RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 49 - Testo della
Trasmissione martedì 18 febbraio 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E
SOCIETA’:
Un nuovo appello
per la pace nel mondo giunge dalla comunità ecclesiastica delle Filippine.
Avviato in
Malawi un programma governativo per combattere la diffusione dell’Aids nel Paese.
Strage nella metropolitana di Daegu, in Corea del
Sud: un incendio doloso provoca decine di morti.
Posizione comune europea nella crisi irachena
concordata ieri a Bruxelles dai Quindici.
Revocata la chiusura dei Territori dalle autorità
israeliane.
18 febbraio 2003
LA SANTA SEDE ANCORA IN PRIMA LINEA NELLA
RICERCA DI UNA RISOLUZIONE PACIFICA PER LA CRISI IRACHENA.
STAMANI
IL PAPA HA RICEVUTO IL CARDINALE ETCHEGARAY, SUO INVIATO NEL GOLFO.
QUESTO
POMERIGGIO L’INCONTRO CON IL SEGRETARIO GENERALE DELL’ONU, KOFI ANNAN
-
A cura di Barbara Castelli -
Proseguono attivamente gli sforzi della Santa Sede per
ricercare una soluzione pacifica alla crisi irachena. Questa mattina, Giovanni
Paolo II ha ricevuto in udienza il cardinale Roger Etchegaray, rientrato ieri
sera in Italia dopo la missione diplomatica compiuta nel Golfo. Al suo arrivo
all’aeroporto Leonardo da Vinci, a Roma, l’inviato del Papa ha voluto
rilasciare una dichiarazione ai giornalisti presenti. Per noi c’era Giancarlo
La Vella.
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LA PAIX EST
ENCORE POSSIBILE. CE QUE JE DIRAIS...
La pace è ancora possibile. Ritornando a Roma e in
Vaticano, posso dire di aver ascoltato da vicino, da molto vicino il grido
lacerante di tutto il popolo iracheno, sfinito da due guerre. Un popolo che ha
bisogno di pace, di una pace che si nutra di valori umani cosicché esso possa
vivere nella dignità, nella libertà, nella solidarietà con tutti gli altri popoli.
Credo che tutti sappiamo che questi sono dei giorni cruciali per la pace in
questo Paese. Perciò ancora una volta faccio appello alla coscienza di tutti
perché tutto venga fatto, poiché la pace è ancora oggi possibile. Questo però
significa che non dobbiamo arrenderci, e che dobbiamo approfittare al massimo
di questo nuovo, breve periodo per trovare il cammino che conduca alla pace.
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Dopo aver incontrato la scorsa settimana il vicepremier
iracheno, Tareq Aziz, il Pontefice riceverà questo pomeriggio in Vaticano anche
il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan. L’incontro offrirà l’occasione al
segretario delle Nazioni Unite di illustrare al Papa quali sono i margini di
manovra ancora esistenti per evitare una guerra che gli Stati Uniti sembrano
intenzionati ad ingaggiare in Iraq. Intanto, anche la diplomazia internazionale
procede lungo il cammino della mediazione. Sulla scia dell’accordo raggiunto
ieri a Bruxelles dai Quindici sulla crisi irachena, Fabio Colagrande ha
raccolto il commento del nostro direttore generale, padre Pasquale Borgomeo:
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R. - L’accordo di compromesso tra i Quindici è un passo
rassicurante, così come il
riavvicinamento tra Unione Europea e Stati Uniti dopo i contrasti,
l’irritazione, gli insulti. Il riavvicinamento è importante soprattutto perché
avviene passando attraverso una condizione decisiva: quella del riconoscimento
della centralità dell’Onu nella gestione della crisi che stiamo attraversando.
Contrastando l’unilateralismo e la disinvoltura mostrata negli scorsi mesi
dagli Stati Uniti nei confronti delle Nazioni Unite, l’Unione Europea, composta
da alleati e non da vassalli, ha agito in nome dell’interesse generale.
D. - Sui giornali di oggi troviamo ancora molte interviste
che riguardano le manifestazioni per la pace di sabato scorso. Anche nei
discorsi dei leader politici ci si rende conto che queste manifestazioni sono
da prendere in considerazione...
R. - 110 milioni di persone di ogni razza e colore che
manifestano attraverso il pianeta contro la guerra sono uno degli eventi più
eccezionali e uno dei segni più positivi della globalizzazione. Certo, si può
sempre chiudere gli occhi per non vedere, ma non si può sopprimere il grido che
sale da una marea umana per esprimere la sua incontenibile aspirazione alla
pace.
D. - Direttore, volevo chiederle una valutazione del ruolo
diplomatico della Santa Sede in questo momento...
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I RISULTATI DELLA VISITA DELLA DELEGAZIONE DELLA
SANTA SEDE AD ATENE LA SCORSA SETTIMANA.
