RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 14 - Testo della Trasmissione di martedì 14 gennaio  2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Cambiare il corso degli eventi è possibile. Le preoccupazioni e le speranze del Papa per il futuro dell’umanità, minacciata dalle guerre e dagli egoismi, nel discorso rivolto ieri al Corpo Diplomatico per il nuovo anno: intervista con l’arcivescovo Renato Raffaele Martino.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Si accende il dibattito sulla pena di morte nella società americana, dopo la sorprendente decisione del governatore dell’Illinois di commutare nel carcere a vita l’esecuzione di 167 detenuti: con noi, Sergio D’Elia.

 

Il rapporto annuale di “Reporter senza frontiere”, sulla libertà di informazione nel mondo: ai nostri microfoni, Domenico Affinito.

 

Il ruolo della Chiesa nell’Unione Europea, in un incontro di vescovi con il presidente della Commissione Romano Prodi: la riflessione del cardinale Christoph Schöenborn.

 

CHIESA E SOCIETA’:

La figura di Giovanni XXIII, “tranquillo innovatore”, in un convegno tenuto stamani nella nostra emittente.

 

Appuntamento nelle piazze italiane il 26 gennaio per celebrare la Giornata mondiale dei malati di lebbra.

 

Un inviato dell’Onu in Corea del Nord, minacciata dalla carestia.

 

Conferenza stampa nel carcere romano di Regina Coeli domani, su indulto e riforme.

 

24 ORE NEL MONDO:

La Gran Bretagna minaccia l’Iraq: guerra possibile anche senza una seconda risoluzione Onu.

 

Aperta a Londra la Conferenza sulle riforme palestinesi, ma senza i leader dell’Anp.

 

Con la mediazione di Russia, Cina ed Australia si avvicina la soluzione della crisi nordcoreana.

 

Firmata la tregua, i ribelli ivoriani attesi a Parigi per il vertice di pace di domani.

 

Ancora violenze nelle Filippine, il cardinale Vidal invita alla riconciliazione.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

14 gennaio 2003

 

 

LE PREOCCUPAZIONI E LE SPERANZE DEL PAPA PER IL PRESENTE E IL FUTURO DELL’UMANITA’,

 NEL DISCORSO INDIRIZZATO IERI AL CORPO DIPLOMATICO:

UNA RIFLESSIONE CON L’ARCIVESCOVO RENATO RAFFAELE MARTINO

- Servizio di Giovanni Peduto -

 

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Il Santo Padre ha tracciato un quadro della situazione mondiale piuttosto preoccupante, con un accenno ai principali punti focali nei diversi continenti. Ma soprattutto si è fatto interprete del sentimento di paura che alberga nel cuore di tanta gente, e che scaturisce dal terrorismo e dalle tante minacce di guerra, dal problema non risolto del Medio Oriente, dalla Terra Santa all’Iraq. E, inoltre, non va dimenticata l’Africa con i suoi focolai di guerra, senza parlare della siccità e della carestia, e poi degli scossoni che scompigliano il Sud America, come l’Argentina, la Colombia, il Venezuela. Ma nella preoccupazione del Papa vi è soprattutto l’uomo come tale e il suo diritto alla vita. Ecco in proposito il pensiero dell’arcivescovo Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, da noi avvicinato subito dopo il discorso del Pontefice, ieri, al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede: 

 

R. - Il Papa fa chiare affermazioni con un sì alla vita, il rispetto del diritto alla vita e con il rispetto del diritto e quindi il rispetto dei diritti e dei doveri di ogni cittadino; accenna al dovere della solidarietà e invita, naturalmente, a mantenere le promesse, specialmente con i paesi che hanno bisogno dell’aiuto dei paesi sviluppati, per poter crescere e svilupparsi loro stessi. Afferma decisamente un no alla morte e quindi il no a tutte quelle azioni che si rivolgono contro la vita e specialmente fa cenno all’aborto, all’eutanasia e alla clonazione, atti che indeboliscono la famiglia e la società.

 

D. - Incombe minacciosa sull’umanità l’ombra di una nuova guerra, quella contro  l’Iraq, ma si può evitare questa guerra, eccellenza?

 

R. - La guerra non è mai una fatalità, dice il Papa, essa è sempre una sconfitta dell’umanità, del diritto internazionale, del dialogo reale, della solidarietà fra gli Stati e accenna all’esercizio nobile della diplomazia. Con il negoziato, con il dialogo, è possibile evitare la guerra e, come il Papa diceva per la prima guerra del Golfo, che era un’avventura senza ritorno: io credo che le parole dette dal Papa in questo momento, ripetano la sua affermazione fatta nel 1991.

 

D. - Ritengo che Giovanni Paolo II sarebbe disposto a qualsiasi iniziativa pur di evitare questa guerra: lei che ne pensa?

