RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 4 - Testo della Trasmissione di sabato 4 gennaio 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

In udienza dal Papa il nunzio nella Repubblica Federale di Jugoslavia e il prelato dell’Opus Dei. Nominati due vescovi ausiliari a Westminster, uno proviene dalla Chiesa anglicana.

 

Nella Solennità dell’Epifania del Signore, Giovanni Paolo II conferirà l’ordinazione episcopale a 12 vescovi di varie nazionalità: intervista con mons. Celestino Migliore, nuovo osservatore permanente della Santa Sede presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Passo avanti nella costruzione di un mondo più sicuro. L’Italia completa il programma di distruzione delle sue mine antiuomo: ai nostri microfoni, il presidente della Campagna antimine, Tonio Dell’Olio.

 

Concluso felicemente da cento giovani della Comunità “Papa Giovanni XXIII” il percorso di recupero dalla tossicodipendenza: le testimonianze di don Oreste Benzi e di un ragazzo uscito dal “tunnel”.

 

La Francia alla prova nella crisi della Costa d’Avorio, dilaniata dal conflitto: con noi, l’esperto di questioni africane Domenico Quirico.

 

CHIESA E SOCIETA’:

In atto tentativi per il rilascio di un missionario italiano e di un sacerdote locale rapiti nella Repubblica Democratica del Congo.

 

Presieduti questa mattina da mons. Foley, nella chiesa romana di Santa Maria del Rosario, i funerali di padre Patrick Casserly.

 

Il presidente della Conferenza episcopale centrafricana, Paulin Pomodimo, nominato dal capo di Stato del Paese africano principale mediatore con i ribelli di François Bozize’.

 

Inaugurato in Siria il primo Centro cattolico di formazione cristiana.

 

Dal prossimo febbraio, primo in Italia, parte il corso “Gesto e parola”, dedicato alla forme di comunicazione legate alla liturgia.

 

24 ORE NEL MONDO:

Bush ha ribadito che “la guerra è l’ultima opzione”, lasciando intendere che una soluzione diplomatica non sembra vicina. Intanto cresce nel mondo la protesta contro un attacco americano all’Iraq.

 

Il portavoce del dipartimento di Stato americano, Boucher, ha respinto la richiesta dell’ambasciatore di Pyongyang a Pechino di una ripresa del dialogo senza condizioni. Il presidente sudcoreano, Roh Moo-hyun, sta preparando un piano di pace.

 

Un altro giorno di crisi in Venezuela: ieri a Caracas nuovi scontri fra manifestanti dell’opposizione e sostenitori del presidente Chávez: almeno due morti e decine di feriti.

 

Iniziata ieri in Costa d’Avorio la visita del ministro degli Esteri francese, de Villepin, che ha ottenuto dal presidente Gbagbo l’impegno ad un cessate-il-fuoco totale ed a rimandare a casa i mercenari che supportano l’esercito. Oggi l’incontro con i ribelli, dal 15 gennaio vertice a Parigi.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

4 gennaio 2003

 

 

LUNEDI’ 6 GENNAIO, FESTA DELL’EPIFANIA,

IL PAPA ORDINERA’ 12 NUOVI VESCOVI DI 3 CONTINENTI

A SOTTOLINEARE LA CONTINUITA’ MISSIONE

DI SALVEZZA DI CRISTO LUCE DELLE GENTI

CON NOI MONS. CELESTINO MIGLIORE

- A cura di Carla Cotignoli -

 

Com’è tradizione, lunedì solennità dell’Epifania del Signore, il Papa  presiederà, nella Basilica di San Pietro, la solenne celebrazione eucaristica durante la quale ordinerà 12 nuovi vescovi di 8 Paesi di 3 continenti: Corea, Vietnam, Iraq, Benin, Spagna, Slovacchia, Irlanda ed Italia. Coadiuveranno il Papa per la cerimonia di consacrazione, gli arcivescovi Leonardo Sandri, sostituto della Segreteria di Stato, e Antonio Maria Vegliò, segretario della Congregazione per le Chiese Orientali.

 

Il rito dell'ordinazione episcopale, celebrato nella solennità della manifestazione del Verbo incarnato, evidenzia anche l'Epifania della Chiesa, chiamata ad essere, come Cristo, «luce delle genti» e punto di incontro per tutti i popoli della terra ai quali Cristo ha inviato i suoi Apostoli che continuano, nei Vescovi loro successori, la sua missione di salvezza.

 

Tra i nuovi vescovi: i neo-nominati segretari della Congregazione per la dottrina della fede, l’italiano Angelo Amato, e del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, l’irlandese Brian Farrell, dei Legionari di Cristo. Tre  i vescovi di recente incaricati dal Papa come  nunzi apostolici:

in Asia, Bangladesh, il coreano Paul Tschang In-nam;

in Africa, Togo e Benin, il vietnamita Pierre Nguyên Van Tot; e

con destinazione da precisare, lo spagnolo Pedro López Quintana.

 

Sei  i vescovi incaricati del governo pastorale:

In Iraq, Andraos Abouna, vescovo ausiliare del Patriarcato di Babilonia dei Caldei, in Africa, Benin, per la diocesi di Abomey Benin, René-Marie Ehuzu; in Slovacchia, diocesi di Presov, Ján Babjak, gesuita; in Italia, Mazara del Vallo, Calogero La Piana, salesiano. Lo slovacco Milan Šašik della Concregazione della Missione, nominato  amministratore apostolico dell’Eparchia di Mukacheve in Ucraina; l’italiano Giuseppe Nazzaro, dell’Ordine dei Frati Minori, vicario apostolico di Alep dei Latini in Siria.