CON NOI IL CARDINALE WALTER KASPER
-
Servizio di Giovanni Peduto -
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La scorsa settimana ha segnato una
data importante nello sviluppo dell’ecumenismo tra cattolici e ortodossi di
Grecia con la visita della delegazione della Santa Sede ad Atene in
restituzione della visita compiuta a Roma, lo scorso anno nel mese di marzo, da
una delegazione del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa di Grecia. E tutto ciò
a seguito del viaggio di Giovanni Paolo II in terra greca nel maggio del 2001.
La delegazione della Santa Sede,
guidata dal presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità
dei cristiani, il cardinale Walter Kasper, ha incontrato l’arcivescovo
Christodoulos e i membri del Santo Sinodo; ha avuto conversazioni con le
Commissioni sinodali per gli affari europei, per i rapporti interortodossi e
intercristiani, per l’educazione e la promozione sociale. Ha visitato tra
l’altro alcuni centri e scuole, e il dipartimento delle Edizioni della Chiesa
ortodossa di Grecia, Apostoliki Diakonia. Nella visita non sono mancati
aspetti culturali, oltre a momenti conviviali. Con noi il cardinale Kasper,
appena rientrato da Atene:
D. - Eminenza, vogliamo appuntare anzitutto l’attenzione
sulla Chiesa ortodossa greca, la sua importanza nell’ambito più complesso e
vasto dell’ortodossia...
R. - La Chiesa ortodossa greca è una delle Chiese
apostoliche fondate dall’apostolo Paolo. Ha dato un grande contributo
culturale, teologico e spirituale nella storia della cristianità e perciò noi
abbiamo bisogno del rapporto e dello scambio con questa Chiesa, la quale oggi
ha un ruolo pilota nell’ambito delle Chiese ortodosse, un ruolo molto forte e
molto vivace; fa una pastorale moderna. Sono rimasto molto sorpreso da questa
vitalità soprattutto nel campo pastorale e sociale di questa Chiesa, che ha un
grande influsso anche fra le altre Chiese. La Chiesa greca ha deciso di
assumere questo ruolo pilota fra le Chiese ortodosse, perciò questa visita era
di grande importanza per l’insieme dell’ortodossia.
D. - Eminenza, i contenuti di
questa visita?
R. - Soprattutto l’incontro con l’arcivescovo è stato molto
cordiale. Abbiamo ricevuto un’accoglienza inaspettata, anche da parte del Santo
Sinodo. Ci siamo scambiati i discorsi, il cui contenuto è noto. Abbiamo parlato
di tutti problemi, anche problemi difficili, con grande franchezza ma anche con
grande spirito di amicizia. Abbiamo visitato una parrocchia, abbiamo visitato
un centro di bioetica - è stata questa una visita molto interessante - abbiamo
visitato una scuola, un seminario. Abbiamo un’impressione molto concreta di
questa Chiesa in Grecia. Mi sono incontrato con professori, abbiamo parlato del
futuro dialogo teologico e del simposio che si terrà in maggio qui a Roma, sul
ministero petrino. Penso che questa visita rappresenti una pietra miliare nella
storia dei rapporti tra Grecia e Roma, perché è una storia anche difficile e
travagliata. Adesso essi sono decisi a voltare pagina e ad iniziare un cammino
comune verso il futuro. Sarà certamente un cammino lungo, ma abbiamo iniziato
questo cammino, questo pellegrinaggio verso la piena comunione.
D. - Eminenza, un accenno più concreto a questo convegno a
Roma sul ministero petrino...
R. - Abbiamo invitato per la fine
di maggio tutte le grandi Chiese ortodosse a un Simposio a livello accademico.
Non è un incontro ufficiale, ma accademico. Abbiamo invitato professori
cattolici e ortodossi. Parleremo di Bibbia, parleremo dello sviluppo storico,
dei Concili e soprattutto del Concilio Vaticano I e della attuale
interpretazione del ministero petrino nella teologia cattolica, come nella
teologia ortodossa. Tutto questo è una risposta alla domanda di richiesta del
Papa nell’enciclica Ut Unum Sint, di entrare in un dialogo fraterno sull’esercizio
del Primato nel futuro.
D. - Torniamo alla visita. Sono state gettate le basi per
una collaborazione concreta in futuro?
R. - Abbiamo già cominciato con questa collaborazione,
quando la delegazione ortodossa greca è stata qui a Roma. E’ già in corso una
collaborazione con diversi dicasteri della Curia Romana. Lo abbiamo, quindi,
rafforzato. Dobbiamo soprattutto collaborare sul livello della bioetica: un
aspetto molto importante ed una nuova
sfida della Chiesa. Abbiamo parlato di una Mostra che si potrebbe fare
sull’arte bizantina, e il mutuo influsso fra le due culture occidentale e
orientale. E vogliamo continuare con contatti regolari fra Atene e Roma, e
speriamo che in questo modo si possa avanzare verso un futuro comune.
