RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 14 - Testo della
Trasmissione di martedì 14 gennaio
2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E
SOCIETA’:
Un inviato dell’Onu in Corea del Nord, minacciata dalla
carestia.
Conferenza stampa nel
carcere romano di Regina Coeli domani, su indulto e riforme.
La
Gran Bretagna minaccia l’Iraq: guerra possibile anche senza una seconda
risoluzione Onu.
Aperta
a Londra la Conferenza sulle riforme palestinesi, ma senza i leader dell’Anp.
Con
la mediazione di Russia, Cina ed Australia si avvicina la soluzione della crisi
nordcoreana.
Firmata
la tregua, i ribelli ivoriani attesi a Parigi per il vertice di pace di domani.
Ancora
violenze nelle Filippine, il cardinale Vidal invita alla riconciliazione.
14 gennaio 2003
LE PREOCCUPAZIONI E LE SPERANZE DEL PAPA
PER IL PRESENTE E IL FUTURO DELL’UMANITA’,
NEL DISCORSO INDIRIZZATO IERI AL CORPO
DIPLOMATICO:
UNA
RIFLESSIONE CON L’ARCIVESCOVO RENATO RAFFAELE MARTINO
-
Servizio di Giovanni Peduto -
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Il Santo
Padre ha tracciato un quadro della situazione mondiale piuttosto preoccupante,
con un accenno ai principali punti focali nei diversi continenti. Ma
soprattutto si è fatto interprete del sentimento di paura che alberga nel cuore
di tanta gente, e che scaturisce dal terrorismo e dalle tante minacce di
guerra, dal problema non risolto del Medio Oriente, dalla Terra Santa all’Iraq.
E, inoltre, non va dimenticata l’Africa con i suoi focolai di guerra, senza
parlare della siccità e della carestia, e poi degli scossoni che scompigliano
il Sud America, come l’Argentina, la Colombia, il Venezuela. Ma nella
preoccupazione del Papa vi è soprattutto l’uomo come tale e il suo diritto alla
vita. Ecco in proposito il pensiero dell’arcivescovo Renato Raffaele Martino, presidente
del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, da noi avvicinato subito
dopo il discorso del Pontefice, ieri, al Corpo Diplomatico accreditato presso
la Santa Sede:
R. - Il Papa fa chiare affermazioni con un sì alla vita,
il rispetto del diritto alla vita e con il rispetto del diritto e quindi il
rispetto dei diritti e dei doveri di ogni cittadino; accenna al dovere della
solidarietà e invita, naturalmente, a mantenere le promesse, specialmente con i
paesi che hanno bisogno dell’aiuto dei paesi sviluppati, per poter crescere e
svilupparsi loro stessi. Afferma decisamente un no alla morte e quindi il no a
tutte quelle azioni che si rivolgono contro la vita e specialmente fa cenno
all’aborto, all’eutanasia e alla clonazione, atti che indeboliscono la famiglia
e la società.
D. - Incombe minacciosa
sull’umanità l’ombra di una nuova guerra, quella contro l’Iraq, ma si può evitare questa guerra,
eccellenza?
R. - La guerra non è mai una fatalità, dice il Papa, essa
è sempre una sconfitta dell’umanità, del diritto internazionale, del dialogo
reale, della solidarietà fra gli Stati e accenna all’esercizio nobile della diplomazia.
Con il negoziato, con il dialogo, è possibile evitare la guerra e, come il Papa
diceva per la prima guerra del Golfo, che era un’avventura senza ritorno: io
credo che le parole dette dal Papa in questo momento, ripetano la sua
affermazione fatta nel 1991.
D. - Ritengo che Giovanni Paolo II sarebbe disposto a
qualsiasi iniziativa pur di evitare questa guerra: lei che ne pensa?
R. - Sì, come appunto nel 1991, quando fece di tutto con
dei messaggi inviati a Bush-padre e a Saddam Hussein, e poi con tutto quello
che si fece presso le Nazioni Unite, nel tentativo di evitare l’inizio delle
ostilità. Ricordo che ero a New York, alle Nazioni Unite, e in costante
contatto con il presidente del Consiglio di Sicurezza e con il segretario
generale, e ricordo bene una conversazione telefonica con mons. Tauran
dall’ufficio del presidente del Consiglio di Sicurezza. Poi, ad un certo momento,
Perez de Cuéllar mi informò che la guerra era stata già decisa, ed infatti, il
giorno dopo iniziò.
D. - Mai come quest’anno il discorso del Papa al Corpo
Diplomatico contiene tanta preoccupazione: lei, eccellenza, suppongo che sia un
testimone diretto di questa preoccupazione del Papa.
R. - Sì, e difatti pochi giorni fa il Papa mi ha ricevuto
in udienza e ho potuto constatare personalmente questa sua preoccupazione,
momento per momento, giornaliera, per questa minaccia della pace mondiale.
