RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 16 - Testo della Trasmissione di giovedì 16 gennaio  2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

L’impegno per la famiglia, i giovani e le fasce sociali più deboli, raccomandato da Giovanni Paolo II nell’udienza alle amministrazioni della regione Lazio, del comune e della provincia di Roma.

 

I principi etici irrinunciabili per una solida democrazia ed una sana laicità dello Stato, nella “Nota dottrinale” sull’impegno dei cattolici in politica, approvata dal Papa e pubblicata oggi dalla Congregazione per la Dottrina della Fede: con noi, l’arcivescovo Tarcisio Bertone.

 

La centralità della persona umana e la grande sfida della pace, temi forti del recente discorso del Santo Padre al Corpo Diplomatico: le riflessioni del cardinale Roberto Tucci.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Si celebra domani la 14.ma Giornata sul dialogo tra cattolici ed ebrei: intervista con Amos Luzzatto.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Una sequela di barbarie nel Nord della Repubblica Democratica del Congo, nonostante gli accordi di pace, denunciata in un rapporto dell’Onu.

 

L’impegno delle Chiese d’Europa e America per i cristiani di Terra Santa non dimentichi le scuole: è l’appello di padre Marun Lahham, rettore del Seminario del Patriarcato Latino di Gerusalemme.

 

L’Osservatorio centrafricano dei diritti dell’uomo ha espresso appoggio e sostegno incondizionato a mons. Paulin Pomodimo, coordinatore del “dialogo nazionale”.

 

Aperto a Roma il 14 gennaio l’Incontro “Libertà di religione: diritto umano negato in Birmania”.

 

Eletto ieri dal Parlamento di Strasburgo il nuovo difensore civico europeo.       

 

24 ORE NEL MONDO:

Blix all’Unione europea: l’Onu chiederà un nuovo rapporto degli ispettori in febbraio.

 

Prosegue a Parigi la conferenza per la pace in Costa D’Avorio.

 

Ecuador: insediato il nuovo capo di Stato, Gutierrez.

 

E’ polemica in Italia per il sì della Consulta al referendum sull’art. 18.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

16 gennaio 2003

 

 

POLITICHE ATTENTE E SOLIDALI NEI RIGUARDI DELLA FAMIGLIA,

 DEI GIOVANI E DELLE FASCE SOCIALI PIU’ DEBOLI.

QUESTO L’INVITO RIVOLTO DAL PAPA AGLI AMMINISTRATORI DELLA REGIONE LAZIO,

 DEL COMUNE E DELLA PROVINCIA DI ROMA

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

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Uno sguardo attento alle realtà sociali del Lazio, ai suoi bisogni: quelli delle famiglie, dei giovani, dei lavoratori, degli immigrati, dei poveri, dei malati. Ma anche l’importanza della collaborazione tra amministrazioni locali e la Chiesa con le sue istituzioni, per il bene dei cittadini. Sono i temi toccati questa mattina da Giovanni Paolo II durante il tradizionale incontro di inizio anno con il presidente della Regione Lazio, Francesco Storace, il presidente della Provincia di Roma, Silvano Moffa, e il sindaco della capitale, Walter Veltroni.

 

“In un momento di forte preoccupazione per le sorti della pace nel mondo e gravato anche da non pochi problemi nazionali e locali”, il Papa ha nuovamente orientato lo sguardo alla pace e alla riconciliazione: valori enunciati - lo ha ricordato - durante la “memorabile” visita al Parlamento italiano, lo scorso 14 novembre, ma sempre validi da ricercare e promuovere anche in orizzonti più ristretti, in particolare, nel territorio che da due millenni è culla della tradizione cristiana:

 

“Proprio quando crescono i pericoli di scontro e di conflitto fra le diverse Nazioni e culture, emerge più nitida e più urgente quella missione di amore, e quindi di pace, di reciproca comprensione e riconciliazione che è propria del cristianesimo e che pertanto corrisponde alla vocazione storica di Roma, centro della cattolicità”.

 

Con attenzione ai singoli ambiti della vita sociale, Giovanni Paolo II si è soffermato sulle problematiche che caratterizzano il Lazio e la sue gente, ma che “minacciano l’Italia come molte altre nazioni”. A partire, ha osservato, dalla “crisi di tante famiglie”, dalla “scarsità delle nascite”, dall’”invecchiamento della popolazione”. Per essere risolti, tali problemi, ha affermato il Pontefice, hanno bisogno della “cordiale e operosa collaborazione” della Chiesa con le istituzioni civili. Collaborazione sui temi della famiglia, che ha bisogno di riscoprire la “sacralità” dei suoi vincoli, e collaborazione nel settore educativo. “La comunità cristiana - ha detto il Papa - ha qui un fondamentale campo di testimonianza e di impegno”:

 

“Ma è ugualmente indispensabile che la famiglia fondata sul matrimonio sia oggetto privilegiato delle politiche sociali: mi rallegro pertanto per lo sviluppo delle iniziative a favore delle famiglie (...) Parimenti importante è la nostra reciproca collaborazione riguardo alla formazione delle giovani generazioni, in aiuto alla primaria responsabilità delle famiglie. Il sostegno alle Scuole cattoliche, come agli Oratori e ad altri organismi educativi promossi dalla comunità cristiana, è una delle forme in cui si esplica positivamente tale collaborazione”.

