RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 49 - Testo della Trasmissione martedì 18 febbraio 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

In udienza dal Papa stamani il cardinale Roger Etchegaray, reduce dalla missione di pace in Iraq. Oggi pomeriggio l’incontro del Santo Padre con il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan: sulla delicata situazione internazionale, le riflessioni del porporato francese e del nostro direttore generale, padre Pasquale Borgomeo.

 

Dalla recente visita di una delegazione della Santa Sede al Santo Sinodo della Chiesa ortodossa greca, un nuovo impulso al cammino ecumenico verso la piena comunione tra Atene e Roma. In maggio un convegno sul ministero petrino: intervista con il cardinale Walter Kasper.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Accordo raggiunto dall’Unione Europea: l’uso della forza, ultima risorsa nella crisi irachena. Una analisi dell’intesa con il prof. Federico Eichberg.

 

La responsabilità dei mass media nell’informazione religiosa, sullo sfondo dell’attuale situazione internazionale, al centro di un convegno a Roma: con noi, Annamaria Rivera e Sergio Tripi.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Un nuovo appello per la pace nel mondo giunge dalla comunità ecclesiastica delle Filippine.

 

La popolazione etiope è alle prese con la siccità e la carestia. Un carico di speranza e solidarietà è partito ieri da Roma alla volta di Addis Abeba.

 

La crisi irachena non faccia dimenticare il popolo palestinese: è l’appello della Comunità Papa Giovanni XXIII, da oltre un anno presente nei Territori.

 

Avviato in Malawi un programma governativo per combattere la diffusione dell’Aids nel Paese.

 

Nel Congo i giornalisti si attivano per rendere migliore e utile il loro servizio nei confronti del Paese.

 

24 ORE NEL MONDO :

Strage nella metropolitana di Daegu, in Corea del Sud: un incendio doloso provoca decine di morti.

 

Posizione comune europea nella crisi irachena concordata ieri a Bruxelles dai Quindici.

 

Revocata la chiusura dei Territori dalle autorità israeliane.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

18 febbraio 2003

 

 

LA SANTA SEDE ANCORA IN PRIMA LINEA NELLA RICERCA DI UNA RISOLUZIONE PACIFICA PER LA CRISI IRACHENA.

STAMANI IL PAPA HA RICEVUTO IL CARDINALE ETCHEGARAY, SUO INVIATO NEL GOLFO.

QUESTO POMERIGGIO L’INCONTRO CON IL SEGRETARIO GENERALE DELL’ONU, KOFI ANNAN

 

- A  cura di Barbara Castelli -

 

Proseguono attivamente gli sforzi della Santa Sede per ricercare una soluzione pacifica alla crisi irachena. Questa mattina, Giovanni Paolo II ha ricevuto in udienza il cardinale Roger Etchegaray, rientrato ieri sera in Italia dopo la missione diplomatica compiuta nel Golfo. Al suo arrivo all’aeroporto Leonardo da Vinci, a Roma, l’inviato del Papa ha voluto rilasciare una dichiarazione ai giornalisti presenti. Per noi c’era Giancarlo La Vella.

 

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LA PAIX EST ENCORE POSSIBILE. CE QUE JE DIRAIS...

La pace è ancora possibile. Ritornando a Roma e in Vaticano, posso dire di aver ascoltato da vicino, da molto vicino il grido lacerante di tutto il popolo iracheno, sfinito da due guerre. Un popolo che ha bisogno di pace, di una pace che si nutra di valori umani cosicché esso possa vivere nella dignità, nella libertà, nella solidarietà con tutti gli altri popoli. Credo che tutti sappiamo che questi sono dei giorni cruciali per la pace in questo Paese. Perciò ancora una volta faccio appello alla coscienza di tutti perché tutto venga fatto, poiché la pace è ancora oggi possibile. Questo però significa che non dobbiamo arrenderci, e che dobbiamo approfittare al massimo di questo nuovo, breve periodo per trovare il cammino che conduca alla pace.

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Dopo aver incontrato la scorsa settimana il vicepremier iracheno, Tareq Aziz, il Pontefice riceverà questo pomeriggio in Vaticano anche il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan. L’incontro offrirà l’occasione al segretario delle Nazioni Unite di illustrare al Papa quali sono i margini di manovra ancora esistenti per evitare una guerra che gli Stati Uniti sembrano intenzionati ad ingaggiare in Iraq. Intanto, anche la diplomazia internazionale procede lungo il cammino della mediazione. Sulla scia dell’accordo raggiunto ieri a Bruxelles dai Quindici sulla crisi irachena, Fabio Colagrande ha raccolto il commento del nostro direttore generale, padre Pasquale Borgomeo:

 

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R. - L’accordo di compromesso tra i Quindici è un passo rassicurante, così come  il riavvicinamento tra Unione Europea e Stati Uniti dopo i contrasti, l’irritazione, gli insulti. Il riavvicinamento è importante soprattutto perché avviene passando attraverso una condizione decisiva: quella del riconoscimento della centralità dell’Onu nella gestione della crisi che stiamo attraversando. Contrastando l’unilateralismo e la disinvoltura mostrata negli scorsi mesi dagli Stati Uniti nei confronti delle Nazioni Unite, l’Unione Europea, composta da alleati e non da vassalli, ha agito in nome dell’interesse generale.      