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Il Papa
ha ricevuto in udienza stamani i cardinali Aloisio Lorscheider, arcivescovo di
Aparecida, e Claudio Hummes, arcivescovo di São Paulo, con altri quattro
presuli della Conferenza episcopale del Brasile, in visita “ad Limina”.
Sempre questa mattina, il Santo Padre ha ricevuto in
udienza il cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della Congregazione per
l’Evangelizzazione dei Popoli.
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La prima pagina presenta la
riflessione di Giorgio Rumi sul discorso di Giovanni Paolo II al Corpo
Diplomatico. Il titolo alla riflessione è "La guerra va riposta tra gli
arnesi del passato". Riguardo alla situazione in Iraq, si rileva che la
diplomazia è al lavoro per dire "no" alla guerra. Sempre in prima,
una riflessione di padre Salvatore M. Perrella, dal titolo "Il Rosario nel
Magistero dei Papi: da Leone XIII a Giovanni Paolo II".
Nelle pagine vaticane, un
articolo su un libro pubblicato dalla Leumann, Elledici, e dedicato
all'esperienza di un legale, sociologo e terapista che lavora in un consultorio
familiare. Il titolo all'articolo è "Il dolore dei bambini profondamente
coinvolti nel processo di separazione coniugale". Un servizio
sull'inaugurazione della cappella nella casa del clero della diocesi di
Adria-Rovigo. Il titolo dell'articolo è "Quella sequenza che riproduce i
misteri del Santo Rosario". Un articolo dell'arcivescovo Ruppi su due
"discepoli prediletti" di San Benedetto: Santi Mauro e Placido, dei
quali, il 15 gennaio, ricorre la memoria liturgica.
Nelle pagine estere, Medio
Oriente: conferenza in Gran Bretagna sulle riforme palestinesi. Repubblica
Centroafricana: i 33 religiosi bloccati a Gofo saranno trasferiti in Ciad.
Corea del Nord: tentativi di dialogo con gli Stati Uniti sul contenzioso
nucleare. Argentina: iniziativa di solidarietà realizzata dai detenuti di un
penitenziaro, a Buenos Aires, per i bambini poveri segnati dalla malnutrizione.
Nella pagina culturale, un
contributo di Franco Patruno su una mostra, a Treviso, dedicati a pittori quali
Van Gogh, Monet, Cezanne, Degas e Gauguin. Nell'"Osservatore libri"
un approfondito articolo di Francesco Licinio Galati sul primo volume dei
"Romanzi" di Anna Maria Ortese.
Nelle pagine italiane, in primo piano la situazione
politica. Il tema della giustizia. Lavoro, "Scampia non è un caso: la
periferia di Napoli specchio della drammaticità dei dati del Sud".
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SI ACCENDE IL DIBATTITO SULLA PENA DI MORTE NELLA SOCIETA’
AMERICANA,
DOPO LA SORPRENDENTE DECISIONE DEL
GOVERNATORE DELL’ILLINOIS
DI
COMMUTARE NEL CARCERE A VITA LA PENA CAPITALE DI 167 DETENUTI
- Con
noi, Sergio D’Elia -
Un gesto coraggioso per la vita, contro la morte. Con una
decisione senza precedenti, il governatore dell’Illinois, George Ryan, ha
deciso nei giorni scorsi di commutare nel carcere a vita la condanna a morte di
167 detenuti. Una decisione accolta con grande soddisfazione dalle
organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani, che ha ravvivato il
dibattito sulla pena di morte negli Stati Uniti. Dal canto suo, il presidente
americano Bush - attraverso il suo portavoce - ha fatto sapere di considerare
la pena capitale un deterrente efficace contro il crimine. Valutazione, questa,
che viene contestata da Sergio D’Elia, segretario dell’associazione “Nessuno
Tocchi Caino”, intervistato da Alessandro Gisotti:
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R. – La vera deterrenza sta nel controllo del territorio e
nel momento processuale, cioè nella certezza non della pena di morte, ma nella
certezza che a fronte di un crimine ci siano indagini, e ci sia la prospettiva
che chi ha commesso quel crimine finisca in un’aula di giustizia. Quindi, il
momento della pena di morte, semmai, è il momento fallimentare di una politica
della sicurezza. Registra cioè il fatto che non si è potuto prevenire il
delitto, e allora si ha il momento finale della vendetta nei confronti di chi
ha compiuto quel delitto.
D. – Il governatore dell’Illinois è stato per molto tempo
un convinto difensore della pena capitale. Questo cambiamento radicale può
essere letto come il segnale di un nuovo modo di porsi della società americana,
di fronte alla pena di morte?