Vogliamo ricordare alcune
affermazioni di Giovanni Paolo II nel suo messaggio all’arcivescovo
Christodoulos in occasione di questa visita: “Ci muove la convinzione profonda
- ha scritto il Papa - che il vecchio Continente non deve smarrire la ricchezza
cristiana del suo patrimonio culturale e non deve perdere nulla di ciò che ha
reso grande il suo passato... Spetta a noi operare insieme per raggiungere
questi importanti e urgenti obiettivi”. Parole queste del Pontefice che hanno
trovato eco nel suo Angelus di domenica scorsa quando ha auspicato che la
nascente Costituzione europea rifletta le comuni radici cristiane del
continente.
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"Europa: la guerra non è
inevitabile" è il titolo che apre la prima pagina: nella dichiarazione
congiunta dei Quindici ritorna l'appello formulato dal Santo Padre l'8
febbraio. Costituzione Europea: proposta la menzione del nome di Dio e il
riconoscimento delle comuni radici giudaico-cristiane e dello statuto delle
Chiese; emendamenti presentati da vari membri della Convenzione Europea. Dramma
in Corea del Sud: nella città di Taegu, un incendio doloso, in un metrò, ha
causato la morte di oltre 130 persone. "I Misteri della Luce nel Santo
Rosario" è il titolo del pensiero di Antonio Izquierdo Garcia dedicato
all'Anno del Rosario.
Nelle
vaticane, una monografica dal titolo "Una riflessione sulla Lettera
Apostolica di Giovanni Paolo II 'Rosarium Virginis Mariae'". Una pagina
sulla Celebrazione della Giornata del Malato nelle Diocesi italiane. Un
articolo di Claudio Zerbetto sui funerali, celebrati nella Cattedrale di
Vicenza, dei due religiosi morti in un incidente stradale in Sudan.
Nelle pagine estere, Medio
Oriente: inviato degli Stati Uniti in missione a Londra per rilanciare il
dialogo. Nella rubrica dell'Atlante geopolitico, un articolo di Gabriele Nicolò
dal titolo "Ifad: un generoso servizio per combattere la miseria".
Nella pagina culturale, un
articolo di Hans Joachim Kracht su un ritratto di Andrea Pozzo, maestro di
pittura architettonica e prospettica del Barocco. Nell'"Osservatore
libri" un approfondito contributo di Claudio Toscani dal titolo "I
paesaggi mediterranei si intrecciano con l'autobiografia intellettuale":
"Opere" di Raffaele La Capria nei Meridiani.
Nelle
pagine italiane, in primo piano la situazione politica, con il costante
riferimento alla crisi irachena. Non si placa la polemica sulla mancata diretta
televisiva della grande manifestazione di sabato.
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L’USO DELLA FORZA, ULTIMA RISORSA NELLA CRISI
IRACHENA:
QUESTO L’ACCORDO RAGGIUNTO IERI A BRUXELLES DALL’UNIONE EUROPEA
- Con noi, il prof. Eichberg -
“La guerra non è inevitabile” ma “la soluzione pacifica è nelle mani dell'Iraq”: il ricorso alla
forza, comunque, dovrebbe essere usato “solo come ultima risorsa”. Questa la
conclusione a cui, ieri a Bruxelles, è giunta l’Unione europea, siglando - come
anticipato - un accordo sulla crisi irachena in cui si ribadisce il ruolo
predominante delle Nazioni Unite nell'ordine internazionale. L’intesa, secondo
il presidente di turno dell'Ue, il greco Costas Simitis, rappresenta “un grande
successo” per i Quindici. “Siamo riusciti a dimostrare - ha detto il premier
greco - che le procedure di cooperazione fra di noi danno risultato”,
ricordando le divisioni emerse all’interno dell’Ue nelle ultime settimane. Il
documento di Bruxelles, che chiede pure di “rafforzare il processo di pace in
Medio Oriente e risolvere il conflitto israelo-palestinese”, ha ricevuto
buona accoglienza anche da parte degli Stati Uniti. Per un’analisi
dell’accordo, sentiamo il prof. Federico Eichberg dell’Istituto internazionale
di studi strategici, intervistato da Giada Aquilino:
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R. - E’ un accordo che
innanzitutto avvicina i quindici partner europei e questo è un elemento nuovo
nella crisi irachena. L’intesa avvicina inoltre le due sponde dell’Atlantico,
perché riconosce la necessità del disarmo, la possibilità dell’uso della forza
come ultima risorsa, le Nazioni Unite come organismo competente per l’ordine
mondiale. Anche l’amministrazione Bush, nel fare ricorso all’Onu - a differenza
dell’amministrazione Clinton in occasione della crisi jugoslava - ha
implicitamente riconosciuto tale principio della centralità delle Nazioni
Unite. La speranza è che questo documento dia un segnale forte anche a Saddam
Hussein.