 

D. - Sui giornali di oggi troviamo ancora molte interviste che riguardano le manifestazioni per la pace di sabato scorso. Anche nei discorsi dei leader politici ci si rende conto che queste manifestazioni sono da prendere in considerazione...

 

R. - 110 milioni di persone di ogni razza e colore che manifestano attraverso il pianeta contro la guerra sono uno degli eventi più eccezionali e uno dei segni più positivi della globalizzazione. Certo, si può sempre chiudere gli occhi per non vedere, ma non si può sopprimere il grido che sale da una marea umana per esprimere la sua incontenibile aspirazione alla pace.

 

D. - Direttore, volevo chiederle una valutazione del ruolo diplomatico della Santa Sede in questo momento...

 

R. - Su questo sfondo si legge con più chiarezza la missione di pace della Santa Sede. Non di un pacifismo astratto o generico, ma di una iniziativa di pace calata nella realtà presente, di forte carica ideale ma anche piena di realismo e di concretezza: Saddam Hussein deve scrupolosamente e rigorosamente attuare le prescrizioni dell’Onu, Onu che è “garante - e qui il messaggio non si ferma all’Iraq - della legalità internazionale”. In un momento così critico della storia del mondo, il Papa mostra sollecitudine. Vede tutti i danni che a livello mondiale deriverebbero da una guerra all’Iraq: non solo le distruzioni e le stragi di vittime innocenti, ma anche l’esasperazione degli odi e dello spirito di vendetta, la frattura tra i Paesi occidentali, l’estensione del risentimento anti-occidentale del mondo arabo e musulmano.

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I RISULTATI DELLA VISITA DELLA DELEGAZIONE DELLA SANTA SEDE AD ATENE LA SCORSA SETTIMANA.

 CON NOI IL CARDINALE WALTER KASPER

 

- Servizio di Giovanni Peduto -

 

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La scorsa settimana ha segnato una data importante nello sviluppo dell’ecumenismo tra cattolici e ortodossi di Grecia con la visita della delegazione della Santa Sede ad Atene in restituzione della visita compiuta a Roma, lo scorso anno nel mese di marzo, da una delegazione del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa di Grecia. E tutto ciò a seguito del viaggio di Giovanni Paolo II in terra greca nel maggio del 2001.

 

La delegazione della Santa Sede, guidata dal presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, il cardinale Walter Kasper, ha incontrato l’arcivescovo Christodoulos e i membri del Santo Sinodo; ha avuto conversazioni con le Commissioni sinodali per gli affari europei, per i rapporti interortodossi e intercristiani, per l’educazione e la promozione sociale. Ha visitato tra l’altro alcuni centri e scuole, e il dipartimento delle Edizioni della Chiesa ortodossa di Grecia, Apostoliki Diakonia. Nella visita non sono mancati aspetti culturali, oltre a momenti conviviali. Con noi il cardinale Kasper, appena rientrato da Atene:

 

D. - Eminenza, vogliamo appuntare anzitutto l’attenzione sulla Chiesa ortodossa greca, la sua importanza nell’ambito più complesso e vasto dell’ortodossia...

 

R. - La Chiesa ortodossa greca è una delle Chiese apostoliche fondate dall’apostolo Paolo. Ha dato un grande contributo culturale, teologico e spirituale nella storia della cristianità e perciò noi abbiamo bisogno del rapporto e dello scambio con questa Chiesa, la quale oggi ha un ruolo pilota nell’ambito delle Chiese ortodosse, un ruolo molto forte e molto vivace; fa una pastorale moderna. Sono rimasto molto sorpreso da questa vitalità soprattutto nel campo pastorale e sociale di questa Chiesa, che ha un grande influsso anche fra le altre Chiese. La Chiesa greca ha deciso di assumere questo ruolo pilota fra le Chiese ortodosse, perciò questa visita era di grande importanza per l’insieme dell’ortodossia.

 

D. - Eminenza, i contenuti di questa visita?

 

R. - Soprattutto l’incontro con l’arcivescovo è stato molto cordiale. Abbiamo ricevuto un’accoglienza inaspettata, anche da parte del Santo Sinodo. Ci siamo scambiati i discorsi, il cui contenuto è noto. Abbiamo parlato di tutti problemi, anche problemi difficili, con grande franchezza ma anche con grande spirito di amicizia. Abbiamo visitato una parrocchia, abbiamo visitato un centro di bioetica - è stata questa una visita molto interessante - abbiamo visitato una scuola, un seminario. Abbiamo un’impressione molto concreta di questa Chiesa in Grecia. Mi sono incontrato con professori, abbiamo parlato del futuro dialogo teologico e del simposio che si terrà in maggio qui a Roma, sul ministero petrino. Penso che questa visita rappresenti una pietra miliare nella storia dei rapporti tra Grecia e Roma, perché è una storia anche difficile e travagliata. Adesso essi sono decisi a voltare pagina e ad iniziare un cammino comune verso il futuro. Sarà certamente un cammino lungo, ma abbiamo iniziato questo cammino, questo pellegrinaggio verso la piena comunione.

