RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 55 - Testo della Trasmissione lunedì 24 febbraio 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La ricerca biomedica proceda nella cura delle malattie, evitando ogni manipolazione dell’uomo: è il rinnovato appello del Papa, nell’udienza alla Pontificia Accademia per la Vita.

 

Iniziata la visita “ad Limina” dei vescovi della Romania.

 

La “Fondazione Giovanni Paolo II” per il Sahel riunita in Burkina Faso, guardando alla preoccupante situazione nella vicina Costa d’Avorio: con noi, mons. Karel Kasteel.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Il “Decalogo” di Assisi per la pace, un anno dopo, punto di riferimento religioso e civile nell’attuale crisi internazionale: intervista con mons. Felix Anthony Machado.

 

La fame nel mondo, scandalo per i nostri tempi: ai nostri microfoni il direttore de “La Civiltà Cattolica”, padre Gianpaolo Salvini.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Appello dei vescovi coreani contro l’ipotesi di guerra in Iraq.

 

Inizia oggi a Bogotà l’incontro tra il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa e il Consiglio episcopale latino americano.

 

16 ong coordineranno in Guinea Bissau un programma per la riabilitazione ed il reinserimento sociale di 21 mila soldati ex combattenti.

 

La diocesi di Mongu, nella Zambia, avrà una nuova voce missionaria: Radio Liseli.

 

La nuova ondata di violenza che sta colpendo la Repubblica Centrafricana ha costretto tre suore comboniane ad abbandonare il Paese.

 

24 ORE NEL MONDO:

Almeno 257 morti, oltre mille feriti: la regione cinese dello Xinjiang devastata da un terribile terremoto.

 

Ore cruciali per la crisi irachena: Parigi annuncia nuove proposte, Londra afferma che la seconda risoluzione verrà votata entro metà marzo. Manovre militari in corso.

 

Pessimismo sull’intesa per la riunificazione di Cipro, mentre Annan prosegue la sua missione.

 

In Israele nasce la nuova coalizione di governo: ne fanno parte Likud, Shinui e nazionalisti religiosi.

 

Il nazionalista serbo Seselj nel carcere dell’Aja: contro di lui, le accuse di crimini di guerra in Croazia.

 

 

  IL PAPA E LA SANTA SEDE

24 febbraio 2003

 

 

L’APPOGGIO DEL PAPA ALLA RICERCA BIOMEDICA

E UN FORTE APPELLO AD EVITARE OGNI TENTAZIONE DI MANIPOLAZIONE DELL’UOMO,

 NEL DISCORSO RIVOLTO AI MEMBRI DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA

                                              

E’ un appello forte quello che il Papa ha rivolto oggi al mondo scientifico: chiede di “evitare ogni tentazione di manipolazione dell’uomo”, di “rifuggire da ogni forma di strumentalizzazione o distruzione dell’essere umano, per dedicarsi con impegno ad esplorare vie e risorse per il sostegno della vita umana”. Sono queste le parole rivolte ai membri della nona Assemblea generale della Pontificia Accademia per la Vita, che da oggi è riunita in Vaticano sul tema “Etica della ricerca biomedica per una visione cristiana”. Il servizio di Carla Cotignoli:

 

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“La Chiesa rispetta ed appoggia la ricerca scientifica” - ha detto il Papa. Anzi, in più punti del discorso, esprime gratitudine a tanti scienziati dediti alla ricerca nell’ambito della biomedicina per i molti benefici derivanti all’umanità: come la decisiva sconfitta di epidemie letali, e di molte gravi malattie, “migliorando notevolmente, in grandi aree del mondo sviluppato, la durata e la qualità della vita”. Ma, senza mezzi termini, rinnova un forte appello al mondo della ricerca biomedica: chiede di evitare ”ogni tentazione di manipolazione dell’uomo”, “ogni forma di strumentalizzazione o distruzione dell’essere umano”, di “mantenersi libera dalla schiavitù degli interessi politici ed economici”. E qui il Papa sottolinea che “proponendo gli orientamenti morali indicati dalla ragione naturale, la Chiesa è convinta di offrire un servizio prezioso alla ricerca scientifica, protesa verso il perseguimento del vero bene dell’uomo”. Il Papa ancora richiama gli scienziati ad essere “consapevoli dei limiti invalicabili che la tutela della vita, dell’integrità e dignità di ogni essere umano impone alla loro attività di ricerca”.

 

 Sono tornato più volte su questo argomento, perché sono convinto che tacere di fronte a certi esiti o pretese della sperimentazione sull’uomo non è permesso a nessuno e tanto meno alla Chiesa, cui quell’eventuale silenzio sarebbe domani imputato da parte della storia e forse degli stessi cultori della scienza”.

 

Il Papa ha anche rivolto  un particolare appello alle “Istituzioni e alle Università che si fregiano della qualifica di cattoliche, perché si impegnino ad essere sempre all’altezza dei valori ideali” a cui devono la loro origine.