R. – Negli ultimi anni ci sono stati dei cambiamenti che
non si potevano prevedere. Non manca settimana che dagli Stati Uniti non
giungano notizie sulla pena di morte, che rimettono in discussione il
meccanismo e il sistema. Nell’estate scorsa la Corte Suprema ha deciso che, per
esempio, è incostituzionale l’esecuzione di ritardati mentali per i quali la
sentenza sia espressa da uno o più giudici senza l’unanimità dei giurati. C’è
stata l’introduzione dei test del Dna; il limite posto alle esecuzioni di
minorenni; la moratoria prima nell’Illinois e poi nel Maryland; la diminuzione
delle condanne a morte negli Stati Uniti di anno in anno; l’opinione pubblica
in favore della pena di morte, che è scesa
al 64-65 per cento a fronte dell’80 per cento di 5-6 anni fa - e quando gli si propone
l’alternativa dell’ergastolo, senza via di uscita, il favore alla pena di morte
scende al 45, 47 per cento. Poi, le prese di posizione delle università,
dell’establishment culturale, ma anche dello star system americano, con sempre
più film contro la pena di morte. Insomma, l’America è una democrazia, in cui
si discute, si possono avanzare proposte, cosa che non esiste in altri Paesi.
D. – “Il sistema non funziona, è dominato dagli errori”,
ha dichiarato il governatore Ryan. Questo può essere un argomento decisivo per
convincere anche coloro che sostengono la pena di morte in termini generali?
R. – Assolutamente. Gli americani arriveranno attraverso
la propria via alla messa in discussione radicale del sistema della pena di
morte, quindi all’abolizione. Ma la via americana all’abolizione è una via
pragmatica, così come sono pragmatiche molte scelte fatte su questioni
rilevanti negli e dagli Stati Uniti. La questione degli innocenti, che
rischiano di essere condannati a morte, è stata in questi anni la chiave di
volta.
D. – “Nessuno tocchi Caino” si batte perché la prossima
assemblea generale dell’Onu decida una moratoria universale delle esecuzioni
capitali. E’ una missione possibile?
R. – Per noi questo è un anno decisivo ed è anche il
decimo anno di vita di “Nessuno tocchi Caino”. Vorremmo che sia l’ultimo. Dieci
anni sono sufficienti per tentare di dire, quanto meno, “fermate la pena di
morte”. Detto, però, non da noi, che lo diciamo da tanti anni, ma dalla massima
autorità mondiale, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite. E’ la via maestra
per dare voce e speranza, dignità di persone condannate a morte, anche agli
innominati, i dimenticati, coloro i quali non hanno diritto neanche alla
citazione del proprio nome in un elenco di condannati a morte o di vittime di
sentenza capitali. Mi riferisco ai condannati nei Paesi totalitari, nei Paesi
dittatoriali o integralisti, quindi parliamo di Cina, di Vietnam, di Corea del
Nord, Iran, Iraq, Sudan, Yemen, dove i detenuti condannati a morte sono giustiziati
spesso senza aver avuto un processo giusto, e nel giro di poche settimane
passano da un’aula di giustizia a un plotone di esecuzione. Bisogna dare
dignità di persone anche a questi condannati. E la moratoria dell’Onu sulle
esecuzioni capitali sarà una fortissima indicazione politica verso questi
Paesi, i quali, se continuassero ad applicare la pena di morte, lo farebbero
consapevoli di fare qualcosa che va contro il sentimento comune della
maggioranza degli Stati del mondo.
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LE PERSECUZIONI AI GIORNALISTI PER FAR TACERE
LA STAMPA,
NEL RAPPORTO ANNUALE DI “REPORTER SENZA
FRONTIERE”
-
Intervista con Domenico Affinito -
“Reporter
senza frontiere”, l’organizzazione internazionale che si batte in tutto il
mondo contro la repressione della libertà di stampa e per la protezione dei
giornalisti, ha pubblicato un primo bilancio sulla situazione della libertà
d’informazione nel mondo nel 2002. Dal rapporto reso pubblico nella prima
settimana di gennaio si evince che la libertà di stampa è principalmente vittima delle forti
tensioni internazionali. A limitare infatti la libertà d’informazione dei
giornalisti, anche nei Paesi a maggior tradizione democratica, sono soprattutto
le misure antiterrorismo, ma non manca la violenza politica che colpisce sempre
più spesso i rappresentanti della stampa indipendente. Il servizio è di Stefano
Lesz-czynski.