 

Il Lazio e la provincia romana, ha proseguito Giovanni Paolo II, hanno “notevoli potenzialità” per quanto riguarda l’incremento dell’occupazione. Ad esempio, c’è un patrimonio storico e artistico straordinario che “offre grandi opportunità di sviluppo e di lavoro”, ha notato il Pontefice. Per il quale, anche la forza lavoro costituita dagli immigrati è un patrimonio che va sempre “meglio compreso e valorizzato”.  Infine, l’emarginazione: quella dei poveri e l’altra, diversa, dei malati. Giovanni Paolo II ha detto di apprezzare sinceramente gli sforzi di solidarietà compiuti dalle amministrazioni per alleviare i disagi “di tante persone e famiglie, in modo particolare di moltissimi anziani”. Ed ha invitato ad avere costantemente uno spirito “di attenta sollecitudine” verso di loro e verso i malati. “Conosco le difficoltà” che attraversa il settore sanitario e “che rendono tanto più meritori gli sforzi e i lodevoli progressi compiuti”, ha concluso il Papa, che ha assicurato - anche in questo caso - il contributo delle istituzioni ospedaliere di matrice cattolica.

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PUBBLICATA OGGI DALLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

UNA “NOTA DOTTRINALE CIRCA ALCUNE QUESTIONI RIGUARDANTI L’IMPEGNO

E IL COMPORTAMENTO DEI CATTOLICI NELLA VITA POLITICA”.

CON NOI L’ARCIVESCOVO TARCISIO BERTONE

- Servizio di Giovanni Peduto -

 

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E’ una Nota non di carattere puramente o prettamente pastorale, anche se ha dei risvolti pastorali e delle incidenze nella vita sociale, nell’impegno sociale dei cattolici. E’ una Nota dottrinale, cioè vuole illustrare alcuni principi-guida per il comportamento dei cattolici che sono impegnati nella vita politica: alcuni criteri fondamentali dal punto di vista dottrinale, esattamente, quindi dal punto di vista dei principi che devono dirigere le prese di posizione e anche la coerenza di vita dei cattolici che professionalmente si dedicano al bene comune della società ma con un’ispirazione profondamente cristiana: questa è la peculiarità. Ma quali sono le motivazioni all’origine di questo documento? La parola all’arcivescovo Tarcisio Bertone, finora segretario della Congregazione per la dottrina della fede e da poco nominato dal Pontefice arcivescovo di Genova:

 

R. – Il problema è la grande dispersione dei politici cattolici in una frammentazione di compagini di impegno politico: c’è una grande dispersione in tutti i partiti politici, per usare una terminologia italiana, in tutti i partiti dell’arco costituzionale, per fare un esempio. Il problema nasce dalla divisione che ormai è indotta nei comportamenti di molti politici tra il privato e il pubblico. Direi che questo è un punto nodale fondamentale. Cioè, molti dicono che in privato possono, devono per coerenza essere cattolici praticanti, ma nel pubblico, nell’attività pubblica, devono tener conto del cosiddetto pluralismo che vige nella società e allora non possono farsi portavoce di una sola parte o di un nucleo di principi che corrispondono ad un’appartenenza - per esempio, all’appartenenza religiosa alla religione cristiana. L’altro punto fondamentale, che connota la situazione di oggi, è il relativismo connesso con il pluralismo. Essendoci un grande pluralismo di opzioni, di appartenenze, di opinioni nella società, non si può proporre una verità assoluta, una verità universale, soprattutto in certi settori che toccano la vita pubblica e soprattutto la legislazione che deve guidare la vita di una compagine sociale di una nazione, e allora il relativismo è dominante e imperante. Il relativismo offusca l’annuncio della verità e la fedeltà alla verità, che viene sopraffatta dalla libertà, e da una libertà che diventa un assoluto, non solo per tutti i cittadini di una Nazione, ma anche per tutti gli operatori politici, coloro che dovrebbero pensare anche a fornire la società di alcuni principi guida e di una legislazione che fissi un alveo di cammino della società verso il bene comune. Allora, questi due punti nodali sono un po’ le ragioni che hanno prodotto la necessità di elaborare questa Nota dottrinale.

 

D. – Il suo contenuto adesso, in grandi linee:

 

R. – Intanto, sottolineo già il titolo: “Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica”. Qui si sottolinea l’impegno: di fatti, il primo capitolo parte da un insegnamento costante della Chiesa sull’impegno del cristiano nel mondo in duemila anni di storia, a cominciare dalla famosa Lettera a Diogneto, nella quale l’autore affermava che “i cristiani partecipano alla vita pubblica come veri cittadini”, e quindi non devono essere passivi, non devono disimpegnarsi dalla vita pubblica, non devono cedere agli altri questo compito sociale, ma devono impegnarsi in prima persona, e anzi proprio la Lettera a Diogneto diceva che i cristiani devono essere l’anima del mondo. E pensiamo che Diogneto scriveva in un mondo pagano, in un mondo non ancora pervaso dall’annuncio cristiano e dall’esperienza cristiana di vita personale e sociale.