 

 “Occorre un vero e proprio movimento di pensiero e una nuova cultura di alto profilo etico e di ineccepibile valore scientifico, per promuovere un progresso autenticamente umano ed effettivamente libero nella stessa ricerca.”

 

Con la stessa forza Giovanni Paolo II ha chiesto di colmare con urgenza “il gravissimo e inaccettabile fossato che separa il mondo in via di sviluppo dal mondo sviluppato”, a sostegno delle popolazioni afflitte dalla miseria e da disastrose epidemie, non ultime l’Aids. Diversamente sarebbe commettere un’ingiustizia che, a lungo termine, potrebbe alimentare una minaccia per il mondo globalizzato. E’ questione di giustizia, solidarietà e pace.

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RICEVUTI DAL PAPA CINQUE PRESULI DELLA ROMANIA, IN VISITA “AD LIMINA”.

RINUNCIA E NOMINA DI AUSILIARE IN GERMANIA

 

Il Papa ha iniziato stamani gli incontri “canonici” con i vescovi della Romania in visita “ad Limina”, ricevendo cinque presuli: l’arcivescovo di Alba Iulia, mons. György Miklòs Jakubìnyi, con l’ausiliare mons. Jòzsef Tamàs; l’arcivescovo di Fagaras dei Romeni, mons. Lucian Muresan; e il vescovo di Iasi, mons. Petru Gherghe, con l’ausiliare mons. Aurel Perca.

 

I vescovi della Romania sono in tutto 19 e 12 le circoscrizioni ecclesiastiche. Su oltre 22 milioni di abitanti, in maggioranza ortodossi, i cattolici sono più di due milioni, distribuiti in 1.770 parrocchie e assistiti da circa 1.700 sacerdoti, tra diocesani e religiosi. Il presidente della Conferenza episcopale è l’arcivescovo di Bucarest, mons. Ioan Robu. Il Papa ha compiuto un viaggio pastorale in Romania dal 7 al 9  maggio 1999, nella capitale Bucarest.

 

In Germania, il Santo Padre ha accettato la rinuncia all’ufficia di ausiliare dell’arcidiocesi di Colonia (Köln), presentata dal vescovo mons. Klaus Dick, per limiti di età. Il Pontefice ha quindi nominato ausiliare di Colonia il prelato 46enne mons. Rainer Woelki, del clero locale, finora direttore  del “Collegium Albertinum” di Bonn, elevandolo alla dignità vescovile.

 

 

LA SETTIMANA SCORSA, A OUAGADOUGOU, NEL BURKINA FASO,

LA RIUNIONE DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE

DELLA FONDAZIONE GIOVANNI PAOLO II PER IL SAHEL, CON LA PARTECIPAZIONE

DI MONS. KAREL KASTEEL, IN RAPPRESENTANZA DELLA SANTA SEDE

- Servizio di Giovanni Peduto -

 

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Questa Fondazione abbraccia nove Paesi dell’Africa nord-occidentale: Burkina Faso, Capo Verde, Ciad, Gambia, Guinea Bissau, Mali, Mauritania, Niger e Senegal. E’ stata voluta dal Santo Padre nel 1984, il 22 febbraio, festa della Cattedra di San Pietro, come dimostrazione della sua peculiare grandissima cura e preoccupazione per questi nove Paesi del Sahel, che visitò per primi in Africa dopo la sua elezione. Il Pontefice vi si recò perché erano i Paesi più poveri e quando vide la tragedia della siccità, della desertificazione che li attanagliava,  fece un appello che è rimasto famoso, l’appello di Ouagadougou, che è la capitale dell’Alto Volta o Burkina Faso e, quando arrivarono gli aiuti da parte di tanti fedeli per poter assistere quelle popolazioni, il Santo Padre eresse la Fondazione che ha la sua sede ufficiale presso il Pontificio Consiglio Cor Unum, ma quella operativa è giù a Ouagadougou. Ora diamo la parola a mons. Kasteel, appena rientrato dal Burkina Faso:

 

R. – I nove Paesi del Sahel sono immensi, in maggioranza - alcuni più piccoli, come Guinea Bissau e Gambia - e hanno il problema della siccità: piove poco e le popolazioni, se non le si aiuta, periscono per fame. Allora, il Papa ha voluto mostrare che la Chiesa fa tutto quello che può per la promozione umana e cristiana di queste popolazioni.

 

D. – Concretamente, come opera la Fondazione?

 

R. – Opera con gli interessi che il capitale produce e anche con altri doni che pervengono al Santo Padre per questa Fondazione e che vengono adoperati per aiutare quelle popolazioni. Esistono, naturalmente, altre organizzazioni, anche delle Nazioni Unite, esiste la Caritas, però per un aiuto specifico in questo campo, tanto necessario in quella zona così vasta esiste questa Fondazione che, grazie a Dio, cammina bene.