 

R. - Sì, come appunto nel 1991, quando fece di tutto con dei messaggi inviati a Bush-padre e a Saddam Hussein, e poi con tutto quello che si fece presso le Nazioni Unite, nel tentativo di evitare l’inizio delle ostilità. Ricordo che ero a New York, alle Nazioni Unite, e in costante contatto con il presidente del Consiglio di Sicurezza e con il segretario generale, e ricordo bene una conversazione telefonica con mons. Tauran dall’ufficio del presidente del Consiglio di Sicurezza. Poi, ad un certo momento, Perez de Cuéllar mi informò che la guerra era stata già decisa, ed infatti, il giorno dopo iniziò.

 

D. - Mai come quest’anno il discorso del Papa al Corpo Diplomatico contiene tanta preoccupazione: lei, eccellenza, suppongo che sia un testimone diretto di questa preoccupazione del Papa.

 

R. - Sì, e difatti pochi giorni fa il Papa mi ha ricevuto in udienza e ho potuto constatare personalmente questa sua preoccupazione, momento per momento, giornaliera, per questa minaccia della pace mondiale.

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UDIENZE DI OGGI

 

Il Papa ha ricevuto in udienza stamani i cardinali Aloisio Lorscheider, arcivescovo di Aparecida, e Claudio Hummes, arcivescovo di São Paulo, con altri quattro presuli della Conferenza episcopale del Brasile, in visita “ad Limina”.

 

Sempre questa mattina, il Santo Padre ha ricevuto in udienza il cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

 

        

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

La prima pagina presenta la riflessione di Giorgio Rumi sul discorso di Giovanni Paolo II al Corpo Diplomatico. Il titolo alla riflessione è "La guerra va riposta tra gli arnesi del passato". Riguardo alla situazione in Iraq, si rileva che la diplomazia è al lavoro per dire "no" alla guerra. Sempre in prima, una riflessione di padre Salvatore M. Perrella, dal titolo "Il Rosario nel Magistero dei Papi: da Leone XIII a Giovanni Paolo II".

 

Nelle pagine vaticane, un articolo su un libro pubblicato dalla Leumann, Elledici, e dedicato all'esperienza di un legale, sociologo e terapista che lavora in un consultorio familiare. Il titolo all'articolo è "Il dolore dei bambini profondamente coinvolti nel processo di separazione coniugale". Un servizio sull'inaugurazione della cappella nella casa del clero della diocesi di Adria-Rovigo. Il titolo dell'articolo è "Quella sequenza che riproduce i misteri del Santo Rosario". Un articolo dell'arcivescovo Ruppi su due "discepoli prediletti" di San Benedetto: Santi Mauro e Placido, dei quali, il 15 gennaio, ricorre la memoria liturgica.

 

Nelle pagine estere, Medio Oriente: conferenza in Gran Bretagna sulle riforme palestinesi. Repubblica Centroafricana: i 33 religiosi bloccati a Gofo saranno trasferiti in Ciad. Corea del Nord: tentativi di dialogo con gli Stati Uniti sul contenzioso nucleare. Argentina: iniziativa di solidarietà realizzata dai detenuti di un penitenziaro, a Buenos Aires, per i bambini poveri segnati dalla malnutrizione.

 

Nella pagina culturale, un contributo di Franco Patruno su una mostra, a Treviso, dedicati a pittori quali Van Gogh, Monet, Cezanne, Degas e Gauguin. Nell'"Osservatore libri" un approfondito articolo di Francesco Licinio Galati sul primo volume dei "Romanzi" di Anna Maria Ortese.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la situazione politica. Il tema della giustizia. Lavoro, "Scampia non è un caso: la periferia di Napoli specchio della drammaticità dei dati del Sud".

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

14 gennaio 2003

 

 

SI ACCENDE IL DIBATTITO SULLA PENA DI MORTE NELLA SOCIETA’ AMERICANA,

 DOPO LA SORPRENDENTE DECISIONE DEL GOVERNATORE DELL’ILLINOIS

DI COMMUTARE NEL CARCERE A VITA LA PENA CAPITALE DI 167 DETENUTI

- Con noi, Sergio D’Elia -

 

Un gesto coraggioso per la vita, contro la morte. Con una decisione senza precedenti, il governatore dell’Illinois, George Ryan, ha deciso nei giorni scorsi di commutare nel carcere a vita la condanna a morte di 167 detenuti. Una decisione accolta con grande soddisfazione dalle organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani, che ha ravvivato il dibattito sulla pena di morte negli Stati Uniti. Dal canto suo, il presidente americano Bush - attraverso il suo portavoce - ha fatto sapere di considerare la pena capitale un deterrente efficace contro il crimine. Valutazione, questa, che viene contestata da Sergio D’Elia, segretario dell’associazione “Nessuno Tocchi Caino”, intervistato da Alessandro Gisotti:

 

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R. – La vera deterrenza sta nel controllo del territorio e nel momento processuale, cioè nella certezza non della pena di morte, ma nella certezza che a fronte di un crimine ci siano indagini, e ci sia la prospettiva che chi ha commesso quel crimine finisca in un’aula di giustizia. Quindi, il momento della pena di morte, semmai, è il momento fallimentare di una politica della sicurezza. Registra cioè il fatto che non si è potuto prevenire il delitto, e allora si ha il momento finale della vendetta nei confronti di chi ha compiuto quel delitto.

