RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 8 - Testo della
Trasmissione di mercoledì 8 gennaio
2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E
SOCIETA’:
A Washington
dal 9 all’11 febbraio le celebrazioni della nona Giornata Mondiale del Malato.
Strage di balene
sulle coste della Nuova Zelanda.
Quarantesima giornata di ispezioni sugli armamenti
in Iraq: gli specialisti dell’Onu negano l’accusa di spionaggio avanzata da
Baghdad.
Nuove accuse della Corea del Nord agli Stati
Uniti: “Washington responsabile del pericolo di guerra nucleare nella penisola
coreana”.
Cinque persone uccise da un gruppo armato islamico
nella regione di Chlef.
8 gennaio 2003
DIO AMA L’UOMO, LO SOSTIENE COL SUO AMORE E NON LO
ABBANDONA MAI.
COSI’
IL PAPA ALL’UDIENZA GENERALE DI OGGI, PRIMA DEL NUOVO ANNO
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Servizio di Alessandro De Carolis -
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“Il Signore è buono”, “non abbandona mai” l’uomo, è sempre
pronto a sostenerlo “con il suo amore misericordioso”. Sono parole di speranza
e di totale fiducia nella grandezza di Dio quelle scelte da Giovanni Paolo II
per la prima udienza generale del 2003, tenuta questa mattina in Aula Paolo VI
davanti a circa 3 mila pellegrini provenienti da molte parti del mondo.
Riannodando il filo delle sue catechesi sulla Liturgia
delle ore, il Papa si è soffermato oggi sul Salmo 99. In esso, ha subito
notato, si coglie “un gioioso invito a lodare il Signore”. Ma lodare Dio è un
atto che può avere molte sfaccettature. Il Salmista distingue “sette
imperativi” con i quali esorta il popolo ebreo a celebrare il culto divino:
“Acclamate, servite, presentatevi, riconoscete, varcate le porte, lodatelo,
benedite”. Sette imperativi, ha spiegato il Pontefice, che corrispondono ad
altrettanti atteggiamenti del credente. C’è il momento della festa che porta
all’acclamazione di tutto il Creato verso Dio. Ci sono gli appelli “di taglio
liturgico e rituale”, che invitano a servire il Signore, a presentarsi a lui, a
varcare le porte del suo tempio. In quest’ultimo passo del Salmo, ha notato il
Papa, vi sono echi che rimandano alla tradizione patristica:
“L’invito a ‘varcare le porte
con inni di grazie’ e ‘con canti di lode’ ci ricorda un passo de I misteri di
sant’Ambrogio, dove sono descritti i battezzati che si avvicinano all’altare:
'Il popolo purificato si accosta agli altari di Cristo dicendo: “Entrerò
all’altare di Dio, al Dio che allieta la mia giovinezza'”.
Infine, i verbi del riconoscere, del benedire, del lodare
Dio, che “ripropongono - ha affermato il Papa - gli atteggiamenti religiosi
fondamentali dell’orante”. Riconoscere Dio come il Signore, lodarlo e
benedirlo, significa riconoscere la “sua presenza efficace e salvatrice”. In
questo modo, ha concluso Giovanni Paolo II, “il Salmo approda nel finale ad una
solenne esaltazione di Dio, che è una sorta di professione di fede”:
“Il Signore è buono e la sua fedeltà non ci
abbandona mai, perché Egli è sempre pronto a sostenerci col suo amore
misericordioso. Con questa fiducia l’orante s’abbandona all’abbraccio del suo
Dio: 'Gustate e vedete quanto è buono
il Signore; beato l’uomo che in lui si rifugia'”.
Al termine dell’udienza, oltre ai saluti in otto lingue,
il Pontefice ha rivolto un pensiero particolare ai sacerdoti novelli dei
Legionari di Cristo, invitandoli a lasciarsi permeare dal vigore spirituale che
viene dalla preghiera e “infaticabili annunciatori e testimoni del Vangelo”. Un
incoraggiamento a “vivere con gioia” la fede in Cristo è stato rivolto dal Papa
anche agli artisti del popolare Circo Medrano, che hanno allietato i presenti
con una serie di applauditi numeri circensi, molto apprezzati dallo stesso
Giovanni Paolo II.
(musica)
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INAUGURATO STAMANI IL 74.MO ANNO GIUDIZIARIO DEL
TRIBUNALE
DELLO
STATO DELLA CITTA’ DEL VATICANO. CON NOI IL GIUDICE GIANLUIGI MARRONE
-
Servizio di Giovanni Peduto -
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Ha celebrato la Santa Messa il
cardinale Angelo Sodano, segretario di Stato, nella cappella del Governatorato
alle ore 9.00, mettendo in risalto il rapporto tra la virtù della giustizia e
la virtù della religione. La cerimonia è proseguita, per la prima volta
quest’anno, nell’Aula delle Udienze del Palazzo dei Tribunali, con la relazione
del Promotore di Giustizia, il prof. avvocato Nicola Picardi, sull’attività dei
diversi organi giudiziari. Erano presenti, oltre che le massime autorità ed i
magistrati dello Stato della Città del Vaticano, autorevoli rappresentanti
della magistratura dello Stato italiano. Con noi uno dei giudici dei Tribunali
del Vaticano, l’avvocato Gianluigi Marrone. Avvocato, vuole illustrare ai
nostri ascoltatori cosa sono i tribunali della Città del Vaticano?
