RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 54 - Testo della
Trasmissione domenica 23 febbraio 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
Diventa un film perla TV la
breve vita di Maria Goretti: intervista con Ettore Bernabei.
CHIESA E SOCIETA’:
Il segretario di Stato americano
dichiara che è arrivato il momento dell’azione .
Appello contro la guerra da
Gerusalemme, Baghdad e Sarajevo
Un forum internazionale per risolvere
la crisi sul nucleare con la Corea del Nord.
Accordofra Likud e il partito
religioso nazionale per la formazione del nuovo governo israeliano
23 febbraio 2003
DAVANTI AL PERICOLO DI UNA NUOVA GUERRA
I CRISTIANI DEVONO ESSERE LE SENTINELLE DELLA PACE :
COSI’ IL PAPA ALL’ANGELUS
DI MEZZOGIORNO, CON L’INVITO A DEDICARE IL PROSSIMO
MERCOLEDI’ DELLE CENERI ,
ALLA PREGHIERA E AL DIGIUNO PER LA CAUSA DELLA PACE.
- A cura di Matteo Ambu -
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Invito tutti i cattolici a
dedicare con particolare intensità la giornata del prossimo 5 marzo, Mercoledì
delle Ceneri, alla preghiera e al digiuno per la causa della pace, specialmente
in Medio Oriente.
*********
Con queste parole Giovanni Paolo
II è tornato, durante la recita dell’Angelus domenicale, a rivolgere un
accorato appello per la pace. Il Papa ha ricordato l’apprensione con la quale
l’intera comunità internazionale ha vissuto gli ultimi mesi, a causa di una
guerra che potrebbe turbare l’intera regione del Medio Oriente ed aggravare le
tensioni di questo inizio millennio.
Il Santo Padre ha quindi
ricordato ai fedeli la loro vocazione ad essere operatori di pace:
*********
Noi cristiani, in particolare,
siamo chiamati ad essere come delle sentinelle della pace, nei luoghi in cui
viviamo e lavoriamo. Ci è chiesto, cioè, di vigilare, affinchè le coscienze non
cedano alla tentazione dell’egoismo, della menzogna e della violenza.
*********
Per questo, Giovanni Paolo II ha
invitato i fedeli a elevare verso il cielo un’ardente preghiera per la pace in
ogni santuario mariano, e così pure a pregare per la pace, recitando il
Rosario, nelle parrocchie e nelle famiglie.
A questa preghiera, il giorno
del Mercoledì delle Ceneri, inizio del tempo quaresimale, si accompagnerà il
digiuno, “espressione di penitenza – ha detto il Santo Padre - per l’odio e la
violenza che inquinano i rapporti umani”. Un invito
perciò ad abbandonare ogni superbia ed a disporsi a
ricevere da Dio i doni più grandi e necessari, fra i quali quello della pace.
Il Santo Padre ha quindi concluso chiedendo per i propositi di questa giornata
l’intercessione della Vergine Maria:
*********
Fin da
ora invochiamo su questa iniziativa la
speciale assistenza di Maria Santissima Regina della Pace. Per la sua intercessione,
possa risuonare con nuova forza nel mondo e trovare fattiva accoglienza la
beatitudine evangelica “Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati
figli di Dio”.
**********
Dopo la preghiera
dell’Angelus, nei saluti ai fedeli il Papa si è rivolto in particolare ai
membri italiani dell’Associazione “Ingrid Betancourt per la pace”, auspicando
che siano presto liberate tutte le numerose persone sequestrate in Colombia.
Salutato festosamente dai fedeli, il Pontefice si è congedato augurando a tutti
buona domenica e buona settimana.
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I PAPI E
LA PACE: DALL’ENCICLICA PACEM IN TERRIS ALL’ATTUALE CRISI IRACHENA,
QUARANT’ANNI
DI IMPEGNO DELLA CHIESA
CONTRO LA GUERRA E IL DIALOGO TRA I POPOLI
- Con
noi, il prof. Alberto Melloni -
La guerra “non è mai una
fatalità”, ha detto Giovanni Paolo II nel discorso al Corpo diplomatico del 13
gennaio scorso. Parole che il Pontefice ha ripreso, più volte, in questi giorni
segnati da timori crescenti per gli sviluppi della crisi irachena. Instancabile
nel suo impegno per la pace, il Papa ha ribadito la sua fiducia nell’uomo e
nella possibilità di cambiare il corso degli eventi. Poco più di quarant’anni
fa - in piena Guerra Fredda - il mondo intero viveva un altro momento di grande
tensione con la Crisi di Cuba. Anche allora, di fronte al baratro della
guerra nucleare, si levò alta la voce di un Pontefice, Giovanni XXIII. Proprio
quella drammatica vicenda influì profondamente sulla pubblicazione
dell’enciclica Pacem in terris, come spiega - al microfono di Alessandro Gisotti - il professor Alberto
Melloni, docente di storia contemporanea all’Università di Modena e Reggio
Emilia, e membro della Fondazione per le Scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna:
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R. – La vicenda della crisi di Cuba è all’origine della Pacem in
terris ed è quella attorno alla quale si crea una svolta, allora non molto
percepita, ma molto secca dell’atteggiamento della Chiesa. Perché, invece di
prendere semplicemente una posizione di neutralità e di appello, rivendicando
le ragioni morali, il Papa invia un telegramma - in nome delle ragioni
dell’umanità, dicendo di ascoltare la voce dei popoli - ad entrambi i
contendenti, uno dei quali era tra i più feroci nemici della Chiesa. Questo
rappresenta uno scatto, un salto, perché la Chiesa rivendica a se stessa, non
solo la possibilità di dettare dei principi, ma anche quella di discernere le
voci della povera gente.