 

E ancora l’italiano Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu a New York. Da 7 anni ricopriva l’incarico di sottosegretario per i Rapporti con gli Stati, ed ha capeggiato la missione annuale in Vietnam per intessere rapporti con il governo e i vescovi del Paese asiatico. Innanzitutto come ha accolto questo nuovo incarico? Ecco la sua risposta, al microfono di Carla Cotignoli:

 

**********

R. – Soprattutto, tanta gratitudine per il Santo Padre che ha voluto affidarmi questo incarico. Una missione che ho accolto con grande interesse e, direi anche, con vivo entusiasmo per le potenzialità che essa rappresenta al servizio della pace e dell’attenzione per chi non ha modo né possibilità di farsi sentire dai grandi della terra.

 

D. – Se potesse esprimere in una sola parola l’esperienza vissuta in questi anni nel cuore della Chiesa, in rapporto proprio ai diversi Stati del mondo, che cosa direbbe?

 

R. – Direi con profonda soddisfazione che in questo ufficio si misura quotidianamente il grande spessore della volontà di pace, di giustizia e di servizio alla causa dell’uomo che alberga non solo nel cuore e nelle intenzioni dei singoli, ma anche delle istituzioni, in persone con responsabilità di governo. Compito della Santa Sede è quello di farsi quasi come compagna di viaggio, accompagnare e sostenere questa buona volontà, in qualunque cuore essa si trovi. E’ una missione di carattere anche politico e diplomatico ma con un risvolto umano e pastorale molto gratificante.

 

D. – Ecco, lei che da tanti anni è nel campo diplomatico: qual è la virtù più importante in questa funzione?

 

R. – Io vedo che l’attenzione ai rapporti umani con le persone con cui si tratta è  molto importante: non abbiamo mai problemi, crisi da risolvere, ma abbiamo soprattutto rapporti umani da instaurare, da ricostruire, da promuovere. Ed è poi nell’ambito di questa attenzione alla persona con cui si tratta che scatta anche per le due parti, direi, quella luce necessaria per vedere le soluzioni giuste e  scatta anche la buona volontà per adottare queste giuste soluzioni.

 

D. – Lei ha visto dei passi in avanti, ad esempio, in seguito alle missioni in Vietnam?

 

R. – Si sono riscontrati soprattutto nel campo di una sempre più piena libertà di religione, e in questo senso – anche se tanti passi ancora rimangono da fare – tanti passi sono stati fatti ed è evidente anche nella stessa vita quotidiana della Chiesa, che è una vita fiorente.

**********

 

 

IN UDIENZA DAL PAPA IL NUNZIO IN JUGOSLAVIA E IL PRELATO DELL’OPUS DEI.

NUOVI AUSILIARI A WESTMINSTER E PROVVISTA DI CHIESA IN KENYA

 

Il Papa ha ricevuto stamani in udienza l’arcivescovo Eugenio Sbarbaro, nunzio apostolico nella Repubblica Federale di Jugoslavia. Il presule ricopre questo incarico diplomatico dal 26 aprile del 2000, dopo essere stato rappresentante pontificio nelle Antille e in diversi altri Paesi d’Africa e d’America.

 

Sempre questa mattina, Giovanni Paolo II ha ricevuto in udienza il vescovo Javier Echevarrìa Rodrìguez, prelato della Prelatura dell’Opus Dei. L’udienza pontificia di oggi avviene a tre mesi dalla canonizzazione del fondatore dell’Opus Dei, Josemarìa Escrivà, compiuta dal Papa in Piazza San Pietro il 6 ottobre del 2002.

 

In Inghilterra, il Santo Padre ha nominato ausiliari dell’arcivescovo di Westminster i sacerdoti Alan Stephen Hopes, finora vicario generale della stessa circoscrizione ecclesiastica, e Bernard Longley, attuale assistente del segretario generale della Conferenza episcopale, elevandoli alla dignità vescovile.

 

Mons. Hopes, che ha 58 anni, proviene dalla Chiesa anglicana ed ha svolto il ministero parrocchiale in diverse zone di Londra, diventando poi canonico della cattedrale di Saint Paul. Nel 1992 è stato ricevuto nella Chiesa cattolica e dopo tre anni di studi è stato ordinato sacerdote dell’arcidiocesi di Westminster, il 4 dicembre 1995, divenendo poi parroco a Chelsea e due anni fa vicario generale.

 

L’altro nuovo vescovo ausiliare di Westminster, mons. Longley, ha 47 anni ed è stato segretario del Comitato per l’Unità dei Cristiani della Conferenza episcopale d’Inghilterra e del Galles.

 

In Eritrea, il Pontefice ha nominato vescovo dell’eparchia di Keren il sacerdote Abba Kindane Yebio, di 44 anni, finora amministratore eparchiale della stessa sede.

 

In Kenya, Il Papa ha istituito la nuova diocesi di Nyahururu, con territorio distaccato dall’arcidiocesi di Nyeri, rendendola suffraganea della medesima Chiesa metropolitana. Come primo vescovo di Nyahururu, Giovanni Paolo II ha nominato il sacerdote italiano Luigi Paiaro, di 68 anni, missionario fidei donum di Padova.

 

La nuova diocesi di Nyahururu si estende su 8 mila kmq e conta più di 670 mila abitanti, dei quali oltre 180 mila cattolici, distribuiti in 26 parrocchie e assistiti da 26 sacerdoti locali, di cui 8 fidei donum, e tre missionari. Vi sono inoltre 44 fratelli religiosi, 33 religiose e 15 seminaristi maggiori. (P.Sv.)