D. - Nel testo si dice che solo il
regime iracheno sarà responsabile delle conseguenze e si definisce essenziale
lo schieramento militare che ha agevolato il ritorno degli ispettori. Che tipo
di conseguenze sarebbero per Saddam?
R. - Saddam dovrà necessariamente
tener conto della decisione del Consiglio europeo. Sinora vi sono state una
parziale apertura dei siti e una parziale libertà di movimento per gli
ispettori. Se Saddam accetterà quello che per altro già il piano franco-tedesco
prevedeva - e cioè che alla presenza degli ispettori si affianchi anche una
presenza di caschi blu e di forze internazionali - questo potrà dare
sicuramente un margine di certezza maggiore all’efficacia delle ispezioni.
D. - Nell’intesa manca
il riferimento al tempo che “sta per scadere”, che il cancelliere tedesco
Schroeder non ha voluto si inserisse…
R. - Evidentemente si ritiene che le ispezioni stiano
portando ad un miglioramento della situazione. Tale miglioramento però ha tempi
non brevissimi, per cui porre una deadline avrebbe significato in
qualche misura accelerare le ispezioni fino a non ottenere risultati.
D. - Le manifestazioni pacifiste
dei giorni scorsi, molto forti anche in Europa, hanno potuto agevolare
l’accordo dei Quindici?
R. - Sicuramente il consenso
politico è sempre un elemento che agevola i leader. Sia la Commissione europea,
sia la presidenza di turno greca hanno sempre preso posizioni molto nette e le
manifestazioni hanno dato conferma di tali posizioni.
D. - A questo punto: la guerra si
avvicina o si allontana?
R. - La guerra si è allontanata in
giorno in cui si è riconosciuto che le ispezioni stanno portando frutti e che
Blix ed El Baradei stanno svolgendo un lavoro anche preventivo.
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LA
RESPONSABILITA’ DEI MASS MEDIA NELL’INFORMAZIONE RELIGIOSA:
UN CONVEGNO INTERNAZIONALE A ROMA
- Intervista con Annamaria Rivera e Sergio Tripi -
Si è svolto ieri nella Sala Gonzaga, a Roma, il seminario
“Media e verità” organizzato dall’associazione “Religioni per la pace” in
collaborazione con il sindaco Walter Veltroni. Giornalisti ed esperti
americani, europei, israeliani e palestinesi hanno dibattuto sulla
responsabilità dei mezzi di informazione, individuati come la causa principale
di una dilagante islamofobia. La seconda giornata del seminario, che ha per
tema “Le religioni nei media”, è in corso nella Sala della Protomoteca, in
Campidoglio.
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Un’informazione parziale, stereotipata, spesso
sensazionalista perché condizionata dalla tiratura o dall’audience, fatta da
giornalisti che solo superficialmente conoscono la cultura e la lingua araba.
Queste le ragioni principali di un sempre più diffuso sentimento islamofobo e
di un antisemitismo mai completamente superato, emerse dal convegno “Media e
verità”, tenutosi ieri nella Sala Gonzaga a Roma. Ma quali sono gli stereotipi
in cui incorrono i media occidentali nell’informare sul mondo arabo? Lo abbiamo
chiesto ad Annamaria Rivera, docente di Etnologia presso l’Università di Bari.
R. - Tendono continuamente a suggerire l’analogia tra
migranti e terrorismo islamico. Ho fatto l’esempio dei 4 marocchini arrestati
nella Basilica di San Petronio a Bologna, semplicemente perché visitavano la
Chiesa. Per i media non è contemplato il fatto che dei migranti provenienti da
Paesi a maggioranza musulmana possano essere dei turisti. Così come si potrebbe
fare il caso del grande clamore mediatico che ha accompagnato l’arresto dei 28
cittadini pakistani a Napoli, poi risultati del tutto innocenti. Ma non c’è
stato un uguale clamore mediatico, quando essi sono risultati innocenti. Questo
contributo di certi mass media alla diffusione di sentimenti, o al
rafforzamento di sentimenti islamofobici, ma anche antisemiti, passa attraverso
la tendenza a “razziare” le appartenenze religiose, cioè a fare del semplice
fatto che qualcuno appartenga ad una certa fede una sorta di essenza intrinseca
quasi razziale. Questo mi sembra estremamente pericoloso, perché non considera
il ruolo delle persone in rapporto alla loro fede. Gli individui sono non
determinati dalla propria religione, sono attori della propria fede e della
propria religione. Io credo che la necessità che i media si dotino e rispettino
un codice deontologico ed etico rigoroso sia davvero importante.
Tra le proposte emerse dal seminario c’è dunque
l’elaborazione di un codice etico e deontologico universale per i giornalisti,
di cui ci parla Sergio Tripi, presidente dell’Ente Morale Editore, che sta
lavorando per metterlo a punto.
