RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 59 - Testo della
Trasmissione venerdì 28 febbraio 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
Allo studio un possibile viaggio del Pontefice in
Mongolia.
OGGI IN PRIMO PIANO:
Il futuro
della crisi irachena legata ai missili Al Samoud 2: intervista con Fabrizio
Battistelli.
Etica e Internet, in un convegno organizzato a Roma dall’Unione Cattolica della Stampa Italiana.
CHIESA E
SOCIETA’:
Iraq, Russia pronta al veto. Saddam annuncia la
distruzione dei missili proibiti, l’Onu conferma. Scetticismo nel fronte
angloamericano.
Nuovo attentato contro il consolato statunitense
di Karachi. Due morti e cinque feriti.
Resta alta la tensione tra Washington e Pyongyang.
Seul tenta una difficile mediazione.
Rinviato al 10 marzo il termine ultimo per
l’accordo a Cipro. Ancora distanti le due comunità.
Fiducia della Knesset al nuovo governo israeliano.
Sharon disposto ad un “compromesso doloroso” con i palestinesi.
Al via a Bruxelles la riunione della Convenzione
europea. Federalismo e radici cristiane i principali punti del dibattito.
28 febbraio 2003
LA GRATITUDINE DI GIOVANNI PAOLO II AI SOCI
DEL CIRCOLO DI
SAN
PIETRO, RICEVUTI STAMANI IN VATICANO PER LA TRADIZIONALE
CONSEGNA DELL’OBOLO, DESTINATO AI POVERI
DELL’URBE
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
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Offrire
alle persone emarginate e in difficoltà “il cibo spirituale del messaggio
evangelico insieme con il sostegno materiale”. E’ l’esortazione rivolta stamani
da Giovanni Paolo II ai soci del Circolo di San Pietro, ricevuti per la
tradizionale consegna dell’Obolo, ossia i fondi raccolti nelle chiese romane a
favore dei poveri dell’Urbe. Il Pontefice si è rallegrato per lo zelo
apostolico dimostrato dai membri del sodalizio, nato a Roma nel 1869. Un
impegno, ha detto, che si sostanzia nell’opera di “nuova evangelizzazione” nella
diocesi romana e negli “interventi di solidarietà” in favore dei poveri e degli
ammalati, nella testimonianza del “Vangelo della carità”. D’altro canto, non ha
mancato di evidenziare il servizio prestato “con assiduità e devozione” durante
le celebrazioni liturgiche nella Basilica Vaticana e in altre circostanze. Il
Pontefice ha poi messo l’accento sull’utilità dell’Obolo di San Pietro per far
fronte alle “crescenti necessità dell’apostolato”, così come alle “richieste di
aiuto” dei più bisognosi.
“Tanti
attendono dalla Sede Apostolica un sostegno che spesso non riescono a trovare
altrove. In quest'ottica, l'Obolo costituisce una vera e propria partecipazione
all'azione evangelizzatrice, specialmente se si considerano il senso e l'importanza
di condividere concretamente le sollecitudini della Chiesa universale”.
Di qui,
Giovanni Paolo II ha rivolto la sua attenzione all’amata città di Roma,
definendola “centro” e, in un certo modo, “cuore dell’intero popolo di Dio”.
Quindi, ha espresso l’auspicio che i membri del Circolo di San Pietro seguano
sempre il loro triplice impegno di “preghiera, azione e sacrificio”. Ogni
cristiano, ha concluso, “deve coltivare con cura e accrescere il proprio
rapporto con Cristo”.
Un
saluto speciale il Papa lo ha infine rivolto all’assistente spirituale del sodalizio,
mons. Ettore Cunial, che quest’anno celebra il 50.mo di episcopato, e al dott.
Marcello Sacchetti, presidente generale dell’organismo.
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ALTRE
UDIENZE E PROVVISTA DI CHIESA IN NIGERIA
Nel corso della mattinata, il Papa ha ricevuto sei presuli
della Romania, in visita ad Limina
In
Nigeria, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale alla
diocesi di Maiduguri, presentata da mons. Senan Louis O’ Donnell per raggiunti
limiti di età. Il Pontefice ha nominato vescovo di Maiduguri il sacerdote
Matthew Man-oso Ndagoso, di 43 anni, attuale rettore del seminario maggiore
“Good Sheperd” di Kaduna.
LA LEGITTIMA ESIGENZA DI LIBERTA’ E
SICUREZZA SI ESPRIME CON MEZZI ERRONEI,
VIOLENTI E DISTRUTTIVI.
COSI’
IL PAPA ESPRIME LA SUA GRAVE PREOCCUPAZIONE PER LE MINACCE DI GUERRA NEL
MESSAGGIO AUGURALE
ALL’ARCIVESCOVO
DI CANTERBURY ROWAN WILLIAMS INTRONIZZATO IERI
A CUI
ASSICURA L’IRREVOCABILE IMPEGNO
A
LAVORARE PER RAGGIUNGERE LA PIENA COMUNIONE
- Servizio
di Carla Cotignoli -
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E’ “con sentimenti
di gioia e stima cordiale” che il Papa saluta il nuovo arcivescovo di
Canterbury, Rowan Williams, nel messaggio augurale per la sua missione
iniziata ieri con la solenne cerimonia
di intronizzazione nella storica cattedrale anglicana.