 

D. – La scorsa settimana di cosa vi siete occupati specificamente?

 

R. – Naturalmente, essendo il Burkina Faso un po’ il centro dell’Africa occidentale, già francese, si è parlato molto della situazione in Costa d’Avorio, perché se un domani in Costa d’Avorio questa guerra dovesse continuare, vi saranno tre milioni di rifugiati burkinabé - così si chiamano le popolazioni del Burkina Faso come rifugiati e come profughi - e quindi la Fondazione deve tener conto anche di tutte queste cose perché se chi lavora la terra deve scappare o perché c’è una guerra o perché c’è una ribellione, tutti i soldi che sono stati spesi per aiutare questa gente ad acquistare questa terra, a coltivarla, vanno persi. E quindi abbiamo parlato della situazione in genere. Si è visto quanti progressi ci sono, quante cose stupende si sono potute fare in questi ultimi anni, c’è meno miseria, c’è più speranza, più possibilità, però dobbiamo continuare a lavorare e a lavorare forte nello spirito del Santo Padre e soprattutto sono le stesse popolazioni locali che devono sviluppare la loro situazione con l’aiuto, naturalmente, anche di altri esperti. Sono loro che devono decidere e mettere in atto. Io vedo che c’è un grande progresso, e questo è molto bello: quando si va giù e si constata che una Fondazione fatta dal Papa vent’anni fa ha già tanti frutti.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

La prima pagina è fortemente caratterizzata dalla parola "MAI", che si impone al centro, sullo sfondo di una colomba: "Mai gli uni contro gli altri"; "Mai al terrorismo e alla logica di guerra". La prima pagina riporta integralmente il testo dell'Angelus di domenica 23 febbraio. Nell'occhiello generale, si pone in rilievo che Giovanni Paolo II "convoca tutti i cattolici": Mercoledì delle Ceneri, 5 marzo, Giornata di preghiera e di digiuno per la pace. 

 

Nelle vaticane, sempre all'Angelus, il Papa ha formulato l'auspicio che siano presto liberate le numerose persone sequestrate in Colombia.

Nel discorso ai partecipanti alla IX Assemblea della Pontificia Accademia per la Vita, il Santo Padre ha richiamato l'esigenza di un movimento di pensiero e di una nuova culturale di alto profilo etico e di ineccepibile valore scientifico per promuovere un progresso autenticamente umano nella ricerca. 

Le conclusioni del Congresso teologico-pastorale, svoltosi a Manila dal 22 al 24 gennaio, in occasione del IV Incontro mondiale delle famiglie.

Una pagina dedicata alle iniziative promosse in questi giorni in favore della pace.

 

Nelle pagine estere, in relazione alla crisi irachena, in evidenza il fatto che si apre una settimana cruciale per la pace.

Una dettagliata nota sulla visita dell'arcivescovo Jean-Louis Tauran in Serbia e Montenegro, svoltasi da 17 al 21 febbraio. 

Riguardo al Medio Oriente, si sottolinea che la brutale e spietata logica delle armi continua ad oscurare la speranza nei Territori.

In Cina, un violento terremoto ha provocato la morte di non meno di 257 persone e più di mille feriti.

Gli Usa propongono un Forum multilaterale sulla crisi nordcoreana.

 

Nella pagina culturale, un ampio stralcio dell'introduzione di Piero Viotto al volume - in questi giorni nelle librerie - dal titolo "Jacques Maritain. Dizionario delle opere".  

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la situazione della Fiat. In rilievo la sempre più preoccupante questione della violenza negli stadi.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

24 febbraio 2003

 

 

IL DECALOGO DI ASSISI PER LA PACE, UN ANNO DOPO:

UN PUNTO DI RIFERIMENTO RELIGIOSO E CIVILE NELL’ATTUALE CRISI INTERNAZIONALE

 

- Intervista con mons. Felix Anthony Machado -

 

Dieci impegni che abbracciano, in generale e in dettaglio, il diritto di ogni persona a vivere, formarsi una famiglia, professare un credo, difendersi dai soprusi, dalla violenza e dal terrorismo. In una parola: a vivere e a sperare in un mondo di pace, costruito sui pilastri della giustizia e del perdono. Dieci impegni sottoscritti un anno fa ad Assisi dai 70 leader religiosi invitati dal Papa a pregare per la pace e poi inviati per lettera - esattamente il 24 febbraio dell’anno scorso - dallo stesso Giovanni Paolo II ai capi di Stato e di governo, come propositi in grado di “ispirare l’azione politica e sociale” dei singoli Paesi. Nel messaggio che accompagnava il “Decalogo di Assisi per la pace”, il Pontefice concludeva con queste parole: “Auspico che lo spirito e l’impegno di Assisi conducano tutti gli uomini di buona volontà alla ricerca della verità, della giustizia, della libertà, dell’amore, affinché tutte le persone possano godere dei loro diritti inalienabili, e ciascun popolo, della pace”. Un auspicio trasformatosi, dodici mesi dopo, in un’urgente necessità, nel contesto della delicatissima congiuntura internazionale che oggi vede le diplomazie internazionali in frenetica attività sull’asse Stati Uniti-Onu-Iraq. Quel “Decalogo”, dunque, non ha perso nulla della sua attualità: lo ribadisce il sottosegretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, mons. Felix Anthony Machado - presente un anno fa ad Assisi - nell’intervista di Alessandro De Carolis:

 

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R. - Secondo me, rimane un punto di riferimento, sempre. Il nostro Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, ad esempio, ha invitato nello scorso gennaio, qui a Roma, una quarantina di persone di altre tradizioni religiose, nel segno di una giusta continuazione della riflessione sull’impegno per la pace. Rimangono quindi molto attuali, questi dieci punti, per ricordarci anzitutto che le religioni devono sempre ispirare la pace.