R. – Va
chiarito che all’interno della Città del Vaticano esiste oltre che un Tribunale
ecclesiastico, che appunto si occupa delle questioni che attengono alla vita
della Chiesa per la porzione che riguarda lo Stato della Città del Vaticano,
anche dei Tribunali civili, nel senso che attengono alla società civile, a
tutti coloro che vivono in Vaticano o che si trovano a passare anche occasionalmente
nel territorio dello Stato. Questi Tribunali, se intendiamo i vari livelli di
giurisdizione – Tribunale, Corte d’Appello, Corte di Cassazione – hanno
competenza sia in materia civile che in materia penale. Evidentemente, tutto
ciò che attiene appunto ad un’organizzazione di uno Stato, seppur piccolo e
atipico come è lo Stato della Città del Vaticano, o alla vita di questa realtà
territoriale, rispetto non soltanto ai cittadini e ai residenti, ma a quel
grande numero di visitatori – pensiamo ai fedeli della basilica di San Pietro,
ai visitatori dei Musei Vaticani, che in un modo o nell’altro vengono a passare
sul territorio dello Stato – tutta questa massa rientra nella giurisdizione
vaticana, e quindi la loro presenza, la loro attività, il loro comportamento
può essere di competenza dei tribunali.
D. –
Come mai per la prima volta si è svolta una cerimonia di inaugurazione
dell’attività dei Tribunali della Città del Vaticano?
R. –
Spesso c’è una prima volta senza un motivo specifico. Da tempo si pensava di dare
una visibilità maggiore a questa attività e soprattutto di rendere pubblici
alcuni dati, come sono stati quelli della relazione del Promotore di giustizia,
abbastanza significativi, anche se di modesta entità se rapportati alla realtà
vaticana. Si è pensato di fare questa cerimonia in modo più visibile, anche per
fugare certe forme di mistero che, soprattutto alcuni organi di stampa, tendono
ad attribuire all’attività giudiziaria vaticana, e dire invece che tutto è
naturalmente alla luce del sole, che tutto è conoscibile e che quel poco di
bene che c’è, e a volte di insufficienza da parte nostra, è comunque controllabile,
verificabile su dati ben precisi, che possono essere divulgati.
D. –
L’avvocato Picardi ha tenuto la sua relazione sull’attività dei diversi organi
giudiziari. Vuole illustrare ai nostri ascoltatori qualche caso tipico, o
alcuni casi tipici di cui vi siete interessati, almeno negli ultimi tempi?
R. –
Come le accennavo, il problema della giustizia in Vaticano è un problema tutto
particolare. Solo in certe situazioni, come gli ascoltatori ricorderanno bene,
ci siamo imbattuti in vicende anche drammatiche, come gli episodi che hanno riguardato
purtroppo la Guardia Svizzera. In altre occasioni ci si imbatte in episodi che
attengono a reati contro il patrimonio, che possono essere di notevole entità.
Il grosso dei reati, e parlo della realtà della giustizia penale, attiene però
ad una microcriminalità che si sviluppa in genere negli agglomerati con un
grande numero di persone, pensiamo al flusso dei visitatori dei Musei e alle
presenze in Basilica, quindi furtarelli, piccoli borseggi e altre attività che
riguardano la competenza del Tribunale in materia penale. In materia civile ci
sono una serie di competenze che riguardano anche volontari e giurisdizione,
soprattutto, ma anche tutta un’altra serie di attività e di questioni, che
attengono appunto al patrimonio o alla definizione delle più diverse questioni
civili.
D. –
Una parola sull’invito che avete rivolto a partecipare alla cerimonia di questa
mattina ad alcuni rappresentanti della Magistratura dello Stato italiano …
R. –
Noi abbiamo sempre avuto con la Magistratura italiana, ed anche con la Magistratura
di altri Paesi, un rapporto di viva cordialità, ma non solo, di disponibilità
piena alla collaborazione, quale oggi è indispensabile in una visione della
giustizia che non sia arroccata su anacronistiche, incomprensibili ed ingiuste
chiusure. Quindi, è stato questo un ulteriore segno di collaborazione attenta,
di collaborazione attiva, di apertura e disponibilità, nei confronti della
magistratura italiana, con la quale per molte occasioni, anche in occasione
delle cosiddette rogatorie, cioè le richieste di assistenza giudiziaria che vengono fatte dalla Magistratura
italiana, ma non solo, si sperimenta. Quindi, dare un piccolo segnale, fatto di
concreto impegno nella collaborazione per il perseguimento della giustizia.
D. –
Qualche nome fra questi partecipanti …
R. – Il
presidente Carbone della Corte di Cassazione, il procuratore generale Apicella,
il presidente del tribunale Lo Turco, e molti altri che sono venuti a
rappresentare la Magistratura italiana.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
La prima pagina si apre con la
situazione nella Repubblica Centroafricana, dove negli ultimi mesi varie
missioni cattoliche sono state assaltate e depredate dai ribelli. In
particolare vi è apprensione per l'incerta sorte di 33 religiosi.
