RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 55 - Testo della
Trasmissione lunedì 24 febbraio 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
Iniziata la
visita “ad Limina” dei vescovi della Romania.
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E
SOCIETA’:
Appello dei
vescovi coreani contro l’ipotesi di guerra in Iraq.
La diocesi di
Mongu, nella Zambia, avrà una nuova voce missionaria: Radio Liseli.
Almeno 257 morti, oltre mille feriti: la regione
cinese dello Xinjiang devastata da un terribile terremoto.
Ore cruciali per la crisi irachena: Parigi
annuncia nuove proposte, Londra afferma che la seconda risoluzione verrà votata
entro metà marzo. Manovre militari in corso.
Pessimismo sull’intesa per la riunificazione di
Cipro, mentre Annan prosegue la sua missione.
In Israele nasce la nuova coalizione di governo:
ne fanno parte Likud, Shinui e nazionalisti religiosi.
Il nazionalista serbo Seselj nel carcere dell’Aja:
contro di lui, le accuse di crimini di guerra in Croazia.
24 febbraio 2003
L’APPOGGIO DEL PAPA ALLA RICERCA
BIOMEDICA
E UN
FORTE APPELLO AD EVITARE OGNI TENTAZIONE DI MANIPOLAZIONE DELL’UOMO,
NEL DISCORSO RIVOLTO AI MEMBRI DELLA
PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA
E’ un
appello forte quello che il Papa ha rivolto oggi al mondo scientifico: chiede
di “evitare ogni tentazione di manipolazione dell’uomo”, di “rifuggire da ogni
forma di strumentalizzazione o distruzione dell’essere umano, per dedicarsi con
impegno ad esplorare vie e risorse per il sostegno della vita umana”. Sono
queste le parole rivolte ai membri della nona Assemblea generale della
Pontificia Accademia per la Vita, che da oggi è riunita in Vaticano sul tema
“Etica della ricerca biomedica per una visione cristiana”. Il servizio di Carla
Cotignoli:
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“La Chiesa rispetta ed appoggia la ricerca scientifica” -
ha detto il Papa. Anzi, in più punti del discorso, esprime gratitudine a tanti
scienziati dediti alla ricerca nell’ambito della biomedicina per i molti
benefici derivanti all’umanità: come la decisiva sconfitta di epidemie letali,
e di molte gravi malattie, “migliorando notevolmente, in grandi aree del mondo
sviluppato, la durata e la qualità della vita”. Ma, senza mezzi termini,
rinnova un forte appello al mondo della ricerca biomedica: chiede di evitare
”ogni tentazione di manipolazione dell’uomo”, “ogni forma di
strumentalizzazione o distruzione dell’essere umano”, di “mantenersi libera
dalla schiavitù degli interessi politici ed economici”. E qui il Papa sottolinea
che “proponendo gli orientamenti morali indicati dalla ragione naturale, la
Chiesa è convinta di offrire un servizio prezioso alla ricerca scientifica,
protesa verso il perseguimento del vero bene dell’uomo”. Il Papa ancora
richiama gli scienziati ad essere “consapevoli dei limiti invalicabili che la
tutela della vita, dell’integrità e dignità di ogni essere umano impone alla
loro attività di ricerca”.
“Sono tornato più volte su questo argomento,
perché sono convinto che tacere di fronte a certi esiti o pretese della
sperimentazione sull’uomo non è permesso a nessuno e tanto meno alla Chiesa,
cui quell’eventuale silenzio sarebbe domani imputato da parte della storia e
forse degli stessi cultori della scienza”.
Il Papa ha anche rivolto
un particolare appello alle “Istituzioni e alle Università che si fregiano
della qualifica di cattoliche, perché si impegnino ad essere sempre all’altezza
dei valori ideali” a cui devono la loro origine.
“Occorre un vero e proprio movimento di
pensiero e una nuova cultura di alto profilo etico e di ineccepibile valore
scientifico, per promuovere un progresso autenticamente umano ed effettivamente
libero nella stessa ricerca.”
Con la stessa forza Giovanni Paolo II ha chiesto di
colmare con urgenza “il gravissimo e inaccettabile fossato che separa il mondo
in via di sviluppo dal mondo sviluppato”, a sostegno delle popolazioni afflitte
dalla miseria e da disastrose epidemie, non ultime l’Aids. Diversamente sarebbe
commettere un’ingiustizia che, a lungo termine, potrebbe alimentare una
minaccia per il mondo globalizzato. E’ questione di giustizia, solidarietà e
pace.
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RICEVUTI DAL PAPA CINQUE PRESULI DELLA
ROMANIA, IN VISITA “AD LIMINA”.
RINUNCIA
E NOMINA DI AUSILIARE IN GERMANIA
Il Papa
ha iniziato stamani gli incontri “canonici” con i vescovi della Romania in
visita “ad Limina”, ricevendo cinque presuli: l’arcivescovo di Alba Iulia,
mons. György Miklòs Jakubìnyi, con l’ausiliare mons. Jòzsef Tamàs;
l’arcivescovo di Fagaras dei Romeni, mons. Lucian Muresan; e il vescovo di Iasi,
mons. Petru Gherghe, con l’ausiliare mons. Aurel Perca.
