RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 46 - Testo della
Trasmissione sabato 15 febbraio 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
Ricevuti dal Papa, in visita ad Limina, i
vescovi di Gambia, Liberia e Sierra Leone, Guinea Equatoriale e Guinea Conakry.
OGGI IN PRIMO PIANO:
A Roma e nel mondo
milioni di persone in piazza contro la guerra in Iraq.
CHIESA E
SOCIETA’:
Anche l’ Ong dei
salesiani, condanna un eventuale intervento militare in Iraq.
Si è aperta
oggi a Milano la Borsa Internazionale del turismo di scena.
Il primo risultato tangibile dopo la relazione, al
Consiglio di Sicurezza, dei capi ispettori per il disarmo iracheno è la
concessione di altre due settimane per proseguire nei controlli.
Yasser Arafat annuncia
la nomina di un primo ministro che lo affianchi alla guida del suo popolo.
Nella striscia di Gaza proseguono le violenze.
La guerriglia
colombiana insanguina il Paese con una serie impressionante di attentati e violenze.
In Congo-Brazaville è
allarme sanitario per una nuova epidemia di Ebola: oltre una cinquantina i
morti.
15 febbraio 2003
L’IMPEGNO PER LA PACE E LA RICONCILIAZIONE E LA
CENTRALITA’ DELLA
FAMIGLIA NELLA SOCIETA’ AFRICANA, TEMI FORTI
DEL DISCORSO
DI
GIOVANNI PAOLO II AI VESCOVI DI GAMBIA, LIBERIA E SIERRA LEONE,
RICEVUTI STAMANI AL TERMINE DELLA VISITA AD
LIMINA
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
**********
Il
“cammino della pace è sempre difficile”, ma con “l’impegno e la buona volontà”
è possibile costruire “una cultura di rispetto e dignità”. E’ la riflessione
offerta, stamani, da Giovanni Paolo II ai vescovi di Gambia, Liberia e Sierra
Leone, ricevuti al termine della Visita ad Limina. Il Papa ha messo
l’accento sulla difficile condizione in cui versano questi Paesi africani,
spesso teatro di sanguinosi conflitti. La Chiesa, ha detto, che “tanto ha
sofferto durante queste guerre deve mantenere una posizione forte per
proteggere coloro che non hanno voce”. I presuli, ha proseguito, sono allora
chiamati a “lavorare senza sosta per la riconciliazione” di cui devono essere
“testimoni autentici”, attraverso “gesti di solidarietà a sostegno delle
vittime di decenni di violenze”. Non ha poi mancato di rivolgere un pensiero
speciale ai milioni di rifugiati e sfollati della zona, vittime di guerre ma
anche afflitti da disastri naturali e da uno sviluppo socio-economico rivelatosi
spesso inadeguato.
Il Papa
si è quindi soffermato sulla centralità della famiglia nella cultura africana.
Sfortunatamente, ha constato, il Vangelo della vita “fonte di speranza e
stabilità” viene minacciato in questi Paesi dalla “diffusione della poligamia,
del divorzio, dell’aborto, della prostituzione” e da una cultura della
contraccezione. Proprio questi fattori, ha rilevato, “contribuiscono a
quell’immorale e irresponsabile attività sessuale” che porta alla diffusione
dell’Aids. Una pandemia che, non solo sta distruggendo la vita di tante
persone, ma minaccia la stabilità economica e sociale dell’intero continente.
Di qui, l’esortazione del Papa a “difendere la santità della famiglia e il suo
ruolo preminente nella società africana”. Un compito, ha avvertito, che non
richiede solamente l’educazione dei giovani, ma anche che la Chiesa sia sempre
in prima linea nel sostenere gli sforzi per promuovere un “autentico rispetto
della dignità e dei diritti delle donne”. Rivolgendo, inoltre, l’attenzione ai
rapporti tra comunità cristiane, religioni tradizionali e Islam, il Santo Padre
ha indicato la necessità di “un’attitudine di mutuo rispetto che sappia evitare
l’indifferenza religiosa e il fondamentalismo militante”.
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IN GESU’ CRISTO LA RISPOSTA ULTIMA
ALLE LEGITTIME ASPIRAZIONI DEL POPOLO
AL
RISPETTO DELLA SUA DIGNITA’ E DEI SUOI DIRITTI INALIENABILI.
COSI’
IL PAPA AI VESCOVI DELLA GUINEA EQUATORIALE
RICEVUTI
QUESTA MATTINA IN VISITA AD LIMINA
“Dedicare
le migliori energie per annunciare il Vangelo”. E’ questo il rinnovato invito
del Papa ai vescovi delle tre diocesi della Guinea Equatoriale ricevuti questa
mattina in visita ad Limina. Il piccolo Paese dell’Africa nord occidentale
conta poco più di 400 mila abitanti, per il 90 per cento cattolici. E’ al
135.mo posto nella scala mondiale dell’indice di sviluppo. Servizio di Carla
Cotignoli.
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Il
Santo Padre, sin dalle prime battute, ha dato voce alle legittime aspirazioni
del popolo della Guinea Equatoriale al “rispetto della sua dignità e dei suoi
diritti inalienabili”. Ed ha aggiunto: “Solo in Gesù Cristo potrà incontrare la
risposta ultima ai suoi interrogativi più profondi”.
Il Papa
non ha ignorato la storia passata che ha lasciato ”conseguenze dolorose i cui
effetti negativi – ha detto – attendono di essere sanati tanto nel campo
ecclesiale che sociale”. La Guinea equatoriale è infatti una ex colonia
spagnola che solo nel 1968 ha raggiunto l’indipendenza dando inizio ad un
difficile cammino verso la conquista dei diritti democratici. “Siate sempre
ministri di riconciliazione”, ha detto il Papa. “Il perdono – ha ricordato –
non è incompatibile con la giustizia”. E qui il Santo Padre ha esortato i
vescovi a valorizzare lo specifico ruolo dei laici, chiamati ad essere “fermento nella massa e a promuovere i
valori umani e cristiani in armonia con la realtà politica, economica e
culturale del Paese, per instaurare un ordine sociale sempre più giusto e
equo”.