Una lettera
"clandestina" del Beato Stepinac è il titolo del pensiero dedicato all'Anno
del Rosario.
Nelle pagine vaticane, la
catechesi e la cronaca dell'udienza generale.
Il servizio sulla Santa Messa
celebrata dal cardinale Angelo Sodano per l'apertura dell'anno giudiziario in
Vaticano.
Nel cammino della Chiesa in
America, Venezuela: un appello della Conferenza episcopale affinché si eviti
nel Paese una "tragica frattura sociale".
Nelle pagine estere, Iraq:
Londra e Parigi mobilitano le forze armate; gli ispettori dell'Onu, alla
quarantesima giornata di controlli, non riscontrano ancora violazioni.
Medio Oriente: la Gran Bretagna
chiede ad Israele di rimuovere le restrizioni che impediscono all'Ap di
partecipare alla Conferenza di Londra.
Corea del Nord: gli Stati Uniti
disponibili al dialogo sul nucleare.
Nella pagina culturale,
un contributo di Giancarlo Galeazzi sul rapporto tra Benedetto Croce e
Jacques Maritain: “Orizzonti opposti. Una comune metodologia”.
Nelle pagine italiane, in primo
piano la situazione politica, con particolare riguardo al tema delle riforme,
al dibattito sull'indulto ed alla tragedia di Napoli.
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EMERGENZA ALIMENTARE IN ETIOPIA ED ERITREA,
UNITE NELLA LOTTA CONTRO IL TEMPO
PER LA SOPRAVVIVENZA DI MILIONI DI PERSONE
-
Intervista con il nunzio apostolico Silvano Maria Tomasi -
E’ una corsa contro il tempo quella in atto nel Corno d’Africa.
Tra due mesi, in Etiopia le scorte di cibo saranno esaurite. La fame minaccerà
allora la vita di 11 milioni di esseri umani. E la crisi alimentare non è meno
grave nella confinante Eritrea. Due Stati che si sono fronteggiati per anni in
una sanguinosa guerra e che ora si trovano uniti in un drammatico destino di
lotta per la sopravvivenza. Negli ultimi mesi, le Nazioni Unite hanno
denunciato più volte la gravità della situazione. Appelli raccolti dalla
comunità internazionale che ha inviato generi di prima necessità. Tuttavia il
futuro della popolazione, ormai allo stremo, è quanto mai incerto come
sottolinea il nunzio apostolico in Etiopia ed Eritrea, l’arcivescovo Silvano
Maria Tomasi, al microfono di Alessandro Gisotti:
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R. - La risposta finora è stata abbastanza positiva.
Rimangono dei punti interrogativi per i prossimi tre-quattro mesi. Rimangono
dei vuoti: certe zone hanno ancora bisogno di cibo di emergenza e la
distribuzione è precaria, soprattutto non arriva con la velocità e la tempestività
di cui questi Paesi hanno bisogno. Mi riferisco soprattutto dell’Etiopia, che
ha circa 11 milioni di persone a rischio. In Eritrea, invece, che è un Paese
molto più piccolo e con minore popolazione, sono 2 milioni e 200-300 mila
persone su 3 milioni e mezzo, che hanno bisogno di aiuto.
D. – Il continente africano è purtroppo abituato alla
fame, ma nel caso dell’Etiopia e dell’Eritrea è stato fatto tutto il possibile
per evitare o almeno ridurre gli effetti della carestia?
R. – Dobbiamo tenere conto che ci sono delle cause remote,
direi endemiche, che portano a queste situazioni di emergenza. A parte la
siccità che è la causa immediata, c’è stata la guerra tra Etiopia ed Eritrea
che è durata quasi 30 anni. E’ chiaro che mentre si combatte e ci si uccide non
c’è tempo per coltivare la terra, per produrre, per portare avanti lo sviluppo
del Paese. Bisogna tener conto di un cammino storico che è stato sempre molto
violento, molto complesso, mentre adesso si cerca di fare dei passi positivi
per rimediare a questa lunga storia. La piccola Chiesa cattolica si è data
molto da fare. Attraverso la rete delle Caritas internazionali sono arrivati
due milioni e mezzo di dollari che hanno permesso alle strutture assistenziali
della Chiesa di essere molto efficaci nelle zone più a rischio. Si sta
distribuendo cibo, si sta cercando di costruire o rinnovare pozzi. Si sta
cercando di distribuire sementi, perché il prossimo raccolto sia possibile.
Mezzo milione di persone sono assistite direttamente da questi servizi della
Chiesa.
D. – Dopo la guerra la carestia. Il Corno d’Africa è
destinato a rimanere un’area dove l’emergenza ha il sapore amaro della
quotidianità?
R. – Il Corno d’Africa è una regione tormentata,
difficile. Primo, per la situazione fisica dell’aridità, delle zone desertiche.