 

D. – Il governatore dell’Illinois è stato per molto tempo un convinto difensore della pena capitale. Questo cambiamento radicale può essere letto come il segnale di un nuovo modo di porsi della società americana, di fronte alla pena di morte?

 

R. – Negli ultimi anni ci sono stati dei cambiamenti che non si potevano prevedere. Non manca settimana che dagli Stati Uniti non giungano notizie sulla pena di morte, che rimettono in discussione il meccanismo e il sistema. Nell’estate scorsa la Corte Suprema ha deciso che, per esempio, è incostituzionale l’esecuzione di ritardati mentali per i quali la sentenza sia espressa da uno o più giudici senza l’unanimità dei giurati. C’è stata l’introduzione dei test del Dna; il limite posto alle esecuzioni di minorenni; la moratoria prima nell’Illinois e poi nel Maryland; la diminuzione delle condanne a morte negli Stati Uniti di anno in anno; l’opinione pubblica in favore della pena di morte, che è scesa  al 64-65 per cento a fronte dell’80 per cento di 5-6  anni fa - e quando gli si propone l’alternativa dell’ergastolo, senza via di uscita, il favore alla pena di morte scende al 45, 47 per cento. Poi, le prese di posizione delle università, dell’establishment culturale, ma anche dello star system americano, con sempre più film contro la pena di morte. Insomma, l’America è una democrazia, in cui si discute, si possono avanzare proposte, cosa che non esiste in altri Paesi.

 

D. – “Il sistema non funziona, è dominato dagli errori”, ha dichiarato il governatore Ryan. Questo può essere un argomento decisivo per convincere anche coloro che sostengono la pena di morte in termini generali?

 

R. – Assolutamente. Gli americani arriveranno attraverso la propria via alla messa in discussione radicale del sistema della pena di morte, quindi all’abolizione. Ma la via americana all’abolizione è una via pragmatica, così come sono pragmatiche molte scelte fatte su questioni rilevanti negli e dagli Stati Uniti. La questione degli innocenti, che rischiano di essere condannati a morte, è stata in questi anni la chiave di volta.

 

D. – “Nessuno tocchi Caino” si batte perché la prossima assemblea generale dell’Onu decida una moratoria universale delle esecuzioni capitali. E’ una missione possibile?

 

R. – Per noi questo è un anno decisivo ed è anche il decimo anno di vita di “Nessuno tocchi Caino”. Vorremmo che sia l’ultimo. Dieci anni sono sufficienti per tentare di dire, quanto meno, “fermate la pena di morte”. Detto, però, non da noi, che lo diciamo da tanti anni, ma dalla massima autorità mondiale, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite. E’ la via maestra per dare voce e speranza, dignità di persone condannate a morte, anche agli innominati, i dimenticati, coloro i quali non hanno diritto neanche alla citazione del proprio nome in un elenco di condannati a morte o di vittime di sentenza capitali. Mi riferisco ai condannati nei Paesi totalitari, nei Paesi dittatoriali o integralisti, quindi parliamo di Cina, di Vietnam, di Corea del Nord, Iran, Iraq, Sudan, Yemen, dove i detenuti condannati a morte sono giustiziati spesso senza aver avuto un processo giusto, e nel giro di poche settimane passano da un’aula di giustizia a un plotone di esecuzione. Bisogna dare dignità di persone anche a questi condannati. E la moratoria dell’Onu sulle esecuzioni capitali sarà una fortissima indicazione politica verso questi Paesi, i quali, se continuassero ad applicare la pena di morte, lo farebbero consapevoli di fare qualcosa che va contro il sentimento comune della maggioranza degli Stati del mondo.

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LE PERSECUZIONI AI GIORNALISTI PER FAR TACERE LA STAMPA,

 NEL RAPPORTO ANNUALE DI “REPORTER SENZA FRONTIERE”

- Intervista con Domenico Affinito -

 

“Reporter senza frontiere”, l’organizzazione internazionale che si batte in tutto il mondo contro la repressione della libertà di stampa e per la protezione dei giornalisti, ha pubblicato un primo bilancio sulla situazione della libertà d’informazione nel mondo nel 2002. Dal rapporto reso pubblico nella prima settimana di gennaio si evince che la libertà di stampa  è principalmente vittima delle forti tensioni internazionali. A limitare infatti la libertà d’informazione dei giornalisti, anche nei Paesi a maggior tradizione democratica, sono soprattutto le misure antiterrorismo, ma non manca la violenza politica che colpisce sempre più spesso i rappresentanti della stampa indipendente. Il servizio è di Stefano Lesz-czynski.