D. – Nell’ottobre 1965 Paolo VI è il primo Papa a recarsi alle Nazioni
Unite. Dal Palazzo di Vetro Papa Montini leva alto il suo “Jamais plus la guerre!”,
mai più la guerra. Quanta attenzione Paolo VI rivolse all’Onu, quale luogo privilegiato
per la risoluzione pacifica delle crisi internazionali?
R. – Un’attenzione molto alta e molto forte. Fu il segno di un
tentativo della Chiesa di dialogare con gli Stati, non solo con gli strumenti
tradizionali – gli accordi, i concordati – ma anche attraverso gli strumenti
delle organizzazioni internazionali stesse: i momenti di dialogo. Il Papa parlò
alle Nazioni Unite come parlano tutti gli altri, rivendicando a se stesso
quella formula molto bella di ‘esperto in umanità’. E’ certo che il problema
della presenza della Santa Sede nelle organizzazioni internazionali ha
rappresentato un elemento di lungo periodo. Lo si vede oggi quanto è
importante, anche se allora poteva sembrare un modo troppo umile o modesto per
presentarsi davanti agli Stati.
D. – Giovanni Paolo II è il Papa dei gesti forti per la pace, come le
Giornate di Assisi. Quanto influisce l’implosione del totalitarismo sovietico
nel ‘pensare la pace’ di Papa Wojtyla?
R. – A me ha colpito molto una frase della Centesimus annus,
nella quale il Santo Padre anziché rivendicare a se stesso il merito della
caduta del comunismo, o di rivendicarlo alla Chiesa come tale - che senz’altro
ha fatto molto per resistere a quella che era l’ipotesi di antropologia atea -
il Papa anziché fare questo dice che il comunismo è caduto per la resistenza
non violenta dei credenti. E, in questo modo, mi sembra, spiega bene quella che
è la sua azione, la sua determinazione nell’agire per la pace. Perché per il
Santo Padre, se capisco bene, il problema non è tanto quello di prendere delle
iniziative che abbiano uno spessore politico, che abbiano una qualche forma di
capacità di interferire con l’autonomia degli Stati, ma è dare una testimonianza
che sta al cuore stesso della fede, senza la quale la fede non potrebbe più
nemmeno pronunciare se stessa e neanche il nome di Dio, se questo viene
sporcato nelle guerre sante.
D. – Dalla pietra miliare Pacem in terris ad oggi, quali sono
gli elementi che caratterizzano l’atteggiamento della Chiesa dinanzi al grande
tema della pace. Recentemente, il cardinale Sodano ha detto che la Santa Sede
non è pacifista ma pacificatrice …
R. – Ha fatto molto bene a dirlo perché è una precisazione quanto mai
importante. Il cammino della Chiesa è stato senz’altro un lungo cammino che
l’ha portata a vedere le cose con occhi diversi. Quando qualcuno rimproverava,
già nel ’63, a Papa Giovanni di avere esagerato sul tema della pace e di avere
cambiato il Vangelo, Papa Giovanni diceva: “Non è il Vangelo che cambia, ma
siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio”. Questo cammino, lungo 40 anni,
ha portato a incominciare a capire meglio le implicazioni del Vangelo della
pace, che appunto come dice giustamente il cardinale Sodano non sono quelle di
una Chiesa pacifista, di un pacifismo ideologico, ma di una Chiesa che vuole
soprattutto operare per la pace, e che poi alla fine ha sempre un’arma estrema
di riserva, che finora non ha usato nella polemica sulla guerra, se non in
misura molto circoscritta. E’ l’arma della penitenza: quella di riconoscere che
davanti a questo peccato enorme che è la guerra, davanti all’ineluttabilità di
questo peccato enorme che è la guerra, la Chiesa non si rifugia né nella
disperazione e neanche nel cinismo che lascia poi che le cose accadano, ma ha
sempre una risorsa che è quella di inginocchiarsi davanti a Dio.