I vescovi della Romania sono in tutto 19 e 12 le
circoscrizioni ecclesiastiche. Su oltre 22 milioni di abitanti, in maggioranza
ortodossi, i cattolici sono più di due milioni, distribuiti in 1.770 parrocchie
e assistiti da circa 1.700 sacerdoti, tra diocesani e religiosi. Il presidente
della Conferenza episcopale è l’arcivescovo di Bucarest, mons. Ioan Robu. Il
Papa ha compiuto un viaggio pastorale in Romania dal 7 al 9 maggio 1999, nella capitale Bucarest.
In Germania, il Santo Padre ha accettato la rinuncia
all’ufficia di ausiliare dell’arcidiocesi di Colonia (Köln), presentata dal
vescovo mons. Klaus Dick, per limiti di età. Il Pontefice ha quindi nominato ausiliare
di Colonia il prelato 46enne mons. Rainer Woelki, del clero locale, finora
direttore del “Collegium Albertinum” di
Bonn, elevandolo alla dignità vescovile.
LA SETTIMANA SCORSA, A
OUAGADOUGOU, NEL BURKINA FASO,
LA
RIUNIONE DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
DELLA
FONDAZIONE GIOVANNI PAOLO II PER IL SAHEL, CON LA PARTECIPAZIONE
DI
MONS. KAREL KASTEEL, IN RAPPRESENTANZA DELLA SANTA SEDE
- Servizio di Giovanni Peduto -
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Questa Fondazione abbraccia nove Paesi dell’Africa
nord-occidentale: Burkina Faso, Capo Verde, Ciad, Gambia, Guinea Bissau, Mali,
Mauritania, Niger e Senegal. E’ stata voluta dal Santo Padre nel 1984, il 22
febbraio, festa della Cattedra di San Pietro, come dimostrazione della sua
peculiare grandissima cura e preoccupazione per questi nove Paesi del Sahel,
che visitò per primi in Africa dopo la sua elezione. Il Pontefice vi si recò
perché erano i Paesi più poveri e quando vide la tragedia della siccità, della
desertificazione che li attanagliava,
fece un appello che è rimasto famoso, l’appello di Ouagadougou, che è la
capitale dell’Alto Volta o Burkina Faso e, quando arrivarono gli aiuti da parte
di tanti fedeli per poter assistere quelle popolazioni, il Santo Padre eresse
la Fondazione che ha la sua sede ufficiale presso il Pontificio Consiglio Cor
Unum, ma quella operativa è giù a Ouagadougou. Ora diamo la parola a mons.
Kasteel, appena rientrato dal Burkina Faso:
R. – I nove Paesi del Sahel sono immensi, in maggioranza -
alcuni più piccoli, come Guinea Bissau e Gambia - e hanno il problema della
siccità: piove poco e le popolazioni, se non le si aiuta, periscono per fame.
Allora, il Papa ha voluto mostrare che la Chiesa fa tutto quello che può per la
promozione umana e cristiana di queste popolazioni.
D. – Concretamente, come opera la Fondazione?
R. – Opera con gli interessi che il capitale produce e
anche con altri doni che pervengono al Santo Padre per questa Fondazione e che
vengono adoperati per aiutare quelle popolazioni. Esistono, naturalmente, altre
organizzazioni, anche delle Nazioni Unite, esiste la Caritas, però per un aiuto
specifico in questo campo, tanto necessario in quella zona così vasta esiste
questa Fondazione che, grazie a Dio, cammina bene.
D. – La scorsa settimana di cosa vi siete occupati
specificamente?
R. – Naturalmente, essendo il Burkina Faso un po’ il
centro dell’Africa occidentale, già francese, si è parlato molto della
situazione in Costa d’Avorio, perché se un domani in Costa d’Avorio questa
guerra dovesse continuare, vi saranno tre milioni di rifugiati burkinabé - così
si chiamano le popolazioni del Burkina Faso come rifugiati e come profughi - e
quindi la Fondazione deve tener conto anche di tutte queste cose perché se chi
lavora la terra deve scappare o perché c’è una guerra o perché c’è una
ribellione, tutti i soldi che sono stati spesi per aiutare questa gente ad
acquistare questa terra, a coltivarla, vanno persi. E quindi abbiamo parlato
della situazione in genere. Si è visto quanti progressi ci sono, quante cose
stupende si sono potute fare in questi ultimi anni, c’è meno miseria, c’è più
speranza, più possibilità, però dobbiamo continuare a lavorare e a lavorare
forte nello spirito del Santo Padre e soprattutto sono le stesse popolazioni
locali che devono sviluppare la loro situazione con l’aiuto, naturalmente,
anche di altri esperti. Sono loro che devono decidere e mettere in atto. Io
vedo che c’è un grande progresso, e questo è molto bello: quando si va giù e si
constata che una Fondazione fatta dal Papa vent’anni fa ha già tanti frutti.