 

 Il secondo capitolo presenta alcuni punti nodali del complesso processo culturale che si denota all’orizzonte della vita sociale, e il processo culturale riguarda soprattutto quello che è chiamato giustamente un certo “relativismo culturale” che offre evidenti segni nella teorizzazione e nella difesa del pluralismo etico: non c’è più un nucleo etico fondamentale. Uno dei problemi cruciali che stanno anche tanto a cuore al Santo Padre è la perdita di rilevanza della legge naturale: anche in ambiti cattolici si rimuove il concetto della legge naturale universale, e quindi del diritto naturale universalmente valido. Cioè, questo denominatore comune che dovrebbe guidare credenti e non credenti, cristiani e non cristiani, ma che i cristiani, in forza della loro missione, della loro vocazione sono chiamati in prima linea a mettere in rilievo e a proporre nel concerto anche delle proposte politiche, culturali, è obliterato, quasi annullato. In Italia è proposto un  progetto culturale cristiano, e ogni cristiano, secondo la matrice da cui proviene, è chiamato come gli altri, che provengono da altre estrazioni culturali, a dare il proprio specifico contributo per la costruzione di una società a misura d’uomo.

 

Il terzo capitolo presenta i principi della dottrina cattolica su “laicità e pluralismo”, un corretto concetto di laicità. Evidentemente è diversa la impostazione anche comportamentale all’interno della Chiesa - per chi appartiene alla Chiesa cattolica - all’interno del popolo di Dio, e all’interno di una società civile. Sappiamo che anche il Concilio, nella Gaudium et Spes, ha sancito una legittima autonomia delle realtà terrene ed una sana laicità dello Stato. Ma una cosa è affermare una sana laicità dello Stato, un’altra cosa è proporre - come anche già qualche commentatore ha fatto a proposito di questo documento, nelle anticipazioni che sono state presentate dai giornali - un vieto laicismo anticlericale che parla di ingerenza della Chiesa nella società civile o che parla di “divieto” alla Chiesa di intervenire in tutto ciò che riguarda la impostazione della società civile. Questa dicotomia è una dicotomia inaccettabile. Il Concilio afferma: “La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti ed autonome l’una dall’altra nel proprio campo. Tutte e due, anche se a titolo diverso, sono al servizio della stessa persona umana. Esse svolgeranno questo servizio a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace quanto meglio coltivano una sana collaborazione tra di loro” (Gaudium et Spes, no. 76).

 

Il quarto capitolo tratta alcuni aspetti particolari attinenti al rapporto fede-cultura, libertà e verità.

 

D. – Eccellenza, possiamo definire questo documento un ‘vademecum’ per i cattolici impegnati in politica?

 

R. – Senza dubbio. A qualsiasi formazione partitica appartengano, con assoluto rispetto per la libertà di opzione politica, di opzione temporale. Però la esigenza che viene sottolineata in questa Nota dottrinale è di una coerenza con il nucleo fondamentale di criteri etici che valgono non solo per i cattolici ma possono valere per tutti, per credenti e non credenti. Si tratta di una concezione della società a misura d’uomo, a misura di principi etici da cui non si può prescindere: etica ed economia, etica e cultura, etica e legislazione (pensiamo soprattutto alla tutela della vita e della famiglia fondata sul matrimonio). Se vogliamo educare un popolo che sia portatore di una prospettiva di futuro per l’umanità che non sia autolesionista, che non vada verso l’autodistruzione, dobbiamo costruire una società secondo un progetto etico che sia veramente a favore del bene comune.

 

Giova ricordare la descrizione di ‘bene comune’ che ha fatto Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in terris no. 35: “Il bene comune ha attinenza a tutto l’uomo, tanto ai bisogni del suo corpo che alle esigenze del suo spirito. Per cui i poteri pubblici si devono adoperare ad attuarlo nei modi e nei gradi che ad essi convengono; in maniera però da promuovere simultaneamente, nel riconoscimento e nel rispetto della gerarchia dei valori, tanto la prosperità materiale che i beni spirituali”.

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ALTRE UDIENZE E RINUNCIA DI AUSILIARE IN UNGHERIA

 

Il Papa ha ricevuto stamani in successive udienze il cardinale africano Frédéric Etsou Nzabi Bamungwabi, arcivescovo di Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo; e il vescovo colombiano mons. Jorge Enrique Jiménez Carvajal, presidente del Consiglio episcopale latinoamericano.

 

In Ungheria, il Santo Padre ha accettato la rinuncia all’ufficio di ausiliare della diocesi di Eger, presentata dal vescovo mons. Endre Kovàcs, dell’Ordine Cistercense, per limiti di età.

 

 

LA CENTRALITA’ DELLA PERSONA UMANA E LA SFIDA DELLA PACE,

TEMI FORTI DEL DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AL CORPO DIPLOMATICO.

LE RIFLESSIONI DEL CARDINALE ROBERTO TUCCI

 

“Tutto può cambiare, dipende da ciascuno di noi”. Un inno alla speranza, alla fiducia nell’uomo. Il discorso di Giovanni Paolo II al Corpo Diplomatico è stato anche questo. Una fiducia che va alimentata con gesti concreti, atti coraggiosi nella convinzione che la centralità della persona umana e il rispetto della vita sono principi intangibili alla base della convivenza tra i popoli. Il Papa, parlando ai diplomatici, ha così richiamato tutti al rispetto di alcuni imperativi per evitare che l’umanità precipiti nell’abisso. Indicazioni forti, sintetizzabili in “un sì alla vita”, alla solidarietà tra gli uomini e “un no alla morte”. Un no convinto all’egosimo e alla guerra. Proprio su quest’ultimo punto - la sfida della pace lanciata dal Pontefice ai leader di tutto il mondo - si è concentrata l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale che segue con preoccupazione l’evolversi della crisi nel Golfo Persico. Un aspetto del documento, questo, che viene evidenziato dal cardinale Roberto Tucci, al microfono di Rosario Tronnolone:

 

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R. – Mi sembra che questo discorso del Papa si ponga un po’ come uno dei momenti fondamentali delle prese di posizioni della Chiesa nei tempi recenti a proposito della pace e della guerra, e quindi lo metterei sul piano dell’enciclica Pacem in terris di Papa Giovanni, dell’intervento di Paolo VI all’Onu Mai più la guerra, del Concilio Vaticano II nella Gaudium et Spes sulla guerra. Mi sembra che sia il testo di punta, un vertice delle posizioni della Chiesa nei confronti della guerra. Se dovessi cercare di interpretare i sentimenti del Santo Padre, a parte le idee che sono chiaramente espresse in questo rispetto della vita, rispetto del diritto, dovere della solidarietà, no alla morte, no all’egoismo, no alla guerra, credo che sia la preoccupazione del Santo Padre per le popolazioni civili dell’Iraq, qualora dovesse scoppiare la guerra. Mi sembra che questa preoccupazione sia nel centro, al cuore del Santo Padre in questo momento.

 

D. – Proprio questa mattina, su “Avvenire” c’è un intervento di mons. Martino che dice: “Con la guerra non si eliminano le cause economiche e culturali del terrorismo”: quali sono queste cause?

 

R. – Anzitutto, le grandi ingiustizie sociali che esistono tra il mondo affluente e il cosiddetto mondo ‘in via di sviluppo’; cioè, il Papa ha insistito molto sul dovere della solidarietà: quando c’è una grande differenza tra il mondo affluente e il mondo dei Paesi in via di sviluppo, è più facile che ci sia un sentimento aggressivo nei riguardi dell’Occidente, perché l’Occidente viene identificato con il mondo affluente. Quindi, è più facile che un certo fondamentalismo islamico trovi terreno per gente che aderisca alle posizioni così estremiste, terroristiche di questo islamismo fondamentalista. D’altro canto, se si cominciano a violare le regole fondamentali del diritto internazionale da parte di una nazione perché questa ha i mezzi economici e militari per imporre la sua volontà anche all’Onu, in un certo senso, certo questa è una grave ferita all’ordine internazionale.

 

D. – Qualcuno sulla stampa italiana ha parlato di unilateralismo a proposito degli interventi del Santo Padre ...

 

R. – Chiaro che bisogna tener conto che in Occidente c’è almeno un sostrato. E’ rimasto un sostrato di valori comuni con la Santa Sede, in quanto che questo mondo occidentale è stato permeato anche e molto fortemente da valori cristiani. Il Santo Padre si può rivolgere più facilmente a questo mondo perché può avere ancora conservata una certa sensibilità a questi valori cristiani che sono stati anche valori accettati o perlomeno accolti in parte dal mondo occidentale anche più di recente. Poi, bisogna tener conto di un altro fatto: il Santo Padre, in certe situazioni, con un mondo invece che non ha queste basi comuni come noi - noi cattolici, noi cristiani - come può essere il mondo dell’islam, e anche una gran parte del mondo asiatico, deve stare molto attento perché se colpisce fortemente, se accusa certi governi non democratici in Paesi dove i cristiani sono minoranza, c’è il pericolo che le spese di questi interventi ricadano proprio sulla minoranza cristiana.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

“La famiglia fondata sul matrimonio sia oggetto privilegiato delle politiche sociali” è il titolo che apre la prima pagina, in riferimento al discorso del Papa ai rappresentanti della Regione Lazio, del Comune e della Provincia di Roma. Si mette poi in evidenza questo passo del discorso: “La cittadinanza onoraria di Roma è per me un ulteriore stimolo ad incoraggiare la dedizione alla causa della pace di questa nobilissima città”.

Una riflessione di Marco Impagliazzo sul discorso di Giovanni Paolo II al Corpo Diplomatico. Il titolo alla riflessione è “‘Tutto può cambiare’: un richiamo alla responsabilità delle persone e degli Stati”.

“Dio ascolta la voce del cuore più che la voce della bocca” è il titolo del pensiero dedicato all’Anno del Rosario.

 

Nelle pagine vaticane, Congregazione della Dottrina della Fede: “Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica”. Un articolo di Giulio Masciarelli sulla “Settimana di preghiera ecumenica” nella chiesa di Santa Brigida, a Piazza Farnese.

 

Nelle pagine estere, Iraq: Bush chiede appoggio alla Nato in vista di un eventuale attacco.

Medio Oriente: Israele blocca con misure restrittive lo sviluppo dei centri culturali palestinesi.

Venezuela: per tentare di uscire dalla crisi, costituito un “Gruppo di Paesi amici”.

 

Nella pagina culturale, un contributo di Antonio Scottà dal titolo “La rigorosità delle analisi unita ad una viva paternità pastorale”: le “Relationes ad limina” del vescovo Longhin.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la situazione politica. Il tema del terrorismo.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

16 gennaio 2003

 

 

MOSE’, IL GRANDE PATRIARCA BIBLICO AL CENTRO DEI LAVORI DELLA 14.MA GIORNATA PER L’APPROFONDIMENTO

E LO SVILUPPO DEL DIALOGO TRA CATTOLICI ED EBREI CHE SI CELEBRA DOMANI.