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“QUANDO È
TROPPO, È TROPPO”:
LA
DENUNCIA DEI VESCOVI CONGOLESI,
AMAREGGIATI
DA UNA GUERRA SENZA FINE
- Intervista con don Valerio Shango -
“Abbiamo
visto la miseria della nostra gente. Quando è troppo è troppo!” . Inizia con
queste parole il messaggio dei vescovi della Repubblica democratica del Congo,
in cui si denuncia l’incapacità di fermare una guerra che in 5 anni ha causato
2 milioni e mezzo di morti. “Non siamo più disposti a sopportare le tergiversazioni
dei politici”, scrivono i presuli, amareggiati dal costante peggioramento delle
condizioni di vita della popolazione. A don Valerio Shango, consulente dei
vescovi congolesi, Andrea Sarubbi ha chiesto di descriverci la situazione nel
Paese:
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R. – La miseria sta dilagando, ogni giorno di più. Tanti sono i
bambini che continuano a morire di malnutrizione, specialmente nelle zone di
guerra, ma anche a Kinshasa, che è una metropoli con 8 milioni di abitanti. Ci
sono tanti sfollati e tanti rifugiati congolesi nell’est del Paese. Anche nel
nord-est ci sono zone occupate dai ribelli della fazione filo-ruandese, guidati
da Onosumba, e da quelli della fazione filo-ugandese, che dipendono da
Jean-Pierre Bemba. Poi c’è la recrudescenza di alcune malattie endemiche e
pandemiche. Adulti, anziani, donne e bambini muoiono ogni giorno di malaria, di
tubercolosi, di pnemonia, di Aids e anche di fame. Questa è proprio la
situazione che si complica anche con tutte quelle atrocità commesse nella zona
del nord.
D. – Il 17 dicembre scorso a Pretoria, in Sudafrica, è stato firmato
un accordo che prevedeva un governo di transizione. Che fine ha fatto questa
intesa?
R. – A tutt’oggi, nessuno ha fatto una mossa, al di là del presidente
Joseph Kabila, che continua a richiamare questi suoi avversari proprio a venire
a Kinshasa per poterla mettere in pratica. Ma i leader dei ribelli – Onosumba e
Bemba – sembrano invece avere intenzioni diverse: la guerra continua nelle zone
controllate da loro, quindi nessuno a tutt’oggi scende a Kinshasa per firmare
l’intesa. Questo accordo permetterebbe al Congo, dopo 24 mesi, di andare alle
elezioni per eleggere un governo democratico che si occuperebbe della ricostruzione,
della riunificazione del Paese e di una forma di riconciliazione, che tutti
attendono, fra i congolesi stessi. È fortissima, dunque, la frustrazione,
perché questo accordo è l’ennesimo sottoscritto dai congolesi nel corso del
2002. Hanno firmato già tantissimi accordi: prima a Sun City, in Sudafrica, poi
a Matari, nella Repubblica Democratica del Congo. Ora si parla addirittura di
una quarta intesa, da firmare a Pretoria. E questo è proprio grave, perché
significherebbe non solo prendere in giro tutta una popolazione, ma prenderla
veramente in ostaggio.
D.- Un punto su cui i vescovi insistono spesso – e che ribadiscono
anche in questo documento – è che la guerra in Congo ha radici soltanto
economiche..
R.- Da
quando questa guerra è iniziata – ma vorrei qui precisare che il popolo congolese
non è stato mai in guerra contro nessuno – tutte le zone occupate dai ribelli
sono state sempre quelle più ricche di minerali (il coltan, l’oro, i diamanti
pregiati) e quindi tanti sono gli avvoltoi – compresi questi congolesi stessi –
che continuano a riempire i loro conti bancari in Occidente con i soldi frutto
del saccheggio delle risorse naturali del Congo. Anche i Paesi vicini – come il
Rwanda e l’Uganda – continuano a fare la stessa cosa. Ecco perché, nell’ottobre
scorso l’Onu, ha pubblicato un documento molto accurato ed attendibile su tutte
le responsabilità. Anche le multinazionali occidentali – che mandano le armi a
queste fazioni politiche, mantenendo così lo status quo –continuano a sfruttare
le ricchezze del Paese.
D.- Alla fine del documento, c’è una sorta di ultimatum della Chiesa
per la pace: ai politici, i vescovi congolesi chiedono dei gesti concreti… Per
esempio?
R.- La cessazione immediata delle ostilità. Il rispetto della
integrità e della sovranità territoriale del Congo. La libera circolazione
delle persone e delle merci: oggi, da Kinshasa, nessuno può raggiungere
Kisangani in aereo. Ecco, questi sono alcuni gesti che i vescovi chiedono. Poi,
la distruzione di tutte le armi leggere, ma anche di quelle pesanti, dinanzi al
popolo, per mostrare che si crede davvero nella pace.