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(musica)
I dati relativi al 2002 sulla libertà di stampa parlano
chiaro: la situazione a livello mondiale è sempre più preoccupante. Governi,
centri di potere politico o di altra natura, forze di sicurezza e criminalità
organizzata ricorrono con allarmante frequenza alla violenza o ad altre forme
di pressione per mettere il bavaglio ai singoli giornalisti e ai mezzi di
comunicazione indipendenti. Nell’anno appena trascorso, 31 giornalisti sono
stati uccisi, 489 risultano indagati, 716 sono stati aggrediti fisicamente o
minacciati. Nel mondo oltre 160 persone sono attualmente incarcerate per avere
cercato di fare libera informazione. Ma come interpretare questi dati? Domenico
Affinito, giornalista e membro del direttivo italiano di “Reporter senza
frontiere”:
R. - Un bilancio strano, nel senso che da una parte abbiamo una
diminuzione dei giornalisti uccisi nel 2002 rispetto al 2001, però purtroppo
tutti gli altri indicatori della salute del pianeta per quanto riguarda la
libertà di stampa invece hanno avuto un preoccupante aggravamento. Ad esempio:
è aumentato del 41,5 per cento il numero dei colleghi indagati, del 98 per
cento il numero dei collegi minacciati e sono aumentati anche i media
censurati: 389 nel 2002 contro i 378 l’anno prima.
D. – In determinati Paesi si cerca di zittire la stampa in quanto
elemento di dissidenza ...
R. – Su circa 180 Stati nel mondo, quelli che hanno
realmente la libertà di stampa sono solo 29; in tutti gli altri la libertà di
stampa in un modo maggiore o minore è osteggiata. Ci sono anche dei campioni
negativi in questo senso, come il Bangladesh, l’Eritrea, Haiti, il Nepal e lo
Zimbabwe, soprattutto. In Nepal ci sono stati 130 giornalisti arrestati nel
2002, nel Bangladesh addirittura oltre 380 e perfino in Corea del Nord la cifra
è molto alta. La Corea del Nord, tra l’altro, è giudicato da Reporter senza
frontiere il Paese più repressivo per
quanto riguarda la libertà di stampa: la Corea del Nord nega anche l’utilizzo
di internet, come ad esempio fa la Cina, che però ha meno morti e meno
giornalisti aggrediti o minacciati.
(musica)
Purtroppo la libertà di stampa e di conseguenza la libertà
d’informazione, di espressione e manifestazione del pensiero, trovano sempre
più di frequente gravi limiti proprio in quei Paesi in cui storicamente la
tradizione democratica appare consolidata. La guerra al terrorismo e le
tensioni internazionali che hanno caratterizzato gli ultimi anni si sono
presentate come ottimi alibi alla limitazione delle libertà fondamentali.
“Dopo l’11 settembre 2001 i cittadini americani hanno
‘accettato’ la riduzione della loro libertà personale, che è sovrana negli
Stati Uniti d’America, in cambio di una maggiore sicurezza. Questo ha avuto
conseguenze anche sulla libertà di stampa: ci sono maggiori controlli sui
giornalisti, i giornalisti hanno anche meno possibilità di svolgere inchieste
autonomamente. Questo è successo anche in Italia: in Italia, dopo – anche se
l’anno nero è stato il 2001, ricordiamo, con Genova -, anche nel 2002 ci sono
stati alcuni casi di perquisizioni in casa di giornalisti, di sequestro di
materiale e via dicendo”.
A pagare il prezzo più alto sono
di frequente i giornalisti che seguono l’evolversi delle situazioni di
conflitto, quelli che scelgono di raccontare al mondo cosa succede al fronte.
Ma come fare per rendere più sicura la professione del giornalista? Ancora
Domenico Affinito:
“Si potrebbe rendere più sicuro
il lavoro del giornalista soprattutto quando va in fronti caldi se l’Onu
accettasse la Carta dei diritti del giornalista, che ‘Reporter senza frontiere’
ha promulgato alcuni mesi fa, che sancisce alcuni punti fondamentali, cioè che
il giornalista è libero di svolgere un lavoro e quando si trova su un fronte
‘caldo’ deve avere la sicurezza che la sua vita non sia costantemente in
pericolo”.
(musica)
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LE CONFERENZE EPISCOPALI DELL’EUROPA CENTRALE INCONTRANO
ROMANO PRODI
PER
AFFRONTARE ALCUNE IMPORTANTI QUESTIONI TRA CUI IL RUOLO DELLA CHIESA
NELL’UNIONE EUROPEA:
CON
NOI IL CARDINALE CHRISTOPH SCHÖNBORN
-
Servizio di Paolo Ondarza -
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Si è
svolto nel pomeriggio di ieri a Bruxelles un incontro tra il presidente della
Commissione Europea, Romano Prodi, e un gruppo di responsabili delle Conferenze
episcopali dell’Europa centrale; al centro dei colloqui il processo di
ampliamento, la stesura della nuova costituzione e il ruolo della Chiesa
nell’Unione Europea, argomenti già toccati nel corso della precedente riunione
degli scorsi 28 e 29 novembre. Il cardinale arcivescovo di Vienna, Christoph
Schönborn, ha guidato la delegazione, composta dai presidenti degli Episcopati
di Bosnia-Erzegovina, mons. Franjo Komarica; Croazia, mons. Josip
Bozanic; Ungheria, mons. Istvan
Seregely; nonché dai rappresentanti delle Conferenze episcopali di Polonia,
Slovacchia, Slovenia e Repubblica Ceca.