 

D. - Eminenza, un accenno più concreto a questo convegno a Roma sul ministero petrino...

 

R. - Abbiamo invitato per la fine di maggio tutte le grandi Chiese ortodosse a un Simposio a livello accademico. Non è un incontro ufficiale, ma accademico. Abbiamo invitato professori cattolici e ortodossi. Parleremo di Bibbia, parleremo dello sviluppo storico, dei Concili e soprattutto del Concilio Vaticano I e della attuale interpretazione del ministero petrino nella teologia cattolica, come nella teologia ortodossa. Tutto questo è una risposta alla domanda di richiesta del Papa nell’enciclica Ut Unum Sint, di entrare in un dialogo fraterno sull’esercizio del Primato nel futuro.

 

D. - Torniamo alla visita. Sono state gettate le basi per una collaborazione concreta in futuro?

 

R. - Abbiamo già cominciato con questa collaborazione, quando la delegazione ortodossa greca è stata qui a Roma. E’ già in corso una collaborazione con diversi dicasteri della Curia Romana. Lo abbiamo, quindi, rafforzato. Dobbiamo soprattutto collaborare sul livello della bioetica: un aspetto molto importante  ed una nuova sfida della Chiesa. Abbiamo parlato di una Mostra che si potrebbe fare sull’arte bizantina, e il mutuo influsso fra le due culture occidentale e orientale. E vogliamo continuare con contatti regolari fra Atene e Roma, e speriamo che in questo modo si possa avanzare verso un futuro comune.

 

Vogliamo ricordare alcune affermazioni di Giovanni Paolo II nel suo messaggio all’arcivescovo Christodoulos in occasione di questa visita: “Ci muove la convinzione profonda - ha scritto il Papa - che il vecchio Continente non deve smarrire la ricchezza cristiana del suo patrimonio culturale e non deve perdere nulla di ciò che ha reso grande il suo passato... Spetta a noi operare insieme per raggiungere questi importanti e urgenti obiettivi”. Parole queste del Pontefice che hanno trovato eco nel suo Angelus di domenica scorsa quando ha auspicato che la nascente Costituzione europea rifletta le comuni radici cristiane del continente.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

"Europa: la guerra non è inevitabile" è il titolo che apre la prima pagina: nella dichiarazione congiunta dei Quindici ritorna l'appello formulato dal Santo Padre l'8 febbraio. Costituzione Europea: proposta la menzione del nome di Dio e il riconoscimento delle comuni radici giudaico-cristiane e dello statuto delle Chiese; emendamenti presentati da vari membri della Convenzione Europea. Dramma in Corea del Sud: nella città di Taegu, un incendio doloso, in un metrò, ha causato la morte di oltre 130 persone. "I Misteri della Luce nel Santo Rosario" è il titolo del pensiero di Antonio Izquierdo Garcia dedicato all'Anno del Rosario.

 

Nelle vaticane, una monografica dal titolo "Una riflessione sulla Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II 'Rosarium Virginis Mariae'". Una pagina sulla Celebrazione della Giornata del Malato nelle Diocesi italiane. Un articolo di Claudio Zerbetto sui funerali, celebrati nella Cattedrale di Vicenza,  dei due religiosi morti in un incidente stradale in Sudan.

Nelle pagine estere, Medio Oriente: inviato degli Stati Uniti in missione a Londra per rilanciare il dialogo. Nella rubrica dell'Atlante geopolitico, un articolo di Gabriele Nicolò dal titolo "Ifad: un generoso servizio per combattere la miseria".

 

Nella pagina culturale, un articolo di Hans Joachim Kracht su un ritratto di Andrea Pozzo, maestro di pittura architettonica e prospettica del Barocco. Nell'"Osservatore libri" un approfondito contributo di Claudio Toscani dal titolo "I paesaggi mediterranei si intrecciano con l'autobiografia intellettuale": "Opere" di Raffaele La Capria nei Meridiani.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la situazione politica, con il costante riferimento alla crisi irachena. Non si placa la polemica sulla mancata diretta televisiva della grande manifestazione di sabato.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

18 febbraio 2003

 

 

L’USO DELLA FORZA, ULTIMA RISORSA NELLA CRISI IRACHENA:

QUESTO L’ACCORDO RAGGIUNTO IERI A BRUXELLES DALL’UNIONE EUROPEA

- Con noi, il prof. Eichberg -

 