 

 

=======ooo=======

 

 

OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

La prima pagina si apre con la situazione in Iraq: l'Onu si prepara ad accogliere decine di migliaia di rifugiati.

 

Nelle vaticane, la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace nelle diocesi italiane.

Articoli sulla solennità dell'Epifania.

Due pagine dedicate al 160.mo anniversario di fondazione della Pontificia Opera dell'Infanzia Missionaria.

 

Nelle pagine estere, Medio Oriente: Arafat denuncia la costruzione di un muro che rischia di isolare la città di Gerusalemme.

Corea del Nord: Washington rifiuta l'avvio di negoziati; Pyongyang deve prima abbandonare i programmi nucleari.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Angelo Mundula dal titolo: "Tenerezza da tenerezza": lo straordinario rapporto di ogni madre con il suo bimbo.

Un articolo di Claudio Bellinati sul messaggio dell'Epifania in alcuni celebri esempi iconografci di Ravenna, Roma e Palermo. 

 

Nelle pagine italiane, il tema delle riforme. La minaccia del terrorismo.

 

 

=======ooo=======

 

 

OGGI IN PRIMO PIANO

4 gennaio 2003

 

 

LA FRANCIA ALLA PROVA DELLA CRISI IVORIANA

- Intervista con Domenico Quirico -

 

Nella crisi in atto in Costa d’Avorio, c’è un particolare ruolo che sta giocando la Francia. La presenza nel Paese africano di 2.400 militari inviati da Parigi e la visita del ministro De Villepin ad Abidjan dimostrano la grande attenzione della Francia per la sua ex colonia, divenuta indipendente nel 1960. Alla base di questo interesse, ragioni politiche ed economiche, come conferma Domenico Quirico, esperto di questioni africane del quotidiano “La Stampa”, intervistato da Andrea Sarubbi:

 

**********

R. – Gli interessi francesi in Costa d’Avorio sono giganteschi, nel senso che la Costa d’Avorio costituisce la seconda economia dell’area dopo quella del gigante nigeriano; in secondo luogo, la situazione in Costa d’Avorio può avere – come dire – un effetto domino su tutti i Paesi della regione ed è abbastanza fondamentale per il governo di Parigi riuscire a mantenere il controllo della situazione e in certa misura ‘imporre’ la sua volontà.

 

D. – Dopo la fine della colonizzazione, che cosa è rimasto di francese in Costa d’Avorio?

 

R. – Fortissimi interessi economici e – diciamo anche – un modello di rapporti tra ex-potenza coloniale e nuovi Paesi indipendenti ... diciamo che questa crisi è anche un po’ un test sul modo in cui la Francia come potenza può intervenire per dirimere eventuali situazioni di crisi nei suoi ex-domini. Se la Francia riesce a gestire questo tipo di crisi, ha ancora qualche voce in capitolo in Africa; se invece non riuscirà a svolgere un compito pacificatore, evidentemente il suo capitolo africano è definitivamente chiuso. Anche in altri Paesi dell’area.

 

D. – In base all’Accordo del ’61 ci sono in Costa d’Avorio 2.500 militari francesi; ma la Francia, oggi, che cosa può fare?

 

R. – Direi ben poco, nel senso che la Francia non ha alcun tipo di mandato internazionale in questo tipo di intervento. Infatti, si muove con grande difficoltà all’interno di questa crisi che, tra l’altro, è molto confusa; insomma, sta lì sostanzialmente senza alcun tipo di autorità. E si vede anche dal modo in cui si muove: è un modo molto impacciato ... Poi, il problema è anche di carattere più generale, e cioè quello che riguarda tutte le crisi africane, come intervenire, chi deve intervenire ... insomma, il dibattito dura direi dall’epoca della crisi della Somalia ed è sostanzialmente irrisolto, nel senso che nel frattempo anche in altre aree dell’Africa si sono verificate apocalissi umanitarie, guerre civili, tribali, spaventose senza che sia riuscita a definire chi ha la titolarità o l’obbligo di metterci mano. Le Nazioni Unite se ne tengono sostanzialmente fuori, e questa è una gigantesca colpa!

 

D. – Hai detto che la Francia non ha un mandato internazionale: questo significa da un lato che la Francia non può attaccare l’esercito ivoriano perché è sovrano nel suo territorio, d’altra parte significa pure che non può prendere l’iniziativa contro i ribelli ...

 

R. – Sostanzialmente no. Forse potrebbero risolvere il problema i ribelli attaccandoli, costringendoli di fatto ad entrare come protagonisti, non so però con quali rischi nella crisi. Risolverebbero loro il problema di stabilire cosa possano fare. Non credo abbia neanche stabilito una linea politica molto precisa, la Francia, in questa situazione.

 

D. – Passiamo sul fronte diplomatico. Secondo te, che cosa può risolvere questa visita del ministro francese de Villepin in Costa d’Avorio?

 

R. – Io sono abbastanza scettico, devo dire, sulle possibilità concreti che intervenga un accordo. Io credo che sostanzialmente la soluzione sarà di tipo militare, nel senso che i ribelli hanno dimostrato di avere grosse possibilità di allargare il loro controllo sul Paese, prima o poi potrebbero ‘mangiarsi’ quello che resta del dominio del presidente. Sempre, naturalmente, che la Francia poi alla fine non decida che sarebbe veramente un po’ troppo.

