RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 47 - Testo della Trasmissione di domenica 16 febbraio 2003 

 

Sommario   

                                                   

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La nascente Costituzione europea rifletta le comuni radici cristiane del Continente. Così il Papa all’Angelus di questa mattina, in Piazza San Pietro

 

 Il possibile conflitto in Iraq e la posizione del mondo islamico: ne parliamo con l’arcivescovo Michael Fitzgerald, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Il film britannico “In this world” si aggiudica l’Orso d’Oro alla 53.ma edizione del Festival di Berlino

 

 Il dramma dei bambini e delle donne congolesi, vittime della guerra, nell’esperienza medico-psicologica di un Centro di recupero. Intervista con la fondatrice, Colette Kitoga

 

Mostra fotografica, dedicata all’Afghanistan e al Pakistan: si intitola “Con la cenere negli occhi”. Ai nostri microfoni, l’autore, il giornalista Francesco Fossa

 

McLuhan, il celebre teorico del “Villaggio globale”, e la sua conversione al cattolicesimo raccontati in un libro. Con noi, il prof. Giampiero Gamaleri.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Maratona negoziale della Nato per ricomporre la frattura sulla protezione turca in caso di guerra all’Iraq

 

Milioni di persone ieri hanno manifestato per la pace in 70 Paesi del mondo. Cortei anche a Baghdad e nei Territori palestinesi

 

 Le organizzazioni di solidarietà mobilitatesi a Ginevra per pianificare l’intervento umanitario in Iraq

 

 Anche i vescovi del Cile schierati a favore della pace in un documento della Conferenza episcopale

 

 Elezioni presidenziali in Cipro, mezzo milione di cittadini alle urne.

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

16 febbraio 2003

                

 

LA FEDELTA’ ALLE RADICI CRISTIANE DEL PASSATO

ACCANTO ALLA LAICITA’ DELLA NUOVA UNITA’ EUROPEA,

PER CONSENTIRE AL CONTINENTE DI PROMUOVERE LA GIUSTIZIA E LA PACE MONDIALI

 

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

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Il cristianesimo è la cifra spirituale europea. Sul suo basamento poggiano le fondamenta del Continente che, per poter essere promotore di giustizia e di pace nel mondo, deve restare unito “sui valori del proprio passato”, a partire dalla nuova Costituzione che sta prendendo forma. All’Angelus di oggi, in Piazza San Pietro, davanti ad alcune migliaia di persone radunatesi sotto la finestra del suo studio, Giovanni Paolo II è tornato su un tema recentemente oggetto di ripetuti appelli e considerazioni.

 

Sono due le figure - di cristiani, di pastori, di uomini di cultura - che racchiudono in sé e nella loro opera il nucleo dell’identità dell’Europa: i suoi patroni, i Santi Cirillo e Metodio, festeggiati lo scorso 14 febbraio. “Caratteristica del loro apostolato - ha ricordato il Papa - fu di mantenersi sempre fedeli sia al Romano Pontefice che al Patriarca di Costantinopoli, rispettando le tradizioni e la lingua delle genti slave. Li animava un profondo senso della Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica, mentre l'invocazione di Gesù "ut unum sint" costituiva la loro divisa missionaria”. Ma non solo:

 

“L'eredità dei santi Cirillo e Metodio è preziosa anche sotto il profilo culturale. La loro opera contribuì, infatti, al consolidarsi delle comuni radici cristiane dell'Europa, radici che con la loro linfa hanno impregnato la storia e le istituzioni europee”.

 

Sul loro esempio, dunque - ha ribadito ancora una volta il Pontefice – non solo i cristiani di Oriente e di Occidente “possano ricostruire la piena unità tra loro”, ma quell’accento religioso, antico quanto la storia del continente, sia riflesso anche nelle carte che oggi stanno codificando i principi politici dell’Unione:

 

“Proprio per questo è stato chiesto che nel futuro Trattato costituzionale dell'Unione Europea non si manchi di far spazio a questo patrimonio comune dell'Oriente e dell'Occidente. Un simile riferimento non toglierà nulla alla giusta laicità delle strutture politiche, ma, al contrario, aiuterà a preservare il Continente dal duplice rischio del laicismo ideologico, da una parte, e dell'integralismo settario, dall'altra”.