Diamo la parola dunque al cardinale Schönborn, raggiunto telefonicamente
da Stephan Kempis.
“Abbiamo incontrato il presidente Prodi, ed è stato un
incontro molto amichevole. I rappresentanti delle otto Conferenze episcopali
centro-europee si raduneranno per un progetto comune, un ‘Katholikentag’
centroeuropeo che si svolgerà nel santuario mariano di Mariazell nel 2004. Al
presidente Prodi abbiamo rivolto la proposta di prendere parte a questi lavori
che riguarderanno il processo di allargamento della Comunità Europea, ma anche
il superamento delle ferite del XX secolo nei Paesi centroeuropei. Speriamo che
queste ferite possano essere risanate anche dal contributo della nostra
iniziativa”.
Nel
corso dei colloqui di ieri con il presidente Prodi a Bruxelles dunque, il
cardinale Schönborn lo ha invitato a partecipare alle cerimonie di apertura e
di chiusura del “Katholikentag” mitteleuropeo del 2003-2004. Tra gli obbiettivi
primari dell’incontro organizzato dai cattolici tedeschi c’è quello di
contribuire in maniera particolare all’integrazione e all’unificazione
dell’Europa. Il porporato spera che questa iniziativa trovi il riconoscimento
ed il sostegno dell’Unione Europea attraverso la partecipazione di rappresentanti e politici alle varie
manifestazioni previste.
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14 gennaio 2003
“GIOVANNI XXIII - UN TRANQUILLO INNOVATORE”: CON
QUESTE PAROLE
IL
MENSILE DI STORIA CONTEMPORANEA “MILLENOVECENTO”
DEFINISCE
LA FIGURA DI PAPA RONCALLI. SE NE E’ PARLATO QUESTA MATTINA
IN UN
CONVEGNO, SVOLTOSI PRESSO LA RADIO VATICANA
- A
cura di Barbara Castelli -
CITTA’ DEL VATICANO. =
“Giovanni XXIII è stato l’uomo della provvidenza al quadrato”. Così oggi il
rabbino, Abramo Piattelli, ha definito la figura di Papa Roncalli, intervenendo
al convegno “La rivoluzione di Giovanni XXIII”. L’incontro, promosso dal
mensile ‘Millenovecento’, che ha dedicato un dossier a Papa Roncalli, si è
svolto questa mattina presso la sala Marconi della Radio Vaticana. Secondo
quanto ha riferito Piattelli, Giovanni XXIII “gettò le basi per un concreto
dialogo ebraico-cattolico”, contribuendo “a far sì che la dimensione del popolo
ebraico venisse accettata come un elemento di benedizione”. Presente all’incontro
anche il senatore Giulio Andreotti, che ha rievocato un episodio inedito della
sensibilità umana e pastorale di Giovanni XXIII. “Durante l’udienza al comitato
preparatore delle Olimpiadi del 1960 a Roma - ha ricordato Andreotti - Papa
Roncalli si avvicinò alla figlia ventenne del delegato americano, invalidata su
una sedia a rotelle, confidandole ‘vorrei essere Cristo e dirti alzati e
cammina’”. Tra i relatori anche il prof. Andrea Riccardi, autore dell’articolo
su Giovanni XXIII; il cardinale Achille Silvestrini; e i giornalisti Valentino
Parlato e Giancarlo Zizola.
APPUNTAMENTO NELLE PIAZZE ITALIANE
IL 26 GENNAIO
PER CELEBRARE LA GIORNATA MONDIALE DEI MALATI DI LEBBRA
- A cura di Roberta Gisotti -
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ROMA. = Ogni minuto un nuovo caso:
10 milioni i lebbrosi nel mondo, massima parte nelle regioni più povere del
Pianeta. Oggi esiste una cura efficace per questa malattia ma non si dispone
purtroppo di un vaccino per debellare definitivamente il morbo di Hansen, da
sempre associato a scenari di estrema miseria ed emarginazione sociale. Secondo
gli ultimi dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) le cifre sono
in crescita: nel ’91 i nuovi casi erano 608.992; mentre 10 anni dopo, nel 2001,
erano 760.695. Come ogni anno, la Giornata mondiale della lebbra si celebrerà
l’ultima domenica di gennaio: appuntamento dunque per il 26 di questo mese. A
volere questa Giornata fu Raoul Follereau, che la istituì nel 1954, lui,
l’apostolo dei lebbrosi, che spese la sua vita per la pace e la giustizia
sociale, e di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita. In questa occasione
l’Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau (Aifo), che promuove la
Giornata in Italia, presenterà un'antologia dei suoi scritti "Costruire la
civiltà dell'Amore", edita dall'Emi e curata da Luciano Ardesi. L’Aifo,
attualmente è presente con interventi socio sanitari in 30 Paesi e aderisce
all’Ilep, la Federazione che raggruppa i maggiori organismi privati impegnati
nella lotta alla lebbra. In 40 anni di attività dell’Aifo, gli italiani hanno
contribuito a curare 1 milione di malati di lebbra, destinando 100 milioni di
euro in progetti di aiuto nei Paesi a più basso reddito. La prossima Giornata,
giunta alla 50 edizione vedrà scendere nelle piazze italiane migliaia di
volontari per offrire il miele della solidarietà, e testimoniare così che la
lebbra si può e si deve vincere con il contributo di tutti. La manifestazione
sarà arricchita dallo spettacolo “Danze di luce”, messo in scena da ballerini
indiani non vedenti dell’Accademia Shree Ramana Maharishi, per la prima volta
in tournée in nove città italiane. Per questo tutti i fondi raccolti saranno
quest’anno destinati alla cura dei malati di lebbra dell'India, il Paese che
registra il 73 per cento di tutti i casi al mondo.