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QUESTA
SERA SU RAIUNO ALLE 20.45 IL FILM SU SANTA MARIA GORETTI
La breve vita di Maria Goretti,
la santa bambina uccisa per essersi opposta ad un tentativo di violenza
carnale, diventa un film per la TV. “Maria Goretti”, questo il titolo della
pellicola, ripercorre l’ultimo periodo di vita della piccola santa canonizzata
nel 1950 da Papa Pio XII, tratteggiando anche un affresco dell’Italia contadina
all’inizio del novecento. Il film, diretto da Giulio Base e coprodotto dalla
Lux Vide e da RAIFiction, verrà trasmesso questa sera alle 20.45 su Raiuno. Ad
Ettore Bernabei, presidente della Lux Vide, Maria Di Maggio ha chiesto come è
nata il progetto di realizzare un film sulla vita di Maria Goretti:
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(musica)
R. – A
distanza di cento anni la sua vita è molto significativa nel nostro tempo. E’
una ragazza, una bambina si potrebbe dire, che è stata educata dai suoi genitori
ad una vita di fede e di spontaneo rispetto della legge morale, che è legge di
Dio. Ha rispettato questi insegnamenti in ogni momento della sua vita, anche
nei momenti più drammatici, fino al martirio, senza con questo voler fare,
credo, un atto eccezionale, credendo che fosse un suo modo di comportarsi naturale.
D. – Una
figura che non va scissa dal contesto storico in cui ha vissuto. Il film lo
tratteggia molto bene …
R. –
Certo, erano tempi difficilissimi, condizioni di vita quasi disumane, ma ciò
nonostante anche in quegli ambienti, in quelle condizioni, Maria Goretti e la
sua famiglia conservavano la capacità di vivere secondo la rivelazione cristiana:
vivere una vita non solo di moralità, ma soprattutto di amore, di amore per i
loro simili, magari anche per quelli che stavano meglio di loro, che li
sfruttavano, con grande serenità e grande esercizio di vera carità.
D. – E’
molto bello il ritratto che il film dà della famiglia di Santa Maria Goretti,
unita nei valori più profondi …
R. –
L’abbiamo voluto sottolineare in particolare perchè bisogna cominciare in
famiglia ad insegnare ai bambini a vivere con semplicità, con rispetto per
tutti. Maria Goretti rispettava e aveva sentimenti di benevolenza anche per una
famiglia come quella dalla quale venne poi il suo assassino. Era una famiglia
che viveva in maniera diversa dalla loro, ma lei non faceva discriminazioni. Li
rispettava e gli dimostrava anzi benevolenza. Questo è un grande insegnamento
per il mondo di oggi.
D. – Qual è il messaggio del
film?
R. – Che i valori essenziali della vita sono quelli del rispetto degli
altri, dell’amore per gli altri, e anche del rispetto della propria dignità
personale, come Maria Goretti appunto testimoniò fino al martirio.
(musica)
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L’ACNUR
SI PREPARA A FRONTEGGAIRE ALMENO 600 MILA PROFUGHI PER GLI EFFETTI DI UN
EVENTUALE CONFLITTO IN IRAQ
-
Intervista con Laura Boldrini -
Cresce
la preoccupazione per gli effetti che un eventuale conflitto in Iraq potrebbe
avere sulla popolazione civile. Il numero degli iracheni in fuga dalle aree di
conflitto preoccupa i Paesi confinanti, alcuni dei quali hanno già annunciato
di voler sigillare le proprie frontiere. L’Alto Commissariato per i Rifugiati
delle Nazioni Unite, intanto, ha avviato le prime misure per fronteggiare un
flusso di profughi che si stima di 600 mila persone. Stefano Leszczynski ha
intervistato Laura Boldrini, portavoce dell’agenzia specializzata dell’ONU:
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R. –
Stiamo lavorando da settimane nella regione
e quindi il nostro compito è quello di preposizionare i beni di prima necessità
nell’eventualità che ci sia il conflitto. Lavoriamo su una cifra ipotetica che
è di 600mila persone. Non significa che saranno 600 mila a fuggire ma per noi è
importante lavorare su una cifra perché comunque dobbiamo sapere il numero di
beni di prima necessità che andiamo a richiedere. E’ importante che ci sia una
reazione in tempo utile e quindi l’invito comunque a quei Paesi che sono
coinvolti in questa situazione è anche di assumersi le responsabilità
umanitarie di un eventuale conflitto, pertanto di stanziare risorse in tempo
utile.
D. –
L’Acnur, in questo studio di preposizionamento delle risorse ha una sorta di diplomazia
in atto?