 

“Uniti sui valori e memori del proprio passato - ha concluso Giovanni Paolo II - i popoli europei potranno svolgere appieno il loro ruolo nella promozione della giustizia e della pace nel mondo intero”. Nei saluti in quattro lingue, al termine della preghiera mariana, il Papa si è rivolto ai pellegrini spagnoli, londinesi, sloveni e italiani, tra i quali i soci veneti e friulani dell’Associazione Nazionale Granatieri di Sardegna.

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I RISCHI DELLE REAZIONI DEL MONDO MUSULMANO

DI FRONTE AD UN EVENTUALE CONFLITTO IN IRAQ E L’IMPEGNO DELLE RELIGIONI

PER LA PACE: INTERVISTA CON MONS. MICHAEL FITZGERALD

 

- Servizio di Carla Cotignoli -

 

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Da più parti, in questo tempo di incertezza e paura per i venti di guerra in Iraq, c’è chi è ritornato a parlare del rischio di uno scontro di civiltà tra Occidente e Islam. Dopo la giornata interreligiosa per la pace di Assisi del 24 gennaio 2002, rappresentanti delle diverse religioni si sono incontrati recentemente in Vaticano per approfondire quali siano le “risorse spirituali delle religioni per la pace”. Sono state prese in esame le sacre scritture delle diverse religioni, tra le quali cristianesimo, ebraismo, islam, buddismo, induismo, sikhismo. Sono state studiate non solo le pagine che parlano di pace, ma anche quelle che possono dare adito a interpretazioni di conflitto. E’ stata ribadita l’urgenza del dialogo a tutti i livelli tra le comunità delle diverse religioni. C’è stato un intenso scambio di testimonianze dell’impegno per la pace in atto in molti punti caldi del mondo.

 

Sulle gravi ripercussioni nei rapporti tra cristiani e musulmani, che potrebbero nascere da un eventuale conflitto in Iraq, e sull’impegno per la pace delle religioni, si sofferma, al microfono di Carla Cotignoli, l’arcivescovo Michael Fitzgerald, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso.

 

R. - Non è una guerra contro l’islam, ma credo rischi di essere interpretata in questo senso dalle popolazioni di diversi Paesi a maggioranza musulmana, specialmente nel Medio Oriente, ma non solo. Inoltre, vi potrebbero essere rappresaglie contro i cristiani, che sono considerati come gli alleati delle potenze occidentali.

 

D. - Mons. Fitzgerald, dal suo osservatorio privilegiato, può dire che siano in atto iniziative di pace tra le comunità delle diverse religioni nel mondo?

 

R. – Si. Ad esempio, nell’ultimo giorno dell’incontro interreligioso in Vaticano, abbiamo avuto delle testimonianze. Una persona della cattedrale anglicana di Coventry, in Inghilterra, subito dopo la guerra, quando questa Cattedrale è stata bombardata, ha cominciato un ministero di riconciliazione e questo ministero non è soltanto tra cristiani, ma anche si estende, per esempio, nei Paesi balcanici alle comunità musulmane. Abbiamo avuto anche un’altra testimonianza di un buddista della None Peace Foundation, che dà premi per la pace non soltanto a buddisti, ma anche a diversi organismi religiosi: siano essi buddisti, indù, cristiani, musulmani, purché operino per la pace. E’ un incoraggiamento perché essa venga costruita. Ci sono diverse iniziative e sono stati creati diversi consigli interreligiosi in Sierra Leone, che hanno fatto un buon lavoro per avvicinare le diverse comunità di questo Paese che è stato in guerra. La stessa cosa avviene a Sarajevo, in Bosnia. So che i capi musulmani, ebrei, ortodossi e cattolici si incontrano e vogliono partecipare e condividere la loro intesa anche a livelli dei sacerdoti, degli himam, dei rabbini nel paese. Si potrebbe anche parlare di altre iniziative nelle Filippine, o nel Pakistan. Si tratta di iniziative che si sforzano di tenere unite insieme le diverse comunità.