C’è un dato di fatto geofisico. Secondo, c’è una storia che è stata purtroppo
impostata su conflitti tra tribù, tra gruppi etnici, conflitti tra vicini di
casa, che ha portato a una paralisi dello sviluppo: pensiamo alla Somalia, alla
guerra tra Etiopia ed Eritrea. D’altra parte attraverso la regionalizzazione
delle soluzioni, che viene tentata dall’Unione Africana, il Corno d’Africa
attraverso l’Igad, sta cercando di trovare una maniera, seppur lentamente, di
affrontare problemi di comunicazione, di convivenza, in modo da uscire da
questo vicolo cieco, che è stato per secoli il destino di queste popolazioni.
D. - Con quale
spirito la popolazione sta affrontando questa drammatica crisi alimentare?
R. – La popolazione risponde in maniera diversa nelle
diverse regioni. Si cerca istintivamente di sopravvivere. C’è un fenomeno come
quello dello spostamento della popolazione, delle emigrazioni che avvengono
nella zona del sud-est, nella zona somala, dove i capi famiglia prendono il loro
bestiame che non è ancora morto e cercano di portarlo in regioni vicine, dove
forse c’è ancora qualche pozzo. Le donne e i bambini, invece, rimangono nei
villaggi cercando di sopravvivere, a volte mangiando radici, mangiando quel po’
che si può ancora trovare. Poi si cerca, come sempre nella tradizione di
ospitalità e di compartecipazione di questi Paesi, di aiutarsi a superare
questo momento molto difficile, in attesa che arrivino le piogge, che
permettano una ripresa dei raccolti.
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INCERTEZZA SULLA SORTE DI 33
MISSIONARI IN MANO AI RIBELLI
NELLA REPUBBLICA
CENTROAFRICANA: GUERRIGLIERI ADOLESCENTI
SEMINANO IL TERRORE TRA LA
POPOLAZIONE CIVILE
-
Intervista con padre Adriano Parenti -
Ancora
nessuna certezza, dalla Repubblica Centrafricana, sulla sorte di 33 missionari,
da alcuni giorni nelle mani dei ribelli nella località settentrionale di Gofo.
La situazione nel Paese è drammatica, e la guerriglia contro il presidente
Ange-Felix Patassé ha peggiorato ulteriormente le condizioni di vita della
popolazione. Sulla grave crisi in atto nel Paese e sulla sorte dei missionari,
Andrea Sarubbi ha intervistato padre Adriano Parenti, coordinatore delle missioni
del frati cappuccini nella Repubblica centrafricana:
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R. – Dal 25
ottobre è in corso un ennesimo tentativo di colpo di Stato, portato avanti
dall’ex capo di Stato maggiore, Bozizé; in questi due mesi e mezzo, i ribelli
hanno preso un po’ alla volta praticamente tutto il nord del Paese. La notizia
più grave, già di qualche tempo fa, è che è stato ucciso un sacerdote della
diocesi di Bossangoa, e con lui hanno perso la vita anche il responsabile della
radio diocesana e due sentinelle di guardia alla radio. Poi, qualche giorno fa
33 tra missionari, suore e sacerdoti diocesani sono stati portati – o sono
andati di loro spontanea volontà, ma comunque attualmente si trovano sotto la
sorveglianza dei ribelli – nella missione di Gofo: sono radunati nel villaggio
Ghirlandina. Infine, proprio ieri è giunta la notizia che abbiamo dovuto
abbandonare anche la missione, sempre al Nord, di Bokaranga.
D. – Lei ha
detto: “Sono stati rapiti oppure sono andati lì spontaneamente”: c’è una certa
differenza ...
R. – C’è una
certa differenza, però, in ogni caso, è una situazione estremamente delicata.
Abbiamo appreso proprio ieri che i ribelli sono in prevalenza giovanissimi,
armati fino ai denti: si tratta soprattutto di giovani di età tra i 15 ed i 17
anni, spesso in preda all’alcol… Quindi, anche se i religiosi sono lì, tutti
assieme, magari per cercare di sostenersi sia spiritualmente che moralmente, in
ogni caso si trovano in una zona controllata dai ribelli. Noi non
drammatizziamo, perché le ultime notizie che abbiamo confermano che i
missionari stanno tutti bene, però non è una situazione tranquilla, soprattutto
perché si tratta di un Paese che – man mano che passano gli anni – sta
arretrando da un punto di vista della scuola, sanitario, dello sviluppo. Il
grave è proprio la situazione di tutta la popolazione, e non a caso sono lì i
missionari.
D. – Ma perché
i ribelli attaccano le missioni? Che cosa pensano di trovare, nelle missioni?
R. – Lì
trovano, come anche nelle sedi degli organismi internazionali di solidarietà,
automezzi da rubare, oppure altro materiale di cui si servono. Ma oltre alle
razzie, ciò che preoccupa è la loro azione sistematica di carattere
distruttivo: dove passano, distruggono tutto. Non solo le strutture delle
missioni, ma anche le strutture pubbliche delle amministrazioni locali. Per cui
non si capisce proprio che tipo di logica ci sia dietro, perché il colpo di
Stato è nato per ragioni politiche – per prendere il potere al posto
dell’attuale presidente da parte del suo ex capo di Stato maggiore – ma
l’azione che si sta facendo va ben al di là, e si teme che sia sfuggita al controllo
dello stesso responsabile del tentativo di golpe.
D. – E che
atteggiamento ha avuto finora il presidente Patassé? ha mostrato vicinanza nei
confronti della Chiesa?