Di
fronte poi alla scarsità di sacerdoti, Giovanni Paolo II ha incoraggiato i
vescovi a promuovere la pastorale vocazionale. Ha richiamato la loro
“responsabilità ineludibile” nell’accettare per l’ordinazione sacerdotale solo
i candidati animati “unicamente dal desiderio di seguire Gesù e non da
ambizioni ambigue o da interessi materiali”. Il Papa ha poi avuto parole di
riconoscimento verso i molti religiosi e religiose missionari di origine
spagnola che animano le molte opere assistenziali e di evangelizzazione.
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COLTIVARE IL DIALOGO CON I MUSULMANI E
CURARE LA SOLIDARIETA’ SOCIALE,
PER
PERMETTERE UNA PIU’ EFFICACE INCULTURAZIONE DEL VANGELO.
LO HA
DETTO IL PAPA AI VESCOVI DELLA GUINEA CONAKRY IN VISITA AD LIMINA
- A
cura di Alessandro De Carolis -
Uno Stato a maggioranza musulmana, con una piccola
comunità di cristiani che ha, tra i suoi imperativi, quello di “perseguire il
dialogo” con i fedeli dell’Islam della bontà e della misericordia di Dio, “nel
rispetto reciproco”. E’ questa una delle indicazioni principali data da
Giovanni Paolo II ai vescovi della Guinea Conakry, ricevuti questa mattina a
conclusione della loro visita ad Limina. Al Papa sono ben note le
difficoltà poste all’evangelizzazione in un Paese segnato da un’endemica
povertà, costretto nella morsa di un’economia stagnante e, viceversa, di una
speranza di vita tra le più basse del pianeta. Ma anche un Paese, ha osservato
il Pontefice, dove al predominio “di altre tradizioni religiose” si unisce
quello dell’isolamento geografico di alcune comunità difficili da raggiungere.
Ai presuli, dunque, Giovanni Paolo II ha raccomandato un’attenzione particolare
“all’inculturazione del messaggio evangelico”, riconoscendo nel contempo il grande
lavoro già svolto dalla Chiesa locale nel campo dell’educazione, della solidarietà,
della sanità e della promozione sociale. Il Papa ha anche invitato i cristiani
della Guinea ad impegnarsi nella vita politica del Paese, forti “di una formazione
dottrinale adeguata”. La minaccia delle sette religiose è stato un altro punto
delicato toccato dal Pontefice. Per arginarla, ha affermato, è necessaria
“un’attenzione rinnovata alla formazione dei catechisti”. Così come, ha
soggiunto, va difesa la visione cristiana del matrimonio e della famiglia dalla
pratica diffusa della poligamia.
Il Papa ha concluso esortando vescovi e clero all’unità
reciproca ed ha dedicato uno sguardo sollecito ai malati di Aids e ai rifugiati
provenienti dai Paesi limitrofi, sconvolti da conflitti intestini. “Vi esorto -
ha affermato Giovanni Paolo II - a offrire loro l’assistenza materiale e
pastorale necessaria”, come testimoni della carità di Cristo.
TELEGRAMMA DI CORDOGLIO DEL PAPA
PER LE
VITTIME DELL’ATTENTATO A NEIVA, IN COLOMBIA
- A
cura di Alessandro Gisotti -
Profondo cordoglio viene espresso da Giovanni Paolo II per
le vittime di un attentato terroristico, che ieri ha scosso la città colombiana
di Neiva, provocando 16 morti e decine di feriti. In un telegramma - a firma
del cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano - indirizzato al vescovo di
Neiva, mons. Ramon Dario Molina, il Pontefice esprime “riprovazione e ferma
condanna” per questo nuovo atto di terrore in Colombia che ha causato la morte
di “persone innocenti”. Queste azioni terroristiche, prosegue, “minano la
pacifica convivenza” e offendono i sentimenti del popolo colombiano, “contrario
alla violenza” e “amante della pace nella giustizia”. Mentre assicura la sua
vicinanza spirituale alle famiglie delle vittime, il Papa prega affinché i
feriti possano presto ristabilirsi. Al tempo stesso, esprime solidarietà alla
comunità ecclesiale di Neiva, cosi provata da questo doloroso evento. D’altro
canto, il Pontefice richiama i “responsabili di queste azioni esecrabili” a
recedere da un “cammino di distruzione e morte che non porterà mai al progresso
autentico del popolo della Colombia”.
COMPIERE OGNI POSSIBILE SFORZO PER GARANTIRE LA
PACE
E PER
RIPORTARE LA FIDUCIA IN CAMPO INTERNAZIONALE:
QUESTI
I PUNTI AL CENTRO DELL’INCONTRO DI OGGI TRA
IL
CARDINALE ROGER ETCHEGARAY E SADDAM HUSSEIN
- A
cura di Alessandro De Carolis -
Fare tutto il possibile perché la pace sia ristabilita e
insieme con essa la fiducia in tutto il consesso internazionale. E’ questa la
sostanza dell’importante e atteso incontro che stamattina, a Baghdad, ha visto
di fronte il presidente iracheno, Saddam Hussein, e l’inviato di Giovanni Paolo
II nello Stato mediorientale, il cardinale Roger Etchegaray. Il colloquio è
iniziato questa mattina molto presto, alle 6.30 ora locale, le 7.30 in Italia,
e si è protratto a lungo. Dopo l’udienza di ieri, concessa dal Papa al vicepremier
iracheno Tarek Aziz - oggi ad Assisi, appuntamento del quale vi riferiremo più
avanti – un nuovo passo distensione è stato compiuto, come conferma ai nostri
microfoni lo stesso cardinale Etchegaray, raggiunto telefonicamente a Baghdad
dal collega della nostra redazione francese, Jean-Charles Putzolu:
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R. – IL FAUT D’ABORD QUE TOUS PUISSENT COMPRENDRE QUE LE
SENS DE MA ...