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OGGI IN PRIMO PIANO

16 febbraio 2003

 

 

“IN THE WORLD”, FILM SUL SOGNO OCCIDENTALE DI DUE PROFUGHI ORIENTALI, VINCITORE DELL’ORSO D’ORO AL 53.MO FESTIVAL DI BERLINO

- Servizio di Giovanni Maria Del Re -

 

L’odissea di due profughi afghani all’inseguimento del loro sogno di libertà: la storia raccontata dal film “In this world”, opera del regista inglese Michael Winterbottom, è risultata la più gradita alla giuria del 53.mo Festival del cinema di Berlino, che ha premiato il film con l’Orso d’Oro. Orso d’argento come migliore protagonista femminile è andato ex aequo alle tre attrici Nicole Kidman, Meryl Streep e Julianne Moore, per la loro interpretazione in “The Hours”. Miglior attore Sam Rockwell.

 

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“In this world” è un film che, fin dall’inizio del Festival, aveva destato molta impressione, candidandosi alla vittoria dell’Orso d’Oro. In effetti, il film ha conquistato e commosso la platea, che aveva a lungo applaudito dopo la prima proiezione per l’intensità di quella che, oltretutto, è una storia vera. La storia racconta di due profughi afghani, Jamal e Anayatollah, che cercano asilo in Gran Bretagna e affrontano un lunghissimo viaggio. Il regista racconta, passo dopo passo, l’autentica odissea che i due affrontano attraverso Iran, Turchia, Italia e Francia, e le mille peripezie che spesso mettono a repentaglio la loro stessa vita.

 

Winterbottom non ha mai fatto mistero di aver girato questo film, anche e soprattutto, per risollevare l’attenzione del pubblico su questa tragedia afghana. Una tensione troppo presto sgonfiatasi, per l’incalzare di altre grandi crisi. Il film è piaciuto soprattutto per la grande capacità di documentare senza essere documentario, e dunque di raccontare una storia vera con spazio anche ad elementi di finzione, che però consentono allo spettatore di entrare nell’intimo di questi due sventurati profughi, di dare uno sguardo dietro a quanto ci avevano raccontato i grandi titoli dei giornali.

 

Da Berlino, per la Radio Vaticana, Giovanni Maria Del Re.

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RESTITUIRE ALLA VITA I FIGLI DELLA VIOLENZA:

L’ESPERIENZA MEDICO-PSICOLOGICA DI UN CENTRO SPECIALIZZATO

NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

- Intervista con Colette Kitoga -

 

Bambini vittime di traumi, come lo sterminio violento della propria famiglia. Minorenni con un fucile tra le mani, ai quali è stato ordinato di combattere una guerra di cui non sanno nulla. Oppure donne, ma anche bambine, cadute nella barbarie dello stupro sistematico. Squarci di drammi ai quali, dal 1999, tenta di rispondere e di portare aiuto il centro Mater Misericordiae, che sorge a Bukavu, nella Repubblica democratica del Congo, nel cuore della martoriata regione del Kivu. Il Centro è stato fondato ed è diretto da Colette Kitoga, medico-chirurgo e psicoterapeuta, laureatasi in Italia all’Università Cattolica di Roma. Colette, assieme ai suoi collaboratori, lavora sulle vittime del conflitto che dal 1996 sta sconvolgendo il Paese. Francesca Sabatinelli l’ha intervistata:

 

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R. - Le persone di cui ci occupiamo sono tutte vittime della guerra. L’85 per cento è formato dai bambini: ad esempio, bambini che hanno assistito all’uccisione dei genitori. Ci sono anche bambini che hanno assistito alla sepoltura di persone vive, bambine che sono state stuprate in tenera età... Si tratta quindi di minori segnati. Tra i nostri assistiti vi sono dei bambini soldato, e ci occupiamo anche delle donne stuprate: sono tantissime, perché lo stupro è utilizzato come arma di guerra. Nell’est del Congo, si usano uomini sieropositivi o con Aids conclamato: è considerato in realtà un’arma biologica ...