R. - E’ un codice che si rivolge ai media, avendo
constatato che codici deontologici per i giornalisti esistono e sono
approfonditi in molti Paesi del mondo. Manca però il codice etico dei media,
quindi manca l’altro lato della medaglia che determina l’attività del
giornalista stesso, in quanto lo indirizza su un argomento piuttosto che
sull’altro. I mezzi di comunicazione debbono assumersi la responsabilità del
loro ruolo educativo e debbono per questa responsabilità, smettere di
innalzare, o almeno limitare, l’innalzamento all’altare della profittabilità
aziendale, il comportamento e l’indirizzo del mezzo di comunicazione stesso.
Quindi, limitazione del sensazionalismo, identificazione del loro ruolo come
referenti della realtà nella sua interezza.
Ma oltre a un codice deontologico, ci sono altre strade
che i giornalisti possono percorrere nella prospettiva di una comunicazione
etica? Ci ha risposto Samir Al Quryouti, editorialista della tv araba Al
Jazeera.
R. - Studiare, esaminare. Un giornalista ha il dovere di
esaminare a fondo le cose e non prendere gli avvenimenti internazionali come
partita di calcio e come tifo: “questo è simpatico, quello non è simpatico”.
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18 febbraio 2003
NELLE FILIPPINE L’ASSOCIAZIONE DEI SUPERIORI
RELIGIOSI MAGGIORI
HA
LANCIATO OGGI UN APPELLO PER LA PACE INVITANDO IL GOVERNO DI MANILA
A
RIVEDERE LA PROPRIA CAMPAGNA ANTI TERRORISMO
MANILA. = Un nuovo appello per la pace nel mondo giunge
dalla comunità ecclesiastica delle Filippine. L’Associazione dei superiori
religiosi maggiori - copresieduta da fratel Armin Lustro, della congregazione
di San Giovanni Battista de La Salle, e da suor Clarita Balleque delle
Religiose della Vergine Maria - hanno diffuso oggi un documento in cui
ribadiscono l’intenzione di impegnarsi per la pace. Nel comunicato, inviato
alla Conferenza episcopale delle Filippine e fatto pervenire all’Agenzia Misna,
i religiosi invitano il governo di Manila a rivedere la propria campagna contro
il terrorismo, così come il sostegno dato all’amministrazione del presidente
statunitense George W. Bush. I religiosi rimarcano che la presidente filippina
Gloria Macapagal Arroyo ha ancora 17 mesi per fare ciò che è giusto per il
Paese, “dichiarando guerra alla povertà piuttosto che ad un’altra nazione”. Nel
documento si invita il governo di Bush ed i suoi alleati ad “ascoltare le voci
della gente di tutto il mondo ed anche di quegli statunitensi che sono contro
la guerra”. Ciò che sembra indignare maggiormente i religiosi è che l’esecutivo
di Manila “stia sostenendo gli Usa nella loro guerra, mettendo a disposizione
terra, mare e spazio aereo, e dando vita ad una nuova isterica campagna contro
il terrorismo”. Il riferimento è soprattutto alla massiccia presenza militare
nel sud delle Filippine, dove periodicamente vengono inviate truppe
statunitensi con lo scopo ufficiale di addestrare i soldati locali alla lotta
contro i guerriglieri islamici. I Superiori religiosi maggiori sollecitano
infine i credenti a “cercare l’assistenza divina pregando per la pace con più
intensità di prima”. (A.L.)
UN AEREO CARICO DI DERRATE ALIMENTARI E’
PARTITO IERI DA ROMA ALLA VOLTA DI ADDIS ABEBA.
L’INIZIATIVA, PROMOSSA DAL MOVIMENTO DIRITTI
CIVILI,
È
STATA REALIZZATA PER AIUTARE LA POPOLAZIONE ETIOPE,
DURAMENTE
COLPITA DALL’EMERGENZA FAME
ROMA. = Riso, pasta, farina, tonno in scatola e omogeneizzati per bambini sono
stati inviati ieri alla popolazione etiope alle prese con la siccità e la
carestia. Il carico di speranza e solidarietà è stato trasportato con un aereo
cargo dell’Ethiopian Airlines, partito poco prima delle 16 dall'aeroporto
di Fiumicino alla volta di Addis Abeba. E' il primo aereo di aiuti umanitari
che parte dall'Italia per l'Etiopia dove 15 milioni di persone, moltissimi i
bambini, rischiano di morire per la fame. La missione è stata concretizzata dal
Movimento diritti civili, che negli ultimi due mesi ha messo in atto, con la
collaborazione della Regione Calabria
una grande catena di solidarietà. Testimonial dell'iniziativa
l'on. Vittorio Sgarbi, che ha salutato l'ambasciatore d'Etiopia in Italia,
Mengistu Hulluka. “Abbiamo fatto sapere al mondo - ha detto l’ambasciatore - la
nostra situazione perché non vogliamo che si ripeta la catastrofe umanitaria
del 1984”. Il coordinatore del Movimento diritti civili, Franco Corbelli, ha
dedicato la missione umanitaria al Papa, augurandosi che altre organizzazioni
seguano questo esempio. (A.L.)