E’ necessario innanzitutto che tutti possano comprendere
che il senso della mia missione a Baghdad è spirituale. E’ necessario tenere
presente che la Chiesa ha un suo modo proprio di parlare di pace, di costruire
la pace tra tutti coloro che stanno impegnandosi per lo stesso scopo, in queste
giornate cruciali, con tanta tenacia. Mi preme rendere omaggio a queste
persone. Giovanni Paolo II ha detto: “La Chiesa si fa portavoce - cito - della
coscienza morale dell’umanità allo stato puro, di un’umanità che desidera la
pace, di un’umanità che ha bisogno della pace”. Nel colloquio con il presidente
Saddam Hussein abbiamo toccato questioni molto concrete che – come potrete
comprendere – per ovvie ragioni non posso menzionare in questa sede. Posso dire
però che abbiamo valutato in questo incontro se tutto sia stato fatto – da
parte di tutti, peraltro: non soltanto in Iraq! – per garantire la pace,
affinché questo possa ristabilire quell’atmosfera di fiducia che consenta a
quel Paese di ritrovare il posto che merita nella comunità internazionale. Il
popolo iracheno è stato al centro della nostra conversazione: tutto il popolo
iracheno, nessuno escluso ed eccettuato. Io stesso ho potuto rendermi conto
fino a qual punto il popolo iracheno aspiri ad una pace che sia giusta, in
primo luogo, e quindi durevole. La Chiesa ha manifestato la propria solidarietà
con questo popolo, che ha tanto sofferto fin dalla guerra Iran-Iraq e poi nel
corso di questi 13 anni di embargo. Infine, a nome del Papa, ho osato lanciare
un appello alla coscienza – perché è essa che conta, in definitiva – alla
coscienza di tutti coloro che in queste giornate decisive hanno un qualche peso
sull’avvenire della pace. Perché in definitiva è vero: sarà la coscienza,
qualunque cosa accada, ad avere l’ultima parola. Credo che noi tutti stiamo
impegnando ogni nostra forza e tutto il nostro tempo per aiutare l’Iraq ad
affrontare le minacce che pesano così gravemente su di esso.
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Le parole dell’inviato del Papa in Iraq sono state
accolte nella capitale irachena da un folto numero di giornalisti, inviati
delle maggiori testate internazionali. Tra costoro, vi è l’inviato del Sole 24
ore, Alberto Negri, che commenta a caldo l’esito dell’incontro tra Saddam
Hussein e il cardinale Etchegaray:
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R. - Credo che l’azione diplomatica prodotta dalla Santa
Sede abbia cercato soprattutto di tener vivo, e in qualche modo di rendere
esplicito, ciò che l’Iraq deve compiere e deve approfondire per evitare una
soluzione grave da parte americana. Si tratta di una missione diplomatica che
tiene comunque viva la speranza di pace all’indomani della relazione del capo
degli ispettori dell’Onu, Hans Blix: relazione che, in qualche modo, ha
certificato che alcuni progressi sono stati fatti.
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DAL 24 AL 26 DI QUESTO MESE IN VATICANO, LA IX
ASSEMBLEA GENERALE
DELLA
PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA SUL TEMA:
“LA
RICERCA BIOMEDICA PER UNA VISIONE CRISTIANA”
- A
cura di Giovanni Peduto -
Le relazioni che verranno presentate durante l’assemblea
sono il frutto del lavoro di un’équipe di relatori, svoltosi nei mesi scorsi.
Verranno analizzati gli orientamenti della ricerca biomedica e ripresi i temi
classici dell’argomento, come la sperimentazione nei suoi metodi e criteri di
validità, l’etica della sperimentazione ed i comitati di etica. Ecco la domanda
cruciale: quale dev’essere l’impegno dei ricercatori e dei politici credenti,
perché gli obiettivi della ricerca rimangano centrati sul bene dell’uomo e per
orientare questa capacità di produrre il bene dell’uomo verso una giustizia
distributiva, che colmi il grande divario tra il mondo sviluppato e quello in
via di sviluppo? A ciò vuole rispondere la prossima assemblea generale della
Pontificia Accademia per la vita, nella consapevolezza che la ricerca dovrà
avere sì la sua globalizzazione, ma averla nel senso della ricerca del bene
comune.
La Chiesa ha più volte fatto appello alla collaborazione
dei ricercatori e degli scienziati per la soluzione dei problemi morali, come
quello della procreazione responsabile e quello delle terapie della
infertilità, nei documenti storicamente conosciuti come la Humanae Vitae
ed Evangelium Vitae. E’ questo un segno del necessario dialogo tra
scienza e fede e di una necessaria collaborazione tra il magistero ed i
ricercatori credenti. La riflessione della nona Assemblea generale sarà dunque
focalizzata su un punto nevralgico, non soltanto per la Chiesa, ma per tutta la
società nel suo insieme. Un capitolo particolare è dedicato al contributo
specificamente cristiano nell’ambito della ricerca biomedica e ai soggetti
vulnerabili della ricerca su cui l’etica cristiana pone particolare attenzione
e protezione.
Dall’insieme delle relazioni emergerà innanzitutto il
fatto che la ricerca biomedica viene oggi identificata non solo come il
principale impegno per il progresso della scienza medica e per il miglioramento
delle cure della salute, a beneficio di tutta l’organizzazione sanitaria, ma
anche come uno dei fattori principali del progresso economico di ciascun Paese.
E’ un fatto che i Paesi sviluppati del mondo fondano la loro floridezza
economica sulla ricerca scientifica, mentre i Paesi poveri, che sono la maggior
parte, non possiedono una capacità interna ed endogena per la ricerca, mancando
spesso persino dei presidi elementari per la sopravvivenza e la salute. E la
Chiesa non può restare indifferente.