**********

 

 

100 GIOVANI DELLA COMUNITA’ PAPA GIOVANNI XXIII HANNO CONCLUSO

 IL LORO PERCORSO DI RECUPERO DALLA TOSSICODIPENDENZA:

 CON NOI DON ORESTE BENZI E UNO DEI RAGAZZI USCITI DAL TUNNEL

- Il servizio di Amedeo Lomonaco -

 

**********

Sono stati oltre 100 i giovani della Comunità “Papa Giovanni XXIII”, fondata da don Oreste Benzi, festeggiati il 26 dicembre nella chiesa della Risurrezione a Rimini per la cerimonia che ha felicemente concluso il loro percorso di recupero dalla tossicodipendenza. L’uscita dalla comunità è vista come l’inizio di una rinascita che, come ha ricordato don Benzi, “consiste nella riscoperta del senso della vita e del valore della propria persona”. In un’atmosfera di grande commozione i ragazzi, tra cui 7 croati e due russi, davanti ai loro genitori hanno riconosciuto di essere pronti ad affrontare la vita fuori della comunità. “Non c’è dolore più grande – ha concluso don Benzi nel corso della messa celebrata dal vescovo Malcom Ranjith – di quello di una madre che ha un figlio drogato. Così come non c’è gioia più grande di quella per un figlio libero dalla droga”. Sui metodi utilizzati dagli operatori della Comunità “Papa Giovanni XXIII” per liberare i ragazzi dalla tossicodipendenza, ascoltiamo don Oreste Benzi.

 

R. – Il nostro stile si può così riassumere: “Non ho né argento, né oro, ma quello che ho te lo do. Nel nome di Cristo, alzati e cammina”. Questo annuncio, questo dono del Cristo, lo trasmettiamo attraverso una metodologia ed un impegno di lavoro che dura circa 3 anni. Una terapia con cui accogliamo questi ragazzi è prima di tutto la terapia della verità, cioè il coraggio di accettare se stessi come dono da parte di Dio, dono e mistero.  Quindi, dare le risposte più profonde all’essere umano e nel medesimo tempo esigere sempre la continuità dell’impegno nella coscienza della verità. Poi, la terapia della responsabilità: “Tu non hai nulla se non te lo guadagni”. E poi la terapia della corresponsabilità, e cioè la coscienza di popolo: “Tu appartieni ad un popolo, redento da Cristo che, però, ha la sua base in Dio, del quale noi siamo tutti quanti figli. Ed infine, la terapia della gioia, l’elemento che rende festosi. Il segreto è, comunque, la relazione tra operatore e colui che deve essere recuperato alla vita, che comincia a “sentirsi esistere”, quando “si sente esistere” in un altro, il quale compie tutto nella pura gratuità e con entusiasmo nella salvezza di un fratello.

 

D. - Cosa significa per un ragazzo che ha conosciuto la droga uscire dalla Comunità dopo aver terminato il proprio percorso di recupero?

 

R. – Che è ancora capace di vedere il sole, i fiori, le piante, gli uomini nelle loro diverse situazioni, e soprattutto sentirsi immerso nella gioia di avere qualcosa di unico, di essenziale da dare, di essere Parola irripetibile di Dio, che arriva da Cristo, e viene per il fascino che Cristo ancora suscita, e perché l’altro sente che in Cristo ritrova se stesso. Come ha detto bene il Papa: “Cristo rivela l’uomo all’uomo”. E’ quella la linea che seguiamo.

 

A testimonianza del prezioso lavoro svolto dalla comunità, ecco l’esperienza di Giorgio Pollastri, uno dei ragazzi che ha concluso il proprio percorso di recupero.

 

R. – Avevo una bella famiglia sana, con la fede, ma dentro di me avevo sempre un gran senso di vuoto e non arrivavo a capire come dovevo spendere la mia vita. Tutto questo mi ha portato a frequentare a 14 anni compagnie sbagliate, ragazzi simili a me: vuoti. Dopo 10 anni di eroina, come ultima spiaggia sono arrivato a Rimini, nella comunità Giovanni XXIII di don Oreste Benzi. Tutta la gente della comunità era gente che aveva abbandonato tutto, che stava in mezzo ai poveri, che non ti chiedeva niente in cambio, ma si metteva vicino a te cercando di cogliere quello che di bello avevi nel cuore. Un altro aspetto è che ogni casa famiglia aveva, ed ha anche oggi, una cappella. Vedendo i ragazzi responsabili di queste case che 2 o 3 volte al giorno andavano a pregare, mi fece pensare che “se loro entrano in cappella, e stanno in silenzio per un’ora, vuol dire che lì dentro c’è qualcuno”.     

 

D. - Alla luce della tua esperienza quale consiglio daresti ad un ragazzo tossicodipendente?

 

R. – Usare eroina, estasi, alcool è solo una fuga. Trovate comunità che vi aiutino ad individuare la vostra via.

 

D. - Quali progetti hai per il futuro?

 

R. – I progetti li scelgo assieme alla mia comunità, insieme a mia moglie e al Signore. Da un anno circa hanno dato in dono alla comunità un albergo che don Oreste, insieme alla comunità, mi ha mandato a dirigere con mia moglie. Oggi sento dentro al mio cuore che ho tanto ancora da imparare.

**********

 

 

PASSO AVANTI NELLA COSTRUZIONE DI UN MONDO PIU’ SICURO:

L’ITALIA COMPLETA IL PROGRAMMA DI DISTRUZIONE DELLE SUE MINE ANTIUOMO

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

Piccole, colorate, dalle forme più varie. Tutte però tremendamente letali. Sono le mine antiuomo. Ordigni di facile produzione dal costo estremamente ridotto ma le cui conseguenze funeste perdurano negli anni. Una volta disseminate su un territorio, infatti, restano una minaccia costante per la popolazione. Unico rimedio - costoso e non semplice - lo sminamento. Ogni anno più di 25 mila persone – tra cui molti bambini, in oltre 90 nazioni - restano vittime di queste armi. Strumenti di morte che, proprio per la loro economicità, vengono utilizzati in modo assiduo nelle guerre tra poveri che affliggono tanta parte del Sud del Mondo.