Il Papa esprime grave preoccupazione per il “momento
storico, carico di sofferenza e tensione”, in cui ha inizio il ministero
dell’arcivescovo Williams, anche se aggiunge: “ciononostante è un tempo segnato
da speranza e promessa”. Nel messaggio, consegnato questa mattina dal cardinale
Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani,
durante un incontro con il nuovo Primate della Chiesa di Inghilterra - il Santo
Padre descrive un mondo tormentato da “un conflitto che appare inesorabile”,
che “si trova sull’orlo di un’altra guerra”. Denuncia nuovamente le sofferenze
di “intere popolazioni, che stanno vivendo nella paura e nel pericolo”. “La
profonda e legittima esigenza dell’uomo di vivere nella libertà e sicurezza -
scrive ancora - si esprime con mezzi erronei, mezzi violenti e distruttivi”.
“Ed è proprio tra queste tensioni e difficoltà - aggiunge - che siamo chiamati
a prestare il nostro servizio”.
E qui il Papa esprime rallegramento per i legami di
affetto costruiti attraverso il dialogo e una intensa comunicazione tra i
rispettivi predecessori, tanto che - dice - “si era accesa la speranza di
raggiungere la piena comunione”. “Nonostante discordanze ed ostacoli che sono
sopraggiunti”, Giovanni Paolo II ribadisce l’irrevocabile impegno di continuare
a lavorare per superare le difficoltà che ancora si frappongono. Il Papa non
manca poi di far cenno ai progressi raggiunti attraverso i numerosi incontri
con il precedente arcivescovo George Carey e attraverso il lavoro delle
Commissioni internazionali di dialogo. Riconosce che certo “il compito che ci
attende per superare le divisioni non è facile, ma - aggiunge - “la piena
comunione sarà un dono dello Spirito Santo”.
E l’arcivescovo di Canterbury Williams, ieri, alla solenne
cerimonia di intronizzazione ha prospettato la “Chiesa del futuro”: “svolgerà
il suo ruolo profetico e pastorale - ha detto - solo se sul volto si rifletterà
la gratitudine e l’intima gioia che sgorga dalla vita in Cristo”. Da questo
incontro con Gesù sgorgherà l’ortodossia della fede. “Risolveremo i nostri più
gravi problemi - ha aggiunto - non tanto con un disciplina più severa, ma se
saremo discepoli autentici di Cristo, se la nostra vita sarà una continua
scoperta del suo mistero.” Di qui nuova fiducia e coraggio. Lo stesso
impegno sociale del cristiano, con “le
proteste riguardo alla guerra, il debito estero e la povertà, i pregiudizi, le
umiliazioni della disoccupazione o la crudeltà delle violenze sessuali e delle
infedeltà, l’abuso dei bambini, le carenze di aiuto agli anziani”, è motivato
dal fatto che costituiscono “un insulto e una violenza” che deturpa “l’immagine
divina iscritta nelle relazioni umane”. Ma ascoltiamo ora la nostra inviata
Philippa Hitchen, al microfono di Massimiliano Menichetti.
R. – Il nuovo arcivescovo ha giurato su un libro dei
Vangeli del VI secolo, lo stesso libro che Papa Gregorio aveva dato a Sant’Agostino quando lo ha inviato in
missione da Roma in Inghilterra. Ma è stata anche una cerimonia moderna, con un
arcivescovo che ha ben presente i problemi degli uomini e delle donne di oggi.
Ha parlato molto del bisogno di tornare alle sorgenti del Vangelo, alla verità
sull’uomo che Gesù ha portato sulla terra, più di 2000 anni fa.
D. – Ci si aspettava un’omelia improntata su un senso
politico …
R. – In effetti, siccome il dr. Williams aveva già nei
mesi scorsi suscitato questa impressione
nei mass media per il suo modo di parlare molto chiaro e forte, denunciando le
sua preoccupazione, per esempio, per le minacce di guerra in Iraq, c’era chi se
lo aspettava anche in questa sua omelia. Ma non è stato così. Lui ha accennato
alla guerra, alle violenze, alla violenza sessuale, ai problemi della disoccupazione,
della povertà e a tanti altri problemi sociali, ma ha parlato soprattutto del
bisogno di ritornare ad incontrare Gesù, e al nostro bisogno di aprirci, di
trovare un modo per tornare a questa fonte di verità e di vita e trovare in Lui
la soluzione ai nostri problemi moderni quotidiani.
D. – Da oggi è al via il nuovo ministero dell’arcivescovo,
un nuovo impulso anche all’ecumenismo?
R. – Ho parlato con il cardinale di Westminster - quindi
il partner nel dialogo di Williams qui in Inghilterra - il cardinale è molto
positivo. Lui ritiene che il dr. Williams sia molto aperto, ben disposto a
cercare nuove soluzioni e a camminare insieme su tutti i campi possibili, per
cercare di spingere in avanti questo dialogo che sembra rimasto indietro
rispetto alle aspettative.
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“GUARDANDO AL FUTURO CON FIDUCIA E
LUNGIMIRANZA,
PROSEGUITE
CON GENEROSITA’ E DISINTERESSE A PROMUOVERE PROGETTI
A
FAVORE DEGLI AMMALATI, DEI PICCOLI E DEGLI ULTIMI”.
COSI’
GIOVANNI PAOLO II NEL SUO MESSAGGIO PER L’UNITALSI,
IN
OCCASIONE DEL CENTENARIO DI FONDAZIONE
-
Servizio di Barbara Castelli -
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“Imparate,
alla scuola del Vangelo, ad essere operatori di pace, di giustizia e di
misericordia, ovunque il Signore vi chiami. Rispondete all’amore di Dio, forti
della consapevolezza che Egli vi ha amati per primo”. Questo, in sintesi,
l’invito che Giovanni Paolo II esprime in un messaggio indirizzato all’Unione Nazionale
Italiana Trasporto Ammalati a Lourdes e Santuari Internazionali, in occasione
del centenario dell’Associazione. Per celebrare questa “ricorrenza giubilare”,
l’Unitalsi ha organizzato un Convegno Nazionale che prende il via oggi a Rimini
per concludersi il 2 marzo.