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La
prima pagina è fortemente caratterizzata dalla parola "MAI", che si
impone al centro, sullo sfondo di una colomba: "Mai gli uni contro gli
altri"; "Mai al terrorismo e alla logica di guerra". La prima
pagina riporta integralmente il testo dell'Angelus di domenica 23 febbraio.
Nell'occhiello generale, si pone in rilievo che Giovanni Paolo
II "convoca tutti i cattolici": Mercoledì delle Ceneri, 5
marzo, Giornata di preghiera e di digiuno per la pace.
Nelle vaticane, sempre
all'Angelus, il Papa ha formulato l'auspicio che siano presto liberate le
numerose persone sequestrate in Colombia.
Nel discorso ai partecipanti
alla IX Assemblea della Pontificia Accademia per la Vita, il Santo Padre ha
richiamato l'esigenza di un movimento di pensiero e di una nuova culturale di
alto profilo etico e di ineccepibile valore scientifico per promuovere un
progresso autenticamente umano nella ricerca.
Le conclusioni del Congresso
teologico-pastorale, svoltosi a Manila dal 22 al 24 gennaio, in occasione del
IV Incontro mondiale delle famiglie.
Una pagina dedicata alle
iniziative promosse in questi giorni in favore della pace.
Nelle pagine estere, in
relazione alla crisi irachena, in evidenza il fatto che si apre una settimana
cruciale per la pace.
Una dettagliata nota sulla
visita dell'arcivescovo Jean-Louis Tauran in Serbia e Montenegro, svoltasi da
17 al 21 febbraio.
Riguardo al Medio Oriente, si
sottolinea che la brutale e spietata logica delle armi continua ad oscurare la
speranza nei Territori.
In Cina, un violento terremoto
ha provocato la morte di non meno di 257 persone e più di mille feriti.
Gli Usa propongono un Forum
multilaterale sulla crisi nordcoreana.
Nella pagina culturale, un
ampio stralcio dell'introduzione di Piero Viotto al volume - in questi giorni
nelle librerie - dal titolo "Jacques Maritain. Dizionario delle
opere".
Nelle pagine italiane, in primo
piano la situazione della Fiat. In rilievo la sempre più preoccupante questione
della violenza negli stadi.
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IL DECALOGO DI ASSISI PER LA PACE, UN ANNO
DOPO:
UN
PUNTO DI RIFERIMENTO RELIGIOSO E CIVILE NELL’ATTUALE CRISI INTERNAZIONALE
-
Intervista con mons. Felix
Anthony Machado -
Dieci
impegni che abbracciano, in generale e in dettaglio, il diritto di ogni persona
a vivere, formarsi una famiglia, professare un credo, difendersi dai soprusi,
dalla violenza e dal terrorismo. In una parola: a vivere e a sperare in un
mondo di pace, costruito sui pilastri della giustizia e del perdono. Dieci
impegni sottoscritti un anno fa ad Assisi dai 70 leader religiosi invitati dal
Papa a pregare per la pace e poi inviati per lettera - esattamente il 24
febbraio dell’anno scorso - dallo stesso Giovanni Paolo II ai capi di Stato e
di governo, come propositi in grado di “ispirare l’azione politica e sociale”
dei singoli Paesi. Nel messaggio che accompagnava il “Decalogo di Assisi per la
pace”, il Pontefice concludeva con queste parole: “Auspico che lo spirito e
l’impegno di Assisi conducano tutti gli uomini di buona volontà alla ricerca
della verità, della giustizia, della libertà, dell’amore, affinché tutte le
persone possano godere dei loro diritti inalienabili, e ciascun popolo, della
pace”. Un auspicio trasformatosi, dodici mesi dopo, in un’urgente necessità,
nel contesto della delicatissima congiuntura internazionale che oggi vede le
diplomazie internazionali in frenetica attività sull’asse Stati Uniti-Onu-Iraq.
Quel “Decalogo”, dunque, non ha perso nulla della sua attualità: lo ribadisce
il sottosegretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso,
mons. Felix Anthony Machado - presente un anno fa ad Assisi - nell’intervista
di Alessandro De Carolis:
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R. - Secondo me, rimane un punto di riferimento, sempre.
Il nostro Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, ad esempio, ha
invitato nello scorso gennaio, qui a Roma, una quarantina di persone di altre
tradizioni religiose, nel segno di una giusta continuazione della riflessione
sull’impegno per la pace. Rimangono quindi molto attuali, questi dieci punti,
per ricordarci anzitutto che le religioni devono sempre ispirare la pace.
D. - Dieci regole per costruire la pace: dopo
quell’impegno, quali passi concreti sono stati fatti dal vostro dicastero?