 

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I dati relativi al 2002 sulla libertà di stampa parlano chiaro: la situazione a livello mondiale è sempre più preoccupante. Governi, centri di potere politico o di altra natura, forze di sicurezza e criminalità organizzata ricorrono con allarmante frequenza alla violenza o ad altre forme di pressione per mettere il bavaglio ai singoli giornalisti e ai mezzi di comunicazione indipendenti. Nell’anno appena trascorso, 31 giornalisti sono stati uccisi, 489 risultano indagati, 716 sono stati aggrediti fisicamente o minacciati. Nel mondo oltre 160 persone sono attualmente incarcerate per avere cercato di fare libera informazione. Ma come interpretare questi dati? Domenico Affinito, giornalista e membro del direttivo italiano di “Reporter senza frontiere”:

 

R. - Un bilancio strano, nel senso che da una parte abbiamo una diminuzione dei giornalisti uccisi nel 2002 rispetto al 2001, però purtroppo tutti gli altri indicatori della salute del pianeta per quanto riguarda la libertà di stampa invece hanno avuto un preoccupante aggravamento. Ad esempio: è aumentato del 41,5 per cento il numero dei colleghi indagati, del 98 per cento il numero dei collegi minacciati e sono aumentati anche i media censurati: 389 nel 2002 contro i 378 l’anno prima.

 

D. – In determinati Paesi si cerca di zittire la stampa in quanto elemento di dissidenza ...

 

R. – Su circa 180 Stati nel mondo, quelli che hanno realmente la libertà di stampa sono solo 29; in tutti gli altri la libertà di stampa in un modo maggiore o minore è osteggiata. Ci sono anche dei campioni negativi in questo senso, come il Bangladesh, l’Eritrea, Haiti, il Nepal e lo Zimbabwe, soprattutto. In Nepal ci sono stati 130 giornalisti arrestati nel 2002, nel Bangladesh addirittura oltre 380 e perfino in Corea del Nord la cifra è molto alta. La Corea del Nord, tra l’altro, è giudicato da Reporter senza frontiere  il Paese più repressivo per quanto riguarda la libertà di stampa: la Corea del Nord nega anche l’utilizzo di internet, come ad esempio fa la Cina, che però ha meno morti e meno giornalisti aggrediti o minacciati.

 

(musica)

 

Purtroppo la libertà di stampa e di conseguenza la libertà d’informazione, di espressione e manifestazione del pensiero, trovano sempre più di frequente gravi limiti proprio in quei Paesi in cui storicamente la tradizione democratica appare consolidata. La guerra al terrorismo e le tensioni internazionali che hanno caratterizzato gli ultimi anni si sono presentate come ottimi alibi alla limitazione delle libertà fondamentali.

 

“Dopo l’11 settembre 2001 i cittadini americani hanno ‘accettato’ la riduzione della loro libertà personale, che è sovrana negli Stati Uniti d’America, in cambio di una maggiore sicurezza. Questo ha avuto conseguenze anche sulla libertà di stampa: ci sono maggiori controlli sui giornalisti, i giornalisti hanno anche meno possibilità di svolgere inchieste autonomamente. Questo è successo anche in Italia: in Italia, dopo – anche se l’anno nero è stato il 2001, ricordiamo, con Genova -, anche nel 2002 ci sono stati alcuni casi di perquisizioni in casa di giornalisti, di sequestro di materiale e via dicendo”.

 

A pagare il prezzo più alto sono di frequente i giornalisti che seguono l’evolversi delle situazioni di conflitto, quelli che scelgono di raccontare al mondo cosa succede al fronte. Ma come fare per rendere più sicura la professione del giornalista? Ancora Domenico Affinito:

 

“Si potrebbe rendere più sicuro il lavoro del giornalista soprattutto quando va in fronti caldi se l’Onu accettasse la Carta dei diritti del giornalista, che ‘Reporter senza frontiere’ ha promulgato alcuni mesi fa, che sancisce alcuni punti fondamentali, cioè che il giornalista è libero di svolgere un lavoro e quando si trova su un fronte ‘caldo’ deve avere la sicurezza che la sua vita non sia costantemente in pericolo”.

