RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 8 - Testo della Trasmissione di mercoledì 8 gennaio  2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il Signore è buono e sempre pronto a sostenerci col suo amore misericordioso. È la confortante riflessione del Papa, nella prima udienza generale del 2003.

 

Inaugurato l’Anno giudiziario dello Stato della Città del Vaticano, con la relazione del promotore di giustizia, l’avvocato Nicola Picardi: 397 procedimenti civili e 608 procedimenti penali durante il 2002 nello Stato pontificio, che conta 455 abitanti ed è meta ogni giorno di migliaia di visitatori: con noi, il giudice Gianluigi Marrone.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Drammatica emergenza alimentare in Etiopia ed Eritrea. I due Paesi africani in lotta contro il tempo per la sopravvivenza di milioni di persone: intervista con il nunzio apostolico, Silvano Maria Tomasi.

 

Ancora incertezza sulla sorte di 33 missionari in mano ai ribelli nella Repubblica Centroafricana: ai nostri microfoni, il cappuccino padre Adriano Parenti.

 

CHIESA E SOCIETA’:

A Washington dal 9 all’11 febbraio le celebrazioni della nona Giornata Mondiale del Malato.

 

Esortazione dei vescovi del Kenya alla ricostruzione del Paese, contenuta nel messaggio di inizio anno ai fedeli.

 

Liberati in Ghana 1.200 bambini ridotti in schiavitù. Decisivo il ruolo dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni.

 

Promuovere il dialogo interreligioso, impegno dei vescovi del Pakistan, che hanno proclamato il 2003 Anno nazionale della pace.

 

Le arti e le tradizioni dell’Africa subsahariana in mostra al Museo del comune bergamasco di Basella.

 

Strage di balene sulle coste della Nuova Zelanda.

 

24 ORE NEL MONDO:

Quarantesima giornata di ispezioni sugli armamenti in Iraq: gli specialisti dell’Onu negano l’accusa di spionaggio avanzata da Baghdad.

 

Nuove accuse della Corea del Nord agli Stati Uniti: “Washington responsabile del pericolo di guerra nucleare nella penisola coreana”.

 

Cinque persone uccise da un gruppo armato islamico nella regione di Chlef.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

8 gennaio 2003

 

 

DIO AMA L’UOMO, LO SOSTIENE COL SUO AMORE E NON LO ABBANDONA MAI.

COSI’ IL PAPA ALL’UDIENZA GENERALE DI OGGI, PRIMA DEL NUOVO ANNO

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

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“Il Signore è buono”, “non abbandona mai” l’uomo, è sempre pronto a sostenerlo “con il suo amore misericordioso”. Sono parole di speranza e di totale fiducia nella grandezza di Dio quelle scelte da Giovanni Paolo II per la prima udienza generale del 2003, tenuta questa mattina in Aula Paolo VI davanti a circa 3 mila pellegrini provenienti da molte parti del mondo.

 

Riannodando il filo delle sue catechesi sulla Liturgia delle ore, il Papa si è soffermato oggi sul Salmo 99. In esso, ha subito notato, si coglie “un gioioso invito a lodare il Signore”. Ma lodare Dio è un atto che può avere molte sfaccettature. Il Salmista distingue “sette imperativi” con i quali esorta il popolo ebreo a celebrare il culto divino: “Acclamate, servite, presentatevi, riconoscete, varcate le porte, lodatelo, benedite”. Sette imperativi, ha spiegato il Pontefice, che corrispondono ad altrettanti atteggiamenti del credente. C’è il momento della festa che porta all’acclamazione di tutto il Creato verso Dio. Ci sono gli appelli “di taglio liturgico e rituale”, che invitano a servire il Signore, a presentarsi a lui, a varcare le porte del suo tempio. In quest’ultimo passo del Salmo, ha notato il Papa, vi sono echi che rimandano alla tradizione patristica:

 

“L’invito a ‘varcare le porte con inni di grazie’ e ‘con canti di lode’ ci ricorda un passo de I misteri di sant’Ambrogio, dove sono descritti i battezzati che si avvicinano all’altare: 'Il popolo purificato si accosta agli altari di Cristo dicendo: “Entrerò all’altare di Dio, al Dio che allieta la mia giovinezza'”.

 

Infine, i verbi del riconoscere, del benedire, del lodare Dio, che “ripropongono - ha affermato il Papa - gli atteggiamenti religiosi fondamentali dell’orante”. Riconoscere Dio come il Signore, lodarlo e benedirlo, significa riconoscere la “sua presenza efficace e salvatrice”. In questo modo, ha concluso Giovanni Paolo II, “il Salmo approda nel finale ad una solenne esaltazione di Dio, che è una sorta di professione di fede”:

 

“Il Signore è buono e la sua fedeltà non ci abbandona mai, perché Egli è sempre pronto a sostenerci col suo amore misericordioso. Con questa fiducia l’orante s’abbandona all’abbraccio del suo Dio: 'Gustate e vedete quanto è buono il Signore; beato l’uomo che in lui si rifugia'”.