R. – Patassé ha
incaricato il vescovo della diocesi di Bossangoa, mons. Paulin Pomodimo, che è
anche presidente della Conferenza episcopale centroafricana, di presiedere la
Commissione per il dialogo di riconciliazione nazionale. Noi invitiamo appunto
alla preghiera, perché mons. Pomodimo possa davvero essere sostenuto ed avere
la forza e l’illuminazione, e trovare nelle varie parti in causa la
disponibilità per il bene del Paese.
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8 gennaio 2003
DAL 9 ALL’11
FEBBRAIO PROSSIMO A WASHINGTON LE CELEBRAZIONI
DELLA XI
GIORNATA MONDIALE DEL MALATO
- A cura di Giovanni Peduto -
WASHINGTON. = “La via alla solidarietà: prospettiva
della pastorale della salute in America”: suona così il tema che impronterà le
celebrazioni dell’XI Giornata mondiale del malato programmata quest’anno a
Washington dal 9 all’11 febbraio prossimo. La cerimonia conclusiva si terrà
presso la basilica-santuario nazionale dell’Immacolata Concezione. Vi
converranno vescovi e operatori sanitari di tutto il continente americano dal
nord al sud, e per chi ha difficoltà di pagarsi le spese per il viaggio
provvederà un apposito fondo messo a disposizione dai vescovi degli Stati
Uniti. Il programma è già tutto fissato – come informa il Pontificio Consiglio
per la pastorale della salute. Il primo giorno, domenica 9 febbraio, sarà
dedicato all’approfondimento della pastorale della salute; il secondo allo
studio teologico dei punti emergenti nella pastorale della salute; e il terzo alla
solenne celebrazione liturgica della Giornata che coinciderà, come di consueto,
con la festività liturgica di Nostra Signora di Lourdes, l’11 febbraio.
CON IL NUOVO GOVERNO IN CARICA, PER I KENYANI E’ TEMPO
DI PENSARE
ALLA
RISCOSTRUZIONE DEL PAESE: E’ L’ESORTAZIONE DEI VESCOVI DEL KENYA
CONTENUTA
NEL MESSAGGIO DI INIZIO ANNO AI FEDELI
NAIROBI. = Eletto il nuovo governo, è ora tempo che
tutti i keniani pensino alla ricostruzione del Paese. E’ l’esortazione levata
dai presuli del Kenya nel messaggio di inizio anno ai fedeli, diramato il 4
gennaio scorso. Congratulandosi con i vincitori delle elezioni dello scorso 27
dicembre – riferisce l’agenzia cattolica africana Cisa - i vescovi augurano al
presidente Kibaki di riuscire a mantenere gli impegni assunti dal suo governo.
D’altro canto, aggiungono, tutti gli eletti al Parlamento “hanno un importante
ruolo da giocare nel ravvivare la nazione” e sono chiamati a lavorare per il
bene del popolo keniano. Nel documento - firmato dal presidente della conferenza
episcopale del Kenya, mons. John Njue - si ringrazia anche l’ex presidente Arap
Moi per aver consentito che il cambio di potere avvenisse in modo pacifico. Né
manca, nel messaggio, un tributo al popolo del Paese africano che ha saputo
affrontare in modo maturo questo storico passaggio nella storia del Kenya.
(A.G.)
LIBERATI NEL GHANA 1200
MINORI RIDOTTI IN SCHIAVITU’. DECISIVA LA MEDIAZIONE DELL’ORGANIZZAZIONE
INTERNAZIONALE DELLE MIGRAZIONI. I BAMBINI ERANO COSTRETTI A LAVORARE PER ORE
SULLE BARCHE DEI PESCATORI DEL LAGO VOLTA
GINEVRA.= Una buona notizia dal Ghana: 1200 bambini
ridotti in stato di schiavitù saranno presto liberi di tornare dalle loro
famiglie. L’annuncio è stato fatto dall’Organizzazione internazionale delle
migrazioni (Oim) specificando che si tratta di minori tra i 5 e i 14 anni
costretti a lavorare nell’industria ittica del lago Volta nella zona centrale
del Ghana. I bambini sono stati venduti ai trafficanti di schiavi dalle loro
famiglie indigenti per 180 euro ciascuno. Il funzionario dell’Oim, Ernest
Taylor, ha riferito che questi bambini erano costretti a lavorare dall’alba al
tramonto sulle barche dei pescatori. “A volte – ha detto – le reti da pesca
cadevano in acqua e molti di loro sono affogati perché obbligati a tuffarsi per
recuperarle”. In base al programma dell’Oim, le famiglie dei bambini
riceveranno un somma di denaro tale da consentirne il ritorno a scuola. Ai
pescatori saranno, invece, offerti nuovi strumenti per aumentare la
produttività della pesca in modo da non essere più indotti a ricorrere ai
bambini per i lavori più pericolosi. Secondo l’Organizzazione internazionale
del lavoro (Ilo) circa 250 milioni di bambini tra i 6 e i 17 anni sono
costretti a lavorare. Di questi, almeno 80 milioni si trovano in Africa. (A.G.)