R. - Noi abbiamo sempre continuato a lavorare per
promuovere un dialogo tra le diverse tradizioni religiose. Per esempio, siamo
andati in Giappone per promuovere il dialogo con i buddhisti. Anche in Europa,
lo scorso settembre - con la collaborazione del Consiglio delle Conferenze
episcopali europee - il nostro dicastero ha promosso un incontro tra i
cristiani impegnati nel dialogo con i buddhisti, per valutare la presenza di
questa religione in Europa. Attualmente, poi, il nostro presidente - mons.
Michael Fitzgerald – è in Egitto insieme a mons. Khaled, per un incontro ad
al-Azhar, dove il nostro dicastero fa parte di un comitato permanente per il
dialogo con i musulmani. Noi continuiamo a curare questi rapporti per mettere
in pratica concretamente le dieci regole che non abbiamo promosso noi, ma che
sono state suggerite dai leader di tutte le religioni.
D. - Al punto dieci del decalogo, si dice che i leader
religiosi si impegnano a chiedere ai responsabili delle nazioni di fare ogni
sforzo perché, a livello nazionale ed internazionale, si edifichi sul
fondamento della giustizia un mondo di solidarietà e di pace. Un anno dopo,
però, il mondo sembra navigare su una rotta diametralmente opposta a quel
principio ...
R. - Io posso portare un piccolo esempio proprio sul punto
dieci. Uno dei nostri partner, un musulmano, segretario del Comitato nazionale
che rappresenta i musulmani, ci ha chiesto tempo fa di inviare una lettera al
presidente Bush e al primo ministro Tony Blair per chiedere di fermare la
guerra. Noi abbiamo risposto: “Sì, ma inviamo una lettera anche a Saddam
Hussein”. E così, il nostro presidente ha firmato, insieme con il
rappresentante musulmano, tre lettere. Dal nostro punto di vista, anche se
questi paiono piccolo sforzi, noi comunque li compiamo. Credo vi siano molti
leader religiosi che abbiano chiesto ai loro responsabili civili di fermare la
guerra. Così come esiste un grande impegno per mettere in pratica quello che è
stato detto ad Assisi. Del resto, l’incoraggiamento del Santo Padre è molto
apprezzato: risulta evidente dalle molte persone che gli chiedono di
intercedere per fermare la guerra. E la voce del Santo Padre non cessa di
levarsi per la pace, in favore della pace.
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IL PROBLEMA DELLA FAME NEL MONDO E LE SUE
CONTRADDIZIONI:
UNO
SCANDALO ANCHE PER I NOSTRI TEMPI
- Con
noi, padre Gianpaolo Salvini -
“La
fame nel mondo e le sue contraddizioni - Uno scandalo anche per i nostri
tempi”: questo il tema della conferenza di padre Gianpaolo Salvini, direttore
de “La Civiltà Cattolica”, tenutasi nei giorni scorsi nella sede della rivista
a Roma. Varie le tematiche affrontate: agricoltura, povertà, libertà di stampa,
ogm, tutte strettamente connesse alla risoluzione di un problema che nel mondo
uccide 250 mila persone alla settimana. Ma quali le contraddizioni della fame
nel mondo? Paolo Ondarza lo ha chiesto direttamente a padre Salvini.
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R. – Tutti
dicono di voler risolvere il problema della fame, affermano che ci sono le
possibilità tecniche per eliminare gli affamati, per nutrirli a sufficienza, ma
di fatto la questione non viene risolta. La seconda contraddizione molto stridente
è che in tutto il mondo sottosviluppato si parla di fame, mentre nel mondo
industrializzato il pericolo viene dall’eccesso di alimentazione, dall’obesità.
D. – Come lei ha spiegato, la fame non è legata alla
mancanza di cibo, che di fatto c’è; ma la fame è legata alla povertà, e questa
è una conseguenza della corruzione dei governi, delle guerre ... In questo
momento in cui si affaccia la minaccia di una nuova guerra, quali potrebbero
essere le ripercussioni sulla questione ‘fame’?
R. – La prima considerazione che si può fare è che tutta
una serie di risorse, almeno miliardi di dollari, verranno destinati ad usi di
distruzione e non per incrementare la ricchezza nel mondo o favorire lo
sviluppo dei poveri. Nelle popolazioni degli Stati direttamente colpiti, ci
sarà certo un aumento della povertà, un probabile esodo di massa ...
D. – Un altro aspetto davvero interessante che emerge è
che le carestie sono presenti e frequenti soprattutto in quei Paesi dove non
c’è libertà di stampa ...
R. – Non è che la libertà di stampa risolva le carestie;
la libertà di stampa mobilita l’opinione pubblica e mette sotto accusa i
governi, costringendoli a destinare maggiore attenzione ad un problema
prioritario, come quello della fame. Quando questa viene taciuta sono ben altre
le priorità alle quali i governi prestano attenzione: il riarmo, la cura delle
élite che detengono il potere... Questo accade ad esempio in Corea del Nord o
in Sudan, tutti paesi dove non esiste la libertà di stampa. Ma la diffusione
della libertà di stampa non avviene da un giorno all’altro, è un processo lento
che fa parte della diffusione della democrazia, del suo mettere radici in un
determinato popolo ed in una certa cultura.