 

Al termine dell’udienza, oltre ai saluti in otto lingue, il Pontefice ha rivolto un pensiero particolare ai sacerdoti novelli dei Legionari di Cristo, invitandoli a lasciarsi permeare dal vigore spirituale che viene dalla preghiera e “infaticabili annunciatori e testimoni del Vangelo”. Un incoraggiamento a “vivere con gioia” la fede in Cristo è stato rivolto dal Papa anche agli artisti del popolare Circo Medrano, che hanno allietato i presenti con una serie di applauditi numeri circensi, molto apprezzati dallo stesso Giovanni Paolo II.

 

(musica)

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INAUGURATO STAMANI IL 74.MO ANNO GIUDIZIARIO DEL TRIBUNALE

DELLO STATO DELLA CITTA’ DEL VATICANO. CON NOI IL GIUDICE GIANLUIGI MARRONE

- Servizio di Giovanni Peduto -

 

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Ha celebrato la Santa Messa il cardinale Angelo Sodano, segretario di Stato, nella cappella del Governatorato alle ore 9.00, mettendo in risalto il rapporto tra la virtù della giustizia e la virtù della religione. La cerimonia è proseguita, per la prima volta quest’anno, nell’Aula delle Udienze del Palazzo dei Tribunali, con la relazione del Promotore di Giustizia, il prof. avvocato Nicola Picardi, sull’attività dei diversi organi giudiziari. Erano presenti, oltre che le massime autorità ed i magistrati dello Stato della Città del Vaticano, autorevoli rappresentanti della magistratura dello Stato italiano. Con noi uno dei giudici dei Tribunali del Vaticano, l’avvocato Gianluigi Marrone. Avvocato, vuole illustrare ai nostri ascoltatori cosa sono i tribunali della Città del Vaticano?

 

R. – Va chiarito che all’interno della Città del Vaticano esiste oltre che un Tribunale ecclesiastico, che appunto si occupa delle questioni che attengono alla vita della Chiesa per la porzione che riguarda lo Stato della Città del Vaticano, anche dei Tribunali civili, nel senso che attengono alla società civile, a tutti coloro che vivono in Vaticano o che si trovano a passare anche occasionalmente nel territorio dello Stato. Questi Tribunali, se intendiamo i vari livelli di giurisdizione – Tribunale, Corte d’Appello, Corte di Cassazione – hanno competenza sia in materia civile che in materia penale. Evidentemente, tutto ciò che attiene appunto ad un’organizzazione di uno Stato, seppur piccolo e atipico come è lo Stato della Città del Vaticano, o alla vita di questa realtà territoriale, rispetto non soltanto ai cittadini e ai residenti, ma a quel grande numero di visitatori – pensiamo ai fedeli della basilica di San Pietro, ai visitatori dei Musei Vaticani, che in un modo o nell’altro vengono a passare sul territorio dello Stato – tutta questa massa rientra nella giurisdizione vaticana, e quindi la loro presenza, la loro attività, il loro comportamento può essere di competenza dei tribunali.

 

D. – Come mai per la prima volta si è svolta una cerimonia di inaugurazione dell’attività dei Tribunali della Città del Vaticano?

 

R. – Spesso c’è una prima volta senza un motivo specifico. Da tempo si pensava di dare una visibilità maggiore a questa attività e soprattutto di rendere pubblici alcuni dati, come sono stati quelli della relazione del Promotore di giustizia, abbastanza significativi, anche se di modesta entità se rapportati alla realtà vaticana. Si è pensato di fare questa cerimonia in modo più visibile, anche per fugare certe forme di mistero che, soprattutto alcuni organi di stampa, tendono ad attribuire all’attività giudiziaria vaticana, e dire invece che tutto è naturalmente alla luce del sole, che tutto è conoscibile e che quel poco di bene che c’è, e a volte di insufficienza da parte nostra, è comunque controllabile, verificabile su dati ben precisi, che possono essere divulgati.

 

D. – L’avvocato Picardi ha tenuto la sua relazione sull’attività dei diversi organi giudiziari. Vuole illustrare ai nostri ascoltatori qualche caso tipico, o alcuni casi tipici di cui vi siete interessati, almeno negli ultimi tempi?

 

R. – Come le accennavo, il problema della giustizia in Vaticano è un problema tutto particolare. Solo in certe situazioni, come gli ascoltatori ricorderanno bene, ci siamo imbattuti in vicende anche drammatiche, come gli episodi che hanno riguardato purtroppo la Guardia Svizzera. In altre occasioni ci si imbatte in episodi che attengono a reati contro il patrimonio, che possono essere di notevole entità. Il grosso dei reati, e parlo della realtà della giustizia penale, attiene però ad una microcriminalità che si sviluppa in genere negli agglomerati con un grande numero di persone, pensiamo al flusso dei visitatori dei Musei e alle presenze in Basilica, quindi furtarelli, piccoli borseggi e altre attività che riguardano la competenza del Tribunale in materia penale. In materia civile ci sono una serie di competenze che riguardano anche volontari e giurisdizione, soprattutto, ma anche tutta un’altra serie di attività e di questioni, che attengono appunto al patrimonio o alla definizione delle più diverse questioni civili.