 

D. - Dieci regole per costruire la pace: dopo quell’impegno, quali passi concreti sono stati fatti dal vostro dicastero?

 

R. - Noi abbiamo sempre continuato a lavorare per promuovere un dialogo tra le diverse tradizioni religiose. Per esempio, siamo andati in Giappone per promuovere il dialogo con i buddhisti. Anche in Europa, lo scorso settembre - con la collaborazione del Consiglio delle Conferenze episcopali europee - il nostro dicastero ha promosso un incontro tra i cristiani impegnati nel dialogo con i buddhisti, per valutare la presenza di questa religione in Europa. Attualmente, poi, il nostro presidente - mons. Michael Fitzgerald – è in Egitto insieme a mons. Khaled, per un incontro ad al-Azhar, dove il nostro dicastero fa parte di un comitato permanente per il dialogo con i musulmani. Noi continuiamo a curare questi rapporti per mettere in pratica concretamente le dieci regole che non abbiamo promosso noi, ma che sono state suggerite dai leader di tutte le religioni.

 

D. - Al punto dieci del decalogo, si dice che i leader religiosi si impegnano a chiedere ai responsabili delle nazioni di fare ogni sforzo perché, a livello nazionale ed internazionale, si edifichi sul fondamento della giustizia un mondo di solidarietà e di pace. Un anno dopo, però, il mondo sembra navigare su una rotta diametralmente opposta a quel principio ...

 

R. - Io posso portare un piccolo esempio proprio sul punto dieci. Uno dei nostri partner, un musulmano, segretario del Comitato nazionale che rappresenta i musulmani, ci ha chiesto tempo fa di inviare una lettera al presidente Bush e al primo ministro Tony Blair per chiedere di fermare la guerra. Noi abbiamo risposto: “Sì, ma inviamo una lettera anche a Saddam Hussein”. E così, il nostro presidente ha firmato, insieme con il rappresentante musulmano, tre lettere. Dal nostro punto di vista, anche se questi paiono piccolo sforzi, noi comunque li compiamo. Credo vi siano molti leader religiosi che abbiano chiesto ai loro responsabili civili di fermare la guerra. Così come esiste un grande impegno per mettere in pratica quello che è stato detto ad Assisi. Del resto, l’incoraggiamento del Santo Padre è molto apprezzato: risulta evidente dalle molte persone che gli chiedono di intercedere per fermare la guerra. E la voce del Santo Padre non cessa di levarsi per la pace, in favore della pace.

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IL PROBLEMA DELLA FAME NEL MONDO E LE SUE CONTRADDIZIONI:

UNO SCANDALO ANCHE PER I NOSTRI TEMPI

 

- Con noi, padre Gianpaolo Salvini -

 

“La fame nel mondo e le sue contraddizioni - Uno scandalo anche per i nostri tempi”: questo il tema della conferenza di padre Gianpaolo Salvini, direttore de “La Civiltà Cattolica”, tenutasi nei giorni scorsi nella sede della rivista a Roma. Varie le tematiche affrontate: agricoltura, povertà, libertà di stampa, ogm, tutte strettamente connesse alla risoluzione di un problema che nel mondo uccide 250 mila persone alla settimana. Ma quali le contraddizioni della fame nel mondo? Paolo Ondarza lo ha chiesto direttamente a padre Salvini.

 

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R. – Tutti dicono di voler risolvere il problema della fame, affermano che ci sono le possibilità tecniche per eliminare gli affamati, per nutrirli a sufficienza, ma di fatto la questione non viene risolta. La seconda contraddizione molto stridente è che in tutto il mondo sottosviluppato si parla di fame, mentre nel mondo industrializzato il pericolo viene dall’eccesso di alimentazione, dall’obesità.

 

D. – Come lei ha spiegato, la fame non è legata alla mancanza di cibo, che di fatto c’è; ma la fame è legata alla povertà, e questa è una conseguenza della corruzione dei governi, delle guerre ... In questo momento in cui si affaccia la minaccia di una nuova guerra, quali potrebbero essere le ripercussioni sulla questione ‘fame’?

 

R. – La prima considerazione che si può fare è che tutta una serie di risorse, almeno miliardi di dollari, verranno destinati ad usi di distruzione e non per incrementare la ricchezza nel mondo o favorire lo sviluppo dei poveri. Nelle popolazioni degli Stati direttamente colpiti, ci sarà certo un aumento della povertà, un probabile esodo di massa ...