DA OGGI SONO RESI ACCESSIBILI NEGLI
ARCHIVI VATICANI UNA PARTE IMPORTANTE
DEI FONDI DIPLOMATICI RELATIVI AI RAPPORTI TRA SANTA SEDE
E GERMANIA
-
Intervista di Luca Pellegrini con padre Sergio Pagano,
prefetto
dell’Archivio Segreto Vaticano -
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Nelle
sale di studio dell’Archivio Segreto Vaticano sono molti gli studiosi che
attendono di consultare alcuni preziosi documenti. Da oggi, infatti, vengono
aperti e resi accessibili i cosiddetti “fondi diplomatici” concernenti i
rapporti fra Santa Sede, Baviera e Germania. Si tratta dei documenti relativi
alla corrispondenza tra le Nunziature a Monaco di Baviera e Berlino, contenuti
negli archivi della Sezione dei Rapporti con gli Stati della Segreteria di
Stato e nello stesso Archivio vaticano, relativi agli anni del Pontificato di
Pio XI, ossia dal 1922 al 1939, vigilia della Seconda Guerra Mondiale. Quali
sono i motivi che hanno dettato questa importante apertura anticipata?. Lo
abbiamo chiesto a padre Sergio Pagano, prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano:
R. – Naturalmente, questa è
una sovrana decisione del Pontefice. Si pensa che il Santo Padre sia stato
consigliato, o abbia voluto in prima persona questa apertura - anche se di per
sé, tecnicamente, non siamo ancora del tutto preparati - proprio per agevolare
il clima di interesse e di studi attorno alla fine della Prima Guerra Mondiale
e ai prodromi della Seconda Guerra Mondiale. Ma soprattutto per l’interesse
attorno alla figura di Pacelli e, se si può dire ancora di più, ai rapporti fra
Santa Sede ed il nazionalsocialismo nascente e poi affermatosi in Germania, in
quel periodo.
D. – Un
interrogativo ricorrente si leva non solo da parte dei ricercatori:
l’accessibilità di questi fondi potrà cambiare qualche valutazione da parte della
storiografia abituale, relativa a questo difficile e controverso periodo storico?
R. – Questo
giudizio io preferirei lasciarlo agli storici, i quali avranno ora modo di
studiare questi nuovi fondi che si apriranno e potranno farsi una cognizione a
partire, naturalmente, dai documenti stessi. Per quanto ho potuto vedere
sommariamente - preparando negli anni questa apertura, e quindi il lavoro dei
miei colleghi intorno agli inventari che abbiamo dovuto redigere nei fondi
della Nunziatura di Monaco, di Berlino e, naturalmente, della II sezione - non
credo che si possano trovare rivelazioni eclatanti, in grado di rovesciare le
acquisizioni storiografiche che già abbiamo. Direi, piuttosto, che ci saranno
molti documenti di conferma e di ampliamento di conoscenza in merito a situazioni
storiche che a grandi linee, sono già conosciute. Naturalmente, nessuno di noi
può sapere che cosa è contenuto minutamente in queste centinaia di buste: ve ne
sono a centinaia e quindi si tratta di milioni di documenti che vanno
analizzati uno per uno. Quindi, in realtà, non si può escludere nessuna
scoperta, come neanche si può però accreditarla troppo.
D. – La
preparazione degli strumenti di ricerca da parte dell’Archivio - ossia inventari
e indici, relativi ai nuovi fondi che si aprono - è ormai completata in vista
del 2005, anno in cui sarà aperto tutto il materiale relativo al Pontificato di
Pio XI. Sono, inoltre, già a disposizione degli studiosi alcuni preziosi strumenti
di corredo, ossia un inventario analitico del fondo della Nunziatura di
Baviera, che parte dal 1917 fino al 1925, quando vi rimase nunzio Eugenio
Pacelli, futuro Pio XII, oltre che l’inventario della Nunziatura di Berlino, sempre
con Pacelli, sino ad arrivare al Nunzio Orsenigo, addirittura dopo la Guerra.
Ma con una precisazione importante …
R. – Infatti,
c’è da dire che nel ’43 i bombardamenti di Berlino, se non ricordo male nel
dicembre del ’43, interessarono anche il palazzo della Nunziatura, con bombe al
fosforo, e per la relazione stessa del nunzio Orsenigo, sappiamo che l’Archivio
della Nunziatura di Berlino, purtroppo, fu distrutto in questi bombardamenti,
per cui gli studiosi non possono attendersi nulla in quanto i documenti dal
1930-31 fino al ’42 mancano assolutamente.
Da parte dell’Archivio Segreto
Vaticano il lavoro procede dunque paziente e meticoloso, al di fuori delle
polemiche e dei tentativi di strumentalizzazione. Per permettere a tutti di
conoscere e valutare sempre meglio la storia del XX secolo.
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Fin dai tempi apostolici, i
Papi conservavano con cura le scritture che si riferivano all’esercizio della
loro attività. La fragilità del materiale usato, tuttavia, fece sì che i
documenti anteriori a Innocenzo III andassero quasi del tutto perduti. Con il
moltiplicarsi degli uffici della Curia romana, si moltiplicarono anche gli
archivi e, nel secolo XV, i documenti più preziosi furono collocati in Castel
Sant’Angelo. L’idea di un archivio centrale della Santa Sede risale a Paolo V,
i quale negli anni 1611-1614, con fondi tratti principalmente dalla Biblioteca
segreta, dalla Camera apostolica, dalla “Guardarobba” e da Castel Sant’Angelo, istituì
nel Palazzo apostolico vaticano un archivio che si unì ad alcuni altri precedenti,
prendendo nome di “Archivio segreto vaticano”, il quale si andò man mano
arricchendo di sempre nuovi fondi. Nel 1880, per volontà di Leone XIII, fu
aperto alla libera consultazione degli studiosi e divenne così il centro di
ricerche storiche più importante del mondo.
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“La forza della preghiera” è il
titolo che apre la prima pagina: si sottolinea che “mai come in questo tempo
denso di trepidazione, la ‘strategia’ della preghiera si rivela l'unica,
concreta, credibile possibilità di costruire la pace”.
Il cardinale Etchegaray
incontra Saddam Hussein a Baghdad; nessuna prova di violazioni sostanziali nel
rapporto degli ispettori.
Nelle vaticane, nel discorso ai
vescovi del Gambia, della Liberia e della Sierra Leone, Giovanni Paolo II ha
sottolineato che la Parola di Dio è punto di partenza fondamentale per un
dialogo con i seguaci delle religioni tradizionali e dell'Islam.
Nel discorso ai vescovi della
Guinea Equatoriale, il Papa ha ricordato che la Chiesa veglia affinché nessuno
violi la dignità della persona.