La guerra non è inevitabile” ma “la soluzione pacifica è nelle mani dell'Iraq”: il ricorso alla forza, comunque, dovrebbe essere usato “solo come ultima risorsa”. Questa la conclusione a cui, ieri a Bruxelles, è giunta l’Unione europea, siglando - come anticipato - un accordo sulla crisi irachena in cui si ribadisce il ruolo predominante delle Nazioni Unite nell'ordine internazionale. L’intesa, secondo il presidente di turno dell'Ue, il greco Costas Simitis, rappresenta “un grande successo” per i Quindici. “Siamo riusciti a dimostrare - ha detto il premier greco - che le procedure di cooperazione fra di noi danno risultato”, ricordando le divisioni emerse all’interno dell’Ue nelle ultime settimane. Il documento di Bruxelles, che chiede pure di “rafforzare il processo di pace in Medio Oriente e risolvere il conflitto israelo-palestinese”, ha ricevuto buona accoglienza anche da parte degli Stati Uniti. Per un’analisi dell’accordo, sentiamo il prof. Federico Eichberg dell’Istituto internazionale di studi strategici, intervistato da Giada Aquilino:

 

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R. - E’ un accordo che innanzitutto avvicina i quindici partner europei e questo è un elemento nuovo nella crisi irachena. L’intesa avvicina inoltre le due sponde dell’Atlantico, perché riconosce la necessità del disarmo, la possibilità dell’uso della forza come ultima risorsa, le Nazioni Unite come organismo competente per l’ordine mondiale. Anche l’amministrazione Bush, nel fare ricorso all’Onu - a differenza dell’amministrazione Clinton in occasione della crisi jugoslava - ha implicitamente riconosciuto tale principio della centralità delle Nazioni Unite. La speranza è che questo documento dia un segnale forte anche a Saddam Hussein.

 

D. - Nel testo si dice che solo il regime iracheno sarà responsabile delle conseguenze e si definisce essenziale lo schieramento militare che ha agevolato il ritorno degli ispettori. Che tipo di conseguenze sarebbero per Saddam?

 

R. - Saddam dovrà necessariamente tener conto della decisione del Consiglio europeo. Sinora vi sono state una parziale apertura dei siti e una parziale libertà di movimento per gli ispettori. Se Saddam accetterà quello che per altro già il piano franco-tedesco prevedeva - e cioè che alla presenza degli ispettori si affianchi anche una presenza di caschi blu e di forze internazionali - questo potrà dare sicuramente un margine di certezza maggiore all’efficacia delle ispezioni.

 

D. - Nell’intesa manca il riferimento al tempo che “sta per scadere”, che il cancelliere tedesco Schroeder non ha voluto si inserisse…

 

R. - Evidentemente si ritiene che le ispezioni stiano portando ad un miglioramento della situazione. Tale miglioramento però ha tempi non brevissimi, per cui porre una deadline avrebbe significato in qualche misura accelerare le ispezioni fino a non ottenere risultati.

 

D. - Le manifestazioni pacifiste dei giorni scorsi, molto forti anche in Europa, hanno potuto agevolare l’accordo dei Quindici?

 

R. - Sicuramente il consenso politico è sempre un elemento che agevola i leader. Sia la Commissione europea, sia la presidenza di turno greca hanno sempre preso posizioni molto nette e le manifestazioni hanno dato conferma di tali posizioni.

 

D. - A questo punto: la guerra si avvicina o si allontana?

 

R. - La guerra si è allontanata in giorno in cui si è riconosciuto che le ispezioni stanno portando frutti e che Blix ed El Baradei stanno svolgendo un lavoro anche preventivo.

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LA RESPONSABILITA’ DEI MASS MEDIA NELL’INFORMAZIONE RELIGIOSA:

UN CONVEGNO INTERNAZIONALE A ROMA

- Intervista con Annamaria Rivera e Sergio Tripi -

 

Si è svolto ieri nella Sala Gonzaga, a Roma, il seminario “Media e verità” organizzato dall’associazione “Religioni per la pace” in collaborazione con il sindaco Walter Veltroni. Giornalisti ed esperti americani, europei, israeliani e palestinesi hanno dibattuto sulla responsabilità dei mezzi di informazione, individuati come la causa principale di una dilagante islamofobia. La seconda giornata del seminario, che ha per tema “Le religioni nei media”, è in corso nella Sala della Protomoteca, in Campidoglio. 

 

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Un’informazione parziale, stereotipata, spesso sensazionalista perché condizionata dalla tiratura o dall’audience, fatta da giornalisti che solo superficialmente conoscono la cultura e la lingua araba. Queste le ragioni principali di un sempre più diffuso sentimento islamofobo e di un antisemitismo mai completamente superato, emerse dal convegno “Media e verità”, tenutosi ieri nella Sala Gonzaga a Roma. Ma quali sono gli stereotipi in cui incorrono i media occidentali nell’informare sul mondo arabo? Lo abbiamo chiesto ad Annamaria Rivera, docente di Etnologia presso l’Università di Bari.

