peso della discriminazione e del sospetto non rinuncia ad una missione
evangelizzatrice qui più forte perché vicina ai poveri, ai sofferenti e agli
oppressi”. “Ma anche una Chiesa - ha concluso padre Del Prete - che avrebbe
bisogno di più attenzione per continuare ad essere percepita dalla popolazione
come un giardino di libertà". (A.L.)
NIKIFOROS DIAMANDOUROS, 60 ANNI, DI NAZIONALITA’ GRECA E’
STATO ELETTO IERI
DAL
PARLAMENTO DI STRASBURGO NUOVO DIFENSORE CIVICO EUROPEO
STRASBURGO. = Il greco Nikiforos Diamandouros, 60
anni, sarà il nuovo mediatore europeo eletto ieri dal Parlamento di Strasburgo.
Diamandouros, attuale difensore civico nazionale ad Atene, sostituirà dal primo
febbraio il finlandese Jacob Soederman, che sei anni fa diventò il primo
mediatore dell'Unione europea e che ora andrà in pensione. Il nuovo difensore
civico Ue rimarrà in carica fino alle prossime elezioni europee del giugno
2004. Diamandouros ha ottenuto 293 voti contro 205 del candidato britannico Roy
Perry, eurodeputato conservatore membro del gruppo del Ppe. Il difensore civico
europeo è una figura nata con il trattato di Maastricht ed ha il mandato di
mediare fra le istituzioni europee e i cittadini non soddisfatti dalle loro
decisioni e di indagare sui presunti casi di cattiva amministrazione da parte
dell'eurocrazia. (R.G.)
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- A cura
di Giada Aquilino -
Il Consiglio di sicurezza dell'Onu chiederà ''un
nuovo rapporto in febbraio'' sul disarmo iracheno, dopo quello che gli
ispettori presenteranno al Palazzo di Vetro il prossimo 27 gennaio. Se ne è
detto ''quasi sicuro'' il capo degli ispettori dell’Onu, Hans Blix, oggi a
Bruxelles per riferire all’Unione europea delle verifiche realizzate fino ad
oggi in Iraq. Al rappresentate Ue per la Politica estera Solana, Blix ha già
espresso la propria preoccupazione per la mancata cooperazione da parte del
regime iracheno con gli inviati delle Nazioni Unite, sottolineando che ''la
situazione è tesa e pericolosa''. Negli incontri con i Quindici si potrebbe
parlare anche delle verifiche avvenute in uno dei siti presidenziali della
capitale irachena:
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Gli inviati delle Nazioni Unite
hanno passato quattro ore nel complesso noto come il “Vecchio palazzo sopra il
fiume Tigri”, provocando reazioni nell’opinione pubblica, che vede queste
verifiche come affronti alla sovranità nazionale. Il capo dell’Agenzia Onu per
l’energia atomica (Aiea), Mohamed El Baradei, in visita a Mosca, ha detto che
le ispezioni procedono e anche se i risultati sono lenti rappresentano un
progresso rispetto all’ipotesi della guerra. El Baradei ha aggiunto che sia gli
ispettori sia gli specialisti dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica
pensano di chiedere all’Onu il prolungamento di qualche mese del loro mandato
per l’Iraq. Il governo russo manderà un inviato a Baghdad per facilitare il
processo, mentre domenica gli stessi El Baradei e Blix arriveranno in Iraq per
chiedere chiarimenti in vista del loro rapporto del 27 gennaio. Il diplomatico
svedese ieri ha dichiarato che la situazione è pericolosa e che Baghdad deve
dare più informazioni se vuole evitare la guerra. Washington, comunque,
continua i preparativi militari, avviando anche l’addestramento degli
oppositori iracheni. Alla Nato ha chiesto di garantire protezione alla Turchia,
offrire basi e contribuire alla pianificazione dell’eventuale intervento.
Da New York, per la Radio
Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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E proprio la Turchia prevede di
organizzare la settimana prossima un vertice regionale sulla crisi irachena.
Secondo l'agenzia Anadolu di Ankara, i Paesi invitati al vertice sarebbero
Siria, Egitto, Arabia Saudita, Giordania e Iran: a loro i dirigenti turchi
proporranno una bozza di risoluzione per una conclusione pacifica della crisi
irachena.
“Non si può procedere nel
dialogo attraverso il ricatto nucleare”. E’ il monito alla Corea del Nord del
capo dell'Aiea, Mohammed El Baradei. Così come la comunità internazionale è
pronta a prendere in considerazione i problemi di Pyongyang, ha continuato El
Baradei, la Corea del Nord deve evitare che la crisi finisca davanti al
Consiglio di Sicurezza dell'Onu e rispettare ''il trattato di non
proliferazione e l'accordo di salvaguardia'' nucleare sottoscritto con gli
Stati Uniti nel 1994.
In Cecenia ''le azioni kamikaze
contro gli invasori russi continueranno''. Questo l’ennesimo proclama della
guerriglia indipendentista cecena, contenuto in un messaggio di Movladi Udugov,
vicepremier del governo indipendentista nella Repubblica caucasica. Intanto la procura di Grozny e quella militare russa
hanno aperto un’inchiesta su un incidente registrato martedì nell’est della
Repubblica indipendentista. Un gruppo di soldati ubriachi avrebbe aperto il
fuoco contro un autobus civile, uccidendo l’autista e quattro passeggeri. I
militari sospettati di aver aperto il fuoco sono stati arrestati.