 

D. – Una parola sull’invito che avete rivolto a partecipare alla cerimonia di questa mattina ad alcuni rappresentanti della Magistratura dello Stato italiano …

 

R. – Noi abbiamo sempre avuto con la Magistratura italiana, ed anche con la Magistratura di altri Paesi, un rapporto di viva cordialità, ma non solo, di disponibilità piena alla collaborazione, quale oggi è indispensabile in una visione della giustizia che non sia arroccata su anacronistiche, incomprensibili ed ingiuste chiusure. Quindi, è stato questo un ulteriore segno di collaborazione attenta, di collaborazione attiva, di apertura e disponibilità, nei confronti della magistratura italiana, con la quale per molte occasioni, anche in occasione delle cosiddette rogatorie, cioè le richieste di assistenza  giudiziaria che vengono fatte dalla Magistratura italiana, ma non solo, si sperimenta. Quindi, dare un piccolo segnale, fatto di concreto impegno nella collaborazione per il perseguimento della giustizia.

 

D. – Qualche nome fra questi partecipanti …

 

R. – Il presidente Carbone della Corte di Cassazione, il procuratore generale Apicella, il presidente del tribunale Lo Turco, e molti altri che sono venuti a rappresentare la Magistratura italiana.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

La prima pagina si apre con la situazione nella Repubblica Centroafricana, dove negli ultimi mesi varie missioni cattoliche sono state assaltate e depredate dai ribelli. In particolare vi è apprensione per l'incerta sorte di 33 religiosi.

Una lettera "clandestina" del Beato Stepinac è il titolo del pensiero dedicato all'Anno del Rosario.

 

Nelle pagine vaticane, la catechesi e la cronaca dell'udienza generale.

Il servizio sulla Santa Messa celebrata dal cardinale Angelo Sodano per l'apertura dell'anno giudiziario in Vaticano.

Nel cammino della Chiesa in America, Venezuela: un appello della Conferenza episcopale affinché si eviti nel Paese una "tragica frattura sociale".

 

Nelle pagine estere, Iraq: Londra e Parigi mobilitano le forze armate; gli ispettori dell'Onu, alla quarantesima giornata di controlli, non riscontrano ancora violazioni.

Medio Oriente: la Gran Bretagna chiede ad Israele di rimuovere le restrizioni che impediscono all'Ap di partecipare alla Conferenza di Londra.

Corea del Nord: gli Stati Uniti disponibili al dialogo sul nucleare.

 

Nella pagina culturale, un contributo di Giancarlo Galeazzi sul rapporto tra Benedetto Croce e Jacques Maritain: “Orizzonti opposti. Una comune metodologia”.  

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la situazione politica, con particolare riguardo al tema delle riforme, al dibattito sull'indulto ed alla tragedia di Napoli.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

8 gennaio 2003

 

 

EMERGENZA ALIMENTARE IN ETIOPIA ED ERITREA,

 UNITE NELLA LOTTA CONTRO IL TEMPO

 PER LA SOPRAVVIVENZA DI MILIONI DI PERSONE

- Intervista con il nunzio apostolico Silvano Maria Tomasi -

 

E’ una corsa contro il tempo quella in atto nel Corno d’Africa. Tra due mesi, in Etiopia le scorte di cibo saranno esaurite. La fame minaccerà allora la vita di 11 milioni di esseri umani. E la crisi alimentare non è meno grave nella confinante Eritrea. Due Stati che si sono fronteggiati per anni in una sanguinosa guerra e che ora si trovano uniti in un drammatico destino di lotta per la sopravvivenza. Negli ultimi mesi, le Nazioni Unite hanno denunciato più volte la gravità della situazione. Appelli raccolti dalla comunità internazionale che ha inviato generi di prima necessità. Tuttavia il futuro della popolazione, ormai allo stremo, è quanto mai incerto come sottolinea il nunzio apostolico in Etiopia ed Eritrea, l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, al microfono di Alessandro Gisotti:

 

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R. - La risposta finora è stata abbastanza positiva. Rimangono dei punti interrogativi per i prossimi tre-quattro mesi. Rimangono dei vuoti: certe zone hanno ancora bisogno di cibo di emergenza e la distribuzione è precaria, soprattutto non arriva con la velocità e la tempestività di cui questi Paesi hanno bisogno. Mi riferisco soprattutto dell’Etiopia, che ha circa 11 milioni di persone a rischio. In Eritrea, invece, che è un Paese molto più piccolo e con minore popolazione, sono 2 milioni e 200-300 mila persone su 3 milioni e mezzo, che hanno bisogno di aiuto.

 

D. – Il continente africano è purtroppo abituato alla fame, ma nel caso dell’Etiopia e dell’Eritrea è stato fatto tutto il possibile per evitare o almeno ridurre gli effetti della carestia?

 

R. – Dobbiamo tenere conto che ci sono delle cause remote, direi endemiche, che portano a queste situazioni di emergenza. A parte la siccità che è la causa immediata, c’è stata la guerra tra Etiopia ed Eritrea che è durata quasi 30 anni. E’ chiaro che mentre si combatte e ci si uccide non c’è tempo per coltivare la terra, per produrre, per portare avanti lo sviluppo del Paese. Bisogna tener conto di un cammino storico che è stato sempre molto violento, molto complesso, mentre adesso si cerca di fare dei passi positivi per rimediare a questa lunga storia. La piccola Chiesa cattolica si è data molto da fare. Attraverso la rete delle Caritas internazionali sono arrivati due milioni e mezzo di dollari che hanno permesso alle strutture assistenziali della Chiesa di essere molto efficaci nelle zone più a rischio. Si sta distribuendo cibo, si sta cercando di costruire o rinnovare pozzi. Si sta cercando di distribuire sementi, perché il prossimo raccolto sia possibile. Mezzo milione di persone sono assistite direttamente da questi servizi della Chiesa.