Esprimendo
vivo apprezzamento per il servizio che l’Unitalsi continua a svolgere
“generosamente in piena comunione con i vescovi” a favore “degli ammalati, dei
piccoli e degli ultimi”, il Papa ripercorre brevemente le tappe fondamentali di
questo cammino di carità. “E’ significativo - ricorda il Santo Padre nel
documento - che questo anniversario cada nel corso dell’Anno del Rosario, tenendo
conto che le origini dell'Unitalsi sono legate al santuario Mariano di Lourdes.
Proprio in quel luogo, infatti, benedetto dalla presenza di Maria, il
fondatore, Giovanni Battista Tornassi, trovò luce e conforto”. Recatosi a
Lourdes con il proposito di togliersi la vita, “al culmine di una logorante
sofferenza fisica e spirituale”, Tornassi restò, invece, colpito “dall’opera
amorevole e disinteressata dei volontari”. Prese il via così “una realtà
ecclesiale ancora oggi apprezzata per il bene che compie e per lo spirito
evangelico che la anima”.
Ricordando
inoltre l’impegno di tanti vescovi e sacerdoti che in molte diocesi d’Italia si
prodigano, insieme con i volontari dell’Unitalsi, per far “sperimentare ai
malati e ai disabili la materna vicinanza della Chiesa”, il Pontefice infine invita tutti a “guardare al futuro con
fiducia e lungimiranza”. “La carità - conclude - vi spinga ad aprire sempre
nuovi campi di azione, per realizzare nuovi progetti di promozione umana e di
evangelizzazione”.
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ALLO STUDIO UN POSSIBILE VIAGGIO DEL PAPA IN
MONGOLIA
- A cura di Paolo Salvo -
Vi è la
concreta possibilità che il Papa compia un viaggio in Mongolia, anche se la
data è ancora da definirsi. La notizia è giunta questa mattina dalla capitale
mongola Ulan Bator, dove sul possibile viaggio di Giovanni Paolo II hanno
parlato nel corso di una conferenza stampa il nunzio apostolico, mons. Giovanni
Battista Morandini, e il direttore dell’informazione del ministero degli Esteri
mongolo.
Nell’occasione, è stato infatti comunicato che il prelato
vaticano mons. Renato Boccardo, capo del Protocollo con incarichi speciali, si
trova attualmente in Mongolia per studiare il programma di un possibile viaggio
del Santo Padre per la fine di agosto. Ciò in accettazione dell’invito fatto al
Papa dal presidente della Mongolia, in occasione della visita in Vaticano il 5
giugno del 2000.
“Per questo viaggio – ha precisato stamani il direttore
della Sala Stampa vaticana, Joaquìn Navarro Valls – si ipotizza la circostanza dell’inaugurazione
della cattedrale cattolica nella capitale”.
Repubblica asiatica incastonata tra la Russia e la Cina,
la Mongolia si estende su oltre un milione e mezzo di chilometri quadrati e
conta appena due milioni e 400 mila abitanti. Oltre il 95 per cento della
popolazione è di religione buddista, mentre poco più del 4 per cento è
costituita da musulmani. I cattolici sono un centinaio e fanno capo alla
prefettura apostolica di Ulan Bator (Ulaanbaatar), con una parrocchia, sette
sacerdoti e una quindicina di suore.
Santa Sede e Mongolia intrattengono relazioni diplomatiche
dal 1997. L’arcivescovo Morandini è nunzio anche in Corea e risiede a Seul.
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La
prima pagina si apre con il dettagliato resoconto dell'evolversi della crisi irachena:
si susseguono le iniziative diplomatiche per scongiurare il rischio di un
conflitto.
Un pensiero di Alessandro
De Sortis dedicato all'Anno del Rosario
Nelle vaticane, nel discorso al
Circolo di San Pietro, Giovanni Paolo II ha esortato i membri ad offrire alle
persone in difficoltà ed emarginate il cibo spirituale del messaggio evangelico
insieme con il sostegno materiale.
Il Messaggio del Santo Padre
all'arcivescovo di Canterbury, in occasione della solenne intronizzazione.
Il Messaggio del Papa
all'assistente ecclesiastico generale dell'Unitalsi.
Il Messaggio della Presidenza
della Pontificia Commissione per l'America Latina in occasione della Giornata
Ispanoamericana, che si terrà nelle diocesi di Spagna il 2 marzo.
Una pagina dedicata alle
iniziative promosse dalle diocesi italiane in preparazione del Mercoledì delle
Ceneri.
Nel cammino della Chiesa in
Europa, un articolo sull'Albania dal titolo "Il regime comunista ha
cercato di cancellare la presenza della Chiesa".
Nelle pagine estere, il
Parlamento di Israele dà la fiducia al nuovo governo guidato da Sharon.
Disarmo: positivi i risultati
ottenuti dalla Convenzione sulla messa al bando delle mine antiuomo.
Corea del Nord: Seoul esprime
"grave preoccupazione" per la riattivazione dell'impianto di
Yongbyon.
Nella pagina culturale, per la
rubrica "Incontri", don Mario Picchi intervistato da Mario Spinelli.