Ai presuli delle Guinea
Conakry, il Santo Padre ha auspicato che le sfide dell'evangelizzazione
ravvivino la coscienza missionaria della Chiesa.
I vescovi della Corea e le
diocesi italiane in preghiera per la pace.
Un articolo di Graziano Motta
sui 150 anni di storia del Seminario del Patriarcato latino di Gerusalemme.
Nelle pagine estere, il
telegramma del Papa, a firma del cardinale Angelo Sodano, per il sanguinoso
attentato in Colombia.
Un articolo di Francesco Follo
dal titolo “L'Europa, la sua storia e il suo futuro. Il contributo del
cristianesimo e delle altre religioni”.
Medio Oriente: reazioni
positive alla ventilata nomina di un premier palestinese dopo la costituzione
di uno Stato autonomo.
Nella pagina culturale, un
contributo di Giuseppe Costa su una mostra fiorentina, appena conclusa,
dedicata alla storica rivista “Leonardo”.
Nelle pagine italiane, in primo
piano la situazione politica, con riferimento all'evolversi della crisi
irachena.
I temi del lavoro e della
sanità.
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IL
VICEPREMIER IRACHENO AD ASSISI
PER
IMPLORARE LA PACE PER IL MONDO E L’IRAQ.
OGGI,
IN MOLTE CITTA’ DEL MONDO,
MANIFESTAZIONI
E CORTEI PER IL “NO” ALLA GUERRA.
IERI,
A ROMA, VEGLIA DI PREGHIERA NELLA CHIESA DEL GESU’
- A
cura di Alessandro De Carolis -
Si è
sviluppata imponente, in molte parti del mondo - dagli Stati Uniti alla Nuova
Zelanda, da Baghdad a Londra - la mobilitazione dei pacifisti contro il rischio
di una nuova guerra nel Golfo Persico. A partire da Assisi dove, questa
mattina, intorno alle 11, è giunto Tareq Aziz. Dopo l’incontro di ieri con
Giovanni Paolo II, il vicepremier iracheno è sostato in preghiera nella
Basilica inferiore di San Francesco, accolto dal vescovo della cittadina
francescana, Sergio Goretti, e dal custode del Sacro Convento, padre Vincenzo
Coli. Aziz si è fermato in meditazione davanti alla tomba di San Francesco, ha
detto di desiderare un incontro con il presidente americano Bush, ed ha
affidato il suo auspicio di pace alle pagine del registro della Basilica con
queste parole: “Possa Dio Onnipotente concedere la pace al popolo dell’Iraq e a
tutto il mondo”. Il vicepremier iracheno ha anche acceso insieme alla comunità
francescana la lampada della pace. Prima della cerimonia in Basilica, Tarek
Aziz aveva fatto tappa nella chiesa di Santa Maria degli Angeli e alla
Porziuncola. Giada Aquilino ha raccolto la testimonianza di uno dei religiosi
presenti, padre Gianfranco Pinto Ostuni, portavoce dei frati minori:
**********
R. – Si sta vivendo un momento di preghiera, con lo
spirito del pellegrinaggio che ha condotto questa personalità qui ad Assisi,
sui luoghi francescani. Si spera che Francesco - che fu nella quinta Crociata
colui che scavalcò la trincea per andare ad incontrare il sultano Malek el
Kamil e ottenne poi da lui anche il permesso di poter visitare i luoghi santi,
parlandogli molto francamente di Gesù Cristo e riuscendo a fare breccia in quel
cuore e a fare quello che la violenza delle armi non era riuscita a fare –
possa compiere anche quest’oggi un miracolo.
D. – Ma quale speranza si leva da Assisi per la visita di
Aziz?
R. – L’unica speranza di tutti è questo desiderio che
Saddam Hussein possa a sua volta rompere una trincea, aprire una strada, dare
la possibilità – per quanto sia possibile da parte irachena – affinché si apra
una via di pace.
**********
Dopo la cerimonia, Tarek Aziz è stato invitato a pranzo
dai religiosi del Sacro convento. La sua agenda degli appuntamenti, però, resta
fitta: al suo rientro a Roma, alle 18.30 di oggi, il vicepremier iracheno
incontrerà nella sede dell’ambasciata dell'Iraq presso la Santa Sede alcuni
rappresentanti di organizzazioni di ispirazione cristiana, tra cui le Acli, la
Focsiv, Pax Christi, il Movimento dei Focolari, la Caritas, il Centro sportivo
italiano, l’Agesci e la Compagnia delle Opere.
Ma la giornata di oggi,
come si diceva, rappresenta anche il giorno delle voci contrarie al conflitto,
che hanno preso possesso di piazze e strade in molte città italiane e
straniere. A Roma, l’arcobaleno della bandiere con il “no” sta colorando alcune
vie del centro capitolino, che dalla Piramide Cestia conducono a San Giovanni.
Dalle cinque di stamattina a mezzogiorno, 26 treni speciali e un centinaio di
pullmann hanno riversato su Roma centinaia di migliaia di manifestanti. A
seguire l’evento c’è per noi Francesca Sabatinelli:
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Le bandiere per la pace stanno sfilando ormai da questa
mattina presto in tutta Roma. Migliaia di persone in piazza, contro una guerra
che non vogliono sia condotta in loro nome. Si chiede di dare una possibilità alla
pace, di fermare la possibilità di un conflitto in Iraq, così come si chiedono
pace e giustizia per il Medio Oriente. La giornata di oggi è stata definita uno
dei più grandi momenti di azione globale contro la guerra. Manifestazioni si
svolgono in centinaia di città e nelle capitali di una settantina di Paesi: la
lista di mobilitazioni contro la guerra in Iraq si è allungata giorno dopo
giorno.