 

D. - Chi sono i responsabili di tutto questo?

 

R. - I soldati di Rcd, che sono rwandesi, ma anche congolesi: i cosiddetti ‘ribelli’, ma noi non sappiamo bene chi sia ribelle...

 

D. - Cosa sta accadendo nel suo Paese?

 

R. - La guerra ha trasformato la mia società. Temo che, se ci sarà la pace, vi saranno anche delle vendette. Ci sono persone che girano indisturbate, avendo ucciso e continuando ad uccidere. Ci sono questi dell’esercito tutsi - tutsi rwandesi - venuti in Congo. C’è poi l’esercito degli hutu, sparso nelle campagne congolesi ad est. Vi sono i superstiti dell’esercito di Mobutu, e poi ancora i congolesi che si sono ribellati all’arrivo dei rwandesi e ai massacri da essi compiuti ed hanno detto basta. E ancora, i giovani che si sono ritirati nella foresta ed hanno formato l’esercito della resistenza partigiana. C’è un banditismo diffuso...

 

D. - E’ possibile pensare ad una guarigione, soprattutto per quanto riguarda i bambini?

 

R. - Una guarigione completa, ahimé, non so se sia possibile. Comunque, abbiamo la speranza che questi piccoli riusciranno almeno a vivere una vita quasi normale, perché dopo tre anni e mezzo riesco a vedere un miglioramento. Queste persone non ridevano: adesso cominciano a sorridere. E’ già un buon segno...

 

D. - Come lavorate per recuperare queste persone?

 

R. -  Abbiamo due ambulatori: uno di medicina generale ed uno di psicoterapia. Curiamo tutte le malattie normali che si trovano nella zona, ma poniamo un accento maggiore sulla psicoterapia. Questi bambini guariranno un giorno? Non si sa. La loro guarigione completa dipende dal ritorno dei loro genitori, ma questo non è possibile: quindi una loro guarigione completa non credo possa ritenersi facile o probabile. Credo, però, che si riuscirà comunque a dare loro un’esistenza la più somigliante possibile ad una normale. La cosa che abbiamo cercato di fare, fin dall’inizio, è stata di consegnarli a famiglie affidatarie, in modo che questi bambini possano crescere in famiglie nelel quali esista una figura paterna ed una figura materna. Cerchiamo soprattutto di affidarli a famiglie che abbiano un qualche legame con la famiglia del bambino stesso, e se non c’è un legame familiare, che almeno siano della stessa tribù, in modo che il bambino non si senta perso, ma ritrovi sempre gli usi ed i costumi della sua tribù.

 

D. - Quanto è stato difficile e quanto è difficile riuscire ad avere la loro fiducia?

 

R. - E’ un’impresa davvero! E’ stato molto difficile all’inizio. Parlavo loro e non mi guardavano mai. Sembrava che parlassi al muro. Poi, un giorno ho sorpreso due bambini che parlavano tra di loro. Non mi avevano vista, e dicevano: “Gli adulti sono cattivi, fanno la guerra, uccidono. Poi, ci prendono in giro dicendoci che ci vogliono bene!”. Ho riunito il gruppo dei bambini che erano al Centro quel giorno ed ho chiesto perdono a nome di tutti gli adulti. E da quel giorno i bambini hanno cominciato ad avere fiducia in me.