 CON NOI AMOS LUZZATTO, PRESIDENTE  DELL’UNIONE

DELLE COMUNITA’ EBRAICHE ITALIANE

- Servizio di Paolo Ondarza -

 

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Ricorre domani, venerdì 17 gennaio, la giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, quest’anno sul tema “Mosè parlava con Dio e tutto il popolo ne fu testimone” tratto dal libro dell’Esodo. Questa sera per l’occasione il Vicariato di Roma ha organizzato alle ore 18 nell’Aula Magna dell’Ateneo Lateranense, un incontro a più voci per celebrare la giornata di confronto tra le due religioni, presieduto dal rettore dell’Università, mons. Rino Fisichella, presidente della Commissione Diocesana di Roma per l’Ecumenismo e il Dialogo. Tra i vari interventi sono previsti quello del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni e  quello del rettore della Pontificia Università Urbaniana, mons. Ambrogio Spreafico. Ad essi seguiranno i contributi di Paolo Ricci Sindoni, docente di Filosofia Morale all’Università degli Studi di Messina, e del rabbino Alberto Piattelli. Diamo oggi la parola ad Amos Luzzatto, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, attualmente in Israele per portare la solidarietà degli ebrei italiani a parenti ed amici.

 

R. – La figura di Mosè ha due funzioni nella storia ebraica. Una è quella di parlare a nome di Dio consegnando agli ebrei la legge, facendo capire ad essi cioè che sono stati scelti, in quanto portatori di obblighi particolari nei confronti del Signore Iddio. La seconda funzione di Mosè consiste nel condurre il popolo nell’esodo: un cammino verso un nuovo rapporto con se stessi e con Dio.

 

D. – In che modo la figura di Mosè può stimolare la costruzione di un dialogo tra ebrei e cattolici?

 

R. – Intanto, credo che il valore della legge morale dovrebbe essere un patrimo-nio, ormai, di tutti coloro che si richiamano all’antica tradizione tramandata dalla Bibbia. Questa stessa legge ha in sé i principi utili, se ben adoperati, a stabilire migliori rapporti tra gli uomini e tra gruppi di uomini.

 

D. – Dal 1989, ogni anno, il 17 di gennaio, ebrei e cattolici si ritrovano insieme per dialogare. Quali i punti di forza  di questo incontrarsi e quali i punti ancora da risolvere, i punti più deboli?

 

R. – Esistono dei concetti sui quali temo che molte volte cristiani ed ebrei non intendano la stessa cosa: salvezza, risurrezione, messianicità, purezza, termini, comuni alle due religioni. Comune è poi considerare Dio, padre. Questo rapporto filiale-paterno dovrebbe far avvicinare in una riflessione comune ebrei e cattolici, ebrei e cristiani in genere.

 

D. – Verso dove è orientato il dialogo?

 

R. – Verso due direzioni. Una è quella di conoscersi meglio e capirsi meglio. C’è ancora molta strada da fare, perché troppi secoli di divisione ci separano. Abbiamo cominciato, ma adesso bisogna andare avanti. La seconda direzione da seguire è unire le forze per affrontare insieme alcuni problemi drammatici e imminente: la pace, la guerra, la fame nel mondo, tutti aspetti che in questo momento storico richiedono un profondo impegno comune.

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CHIESA E SOCIETA’

16 gennaio 2003

 

 

UNA SEQUELA DI BARBARIE: ATTI DI CANNIBALISMO, STRUPRI DI MASSA, OMICIDI, RAPIMENTI E SACCHEGGI.

 NEL NORD EST DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO SI STA CONSUMANDO UNA TRAGEDIA

 NONOSTANTE GLI ACCORDI DI PACE DEL DICEMBRE SCORSO.

LA DENUNCIA IN UN RAPPORTO DELL'ONU

 

KINSHASA. = Cannibalismo, stupri di massa, omicidi, rapimenti, saccheggi: atti orribili e inenarrabili sono stati compiuti negli ultimi mesi nel nord est della Repubblica Democratica del Congo, l'ex Zaire. Lo ha accertato una Commissione di indagine dell'Onu, dopo aver interrogato almeno 350 persone coinvolte nella tragedia. Un rapporto sulla vicenda è stato reso noti ieri a Kinshasa. La realtà sembra andare al di là di ogni immaginazione: una sequela di barbarie nel segno del terrore, conseguenza di una guerra civile iniziata nell'agosto del '98 e che finora ha mietuto almeno 2 milioni e mezzo di morti. Questa la fotografia di un Paese ricchissimo di risorse piegato da un conflitto feroce, che non trova soluzione, malgrado gli accordi di pace, l'ultimo firmato lo scorso dicembre a Pretoria. Per assurdo, proprio i recenti negoziati, che non hanno previsto i necessari passi per il riordino delle milizie interne, stanno scatenando le peggiori rappresaglie. L'intesa, infatti, ha portato alla ritirata degli Eserciti stranieri dal Congo. Sei, infatti, le Nazioni coinvolte: Angola, Namibia e Zimbabwe al fianco del governo di Kinshasa; Ruanda, Uganda (che pure tra loro hanno rischiato la guerra; mentre i guerriglieri a loro legati si combattevano apertamente) e, marginalmente, Burundi al fianco degli antigovernativi. Smobilitate le truppe straniere, i gruppi di guerriglia, come le milizie irregolari legate al governo, sono rimaste senza alcun controllo, dandosi ad un vero e proprio banditismo. Ciò soprattutto nel nord-est, area tra le più ricche e contese, di fatto controllata dagli antigovernativi, peraltro fortemente divisi tra filoruandesi e filougandesi. Proprio i filougandesi sono ritenuti i principali responsabili degli orrori recenti, anche se il loro leader smentisce. La Commissione dell’Onu ha comunque accertato che, al di là delle etichette, si tratta di miliziani allo sbando, soldati perduti, in larga misura drogati, privi ormai di qualunque riferimento. Questa situazione intollerabile ha spinto alla fuga precipitosa circa 150.000 civili dalla seconda metà di ottobre, e tra loro moltissimi pigmei, che mai avevano lasciato le loro foreste.  (R.G.)