 

(musica)

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LE CONFERENZE EPISCOPALI DELL’EUROPA CENTRALE INCONTRANO ROMANO PRODI

PER AFFRONTARE ALCUNE IMPORTANTI QUESTIONI TRA CUI IL RUOLO DELLA CHIESA NELL’UNIONE EUROPEA:

CON NOI IL CARDINALE  CHRISTOPH SCHÖNBORN

- Servizio di Paolo Ondarza -

 

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Si è svolto nel pomeriggio di ieri a Bruxelles un incontro tra il presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, e un gruppo di responsabili delle Conferenze episcopali dell’Europa centrale; al centro dei colloqui il processo di ampliamento, la stesura della nuova costituzione e il ruolo della Chiesa nell’Unione Europea, argomenti già toccati nel corso della precedente riunione degli scorsi 28 e 29 novembre. Il cardinale arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn, ha guidato la delegazione, composta dai presidenti degli Episcopati di Bosnia-Erzegovina, mons. Franjo Komarica; Croazia, mons. Josip Bozanic; Ungheria, mons. Istvan Seregely; nonché dai rappresentanti delle Conferenze episcopali di Polonia, Slovacchia, Slovenia e Repubblica Ceca.  Diamo la parola dunque al cardinale Schönborn, raggiunto telefonicamente da Stephan Kempis.

 

“Abbiamo incontrato il presidente Prodi, ed è stato un incontro molto amichevole. I rappresentanti delle otto Conferenze episcopali centro-europee si raduneranno per un progetto comune, un ‘Katholikentag’ centroeuropeo che si svolgerà nel santuario mariano di Mariazell nel 2004. Al presidente Prodi abbiamo rivolto la proposta di prendere parte a questi lavori che riguarderanno il processo di allargamento della Comunità Europea, ma anche il superamento delle ferite del XX secolo nei Paesi centroeuropei. Speriamo che queste ferite possano essere risanate anche dal contributo della nostra iniziativa”.

 

Nel corso dei colloqui di ieri con il presidente Prodi a Bruxelles dunque, il cardinale Schönborn lo ha invitato a partecipare alle cerimonie di apertura e di chiusura del “Katholikentag” mitteleuropeo del 2003-2004. Tra gli obbiettivi primari dell’incontro organizzato dai cattolici tedeschi c’è quello di contribuire in maniera particolare all’integrazione e all’unificazione dell’Europa. Il porporato spera che questa iniziativa trovi il riconoscimento ed il sostegno dell’Unione Europea attraverso la  partecipazione di rappresentanti e politici alle varie manifestazioni previste.

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CHIESA E SOCIETA’

14 gennaio 2003

 

 

“GIOVANNI XXIII - UN TRANQUILLO INNOVATORE”: CON QUESTE PAROLE

IL MENSILE DI STORIA CONTEMPORANEA “MILLENOVECENTO”

DEFINISCE LA FIGURA DI PAPA RONCALLI. SE NE E’ PARLATO QUESTA MATTINA

IN UN CONVEGNO, SVOLTOSI PRESSO LA RADIO VATICANA

- A cura di Barbara Castelli -

 

CITTA’ DEL VATICANO. = “Giovanni XXIII è stato l’uomo della provvidenza al quadrato”. Così oggi il rabbino, Abramo Piattelli, ha definito la figura di Papa Roncalli, intervenendo al convegno “La rivoluzione di Giovanni XXIII”. L’incontro, promosso dal mensile ‘Millenovecento’, che ha dedicato un dossier a Papa Roncalli, si è svolto questa mattina presso la sala Marconi della Radio Vaticana. Secondo quanto ha riferito Piattelli, Giovanni XXIII “gettò le basi per un concreto dialogo ebraico-cattolico”, contribuendo “a far sì che la dimensione del popolo ebraico venisse accettata come un elemento di benedizione”. Presente all’incontro anche il senatore Giulio Andreotti, che ha rievocato un episodio inedito della sensibilità umana e pastorale di Giovanni XXIII. “Durante l’udienza al comitato preparatore delle Olimpiadi del 1960 a Roma - ha ricordato Andreotti - Papa Roncalli si avvicinò alla figlia ventenne del delegato americano, invalidata su una sedia a rotelle, confidandole ‘vorrei essere Cristo e dirti alzati e cammina’”. Tra i relatori anche il prof. Andrea Riccardi, autore dell’articolo su Giovanni XXIII; il cardinale Achille Silvestrini; e i giornalisti Valentino Parlato e Giancarlo Zizola.

 

 

APPUNTAMENTO NELLE PIAZZE ITALIANE IL 26 GENNAIO

PER CELEBRARE LA GIORNATA MONDIALE DEI MALATI DI LEBBRA

- A cura di Roberta Gisotti -

 