 

 A seguito di una campagna internazionale, nel 1997 è stato raggiunto il significativo traguardo della firma di una Convenzione, ad Ottawa in Canada, per la messa al bando delle mine antipersona. Un documento, promosso dalle Nazioni Unite, che 49 Paesi non hanno tuttora ratificato. Nella lista dei produttori di questi ordigni balzano all’occhio i nomi di Russia e Cina, Stati che assieme posseggono oltre la metà dei 250 milioni di mine antiuomo stoccate negli arsenali di tutto il mondo. D’altro canto, desta sensazione vedere gli Stati Uniti d’America accanto a quei Paesi – Iran, Iraq e Corea del Nord – che il presidente americano Bush ha racchiuso nella formula dell’“asse del male”.

 

Chi, invece, si sta dimostrando all’altezza della sfida, una sfida di civiltà è l’Italia, Paese in passato tra i maggiori produttori di mine antiuomo. Proprio in questi giorni si è concluso il programma della Difesa italiana per la distruzione dell’intero stock di mine. Sette milioni di ordigni, pazientemente disassemblati. Sette milioni di  ordigni che non potranno più mutilare od uccidere in una delle tante guerre dimenticate. Comprensibilmente la notizia è stata accolta con grande emozione da parte dei promotori in Italia della campagna antimine. A partire da Tonio Dell’Olio presidente dell’iniziativa che - al microfono di Debora Donnini - sottolinea come questo risultato non debba, tuttavia, far perdere di vista l’entità di un fenomeno che non accenna a diminuire:

 

**********

R. – Alla prima notizia, sicuramente molto bella come appunto la distruzione dell’arsenale di mine anti-persona a disposizione dell’Italia, ne seguono invece tante altre che – purtroppo – non hanno lo stesso sapore. Nel settembre dello scorso anno abbiamo presentato l’annuale relazione sulla situazione di mine anti-persona in giro per il mondo e abbiamo dovuto registrare che si è avuta l’operazione di messa in opera di mine anti-persona più grande degli ultimi cinque anni. Si tratta della frontiera tra l’India e il Pakistan dove abbiamo una situazione paurosa di posa in opera di mine. Poi abbiamo un altro problema, ed è quello delle cluster-bombs, le bombe a grappolo che vengono lanciate soprattutto da aerei e assomigliano moltissimo alle mine anti-persona e che in questo momento non sono messe al bando.

 

D. – Ogni anno ci sono circa 26 mila vittime delle mine anti-uomo. Cosa comporta per gli abitanti di un Paese avere il proprio territorio cosparso di mine antiuomo?

 

R. – Quando si pensa alle mine, purtroppo, la nostra immaginazione – per non averne mai fatto, per fortuna, l’esperienza diretta – corre a coloro che ne rimangono vittime proprio come feriti o come morti. Le mine anti-persona, tuttavia, paralizzano l’attività di un territorio in tutti i sensi, soprattutto nel senso economico, ma anche poi della vita concreta. Se pensiamo che il più delle volte si tratta di Paesi molto poveri, allora minare i territori significa paralizzare praticamente l’attività dell’agricoltura e della pastorizia. Pensate che cosa significa, ad esempio, il fatto che i bambini diventino vittime delle mine: di fatto, la protesizzazione di un bambino è molto più costosa e più difficile perché la protesi dovrebbe poi essere cambiata ed adeguata man mano che il bambino cresce.

 

D. – Come campagna italiana contro le mine anti-uomo, cosa state facendo?

 

R. – La campagna contro le mine si esprime soprattutto in un’azione politica, cioè quella – appunto – di riuscire a fare pressione quanto più possibile sia con il nostro governo, in questo momento assolutamente alleato, perché possa convincere altri governi, altri governi amici a firmare il Trattato di Ottawa. D’altro canto noi denunciamo con forza il dramma di tutto questo. Pensate soltanto a quello che può significare per il nostro governo stringere patti di alleanza con alcuni governi che aspettano dall’Italia aiuti interni di assistenza umanitaria e se noi vincoliamo l’assistenza umanitaria alla firma del Trattato di Ottawa: ‘Non ti do aiuti in termini sociali, sanitari se prima non smetti di produrre o di utilizzare questi ordigni di morte’.

**********

 

 

=======ooo=======

 

 

CHIESA E SOCIETA’

4 gennaio 2003

 

 

RAPITI CINQUE GIORNI FA IN CONGO, DAI RIBELLI LOCALI, UN MISSIONARIO ITALIANO E UN SACERDOTE DEL CLERO LOCALE.

 DALLE NOTIZIE, TRAPELATE OGGI, NON SEMBRA CHE I DUE SACERDOTI ABBIANO SUBITO VIOLENZE.