 

D. – Un altro aspetto davvero interessante che emerge è che le carestie sono presenti e frequenti soprattutto in quei Paesi dove non c’è libertà di stampa ...

 

R. – Non è che la libertà di stampa risolva le carestie; la libertà di stampa mobilita l’opinione pubblica e mette sotto accusa i governi, costringendoli a destinare maggiore attenzione ad un problema prioritario, come quello della fame. Quando questa viene taciuta sono ben altre le priorità alle quali i governi prestano attenzione: il riarmo, la cura delle élite che detengono il potere... Questo accade ad esempio in Corea del Nord o in Sudan, tutti paesi dove non esiste la libertà di stampa. Ma la diffusione della libertà di stampa non avviene da un giorno all’altro, è un processo lento che fa parte della diffusione della democrazia, del suo mettere radici in un determinato popolo ed in una certa cultura.

 

D. – Nel dibattito sulla fame, molti suggeriscono come soluzione quella degli ogm, gli organismi geneticamente modificati, da alcuni definiti ‘cibo di Frankenstein’, da altri risorsa per il terzo mondo. Qual è la sua opinione al riguardo?

 

R. – Anzitutto, bisognerebbe poter condurre una discussione in termini più pacati, affidando soprattutto agli scienziati, più che agli ideologi, la discussione in proposito. Gli ogm sono di fatto già diffusi negli Stati Uniti, in Argentina, in Australia e in Canada, Paesi di alta cultura. Io non sono in grado di pronunciarmi sui loro effetti a lunga scadenza, ma credo che quella di un’opposizione radicale sia una battaglia persa. Ora, gli ogm sembrano non necessari nei Paesi ricchi, che sarebbero gli unici in grado di acquistarli. I prezzi sono infatti troppo elevati per i paesi in via di sviluppo.

 

D. – Padre Salvini, per concludere, quali soluzioni al problema fame?

 

R. – Va dato il cibo, anche sotto forma di regalo, di dono, a profughi, vittime di inondazioni e di casi di emergenza. Ma poi va messa in grado la popolazione affamata nelle campagne di produrre sul luogo i cibi di cui ha bisogno: spesso questa possibilità viene negata. A lunga scadenza, invece, si tratta di eliminare i nostri sostegni all’agricoltura dei paesi ricchi, che tanto danneggiano la competitività dei Paesi sottosviluppati. Inoltre, come già detto, va combattuta la povertà che è uno dei motivi principali della fame: il cibo esiste, ma non viene comprato perché chi ne ha bisogno non ha il denaro per acquistarlo.

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CHIESA E SOCIETA’

24 febbraio 2003

 

 

CON UN DOCUMENTO DIFFUSO LA SCORSA SETTIMANA, I VESCOVI SUD-COREANI

RIBADISCONO LA LORO CONDANNA ALL’IPOTESI DI UN INTERVENTO MILITARE IN IRAQ

 

SEOUL. = “Noi vescovi della Corea, insieme al Santo Padre Giovanni Paolo II e ai nostri confratelli negli Stati Uniti e in Medio Oriente siamo contrari a questa guerra”. E’ questo l’appello lanciato la scorsa settimana dai vescovi sud-coreani nel documento intitolato “Speranza per la pace invece della guerra”. Citando l’Enciclica “Pacem in Terris”, i presuli ribadiscono che “la pace non può essere mai raggiunta con l’equilibrio degli armamenti”. Secondo i vescovi occorre fermare “il circolo vizioso della corsa al riarmo” perchè distoglie dalla lotta alla povertà ed alla fame. Riferendosi, in particolare, alla possibile guerra contro l’Iraq, i presuli affermano, in sintonia con tutti gli episcopati e le Chiese nel mondo, che non si possono “sacrificare numerose vite innocenti in nome della guerra al terrorismo”. I presuli negano la legittimità morale di un attacco che rischia di generare un’escalation di violenza. I vescovi coreani deplorano anche i piani nucleari della vicina Corea del Nord “che minacciano il futuro del popolo coreano”. Questa “pericolosa spinta alla guerra” che “esaspera le tensioni internazionali - affermano - deve essere fermata immediatamente”. Il documento si conclude con una ferma condanna “alla logica del potere” e un appello ad “una soluzione pacifica attraverso il dialogo e il negoziato”. (A.L. – L.Z.)

 

 

INIZIA OGGI A BOGOTA’ L’INCONTRO TRA IL CONSIGLIO DELLE CONFERENZE EPISCOPALI D’EUROPA

E IL CONSIGLIO EPISCOPALE LATINO AMERICANO.