E’ una coalizione, quella che sfila oggi a Roma, cresciuta
dopo l’appuntamento di novembre al Social Forum di Firenze, dove a migliaia
espressero la loro opposizione alla guerra. “Vogliamo dire a Bush ed ai suoi
alleati - dicono i partecipanti - che la guerra all’Iraq non può essere
condotta nel nome dei popoli sulla terra. E vogliamo anche ribadire che non
siamo qui per spirito anti-americano”. Sono tantissime le realtà che prendono
parte a questo appuntamento: famiglie, cittadini di ogni provincia d’Italia, partiti
politici, associazionismo laico e cattolico, organizzazioni per i diritti
umani, molte le comunità religiose e i gruppi confessionali. Un movimento
forte, pacifico, unito, determinato perché a parlare sia solo la voce della
pace. Una voce che chiede che sia il Consiglio di sicurezza ad assumersi la
responsabilità di valutare le conseguenze che un intervento militare in Iraq
avrebbe per i diritti umani e la situazione umanitaria.
I megaschermi che campeggiano a Piazza San Giovanni
assicurano i collegamenti audio-video con le altre piazze del mondo: con
Baghdad, Madrid, Atene, Londra e altre città. Le manifestazioni di oggi, è la
speranza comune, cercano di essere un ulteriore modo per far pressione sui
rappresentanti istituzionali, sui governi, per non partecipare e non
collaborare a questa guerra preventiva.
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Un prologo a carattere religioso delle
manifestazioni odierne si è avuto ieri pomeriggio, nella Chiesa romana del
Gesù, dove si sono radunati per una veglia di preghiera moltissimi appartenenti
ad organizzazioni e movimenti cattolici. Nel corso della veglia hanno preso la
parola il vescovo Gianpaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio
Giustizia e Pace, mons. Giorgio Biguzzi, vescovo di Makeni in Sierra Leone,
Miriam Girardi, responsabile della comunità interconfessionale di Gerusalemme
del Movimento dei Focolari. Altre testimonianze sono state offerte da un
cristiano iracheno e da responsabili di Caritas, Pax Christi, Sant’Egidio ed
altri organismi ecclesiali. Stefano Leszczinsky era presente per noi e ha
raccolto alcune impressioni dei presenti:
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“Certamente nella preghiera i cristiani trovano
ispirazione, forza, coraggio per essere testimoni e operatori della pace”.
Il terrorismo internazionale resta una minaccia reale che
va combattuta anche attraverso lo sradicamento delle cause che lo producono,
come la povertà, l’ignoranza ed il fanatismo. L’impegno per la pace –
sottolinea Luigi Bobba, presidente delle Acli – non va interpretato come un
sentimento anti-americano, ma come coerenza allo spirito del Vangelo:
“Una democrazia, anche una grande democrazia, come quella
degli Stati Uniti, non si può confrontare con una dittatura: deve confrontarsi
attorno a quei valori che la costituiscono, e questi valori sono quelli che
sono nati anche dalla difesa e promozione della libertà, dalla difesa e
promozione dei diritti della persona e soprattutto dalla possibilità di
costituire, attraverso gli organismi internazionali, una strada per la pace”.
La scelta della pace richiede il coraggio di esporsi, come
sottolinea mons. Biguzzi, vescovo di Makeni, in Sierra Leone:
“La pace è possibile, se la si vuole, se la si cerca, se
ci si espone anche al rischio di essere accusati di collaborazionismo con
questo o con quello, se si accetta il rischio e si va avanti con idee ben
chiare, credo che si possa ottenere la pace anche in questo mondo”.
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15 febbraio 2003
“NON
SIAMO DISPOSTI AD ACCETTARE CHE I CONFLITTI SIANO CHIAMATI
AZIONE PREVENTIVA. SONO OMICIDI DI
MASSA”. CON QUESTE PAROLE
L’ONG DEI SALESIANI “VOLONTARIATO
INTERNAZIONALE PER LO SVILUPPO”
CONDANNA CON UN COMUNICATO UN
EVENTUALE INTERVENTO MILITARE IN IRAQ
ROMA.
= Anche il Volontariato internazionale per lo sviluppo (Vis), l’organismo non
governativo promosso dal Centro nazionale delle Opere salesiane, aggiunge la
propria voce al coro di chi dice “no” alla guerra in Iraq. Il Vis spiega con un
comunicato la propria posizione: "Non siamo disposti – si legge nel testo
- ad accettare che i conflitti siano chiamati lotta al terrorismo o azione
preventiva per spostare l’attenzione del pubblico dal fatto che si sta perpetrando
un omicidio di massa in nome della sicurezza per l’umanità". Per questo il
Vis, insieme al movimento giovanile salesiano, parteciperà oggi alla giornata
europea contro la guerra, aderendo alla grande manifestazione di Roma.
"Non siamo disposti ad accettare i morti delle guerre silenziose, le
vittime non riprese dai media internazionali, il sacrificio dei più deboli a
causa degli embarghi e la quotidiana strage di innocenti", sostiene ancora
il Vis. "Non possiamo accettare – aggiunge l’ong dei salesiani -
l’umiliazione del diritto internazionale e l’oscuramento della volontà mondiale
di pace". Queste considerazioni nascono dall’esperienza di un organismo
che da quasi venti anni è impegnato quotidianamente in prima linea, a fianco
dei popoli del Sud del mondo, nella lotta contro la morte di milioni di bambini
per fame. "Siamo sempre più convinti – prosegue il documento - che solo un
autentico processo di sviluppo umano può costruire le basi di una solida e
duratura pace". "Bisogna trovare – termina il comunicato - un disegno
politico che rimuova quell’humus di disperazione che genera conflitti ed odio
in tanti Paesi del mondo". (A.L.)
SOLLECITATE ALLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE
LE RISORSE PER INTERVENIRE
CONTRO LA PIAGA DELL’AIDS
DALL’INVIATO DELL’ONU IN AFRICA, STEPHEN LEWIS,
CHE HA PRESENTATO IL RAPPORTO A CONCLUSIONE
DELLA SUA MISSIONE IN AFRICA MERIDIONALE
NEW
YORK. = L’inviato speciale del segretario della Nazioni Unite per l’Hiv/Aids in
Africa, Stephen Lewis, ha tenuto giovedì scorso una conferenza stampa nella
quale ha presentato il rapporto sulla sua recente missione in Malawi, Zambia,
Zimbawe e Lesotho. “La principale causa della crisi di quelle aree – ha
dichiarato Lewis - è l’Aids. C’è stato un grande dibattito sulla siccità, ma un
nuovo tipo di carestia è causata proprio dall’Aids”. Lewis, 65 anni, canadese e
con una lunga esperienza nelle Nazioni Unite, ha spiegato che nonostante il
lavoro svolto dal Programma alimentare mondiale (Pam) per combattere la fame,
resta preoccupante la situazione sanitaria. Particolarmente critica la
condizione della donne: “Sono terribilmente vulnerabili – ha detto Lewis –
perché non solo sono colpite dalla malattia, ma si assumono il peso delle
responsabilità: lavorano a casa, obbligate, senza riconoscimenti o compensi.