L’ONU E LE AUTORITA’ ITALIANE HANNO AVVIATO I CONTATTI PER IL RILASCIO DEGLI OSTAGGI

- A cura di Emiliano Bos -

 

**********

MAMBASA. = Anche la Chiesa locale subisce le conseguenze dei feroci scontri tra le fazioni armate che da mesi infiammano la regione dell’Ituri, nell’ex Zaire. Secondo quanto reso noto oggi dall’agenzia missionaria Misna, un missionario italiano è stato rapito cinque giorni fa nei dintorni di Mambasa, nel nordest della Repubblica democratica del Congo, insieme a un sacerdote diocesano locale. I due sacerdoti erano stati fermati dai miliziani di uno dei gruppi ribelli della zona, mentre si recavano in visita in un’area, dove gli incessanti combattimenti per la disputa delle miniere di oro e diamanti hanno provocato in questo periodo più di 130 mila sfollati. I due rapiti non sarebbero stati maltrattati, ma al momento sono ancora in ostaggio dei ribelli, che li hanno accusati di essere delle spie. In queste ore di tensione, i responsabili missionari ed ecclesiastici sono in contatto con i comandanti militari di queste formazioni armate, e chiedono l’immediato rilascio dei due religiosi. Decisa e indignata anche la reazione della missione dell’Onu in Congo, che esige la liberazione dei sacerdoti, ricordando l’accordo siglato tra i gruppi ribelli, che impone il loro ritiro dalla città di Mambasa e garantisce la libertà di movimento. Anche l’ambasciata italiana di Kinshasa è stata informata dell’episodio e si sta attivando per ottenere il rilascio dei missionari italiani.

**********

 

 

PRESIEDUTI QUESTA MATTINA DA MONS. FOLEY, NELLA CHIESA ROMANA DI SANTA MARIA DEL ROSARIO,

 I FUNERALI DI PADRE PATRICK CASSERLY, MISSIONARIO ED ESPERTO DI TRASMISSIONI SATELLITARI

PER CONTO DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI

 

ROMA. = “Una persona meravigliosa, un cristiano esemplare e un grande sacerdote”. Tre “pennellate” per descrivere la personalità e l’impegno mostrati nei suoi 59 anni di vita da padre Patrick Casserly, il religioso marista, officiale del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali, morto due giorni fa a Roma, dopo una lunga malattia. Il ricordo di padre Casserly è stato fatto questa mattina - durante la messa funebre nella chiesa di S. Maria del Rosario - dall’arcivescovo John Foley, presidente del dicastero nel quale il religioso prestava servizio da tempo, nella sua veste di esperto di comunicazioni televisive satellitari. Uno dei motivi che aveva spinto padre Casserly ad interessarsi di trasmissioni via satellite (suo compito era il coordinamento in occasione delle dirette tv del Pontefice a Natale e a Pasqua) era la possibilità di far giungere la parola del Papa in ogni angolo della terra. E la sensibilità missionaria sviluppata nei suoi anni di ministero in Papua Nuova Guinea e nelle Isole Fiji, ha affermato mons. Foley, lo aveva portato più volte a denunciare nei consessi internazionali, come rappresentante della Santa Sede, il problema “del divario digitale” dei Paesi ricchi rispetto agli Stati con minori mezzi. Era noto il consenso ottenuto dal da padre Casserly attorno alle sue ripetute richieste di “rendere disponibili alle popolazioni più povere e lontane i miracoli della moderna tecnologia e tutti i tipi di informazione”, specialmente quella religiosa. “Un uomo ben preparato e universalmente rispettato - ha concluso mon Foley – non solo per le sue conoscenze ma anche per il suo impegno”. (A.D.C.)

 

 

IL PRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE CENTRAFRICANA, PAULIN POMODIMO,

NOMINATO DAL CAPO DI STATO DEL PAESE AFRICANO PRINCIPALE MEDIATORE

CON I RIBELLI DI FRANÇOIS BOZIZE’, IN VISTA DELLA PACIFICAZIONE INTERNA

 

BANGUI. = Sarà il capo dei vescovi locali a mediare tra le parti in lotta, in vista della riconciliazione nazionale della Repubblica Centrafricana. Il presidente della Conferenza episcopale, Paulin Pomodimo, vescovo della diocesi di Bossangoa, ha ricevuto un incarico particolare dal capo di Stato, Ange Felix Patassé, che lo ha voluto in veste di coordinatore dell’iniziativa, avviata dallo stesso Patassé, per il “‘dialogo nazionale”. Nel suo lavoro volto al superamento della grave crisi interna provocata dal tentato golpe dell’ottobre scorso, mons. Pomodimo sarà affiancato da Henri Maidou, già primo ministro ai tempi dell’ex imperatore Jean-Bedel Bokassa. Una nomina dall’alto valore simbolico che conferma il ruolo attivo dell’episcopato centrafricano nel denunciare i soprusi compiuti dai ribelli legati all’ex capo di Stato maggiore, François Bozizé, che controllano ampie zone nel nord del Paese. D’altra parte, proprio la città di Bossangoa - sede vescovile di monsignor Pomodimo - è attualmente la ‘roccaforte’ degli insorti, che hanno occupato anche parte delle strutture cattoliche. Un politico locale, coperto dall’anonimato – riferisce l’Agenzia Misna - ha commentato positivamente la scelta del vescovo: “C’era bisogno di un’autorità morale per coordinare il dialogo nazionale e questo fa parte dell’apostolato di monsignor Pomodimo. Serviva un uomo di Chiesa, perché da noi è in corso una crisi di valori spirituali”. (A.D.C.)