Il titolo dell'articolata intervista è "Finché nel mondo ci sarà violenza,
miseria e fame non si potrà debellare la droga".
Nelle pagine italiane, in primo
piano il tema delle pensioni.
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IL FUTURO DELLA CRISI IRACHENA LEGATA AI
MISSILI AL SAMOUD 2
-
Intervista con Fabrizio Battistelli -
Il
futuro della crisi irachena sembra in queste ore dipendere dalla sorte degli Al
Samoud 2, i missili che hanno una gittata superiore al consentito. Saddam
Hussein ha annunciato di essere pronto a distruggerli. Ma gli Al Samoud rappresentano
davvero una minaccia per i Paesi vicini all’Iraq? Giancarlo La Vella lo ha
chiesto a Fabrizio Battistelli, segretario generale dell’Archivio Disarmo:
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R. – Si tratta di un’arma che è stata, a suo tempo, anche
consentita da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza e si è venuto a
scoprire solo ultimamente che la portata non è di 150 km ma, secondo una
testimonianza di uno scienziato iracheno, può arrivare a 180 e da prove fatte
sembra che effettivamente sia così. Da qui, considerarlo una grossa minaccia
... non è poi un missile di natura strategica!
D. – E’ secondo lei una questione, quindi, strumentale,
quella di costringere Saddam Hussein a distruggere questi armamenti per trovare
un motivo per scatenare un attacco?
R. – Ho la netta sensazione di sì. E’ chiaramente
strumentale, secondo me, tutta questa storia degli Al Samoud. Però, potrebbe
paradossalmente essere invece a favore dell’Iraq, come se ad un certo punto gli
ispettori avessero individuato un po’ un agnello sacrificale e dicessero a
Saddam: ‘Dai finalmente per la prima volta dimostrazione di serietà, di voler
adempiere alle direttive dell’Onu, e sacrifica questo sistema d’arma per dare
il senso che hai iniziato il tuo disarmo’. Potrebbe persino essere una cosa del
genere.
D. – E’ veritiero il sospetto che Saddam Hussein nasconde
poi armi ben più pericolose?
R. – Ecco, questo è il vero problema. Il vero problema è
che sono ben altrimenti pericolosi i missili di gittata intermedia: di 600 km,
800 km, che potrebbero realmente costituire una minaccia e che, per quanto
sappiamo, non sono allo stato dell’avanzato sviluppo e dell’adozione, ma sono
stati certamente allo studio da parte del regime di Saddam. Ora, purtroppo non
abbiamo elementi per valutare fino a che punto si siano spinti questi studi ...
D. – Recentemente, la Corea del Nord ha fatto un
esperimento: ha lanciato un missile, caduto nell’Oceano Pacifico. Se una cosa
del genere l’avesse fatta l’Iraq, quali sarebbero state le conseguenze?
R. – Ah bè, certamente pericolosissime, rischiosissime
anche perché il quadro strategico dell’una è completamente diversa rispetto
all’altra versione. Il Medio Oriente è una polveriera, molto più di quanto non
sia l’Estremo Oriente, e quindi si tratterebbe a quel punto di armi capaci di
raggiungere Tel Aviv, quindi di scatenare la terza guerra mondiale.
Sicuramente, il grado di allarme è elevatissimo nel caso dell’Iraq. Solo che si
tratta realmente di ipotesi, nel senso che per quanto sappiamo il livello di
sofisticazione della tecnologia e della ricerca nordcoreana è molto più
avanzata di quello che non sia quella irachena, e non credo che l’Iraq in
questo momento sia capace di una performance come quella della Corea del Nord.
Semplicemente, sta collocato nella situazione sbagliata ed ha suscitato
l’allarme e la volontà degli Stati Uniti di porre fine a tutta la vicenda.
Resta il mistero su quali siano anche le condizioni che è necessario che l’Iraq
adempia per poter evitare l’attacco. Questo a tutt’oggi non è ancora riuscito a
saperlo nessuno.
D. – Come dire: si sanno usando due pesi e due misure
diverse, nella gestione delle crisi internazionali?
R. – Io penso di sì, realisticamente. Quando c’è un vuoto
di potere è necessario in qualche modo colmarlo; nell’Estremo Oriente non c’è
un vuoto di potere perché ci sono grandi Paesi strutturati, di livello per lo
meno regionale, ma quasi planetario come la Russia e soprattutto la Cina, per
cui non c’è nessun vuoto da riempire. Possono esserci sicuramente dei rischi,
possono esserci delle minacce, ma per gestirli bisogna venire a patti. Nel caso
invece dell’Iraq, abbiamo sicuramente dei rischi e delle minacce, ma non c’è
sostanzialmente – da parte di altri Paesi – nessuno che si possa prendere una responsabilità
di poter né difendere né regolare o disciplinare definitivamente l’Iraq:
l’Europa non è in grado di svolgere questa funzione e questa funzione ha deciso
di svolgerla l’America.