Milioni di donne – ha aggiunto – hanno perso la vita a causa dell’Aids
nell’ultima decade”. Un altro punto su cui il funzionario dell’Onu ha messo
l’accento è stato quello dei bambini, che rimangono presto soli a causa della
morte dei genitori, abbandonati e “senza controllo”. Lewis ha sollecitato
l’impegno dell’Onu, per aumentare la
collaborazione con i Paesi Africani ed ha auspicato che dai Paesi più
ricchi e dalle istituzioni finanziarie internazionali arrivino risorse
necessarie per gli interventi. “Bisogna agire nel campo dell’istruzione – ha
concluso Lewis - ed è necessario attuare politiche alimentari, sanitarie
adeguate e prestare attenzione alle persone più deboli”. (M.A.)
“NEL TERZO MILLENNIO IL 93% DELLE
VITTIME DI GUERRA SONO STATI DEI CIVILI”.
E’ UNO
DEI DATI EMERSI DALLA RICERCA SUI CONFLITTI DIMENTICATI NEL MONDO,
CURATA DALLA CARITAS ITALIANA IN
COLLABORAZIONE CON “FAMIGLIA CRISTIANA” ED “IL REGNO”
ROMA.
= “Nel terzo millennio il 93% delle vittime di guerra sono stati civili”. E’
uno dei dati che emergono dalla ricerca sui conflitti dimenticati nel mondo curata
dalla Caritas italiana in collaborazione con “Famiglia Cristiana” e “Il Regno”.
Lo studio è stato presentato lo scorso 13 febbraio durante il seminario
"Conflitti dimenticati o informazione globale?", in programma fino a
ieri a Roma. Dal dopoguerra ad oggi sono state 25 milioni le persone morte in
tutto il mondo a causa di conflitti armati. Lo scorso anno si sono registrate
25 guerre, legate soprattutto ad interessi economici. La ricerca ha indagato anche
il grado di dimenticanza di alcuni conflitti da parte degli italiani: il 26%
del campione non sa indicare quali siano i Paesi attualmente colpiti dalle
guerre. Tra le fonti informative sui conflitti, il 60% indica la televisione e
la radio ed il 28% i giornali e le riviste. Il 47% del campione giudica insufficiente
l’informazione fornita dai mass media, soprattutto dalla televisione. (A.L.)
“IL GOVERNO STA INCORAGGIANDO LA POLIZIA AD
ELUDERE
LE NORMALI PROCEDURE GIUDIZIARIE
PER PREVILEGIARE LE ESECUZIONI SOMMARIE”.
E’ L’ALLARME LANCIATO
DALL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE CONTRO LA TORTURA
SULLA NUOVA CAMPAGNA ANTIDROGA IN
THAILANDIA
BANGKOK.
= La nuova campagna contro i trafficanti di droga iniziata lo scorso primo
febbraio in Thailandia ha mietuto finora almeno un centinaio di vite. A lanciare
l’allarme sulla effettiva legalità dell’iniziativa è l’Organizzazione mondiale
contro la tortura (Omct): sostiene che “il governo del primo ministro thailandese
Thaksin Shinawatra sta incoraggiando la polizia ad eludere le normali procedure
giudiziarie per privilegiare invece le esecuzioni sommarie dei presunti criminali”.
Il premier si è detto soddisfatto dell’esito dei primi 10 giorni della campagna
anti-droga, durante la quale si stima siano morte almeno un centinaio di
persone. Di fatto è difficile stabilire il numero esatto delle vittime: il
quotidiano “Bangkok Post” parla di 183 morti dal primo al 9 febbraio, mentre
altri media ne contano 144 ed alcune organizzazioni non governative sostengono
che in realtà il numero è molto più elevato. "Non possiamo mettere la
sicurezza dei trafficanti di stupefacenti – ha dichiarato Shinawatra - al di
sopra di quella degli agenti. Se un poliziotto non spara per primo, rischia di
morire". Ancora più severo il giudizio del ministro dell’interno Wan
Muhammad Nor Matha. "Chi smercia droga dovrebbe finire dietro le sbarre –
ha detto - o scomparire senza lasciare traccia ". Oltre ai numerosi morti,
vi sono stati 7 mila arresti di sospetti da parte della polizia. Il prossimo 28
febbraio la “Commissione nazionale per i diritti umani della Thailandia” dovrebbe
incontrare il ministro della giustizia ed altri esperti, ma Omct teme che nel
frattempo possano verificarsi ulteriori esecuzioni ed arresti arbitrari. (A.L.)
SI E’ APERTA OGGI LA BORSA INTERNAZIONALE
DEL TURISMO DI SCENA
NEI PADIGLIONI DELLA FIERA DI
MILANO FINO AL 18 FEBBRAIO
- A cura di Fabio Brenna -
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MILANO.
= E’ un turismo che si è rimesso in moto, ma anche più consapevole e
sostenibile quello protagonista della 23° edizione della BIT, Borsa
Internazionale del Turismo, di scena alla Fiera di Milano fino al 18 febbraio.