R. – Il
nostro compito è quello di continuare il lavoro ordinario, ma chiaramente anche
di sollecitare i Paesi confinanti ad adempiere alle loro responsabilità, cioè
alla responsabilità comunque di concedere asilo a chi lo chiede in caso di
necessità per questo anche esiste l’Alto Commissariato proprio per far sì che
non ci sia un respingimento verso un luogo di pericolo di quelle persone che
chiedono protezione.
D. – Le
impressioni dell’Acnur circa la coscienza di questo problema da parte dei diversi
Paesi dell’Unione europea...
R. – Credo
che tutti siano consapevoli che ci possa essere anche questo flusso, non solo
degli iracheni. A parte tutto, ad oggi già l’Iraq è il terzo produttore al
mondo di rifugiati. Ce ne sono350 mila nel mondo, l’anno scorso 48 mila domande
di asilo. So che questo popolo è molto indebolito da anni di embargo, dal fatto
che comunque è sopravvissuto e sta sopravvivendo con un meccanismo di
distribuzione e di aiuti che anche potrebbe essere in qualche modo colpito
nella eventualità di un conflitto.
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LE PIU’
BELLE LEGENDE POPOLARI ITALIANE
IN UN
VOLUME DI CECILIA GATTO TROCCHI
-
Intervista con l’autrice -
Trasmettere
al lettore non solo il valore di fiabe e miti, ma soprattutto il piacere di
narrarli e di ascoltarli. Questo l’obiettivo che la professoressa Cecilia Gatto
Trocchi si è prefissa nel raccogliere “Le più belle leggende popolari italiane”.
Il libro, alla sua prima edizione e il cui costo è di 12,50 Euro, è edito dalla
“Newton & Compton” e offre un’accurata selezione dei racconti più interessanti,
suddivisi per regione. Una preziosa testimonianza della forza della nostra
cultura e dell’incredibile creatività del nostro popolo. Il servizio di Dorotea
Gambardella…
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“Le più
belle leggende popolari italiane”: 279 racconti mitologici racchiusi in 562
pagine, che avvincono il lettore avvolgendolo in atmosfere fantastiche. Ma che
valore hanno le leggende? Lo abbiamo chiesto alla professoressa Cecilia Gatto
Trocchi, autrice del libro:
R. – Le
leggende sono il frutto di un ponte che si getta tra la storia e l’utopia. Là
dove la storia si ferma, per esempio non sa spiegare l’origine di una città,
l’origine di un santuario, la leggenda non si preoccupa, perché subito dà
un’interpretazione, aggiunge, quindi, qualcosa alla documentazione storica. Del
resto noi dobbiamo pensare all’etimologia: leggenda è qualcosa che è degno di
essere letto e, questa definizione, parte dalla vita dei Santi, che era degna
di essere letta, quindi dalla agiografia, che costituiva un modello esemplare.
La leggenda, spesso ha un lieto fine che indica una modalità di mettersi in
relazione con la realtà.
D. –
Gesù, per esempio, si serviva delle parabole per diffondere i messaggi più
profondi del Regno dei Cieli…
R. –
Gesù si rifaceva alla tradizione dei midrash, cioè del racconto edificante, misterioso
in qualche modo, perché a volte noi di fronte alle Parabole restiamo
interdetti, sempre presi dalla vita quotidiana, la donna che ha perso la dracma
e che rivolta tutta casa per trovarla, perché la dracma è il Regno dei Cieli.
La leggenda invece a volte è più costruita, più fantasiosa, è l’arte del
narrare, che è equivalente, perché attraverso la narrazione di un fatto, si
possono fare presenti all’uditorio delle grandi verità.
D. – Nella società odierna, la leggenda viene ancora apprezzata?
R. – Io
ho scritto il libro proprio per far apprezzare le leggende anche nell’era moderna,
in quanto, la leggenda aveva una sua ragion d’essere nelle società
tradizionali, in cui non esistevano le comunicazioni di massa, ma le leggende
circolavano per tutto il mondo. Noi abbiamo gli stessi eventi raccontati in società
e culture diversissime, proprio perché, viaggiatori, mercanti, portavano con
loro un patrimonio di leggende locali, e ricevevano dai luoghi, che andavano a
visitare, leggende di altrove, e quindi, questi motivi narrativi, rappresentavano
un grande modo di scambio e direi anche di pacificazione, perché, se qualcuno
ascolta le leggende dell’altro, capisce come è l’altro, e dà meno motivi di
aggressività. Quindi, hanno svolto una funzione enorme nella storia.