 

D. – Dopo la guerra la carestia. Il Corno d’Africa è destinato a rimanere un’area dove l’emergenza ha il sapore amaro della quotidianità?

 

R. – Il Corno d’Africa è una regione tormentata, difficile. Primo, per la situazione fisica dell’aridità, delle zone desertiche. C’è un dato di fatto geofisico. Secondo, c’è una storia che è stata purtroppo impostata su conflitti tra tribù, tra gruppi etnici, conflitti tra vicini di casa, che ha portato a una paralisi dello sviluppo: pensiamo alla Somalia, alla guerra tra Etiopia ed Eritrea. D’altra parte attraverso la regionalizzazione delle soluzioni, che viene tentata dall’Unione Africana, il Corno d’Africa attraverso l’Igad, sta cercando di trovare una maniera, seppur lentamente, di affrontare problemi di comunicazione, di convivenza, in modo da uscire da questo vicolo cieco, che è stato per secoli il destino di queste popolazioni.

 

D. -  Con quale spirito la popolazione sta affrontando questa drammatica crisi alimentare?

 

R. – La popolazione risponde in maniera diversa nelle diverse regioni. Si cerca istintivamente di sopravvivere. C’è un fenomeno come quello dello spostamento della popolazione, delle emigrazioni che avvengono nella zona del sud-est, nella zona somala, dove i capi famiglia prendono il loro bestiame che non è ancora morto e cercano di portarlo in regioni vicine, dove forse c’è ancora qualche pozzo. Le donne e i bambini, invece, rimangono nei villaggi cercando di sopravvivere, a volte mangiando radici, mangiando quel po’ che si può ancora trovare. Poi si cerca, come sempre nella tradizione di ospitalità e di compartecipazione di questi Paesi, di aiutarsi a superare questo momento molto difficile, in attesa che arrivino le piogge, che permettano una ripresa dei raccolti.

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INCERTEZZA SULLA SORTE DI 33 MISSIONARI IN MANO AI RIBELLI

 NELLA REPUBBLICA CENTROAFRICANA: GUERRIGLIERI ADOLESCENTI

 SEMINANO IL TERRORE TRA LA POPOLAZIONE CIVILE

- Intervista con padre Adriano Parenti -

 

Ancora nessuna certezza, dalla Repubblica Centrafricana, sulla sorte di 33 missionari, da alcuni giorni nelle mani dei ribelli nella località settentrionale di Gofo. La situazione nel Paese è drammatica, e la guerriglia contro il presidente Ange-Felix Patassé ha peggiorato ulteriormente le condizioni di vita della popolazione. Sulla grave crisi in atto nel Paese e sulla sorte dei missionari, Andrea Sarubbi ha intervistato padre Adriano Parenti, coordinatore delle missioni del frati cappuccini nella Repubblica centrafricana:

 

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R. – Dal 25 ottobre è in corso un ennesimo tentativo di colpo di Stato, portato avanti dall’ex capo di Stato maggiore, Bozizé; in questi due mesi e mezzo, i ribelli hanno preso un po’ alla volta praticamente tutto il nord del Paese. La notizia più grave, già di qualche tempo fa, è che è stato ucciso un sacerdote della diocesi di Bossangoa, e con lui hanno perso la vita anche il responsabile della radio diocesana e due sentinelle di guardia alla radio. Poi, qualche giorno fa 33 tra missionari, suore e sacerdoti diocesani sono stati portati – o sono andati di loro spontanea volontà, ma comunque attualmente si trovano sotto la sorveglianza dei ribelli – nella missione di Gofo: sono radunati nel villaggio Ghirlandina. Infine, proprio ieri è giunta la notizia che abbiamo dovuto abbandonare anche la missione, sempre al Nord, di Bokaranga.

 

D. – Lei ha detto: “Sono stati rapiti oppure sono andati lì spontaneamente”: c’è una certa differenza ...

 

R. – C’è una certa differenza, però, in ogni caso, è una situazione estremamente delicata. Abbiamo appreso proprio ieri che i ribelli sono in prevalenza giovanissimi, armati fino ai denti: si tratta soprattutto di giovani di età tra i 15 ed i 17 anni, spesso in preda all’alcol… Quindi, anche se i religiosi sono lì, tutti assieme, magari per cercare di sostenersi sia spiritualmente che moralmente, in ogni caso si trovano in una zona controllata dai ribelli. Noi non drammatizziamo, perché le ultime notizie che abbiamo confermano che i missionari stanno tutti bene, però non è una situazione tranquilla, soprattutto perché si tratta di un Paese che – man mano che passano gli anni – sta arretrando da un punto di vista della scuola, sanitario, dello sviluppo. Il grave è proprio la situazione di tutta la popolazione, e non a caso sono lì i missionari.