 

R. - Tendono continuamente a suggerire l’analogia tra migranti e terrorismo islamico. Ho fatto l’esempio dei 4 marocchini arrestati nella Basilica di San Petronio a Bologna, semplicemente perché visitavano la Chiesa. Per i media non è contemplato il fatto che dei migranti provenienti da Paesi a maggioranza musulmana possano essere dei turisti. Così come si potrebbe fare il caso del grande clamore mediatico che ha accompagnato l’arresto dei 28 cittadini pakistani a Napoli, poi risultati del tutto innocenti. Ma non c’è stato un uguale clamore mediatico, quando essi sono risultati innocenti. Questo contributo di certi mass media alla diffusione di sentimenti, o al rafforzamento di sentimenti islamofobici, ma anche antisemiti, passa attraverso la tendenza a “razziare” le appartenenze religiose, cioè a fare del semplice fatto che qualcuno appartenga ad una certa fede una sorta di essenza intrinseca quasi razziale. Questo mi sembra estremamente pericoloso, perché non considera il ruolo delle persone in rapporto alla loro fede. Gli individui sono non determinati dalla propria religione, sono attori della propria fede e della propria religione. Io credo che la necessità che i media si dotino e rispettino un codice deontologico ed etico rigoroso sia davvero importante.  

 

Tra le proposte emerse dal seminario c’è dunque l’elaborazione di un codice etico e deontologico universale per i giornalisti, di cui ci parla Sergio Tripi, presidente dell’Ente Morale Editore, che sta lavorando per metterlo a punto.

 

R. - E’ un codice che si rivolge ai media, avendo constatato che codici deontologici per i giornalisti esistono e sono approfonditi in molti Paesi del mondo. Manca però il codice etico dei media, quindi manca l’altro lato della medaglia che determina l’attività del giornalista stesso, in quanto lo indirizza su un argomento piuttosto che sull’altro. I mezzi di comunicazione debbono assumersi la responsabilità del loro ruolo educativo e debbono per questa responsabilità, smettere di innalzare, o almeno limitare, l’innalzamento all’altare della profittabilità aziendale, il comportamento e l’indirizzo del mezzo di comunicazione stesso. Quindi, limitazione del sensazionalismo, identificazione del loro ruolo come referenti della realtà nella sua interezza.

 

Ma oltre a un codice deontologico, ci sono altre strade che i giornalisti possono percorrere nella prospettiva di una comunicazione etica? Ci ha risposto Samir Al Quryouti, editorialista della tv araba Al Jazeera.

 

R. - Studiare, esaminare. Un giornalista ha il dovere di esaminare a fondo le cose e non prendere gli avvenimenti internazionali come partita di calcio e come tifo: “questo è simpatico, quello non è simpatico”.

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CHIESA E SOCIETA’

18 febbraio 2003

 

 

NELLE FILIPPINE L’ASSOCIAZIONE DEI SUPERIORI RELIGIOSI MAGGIORI

HA LANCIATO OGGI UN APPELLO PER LA PACE INVITANDO IL GOVERNO DI MANILA

A RIVEDERE LA PROPRIA CAMPAGNA ANTI TERRORISMO

 

MANILA. = Un nuovo appello per la pace nel mondo giunge dalla comunità ecclesiastica delle Filippine. L’Associazione dei superiori religiosi maggiori - copresieduta da fratel Armin Lustro, della congregazione di San Giovanni Battista de La Salle, e da suor Clarita Balleque delle Religiose della Vergine Maria - hanno diffuso oggi un documento in cui ribadiscono l’intenzione di impegnarsi per la pace. Nel comunicato, inviato alla Conferenza episcopale delle Filippine e fatto pervenire all’Agenzia Misna, i religiosi invitano il governo di Manila a rivedere la propria campagna contro il terrorismo, così come il sostegno dato all’amministrazione del presidente statunitense George W. Bush. I religiosi rimarcano che la presidente filippina Gloria Macapagal Arroyo ha ancora 17 mesi per fare ciò che è giusto per il Paese, “dichiarando guerra alla povertà piuttosto che ad un’altra nazione”. Nel documento si invita il governo di Bush ed i suoi alleati ad “ascoltare le voci della gente di tutto il mondo ed anche di quegli statunitensi che sono contro la guerra”. Ciò che sembra indignare maggiormente i religiosi è che l’esecutivo di Manila “stia sostenendo gli Usa nella loro guerra, mettendo a disposizione terra, mare e spazio aereo, e dando vita ad una nuova isterica campagna contro il terrorismo”. Il riferimento è soprattutto alla massiccia presenza militare nel sud delle Filippine, dove periodicamente vengono inviate truppe statunitensi con lo scopo ufficiale di addestrare i soldati locali alla lotta contro i guerriglieri islamici. I Superiori religiosi maggiori sollecitano infine i credenti a “cercare l’assistenza divina pregando per la pace con più intensità di prima”. (A.L.)

 

 

UN AEREO CARICO DI DERRATE ALIMENTARI E’ PARTITO IERI DA ROMA ALLA VOLTA DI ADDIS ABEBA.