PROMUOVERE IL
DIALOGO INTERRELIGIOSO: E’ L’IMPEGNO
DEI VESCOVI
DEL PAKISTAN CHE HANNO PROCLAMATO
IL 2003 ANNO
NAZIONALE DELLA PACE
LAHORE.= La Commissione per il
dialogo interreligioso e l’ecumenismo della Conferenza episcopale pakistana ha
dichiarato il 2003 Anno nazionale della Pace. L’auspicio dei vescovi, spiega il
segretario della Commissione episcopale padre Francis Nadeem, “è che tutti i
cittadini che hanno veramente a cuore la loro patria si uniscano a questa
campagna di sensibilizzazione e collaborino per lo sviluppo, la salvezza e
l’unità del Paese”. Tra le iniziative in programma in tutto il Pakistan,
incontri interreligiosi di preghiera in chiese e moschee, festival religiosi,
concorsi letterari, programmi televisivi e altre manifestazioni centrate sulla
pace e il dialogo. In particolare, la Commissione lavorerà alla produzione di
speciali programmi televisivi e radiofonici dedicati a questo tema di scottante
attualità soprattutto in Pakistan. Tra i principali beneficiari della
campagna vi saranno i bambini e i giovani. In questo ambito rientra anche la
proposta della stessa Commissione di modificare i libri scolastici per
inserirvi sezioni dedicate all’armonia e alla solidarietà tra le varie comunità
religiose del Paese. La Commissione ha inoltre in programma una visita ai
familiari delle vittime degli attacchi terroristici anticristiani di
Bahawalpur, Islamabad, Murree, Taxila e Daska City, l’ultimo in ordine di tempo
avvenuto il giorno di Natale. L’iniziativa dei vescovi pakistani ha ricevuto il
plauso dei leader delle altre comunità religiose in Pakistan, compresi alcuni
esponenti musulmani. (L.Z.)
LE ARTI E LE
TRADIZIONI DELL’AFRICA SUBSAHARIANA IN MOSTRA AL MUSEO
DEL COMUNE BERGAMASCO DI BASELLA, FONDATO DAI
MISSIONARI PASSIONISTI
BERGAMO.= La cultura africana trova sede a Basella,
in provincia di Bergamo, nella nuova sede del Museo e Villaggio Africano.
L’edificio sostituisce la preesistente struttura inaugurata nel 1984 dai
missionari Passionisti, confraternita religiosa fondata nel 1743 da San Paolo
della Croce. L’esposizione costituisce una delle più ricche collezioni di arte
plastica africana, allestita allo scopo di far conoscere tradizioni e abitudini
dei popoli dell’Africa e di far luce sulle trasformazioni sociali, artistiche e
spirituali in atto nella regione subsahariana. La nuova sede, progettata dagli
architetti Carlo Mauri, Alberto e Fabiano Trabucchi, si colloca in prossimità
del convento dei missionari Passionisti e si presenta come una struttura
museale di moderna concezione disposta su tre piani. Questi ambienti sono stati
adibiti ad accogliere una mostra permanente, una sala congressi ed alcuni
laboratori multimediali. Tra gli
intenti prioritari dei fondatori c’è la volontà di utilizzare il Museo e
Villaggio Africano come luogo rappresentativo, capace di ospitare iniziative
che promuovano la conoscenza e l'approfondimento di una cultura ricca e
variegata. In sintonia di intenti con l'intensa attività apostolica e
umanitaria svolta da sempre dalla congregazione dei passionisti il ricavato del
museo sarà devoluto alle missioni d'Africa per la costruzione e il mantenimento
delle scuole e dei laboratori artigianali. Ulteriori informazioni su orari ed
attività in programma all’indirizzo internet www.museoafricano.it (P.O.)
STRAGE DI BALENE
SULLE COSTE DELLA NUOVA ZELANDA.
SI ARENA UN BRANCO DI 160 CETACEI, IN AZIONE DECINE
DI AMBIENTALISTI PER RIPORTARE GLI ANIMALI IN MARE
SYDNEY.= Un branco di circa 160 ‘balene-pilota’ si è
arenato da ieri su una spiaggia della remota isola Stewart in Nuova Zelanda e
almeno 80 sono già morte. Lo ha rivelato oggi un portavoce del locale
Dipartimento dell'ambiente, Tom O’Connor, spiegando che decine di operatori
ambientali e residenti sono impegnati nel tentativo di tenere in vita con
spruzzi d’acqua e panni bagnati i cetacei che hanno nuotato verso l'isola, a
circa 30 chilometri a sud dell'isola meridionale della Nuova Zelanda. Le
‘balene-pilota’, simili a delfini, arrivano ad una lunghezza di cinque metri ed
un peso di tre tonnellate. La Nuova Zelanda registra uno dei numeri più alti di
balene arenate, un fenomeno che sembra verificarsi quando i cetacei restano
disorientati o quando un individuo dominante guida gli altri verso terra.
“Sembra che siano venute a riva con l’alta marea la scorsa notte e che fossero
sulla spiaggia già da 18 ore prima di essere avvistate”, ha detto O’Connor.