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LA COREA DEL NORD RISCHIA, NEI PROSSIMI MESI, UNA GRAVE CARESTIA:
L’INVIATO
DELL’ONU, MAURICE STRONG, RAGGIUNGERA’ PYONGYANG,
PER
VALUTARE LA SITUAZIONE CON LE AUTORITA’ DEL PAESE ASIATICO,
AL
CENTRO DELL’ATTENZIONE INTERNAZIONALE
PER I
SUOI ANNUNCIATI PROPOSITI DI RIARMO NUCLEARE
PECHINO. = La Corea del Nord, che sta tenendo il mondo col
fiato sospeso con la minaccia di riprendere il proprio programma nucleare,
rischia una ''grave carestia in marzo o aprile''. Lo ha detto oggi l'inviato
dell'Onu per la Corea del Nord, Maurice Strong, parlando con un gruppo di
giornalisti a Pechino. Strong partirà tra breve per Pyongyang, per verificare
le condizioni del Paese con le autorità nordcoreane. ''Se ci si muove in fretta
- ha detto l' inviato dell' Onu - ci potrebbe essere una severa crisi in marzo,
o aprile''. Gli aiuti umanitari alla Corea del Nord non sono stati
ufficialmente bloccati, ma il flusso risente degli effetti della crisi legata
al nucleare. Pyongyang ha prima espluso gli ispettori dell'Agenzia internazionale
per l'energia atomica (Aiea), incaricati di assicurarsi che il Paese non produca
armi nucleari. Poi ha annunciato l’uscita dal Trattato di non proliferazione
nucleare ed infine ha minacciato di riprendere i test missilistici. Il governo
di Pyongyang chiede colloqui bilaterali, da pari a pari, con gli Stati Uniti
per risolvere la crisi nucleare. Washington non ha escluso ''colloqui'' ma si
rifiuta di ''negoziare'' con la Corea del Nord, che accusa di esercitare un
''ricatto nucleare''. (R.G.)
ROMA. = “Se non ora, quando? Un indulto, vero e pieno,
precondizione per un percorso di riforme”: è l’appello di volontari, associazioni, cappellani,
agenti di polizia penitenziaria, che domani 15 gennaio terranno a Roma una
Conferenza stampa, davanti al carcere di Regina Coeli, in via della Lungara 28,
alle ore 12. Come ricorda una nota dei promotori, il 14 novembre scorso il Papa
ha pronunciato davanti a tutti i parlamentari italiani, riuniti alla Camera dei
Deputati, parole nette e inequivocabili: necessità del recupero e del
reinserimento dei detenuti e di una riduzione delle pene. La risposta dei
parlamentari è stato un forte, prolungato e corale applauso. Quelle parole e
quell’applauso - aggiunge la nota - hanno riacceso concrete speranze nella
popolazione detenuta e negli operatori sociali e penitenziari. Speranze che non
sarebbe giusto né saggio deludere nuovamente e neppure eludere con risposte
parziali o insufficienti, come il cosiddetto “indultino”. “Il sistema penitenziario
è in una situazione di pre-collasso” denunciano associazioni, volontari, cappellani, operatori e agenti di
polizia penitenziaria: “ci sentiamo titolati a dirlo” – sottolineano - “poiché
conosciamo da vicino, dall'interno e quotidianamente, la drammaticità di tale
situazione. Di più: ci sembra doveroso dirlo alla pubblica opinione e alle
forze politiche e ai parlamentari, proprio alla vigilia dell’inizio del dibattito
su queste materie nell’Aula della Camera.” Da qui l’espressa “richiesta di attenzione
e di concretezza a chi ha il potere, il dovere ma anche la necessità di dare risposte
legislative a tutto il sistema penitenziario.” “Occorrono misure concrete per
contenere e sanare questa situazione, per far fronte al disagio che riguarda
sia i detenuti, sia tutti gli operatori e in modo particolare la polizia
penitenziaria.” Del resto - conclude la nota - “l'indulto è una precondizione
necessaria, va considerato l’inizio, e non la fine, di un percorso per avviare
quelle misure strutturali che andranno prese per garantire riconoscimento,