D. – Lei scrive che ancora oggi il cinema attinge alle leggende…
R. –
Certamente, i film di successo, si rifanno sicuramente a modelli esemplari, che
possono essere o leggendari o mitologici. Noi abbiamo ancora presente la storia
della donna fatale o del cavaliere senza macchia e senza paura. Dobbiamo
ricordarci che il periodo in cui le leggende si sono organizzate in maniera
grandiosa, è stato il Medio Evo: pensiamo alle leggende dei paladini di Carlo
Magno, che con le loro gesta ed il loro valore, recuperano la tradizione
romana, perché re Carlo è l’Imperator del Sacro Romano Impero. Quindi, il Medio
Evo crea il grande flusso della narrativa leggendaria, che rimane ancora oggi
in moltissime storie che vengono fornite dal cinema o dalla televisione.
D. – C’è una leggenda che lei predilige in modo particolare?
R. – Io
prediligo le leggende delle mia infanzia. Una particolarmente mi ha sempre
molto colpito, era la leggenda del pettirosso, che estrae una spina dalla corona
di Gesù sulla Croce, e nell’estrarre la spina, si macchia il petto di rosso e
quindi c’è la giustificazione di questa caratteristica ornitologica legata,
però, ad un atto di pietà e di omaggio al Redentore.
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23
febbraio 2003
ATTESA
PER QUESTA SERA LA RISPOSTA DI BAGHDAD ALLA RICHIESTA DEGLI ISPETTORI DELL’ONU
DI DISTRUGGERE I MISSILI PROIBITI
BAGHDAD – L’Iraq
si prepara a dare una risposta questa sera alla richiesta presentata
ieri dagli ispettori dell’ONU di distruggere i missili proibiti Al Samoud 2.
Una conferenza stampa da parte del direttore generale dell’organismo di controllo
sul disarmo iracheno, Hossam Mohamed Amine, è stata annunciata per il tardo
pomeriggio di oggi. Il capo degli ispettori Hans Blix ha chiesto ieri a Baghdad
di distruggere tali armi, la cui gittata supera di 35 km il limite massimo
imposto di 150 km. Un esperto di studi strategici iracheno, Abdelwahab
el-Kassab è in disaccordo con tale calcolo. Sostiene infatti che la richiesta
dell’ONU non si basa sul totale dei dati disponibili. Dato che gli al Samoud 2
non sono mai stati collaudati, non si può affermare che rappresentino una
violazione degli impegni assunti dall’Iraq. (C.C.)
IL
SEGRETARIO DI STATO AMERICANO COLIN POWEL DICHIARA CHE “E’ ARRIVATO IL MOMENTO
DELL’AZIONE”. E’ PARTITO QUESTA MATTINA DA TOKYO PER PECHINO DOVE TENTERA’ DI
AVERE E’ GIUNTO QUESTA MATTINA A PECHINO DOPO AVER LASCIATO TOKYO. CERCHERA’ DI
OTTENERE GARANZIE CHE LA CINA NON FARA’ USO DEL SUO DIRITTO DI VETO AL
CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL’ONU.
TOKYO – Il segretario di stato americano Colin Powel, è
giunto oggi a Pechino, seconda tappa del suo viaggio in Asia, alla ricerca di
appoggio alla linea statunitense. Poco prima di partire da Tokyo ha affermato
che “è arrivato il momento dell’azione” contro l’Iraq e che “le prove sono
chiare”. “La posizione attuale del governo giapponese è che non è ancora venuto
il momento di prendere una decisione”. Lo ha dichiarato il ministro degli
affari esteri Yoriko Kawakuchi. “Vogliamo – ha detto - una soluzione pacifica”.
Il governo giapponese incoraggia le
ispezioni dell’Onu e sollecita l’Iraq
ad una maggiore cooperazione con l’ONU.
A Pechino Powel incontrerà le massime autorità tra cui il presidente
Jiang Zemin, il segretario del partito comunista Hu Jintao. Si ritiene che
Powel cercherà di ottenere dalla Cina la garanzia che non farà uso del suo
diritto di veto nel Consiglio di sicurezza. (C.C.)
QUESTA
MATTINA COLLOQUIO TELEFONICO TRA IL PRESIDENTE RUSSO PUTIN E IL PREMIER
BRITANNICO TONY BLAIR INFORMATO CHE LA RUSSIA HA AVVIATO UNA NUOVA INIZIATIVA
DIPLOMATICA INVIANDO A BAGHDAD L’EX PRIMO MINISTRO PRIMAKOV.
MOSCA - Questa mattina il
presidente russo Vladimir Putin e il premier britannico Tony Blair hanno avuto
un colloquio telefonico. Secondo quanto reso noto dal Cremlino, Putin ha informato
Blair di quanto la Russia sta facendo per una soluzione politico-diplomatica della crisi irachena. Ha
informato dell’invio a Bagdhad dell’ex
premier russo Evgeny Primakov per una missione definita “riservata”. Primakov
già nel 1991 fu in missione a Baghdad per tentare di evitare la guerra del
Golfo. (C.C.)