Metà erano già morte, mentre le altre “si stanno stressando molto rapidamente
nelle condizioni di caldo e di vento” dell’estate australe. Gli operatori
tenteranno di guidare le balene verso il largo con l'alta marea, interponendo
una flottiglia di imbarcazioni tra esse e la riva. “A quel punto il loro
destino è nelle loro mani - ha detto il portavoce - le balene potranno
raggrupparsi e nuotare al largo, oppure tornare ad arenarsi sulla spiaggia”.
(A.G.)
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- A cura di Giada Aquilino -
Prosegue il lavoro degli
ispettori Onu in Iraq impegnati oggi nella 40.ma giornata
della loro missione di controllo sugli armamenti di Saddam Hussein. E mentre Baghdad accusa gli esperti delle Nazioni Unite e dell'Agenzia
internazionale dell'energia atomica (Aiea) di fare spionaggio anziché controlli
sugli armamenti, gli specialisti del Palazzo di Vetro negano ogni accusa,
affermando pure di non aver trovato finora alcuna arma di distruzione di massa.
Intanto l'Onu mette in guardia la comunità internazionale sui rischi di un
conflitto: “Almeno mezzo milione di persone - rivela un rapporto diffuso a New
York - perderebbe la vita nella sola fase iniziale di un’eventuale guerra”. Ma
i preparativi militari continuano e anche Gran Bretagna e Francia si preparano
ad appoggiare l’alleato americano. Il servizio di Paolo Mastrolilli:
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Migliaia di soldati americani hanno cominciato a muoversi verso il Golfo
Persico, mentre il Pentagono sta di nuovo trasferendo nel Qatar il personale
del commando che dovrebbe gestire l’invasione. Anche il governo britannico ha
ordinato ad un gruppo navale guidato dalla portaerei Ark Royal, con 3 mila
marines, di partire per il Golfo e ha mobilitato 1.500 riservisti. Il
presidente francese Chirac ha segnalato per la prima volta la disponibilità a
partecipare all’eventuale conflitto, invitando le proprie forze armate a
tenersi pronte, ma poi ha avvertito gli Stati Uniti che la guerra può essere
autorizzata solo dall’Onu, secondo una posizione condivisa anche dall’Arabia
Saudita. La Turchia invece ha confermato che darà le proprie basi per il
possibile attacco ed ha aumentato il numero dei militari di Ankara presenti
nell’Iraq del nord, controllato dai curdi. Le autorità di Baghdad, secondo
fonti di stampa, hanno già organizzato le difese intorno alla capitale, in modo
da obbligare gli avversari a combattere nel difficile ambiente urbano.
Da New
York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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‘Gli
Stati Uniti sono responsabili dell'accresciuto pericolo di una guerra nucleare
nella penisola coreana’: è l’accusa rivolta dalle autorità di Pyongyang,
intervenute di nuovo nella crisi con Washington dopo che la Casa Bianca si era
detta disponibile al dialogo con il Paese comunista. Ma quali le ragioni
dell’ennesimo dietro-front di Pyongyang, che ha prima annunciato il proprio riarmo
nucleare e poi chiesto un dialogo senza condizioni con Washington? Risponde
Francesco Sisci, esperto di questioni coreane del quotidiano ‘La Stampa’, raggiunto
telefonicamente a Pechino:
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R. - L’unico messaggio che sembra venire da Pyongyang in
questi giorni è quello di una grande confusione. Probabilmente anche perché i
dirigenti nordcoreani non comprendono bene la realtà, non capiscono cosa stia
succedendo a Washington e forse anche perché c’è grande confusione a livello
centrale. Solo qualche giorno fa la Corea del Nord aveva aperto a Washington,
chiedendo il dialogo senza condizioni, e Washington sembrava avere accolto
questa richiesta. Quindi, proprio mentre tutto si metteva per il meglio,
Pyongyang è tornata a far salire la tensione.
D. – Dietro la minaccia di una corsa al riarmo nucleare di
Pyongyang, potrebbe esserci la profonda crisi alimentare che affligge la Corea
del Nord?
R. – Senz’altro c’è sia una profondissima difficoltà della
Corea del Nord, sia il fatto di non sapere come rivolgersi al mondo se non
facendo rullare i tamburi di guerra. E questo dimostra anche la profondità
della crisi. La Corea del Nord è alla fame, l’inverno è durissimo, ci sono
difficoltà per i riscaldamenti, per l’alimentazione. Quindi, Pyongyang ha
bisogno di aiuti dall’estero: come qualunque altro Paese in difficoltà dovrebbe
umilmente chiederli, però non sa farlo.
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Oltre
seicento miliardi di dollari in dieci anni per lo “sviluppo e il lavoro”. Così
il presidente statunitense Bush ha presentato il nuovo piano economico definito
“di stimolo” all'economia americana. Il programma – ha annunciato Bush – è
stato studiato con i collaboratori della Casa Bianca per preservare i progressi
realizzati da Washington ed assicurare una situazione di ulteriore prosperità.
La manovra è incentrata fondamentalmente su larghi tagli alle tasse.