 

D. – Ma perché i ribelli attaccano le missioni? Che cosa pensano di trovare, nelle missioni?

 

R. – Lì trovano, come anche nelle sedi degli organismi internazionali di solidarietà, automezzi da rubare, oppure altro materiale di cui si servono. Ma oltre alle razzie, ciò che preoccupa è la loro azione sistematica di carattere distruttivo: dove passano, distruggono tutto. Non solo le strutture delle missioni, ma anche le strutture pubbliche delle amministrazioni locali. Per cui non si capisce proprio che tipo di logica ci sia dietro, perché il colpo di Stato è nato per ragioni politiche – per prendere il potere al posto dell’attuale presidente da parte del suo ex capo di Stato maggiore – ma l’azione che si sta facendo va ben al di là, e si teme che sia sfuggita al controllo dello stesso responsabile del tentativo di golpe.

 

D. – E che atteggiamento ha avuto finora il presidente Patassé? ha mostrato vicinanza nei confronti della Chiesa?

 

R. – Patassé ha incaricato il vescovo della diocesi di Bossangoa, mons. Paulin Pomodimo, che è anche presidente della Conferenza episcopale centroafricana, di presiedere la Commissione per il dialogo di riconciliazione nazionale. Noi invitiamo appunto alla preghiera, perché mons. Pomodimo possa davvero essere sostenuto ed avere la forza e l’illuminazione, e trovare nelle varie parti in causa la disponibilità per il bene del Paese.

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CHIESA E SOCIETA’

8 gennaio 2003

 

 

DAL 9 ALL’11 FEBBRAIO PROSSIMO A WASHINGTON LE CELEBRAZIONI

 DELLA XI GIORNATA MONDIALE DEL MALATO

- A cura di Giovanni Peduto -

 

WASHINGTON. = “La via alla solidarietà: prospettiva della pastorale della salute in America”: suona così il tema che impronterà le celebrazioni dell’XI Giornata mondiale del malato programmata quest’anno a Washington dal 9 all’11 febbraio prossimo. La cerimonia conclusiva si terrà presso la basilica-santuario nazionale dell’Immacolata Concezione. Vi converranno vescovi e operatori sanitari di tutto il continente americano dal nord al sud, e per chi ha difficoltà di pagarsi le spese per il viaggio provvederà un apposito fondo messo a disposizione dai vescovi degli Stati Uniti. Il programma è già tutto fissato – come informa il Pontificio Consiglio per la pastorale della salute. Il primo giorno, domenica 9 febbraio, sarà dedicato all’approfondimento della pastorale della salute; il secondo allo studio teologico dei punti emergenti nella pastorale della salute; e il terzo alla solenne celebrazione liturgica della Giornata che coinciderà, come di consueto, con la festività liturgica di Nostra Signora di Lourdes, l’11 febbraio.

 

 

 CON IL NUOVO GOVERNO IN CARICA, PER I KENYANI E’ TEMPO DI PENSARE

 ALLA RISCOSTRUZIONE DEL PAESE: E’ L’ESORTAZIONE DEI VESCOVI DEL KENYA

 CONTENUTA NEL MESSAGGIO DI INIZIO ANNO AI FEDELI

 

NAIROBI. = Eletto il nuovo governo, è ora tempo che tutti i keniani pensino alla ricostruzione del Paese. E’ l’esortazione levata dai presuli del Kenya nel messaggio di inizio anno ai fedeli, diramato il 4 gennaio scorso. Congratulandosi con i vincitori delle elezioni dello scorso 27 dicembre – riferisce l’agenzia cattolica africana Cisa - i vescovi augurano al presidente Kibaki di riuscire a mantenere gli impegni assunti dal suo governo. D’altro canto, aggiungono, tutti gli eletti al Parlamento “hanno un importante ruolo da giocare nel ravvivare la nazione” e sono chiamati a lavorare per il bene del popolo keniano. Nel documento - firmato dal presidente della conferenza episcopale del Kenya, mons. John Njue - si ringrazia anche l’ex presidente Arap Moi per aver consentito che il cambio di potere avvenisse in modo pacifico. Né manca, nel messaggio, un tributo al popolo del Paese africano che ha saputo affrontare in modo maturo questo storico passaggio nella storia del Kenya. (A.G.)

 

 

LIBERATI NEL GHANA 1200 MINORI RIDOTTI IN SCHIAVITU’. DECISIVA LA MEDIAZIONE DELL’ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE DELLE MIGRAZIONI. I BAMBINI ERANO COSTRETTI A LAVORARE PER ORE SULLE BARCHE DEI PESCATORI DEL LAGO VOLTA

 

GINEVRA.= Una buona notizia dal Ghana: 1200 bambini ridotti in stato di schiavitù saranno presto liberi di tornare dalle loro famiglie. L’annuncio è stato fatto dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) specificando che si tratta di minori tra i 5 e i 14 anni costretti a lavorare nell’industria ittica del lago Volta nella zona centrale del Ghana. I bambini sono stati venduti ai trafficanti di schiavi dalle loro famiglie indigenti per 180 euro ciascuno. Il funzionario dell’Oim, Ernest Taylor, ha riferito che questi bambini erano costretti a lavorare dall’alba al tramonto sulle barche dei pescatori. “A volte – ha detto – le reti da pesca cadevano in acqua e molti di loro sono affogati perché obbligati a tuffarsi per recuperarle”. In base al programma dell’Oim, le famiglie dei bambini riceveranno un somma di denaro tale da consentirne il ritorno a scuola. Ai pescatori saranno, invece, offerti nuovi strumenti per aumentare la produttività della pesca in modo da non essere più indotti a ricorrere ai bambini per i lavori più pericolosi. Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) circa 250 milioni di bambini tra i 6 e i 17 anni sono costretti a lavorare. Di questi, almeno 80 milioni si trovano in Africa. (A.G.)