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“CON LA CENERE NEGLI OCCHI”:

A ROMA, MOSTRA FOTOGRAFICA SULL’AFGHANISTAN E IL PAKISTAN

- Intervista con Francesco Fossa -

 

Trentasei istantanee, di visi soprattutto, che raccontano la vita quotidiana in Afghanistan e Pakistan durante la guerra, all’indomani dell’11 settembre, quando i riflettori del pianeta scrutavano quella parte del mondo. Sono le immagini della mostra fotografica del giornalista Francesco Fossa, intitolata “Con la cenere negli occhi”, in corso fino al 20 febbraio nella Sala Giubileo di Palazzo Valentini a Roma. “Sono fotografie nate dall’esigenza di immortalare quei particolari che mi avevano colpito e che nemmeno l’operatore televisivo più bravo era in grado di cogliere”, ha osservato l’autore, intervistato da Dorotea Gambardella:

 

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(musica)

 

“Quando Allah ebbe fatto il resto del mondo, vide che gli era rimasta una quantità di materiale di scarto che non si adattava a nessun posto. Raccolse tutti questi residui e li gettò sulla terra. E quello fu l’Afghanistan”. Recita così una didascalia tratta dal libro “Talebani” di Ahmed Rashid e scelta da Francesco Fossa per la sua mostra intitolata “Con la cenere negli occhi”. Per pochi Paesi al mondo come per l’Afghanistan vale l’affermazione che è la geografia a determinare la storia, la politica, la natura di un popolo. Il Paese orientale è uno dei corridoi del mondo: crocevia di religioni, di civiltà, di imperi, di razze, di arti. Una miniera di storia umana, sepolta nella terra di Mazar-i-Sharif, Kabul, Kunduz, Herat e Balkh. Da Alessandro il Macedone ai mongoli, ai russi, agli inglesi nell’800, questa terra è sempre stata la posta di un gran gioco. Basta guardare Kabul e ciò che ne è rimasto: la Fortezza è una maceria, il fiume un rigagnolo fetido di escrementi e spazzatura, il baazar una distesa di tende e baracche. I mausolei, le cupole, i templi sono sventrati. Il primo bombardamento nella storia dell’aviazione inglese, nel 1919, colpì Kabul e sulla popolazione civile. Secoli, prima, gli afghani avevano conosciuto una memorabile vendetta di Gengis Khan, quando i mongoli sgozzarono ogni essere umano e sradicarono tutti gli alberi e le piante. Al loro posto per centinaia d’anni, i grandi Buddha scolpiti nella roccia, ma già spogli dell’oro originale che li ricopriva, hanno avuto la definitiva distruzione ad opera dei talebani: una vendetta contro la “comunità internazionale” che si rifiutava di riconoscerli come i legittimi governanti dell’Afghanistan. Oggi non vi è più nulla, solo desolazione e polvere. La stessa che vela gli occhi dei volti immortalati dagli scatti di Fossa.

 

R. - Si tratta per lo più di persone ritratte nel loro vivere quotidiano, che spesso ti guardano con occhi velati. Questo velo non è soltanto metaforico, è anche reale. Chi è stato in Afghanistan, o nelle zone del nord del Pakistan, sa che c’è sempre nell’aria questo pulviscolo, sottile come cipria, che ti disturba, è sempre con te e filtra tutto. Probabilmente si sedimenta anche nell’anima di queste persone, attraverso poi le esperienze tragiche che queste popolazioni hanno vissuto nei secoli.

 

D. - La didascalia di una foto recita che oggi 70 bambini su 100 in Afghanistan non si fidano più degli adulti. Perché?

 

R. - Non c’è bambino afghano che non abbia vissuto un lutto. Quindi, ci sono famiglie che sono rette da mamme, oppure dove il capo famiglia è un mutilato di guerra. I bambini giocano, ma sono anche costretti ad aiutare dove manca l’uomo, il capo famiglia. Quindi, sono costretti ad inventarsi subito grandi, in una realtà dove il quotidiano è una sopravvivenza. Immagino che in queste condizioni si faccia fatica poi ad avere fiducia in chi invece dovrebbe coccolarti o proteggerti. 

 

D. - Tu sei un giornalista televisivo: che cosa ti ha spinto a scattare queste foto?

 

R. - Ho cominciato ad usare la macchina fotografica quando mi sono reso conto che anche se lavoravo con il più sensibile, il più bravo degli operatori di ripresa, spesso non riuscivo a cogliere quel dettaglio che mi aveva colpito. E quindi la fotografia è stata un’esigenza, una spinta a voler cogliere per il mio archivio intimo quelle situazioni che andavo a vivere.