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ROMA. = Ogni minuto un nuovo caso: 10 milioni i lebbrosi nel mondo, massima parte nelle regioni più povere del Pianeta. Oggi esiste una cura efficace per questa malattia ma non si dispone purtroppo di un vaccino per debellare definitivamente il morbo di Hansen, da sempre associato a scenari di estrema miseria ed emarginazione sociale. Secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) le cifre sono in crescita: nel ’91 i nuovi casi erano 608.992; mentre 10 anni dopo, nel 2001, erano 760.695. Come ogni anno, la Giornata mondiale della lebbra si celebrerà l’ultima domenica di gennaio: appuntamento dunque per il 26 di questo mese. A volere questa Giornata fu Raoul Follereau, che la istituì nel 1954, lui, l’apostolo dei lebbrosi, che spese la sua vita per la pace e la giustizia sociale, e di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita. In questa occasione l’Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau (Aifo), che promuove la Giornata in Italia, presenterà un'antologia dei suoi scritti "Costruire la civiltà dell'Amore", edita dall'Emi e curata da Luciano Ardesi. L’Aifo, attualmente è presente con interventi socio sanitari in 30 Paesi e aderisce all’Ilep, la Federazione che raggruppa i maggiori organismi privati impegnati nella lotta alla lebbra. In 40 anni di attività dell’Aifo, gli italiani hanno contribuito a curare 1 milione di malati di lebbra, destinando 100 milioni di euro in progetti di aiuto nei Paesi a più basso reddito. La prossima Giornata, giunta alla 50 edizione vedrà scendere nelle piazze italiane migliaia di volontari per offrire il miele della solidarietà, e testimoniare così che la lebbra si può e si deve vincere con il contributo di tutti. La manifestazione sarà arricchita dallo spettacolo “Danze di luce”, messo in scena da ballerini indiani non vedenti dell’Accademia Shree Ramana Maharishi, per la prima volta in tournée in nove città italiane. Per questo tutti i fondi raccolti saranno quest’anno destinati alla cura dei malati di lebbra dell'India, il Paese che registra il 73 per cento di tutti i casi al mondo.

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LA COREA DEL NORD RISCHIA, NEI PROSSIMI MESI, UNA GRAVE CARESTIA: 

L’INVIATO DELL’ONU, MAURICE STRONG, RAGGIUNGERA’ PYONGYANG,

PER VALUTARE LA SITUAZIONE CON LE AUTORITA’ DEL PAESE ASIATICO,

AL CENTRO DELL’ATTENZIONE INTERNAZIONALE

PER I SUOI ANNUNCIATI PROPOSITI DI RIARMO NUCLEARE

PECHINO. = La Corea del Nord, che sta tenendo il mondo col fiato sospeso con la minaccia di riprendere il proprio programma nucleare, rischia una ''grave carestia in marzo o aprile''. Lo ha detto oggi l'inviato dell'Onu per la Corea del Nord, Maurice Strong, parlando con un gruppo di giornalisti a Pechino. Strong partirà tra breve per Pyongyang, per verificare le condizioni del Paese con le autorità nordcoreane. ''Se ci si muove in fretta - ha detto l' inviato dell' Onu - ci potrebbe essere una severa crisi in marzo, o aprile''. Gli aiuti umanitari alla Corea del Nord non sono stati ufficialmente bloccati, ma il flusso risente degli effetti della crisi legata al nucleare. Pyongyang ha prima espluso gli ispettori dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), incaricati di assicurarsi che il Paese non produca armi nucleari. Poi ha annunciato l’uscita dal Trattato di non proliferazione nucleare ed infine ha minacciato di riprendere i test missilistici. Il governo di Pyongyang chiede colloqui bilaterali, da pari a pari, con gli Stati Uniti per risolvere la crisi nucleare. Washington non ha escluso ''colloqui'' ma si rifiuta di ''negoziare'' con la Corea del Nord, che accusa di esercitare un ''ricatto nucleare''. (R.G.)  

 

 

SE NON ORA, QUANDO? LA RICHIESTA DI ASSOCIAZIONI, CAPPELLANI E AGENTI

PER L’INDULTO E LA RIFORMA DELLE CARCERI ITALIANE:

CONFERENZA STAMPA DOMANI A ROMA, ALLE ORE 12,

DAVANTI AL CARCERE DI REGINA COELI

 