 L’INIZIATIVA, PROMOSSA DAL MOVIMENTO DIRITTI CIVILI,

È STATA REALIZZATA PER AIUTARE LA POPOLAZIONE ETIOPE,

DURAMENTE COLPITA DALL’EMERGENZA FAME

 

ROMA. = Riso, pasta, farina, tonno in  scatola e omogeneizzati per bambini sono stati inviati ieri alla popolazione etiope alle prese con la siccità e la carestia. Il carico di speranza e solidarietà è stato trasportato con un aereo cargo dell’Ethiopian Airlines, partito poco prima delle 16 dall'aeroporto di Fiumicino alla volta di Addis Abeba. E' il primo aereo di aiuti umanitari che parte dall'Italia per l'Etiopia dove 15 milioni di persone, moltissimi i bambini, rischiano di morire per la fame. La missione è stata concretizzata dal Movimento diritti civili, che negli ultimi due mesi ha messo in atto, con la collaborazione della Regione Calabria  una grande catena di solidarietà. Testimonial dell'iniziativa l'on. Vittorio Sgarbi, che ha salutato l'ambasciatore d'Etiopia in Italia, Mengistu Hulluka. “Abbiamo fatto sapere al mondo - ha detto l’ambasciatore - la nostra situazione perché non vogliamo che si ripeta la catastrofe umanitaria del 1984”. Il coordinatore del Movimento diritti civili, Franco Corbelli, ha dedicato la missione umanitaria al Papa, augurandosi che altre organizzazioni seguano questo esempio. (A.L.)

 

 

"LA CRISI IRACHENA NON FACCIA DIMENTICARE IL POPOLO PALESTINESE".

 E’ L’APPELLO DELLA COMUNITÀ PAPA GIOVANNI XXIII,

 PRESENTE DA PIÙ DI UN ANNO NEI TERRITORI OCCUPATI

 

RIMINI. = “La crisi irachena non faccia dimenticare il popolo palestinese”. E’ questo l’appello della Comunità “Papa Giovanni XXIII”, in un momento in cui l’attenzione mondiale è focalizzata sulla questione irachena. La Comunità, fondata da don Oreste Benzi e presente da più di un anno nei Territori occupati, rileva attualmente “un assoluto e colpevole silenzio dei media e dell’opinione pubblica sul dramma palestinese”. “Ogni giorno - si legge nel comunicato - la popolazione civile palestinese è sottoposta ad una serie di umiliazioni che l’esercito israeliano e i coloni infliggono perfino a vecchi e bambini. Ma questa quotidianità non fa notizia”. La consapevolezza del delicato momento internazionale non deve distogliere l’attenzione dai Paesi del sud del mondo. “In Terra Santa, - affermano i volontari della Comunità - il popolo palestinese ha bisogno del nostro aiuto e tacere è un crimine, specialmente nell’attuale contesto”. Un eventuale intervento militare in Iraq potrebbe gravemente ripercuotersi sul popolo palestinese. Da questa drammatica prospettiva deriva la richiesta da parte della Comunità di “non permettere che il silenzio, il senso di assuefazione e l’omertà siano i migliori alleati nella distruzione di un popolo”. “Chiediamo a tutta la società civile - conclude l’appello della Comunità Papa Giovanni XXIII - di denunciare questa situazione di occupazione militare e di opporsi ad essa con la stessa forza che si sta utilizzando per scongiurare l’attacco all’Iraq”. (A.L.)

 

 

AVVIATO IN MALAWI UN PROGRAMMA GOVERNATIVO

PER COMBATTERE LA DIFFUSIONE DELL’AIDS NEL PAESE

 

LILONGWE. = “Solo con un profondo cambiamento della cultura del Malawi, si potrà vincere la diffusione dell'Aids nel Paese”. Lo ha riferito all'Agenzia Fides il missionario gesuita Dick Cremins, che da anni opera in Malawi, occupandosi della lotta contro la terribile malattia virale. “Il governo - ha affermato il missionario -  ha promosso un programma di lotta all'Aids che se applicato completamente può limitare o addirittura fermare la progressione della malattia”. Lo scopo del programma è quello di ottenere dei profondi cambiamenti nei comportamenti sessuali dei giovani. Il progetto del governo promuove l'astinenza prima del matrimonio e la fedeltà dei coniugi. Tuttavia il governo prevede anche la distribuzione e la diffusione dell'uso del preservativo. Per spostare l’accento posto a quest’ultima parte del programma, la Chiesa cattolica realizzerà una campagna di sensibilizzazione con la collaborazione di diverse organizzazioni non governative. L’iniziativa vedrà la partecipazione soprattutto dei laici e delle donne per creare una rete di educatori che insegnino alle persone il rispetto del proprio corpo. “Ai giovani - ha detto il religioso - bisogna offrire un modello a cui ispirarsi e i laici che vivono il matrimonio nel rispetto reciproco, costituiscono l’esempio migliore”. “L’iniziativa - ha concluso padre Dick Cremins - coinvolgerà inizialmente 6 parrocchie della diocesi di Lilongwe e 18 Chiese di altre confessioni cristiane. Successivamente sarà estesa ad altre zone del Paese, con la collaborazione anche di musulmani e indù”. (A.L.)