IRAQ:
APPELLO PER LA PACE DA GERUSALEMME, BAGHDAD E SARAJEVO: PER DIRE NO ALLA GUERRA. DA QUESTE CITTA
MARTIRI AI POTENTI DELLA TERRA: NON IMBOCCATE LA STRADA DELLA GUERRA PERCHE’ E’
UNA STRADA SENZA USCITA. IL DOCUMENTO E’ FIRMATO DAL PATRIARCA LATINO DI
GERUSALEMME MICHEL SABBAH, IL CARDINALE VINKO PULIC, ARCIVESCOVO DI SARAJEVO E
DAL PATRIARCA IRACHENO RAPHAEL BIDAWID.
ROMA - “Le nostre città, non sono tutte città sante come
Gerusalemme e nemmeno città cattoliche. Ma certamente città
martiri” si legge nel documento firmato dal patriarca latino di Gerusalemme Michel
Sabbah dal cardinale Vinko Pulic, arcivescovo di Sarajevo e dal Patriarca
iracheno Raphael Bidawid. “Noi che abbiamo vissuto o stiamo ancora vivendo la
tragedia della guerra, vogliamo dire al mondo intero, in particolare ai potenti
della terra: non imboccate la strada della guerra, perché è una strada senza
uscita”. (C.C.)
UN FORUM INTERNAZIONALE
PER RISOLVERE LA CRISI SUL NUCLEARE
CON LA COREA DEL NORD.
LA PROPOSTA DI POWEL LANCIATA IN GIAPPONE.
A PECHINO CHIEDERA’ LA MEDIAZIONE
DELLA CINA.
TOKYO - La crisi sul nucleare
con la Corea del Nord dovrebbe essere risolta a livello multilaterale,
coinvolgendo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il Giappone, la
Corea del Sud, l’Unione Europea e l’Australia. In Giappone, il segretario di
stato americano Powel ha rilanciato questa
proposta di Washington per risolvere la crisi con Pyongyang. A Pechino
chiederà di usare l’influenza diplomatica ed economica che ha la Cina su
Pyongyang per convincerla a rinunciare ai suoi programmi nucleari, destinati,
secondo le accuse degli Stati Uniti, allo sviluppo di armi atomiche. (C.C.)
IL LIKUD,
IL PARTITO DI DESTRA DEL PREMIER ISRAELIANO SHARON E IL PARTITO NAZIONALE
RELIGIOSO PORTAVOCE DEI COLONI EBREI HANNO RAGGIUNTO UN ACCORDO DI COALIZIONE
PER LA FORMAZIONE DEL NUOVO GOVERNO ISRAELIANO.
INTANTO
CONTINUANO LE VIOLENZE.
GERUSALEMME.= Raggiunto un
accordo di coalizione per la formazione del nuovo governo israeliano tra il
Likud, il partito di destra del premier israeliano Ariel Sharon e il Partito
nazionale religioso, portavoce dei coloni ebrei. Secondo un commentatore della
radio militare israeliana, riportato dalle agenzie di stampa, l’accordo implica
la rinuncia, da parte di Sharon, della prospettiva di un governo di unità
nazionale con il partito laburista di Amram Mitzna. Sul terreno, intanto non cessano le
violenze. Si è concluso questa mattina il raid condotto da ingenti forze
israeliane a Beit Hannun, nel nord della striscia di Gaza. Una
quarantina di blindati hanno lasciato la zona dopo scontri a fuoco in cui sono
rimasti uccisi 3 palestinesi due dei quali di 15 e 17 anni. Beit Hanun è
considerata da Israele come punto di partenza per ripetuti attacchi di razzi di
fabbricazione artigianale contro il territorio israeliano. Un altro palestinese era rimasto ucciso la
notte scorsa sempre nella striscia di Gaza e un altro è deceduto a Nablus in
Cisgiordania, per le ferite riportate ieri durante scontri con reparti militari
israeliani. (C.C.)
PRESSIONI DELL’UNIONE EUROPEA SUL GOVERNO ISRAELIANO
PERCHE’ CONSENTA LA CONVOCAZIONE A RAMALLAH, DEL CONSIGLIO LEGISLATIVO PALESTINESE E DARE
COSI’ LA POSSIBILITA’ AD ARAFAT DI
NOMINARE IL NUOVO PRIMO MINISTRO
TEL AVIV - L’Unione Europea sta
esercitando pressioni sul governo israeliano, affinchè consenta la convocazione
a Ramallah, in Cisgiordania, del Consiglio legislativo palestinese dando così
la possibilità al presidente Yasser Arafat di discutere la nomina di un primo
ministro. Lo riferisce il sito internet del quotidiano Yediot Ahronot, Ynet .