"LA CRISI IRACHENA NON FACCIA
DIMENTICARE IL POPOLO PALESTINESE".
E’ L’APPELLO DELLA COMUNITÀ PAPA GIOVANNI
XXIII,
PRESENTE DA PIÙ DI UN ANNO NEI TERRITORI
OCCUPATI
RIMINI. = “La crisi irachena non
faccia dimenticare il popolo palestinese”. E’ questo l’appello della Comunità
“Papa Giovanni XXIII”, in un momento in cui l’attenzione mondiale è focalizzata
sulla questione irachena. La Comunità, fondata da don Oreste Benzi e presente
da più di un anno nei Territori occupati, rileva attualmente “un assoluto e
colpevole silenzio dei media e dell’opinione pubblica sul dramma palestinese”.
“Ogni giorno - si legge nel comunicato - la popolazione civile palestinese è
sottoposta ad una serie di umiliazioni che l’esercito israeliano e i coloni
infliggono perfino a vecchi e bambini. Ma questa quotidianità non fa notizia”.
La consapevolezza del delicato momento internazionale non deve distogliere
l’attenzione dai Paesi del sud del mondo. “In Terra Santa, - affermano i
volontari della Comunità - il popolo palestinese ha bisogno del nostro aiuto e
tacere è un crimine, specialmente nell’attuale contesto”. Un eventuale
intervento militare in Iraq potrebbe gravemente ripercuotersi sul popolo
palestinese. Da questa drammatica prospettiva deriva la richiesta da parte
della Comunità di “non permettere che il silenzio, il senso di assuefazione e
l’omertà siano i migliori alleati nella distruzione di un popolo”. “Chiediamo a
tutta la società civile - conclude l’appello della Comunità Papa Giovanni XXIII
- di denunciare questa situazione di occupazione militare e di opporsi ad essa
con la stessa forza che si sta utilizzando per scongiurare l’attacco all’Iraq”.
(A.L.)
AVVIATO IN MALAWI UN PROGRAMMA
GOVERNATIVO
PER COMBATTERE
LA DIFFUSIONE DELL’AIDS NEL PAESE
LILONGWE.
= “Solo con un profondo cambiamento della cultura del Malawi, si potrà vincere
la diffusione dell'Aids nel Paese”. Lo ha riferito all'Agenzia Fides il
missionario gesuita Dick Cremins, che da anni opera in Malawi, occupandosi
della lotta contro la terribile malattia virale. “Il governo - ha affermato il
missionario - ha promosso un programma
di lotta all'Aids che se applicato completamente può limitare o addirittura
fermare la progressione della malattia”. Lo scopo del programma è quello di
ottenere dei profondi cambiamenti nei comportamenti sessuali dei giovani. Il
progetto del governo promuove l'astinenza prima del matrimonio e la fedeltà dei
coniugi. Tuttavia il governo prevede anche la distribuzione e la diffusione
dell'uso del preservativo. Per spostare l’accento posto a quest’ultima parte
del programma, la Chiesa cattolica realizzerà una campagna di sensibilizzazione
con la collaborazione di diverse organizzazioni non governative. L’iniziativa vedrà
la partecipazione soprattutto dei laici e delle donne per creare una rete di
educatori che insegnino alle persone il rispetto del proprio corpo. “Ai giovani
- ha detto il religioso - bisogna offrire un modello a cui ispirarsi e i laici
che vivono il matrimonio nel rispetto reciproco, costituiscono l’esempio
migliore”. “L’iniziativa - ha concluso padre Dick Cremins - coinvolgerà
inizialmente 6 parrocchie della diocesi di Lilongwe e 18 Chiese di altre
confessioni cristiane. Successivamente sarà estesa ad altre zone del Paese, con
la collaborazione anche di musulmani e indù”. (A.L.)
I GIORNALISTI DEL CONGO HANNO CREATO
UN’ASSOCIAZIONE PER LO STUDIO DELLA COMUNICAZIONE
E UN
CENTRO PER IL RECUPERO E LA RIABILITAZIONE DEI BAMBINI SOLDATO
KINSHASA. = Nel Congo sconvolto dalla guerra, i
giornalisti si attivano per rendere migliore e utile il loro servizio nei
confronti del Paese. Recentemente a Kinshasa i giornalisti cattolici hanno
creato una associazione per lo studio e l’aggiornamento delle materie che abbracciano
il mondo della comunicazione. Un’attenzione particolare sarà dedicata alla
deontologia della pratica giornalistica: la correttezza nello svolgimento del
lavoro sarà approfondita attraverso corsi di etica professionale. I membri,
circa una trentina, si autofinanziano e godono dell’appoggio della Chiesa
cattolica locale, che segue con attenzione il progetto. I giornalisti congolesi
sono stati promotori di un’altra iniziativa. A Mbandakan, nel nord-ovest del
Paese, hanno creato un centro per il recupero dei bambini soldato che, secondo
le stime di “Save the children”, organismo dell’Onu, nel Congo sarebbero oltre
30 mila. I giornalisti si occupano di proporre una corretta informazione sul
fenomeno e di studiare le modalità per un sereno reinserimento dei bambini
all’interno della società. Al momento circa 1.100 bambini sono stati tolti dai
campi di battaglia. Tra questi 200 provenivano dall’esercito governativo,
mentre 900 dalle fila dei ribelli. (M.A.)