L’INCONTRO COSTITUISCE UN MOMENTO DI RIFLESSIONE

SUL RUOLO DELLA CHIESA NELLE

RELAZIONI TRA SUD AMERICA ED EUROPA

 

BOGOTA’. = I vescovi europei e sudamericani si incontrano per un confronto sulle tematiche più delicate del nostro tempo: inizia oggi a Bogotà, in Colombia, l’incontro tra il Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (Ccee) e il Consiglio episcopale latinoamericano (Celam). L’appuntamento, che si concluderà il 1 marzo, costituisce per i due organismi l’occasione per lo scambio di informazioni sulle loro attività. In particolare i presuli affronteranno tematiche che riguardano le relazioni tra l’Europa e l’America latina. Al centro dell’attenzione perciò ci sarà la grave crisi che il Sud America sta attraversando. Come hanno dimostrato nei giorni scorsi i numerosi messaggi delle Conferenze episcopali locali (Bolivia, Colombia, Venezuela e Argentina), sta crescendo nei vescovi la preoccupazione per le conseguenze della crisi. Si potrebbero verificare flussi migratori verso l’Europa, peraltro già consistenti, che rappresenterebbero per gli episcopati europei un notevole impegno pastorale. Inoltre, in questa situazione di instabilità sociale, potrebbero avere successo in Sud America movimenti religiosi alternativi. Fenomeni ai quali la Chiesa è chiamata a rispondere con rinnovato slancio missionario attraverso l’annuncio del Vangelo. (M.A.)

 

 

16 ONG COORDINERANNO IN GUINEA BISSAU UN PROGRAMMA PER LA RIABILITAZIONE

ED IL REINSERIMENTO SOCIALE DI 21 MILA SOLDATI EX COMBATTENTI

 

BISSAU. = In Guinea Bissau 16 organizzazioni non governative avvieranno un programma per il reinserimento sociale di 21 mila soldati ex combattenti. L’iniziativa si concentrerà in particolare su coloro che rientrano nella fascia definita “vulnerabile”: portatori di handicap, donne sole e minori. L’organizzazione internazionale Coopi-Cooperazione ha aperto nel Paese una sede dalla quale sarà coordinato il progetto. Alla Coopi è stato affidato il numero più alto di casi, 700 persone da accompagnare nel loro percorso di reinserimento sociale. La riabilitazione passerà attraverso la formazione per garantire che gli ex combattenti acquisiscano quelle competenze professionali necessarie per il mondo del lavoro. I corsi saranno realizzati presso due centri Cifap dei Padri Giuseppini. Tra le attività previste una particolare attenzione sarà rivolta alla formazione professionale. Agli ex soldati saranno inoltre affidati piccoli crediti per avviare attività artigianali ed agricole e sarà favorito il loro inserimento professionale all'interno delle aziende locali. Si tratterà infatti del primo esperimento che vedrà la collaborazione tra ong e l’imprenditoria locale. Il primo intervento di Coopi in Guinea Bissau risale ad un anno fa, quando con la collaborazione del locale Banco del Sangue, partecipò ad un progetto per garantire la quantità e la qualità del sangue per le trasfusioni. (A.L.)

 

 

LA DIOCESI DI MONGU, NELLA ZAMBIA, AVRÀ UNA NUOVA VOCE MISSIONARIA: RADIO LISELI.

L’EMITTENTE COSTITUIRA’ UN PUNTO DI RIFERIMENTO PER TUTTA LA REGIONE

 

LUSAKA. = Il governo della Zambia ha accordato un permesso temporaneo a Radio Liseli, la nuova emittente della diocesi di Mongu, nella zona sud-occidentale del Paese. La sua antenna costituirà un punto di riferimento per tutta la regione di Mongu. "Sarà un simbolo della nostra volontà missionaria di servire con coraggio la Chiesa e la popolazione", ha dichiarato padre Ronald Carignan, superiore della delegazione dei missionari Oblati di Maria Immacolata (OMI). In un rapporto presentato alla riunione annuale dei membri della delegazione, il direttore del progetto, padre Freeborn Isaac Kibombwe, ha spiegato la portata di questo permesso temporaneo. Tale provvedimento darà diciotto mesi di tempo per costruire gli studi, installare un'antenna e iniziare le prove. Una volta terminato questo periodo sperimentale, il ministero dell'Informazione e della Radiodiffusione invierà degli ispettori a Mongu per determinare se la stazione debba ricevere un permesso definitivo. Radio Liseli sarà emittente non commerciale e per la sua programmazione i missionari sperano di ricevere il sostegno e la collaborazione delle persone del luogo. A questo proposito, sono stati creati dei "Comitati di comunicazione" nella maggior parte delle parrocchie della diocesi. Serviranno da legame tra le comunità parrocchiali e l’equipe di direzione della stazione radiofonica. (A.L.)