D. – Nel dibattito sulla fame, molti suggeriscono come
soluzione quella degli ogm, gli organismi geneticamente modificati, da alcuni
definiti ‘cibo di Frankenstein’, da altri risorsa per il terzo mondo. Qual è la
sua opinione al riguardo?
R. – Anzitutto, bisognerebbe poter condurre una
discussione in termini più pacati, affidando soprattutto agli scienziati, più
che agli ideologi, la discussione in proposito. Gli ogm sono di fatto già
diffusi negli Stati Uniti, in Argentina, in Australia e in Canada, Paesi di
alta cultura. Io non sono in grado di pronunciarmi sui loro effetti a lunga
scadenza, ma credo che quella di un’opposizione radicale sia una battaglia
persa. Ora, gli ogm sembrano non necessari nei Paesi ricchi, che sarebbero gli
unici in grado di acquistarli. I prezzi sono infatti troppo elevati per i paesi
in via di sviluppo.
D. – Padre Salvini, per concludere, quali soluzioni al
problema fame?
R. – Va dato il cibo, anche sotto forma di regalo, di
dono, a profughi, vittime di inondazioni e di casi di emergenza. Ma poi va
messa in grado la popolazione affamata nelle campagne di produrre sul luogo i
cibi di cui ha bisogno: spesso questa possibilità viene negata. A lunga
scadenza, invece, si tratta di eliminare i nostri sostegni all’agricoltura dei
paesi ricchi, che tanto danneggiano la competitività dei Paesi sottosviluppati.
Inoltre, come già detto, va combattuta la povertà che è uno dei motivi
principali della fame: il cibo esiste, ma non viene comprato perché chi ne ha
bisogno non ha il denaro per acquistarlo.
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24 febbraio 2003
CON UN DOCUMENTO DIFFUSO LA SCORSA
SETTIMANA, I VESCOVI SUD-COREANI
RIBADISCONO
LA LORO CONDANNA ALL’IPOTESI DI UN INTERVENTO MILITARE IN IRAQ
SEOUL. = “Noi vescovi della Corea, insieme al Santo Padre
Giovanni Paolo II e ai nostri confratelli negli Stati Uniti e in Medio Oriente
siamo contrari a questa guerra”. E’ questo l’appello lanciato la scorsa
settimana dai vescovi sud-coreani nel documento intitolato “Speranza per la
pace invece della guerra”. Citando l’Enciclica “Pacem in Terris”, i
presuli ribadiscono che “la pace non può essere mai raggiunta con l’equilibrio
degli armamenti”. Secondo i vescovi occorre fermare “il circolo vizioso della
corsa al riarmo” perchè distoglie dalla lotta alla povertà ed alla fame.
Riferendosi, in particolare, alla possibile guerra contro l’Iraq, i presuli
affermano, in sintonia con tutti gli episcopati e le Chiese nel mondo, che non
si possono “sacrificare numerose vite innocenti in nome della guerra al terrorismo”.
I presuli negano la legittimità morale di un attacco che rischia di generare
un’escalation di violenza. I vescovi coreani deplorano anche i piani
nucleari della vicina Corea del Nord “che minacciano il futuro del popolo
coreano”. Questa “pericolosa spinta alla guerra” che “esaspera le tensioni internazionali
- affermano - deve essere fermata immediatamente”. Il documento si conclude con
una ferma condanna “alla logica del potere” e un appello ad “una soluzione
pacifica attraverso il dialogo e il negoziato”. (A.L. –
L.Z.)
INIZIA OGGI A BOGOTA’ L’INCONTRO
TRA IL CONSIGLIO DELLE CONFERENZE EPISCOPALI D’EUROPA
E IL CONSIGLIO EPISCOPALE LATINO
AMERICANO.
L’INCONTRO COSTITUISCE UN MOMENTO
DI RIFLESSIONE
SUL RUOLO DELLA CHIESA NELLE
RELAZIONI TRA SUD AMERICA ED
EUROPA
BOGOTA’. = I vescovi europei e sudamericani si incontrano
per un confronto sulle tematiche più delicate del nostro tempo: inizia oggi a
Bogotà, in Colombia, l’incontro tra il Consiglio delle conferenze episcopali
d’Europa (Ccee) e il Consiglio episcopale latinoamericano (Celam). L’appuntamento,
che si concluderà il 1 marzo, costituisce per i due organismi l’occasione per
lo scambio di informazioni sulle loro attività. In particolare i presuli
affronteranno tematiche che riguardano le relazioni tra l’Europa e l’America
latina. Al centro dell’attenzione perciò ci sarà la grave crisi che il Sud
America sta attraversando. Come hanno dimostrato nei giorni scorsi i numerosi
messaggi delle Conferenze episcopali locali (Bolivia, Colombia, Venezuela e
Argentina), sta crescendo nei vescovi la preoccupazione per le conseguenze
della crisi. Si potrebbero verificare flussi migratori verso l’Europa, peraltro
già consistenti, che rappresenterebbero per gli episcopati europei un notevole
impegno pastorale. Inoltre, in questa situazione di instabilità sociale, potrebbero
avere successo in Sud America movimenti religiosi alternativi. Fenomeni ai
quali la Chiesa è chiamata a rispondere con rinnovato slancio missionario attraverso
l’annuncio del Vangelo. (M.A.)