 

 

INAUGURATO IN SIRIA IL CENTRO DI FORMAZIONE RELIGIOSA, PRIMO ISTITUTO CATTOLICO DEL PAESE,

VOLUTO DAL PATRIARCA DEI GRECO-MELKITI, GREGORIOS III

 

DAMASCO. = Vanta un importante record il Centro di formazione cristiana inaugurato di recente a Damasco: quello di essere il primo Istituto cattolico della Siria. La struttura, diretta dal gesuita siriano padre Rami Elias, è stata fortemente voluta dal Patriarca di Antiochia dei greco-melkiti cattolici, Gregorios III. Un centro destinato anzitutto ai fedeli locali adulti, uomini e donne, ma aperto anche agli appartenenti “di tutte le comunità, senza distinzione né eccezione”. Il Decreto patriarcale di fondazione precisa le finalità della nuova struttura cattolica, aperta - si legge - per offrire agli studenti “un alimento per il loro spirito e per la loro fede che sia di aiuto per la propria vita cristiana, per l’educazione dei figli nella fede degli antenati, per la loro più incisiva partecipazione nella vita della propria parrocchia”, come pure per il loro sostegno alla missione dei sacerdoti in favore della Chiesa e della nazione. Il Centro conta già 180 iscritti che, nel corso dei tre anni di studio previsti, affronteranno, tra gli altri, i tradizionali studi di Sacra scrittura, Teologia dogmatica e morale, Liturgia, Storia della Chiesa, Ecumenismo, Dottrina sociale della Chiesa, Pastorale. Ma sono in programma anche dei corsi di Musica sacra (secondo le tradizioni liturgiche greco-melkita, caldea, maronita, sira e armena), Storia dei monumenti cristiani della Siria, Iconografia sacra e la creazione di una associazione di scrittori cristiani. (A.D.C.)

 

DAL PROSSIMO FEBBRAIO, PRIMO IN ITALIA, PARTE IL CORSO “GESTO E PAROLA”, DEDICATO ALLA FORME DI COMUNICAZIONE LEGATE ALLA LITURGIA. L’INIZIATIVA E’ PROMOSSA DALLA CEI E DAL CENTRO INTERDISCIPLINARE LATERANENSE

ROMA. = Sollecitati dalle indicazioni degli Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il primo decennio degli anni 2000 - indicazioni che prestano un’attenzione particolare al tema del comunicare - il Centro Interdisciplinare Lateranense e l’Ufficio Liturgico Nazionale della Cei hanno promosso, per la prima volta in Italia, il corso biennale di formazione dal titolo: "Gesto e parola. Le risorse comunicative della liturgia". Gli studi, la cui prima sessione  si svolgerà dal 17 al 22 febbraio 2003, propongono un’approfondita riflessione scientifica sulle forme di comunicazione peculiari all’azione liturgica ed una sperimentazione “guidata” di casi pratici. Il corso si struttura secondo una formula modulare, con un biennio in quattro sessioni, che si terranno presso la Pontificia Università Lateranense. La seconda sessione è in programma dal 16 al 21 giugno 2003; le rimanenti due sessioni si terranno nel 2004. (A.D.C.)

 

 

=======ooo=======

 

 

24 ORE NEL MONDO

4 gennaio 2003

 

 

- A cura di Salvatore Sabatino -

 

Ancora una volta in primo piano la delicata crisi tra Stati Uniti e Iraq. “Saddam sa cosa deve fare per evitare un conflitto”: davanti ai militari della base di Fort Hood, in Texas, il presidente statunitense, Bush, ha ribadito ieri che “la guerra è l’ultima opzione”, lasciando però intendere che una soluzione diplomatica non sarebbe proprio vicina. Da New York ci riferisce Paolo Mastrolilli:

 

**********

Il capo della casa Bianca ha ribadito che finora i segnali non sono incoraggianti, tanto perché Baghdad ha sfidato la comunità internazionale per 11 anni, quanto perché la dichiarazione sulle armi, appena consegnata al Palazzo di Vetro, non era completa. Alle sue parole sono seguiti subito i fatti, perché il Corpo dei marines ha mobilitato alcuni reparti che si aggiungeranno presto agli oltre 60 mila soldati già presenti nella regione del Golfo. Ieri mattina le autorità irachene avevano detto di non credere ai propositi pacifici di Bush, accusandolo di voler invadere comunque il Paese, mentre due brigate della guardia repubblicana hanno condotto esercitazioni per il combattimento urbano, preparandosi al possibile conflitto. Il giornale Financial Times ha scritto che alcuni leader arabi stanno cercando di convincere Saddam ad accettare l’esilio per evitare un bagno di sangue, mentre Londra ha convocato una riunione straordinaria del suo corpo diplomatico per discutere la crisi. Il capo degli ispettori dell’Onu, Hans Blix, ha confermato che andrà in Iraq prima di presentare il rapporto del 27 gennaio, ma ha aggiunto che ha molte domande da porre alla leadership di Baghdad, riguardo alla loro dichiarazione sulle armi.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

**********

 

Nel frattempo montano in tutto il mondo le proteste contro un possibile attacco americano all’Iraq. Ieri numerose manifestazioni si sono svolte in Pakistan, durante le quali non sono mancate minacce contro gli americani che risiedono nel Paese. I dimostranti hanno anche bruciato ritratti del presidente Bush e denunciato la caccia ai militanti di Al Qaida, scatenata dagli americani in territorio pachistano. Solidarietà al popolo iracheno è stata espressa anche da centinaia di manifestanti in Bahrein.

 

E gli Stati Uniti stanno fronteggiando anche un’altra crisi internazionale, quella con la Corea del Nord, provocata dal programma nucleare sviluppato illegalmente dal Paese asiatico. Questa mattina la Kcna, l’agenzia di stampa ufficiale di Pyongyang è tornata a ribadire che la riapertura di centrali nucleari costituisce un atto di autodifesa legittimo. Intanto l’ambasciatore nord-coreano a Pechino, Choe Jin Su, ha chiesto a Washington una ripresa del dialogo senza condizioni, ma il portavoce del dipartimento di Stato americano, Boucher, ha respinto la proposta. E per discutere della questione si riunirà lunedì, a Vienna, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica. Secondo fonti del governo statunitense, gli esperti daranno un termine a Pyongyang, entro cui rinunciare al programma nucleare. Altrimenti, chiederanno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di adottare sanzioni.