 

 

LA NUOVA ONDATA DI VIOLENZA CHE STA COLPENDO LA REPUBBLICA CENTRAFRICANA

HA COSTRETTO TRE SUORE COMBONIANE AD ABBANDONARE IL PAESE

 

BANGUI. = Per sfuggire all’ondata di violenza che da mesi sconvolge tutto il Nord della Repubblica Centrafricana, 3 missionarie comboniane sono state costrette ad abbandonare la comunità di Batangafo, a circa 375 chilometri dalla capitale Bangui. Suor Silvana Gallerini, suor Rosaria Donadoni e suor Maria Vittoria Acebes Lazaro sono arrivate nel confinante Ciad grazie all’intervento di un’équipe di Medici senza frontiere (Msf). Le incursioni delle milizie ribelli legate all’ex capo di Stato maggiore François Bozizé, continuano senza sosta dallo scorso mese di ottobre quando il fallito golpe ha scatenato una grave crisi politico-militare. “Nei mesi scorsi - ha riferito suor Silvana Gallerini all’Agenzia Misna - avevamo deciso di restare accanto alla popolazione ma questo tentativo si è rivelato inutile. In città non resta nessuno per timore degli attacchi dei ribelli”. “Ci spaventa molto quello che potrebbe presto accadere - ha aggiunto la religiosa - perché dalla capitale Bangui stanno avanzando verso nord le truppe congolesi di Jean-Pierre Bemba che presto si potrebbero scontrare con gli uomini di Bozizé”. Le milizie del Movimento di liberazione del Congo (Mlc), la formazione ribelle guidata da Jean-Pierre Bemba, erano intervenute ad ottobre a fianco del governo centrafricano. Ora, secondo diverse testimonianze, stanno cercando di riconquistare i territori caduti nelle mani dei ribelli del generale Bozizé. “Il pericolo - ha concluso suor Gallerini - è che questi scontri possano significare ulteriori sofferenze per la popolazione ”. (A.L.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

24 febbraio 2003

 

 

- A cura di Andrea Sarubbi -

 

Sono almeno 257 le vittime del terremoto che questa mattina ha sconvolto lo Xinjiang, regione della Cina al confine con Kirgizistan e Tagikistan. Oltre mille i feriti, migliaia le case distrutte: secondo i soccorritori, numerose persone si troverebbero ancora sotto le macerie. Tra loro, anche gli alunni di una scuola nella città di Qiongkugiake. Il sisma è stato di 6.8 gradi della scala Richter.

 

Sono ore cruciali per la crisi irachena. Mentre Saddam Hussein ha assicurato all’ex premier russo Primakov che non verrà ostacolato in nessun modo il lavoro degli ispettori, la Francia ha annunciato che in giornata saranno rese note “nuove proposte” per rafforzare il disarmo di Baghdad, ed anche la Germania ha ribadito il proprio no ad una seconda risoluzione dell’Onu. Ma il testo - ha detto oggi il ministro degli Esteri britannico, Straw - sarà comunque presentato “all’inizio della settimana”, ed il Consiglio di sicurezza dovrebbe pronunciarsi entro metà marzo. Manovre in corso anche sul piano militare: la Nato ha cominciato il trasferimento in Turchia degli aerei da ricognizione Awacs, mentre un migliaio di soldati britannici è in partenza per il Golfo. Il servizio di Paolo Mastrolilli:

 

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Il governo iracheno non ha ancora confermato che distruggerà i missili Al Samoud 2, come richiesto dall’Onu, ma non ha escluso di farlo, proprio mentre Stati Uniti e Gran Bretagna hanno lanciato un’offensiva diplomatica per convincere i Paesi membri del Consiglio di Sicurezza ad approvare la loro nuova risoluzione. Il generale Amin, che fa da collegamento tra Baghdad e gli ispettori, ha dichiarato che il suo governo è seriamente impegnato a risolvere la questione dei missili che superano la gittata massima imposta dal Palazzo di Vetro, però non ha preso l’impegno di distruggerli. Tutta la comunità internazionale sta facendo pressioni sull’Iraq affinché obbedisca. La Francia, ad esempio, ha ribadito la sua opposizione all’uso della forza, ma ha dichiarato che Saddam deve distruggere gli Al Samoud proprio per dimostrare la sua disponibilità al disarmo. Ed il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha avvertito che, in caso contrario, il Consiglio di Sicurezza sarebbe obbligato a prendere una decisione. Bush, però, ha detto che la questione dei missili è solo la punta dell’iceberg ed ha mandato inviati in tutti i Paesi membri del Consiglio di Sicurezza, per convincerli ad approvare la nuova risoluzione che dovrebbe aprire la porta all’intervento militare.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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E la questione irachena è al centro del 13.esimo vertice dei capi di Stato dei Paesi non allineati, iniziato oggi a Kuala Lumpur. Sei delle 116 Nazioni presenti - Angola, Camerun, Cile, Guinea, Pakistan e Siria - sono attualmente membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu. L’incontro si è aperto con forti critiche all’Occidente ed il premier malaysiano, Mohammad Mahatir, ha ribadito le accuse espresse alla vigilia contro gli Stati Uniti:

 

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THE ATTACK AGAINST IRAQ …

“L’attacco contro l’Iraq farà ulteriormente infuriare i musulmani, che vedono tutto ciò come anti-islamico, piuttosto che come un’operazione anti-terrorismo. Il fatto che la Corea del Nord ammetta apertamente di avere armi di distruzione di massa sembra provare che questa è una guerra contro i musulmani, e non contro il timore del possesso di armi di distruzione di massa da parte dei cosiddetti Stati canaglia”. Mohammad Mahatir ha pronunciato queste parole in un discorso ad una manifestazione per la pace tenutasi ieri nella capitale malaysiana. La polemica era già sorta nei giorni scorsi, durante i colloqui preparativi del vertice. I delegati della Corea del Nord avevano infatti ammonito le altre Nazioni aderenti a non approvare una mozione che esortasse Pyongyang a rinunciare al proprio programma nucleare. Ma poi Pyongyang ha insistito su alcune correzioni al testo, volte a garantire il diritto della Corea del Nord alla sicurezza e all’autodifesa. Alla fine è emerso un compromesso: nel documento si afferma semplicemente che “si è preso atto” del ritiro nordcoreano dal Trattato di non proliferazione nucleare.