La via per la pace in Costa d’Avorio passa per
Parigi. Nella capitale francese è infatti iniziata ieri la conferenza che dovrà
cercare di mettere d’accordo il governo di Abidjan e i tre movimenti ribelli
che, dal tentato golpe del 19 settembre scorso, sono in lotta contro la
presidenza di Laurent Gbagbo. Ed un appello per la fine delle violenze nel
Paese africano è venuto anche dall’arcivescovo Renato Martino, presidente del
Pontificio consiglio della Giustizia e della Pace, il quale in un messaggio
alla Conferenza episcopale della Costa d’Avorio ha auspicato che “i vari attori
della crisi accettino di interrogarsi sulle proprie responsabilità nella
cessazione del conflitto e si adoperino per la promozione della vera pace,
fondata sulla giustizia e sul perdono”. Ancor di più, quindi, l’attenzione
internazionale si sposta sugli incontri di queste ore in Francia. Il servizio
di Francesca Pierantozzi:
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L’obiettivo della conferenza di
Marcoussis, cittadina a sud di Parigi, è ambizioso e per alcuni irrealizzabile.
Nella crisi ivoriana, la Francia intende svolgere un ruolo di primo piano, come
più volte auspicato dal presidente Chirac. “Il futuro della Cosa d’Avorio è
nelle vostre mani”, ha detto il ministro degli Esteri francese, Dominique de
Villepin, inaugurando l’ambiziosa iniziativa di Parigi. La Francia ha già
inviato in Costa d’Avorio una forza di interposizione di 2.500 uomini. I
ribelli chiedono le dimissioni del presidente Gbagbo e immediate elezioni. Il
capo dello Stato, da parte sua, insiste sulla necessità di mettere fine
all’insurrezione. Difficile il ruolo di mediatore invocato dalla Francia. De
Villepin, che dall’inizio della crisi è stato già due volte in Costa d’Avorio,
ha rivolto un appello generale alla solidarietà e alla generosità.
Da Parigi, Francesca
Pierantozzi, per la Radio Vaticana.
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Nulla di fatto in Repubblica Ceca per l’elezione del
nuovo presidente che dovrà succedere a febbraio a Vaclav Havel. Anche il terzo
ed ultimo turno delle elezioni presidenziali si è concluso ieri senza che
nessuno dei due candidati rimasti in lizza dopo il primo voto, l'ex premier
Vaclav Klaus e Petr Pithart, riuscisse ad ottenere i voti necessari per essere
eletto. Il Parlamento dovrà ora fissare una data per un’ulteriore votazione. Il
mandato di Havel scade il 2 febbraio.
Si è insediato ufficialmente ieri a capo
dell’Ecuador il nuovo presidente, l’ex colonnello Lucio Gutierrez. Nella
cerimonia ufficiale, il capo dello Stato - che ricoprirà la carica per quattro
anni - ha parlato delle linee guida della sua presidenza. Il servizio di
Maurizio Salvi:
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L’ex colonnello Lucio Gutierrez
ha coronato ieri il suo sogno presidenziale, cominciato giusto due anni fa. Il
21 gennaio 2000, infatti, fu proprio lui ad orchestrare un tentativo di golpe
che rovesciò il presidente democristiano, Jamil Mahuad, ma che fu disinnescato
dal resto delle forze armate. Nell’autunno scorso, sull’onda del malessere
sociale che ha portato al potere Chavez in Venezuela e Lula in Brasile,
Gutierrez ha battuto a sorpresa in un ballottaggio presidenziale Alvaro Noboa,
l’uomo più ricco dell’Ecuador e ha potuto farlo grazie all’appoggio strategico
delle organizzazioni degli indios, che rappresentano oltre il 40 per cento
della popolazione. Dopo aver nominato esponenti del movimento indio Pachakutik agli
Esteri e all’Agricoltura, il capo dello Stato ha sostenuto che la sua azione
sarà improntata ai principi sacri agli Inca ecuadoriani: non mentire, non
rubare e non oziare.
Maurizio Salvi, per la Radio
Vaticana.
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Medio Oriente. Proseguono le
retate israeliane anti terrorismo. Tre presunti kamikaze palestinesi sono stati
arrestati alle prime ore di oggi a Qalqilya e a est di Nablus, in Cisgiordania.
La notte scorsa inoltre l'esercito ha demolito a nord di Hebron le case di due
estremisti. Nella Striscia di Gaza, infine, è stato sventato il tentativo di un
palestinese di infiltrarsi in un insediamento ebraico nell'area di Gush Katif.
''Credo che il referendum
sull'art. 18 parta già sconfitto'': così il presidente del Consiglio italiano
Silvio Berlusconi ha commentato il sì della Corte Costituzionale al referendum
sull'art. 18 dello statuto dei lavoratori. I comitati promotori puntano ad una
estensione a tutti i lavoratori dipendenti del diritto al reintegro nel posto
di lavoro, se licenziati per non giusta causa. L'Ulivo ha già annunciato la
presentazione di un disegno di legge per evitare il referendum.
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