 

 

PROMUOVERE IL DIALOGO INTERRELIGIOSO: E’ L’IMPEGNO

 DEI VESCOVI DEL PAKISTAN CHE HANNO PROCLAMATO

 IL 2003 ANNO NAZIONALE DELLA PACE

 

LAHORE.= La Commissione per il dialogo interreligioso e l’ecumenismo della Conferenza episcopale pakistana ha dichiarato il 2003 Anno nazionale della Pace. L’auspicio dei vescovi, spiega il segretario della Commissione episcopale padre Francis Nadeem, “è che tutti i cittadini che hanno veramente a cuore la loro patria si uniscano a questa campagna di sensibilizzazione e collaborino per lo sviluppo, la salvezza e l’unità del Paese”. Tra le iniziative in programma in tutto il Pakistan, incontri interreligiosi di preghiera in chiese e moschee, festival religiosi, concorsi letterari, programmi televisivi e altre manifestazioni centrate sulla pace e il dialogo. In particolare, la Commissione lavorerà alla produzione di speciali programmi televisivi e radiofonici dedicati a questo tema di scottante attualità soprattutto in Pakistan. Tra i principali beneficiari della campagna vi saranno i bambini e i giovani. In questo ambito rientra anche la proposta della stessa Commissione di modificare i libri scolastici per inserirvi sezioni dedicate all’armonia e alla solidarietà tra le varie comunità religiose del Paese. La Commissione ha inoltre in programma una visita ai familiari delle vittime degli attacchi terroristici anticristiani di Bahawalpur, Islamabad, Murree, Taxila e Daska City, l’ultimo in ordine di tempo avvenuto il giorno di Natale. L’iniziativa dei vescovi pakistani ha ricevuto il plauso dei leader delle altre comunità religiose in Pakistan, compresi alcuni esponenti musulmani. (L.Z.)

 

 

LE ARTI E LE TRADIZIONI DELL’AFRICA SUBSAHARIANA IN MOSTRA AL MUSEO

DEL COMUNE BERGAMASCO DI BASELLA, FONDATO DAI MISSIONARI PASSIONISTI

 

BERGAMO.= La cultura africana trova sede a Basella, in provincia di Bergamo, nella nuova sede del Museo e Villaggio Africano. L’edificio sostituisce la preesistente struttura inaugurata nel 1984 dai missionari Passionisti, confraternita religiosa fondata nel 1743 da San Paolo della Croce. L’esposizione costituisce una delle più ricche collezioni di arte plastica africana, allestita allo scopo di far conoscere tradizioni e abitudini dei popoli dell’Africa e di far luce sulle trasformazioni sociali, artistiche e spirituali in atto nella regione subsahariana. La nuova sede, progettata dagli architetti Carlo Mauri, Alberto e Fabiano Trabucchi, si colloca in prossimità del convento dei missionari Passionisti e si presenta come una struttura museale di moderna concezione disposta su tre piani. Questi ambienti sono stati adibiti ad accogliere una mostra permanente, una sala congressi ed alcuni laboratori multimediali. Tra gli  intenti prioritari dei fondatori c’è la volontà di utilizzare il Museo e Villaggio Africano come luogo rappresentativo, capace di ospitare iniziative che promuovano la conoscenza e l'approfondimento di una cultura ricca e variegata. In sintonia di intenti con l'intensa attività apostolica e umanitaria svolta da sempre dalla congregazione dei passionisti il ricavato del museo sarà devoluto alle missioni d'Africa per la costruzione e il mantenimento delle scuole e dei laboratori artigianali. Ulteriori informazioni su orari ed attività in programma all’indirizzo internet www.museoafricano.it  (P.O.)

 

 

STRAGE DI BALENE SULLE COSTE DELLA NUOVA ZELANDA.

SI ARENA UN BRANCO DI 160 CETACEI, IN AZIONE DECINE

DI AMBIENTALISTI PER RIPORTARE GLI ANIMALI IN MARE

 

SYDNEY.= Un branco di circa 160 ‘balene-pilota’ si è arenato da ieri su una spiaggia della remota isola Stewart in Nuova Zelanda e almeno 80 sono già morte. Lo ha rivelato oggi un portavoce del locale Dipartimento dell'ambiente, Tom O’Connor, spiegando che decine di operatori ambientali e residenti sono impegnati nel tentativo di tenere in vita con spruzzi d’acqua e panni bagnati i cetacei che hanno nuotato verso l'isola, a circa 30 chilometri a sud dell'isola meridionale della Nuova Zelanda. Le ‘balene-pilota’, simili a delfini, arrivano ad una lunghezza di cinque metri ed un peso di tre tonnellate. La Nuova Zelanda registra uno dei numeri più alti di balene arenate, un fenomeno che sembra verificarsi quando i cetacei restano disorientati o quando un individuo dominante guida gli altri verso terra. “Sembra che siano venute a riva con l’alta marea la scorsa notte e che fossero sulla spiaggia già da 18 ore prima di essere avvistate”, ha detto O’Connor. Metà erano già morte, mentre le altre “si stanno stressando molto rapidamente nelle condizioni di caldo e di vento” dell’estate australe. Gli operatori tenteranno di guidare le balene verso il largo con l'alta marea, interponendo una flottiglia di imbarcazioni tra esse e la riva. “A quel punto il loro destino è nelle loro mani - ha detto il portavoce - le balene potranno raggrupparsi e nuotare al largo, oppure tornare ad arenarsi sulla spiaggia”. (A.G.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