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ETICA E INTERNET: E’ IL BINOMIO AL CENTRO DI UN
CONVEGNO
IN
CORSO OGGI A ROMA, PROMOSSO DALL’UNIONE CATTOLICA DELLA STAMPA
ITALIANA E DALL’ISTITUTO PER LO STUDIO
DELL’INNOVAZIONE NEI MEDIA
-
Servizio di Ignazio Ingrao -
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Cattolici
e laici a confronto per rispondere insieme alle sfide di Internet. Questo il
senso del convegno in corso oggi a Roma su “Etica in Internet” organizzato
dall’Ucsi, l’Unione cattolica della stampa italiana e dall’Istituto per lo
studio dell’innovazione nei media, presieduto da Enrico Manca. Il convegno
prende spunto da due documenti del Pontificio Consiglio delle comunicazioni
sociali, Etica in Internet e Chiesa e Internet, a un anno dalla loro
pubblicazione. “Oggi avvertiamo con sempre maggiore urgenza la necessità di
mettere in pratica i principi e le indicazioni enunciati in questi documenti”,
ha osservato Emilio Rossi dell’Ucsi. E il riferimento è al triste primato
dell’Italia per il numero di siti Internet delle tifoserie calcistiche che
incitano all’odio razziale e antisemita, reso noto proprio ieri
dall’Osservatorio europeo sul razzismo.
Per
reprimere questo genere di fenomeni occorrono leggi ma soprattutto una
capillare opera di educazione all’uso di Internet. E’ quanto raccomandano i due
documenti del Pontificio consiglio, come ha ricordato mons. Pierfranco Pastore,
segretario del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali.
Dall’educazione, ha spiegato il vescovo, nasce anche la capacità di
autoregolamentazione degli utenti della rete. Allo stesso tempo, però, è necessario
garantire a tutti un adeguato accesso alle risorse della comunicazione
digitale, affinché, ha sottolineato mons. Pastore, non si vada ad approfondire
il digital divide, cioè il fossato tra paesi ricchi e paesi poveri, non
solo in termini di risorse economiche ma anche di informazione.
Attenzione,
ha detto infine il vescovo, a quei governi che pur dicendosi liberali,
rischiano di manipolare l’opinione pubblica attraverso la rete digitale. Gli ha
fatto eco il garante per la privacy, Stefano Rodotà. A suo avviso il tentativo
è di fare di Internet un grande supermercato globale, dove si compra e si
acquista di tutto: un’immensa fiera dove l’unico valore è il consumo. Si
calcola infatti che entro il 2005, almeno 940 milioni di utenti avranno accesso
a Internet, mentre solo l’anno passato sono state spedite oltre 640 miliardi di
e-mail. Dobbiamo utilizzare le potenzialità e la “forza innovativa” della rete
in una direzione diversa da quella mercantile, ha perciò raccomandato Rodotà,
cercando anzitutto di far prevalere valori come la giustizia e la solidarietà.
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28 febbraio 2003
I VESCOVI
FILIPPINI HANNO ESPRESSO IERI LA PROPRIA PREOCCUPAZIONE
PER GLI SFOLLATI DELL’ISOLA DI MINDANAO,
TEATRO DI APERTI SCONTRI TRA ESERCITO REGOLARE E
RIBELLI ISLAMICI.
DAI PRESULI E’ PARTITO L’INVITO A PREGARE
PER I CRISTIANI E PER I MUSULMANI CHE HANNO DOVUTO
LASCIARE LE LORO CASE.
KIDAPAWAN. = Con due dichiarazioni rilasciate ieri,
l’episcopato filippino ha espresso la propria preoccupazione per la situazione
dell’Isola di Mindanao, nelle Filippine meridionali, dove dall’11 febbraio sono
in corso combattimenti tra esercito regolare e forze ribelli del Fronte di
liberazione islamico Moro (Milf). In una lettera inviata alla Conferenza
episcopale delle Filippine (Cbcp), il vescovo di Kidapawan, mons. Romulo
Valles, ha chiesto che non cali l’attenzione sugli sfollati, costretti dagli
scontri a scappare dalle loro case. Il vescovo ha denunciato, inoltre, le
condizioni di grande indigenza in cui versa la popolazione, vittima della fame,
delle malattie e del freddo. Secondo il Dipartimento degli affari sociali di
Manila circa 210 mila civili hanno subito le disastrose conseguenze degli
scontri: circa 20 mila persone sono state costrette ad evacuare dall’arcipelago
di Sulu, a sud di Mindanao; altre 190 mila, la maggioranza dei quali bambini,
sono fuggite dalle zone settentrionali dell’isola. Mons. Valles ha, inoltre,
sottolineato che, nonostante l’esercito abbia invitato gli sfollati a rientrare
nelle loro case, molti non hanno avuto il coraggio di lasciare i centri di
raccolta. L’appello del vescovo di Kidapawan è stato in seguito rilanciato
dallo stesso presidente della Conferenza episcopale delle Filippine, mons.
Orlando Quevedo, arcivescovo di Cotabato. In un’intervista rilasciata ad
un’emittente radiofonica di Manila, il presule ha sollecitato i cittadini a non
dimenticare i terribili momenti che l’isola sta vivendo. “Chiedo a tutti di
pregare per la gente di Mindanao - ha esortato - non solo per i cristiani ma
anche per i musulmani”. (M.A.)
STORICA
CARTA PASTORALE DELL’ARCIVESCOVO DE L’AVANA, IL CARDINALE ORTEGA,
CHE CHIEDE AUTONOMIA PER LA CHIESA A CUBA E INVITA I
CUBANI A
“COMINCIARE A PENSARE PER LASCIARE LA MEDIOCRITA’”.