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ONG COORDINERANNO IN GUINEA BISSAU UN PROGRAMMA PER LA RIABILITAZIONE
ED IL REINSERIMENTO SOCIALE DI 21 MILA SOLDATI EX
COMBATTENTI
BISSAU.
= In Guinea Bissau 16 organizzazioni non governative avvieranno un programma
per il reinserimento sociale di 21 mila soldati ex combattenti. L’iniziativa si
concentrerà in particolare su coloro che rientrano nella fascia definita
“vulnerabile”: portatori di handicap, donne sole e minori. L’organizzazione internazionale
Coopi-Cooperazione ha aperto nel Paese una sede dalla quale sarà coordinato il
progetto. Alla Coopi è stato affidato il numero più alto di casi, 700 persone
da accompagnare nel loro percorso di reinserimento sociale. La riabilitazione
passerà attraverso la formazione per garantire che gli ex combattenti acquisiscano
quelle competenze professionali necessarie per il mondo del lavoro. I corsi
saranno realizzati presso due centri Cifap dei Padri Giuseppini. Tra le attività
previste una particolare attenzione sarà rivolta alla formazione professionale.
Agli ex soldati saranno inoltre affidati piccoli crediti per avviare attività
artigianali ed agricole e sarà favorito il loro inserimento professionale
all'interno delle aziende locali. Si tratterà infatti del primo esperimento che
vedrà la collaborazione tra ong e l’imprenditoria locale. Il primo intervento
di Coopi in Guinea Bissau risale ad un anno fa, quando con la collaborazione
del locale Banco del Sangue, partecipò ad un progetto per garantire la quantità
e la qualità del sangue per le trasfusioni. (A.L.)
LA DIOCESI DI MONGU, NELLA ZAMBIA, AVRÀ UNA NUOVA
VOCE MISSIONARIA: RADIO LISELI.
L’EMITTENTE
COSTITUIRA’ UN PUNTO DI RIFERIMENTO PER TUTTA LA REGIONE
LUSAKA. = Il governo della Zambia ha accordato un
permesso temporaneo a Radio Liseli, la nuova emittente della diocesi di Mongu,
nella zona sud-occidentale del Paese. La sua antenna costituirà un punto di
riferimento per tutta la regione di Mongu. "Sarà un simbolo della nostra
volontà missionaria di servire con coraggio la Chiesa e la popolazione",
ha dichiarato padre Ronald Carignan, superiore della delegazione dei missionari
Oblati di Maria Immacolata (OMI). In un rapporto presentato alla riunione
annuale dei membri della delegazione, il direttore del progetto, padre Freeborn
Isaac Kibombwe, ha spiegato la portata di questo permesso temporaneo. Tale
provvedimento darà diciotto mesi di tempo per costruire gli studi, installare
un'antenna e iniziare le prove. Una volta terminato questo periodo sperimentale,
il ministero dell'Informazione e della Radiodiffusione invierà degli ispettori
a Mongu per determinare se la stazione debba ricevere un permesso definitivo.
Radio Liseli sarà emittente non commerciale e per la sua programmazione i
missionari sperano di ricevere il sostegno e la collaborazione delle persone
del luogo. A questo proposito, sono stati creati dei "Comitati di comunicazione"
nella maggior parte delle parrocchie della diocesi. Serviranno da legame tra le
comunità parrocchiali e l’equipe di direzione della stazione radiofonica.
(A.L.)
LA NUOVA ONDATA DI VIOLENZA CHE STA
COLPENDO LA REPUBBLICA CENTRAFRICANA
HA
COSTRETTO TRE SUORE COMBONIANE AD ABBANDONARE IL PAESE
BANGUI.
= Per sfuggire all’ondata di violenza che da mesi sconvolge tutto il Nord della
Repubblica Centrafricana, 3 missionarie comboniane sono state costrette ad
abbandonare la comunità di Batangafo, a circa 375 chilometri dalla capitale Bangui.