 

(musica)

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IN UN LIBRO, L’ESPERIENZA RELIGIOSA

E LA CONVERSIONE AL CATTOLICESIMO DI MARSHALL MCLUHAN,

L’INVENTORE DEL “VILLAGGIO GLOBALE”

- Intervista con il prof. Giampiero Gamaleri -

 

Escono in Italia le riflessioni sulla religione del massmediologo canadese Marshall McLuhan, celebre in tutto il mondo per i suoi studi sulla comunicazione e per aver formulato la teoria del “villaggio globale”. Nel libro La luce e il mezzo, pubblicato da Armando Editore, sono raccolte lettere personali e interviste che raccontano l’avventura della sua conversione dal protestantesimo al cattolicesimo e, più in generale, il suo approccio al cristianesimo. Ma qual è il cuore della riflessione di McLuhan sulla religione? Debora Donnini lo ha chiesto a Giampiero Gamaleri, docente di comunicazioni di massa, che ha curato la prefazione del libro.

 

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R. - Credo che i momenti sacramentali, che McLuhan non menziona mai esplicitamente, siano quelli sui quali lui ha più appuntato la sua attenzione: quelli nei quali la comunicazione con Dio, per esempio attraverso l’Eucaristia, diventa poi comunicazione tra i fratelli. E questo senso della comunicazione della Chiesa come esperienza vitale è quello che ha colpito McLuhan e che ha segnato il suo passaggio. La sua conversione al cristianesimo e al cattolicesimo passa attraverso una esperienza di comunità.

 

D. - Il celebre motto di McLuhan “il mezzo è il messaggio” vuol dire che i mezzi di comunicazione cambiano la società molto più del loro stesso contenuto. Questa affermazione di McLuhan, prof. Gamaleri, come viene applicata al cristianesimo?

 

R. - Se il cristianesimo è un’esperienza vitale, se il cristianesimo significa praticamente una sequela a Cristo, come è stato per gli apostoli lasciar tutto e andare con lui, ecco che il mezzo per gli apostoli era semplicemente percorrere una strada con i sandali, nella sabbia, dietro di Lui. Il mezzo era seguirlo dietro la barca quando andavano a pescare. Questo era il mezzo, ed era il messaggio. Tanto è vero che gli apostoli il messaggio l’hanno capito molto più tardi, dopo essere stati fedeli al mezzo per tanto tempo, che era semplicemente convivere con Gesù. In questo senso credo che la Chiesa, anche nel Concilio Vaticano II, di cui significativamente McLuhan è stato uno dei consultori, abbia tracciato delle strade molto importanti per far capire come, ad esempio, tutta l’esperienza liturgica parli di per sé. Che cosa significa? Significa che il mezzo per arrivare all’esperienza religiosa passa attraverso la gestualità, la vita, e questo diventa poi messaggio.

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CHIESA E SOCIETA’

16 febbraio 2003

 

 

 

CON UNA RIUNIONE STRAORDINARIA DEL COMITATO MILITARE DELLA NATO

È RIPRESA OGGI LA MARATONA NEGOZIALE AL QUARTIER GENERALE DI BRUXELLES

PER SBLOCCARE LO STALLO SUGLI AIUTI MILITARI ALLA TURCHIA

 

BRUXELLES. = Riunione domenicale per la Nato, oggi, al quartier generale di Bruxelles nel tentativo di sbloccare lo stallo sugli aiuti militari alla Turchia. L’obiettivo strategico dell’Alleanza è quello di trovare una formula di compromesso che aggiri, con il consenso anche di Parigi e Berlino, il veto franco-tedesco sulle difese da garantire alla Turchia in caso di guerra all’Iraq. All’incontro, non partecipa la Francia, ma la novità è la proposta di compromesso avanzata dal Belgio, che si è unito ai governi di Parigi e Berlino nel veto alla decisione di avviare i piani militari per la difesa della Turchia. La proposta del premier belga, Guy Verhofstadt, subordina la concessione di questi aiuti al fatto che la Nato precisi che essi saranno unicamente di natura difensiva e che non implicano una qualche partecipazione dell'Alleanza alla guerra contro l'Iraq. La soluzione che sembra profilarsi è quella di pianificare l'invio in Turchia di missili Patriot, aerei-radar Awacs e unità per la difesa chimica e batteriologica sulla base di misure bilaterali. Allo studio, è un particolare meccanismo decisionale che consenta, soprattutto a Parigi, di realizzare una sorta di quadratura del cerchio: sbloccare la Nato senza controfirmare l'avvio di una pianificazione militare in Turchia. (A.L.)