L’AVANA. = L’arcivescovo de
L’Avana, il cardinale Jaime Ortega Alamino, ha pubblicato una lettera pastorale
sull’autonomia della Chiesa a Cuba. Il documento si intitola “Non c’è patria
senza virtù”, citando una delle frasi più note di padre Félix Varala, sacerdote
indipendentista cubano, morto esattamente 150 anni fa. “E’ un diritto ed un
dovere del popolo cubano guardare alla patria con amore - scrive il porporato -
ed ispirarsi ai principi morali della Chiesa”. L’arcivescovo de L’Avana esorta
con forza i cubani a “cominciare a pensare” e lasciare la mediocrità. “Questo -
scrive il cardinale Ortega - è anche il compito della Chiesa. Anche quando
sembra che nessuno ci ascolti, quando la realtà sembra essere ignorata, non
solo bisogna evidenziare ciò che si dimentica o non riconosce, ma anche
preparare un cammino futuro nelle menti e nei cuori dei nostri fratelli. Anche
se, come il Battista, abbiano l’impressione di gridare nel deserto”. “Molta
gente - precisa l’arcivescovo de L’Avana - si rivolge alla Chiesa chiedendo
lumi sul futuro, perché esiste nel popolo cubano una paura diffusa del domani”.
Un messaggio speciale, perciò, è rivolto ai giovani: “Il sesso libero, così
come le relazioni temporanee - avverte il cardinale Ortega - non aprono la
strada al sacramento del matrimonio e non consentono di costruire una famiglia
solida. Cedere a tutti i desideri e alle tentazioni, non vuol dire rispondere
alle sfide degli adulti”. Il documento prosegue con il passaggio centrale del
pensiero dell’arcivescovo de L’Avana: “Cuba è uno dei paesi latinoamericani che
nel ventesimo secolo ha sofferto di più. Mi riferisco alla cancellazione degli
organi istituzionali, della memoria collettiva, delle tradizioni e di tutto ciò
che può garantire una continuità culturale”. Il cardinale Ortega parla poi
degli attacchi che ha subito la famiglia, attraverso il divorzio, l’aborto, e
il monopolio statale nell’educazione e nella formazione dei giovani. Non a caso
il porporato definisce l’assenza della scuola cattolica a Cuba una “spina nel
cuore della Chiesa”. (M.A.)
IL
PROGRAMMA ALIMENTARE MONDIALE LANCIA L’ALLARME SULLA CRISI DELLO ZIMBABWE:
INSUFFICENTE LA RIFORMA AGRARIA VOLUTA DAL
PRESIDENTE MUGABE
MENTRE IL PAESE E’ ALLO STREMO, PIEGATO DA CARESTIA
E AIDS
HARARE. = Il Programma alimentare mondiale (Pam)
delle Nazioni Unite ha espresso ieri una valutazione insoddisfacente riguardo
la riforma agraria in Zimbabwe, voluta dal presidente Robert Gabriel Mugabe. Il
Pam, infatti, ha reso noto che nella lista delle persone che hanno richiesto
aiuti alimentari figurano anche molti contadini neri che, nei mesi scorsi,
hanno beneficiato delle terre sottratte ai ‘white farmer’. Il direttore del
Pam, Kevin Farrell, ha illustrato le cause di quest’emergenza, sottolineando
che il Paese è stato colpito dalla siccità e che mancano infrastrutture
elettriche e macchine da lavoro. Lo Zimbabwe era considerato il granaio
dell’Africa, ma il monopolio del governo su importazioni e prezzi dei cereali,
la caduta della produzione agricola e l’epidemia di Aids hanno acuito la crisi.
Il Pam tira così un primo bilancio della riforma agraria voluta da Mugabe due
anni fa, ma attuata solo l’estate scorsa, quando il governo procedette alla
confisca di 2900 aziende agricole di proprietà dei latifondisti di origine europea.
Un quadro della situazione è stato tracciato, in una dichiarazione all’agenzia
Nigrizia, da mons. Pius Alick Ncube, arcivescovo di Bulawayo. “La nazione oggi
è in una situazione disperata”, ha detto il presule. “L’inflazione cresce
vertiginosamente: i prezzi dei beni di consumo sono quadruplicati. Un massiccio
esodo di dottori, infermieri, maestri,
avvocati ed altri laureati o diplomati è in atto verso il Sudafrica o altri
paesi extra-africani. Circa l’85% della popolazione è disoccupato. I salari
hanno subito un calo del 50%. Oltre il 70% della popolazione vive sotto la
soglia della povertà. In pochi mesi almeno 400 industrie o compagnie hanno
chiuso. Oltre ai 400 mila lavoratori agricoli che hanno perso il posto di
lavoro a causa dell’occupazione delle fattorie dei “white farmers”, circa 300
mila lavoratori urbani sono andati ad aumentare il già elevato numero dei disoccupati.
La gente è demoralizzata e molti sono costretti a ricorrere al piccolo crimine
o alla prostituzione. C’è un’impressionante proliferazione di ragazzi di
strada, di indigenti e di senza casa. A tutto, infine, si aggiunge l’epidemia
di Aids. Lo Zimbabwe è, infatti, la seconda nazione dell’Africa subsahariana
più colpita dalla malattia: circa un milione e mezzo gli ammalati su una
popolazione di 12 milioni di persone”. (M.A)
I GIORNALISTI
CRISTIANI SONO CHIAMATI A DIFENDERE LA VERITA’,
IL PLURALISMO E IL CARATTERE LAICO DELLO STATO.