Suor Silvana Gallerini, suor Rosaria Donadoni e suor Maria Vittoria Acebes
Lazaro sono arrivate nel confinante Ciad grazie all’intervento di un’équipe di
Medici senza frontiere (Msf). Le incursioni delle milizie ribelli legate all’ex
capo di Stato maggiore François Bozizé, continuano senza sosta dallo scorso
mese di ottobre quando il fallito golpe ha scatenato una grave crisi
politico-militare. “Nei mesi scorsi - ha riferito suor Silvana Gallerini
all’Agenzia Misna - avevamo deciso di restare accanto alla popolazione ma
questo tentativo si è rivelato inutile. In città non resta nessuno per timore
degli attacchi dei ribelli”. “Ci spaventa molto quello che potrebbe presto
accadere - ha aggiunto la religiosa - perché dalla capitale Bangui stanno
avanzando verso nord le truppe congolesi di Jean-Pierre Bemba che presto si
potrebbero scontrare con gli uomini di Bozizé”. Le milizie del Movimento di
liberazione del Congo (Mlc), la formazione ribelle guidata da Jean-Pierre
Bemba, erano intervenute ad ottobre a fianco del governo centrafricano. Ora, secondo
diverse testimonianze, stanno cercando di riconquistare i territori caduti
nelle mani dei ribelli del generale Bozizé. “Il pericolo - ha concluso suor
Gallerini - è che questi scontri possano significare ulteriori sofferenze per
la popolazione ”. (A.L.)
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24 febbraio 2003
- A cura di Andrea Sarubbi -
Sono almeno 257 le vittime del terremoto che questa
mattina ha sconvolto lo Xinjiang, regione della Cina al confine con Kirgizistan
e Tagikistan. Oltre mille i feriti, migliaia le case distrutte: secondo i
soccorritori, numerose persone si troverebbero ancora sotto le macerie. Tra
loro, anche gli alunni di una scuola nella città di Qiongkugiake. Il sisma è
stato di 6.8 gradi della scala Richter.
Sono ore cruciali per la crisi irachena. Mentre Saddam
Hussein ha assicurato all’ex premier russo Primakov che non verrà ostacolato in
nessun modo il lavoro degli ispettori, la Francia ha annunciato che in giornata
saranno rese note “nuove proposte” per rafforzare il disarmo di Baghdad, ed
anche la Germania ha ribadito il proprio no ad una seconda risoluzione
dell’Onu. Ma il testo - ha detto oggi il ministro degli Esteri britannico,
Straw - sarà comunque presentato “all’inizio della settimana”, ed il Consiglio
di sicurezza dovrebbe pronunciarsi entro metà marzo. Manovre in corso anche sul
piano militare: la Nato ha cominciato il trasferimento in Turchia degli aerei
da ricognizione Awacs, mentre un migliaio di soldati britannici è in partenza
per il Golfo. Il servizio di Paolo Mastrolilli:
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Il governo
iracheno non ha ancora confermato che distruggerà i missili Al Samoud 2, come
richiesto dall’Onu, ma non ha escluso di farlo, proprio mentre Stati Uniti e
Gran Bretagna hanno lanciato un’offensiva diplomatica per convincere i Paesi
membri del Consiglio di Sicurezza ad approvare la loro nuova risoluzione. Il
generale Amin, che fa da collegamento tra Baghdad e gli ispettori, ha
dichiarato che il suo governo è seriamente impegnato a risolvere la questione
dei missili che superano la gittata massima imposta dal Palazzo di Vetro, però
non ha preso l’impegno di distruggerli. Tutta la comunità internazionale sta
facendo pressioni sull’Iraq affinché obbedisca. La Francia, ad esempio, ha
ribadito la sua opposizione all’uso della forza, ma ha dichiarato che Saddam
deve distruggere gli Al Samoud proprio per dimostrare la sua disponibilità al
disarmo. Ed il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha avvertito che, in
caso contrario, il Consiglio di Sicurezza sarebbe obbligato a prendere una
decisione. Bush, però, ha detto che la questione dei missili è solo la punta
dell’iceberg ed ha mandato inviati in tutti i Paesi membri del Consiglio di
Sicurezza, per convincerli ad approvare la nuova risoluzione che dovrebbe
aprire la porta all’intervento militare.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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E la
questione irachena è al centro del 13.esimo vertice dei capi di Stato dei Paesi
non allineati, iniziato oggi a Kuala Lumpur. Sei delle 116 Nazioni presenti -
Angola, Camerun, Cile, Guinea, Pakistan e Siria - sono attualmente membri del
Consiglio di sicurezza dell’Onu. L’incontro si è aperto con forti critiche
all’Occidente ed il premier malaysiano, Mohammad Mahatir, ha ribadito le accuse
espresse alla vigilia contro gli Stati Uniti:
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THE ATTACK
AGAINST IRAQ …
“L’attacco contro l’Iraq farà ulteriormente infuriare i musulmani, che
vedono tutto ciò come anti-islamico, piuttosto che come un’operazione anti-terrorismo.
Il fatto che la Corea del Nord ammetta apertamente di avere armi di distruzione
di massa sembra provare che questa è una guerra contro i musulmani, e non contro
il timore del possesso di armi di distruzione di massa da parte dei cosiddetti
Stati canaglia”. Mohammad Mahatir ha pronunciato queste parole in un discorso
ad una manifestazione per la pace tenutasi ieri nella capitale malaysiana. La polemica
era già sorta nei giorni scorsi, durante i colloqui preparativi del vertice. I
delegati della Corea del Nord avevano infatti ammonito le altre Nazioni
aderenti a non approvare una mozione che esortasse Pyongyang a rinunciare al
proprio programma nucleare. Ma poi Pyongyang ha insistito su alcune correzioni
al testo, volte a garantire il diritto della Corea del Nord alla sicurezza e
all’autodifesa. Alla fine è emerso un compromesso: nel documento si afferma
semplicemente che “si è preso atto” del ritiro nordcoreano dal Trattato di non
proliferazione nucleare.