 

 

IN PIÙ DI 600 MANIFESTAZIONI PER LA PACE, I COLORI DELL’ARCOBALENO

HANNO AVVOLTO OLTRE 70 PAESI DEL MONDO

CONTRO L’IPOTESI DI UNA GUERRA IN IRAQ

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

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ROMA. = In oltre 70 Paesi del mondo, ieri, milioni di persone hanno manifestato per le strade contro un eventuale intervento militare in Iraq. Lo hanno fatto scegliendo un’arma su tutte: i colori dell’arcobaleno. E’ stata la più grande catena umana per la pace che si sia mai svolta, soprattutto in Europa. “La Cnn ha detto che in tutto il mondo stanno manifestando per la pace 110 milioni di persone: una cifra che neanche noi ci saremmo immaginati”. Con questo annuncio, lo speaker di Piazza San Giovanni ha fatto esplodere ieri un lungo applauso tra la folla presente a Roma per l’appuntamento pacifista. “No alla guerra senza se senza ma. Fermiamo la guerra in Iraq”, recitava il grande striscione che ha aperto il corteo promosso dal Forum sociale europeo, che ha dichiarato il 15 febbraio “Giornata europea contro la guerra”. Una sentita e fortemente simbolica manifestazione per la pace si è svolta a New York, a poche centinaia di metri dalla sede dell’Onu. A Baghdad, sono sfilati due cortei, per un totale di un milione di partecipanti, secondo le fonti ufficiali. L'entità della mobilitazione è stata confermata da immagini diffuse dalla televisione irachena, che dalle prime ore del pomeriggio ha trasmesso le riprese dei cortei in altre capitali. Circa un milione persone si è radunato ad Hide Park, a Londra. A Parigi, i dimostranti si sono riuniti nella Piazza della Bastiglia, dove il connubio delle parole pace e libertà ha accompagnato lo sventolio di migliaia di bandiere. A Berlino, oltre 500 mila persone hanno formato due cortei, partiti uno da est e l’altro da ovest, che si sono riuniti nel centro della città. Si è trattato della più grande protesta, in Germania, dalla caduta del Muro. Nei Territori palestinesi, centinaia di persone hanno marciato per le strade di Ramallah, malgrado la pioggia battente ed il freddo. Manifestazioni di protesta contro un’eventuale guerra in Iraq si sono svolte anche a Tel Aviv, in Israele. Ed anche oggi più di 200 mila persone hanno manifestato a Sydney dando inizio ad una seconda giornata di proteste. (A.L.)

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NEL CLIMA DI CRISI LEGATO ALLE TENSIONI NEL GOLFO PERSICO,

SI È SVOLTA IERI POMERIGGIO A GINEVRA LA CONFERENZA SULL’IRAQ. 

LE DELEGAZIONI DEI PAESI PARTECIPANTI HANNO DISCUSSO SULLA PREVENZIONE

DELLA CATASTROFE UMANITARIA IN CASO DI CONFLITTO

 