QUESTO, IN SINTESI,
QUANTO E’
EMERSO DURANTE IL CONGRESSO NAZIONALE DEI GIORNALISTI CRISTIANI, SVOLTOSI NEI
GIORNI SCORSI IN INDIA
KOCHI. = Di fronte alla
progressiva avanzata dei localismi e del fondamentalismo in India, i
giornalisti cristiani sono chiamati a contrastare l’uso politico della religione
e dell’appartenenza etnica e sociale e a difendere la verità, il pluralismo e
il carattere laico dello Stato. E’ questa, in sintesi, l’indicazione principale
emersa dal Congresso nazionale dei giornalisti cristiani, svoltosi nei giorni
scorsi vicino a Kochi, in Kerala. L’incontro, organizzato dall’Associazione
della Stampa cattolica indiana (Icpa), aveva per tema: “La localizzazione
della politica e il ruolo della stampa”. Nei vari interventi è stato
evidenziato il ruolo cruciale svolto dai media, e dai giornalisti in
particolare, nell’informare la società e, quindi, nella formazione
dell’opinione pubblica. Nell’attuale congiuntura politica in India
caratterizzata da una pericolosa polarizzazione dei conflitti locali e
religiosi, i giornalisti cristiani sono chiamati a fare il massimo sforzo “per
difendere i valori della democrazia, del pluralismo e dell’armonia etnica e
comunitaria che hanno caratterizzato il Paese nei secoli”. Lo ha sottolineato,
nell’intervento di apertura, il presidente dell’Icpa, padre George Platthottom,
che ha messo in guardia contro i rischi di una deriva autoritaria e
fondamentalista in India. Dello stesso tenore l’intervento dell’attivista cristiano
John Dayal, che ha rilevato come, a causa anche al fondamentalismo indù, in
diverse parti del Paese stia prendendo piede un clima di violenza e
intolleranza verso le minoranze. Durante il Congresso sono stati anche
consegnati i nuovi Premi del giornalista e dell’autore dell’anno in lingua
inglese e hindi. Il premio per la categoria inglese, intitolato al missionario
salesiano spagnolo e scrittore don Joseph Carreno, è andato al giornalista J.
Philip di New Delhi. Quello per la categoria hindi, intitolato al missionario e
poeta verbita indiano padre Swami Devanand Chakkungal, è stato assegnato a
Victor Blake di Chittaranjan, nel Bengala Occidentale, autore di diversi
racconti e poesie. Istituiti lo scorso dicembre, i due riconoscimenti sono
destinati a persone e pubblicazioni la cui produzione giornalistica o
letteraria abbia contribuito in modo significativo alla promozione dei valori
cristiani, dei diritti umani e alla causa dei diseredati e delle categorie
sociali emarginate in India. (L.Z.)
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28 febbraio 2003
- A cura di Andrea Sarubbi -
La Russia è disposta a bloccare con un veto una
risoluzione dell’Onu che autorizzi l’attacco all’Iraq, se ciò “sarà necessario”
per salvare “la stabilità internazionale”. Lo ha detto oggi il ministro degli
Esteri, Ivanov, al termine della sua visita in Cina. Da Baghdad, intanto,
giungono notizie positive: la distruzione dei missili Al Samoud – annunciata da
Saddam Hussein in una lettera al capo degli ispettori, Blix, e confermata dagli
esperti delle Nazioni Unite, che domattina avranno colloqui “tecnici” con gli
iracheni – potrebbe iniziare già domani. Mentre il governo italiano definisce
“nefasta” un’azione militare senza l’appoggio dell’Onu, nel fronte
angloamericano permane lo scetticismo sulle ultime aperture di Saddam: il
premier britannico Blair ha detto che “non è tempo di giochi”, e la Casa Bianca
si è mostrata altrettanto fredda. Sentiamo Paolo Mastrolilli:
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Il presidente
Bush ha liquidato la concessione di Saddam, definendola “la punta dell’iceberg”,
ma la mossa irachena aiuta di fatto i Paesi disposti a prolungare le ispezioni.
Il nuovo rapporto di Blix, del resto, chiede più tempo, ma ribadisce che
Baghdad non sta ancora offrendo tutta la collaborazione necessaria ed afferma
che finora i risultati sul piano del disarmo sono stati molto limitati.
Intanto, mentre ieri il Consiglio di Sicurezza ha cominciato a discutere a porte
chiuse la risoluzione americana, Bush ha parlato al telefono con il collega
russo Putin, che ha promesso di continuare le consultazioni per trovare una
soluzione unitaria. Il Parlamento turco, invece, ha rimandato a domani il voto
per autorizzare lo schieramento delle truppe americane nelle proprie basi, ma
il Pentagono ha confermato di essere pronto ad attaccare, con l’arrivo di
un’altra portaerei nel Golfo Persico e la mobilitazione dei bombardieri
invisibili B2. Sul terreno si è mosso anche Saddam, che secondo l’intelligence
americana ha cominciato a spostare verso Baghdad i reparti di élite della
guardia repubblicana, forse per prepararsi alla difesa della capitale.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Nuovo
attacco contro il consolato statunitense di Karachi, nel Pakistan meridionale,
dove a giugno una bomba aveva provocato la morte di 12 persone. Questa mattina,
un commando di uomini armati ha aperto il fuoco contro l’esterno dell’edificio,
uccidendo almeno due poliziotti e ferendo altre 5 persone. La polizia ha
arrestato uno dei terroristi, di nazionalità afghana.
Dopo la riattivazione della centrale atomica nordcoreana
di Yongbyong si registrano le reazioni preoccupate della comunità internazionale.