8 gennaio 2003

 

 

- A cura di Giada Aquilino -

 

Prosegue il lavoro degli ispettori Onu in Iraq impegnati oggi nella 40.ma giornata della loro missione di controllo sugli armamenti di Saddam Hussein. E mentre Baghdad accusa gli esperti delle Nazioni Unite e dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica (Aiea) di fare spionaggio anziché controlli sugli armamenti, gli specialisti del Palazzo di Vetro negano ogni accusa, affermando pure di non aver trovato finora alcuna arma di distruzione di massa. Intanto l'Onu mette in guardia la comunità internazionale sui rischi di un conflitto: “Almeno mezzo milione di persone - rivela un rapporto diffuso a New York - perderebbe la vita nella sola fase iniziale di un’eventuale guerra”. Ma i preparativi militari continuano e anche Gran Bretagna e Francia si preparano ad appoggiare l’alleato americano. Il servizio di Paolo Mastrolilli:

 

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Migliaia di soldati americani hanno cominciato a muoversi verso il Golfo Persico, mentre il Pentagono sta di nuovo trasferendo nel Qatar il personale del commando che dovrebbe gestire l’invasione. Anche il governo britannico ha ordinato ad un gruppo navale guidato dalla portaerei Ark Royal, con 3 mila marines, di partire per il Golfo e ha mobilitato 1.500 riservisti. Il presidente francese Chirac ha segnalato per la prima volta la disponibilità a partecipare all’eventuale conflitto, invitando le proprie forze armate a tenersi pronte, ma poi ha avvertito gli Stati Uniti che la guerra può essere autorizzata solo dall’Onu, secondo una posizione condivisa anche dall’Arabia Saudita. La Turchia invece ha confermato che darà le proprie basi per il possibile attacco ed ha aumentato il numero dei militari di Ankara presenti nell’Iraq del nord, controllato dai curdi. Le autorità di Baghdad, secondo fonti di stampa, hanno già organizzato le difese intorno alla capitale, in modo da obbligare gli avversari a combattere nel difficile ambiente urbano.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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‘Gli Stati Uniti sono responsabili dell'accresciuto pericolo di una guerra nucleare nella penisola coreana’: è l’accusa rivolta dalle autorità di Pyongyang, intervenute di nuovo nella crisi con Washington dopo che la Casa Bianca si era detta disponibile al dialogo con il Paese comunista. Ma quali le ragioni dell’ennesimo dietro-front di Pyongyang, che ha prima annunciato il proprio riarmo nucleare e poi chiesto un dialogo senza condizioni con Washington? Risponde Francesco Sisci, esperto di questioni coreane del quotidiano ‘La Stampa’, raggiunto telefonicamente a Pechino:

 

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R. - L’unico messaggio che sembra venire da Pyongyang in questi giorni è quello di una grande confusione. Probabilmente anche perché i dirigenti nordcoreani non comprendono bene la realtà, non capiscono cosa stia succedendo a Washington e forse anche perché c’è grande confusione a livello centrale. Solo qualche giorno fa la Corea del Nord aveva aperto a Washington, chiedendo il dialogo senza condizioni, e Washington sembrava avere accolto questa richiesta. Quindi, proprio mentre tutto si metteva per il meglio, Pyongyang è tornata a far salire la tensione.

 

D. – Dietro la minaccia di una corsa al riarmo nucleare di Pyongyang, potrebbe esserci la profonda crisi alimentare che affligge la Corea del Nord?

 

R. – Senz’altro c’è sia una profondissima difficoltà della Corea del Nord, sia il fatto di non sapere come rivolgersi al mondo se non facendo rullare i tamburi di guerra. E questo dimostra anche la profondità della crisi. La Corea del Nord è alla fame, l’inverno è durissimo, ci sono difficoltà per i riscaldamenti, per l’alimentazione. Quindi, Pyongyang ha bisogno di aiuti dall’estero: come qualunque altro Paese in difficoltà dovrebbe umilmente chiederli, però non sa farlo.

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Oltre seicento miliardi di dollari in dieci anni per lo “sviluppo e il lavoro”. Così il presidente statunitense Bush ha presentato il nuovo piano economico definito “di stimolo” all'economia americana. Il programma – ha annunciato Bush – è stato studiato con i collaboratori della Casa Bianca per preservare i progressi realizzati da Washington ed assicurare una situazione di ulteriore prosperità. La manovra è incentrata fondamentalmente su larghi tagli alle tasse.