 

 

“L’IMPEGNO DELLE CHIESE EUROPEE E NORDAMERICANE A FAVORE DELLA TERRA SANTA NON DIMENTICHI LE SCUOLE”.

E’ QUESTO L’APPELLO DI PADRE MARUN LAHHAM,

 RETTORE DEL SEMINARIO DEL PATRIARCATO LATINO DI GERUSALEMME 

GERUSALEMME. = "Molto è stato fatto ma molto resta ancora da fare". Così sollecita padre Marun Lahham, rettore del Seminario del Patriarcato latino di Gerusalemme, le Chiese europee e nordamericane ad operare con sollecitudine a favore della Terra Santa e dei cristiani che vi abitano. Su questo tema in corso nella città santa un incontro in corso in questi giorni a Gerusalemme tra i vescovi europei e nordamericani con il patriarca latino, Michel Sabbah e il nunzio apostolico in Israele, Pietro Sambi. Secondo il rettore “deve essere riconosciuto maggiormente il ruolo delle scuole perché l’istruzione consente ai giovani di costruire il loro futuro in Israele". “All’impegno dei vescovi che partecipano a questa iniziativa - afferma padre Lahham - deve corrispondere anche quello dei cristiani a ritornare, come pellegrini, nei Luoghi Santi”. Non si tratta solo di un appoggio spirituale, pure innegabile e importante, ma anche materiale. “La presenza di pellegrini - prosegue il religioso - permetterebbe infatti di risollevare l’economia locale dando respiro a molte famiglie, non solo cristiane, che vivono di artigianato e di turismo”. Nonostante le difficoltà dei cristiani in Terra Santa non mancano le vocazioni. "Nel nostro Seminario a Gerusalemme - conclude padre Lahham - abbiamo 23 seminaristi a cui è affidato il futuro dei cristiani della Terra Santa”. (A.L.)

 

 

L’OSSERVATORIO CENTRAFRICANO DEI DIRITTI DELL’UOMO

HA ESPRESSO SOSTEGNO INCONDIZIONATO A MONS. PAULIN POMODIMO,

 VESCOVO DI BOSSANGOA, NOMINATO COORDINATORE DEL “DIALOGO NAZIONALE”

 

BANGUI. = “Appoggio e sostegno incondizionato” è stato espresso dall’Osservatorio centrafricano dei diritti dell’uomo (Ocdh) nei confronti di mons. Paulin Pomodimo, vescovo di Bossangoa e coordinatore del “dialogo nazionale”. Il cammino di riconciliazione dovrebbe coinvolgere sia le formazioni politiche che la società civile del tormentato Paese, dove da quasi tre mesi i ribelli legati all’ex capo di Stato maggiore, François Bozizé, controllano gran parte delle zone settentrionali. Il presidente dell’Ocdh, Lambert Zokoezo, ha sottolineato che la nomina del presule alla guida dell’organismo, chiamato a favorire l’incontro tra tutte le parti politiche del Paese, è "una garanzia morale e un atto di fiducia alla società". Alcune settimane fa il presidente della Repubblica Centrafricana, Ange Felix Patassé, ha incaricato mons. Pomodimo di coordinare il tavolo del negoziato interno per superare l’empasse politico-militare del Paese. "La Repubblica Centrafricana - si legge in un appello alla pace dell’Osservatorio - deve smettere di compiere violazioni, saccheggi, massacri ed esecuzioni sommarie per riprendere un dialogo costruttivo che non escluda nessuno". L’iniziativa guidata dal vescovo di Bossangoa, tenacemente richiesta dall’opposizione e promossa dal capo di Stato nel mese di novembre, ha preso avvio soltanto la scorsa settimana. (A.L.)

 

 

LA CHIESA CATTOLICA IN BIRMANIA E’ UNA REALTA’ VIVA IN UN PAESE OPPRESSO.

 COSI’ PADRE VITO DEL PRETE,

SEGRETARIO NAZIONALE DELLA PONTIFICIA UNIONE MISSIONARIA

 HA APERTO A ROMA IL 14 GENNAIO L’INCONTRO

 “LIBERTA’ DI RELIGIONE: DIRITTO UMANO NEGATO IN BIRMANIA”

 