Maurizio Pascucci, per la Radio Vaticana.
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E mentre in Turchia si discute sull’appoggio da dare agli
Usa in caso di attacco all’Iraq - il presidente del Parlamento, Arinc, si è
detto contrario ad autorizzare il passaggio di soldati americani in assenza di
una “legittimazione internazionale” - ad Ankara si trova oggi il segretario
generale dell’Onu, Kofi Annan. Scopo del viaggio - che proseguirà domani ad
Atene - è raccogliere l’assenso turco e greco sul piano di riunificazione
dell’isola di Cipro, divisa da 29 anni. Ma il premier greco, Simitis, è apparso
oggi pessimista: al termine di un incontro con il nuovo leader greco-cipriota,
Papadopoulos, ha dichiarato che è quasi impossibile un accordo prima della fine
di marzo.
Nei
Territori palestinesi la notte è trascorsa all’insegna delle violenze: reparti
di fanteria israeliana hanno preso il controllo di Beit Hannun, nella striscia
di Gaza, da dove ieri erano partiti 5 missili contro la cittadina di Sderot.
Sentiamo Graziano Motta:
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Nei combattimenti a Beit Hannun sei palestinesi sono rimasti uccisi ed
una ventina feriti. Nelle ultime ore altri quattro palestinesi sono morti in
scontri con militari israeliani, sia nella Striscia di Gaza - qui pure un soldato
è stato ucciso da guerriglieri del Fronte popolare - sia in Cisgiordania. Sullo
sfondo di questo scenario è stata definita la fisionomia del nuovo governo
israeliano, che sarà di coalizione ma senza i laburisti, passati
all’opposizione. Al partito di maggioranza relativo - il Likud del primo ministro
Sharon - si affiancheranno il partito di centro Shinui, terza formazione
parlamentare - che ha ottenuto cinque dicasteri, fra cui la Giustizia e gli
Interni - ed il Partito nazionale religioso - avrà due ministri - che aveva in
precedenza definito un’intesa con Shinui su alcune questioni controverse
relative alla laicità dello Stato. Ministro delle Finanze, in un momento di
grave crisi economica, sarà l’ex sindaco di Gerusalemme Olmert, esponente del
Likud.
Per Radio Vaticana, Graziano Motta.
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È stata ritrovata al largo del porto di Karachi, nel
Pakistan meridionale, la carcassa dell’aereo privato precipitato questa mattina
con a bordo il ministro afghano delle miniere e del petrolio, Juma Mohammad Mohammadi.
Sul velivolo viaggiavano 9 persone, tra cui il direttore di un’azienda del settore
petrolifero. Nel fine settimana, il ministro aveva avuto colloqui su un progetto
di oleodotto che avrebbe unito Turkmenistan e Pakistan, via Afghanistan.
Il ruolo della Chiesa nella costruzione della pace in
Sudan è il tema del Forum ecumenico che da ieri vede riuniti a Pretoria, in
Sudafrica, rappresentanti cattolici ed anglicani. Al centro dei colloqui,
l’urgenza della riconciliazione nazionale, che in queste ore sembra più vicina:
da Khartoum, infatti, il presidente Hassan El Bashir ha affermato che la guerra
ventennale sta per concludersi. Sentiamo Giulio Albanese:
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I negoziati tra il governo islamico di Khartoum ed i
ribelli dell’esercito di Liberazione popolare del Sudan, l’Spla, riprenderanno
il prossimo marzo in Kenya. Il clima di ottimismo che circonda la ripresa dei
lavori è giustificato dai risultati positivi raggiunti ad inizio febbraio
durante la terza fase dei colloqui. In quella occasione, l’esecutivo ed i
guerriglieri si sono accordati per la formazione di un governo di unità
nazionale, che guiderà il Paese fino alle prossime elezioni democratiche, ed
hanno anche stabilito di dar vita ad una commissione mista che lavori alla
stesura di una nuova costituzione. Per quanto riguarda la gestione del
petrolio, la questione centrale dell’intero negoziato, governo e ribelli hanno
stabilito di creare una commissione congiunta che si occuperà di dividere i
proventi dell’oro nero.
Per la Radio vaticana, Giulio Albanese.
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Il leader nazionalista serbo Vojislav Seselj, accusato di
crimini di guerra dal Tribunale penale internazionale, è da poche ore rinchiuso
nel carcere dell’Aja, dove si è presentato volontariamente. Il suo nome compare
nei documenti che accusano l'ex presidente jugoslavo Slobodan Milosevic per i
crimini in Croazia.
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