Israele non impedirà queste riunioni, ma intende selezionarne i partecipanti
che non devono risultare essere coinvolti in atti di terrorismo. E’ quanto
ancora informa il giornale in base a fonti governative israeliane. (C.C.)
“IL VERO
PROBLEMA DELLA FAME NON E’ LA MANCANZA DI CIBO,
MA LA
DISUGUAGLIANZA E LA POVERTA’”. COSI’ PADRE GIANPAOLO SALVINI,
DIRETTORE
DE “LA CIVILTA’ CATTOLICA”, IERI NEL CORSO DI UNA CONFERENZA
A ROMA SU
“LA FAME NEL MONDO E LE SUE ONTRADDIZIONI”
- A cura
di Paolo Ondarza -
ROMA.= “Un cristiano non può
dimenticare che nella recita del Padre Nostro, usa sempre il plurale: ‘Dacci
oggi il nostro pane quotidiano’, formula che lo obbliga a pensare non solo a se stesso, ma anche a
quanti stanno peggio di lui”. Così padre Gianpaolo Salvini, direttore de “La Civiltà Cattolica”, ieri nel corso
della conferenza su “La fame nel mondo e le sue contraddizioni. Uno scandalo
anche per i nostri tempi”, svoltasi a Roma presso la sede della rivista in via
di Porta Pinciana. Il fatto che la fame mieta milioni di vittime è oggi uno
scandalo, che non può non interpellare ogni coscienza: il pianeta dispone della
quantità di cibo sufficiente a sfamare tutti. “Ma - ha spiegato padre Salvini -
il cibo è mal distribuito e, quando disponibile, non giunge agli affamati che
non hanno il denaro necessario per acquistarlo”. “La fame si combatte con la
giustizia sociale: purtroppo – ha continuato il direttore della rivista – gli
affamati non fanno paura ai politici come il terrorismo o il petrolio. Non esistono
paesi in cui si verifichino carestie se la stampa è libera di denunciarle”.
Alcuni dati sconcertanti: 799 milioni di persone nei paesi in via di sviluppo,
30 nei paesi di transizione, 11 nei Paesi ricchi, soffrono la fame perché sotto
nutriti. Ad essi vanno aggiunti circa 300 milioni di malnutriti, ai quali cioè
manca una dieta completa. Nei paesi in via di sviluppo l’allarme è per la
mancanza di cibo o per la dieta incompleta, mentre nel mondo industrializzato
l’allarme dei medici è per l’eccessiva alimentazione e per l’obesità: si pensi
che in Italia la maggior causa di morte è data da malattie cardiovascolari,
spesso legate ad esuberi alimentari. Una soluzione al “problema fame” è per il religioso
“mettere gli affamati in condizione di produrre il cibo per sopravvivere,
curando l’agricoltura di sussistenza sinora trascurata nei Paesi in via di
sviluppo. I Paesi ricchi, più che trasferire o «donare» le proprie eccedenze,
con effetti disastrosi per l’agricoltura dei Paesi poveri, dovrebbero piuttosto
smantellare i sussidi alla propria agricoltura e favorire il buon governo dei
Paesi poveri in modo da aiutarli a combattere la povertà”.
CONCERTO DELLA VIOLINISTA LIDIA BAICH,
GIOVEDÌ 27, ALL’AUDITORIUM DI SANTA CECILIA A ROMA. IL RICAVATO SARÀ UTILIZZATO
PER FINANZIARE BORSE DI STUDIO DESTINATE A STUDENTI ROMANI DI FAMIGLIE IN
DIFFICOLTÀ.
ROMA. = Lidia Baich, una delle
più apprezzate violiniste al mondo, accompagnata al pianoforte dal maestro
Alessandro Specchi, suonerà all’Auditorium di Santa Cecilia a Roma giovedì 27
febbraio alle 21. Il concerto è stato organizzato dalla Cefa (Associazione di
famiglie per l’educazione e la cultura), un’associazione non lucrativa di
genitori di scuole cattoliche, con l’intento di raccogliere fondi per borse di
studio da destinare a ragazzi provenienti da famiglie in difficoltà economica.
Infatti la preoccupazione della Cefa è di dare la possibilità a chi non
l’avesse, di studiare in scuole che propongono progetti educativi cristiani,
curando la crescita della persona: rapporto con professori e compagni e sviluppo
della personalità sono considerati fondamentali per la maturità dallo studente.
Per raggiungere questo scopo le scuole che aderiscono alla Cefa hanno adottato
la figura del tutor, un collegamento tra scuola e famiglia, che permette ai
genitori non solo di seguire costantemente gli studi dei propri figli, ma anche
di allargare lo sguardo sulla loro formazione e la loro crescita umana. (M.A.)
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