formazione e dignità professionale agli operatori tutti, nonché vivibilità
nelle carceri, anche quale elemento fondante per il recupero e premessa per il
reinserimento sociale delle persone detenute. Reinserimento che va sostenuto
con un vero e proprio ‘piccolo piano Mashall’, che deve accompagnarsi
all’indulto ed eventualmente all’amnistia. Solo il sostegno sul territorio,
solo concreti percorsi di inserimento sono reale garanzia e prevenzione per
rompere la spirale della recidiva e, dunque, per garantire maggiore sicurezza
ai cittadini.” Tra gli organismi e gli operatori che hanno aderito
all’iniziativa: Associazione Antigone; Associazione Liberi; Conferenza Nazionale Volontariato
Giustizia; Gruppo Abele; L’Altro diritto - Centro di documentazione su
carcere, marginalità e devianza; Vic/«Volontari In Carcere» - Caritas Diocesana di
Roma; don
Luigi Ciotti; don
Sandro Spriano, cappellano carcere di Rebibbia; padre Vittorio Trani, cappellano
carcere di Regina Coeli; Cgil-Fp; Cisl-Fps-Polizia; Uil-Pa-Penitenziari; Sappe, Sindacato
autonomo Polizia penitenziaria. (R.G.)
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- A cura
di Andrea Sarubbi -
La Gran Bretagna si riserva il
diritto di un'azione contro l'Iraq anche in assenza di una seconda risoluzione
del Consiglio di sicurezza dell'Onu. Lo ha detto questa mattina il ministro
degli Esteri di Londra, Jack Straw, mentre i controlli vanno avanti – oggi sono
stati ispezionati almeno 6 siti sospetti – e probabilmente proseguiranno ancora
a lungo:
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Gli ispettori dell’Onu hanno
ribadito ieri di avere bisogno di almeno sei mesi, o un anno di tempo, per
completare il loro lavoro a Baghdad. Questo team è stato fatto dall’Agenzia
internazionale per l’energia atomica, mentre il segretario generale, Kofi
Annan, ha dichiarato che la maggioranza del Consiglio di sicurezza non vuole
terminare i controlli alla fine di gennaio, quando è previsto il primo rapporto
complessivo dei capi degli ispettori. Eppure durante il fine settimana, il
Pentagono ha ordinato ad altri 67 mila soldati americani di trasferirsi nella
regione del Golfo, dando l’impressione che Washington sia comunque determinata
a muoversi verso il confronto militare. Le autorità irachene intanto hanno
denunciato un’altra incursione degli aerei che pattugliano la no fly zone
nel sud del Paese, durante la quale sarebbero morti sei civili. La Turchia però
ha creato un ostacolo alla possibile guerra, frenando ancora sulla concessione
delle proprie basi.
Da New York, per la Radio
Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Diplomazia egiziana al lavoro
per cercare di risolvere le crisi in atto nell’area mediorientale. Il
presidente Mubarak è oggi in Arabia Saudita, per colloqui con re Fahd bin Abdel
Aziz ed il principe Abdallah. Due i temi principali degli incontri: una
proposta di tregua tra israeliani e palestinesi ed un tentativo – già avviato
da Riad – di convincere Saddam Hussein a lasciare il potere.
Si è aperta questa mattina, a
Londra, la Conferenza internazionale sulle riforme dell’Autorità nazionale
palestinese. I dirigenti dell’Anp – a cui Israele ha imposto il divieto di
spostamento – hanno potuto seguirla solo in collegamento video da Ramallah, ma
non tutti ci sono riusciti: al negoziatore palestinese Erekat, ad esempio, è
stato impedito di raggiungere la località della Cisgiordania. Intanto, mentre a
Gerusalemme prosegue il terzo incontro dei vescovi sulla situazione dei
cristiani in Terra Santa, dal terreno continuano a giungere notizie di violenze:
la giornata di ieri ha fatto registrare nuove vittime.