 

Maurizio Pascucci, per la Radio Vaticana.

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E mentre in Turchia si discute sull’appoggio da dare agli Usa in caso di attacco all’Iraq - il presidente del Parlamento, Arinc, si è detto contrario ad autorizzare il passaggio di soldati americani in assenza di una “legittimazione internazionale” - ad Ankara si trova oggi il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan. Scopo del viaggio - che proseguirà domani ad Atene - è raccogliere l’assenso turco e greco sul piano di riunificazione dell’isola di Cipro, divisa da 29 anni. Ma il premier greco, Simitis, è apparso oggi pessimista: al termine di un incontro con il nuovo leader greco-cipriota, Papadopoulos, ha dichiarato che è quasi impossibile un accordo prima della fine di marzo.

 

Nei Territori palestinesi la notte è trascorsa all’insegna delle violenze: reparti di fanteria israeliana hanno preso il controllo di Beit Hannun, nella striscia di Gaza, da dove ieri erano partiti 5 missili contro la cittadina di Sderot. Sentiamo Graziano Motta:

 

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Nei combattimenti a Beit Hannun sei palestinesi sono rimasti uccisi ed una ventina feriti. Nelle ultime ore altri quattro palestinesi sono morti in scontri con militari israeliani, sia nella Striscia di Gaza - qui pure un soldato è stato ucciso da guerriglieri del Fronte popolare - sia in Cisgiordania. Sullo sfondo di questo scenario è stata definita la fisionomia del nuovo governo israeliano, che sarà di coalizione ma senza i laburisti, passati all’opposizione. Al partito di maggioranza relativo - il Likud del primo ministro Sharon - si affiancheranno il partito di centro Shinui, terza formazione parlamentare - che ha ottenuto cinque dicasteri, fra cui la Giustizia e gli Interni - ed il Partito nazionale religioso - avrà due ministri - che aveva in precedenza definito un’intesa con Shinui su alcune questioni controverse relative alla laicità dello Stato. Ministro delle Finanze, in un momento di grave crisi economica, sarà l’ex sindaco di Gerusalemme Olmert, esponente del Likud.

 

Per Radio Vaticana, Graziano Motta.

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È stata ritrovata al largo del porto di Karachi, nel Pakistan meridionale, la carcassa dell’aereo privato precipitato questa mattina con a bordo il ministro afghano delle miniere e del petrolio, Juma Mohammad Mohammadi. Sul velivolo viaggiavano 9 persone, tra cui il direttore di un’azienda del settore petrolifero. Nel fine settimana, il ministro aveva avuto colloqui su un progetto di oleodotto che avrebbe unito Turkmenistan e Pakistan, via Afghanistan.

 

Il ruolo della Chiesa nella costruzione della pace in Sudan è il tema del Forum ecumenico che da ieri vede riuniti a Pretoria, in Sudafrica, rappresentanti cattolici ed anglicani. Al centro dei colloqui, l’urgenza della riconciliazione nazionale, che in queste ore sembra più vicina: da Khartoum, infatti, il presidente Hassan El Bashir ha affermato che la guerra ventennale sta per concludersi. Sentiamo Giulio Albanese:

 

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I negoziati tra il governo islamico di Khartoum ed i ribelli dell’esercito di Liberazione popolare del Sudan, l’Spla, riprenderanno il prossimo marzo in Kenya. Il clima di ottimismo che circonda la ripresa dei lavori è giustificato dai risultati positivi raggiunti ad inizio febbraio durante la terza fase dei colloqui. In quella occasione, l’esecutivo ed i guerriglieri si sono accordati per la formazione di un governo di unità nazionale, che guiderà il Paese fino alle prossime elezioni democratiche, ed hanno anche stabilito di dar vita ad una commissione mista che lavori alla stesura di una nuova costituzione. Per quanto riguarda la gestione del petrolio, la questione centrale dell’intero negoziato, governo e ribelli hanno stabilito di creare una commissione congiunta che si occuperà di dividere i proventi dell’oro nero.


Per la Radio vaticana, Giulio Albanese.

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Il leader nazionalista serbo Vojislav Seselj, accusato di crimini di guerra dal Tribunale penale internazionale, è da poche ore rinchiuso nel carcere dell’Aja, dove si è presentato volontariamente. Il suo nome compare nei documenti che accusano l'ex presidente jugoslavo Slobodan Milosevic per i crimini in Croazia.

 

 

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