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18 febbraio 2003
- A cura
di Andrea Sarubbi e Giancarlo La Vella -
Prima di parlare della crisi irachena, dedichiamo
spazio alla Corea del Sud, profondamente colpita in queste ore per la strage
avvenuta oggi nella metropolitana di Daegu, la terza città sudcoreana. Un
incendio doloso ha causato 134 morti e altrettanti feriti. Vi sarebbero anche
un centinaio di dispersi. Un bilancio, dunque, gravissimo e purtroppo ancora
provvisorio. Il servizio di Chiaretta Zucconi:
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Colonne di fumo denso e nero
continuano a uscire senza sosta dai passaggi sotterranei della metropolitana di
Daegu, a trecento chilometri dalla capitale sudcoreana, dove questa mattina
alle ore 10.00 un uomo di 56 anni, con precedenti di ricoveri per malattie
mentali, ha scatenato un furioso incendio in un vagone, appiccando il fuoco a
un contenitore di plastica pieno di liquido infiammabile. L’incendio si è
subito propagato al resto del convoglio, dove in quel momento viaggiavano circa
600 persone, ed ha interessato un secondo treno proveniente dalla direzione
opposta. Secondo testimoni oculari, scampati alla tragedia, molti passeggeri
sono morti travolti dalla calca provocata da coloro che tentavano di scappare
ed altri sono rimasti intrappolati nei vagoni roventi. Difficili, tuttora, le
operazioni di soccorso da parte dei vigili del fuoco. All’appello mancano
ancora numerosi passeggeri e anche una ventina di operai addetti alla
manutenzione che si trovavano nel “tunnel della morte” quando sono divampate le
fiamme. Daegu, la città della moda sudcoreana, salita alla ribalta lo scorso
anno per i Mondiali di calcio, aveva già vissuto una tragedia analoga nel 1995,
quando 100 persone trovarono la morte ed altrettante rimasero ferite nella
stessa metropolitana a causa di una esplosione di gas.
Per la Radio Vaticana, Chiaretta
Zucconi.
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Nel
pieno dello sviluppo il dibattito internazionale sull’Iraq. Al
vertice europeo di Bruxelles, ieri sera si è trovato finalmente un compromesso
sull’atteggiamento dell’Unione nella crisi. I Quindici hanno siglato un
documento in cui si ribadisce che l’Onu è il centro dell’ordine internazionale.
Inoltre, si assicura l’impegno a lavorare con Washington per il disarmo
dell’Iraq; si afferma che la forza dovrebbe essere usata solo quale ultima
risorsa. L’Unione Europea ha anche avvertito Saddam Hussein che le ispezioni
non dureranno ad oltranza. Da Bruxelles, Laura Forzinetti:
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Sulla
decisione, che appare improntata a cercare a tutti i costi una soluzione
pacifica prima di arrivare alla guerra, ha giocato la pressione psicologica di
milioni di persone che nei giorni scorsi hanno sfilato per la pace. In
direzione della soluzione pacifica devono aver pesato anche le parole di Kofi
Annan. Il segretario generale delle Nazioni Unite è volato a Bruxelles per
parlare con i leader politici e spiegare che, per il momento, il Consiglio di
Sicurezza non ha giudicato l’atteggiamento dell’Iraq in disaccordo materiale
con la risoluzione 1441. In sintesi, i Quindici sono d’accordo sul fatto di
sostenere il Consiglio di Sicurezza e gli ispettori, sul continuare i
controlli, anche se con un limite di tempo e sulla totale responsabilità
dell’Iraq nel caso in cui si dovesse arrivare ad un conflitto. Agli
statunitensi viene dato atto che la pressione militare ha esercitato il suo
peso e si promette piena collaborazione per ottenere il totale disarmo
dell’Iraq.
Da
Bruxelles, per Radio Vaticana, Laura Forzinetti.