ROMA. = “Se non ora, quando? Un indulto, vero e pieno, precondizione per un percorso di riforme”: è l’appello di volontari, associazioni, cappellani, agenti di polizia penitenziaria, che domani 15 gennaio terranno a Roma una Conferenza stampa, davanti al carcere di Regina Coeli, in via della Lungara 28, alle ore 12. Come ricorda una nota dei promotori, il 14 novembre scorso il Papa ha pronunciato davanti a tutti i parlamentari italiani, riuniti alla Camera dei Deputati, parole nette e inequivocabili: necessità del recupero e del reinserimento dei detenuti e di una riduzione delle pene. La risposta dei parlamentari è stato un forte, prolungato e corale applauso. Quelle parole e quell’applauso - aggiunge la nota - hanno riacceso concrete speranze nella popolazione detenuta e negli operatori sociali e penitenziari. Speranze che non sarebbe giusto né saggio deludere nuovamente e neppure eludere con risposte parziali o insufficienti, come il cosiddetto “indultino”. “Il sistema penitenziario è in una situazione di pre-collasso” denunciano  associazioni, volontari, cappellani, operatori e agenti di polizia penitenziaria: “ci sentiamo titolati a dirlo” – sottolineano - “poiché conosciamo da vicino, dall'interno e quotidianamente, la drammaticità di tale situazione. Di più: ci sembra doveroso dirlo alla pubblica opinione e alle forze politiche e ai parlamentari, proprio alla vigilia dell’inizio del dibattito su queste materie nell’Aula della Camera.” Da qui l’espressa “richiesta di attenzione e di concretezza a chi ha il potere, il dovere ma anche la necessità di dare risposte legislative a tutto il sistema penitenziario.” “Occorrono misure concrete per contenere e sanare questa situazione, per far fronte al disagio che riguarda sia i detenuti, sia tutti gli operatori e in modo particolare la polizia penitenziaria.” Del resto - conclude la nota - “l'indulto è una precondizione necessaria, va considerato l’inizio, e non la fine, di un percorso per avviare quelle misure strutturali che andranno prese per garantire riconoscimento, formazione e dignità professionale agli operatori tutti, nonché vivibilità nelle carceri, anche quale elemento fondante per il recupero e premessa per il reinserimento sociale delle persone detenute. Reinserimento che va sostenuto con un vero e proprio ‘piccolo piano Mashall’, che deve accompagnarsi all’indulto ed eventualmente all’amnistia. Solo il sostegno sul territorio, solo concreti percorsi di inserimento sono reale garanzia e prevenzione per rompere la spirale della recidiva e, dunque, per garantire maggiore sicurezza ai cittadini.” Tra gli organismi e gli operatori che hanno aderito all’iniziativa: Associazione Antigone; Associazione Liberi; Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia; Gruppo Abele; L’Altro diritto - Centro di documentazione su carcere, marginalità e devianza; Vic/«Volontari In Carcere» - Caritas Diocesana di Roma; don Luigi Ciotti; don Sandro Spriano, cappellano carcere di Rebibbia; padre Vittorio Trani, cappellano carcere di Regina Coeli; Cgil-Fp; Cisl-Fps-Polizia; Uil-Pa-Penitenziari; Sappe, Sindacato autonomo Polizia penitenziaria. (R.G.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

14 gennaio 2003

 

 

- A cura di Andrea Sarubbi -

 

La Gran Bretagna si riserva il diritto di un'azione contro l'Iraq anche in assenza di una seconda risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu. Lo ha detto questa mattina il ministro degli Esteri di Londra, Jack Straw, mentre i controlli vanno avanti – oggi sono stati ispezionati almeno 6 siti sospetti – e probabilmente proseguiranno ancora a lungo:

 

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Gli ispettori dell’Onu hanno ribadito ieri di avere bisogno di almeno sei mesi, o un anno di tempo, per completare il loro lavoro a Baghdad. Questo team è stato fatto dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica, mentre il segretario generale, Kofi Annan, ha dichiarato che la maggioranza del Consiglio di sicurezza non vuole terminare i controlli alla fine di gennaio, quando è previsto il primo rapporto complessivo dei capi degli ispettori. Eppure durante il fine settimana, il Pentagono ha ordinato ad altri 67 mila soldati americani di trasferirsi nella regione del Golfo, dando l’impressione che Washington sia comunque determinata a muoversi verso il confronto militare. Le autorità irachene intanto hanno denunciato un’altra incursione degli aerei che pattugliano la no fly zone nel sud del Paese, durante la quale sarebbero morti sei civili. La Turchia però ha creato un ostacolo alla possibile guerra, frenando ancora sulla concessione delle proprie basi.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Diplomazia egiziana al lavoro per cercare di risolvere le crisi in atto nell’area mediorientale. Il presidente Mubarak è oggi in Arabia Saudita, per colloqui con re Fahd bin Abdel Aziz ed il principe Abdallah. Due i temi principali degli incontri: una proposta di tregua tra israeliani e palestinesi ed un tentativo – già avviato da Riad – di convincere Saddam Hussein a lasciare il potere.

 

Si è aperta questa mattina, a Londra, la Conferenza internazionale sulle riforme dell’Autorità nazionale palestinese. I dirigenti dell’Anp – a cui Israele ha imposto il divieto di spostamento – hanno potuto seguirla solo in collegamento video da Ramallah, ma non tutti ci sono riusciti: al negoziatore palestinese Erekat, ad esempio, è stato impedito di raggiungere la località della Cisgiordania. Intanto, mentre a Gerusalemme prosegue il terzo incontro dei vescovi sulla situazione dei cristiani in Terra Santa, dal terreno continuano a giungere notizie di violenze: la giornata di ieri ha fatto registrare nuove vittime.