 

 

I GIORNALISTI DEL CONGO HANNO CREATO UN’ASSOCIAZIONE PER LO STUDIO DELLA COMUNICAZIONE

E UN CENTRO PER IL RECUPERO E LA RIABILITAZIONE DEI BAMBINI SOLDATO

 

KINSHASA. = Nel Congo sconvolto dalla guerra, i giornalisti si attivano per rendere migliore e utile il loro servizio nei confronti del Paese. Recentemente a Kinshasa i giornalisti cattolici hanno creato una associazione per lo studio e l’aggiornamento delle materie che abbracciano il mondo della comunicazione. Un’attenzione particolare sarà dedicata alla deontologia della pratica giornalistica: la correttezza nello svolgimento del lavoro sarà approfondita attraverso corsi di etica professionale. I membri, circa una trentina, si autofinanziano e godono dell’appoggio della Chiesa cattolica locale, che segue con attenzione il progetto. I giornalisti congolesi sono stati promotori di un’altra iniziativa. A Mbandakan, nel nord-ovest del Paese, hanno creato un centro per il recupero dei bambini soldato che, secondo le stime di “Save the children”, organismo dell’Onu, nel Congo sarebbero oltre 30 mila. I giornalisti si occupano di proporre una corretta informazione sul fenomeno e di studiare le modalità per un sereno reinserimento dei bambini all’interno della società. Al momento circa 1.100 bambini sono stati tolti dai campi di battaglia. Tra questi 200 provenivano dall’esercito governativo, mentre 900 dalle fila dei ribelli. (M.A.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

18 febbraio 2003

 

 

- A cura di Andrea Sarubbi e Giancarlo La Vella -

 

Prima di parlare della crisi irachena, dedichiamo spazio alla Corea del Sud, profondamente colpita in queste ore per la strage avvenuta oggi nella metropolitana di Daegu, la terza città sudcoreana. Un incendio doloso ha causato 134 morti e altrettanti feriti. Vi sarebbero anche un centinaio di dispersi. Un bilancio, dunque, gravissimo e purtroppo ancora provvisorio. Il servizio di Chiaretta Zucconi:

 

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Colonne di fumo denso e nero continuano a uscire senza sosta dai passaggi sotterranei della metropolitana di Daegu, a trecento chilometri dalla capitale sudcoreana, dove questa mattina alle ore 10.00 un uomo di 56 anni, con precedenti di ricoveri per malattie mentali, ha scatenato un furioso incendio in un vagone, appiccando il fuoco a un contenitore di plastica pieno di liquido infiammabile. L’incendio si è subito propagato al resto del convoglio, dove in quel momento viaggiavano circa 600 persone, ed ha interessato un secondo treno proveniente dalla direzione opposta. Secondo testimoni oculari, scampati alla tragedia, molti passeggeri sono morti travolti dalla calca provocata da coloro che tentavano di scappare ed altri sono rimasti intrappolati nei vagoni roventi. Difficili, tuttora, le operazioni di soccorso da parte dei vigili del fuoco. All’appello mancano ancora numerosi passeggeri e anche una ventina di operai addetti alla manutenzione che si trovavano nel “tunnel della morte” quando sono divampate le fiamme. Daegu, la città della moda sudcoreana, salita alla ribalta lo scorso anno per i Mondiali di calcio, aveva già vissuto una tragedia analoga nel 1995, quando 100 persone trovarono la morte ed altrettante rimasero ferite nella stessa metropolitana a causa di una esplosione di gas.

 

Per la Radio Vaticana, Chiaretta Zucconi.

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Nel pieno dello sviluppo il dibattito internazionale sull’Iraq. Al vertice europeo di Bruxelles, ieri sera si è trovato finalmente un compromesso sull’atteggiamento dell’Unione nella crisi. I Quindici hanno siglato un documento in cui si ribadisce che l’Onu è il centro dell’ordine internazionale. Inoltre, si assicura l’impegno a lavorare con Washington per il disarmo dell’Iraq; si afferma che la forza dovrebbe essere usata solo quale ultima risorsa. L’Unione Europea ha anche avvertito Saddam Hussein che le ispezioni non dureranno ad oltranza. Da Bruxelles, Laura Forzinetti:

 

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Sulla decisione, che appare improntata a cercare a tutti i costi una soluzione pacifica prima di arrivare alla guerra, ha giocato la pressione psicologica di milioni di persone che nei giorni scorsi hanno sfilato per la pace. In direzione della soluzione pacifica devono aver pesato anche le parole di Kofi Annan. Il segretario generale delle Nazioni Unite è volato a Bruxelles per parlare con i leader politici e spiegare che, per il momento, il Consiglio di Sicurezza non ha giudicato l’atteggiamento dell’Iraq in disaccordo materiale con la risoluzione 1441. In sintesi, i Quindici sono d’accordo sul fatto di sostenere il Consiglio di Sicurezza e gli ispettori, sul continuare i controlli, anche se con un limite di tempo e sulla totale responsabilità dell’Iraq nel caso in cui si dovesse arrivare ad un conflitto. Agli statunitensi viene dato atto che la pressione militare ha esercitato il suo peso e si promette piena collaborazione per ottenere il totale disarmo dell’Iraq.

 

Da Bruxelles, per Radio Vaticana, Laura Forzinetti.