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Stati Uniti e Gran Bretagna,
intanto, stanno lavorando al testo di una seconda risoluzione sull’Iraq, da
presentare forse domani all’Onu. Ma la netta opposizione manifestata ieri dalla
Francia dimostra che la crisi all’interno del Patto atlantico non è risolta,
nonostante l’accordo raggiunto dai Paesi membri della Nato per pianificare
l’assistenza militare alla Turchia in caso di guerra. Il servizio da New York:
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Il nuovo
testo di Washington e Londra dovrebbe riconoscere che Baghdad ha violato le
prescrizioni del Palazzo di Vetro, stabilendo forse un’ultima scadenza per il
disarmo. A quel punto se Saddam Hussein non obbedisse con atti concreti, si
aprirebbe la strada all’intervento militare. Parigi, però, ha ribadito di
essere contraria a qualunque nuova risoluzione in questo momento, perché gli
ispettori non hanno completato il lavoro ed esistono ancora margini per una via
d’uscita diplomatica alla crisi. La Francia ha il potere di veto nel Consiglio
di Sicurezza e quindi, se mantiene questa posizione ferma, condivisa anche da
Russia, Cina e Germania, la risoluzione anglo-americana è destinata a non
passare. La Casa Bianca sta cercando di convincere gli oppositori o, quanto
meno, di aumentare il sostegno per la sua linea al Palazzo di Vetro, ma, se non
raggiungerà questo obiettivo, Bush potrebbe essere costretto a decidere
l’intervento con i Paesi che attualmente appoggiano la linea americana. L’Iraq,
intanto, ha fatto una nuova concessione, permettendo ieri il primo volo di un
aereo spia U2.
Da New
York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Secondo il quotidiano israeliano
“Haaretz” di oggi, il sottosegretario di Stato americano, John Bolton, nel
corso di un colloquio avuto ieri col premier israeliano Ariel Sharon, avrebbe
detto di non dubitare che gli Stati Uniti attaccheranno l'Iraq. Alla Siria -
avrebbe aggiunto - sarà data la possibilità di dimostrare di sapersi comportare
in modo degno di un membro della comunità internazionale. Poi, il problema
della Corea del Nord – avrebbe ancora affermato Bolton - non è stato accantonato
dagli Stati Uniti, ma solo rinviato.
Frattanto, Pyongyang ha espresso la volontà di risolvere pacificamente la crisi
legata all’avvio del programma nucleare. Ma la tensione con Washington non si è
comunque placata: da un lato, gli Stati Uniti hanno annunciato manovre militari
congiunte con la Corea del Sud, per evitare possibili aggressioni; dall’altro,
la Corea del Nord ha minacciato di revocare l’armistizio in atto dal 1953, se
il Pentagono rafforzerà ancora il suo contingente nella regione.
Il ministro israeliano della
difesa, Shaul Mofaz, ha revocato oggi la chiusura dei Territori, imposta una
settimana fa dopo che i servizi di sicurezza israeliani avevano ricevuto
informazioni sull’imminenza di gravi attentati. Per la parte palestinese,
intanto, si avvicina la nomina di un primo ministro: le ultime voci sembrano
accreditare Abu Mazen, numero due dell’Autorità nazionale palestinese, che
potrebbe essere nominato già nelle prossime ore. Intanto la diplomazia
internazionale torna al lavoro per cercare di riavviare il dialogo tra le
parti.
Dopo
tre mesi di lotta dura, sfociata in numerosi episodi di sangue, il Venezuela
cerca oggi di voltare pagina. Governo ed opposizione firmeranno infatti questo
pomeriggio la “Dichiarazione contro la violenza, per la pace e la democrazia”:
un passo necessario, in vista di una possibile intesa su nuove elezioni.
L’accordo – di cui non sono ancora noti i termini – è stato reso possibile dal
lavoro di numerosi mediatori: l’Organizzazione degli Stati americani, il Programma
dell’Onu per lo sviluppo, il Gruppo allargato di Paesi amici del Venezuela ed
il Centro Carter, vincitore del premio Nobel per la pace.
Ultimatum
dell’opposizione boliviana al capo dello Stato: se entro 14 giorni Sanchez de
Lozada non attuerà una serie di misure concrete, riprenderanno le proteste per
costringerlo a dimettersi. Intanto, il governo ha ritirato il pacchetto fiscale
che aveva fatto esplodere le violenze di piazza: la riduzione del deficit verrà
perseguita attraverso il taglio delle spese statali. Mentre è allo studio una
riforma dei ministeri, che ne ridurrebbe il numero, lo stesso presidente ha
accettato di azzerarsi lo stipendio, in segno di buona volontà.
Il segretario generale dell'Onu,
Kofi Annan, presenterà un nuovo piano per la riunificazione dell’isola di
Cipro. La notizia è data per certa dal premier turco Abdullah Gul. Parlando a
una conferenza stampa a Bruxelles, dopo un incontro con Annan, Gul ha espresso
la sua speranza che tutte le parti in questione siano soddisfatte dalle nuove
proposte del leader del Palazzo di Vetro, senza però specificare in che cosa
consista il piano, che dovrebbe essere presentato, nel corso del viaggio di
Annan in Turchia, la prossima settimana.
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