GINEVRA. = Sull’onda della crisi irachena si è riunita, ieri pomeriggio a Ginevra, la conferenza umanitaria dedicata alla crisi del Golfo Persico. Diversi esponenti della comunità internazionale si sono concentrati sulla prevenzione della catastrofe umanitaria che il conflitto provocherebbe. Alla Conferenza, organizzata dalla Svizzera, non hanno partecipato gli Usa ed intorno al tavolo di coordinamento sono intervenuti anche i 21 rappresentanti delle organizzazioni internazionali invitate. Anche l’Iraq non ha partecipato alla Conferenza perché, secondo i promotori elvetici, avrebbe politicizzato l’avvenimento. La conferenza di Ginevra ha anche cercato di definire le modalità di coordinamento e di intervento della comunità internazionale sul piano umanitario. All’incontro hanno partecipato i delegati dei quattro Paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, Francia, Cina e Russia e Gran Bretagna, gli Stati confinanti con l’Iraq, Iran, Giordania, Kuwait, Siria, Arabia Saudita, Turchia e la Grecia, che attualmente detiene la presidenza di turno dell’Unione Europea. Presenti anche le principali organizzazioni internazionali, tra cui le agenzie delle Nazioni Unite, la Federazione Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa. (A.L.)

 

 


I VESCOVI CILENI SCHIERATI A FAVORE DELLA PACE,

CONTRO L’INSENSATEZZA DELLA GUERRA. LA CRISI IRACHENA AFFRONTATA IN UN DOCUMENTO DELLA CONFERENZA EPISCOPALE LOCALE

 

SANTIAGO. = “Di fronte all’inquietante minaccia di una guerra in Iraq, la Chiesa cilena è in piena sintonia con il Santo Padre e ne condivide le iniziative volte alla difesa della pace”. Inizia così il documento ufficiale della Conferenza episcopale cilena, intitolato Vogliamo un mondo di pace e pubblicato mercoledì scorso. “La Chiesa è consapevole che un conflitto tra Stati Uniti ed Iraq minerebbe la stabilità a livello mondiale, alimentando una spirale di violenza dalle conseguenze imprevedibili”, spiegano i vescovi. “Urge pertanto annunciare il Vangelo della pace ad una umanità fortemente tentata dall’odio e dalla violenza. Ciò vuol dire non rassegnarsi ad una guerra inevitabile, anche perché il Papa insiste a riconoscere nell’altro un fratello che va amato senza condizioni. Solo il cammino del dialogo e della riconciliazione porta alla pace”. Per ottenere questo risultato, sostengono i presuli cileni, “dobbiamo chiedere ai rappresentanti del popolo di farsi interpreti della nostra volontà di fronte al Consiglio delle Nazioni Unite. Al tempo stesso rivolgiamo un appello a tutti i fedeli e alle persone di buona volontà: uniamoci in preghiera con il Santo Rosario”. Il documento chiude con un invito: “Manifestiamo pubblicamente la nostra adesione alla pace, attraverso le forme e le iniziative più varie, frutto della fantasia di ciascuno”. (A.L. – D.D.)

 

 

QUASI MEZZO MILIONE DI CIPRIOTI OGGI ALLE URNE

PER ELEGGERE IL NUOVO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

NICOSIA. = Quasi mezzo milione di ciprioti hanno cominciato ad affluire alle urne, questa mattina, per eleggere il presidente della Repubblica: un nuovo capo di Stato che avrà il cruciale incarico - prima dell'adesione di Cipro all'Unione Europea prevista per l'anno prossimo - di negoziare una riunificazione dell'isola, divisa dal 1974 in seguito ad un'invasione militare turca. Il voto dei 480 mila aventi diritto potrà spaziare in una lista di dieci candidati. Tra i favoriti, oltre al presidente uscente Glafcos Clerides, vi è Tassos Papadopoulos, leader della coalizione di opposizione di centrosinistra. Se al primo turno nessuno raggiungerà il 50 per cento dei voti più uno, andranno al ballottaggio - il prossimo 23 febbraio - i due candidati che avranno ottenuto più voti. Le urne chiudono alle 21 di questa sera. Clerides, leader storico della destra cipriota, è considerato tra i più quotati per portare a termine i colloqui con il leader turco cipriota Rauf Denktash sulla riunificazione. Dopo l'invasione turca del 1974, l'isola di Cipro è divisa in due zone, con quella a nord sotto controllo turco. (A.L.)

 

 

 

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