ROMA. = "I problemi che affliggono la diffusione del messaggio cristiano in Birmania non sono diversi da quelli che riguardano tutto il sud-est asiatico ma le condizioni in cui versano i missionari e gli ecclesiastici presenti nel Paese sono molto più gravi che altrove". Con queste parole padre Vito Del Prete, missionario e segretario nazionale della Pontificia unione missionaria, è intervenuto, il 14 gennaio all’incontro "Libertà di religione: diritto umano negato in Birmania". "La giunta militare che governa il Paese da più di quarant’anni - ha affermato il religioso - persevera in una costante persecuzione dei cattolici e non rispetta i diritti umani”. A tutt’oggi le missioni non possono avere scuole, ai cristiani è proibito ogni tipo di proselitismo e raduno e le comunità vengono ritenute conniventi con i guerriglieri del nord. "Nonostante i problemi - ha aggiunto il missionario - in Birmania esiste una Chiesa viva, che pur sopportando sulla sua pelle il peso della discriminazione e del sospetto non rinuncia ad una missione evangelizzatrice qui più forte perché vicina ai poveri, ai sofferenti e agli oppressi”. “Ma anche una Chiesa - ha concluso padre Del Prete - che avrebbe bisogno di più attenzione per continuare ad essere percepita dalla popolazione come un giardino di libertà". (A.L.)

 

 

 NIKIFOROS DIAMANDOUROS, 60 ANNI, DI NAZIONALITA’ GRECA E’ STATO ELETTO IERI

 DAL PARLAMENTO DI STRASBURGO NUOVO DIFENSORE CIVICO EUROPEO             

 

STRASBURGO. = Il greco Nikiforos Diamandouros, 60 anni, sarà il nuovo mediatore europeo eletto ieri dal Parlamento di Strasburgo. Diamandouros, attuale difensore civico nazionale ad Atene, sostituirà dal primo febbraio il finlandese Jacob Soederman, che sei anni fa diventò il primo mediatore dell'Unione europea e che ora andrà in pensione. Il nuovo difensore civico Ue rimarrà in carica fino alle prossime elezioni europee del giugno 2004. Diamandouros ha ottenuto 293 voti contro 205 del candidato britannico Roy Perry, eurodeputato conservatore membro del gruppo del Ppe. Il difensore civico europeo è una figura nata con il trattato di Maastricht ed ha il mandato di mediare fra le istituzioni europee e i cittadini non soddisfatti dalle loro decisioni e di indagare sui presunti casi di cattiva amministrazione da parte dell'eurocrazia. (R.G.)  

 

 

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24 ORE NEL MONDO

16 gennaio 2003

 

 

- A cura di Giada Aquilino -

 

Il Consiglio di sicurezza dell'Onu chiederà ''un nuovo rapporto in febbraio'' sul disarmo iracheno, dopo quello che gli ispettori presenteranno al Palazzo di Vetro il prossimo 27 gennaio. Se ne è detto ''quasi sicuro'' il capo degli ispettori dell’Onu, Hans Blix, oggi a Bruxelles per riferire all’Unione europea delle verifiche realizzate fino ad oggi in Iraq. Al rappresentate Ue per la Politica estera Solana, Blix ha già espresso la propria preoccupazione per la mancata cooperazione da parte del regime iracheno con gli inviati delle Nazioni Unite, sottolineando che ''la situazione è tesa e pericolosa''. Negli incontri con i Quindici si potrebbe parlare anche delle verifiche avvenute in uno dei siti presidenziali della capitale irachena:

 

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Gli inviati delle Nazioni Unite hanno passato quattro ore nel complesso noto come il “Vecchio palazzo sopra il fiume Tigri”, provocando reazioni nell’opinione pubblica, che vede queste verifiche come affronti alla sovranità nazionale. Il capo dell’Agenzia Onu per l’energia atomica (Aiea), Mohamed El Baradei, in visita a Mosca, ha detto che le ispezioni procedono e anche se i risultati sono lenti rappresentano un progresso rispetto all’ipotesi della guerra. El Baradei ha aggiunto che sia gli ispettori sia gli specialisti dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica pensano di chiedere all’Onu il prolungamento di qualche mese del loro mandato per l’Iraq. Il governo russo manderà un inviato a Baghdad per facilitare il processo, mentre domenica gli stessi El Baradei e Blix arriveranno in Iraq per chiedere chiarimenti in vista del loro rapporto del 27 gennaio. Il diplomatico svedese ieri ha dichiarato che la situazione è pericolosa e che Baghdad deve dare più informazioni se vuole evitare la guerra. Washington, comunque, continua i preparativi militari, avviando anche l’addestramento degli oppositori iracheni. Alla Nato ha chiesto di garantire protezione alla Turchia, offrire basi e contribuire alla pianificazione dell’eventuale intervento.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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E proprio la Turchia prevede di organizzare la settimana prossima un vertice regionale sulla crisi irachena. Secondo l'agenzia Anadolu di Ankara, i Paesi invitati al vertice sarebbero Siria, Egitto, Arabia Saudita, Giordania e Iran: a loro i dirigenti turchi proporranno una bozza di risoluzione per una conclusione pacifica della crisi irachena.

 

“Non si può procedere nel dialogo attraverso il ricatto nucleare”. E’ il monito alla Corea del Nord del capo dell'Aiea, Mohammed El Baradei. Così come la comunità internazionale è pronta a prendere in considerazione i problemi di Pyongyang, ha continuato El Baradei, la Corea del Nord deve evitare che la crisi finisca davanti al Consiglio di Sicurezza dell'Onu e rispettare ''il trattato di non proliferazione e l'accordo di salvaguardia'' nucleare sottoscritto con gli Stati Uniti nel 1994.