 

Sempre più concreta la via al dialogo che si sta aprendo nella soluzione della crisi tra Stati Uniti e Corea del Nord. L’Australia ha iniziato oggi una missione diplomatica a Pyongyang, dove nei prossimi giorni arriverà anche un emissario del Cremlino. Grazie anche alla mediazione della Cina, le due parti sembrano ora intenzionate ad avviare negoziati. Il servizio di Giancarlo La Vella:

 

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La Corea del Nord ha ribadito oggi che l’unica via per risolvere la questione nucleare è un  dialogo diretto con gli Stati Uniti. Il comunicato di Pyongyang per la prima volta è privo dei soliti toni minacciosi di propaganda. E proprio in queste ore è partita una nuova missione diplomatica australiana, in concomitanza con il viaggio in Asia del negoziatore americano James Kelly, che ieri e oggi ha avuto colloqui sulla questione con i sudcoreani a Seul. L’inviato presidenziale statunitense sarà poi in Cina. E proprio Pechino ha dichiarato di essere pronta a ospitare colloqui tra Stati Uniti e Corea del Nord, se la richiesta sarà presentata dalle due parti. Lo ha detto oggi in una conferenza stampa Zhang Qiyui, la portavoce del ministero degli Esteri cinese. “Pensiamo che il dialogo sia l'unica strada per risolvere  la crisi”, ha detto la portavoce. Da sottolineare che Kelly ieri ha detto che gli Stati Uniti sono pronti a parlare con la Corea del Nord ma non sono disposti a negoziare sul disarmo nucleare.

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Il Nepal è ancora sconvolto dalla guerriglia maoista. I ribelli hanno rapito 80 alunni di un liceo nel villaggio occidentale di Bhalchaur, per addestrarli alla guerriglia. La scorsa settimana erano stati sequestrati altri 200 giovani, 150 dei quali liberati quasi immediatamente.

 

Almeno due ribelli islamici sono rimasti uccisi oggi nelle Filippine meridionali, in uno scontro con le truppe governative nella provincia di Maguindanao. Per porre fine al difficile momento che il Paese sta attraversando, il cardinale Ricardo Vidal ha invocato oggi in una lettera pastorale un impegno “per la pace e l’unità, mettendo da parte i rancori e gli interessi personali”. Al governo di Manila, il porporato chiede di riprendere i negoziati con i guerriglieri islamici di Mindanao. Ai giudici, un atto di clemenza verso l’ex presidente Estrada, ricoverato in un ospedale militare in attesa del processo: il cardinale Vidal auspica per lui gli arresti domiciliari, in considerazione delle sue condizioni di salute.

 

“Mi aspetto la fine della guerra”. Così il presidente della Costa d’Avorio, Laurent Gbagbo, ha commentato la firma del cessate-il-fuoco avvenuta ieri a Lomé, in Togo, tra i due gruppi ribelli dell’ovest ed il governo. Il capo di Stato ha anche prospettato l’ipotesi di un’amnistia ai guerriglieri: un provvedimento da lui definito “ingiusto, ma necessario per raggiungere la pace”. Intanto, tutti i rappresentanti dei ribelli sono partiti alla volta di Parigi, dove inizierà domani una Conferenza di pace promossa dalla Francia. Ma quali sono le cause profonde della crisi ivoriana, iniziata a settembre? Risponde Raffaello Zordan, caporedattore di Nigrizia:

 

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La Costa d’Avorio è sempre stata “venduta” come un Paese-modello, dove poter impiantare un tipo di progresso di stile occidentale. Evidentemente, qualcosa non ha funzionato: io credo che non abbia funzionato proprio il modello. Non c’è stata mai una transizione dal monopartitismo al pluripartitismo, anche se Gbagbo è un presidente eletto democraticamente. Però, quello che si vede è che esistono numerose sacche di povertà molto grandi, e ci sono persone disponibili a guadagnarsi il pane quotidiano attraverso la canna di un fucile piuttosto che attraverso un dialogo. Alla radice di questo, molti analisti  vedono una mai avvenuta decolonizzazione. Non vogliamo tirare in ballo il colonialismo sempre, però è chiaro che questo è stato a lungo un Paese sotto tutela, è stato sotto il cappello del presidente-padrone Félix Houphouët-Boigny, scomparso nel 1994, e quella che sembrava apparentemente una strada aperta verso una transizione democratica, si è bloccata.

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Potrebbe giungere a conclusione entro 48 ore la vicenda dei 33 missionari che da alcune settimane si trovano assediati dai ribelli nel nord della Repubblica Centrafricana. Secondo l’agenzia Misna, i religiosi dovrebbero essere trasferiti giovedì in Ciad, per raggiungere la città meridionale di Sarh. Da lì, partirebbero poi per la capitale N’Djamena, da dove verranno eventualmente rimpatriati.

 

La minaccia del terrorismo ceceno continua a spaventare la Russia: Shamil Basaiev, leader della guerriglia islamico-indipendentista, starebbe cercando di organizzare nuove azioni terroristiche a Mosca, secondo informazioni raccolte dall'Interpol e comunicate ai servizi  segreti russi. Dal 23 ottobre – giorno del sequestro di oltre 800 persone nel teatro Dubrovka, ad opera di un commando ceceno – sono almeno una ventina le segnalazioni attendibili di possibili attentati giunte alle forze di sicurezza.

 

 

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