Sempre più concreta la via al
dialogo che si sta aprendo nella soluzione della crisi tra Stati Uniti e Corea
del Nord. L’Australia ha iniziato oggi una missione diplomatica a Pyongyang,
dove nei prossimi giorni arriverà anche un emissario del Cremlino. Grazie anche
alla mediazione della Cina, le due parti sembrano ora intenzionate ad avviare
negoziati. Il servizio di Giancarlo La Vella:
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La Corea del Nord ha ribadito oggi che l’unica via per risolvere la
questione nucleare è un dialogo diretto
con gli Stati Uniti. Il comunicato di Pyongyang per la prima volta è privo dei
soliti toni minacciosi di propaganda. E proprio in queste ore è partita una
nuova missione diplomatica australiana, in concomitanza con il viaggio in Asia
del negoziatore americano James Kelly, che ieri e oggi ha avuto colloqui sulla
questione con i sudcoreani a Seul. L’inviato presidenziale statunitense sarà
poi in Cina. E proprio Pechino ha dichiarato di essere pronta a ospitare
colloqui tra Stati Uniti e Corea del Nord, se la richiesta sarà presentata dalle
due parti. Lo ha detto oggi in una conferenza stampa Zhang Qiyui, la portavoce
del ministero degli Esteri cinese. “Pensiamo che il dialogo sia l'unica strada
per risolvere la crisi”, ha detto la
portavoce. Da sottolineare che Kelly ieri ha detto che gli Stati Uniti sono
pronti a parlare con la Corea del Nord ma non sono disposti a negoziare sul
disarmo nucleare.
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Il Nepal è ancora sconvolto
dalla guerriglia maoista. I ribelli hanno rapito 80 alunni di un liceo nel
villaggio occidentale di Bhalchaur, per addestrarli alla guerriglia. La scorsa
settimana erano stati sequestrati altri 200 giovani, 150 dei quali liberati
quasi immediatamente.
Almeno due ribelli islamici sono
rimasti uccisi oggi nelle Filippine meridionali, in uno scontro con le truppe
governative nella provincia di Maguindanao. Per porre fine al difficile momento
che il Paese sta attraversando, il cardinale Ricardo Vidal ha invocato oggi in
una lettera pastorale un impegno “per la pace e l’unità, mettendo da parte i
rancori e gli interessi personali”. Al governo di Manila, il porporato chiede
di riprendere i negoziati con i guerriglieri islamici di Mindanao. Ai giudici,
un atto di clemenza verso l’ex presidente Estrada, ricoverato in un ospedale
militare in attesa del processo: il cardinale Vidal auspica per lui gli arresti
domiciliari, in considerazione delle sue condizioni di salute.
“Mi aspetto la fine della
guerra”. Così il presidente della Costa d’Avorio, Laurent Gbagbo, ha commentato
la firma del cessate-il-fuoco avvenuta ieri a Lomé, in Togo, tra i due gruppi
ribelli dell’ovest ed il governo. Il capo di Stato ha anche prospettato
l’ipotesi di un’amnistia ai guerriglieri: un provvedimento da lui definito
“ingiusto, ma necessario per raggiungere la pace”. Intanto, tutti i
rappresentanti dei ribelli sono partiti alla volta di Parigi, dove inizierà
domani una Conferenza di pace promossa dalla Francia. Ma quali sono le cause
profonde della crisi ivoriana, iniziata a settembre? Risponde Raffaello Zordan,
caporedattore di Nigrizia:
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La Costa d’Avorio è sempre stata
“venduta” come un Paese-modello, dove poter impiantare un tipo di progresso di
stile occidentale. Evidentemente, qualcosa non ha funzionato: io credo che non
abbia funzionato proprio il modello. Non c’è stata mai una transizione dal
monopartitismo al pluripartitismo, anche se Gbagbo è un presidente eletto
democraticamente. Però, quello che si vede è che esistono numerose sacche di
povertà molto grandi, e ci sono persone disponibili a guadagnarsi il pane
quotidiano attraverso la canna di un fucile piuttosto che attraverso un
dialogo. Alla radice di questo, molti analisti
vedono una mai avvenuta decolonizzazione. Non vogliamo tirare in ballo
il colonialismo sempre, però è chiaro che questo è stato a lungo un Paese sotto
tutela, è stato sotto il cappello del presidente-padrone Félix
Houphouët-Boigny, scomparso nel 1994, e quella che sembrava apparentemente una
strada aperta verso una transizione democratica, si è bloccata.
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Potrebbe giungere a conclusione
entro 48 ore la vicenda dei 33 missionari che da alcune settimane si trovano
assediati dai ribelli nel nord della Repubblica Centrafricana. Secondo
l’agenzia Misna, i religiosi dovrebbero essere trasferiti giovedì in Ciad, per
raggiungere la città meridionale di Sarh. Da lì, partirebbero poi per la
capitale N’Djamena, da dove verranno eventualmente rimpatriati.
La minaccia del terrorismo
ceceno continua a spaventare la Russia: Shamil Basaiev, leader della guerriglia
islamico-indipendentista, starebbe cercando di organizzare nuove azioni
terroristiche a Mosca, secondo informazioni raccolte dall'Interpol e comunicate
ai servizi segreti russi. Dal 23
ottobre – giorno del sequestro di oltre 800 persone nel teatro Dubrovka, ad
opera di un commando ceceno – sono almeno una ventina le segnalazioni
attendibili di possibili attentati giunte alle forze di sicurezza.
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