Sono
ancora in corso le perlustrazioni a Hammat Geder, le antiche terme romane
situate nella zona compresa fra il Golan, il territorio giordano ed Israele,
presso il Lago di Tiberiade, dove stamani una pattuglia israeliana è riuscita a
bloccare un commando di cinque uomini armati, uno dei quali è stato ucciso dai
militari. Tra stanotte e stamattina poi sono stati uccisi due palestinesi – uno
nella Striscia di Gaza ed uno a Tulkarem – mentre permane sia il divieto di lasciare
i Territori per i minori di 35 anni e per i dirigenti dell’Autorità nazionale
palestinese, sia il blocco navale al largo della Striscia di Gaza.
E’ ancora avvolta nel mistero,
nella Repubblica Centroafricana, la sorte di oltre 30 missionari che sarebbero
stati rapiti nei giorni scorsi da un gruppo di ribelli contrari al governo del
presidente Ange-Felix
Patassé.
Nuove violenze in Algeria.
Cinque persone sono state assassinate ed una è rimasta gravemente ferita
stanotte in un attacco di un gruppo armato islamico nella regione di Chlef, 200
km a ovest di Algeri. Nella scorsa fine settimana quattordici algerini erano
rimasti vittime della violenza nel Paese nord africano.
Sono trenta le persone condannate
a morte dal tribunale militare della Repubblica Democratica del Congo per
l’assassinio dell’ex presidente Laurent-Desirè Kabila, compiuto il 16 gennaio
2001. I condannati alla pena capitale non hanno la possibilità di ricorrere in
appello perché le sentenze della Corte suprema militare sono definitive. Ma
l’ultima parola spetta ora al capo di Stato, Joseph Kabila, figlio del
presidente assassinato. Il servizio di Emiliano Bos:
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‘Attentato in vista del cambio di
regime’: con questa motivazione i giudici militari hanno comminato la pena
capitale al colonnello Eddy Kapend, ex aiutante di campo del defunto
presidente, e ad altre 29 persone. Il procuratore aveva chiesto la stessa
condanna per 115 dei 135 imputati di un processo apertosi a marzo del 2001 tra
molte polemiche. Forti dubbi sulla regolarità del procedimento sono stati
sollevati anche da Amnesty International, che ha rivolto un appello urgente al
presidente congolese Joseph Kabila, affinché le sentenze siano commutate. Nel
capo di Stato, chiamato a giudicare gli assassini di suo padre, confidano anche
gli avvocati difensori, i quali hanno ricordato ieri che la sentenza non può
essere eseguita senza il suo consenso. Al coro di critiche si è aggiunta la
voce del ministro degli Esteri del Belgio, Louis Michel, che chiederà al
presidente dell’ex Zaire di non eseguire le condanne e valutare eventualmente
la loro trasformazione in un’altra pena.
Per Radio Vaticana, Emiliano Bos.
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Sul fronte del terrorismo
internazionale, dopo il ritrovamento in un appartamento di Londra della ricina
- un pericoloso veleno che se inalato o ingerito può risultare fatale - sono
stati arrestati sei uomini di origine nordafricana e una donna, successivamente
rilasciata. Oggi intanto a Boston sarà pronunciata la sentenza del processo
contro Richard Reid, l’uomo accusato di tentato disastro aereo per aver cercato
di far esplodere il materiale esplosivo che aveva nascosto nelle proprie
scarpe, a bordo del volo American Airlines da Parigi a Miami.
Venezuela. I lavoratori del settore bancario minacciano di
unirsi allo sciopero generale contro il presidente Hugo Chavez. Oggi i
sindacati di categoria terranno un’assemblea straordinaria per decidere la
sospensione totale di tutte le attività finanziarie per due giorni. Tensioni si
registrano anche nel settore dell’istruzione. Numerosi istituti scolastici di
Caracas, soprattutto privati, hanno infatti aderito allo sciopero decretato
dall’opposizione mettendo a rischio l’anno scolastico. A padre David Gutiérrez,
direttore di Radio Guadalupana a Coro, abbiamo chiesto un’analisi dei motivi
che hanno portato alla situazione attuale in Venezuela e sul possibile rischio
di guerra civile:
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R. – Sono diversi motivi, confluiti poi in uno solo. Il
problema fondamentale è che l’opposizione ha chiesto al presidente della
Repubblica un cambiamento delle politiche, soprattutto di quelle economiche. Ma
nonostante questi scioperi, il presidente non ha voluto cambiare le sue
politiche e neanche la sua proposta di rivoluzione: ancora non si comprende
cosa voglia dal Venezuela. Sembra percorrere la strada verso il comunismo -
come a Cuba - che ovviamente non si vuole in questo Paese. Fino ad ora non si
può dire che la situazione possa portare ad uno stato di guerra. E’ vero però
che tra le persone vicine al governo, ce ne sono molte armate. E quando Chavez
parla della sua rivoluzione, parla di una rivoluzione armata. Noi seguiamo
questa situazione con molta attenzione, perché vogliamo una soluzione pacifica.
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Otto agenti di polizia sono
rimasti uccisi ieri in Colombia in un’imboscata dei guerriglieri delle Farc, le
Forze armate rivoluzionarie. I ribelli hanno piazzato una bomba lungo la strada
che i poliziotti dovevano percorrere di ritorno da una missione. Cinque di loro
sono morti sul colpo, mentre gli altri sono stati uccisi da colpi di arma da
fuoco sparati dai guerriglieri.
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