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Stati Uniti e Gran Bretagna, intanto, stanno lavorando al testo di una seconda risoluzione sull’Iraq, da presentare forse domani all’Onu. Ma la netta opposizione manifestata ieri dalla Francia dimostra che la crisi all’interno del Patto atlantico non è risolta, nonostante l’accordo raggiunto dai Paesi membri della Nato per pianificare l’assistenza militare alla Turchia in caso di guerra. Il servizio da New York:

 

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Il nuovo testo di Washington e Londra dovrebbe riconoscere che Baghdad ha violato le prescrizioni del Palazzo di Vetro, stabilendo forse un’ultima scadenza per il disarmo. A quel punto se Saddam Hussein non obbedisse con atti concreti, si aprirebbe la strada all’intervento militare. Parigi, però, ha ribadito di essere contraria a qualunque nuova risoluzione in questo momento, perché gli ispettori non hanno completato il lavoro ed esistono ancora margini per una via d’uscita diplomatica alla crisi. La Francia ha il potere di veto nel Consiglio di Sicurezza e quindi, se mantiene questa posizione ferma, condivisa anche da Russia, Cina e Germania, la risoluzione anglo-americana è destinata a non passare. La Casa Bianca sta cercando di convincere gli oppositori o, quanto meno, di aumentare il sostegno per la sua linea al Palazzo di Vetro, ma, se non raggiungerà questo obiettivo, Bush potrebbe essere costretto a decidere l’intervento con i Paesi che attualmente appoggiano la linea americana. L’Iraq, intanto, ha fatto una nuova concessione, permettendo ieri il primo volo di un aereo spia U2.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Secondo il quotidiano israeliano “Haaretz” di oggi, il sottosegretario di Stato americano, John Bolton, nel corso di un colloquio avuto ieri col premier israeliano Ariel Sharon, avrebbe detto di non dubitare che gli Stati Uniti attaccheranno l'Iraq. Alla Siria - avrebbe aggiunto - sarà data la possibilità di dimostrare di sapersi comportare in modo degno di un membro della comunità internazionale. Poi, il problema della Corea del Nord – avrebbe ancora affermato Bolton - non è stato accantonato dagli Stati Uniti, ma solo rinviato. Frattanto, Pyongyang ha espresso la volontà di risolvere pacificamente la crisi legata all’avvio del programma nucleare. Ma la tensione con Washington non si è comunque placata: da un lato, gli Stati Uniti hanno annunciato manovre militari congiunte con la Corea del Sud, per evitare possibili aggressioni; dall’altro, la Corea del Nord ha minacciato di revocare l’armistizio in atto dal 1953, se il Pentagono rafforzerà ancora il suo contingente nella regione.

 

Il ministro israeliano della difesa, Shaul Mofaz, ha revocato oggi la chiusura dei Territori, imposta una settimana fa dopo che i servizi di sicurezza israeliani avevano ricevuto informazioni sull’imminenza di gravi attentati. Per la parte palestinese, intanto, si avvicina la nomina di un primo ministro: le ultime voci sembrano accreditare Abu Mazen, numero due dell’Autorità nazionale palestinese, che potrebbe essere nominato già nelle prossime ore. Intanto la diplomazia internazionale torna al lavoro per cercare di riavviare il dialogo tra le parti.

 

Dopo tre mesi di lotta dura, sfociata in numerosi episodi di sangue, il Venezuela cerca oggi di voltare pagina. Governo ed opposizione firmeranno infatti questo pomeriggio la “Dichiarazione contro la violenza, per la pace e la democrazia”: un passo necessario, in vista di una possibile intesa su nuove elezioni. L’accordo – di cui non sono ancora noti i termini – è stato reso possibile dal lavoro di numerosi mediatori: l’Organizzazione degli Stati americani, il Programma dell’Onu per lo sviluppo, il Gruppo allargato di Paesi amici del Venezuela ed il Centro Carter, vincitore del premio Nobel per la pace.

 

Ultimatum dell’opposizione boliviana al capo dello Stato: se entro 14 giorni Sanchez de Lozada non attuerà una serie di misure concrete, riprenderanno le proteste per costringerlo a dimettersi. Intanto, il governo ha ritirato il pacchetto fiscale che aveva fatto esplodere le violenze di piazza: la riduzione del deficit verrà perseguita attraverso il taglio delle spese statali. Mentre è allo studio una riforma dei ministeri, che ne ridurrebbe il numero, lo stesso presidente ha accettato di azzerarsi lo stipendio, in segno di buona volontà.

 

Il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, presenterà un nuovo piano per la riunificazione dell’isola di Cipro. La notizia è data per certa dal premier turco Abdullah Gul. Parlando a una conferenza stampa a Bruxelles, dopo un incontro con Annan, Gul ha espresso la sua speranza che tutte le parti in questione siano soddisfatte dalle nuove proposte del leader del Palazzo di Vetro, senza però specificare in che cosa consista il piano, che dovrebbe essere presentato, nel corso del viaggio di Annan in Turchia, la prossima settimana.

 

 

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