 

In Cecenia ''le azioni kamikaze contro gli invasori russi continueranno''. Questo l’ennesimo proclama della guerriglia indipendentista cecena, contenuto in un messaggio di Movladi Udugov, vicepremier del governo indipendentista nella Repubblica caucasica. Intanto la procura di Grozny e quella militare russa hanno aperto un’inchiesta su un incidente registrato martedì nell’est della Repubblica indipendentista. Un gruppo di soldati ubriachi avrebbe aperto il fuoco contro un autobus civile, uccidendo l’autista e quattro passeggeri. I militari sospettati di aver aperto il fuoco sono stati arrestati.

 

La via per la pace in Costa d’Avorio passa per Parigi. Nella capitale francese è infatti iniziata ieri la conferenza che dovrà cercare di mettere d’accordo il governo di Abidjan e i tre movimenti ribelli che, dal tentato golpe del 19 settembre scorso, sono in lotta contro la presidenza di Laurent Gbagbo. Ed un appello per la fine delle violenze nel Paese africano è venuto anche dall’arcivescovo Renato Martino, presidente del Pontificio consiglio della Giustizia e della Pace, il quale in un messaggio alla Conferenza episcopale della Costa d’Avorio ha auspicato che “i vari attori della crisi accettino di interrogarsi sulle proprie responsabilità nella cessazione del conflitto e si adoperino per la promozione della vera pace, fondata sulla giustizia e sul perdono”. Ancor di più, quindi, l’attenzione internazionale si sposta sugli incontri di queste ore in Francia. Il servizio di Francesca Pierantozzi:

 

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L’obiettivo della conferenza di Marcoussis, cittadina a sud di Parigi, è ambizioso e per alcuni irrealizzabile. Nella crisi ivoriana, la Francia intende svolgere un ruolo di primo piano, come più volte auspicato dal presidente Chirac. “Il futuro della Cosa d’Avorio è nelle vostre mani”, ha detto il ministro degli Esteri francese, Dominique de Villepin, inaugurando l’ambiziosa iniziativa di Parigi. La Francia ha già inviato in Costa d’Avorio una forza di interposizione di 2.500 uomini. I ribelli chiedono le dimissioni del presidente Gbagbo e immediate elezioni. Il capo dello Stato, da parte sua, insiste sulla necessità di mettere fine all’insurrezione. Difficile il ruolo di mediatore invocato dalla Francia. De Villepin, che dall’inizio della crisi è stato già due volte in Costa d’Avorio, ha rivolto un appello generale alla solidarietà e alla generosità.

 

Da Parigi, Francesca Pierantozzi, per la Radio Vaticana.

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Nulla di fatto in Repubblica Ceca per l’elezione del nuovo presidente che dovrà succedere a febbraio a Vaclav Havel. Anche il terzo ed ultimo turno delle elezioni presidenziali si è concluso ieri senza che nessuno dei due candidati rimasti in lizza dopo il primo voto, l'ex premier Vaclav Klaus e Petr Pithart, riuscisse ad ottenere i voti necessari per essere eletto. Il Parlamento dovrà ora fissare una data per un’ulteriore votazione. Il mandato di Havel scade il 2 febbraio.

 

Si è insediato ufficialmente ieri a capo dell’Ecuador il nuovo presidente, l’ex colonnello Lucio Gutierrez. Nella cerimonia ufficiale, il capo dello Stato - che ricoprirà la carica per quattro anni - ha parlato delle linee guida della sua presidenza. Il servizio di Maurizio Salvi:

 

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L’ex colonnello Lucio Gutierrez ha coronato ieri il suo sogno presidenziale, cominciato giusto due anni fa. Il 21 gennaio 2000, infatti, fu proprio lui ad orchestrare un tentativo di golpe che rovesciò il presidente democristiano, Jamil Mahuad, ma che fu disinnescato dal resto delle forze armate. Nell’autunno scorso, sull’onda del malessere sociale che ha portato al potere Chavez in Venezuela e Lula in Brasile, Gutierrez ha battuto a sorpresa in un ballottaggio presidenziale Alvaro Noboa, l’uomo più ricco dell’Ecuador e ha potuto farlo grazie all’appoggio strategico delle organizzazioni degli indios, che rappresentano oltre il 40 per cento della popolazione. Dopo aver nominato esponenti del movimento indio Pachakutik agli Esteri e all’Agricoltura, il capo dello Stato ha sostenuto che la sua azione sarà improntata ai principi sacri agli Inca ecuadoriani: non mentire, non rubare e non oziare.

 

Maurizio Salvi, per la Radio Vaticana.

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Medio Oriente. Proseguono le retate israeliane anti terrorismo. Tre presunti kamikaze palestinesi sono stati arrestati alle prime ore di oggi a Qalqilya e a est di Nablus, in Cisgiordania. La notte scorsa inoltre l'esercito ha demolito a nord di Hebron le case di due estremisti. Nella Striscia di Gaza, infine, è stato sventato il tentativo di un palestinese di infiltrarsi in un insediamento ebraico nell'area di Gush Katif.

 

''Credo che il referendum sull'art. 18 parta già sconfitto'': così il presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi ha commentato il sì della Corte Costituzionale al referendum sull'art. 18 dello statuto dei lavoratori. I comitati promotori puntano ad una estensione a tutti i lavoratori dipendenti del diritto al reintegro nel posto di lavoro, se licenziati per non giusta causa. L'Ulivo ha già annunciato la presentazione di un disegno di legge per evitare il referendum.

 

 

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