L’impianto, fermo dal 1994 nel quadro degli accordi di non proliferazione
nucleare stipulati con Washington, potrebbe consentire a Pyongyang la
costruzione in tempi brevi di alcuni ordigni nucleari. E mentre gli Stati Uniti
affrontano la situazione con cautela, la Corea del Sud, pur mostrando estrema
preoccupazione, spinge per una soluzione della crisi con i nordcoreani:
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“Il dialogo è ancora possibile”, ha sottolineato oggi con
fermezza il nuovo premier coreano Koh Kun, nominato ieri dal presidente Roh,
nonostante le notizie giunte da Washington a proposito dell’attivazione della
centrale nucleare nordcoreana di Yongbyong, e nonostante anche fonti dell’intelligence
americana informino oggi che il missile nordcoreano caduto lunedì nel mar del
Giappone era a lungo e non a medio raggio, e forse il primo di una lunga serie
di test missilistici. Seul è determinata più che mai a portare avanti la sua
linea verso i fratelli del nord, dai quali è separata dal 1953. “Non vogliamo
la guerra, vogliamo un trattato di pace con Pyongyang”, ha detto il presidente
Roh il giorno della sua investitura. La posizione del nuovo presidente non
sembra del tutto in accordo con quella degli alleati americani, che da
Washington avvertono: “La Nord Corea non ci piegherà con i suoi ricatti”. E per
prepararsi ad un possibile attacco chimico da parte di Pyongyang, una parte dei
37 mila soldati americani di stanza in Corea del Sud ha effettuato ieri alcune
esercitazioni militari con speciali maschere antigas.
Per Radio Vaticana, Chiaretta Zucconi.
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I leader delle due comunità cipriote si sono detti
d'accordo a rinviare al 10 marzo il termine ultimo per pervenire ad un accordo
per la riunificazione di Cipro. Lo ha annunciato oggi il segretario generale
dell'Onu, Kofi Annan. Il servizio di Cesare Rizzoli:
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Kofi Annan ha annunciato oggi che i leader delle due
comunità cipriote hanno raggiunto un’intesa per rinviare di dieci giorni il
termine che scadeva oggi, al fine di raggiungere un accordo per la riunificazione
territoriale dell’isola, da 29 anni spaccata in due parti da un muro di
reticolati, di sabbia e di antichi rancori. “È giunta l’ora delle decisioni”,
ha detto oggi Kofi Annan dopo avere incontrato il neo presidente eletto della
Repubblica cipriota, Tassos Papadopoulos, ed il leader della minoranza turca,
Ralf Denktash. Il nuovo piano dell’Onu contempla la riunificazione del
territorio, la ricostruzione di uno Stato unico e sovrano, la
smilitarizzazione, la Federazione con due governi cantonali ed un governo
centrale in comune. Soltanto se le due comunità raggiungeranno l’intesa entro
il 10 marzo, Cipro così riunificata potrà entrare nell’Unione europea, insieme
agli altri nove Stati candidati. Altrimenti, alla firma solenne – il 16 aprile
– ai piedi dell’Acropoli di Atene, presenzierà solamente la comunità ellenica.
Per la Radio Vaticana, Cesare Rizzoli.
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Con 66 voti a favore e 48 contrari, il governo Sharon ha
ottenuto la fiducia dal Parlamento. Il trentesimo esecutivo della storia israeliana
– formato dal Likud, dai centristi dello Shinui e dal Partito nazionale
religioso – comprende 21 portafogli, ma il premier ha conservato per ora quelli
dei Culti, del Lavoro, degli Affari Sociali e
delle Comunicazioni. Lo sorregge una maggioranza di 68 deputati su 120. Il
servizio di Graziano Motta:
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Decisioni non facili, ma eque in campo economico; un
impulso all’immigrazione di altri ebrei della diaspora; un compromesso doloroso
con i palestinesi. Questi i temi principali del discorso programmatico del
governo di Centrodestra israeliano, fatto da Sharon alla Camera. Priorità – ha
detto – per la difficile situazione economica e poteri di superministro per il
numero due del partito, Benjamin Netanyahu. Il “fallimento – così l’ha definito
– della campagna terroristica contro Israele” apre la via ad un processo
diplomatico responsabile a tappe, in coordinamento con il presidente Bush, che
ha come traguardo finale lo Stato palestinese, riconoscendo comunque che questo
è un problema controverso nella coalizione di governo. E l’esecutivo – ha
precisato – prenderà una decisione al momento opportuno. Ma intanto i
palestinesi devono far cessare il terrorismo, compiere profonde riforme della
loro Autorità nazionale e rinunciare al diritto di ritorno in massa dei loro
profughi in Israele.
Per Radio Vaticana, Graziano Motta.
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È in corso da ieri a Bruxelles la riunione della Convenzione europea,
che dovrà dar vita alla prima Costituzione dell’Unione. Si discute degli
emendamenti – i membri della Convenzione ne hanno presentato circa un migliaio
– ai primi 16 articoli della Costituzione, proposti dal presidente Giscard
d’Estaing. L’ex capo di Stato francese ha annunciato formalmente che proporrà
un riferimento ai valori religiosi nel preambolo del testo, mentre nella
seconda parte dovrebbe essere trasferito il protocollo aggiuntivo del trattato
di Amsterdam sulla tutela dello statuto delle Chiese nei vari Paesi membri. Si
dibatte anche sull'inclusione nella Costituzione della parola “federale”,
proposta dallo stesso Giscard d’Estaing.
È ancora senza nome il successore di Vaclav Havel alla
presidenza della Repubblica ceca. Nel primo turno delle elezioni, in programma
questa mattina, le due Camere del Parlamento non sono riuscite ad esprimere una
maggioranza sufficiente per nessuno dei due candidati in corsa, Jan Sokol e
Vaclav Klaus. Quest’ultimo, ex premier
di stampo liberale, è in vantaggio sullo sfidante, ex dissidente ai tempi del
comunismo.
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