 

Veniamo al Venezuela. Un’altra drammatica giornata di proteste e scontri fra manifestanti dell’opposizione e sostenitori del presidente Chávez si è conclusa ieri a Caracas con un bilancio di almeno due morti e decine di feriti. I manifestanti chiedono da oltre un mese le dimissioni del capo di Stato o elezioni anticipate. Ce ne parla Roberto Piermarini:

 

**********

Tutto è cominciato quando l’opposizione ha deciso di marciare verso il Forte Etuna, la più importante caserma delle forze armate venezuelane, per reclamare la libertà del generale Carlos Alfonso Martinez, rivoltatosi alcune settimane fa contro il governo. Quando i manifestanti hanno raggiunto l’ingresso della caserma sono iniziati gli scontri con le forze dell’ordine: molte persone sono cadute a terra, alcune colpite da oggetti o proiettili di gomma. Da parte sua il presidente Chavez, appena tornato da Brasilia, dove ha assistito all’insediamento del presidente Lula, parlando a Caracas con i giornalisti, ha dichiarato che se fosse costretto dalle circostanze non esiterà a decretare lo stato di emergenza. Inoltre, il capo dello Stato ha ribadito che non ha alcuna opposizione che si svolga un referendum in cui si proponga la revoca del suo mandato, ma questo non può avvenire - ha assicurato - prima del 19 agosto prossimo, come prevede la costituzione.

**********

 

Un miliardo di dollari per la lotta alla fame piuttosto che per nuovi aerei militari. Questi i piani del neo presidente brasiliano Inacio Lula da Silva, che ha rinviato di un anno l'acquisto di una nuova generazione di caccia supersonici. Il presidente ha specificato che “non si tratta dell'abbandono del progetto, ma che una spesa del genere non è adeguata al momento che il Paese sta vivendo”.

 

Una nuova offensiva politica ed un invito alle popolazioni indigene ad esercitare la propria autonomia ed autodeterminazione, senza dover obbligatoriamente attendere una legge che sia approvata dal Congresso. Questo il senso della grande manifestazione organizzata dall’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Eznl) in questi giorni a San Cristobal de las Casas, in Chiapas. Il movimento zapatista, dinanzi ad una folla di 20 mila persone, ha rotto un silenzio durato due anni, ricordando la sollevazione indigena di nove anni fa. Dure critiche sono state mosse nei confronti di tutti i partiti politici nazionali, colpevoli, secondo l’Ezln, di aver disatteso le loro richieste.

 

Ci trasferiamo in Costa d’Avorio. Dopo aver incontrato ieri il presidente Gbagbo, il ministro degli Esteri francese, de Villepin, è ora nel quartier generale dei ribelli, che chiedono a Parigi di rimpatriare i 2.400 militari inviati in territorio ivoriano. Il governo di Abidjan ha invece chiesto alla Francia una posizione di netta condanna nei confronti dei guerriglieri, ma parallelamente ha assunto impegni concreti. Francesca Pierantozzi:

 

**********

Dopo un inizio duro, attaccato da manifestanti che lo hanno definito un terrorista, Dominique de Villepin comincia a raccogliere i primi frutti del suo difficile viaggio in Costa d’Avorio. Laurent Gagbo, presidente del Paese dilaniato da una guerra interetnica, si è impegnato ad instaurare un cessate il fuoco totale e a liberare tutto il territorio nazionale dai mercenari, che da mesi combattono accanto alle forze governative. “Ci asterremo” – ha detto il presidente, subito dopo aver incontrato de Villepin – “da qualsiasi azione di guerra, su tutti i fronti” – ha aggiunto – “al centro, a nord e ad est”. Se il presidente non ha fornito una data precisa sull’entrata in vigore del cessate il fuoco, de Villepin ha parlato di una tregua immediata. La tensione è aumentata dopo il bombardamento di un villaggio situato nella zona controllata dai ribelli, che ha provocato 12 morti tra i civili. De Villepin ha annunciato che i rappresentanti dei principali partiti politici della Costa d’Avorio dovrebbero incontrarsi a Parigi a partire dal prossimo 15 gennaio.

 

Francesca Pierantozzi, da Parigi, per la Radio Vaticana.

**********

 

Sconcerto nel mondo per la nascita di una seconda bambina clonata. La notizia è stata confermata ieri da Brigitte Boisselier, la  presidente di Clonaid, la società della setta dei raeliani che  il 27 dicembre scorso aveva annunciato il primo caso di clonazione umana. La seconda bimba, ha detto la  Boisselier, è figlia di una coppia di donne omosessuali e nascerà nel fine settimana in Olanda. Intanto Claude Vorilhon, fondatore e capo del movimento Raeliano, ha contestato la competenza della magistratura della Florida su Eva, la prima bimba clonata, e non intende presentarsi all'udienza del 22 gennaio fissata da un giudice della Florida.

 

La Lituania torna domani alle urne per eleggere il nuovo presidente. Favorito al ballottaggio è il capo di Stato uscente, Valdas Adamkus, che al primo turno del 22 dicembre aveva ottenuto 16 punti di vantaggio sul suo rivale, Rolandas Paksas, ex premier e sindaco di Vilnius.

 

Sembra per fortuna essersi ridimensionato il bilancio del tifone che domenica scorsa ha colpito le isole Salomone. Sull’isola di Tikopia ieri è riuscito ad atterrare un  elicottero e si è potuto constatare che non ci sono state  vittime, al contrario di quanto era stato comunicato precedentemente. Nessuna smentita, invece, per quanto riguarda i danni materiali, che a detta dei testimoni sarebbero “gravissimi”.

 

 

=======ooo=======