 

Sono ancora in corso le perlustrazioni a Hammat Geder, le antiche terme romane situate nella zona compresa fra il Golan, il territorio giordano ed Israele, presso il Lago di Tiberiade, dove stamani una pattuglia israeliana è riuscita a bloccare un commando di cinque uomini armati, uno dei quali è stato ucciso dai militari. Tra stanotte e stamattina poi sono stati uccisi due palestinesi – uno nella Striscia di Gaza ed uno a Tulkarem – mentre permane sia il divieto di lasciare i Territori per i minori di 35 anni e per i dirigenti dell’Autorità nazionale palestinese, sia il blocco navale al largo della Striscia di Gaza.

 

E’ ancora avvolta nel mistero, nella Repubblica Centroafricana, la sorte di oltre 30 missionari che sarebbero stati rapiti nei giorni scorsi da un gruppo di ribelli contrari al governo del presidente Ange-Felix Patassé.

 

Nuove violenze in Algeria. Cinque persone sono state assassinate ed una è rimasta gravemente ferita stanotte in un attacco di un gruppo armato islamico nella regione di Chlef, 200 km a ovest di Algeri. Nella scorsa fine settimana quattordici algerini erano rimasti vittime della violenza nel Paese nord africano.

 

Sono trenta le persone condannate a morte dal tribunale militare della Repubblica Democratica del Congo per l’assassinio dell’ex presidente Laurent-Desirè Kabila, compiuto il 16 gennaio 2001. I condannati alla pena capitale non hanno la possibilità di ricorrere in appello perché le sentenze della Corte suprema militare sono definitive. Ma l’ultima parola spetta ora al capo di Stato, Joseph Kabila, figlio del presidente assassinato. Il servizio di Emiliano Bos:

 

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‘Attentato in vista del cambio di regime’: con questa motivazione i giudici militari hanno comminato la pena capitale al colonnello Eddy Kapend, ex aiutante di campo del defunto presidente, e ad altre 29 persone. Il procuratore aveva chiesto la stessa condanna per 115 dei 135 imputati di un processo apertosi a marzo del 2001 tra molte polemiche. Forti dubbi sulla regolarità del procedimento sono stati sollevati anche da Amnesty International, che ha rivolto un appello urgente al presidente congolese Joseph Kabila, affinché le sentenze siano commutate. Nel capo di Stato, chiamato a giudicare gli assassini di suo padre, confidano anche gli avvocati difensori, i quali hanno ricordato ieri che la sentenza non può essere eseguita senza il suo consenso. Al coro di critiche si è aggiunta la voce del ministro degli Esteri del Belgio, Louis Michel, che chiederà al presidente dell’ex Zaire di non eseguire le condanne e valutare eventualmente la loro trasformazione in un’altra pena.

 

Per Radio Vaticana, Emiliano Bos.

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Sul fronte del terrorismo internazionale, dopo il ritrovamento in un appartamento di Londra della ricina - un pericoloso veleno che se inalato o ingerito può risultare fatale - sono stati arrestati sei uomini di origine nordafricana e una donna, successivamente rilasciata. Oggi intanto a Boston sarà pronunciata la sentenza del processo contro Richard Reid, l’uomo accusato di tentato disastro aereo per aver cercato di far esplodere il materiale esplosivo che aveva nascosto nelle proprie scarpe, a bordo del volo American Airlines da Parigi a Miami.

 

Venezuela. I lavoratori del settore bancario minacciano di unirsi allo sciopero generale contro il presidente Hugo Chavez. Oggi i sindacati di categoria terranno un’assemblea straordinaria per decidere la sospensione totale di tutte le attività finanziarie per due giorni. Tensioni si registrano anche nel settore dell’istruzione. Numerosi istituti scolastici di Caracas, soprattutto privati, hanno infatti aderito allo sciopero decretato dall’opposizione mettendo a rischio l’anno scolastico. A padre David Gutiérrez, direttore di Radio Guadalupana a Coro, abbiamo chiesto un’analisi dei motivi che hanno portato alla situazione attuale in Venezuela e sul possibile rischio di guerra civile:

 

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R. – Sono diversi motivi, confluiti poi in uno solo. Il problema fondamentale è che l’opposizione ha chiesto al presidente della Repubblica un cambiamento delle politiche, soprattutto di quelle economiche. Ma nonostante questi scioperi, il presidente non ha voluto cambiare le sue politiche e neanche la sua proposta di rivoluzione: ancora non si comprende cosa voglia dal Venezuela. Sembra percorrere la strada verso il comunismo - come a Cuba - che ovviamente non si vuole in questo Paese. Fino ad ora non si può dire che la situazione possa portare ad uno stato di guerra. E’ vero però che tra le persone vicine al governo, ce ne sono molte armate. E quando Chavez parla della sua rivoluzione, parla di una rivoluzione armata. Noi seguiamo questa situazione con molta attenzione, perché vogliamo una soluzione pacifica.

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Otto agenti di polizia sono rimasti uccisi ieri in Colombia in un’imboscata dei guerriglieri delle Farc, le Forze armate rivoluzionarie. I ribelli hanno piazzato una bomba lungo la strada che i poliziotti dovevano percorrere di ritorno da una missione. Cinque di loro sono morti sul colpo, mentre gli altri sono stati uccisi da colpi di arma da fuoco sparati dai guerriglieri.

 

 

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