Oltre 5 mila espositori, rappresentanti 123 nazioni, cercheranno di confermare
quella crescita del comparto che, secondo dati del World Tourism organization, ha registrato 715 milioni di arrivi
internazionali nel 2002, con una crescita del 3,1% sull’anno precedente. Le
attuali incertezze internazionali non sembrano frenare questa voglia di
viaggiare. Aumenta però la consapevolezza che il turismo deve essere sostenibile,
rispettoso cioè dei luoghi e delle popolazioni con cui viene a contatto. Non a
caso l’annuale convegno proposto dal Pontificio Consiglio dei Migranti, Cei e
Diocesi di Milano, avrà come tema lunedì prossimo, l’ecoturismo, inteso come
incontro tra culture nel rispetto del creato. Sempre lunedì, una tavola rotonda
con il premio Nobel per l’economia del 1999, Robert Mundell, affronterà le
relazioni fra etica, economia e globalizzazione attraverso il turismo. La Bit
si ripropone in cinque sezioni: “The
World”, le più belle mete dei cinque continenti; “Tourism Collection” con i protagonisti dei servizi turistici; “Italy”, dedicato interamente al Belpaese.
Due i saloni tematici: “Bit Virtual”,
l’area espositiva dedicata alle novità tecnologiche a servizio del turismo e “Bit Neway”, dove sono concentrate le nuove
tendenze che sembrano essere le proposte che mirano al benessere psico-fisico
della persona. Presenti anche quest’anno gli stand di alcune realtà ecclesiali
come Cei e Diocesi di Milano, insieme alle proposte per i viaggiatori dello
spirito, dai santuari italiani alle varie forme di pellegrinaggio, proposte
queste che incontrano un sempre maggior gradimento all’interno di un turismo
che vuole essere sempre più consapevole.
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15 febbraio 2003
- A cura
di Salvatore Sabatino -
Al Palazzo di Vetro di New York,
ieri, si sono vissute ore cruciali per la crisi nel Golfo. I capi degli
ispettori Onu per il disarmo iracheno sono riusciti a strappare ancora due
settimane di tempo. Il primo marzo Blix ed El Baradei terranno, infatti, una
nuova audizione al Consiglio di Sicurezza. Il segretario di Stato americano
Powell, pur non mutando la linea dura della Casa Bianca, a proposito delle
scadenze per una soluzione della crisi ha detto: “stiamo ancora parlando di settimane”.
Blix, invece, ha sottolineato come - se pure sia necessario proseguire le ispezioni
- stiano aumentando i segnali positivi da parte di Baghdad. Secondo la Russia,
ieri si sono rafforzate le possibilità di una soluzione pacifica della crisi.
Sul contenuto del rapporto di Blix, al servizio da New York di Paolo Mastrolilli:
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Il disarmo dell’Iraq non è
completo, restano parecchie questioni aperte, ma Baghdad sta collaborando e
nelle ultime settimane sono aumentati i segnali positivi. Il diplomatico
svedese ha detto che non ha trovato armi vietate, ma non può provare il disarmo
dell’Iraq, perché mancano informazioni sui materiali chimici e biologici che
aveva prodotto e sostiene di avere distrutto. Il regime poi ha costruito
missili di gettata superiore a quella consentita dall’Onu che dovranno essere
eliminati. Hans Blix, però, ha notato alcuni progressi di sostanza, come il via
libera ai voli spia degli aerei U2, la recente consegna di nuovi documenti,
l’aggiunta di altri nomi alla lista degli scienziati che potrebbero sapere che
fine hanno fatto le sostanze vietate e l’emanazione, ieri, di un decreto che
bandisce le armi di distruzione di massa. Quindi, ha contestato anche alcune
accuse lanciate il 5 febbraio scorso dal segretario di Stato americano Powell.
Il rapporto sommato ai giudizi incoraggianti sul piano nucleare di El Baradei è
stato più positivo di quello del 27 gennaio, e Francia, Cina e Russia hanno subito
dichiarato che non giustifica la guerra. Stati Uniti e Gran Bretagna hanno
risposto che l’assenza di collaborazione attiva, viola l’ultima risoluzione.
Powell e poi Bush hanno detto di avere altre prove del collegamento tra Baghdad
ed Al Qaeda, aggiungendo che è venuta l’ora delle serie conseguenze. Washington
e Londra adesso decideranno se presentare una seconda risoluzione, oppure se
agire da sole, ma al momento sono in minoranza nel Consiglio di Sicurezza.
Da New York, per la Radio
Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Per discutere della crisi
nel Golfo, si riunirà in Egitto anche la Lega Araba. L’invito per il 22
febbraio a Sharm el Sheikh, sul mar Rosso, è partito proprio dal presidente
egiziano Hosni Mubarak che ha messo in evidenza i rischi nella regione e nel mondo
di un’operazione militare contro l’Iraq.
Per oggi, è sicuro che la Nato non prenderà alcuna
decisione sugli aiuti alla Turchia in caso di guerra all’Iraq, e al momento è
impossibile prevedere con certezza se potrà essere presa tra domani e lunedì. A
dichiararlo è il portavoce dell'Alleanza atlantica, Yves Brodeur. Ricordiamo
che il rifiuto di Francia, Germania e Belgio di iniziare la pianificazione
difensiva per la Turchia ha gettato la Nato, nei giorni scorsi, nella peggiore
crisi da quando l'Alleanza è stata creata.
E’ ancora crisi anche sul
fronte nord coreano. Dopo i toni pacati dei giorni scorsi, questa mattina un
nuovo proclama minaccioso ha improvvisamente rialzato la tensione. ''Se gli
imperialisti cercheranno di scatenare una guerra contro di noi – riferiscono da
Pyongyang - li spazzeremo via con un attacco incontrollabile e distruggeremo i
loro quartier generali senza pietà”. Il messaggio giunge alla vigilia del 61mo compleanno di Kim Jong Il, che il ''regno eremita'' si
appresta a festeggiare con imponenti parate.
Passiamo al Medio
Oriente. Yasser Arafat non sarà più l’unico punto di riferimento della politica
palestinese. Cedendo alle pressioni internazionali, il presidente dell’Anp ha
infatti annunciato ieri che accetterà la nomina di un primo ministro, che lo affianchi
alla guida del suo popolo. Intanto sul campo c’è da segnalare ancora una volta
la violenza come unica protagonista della giornata. Un cingolato israeliano è
caduto stamattina in un agguato palestinese presso la colonia di Dughit, nel
nord della Striscia di Gaza. Secondo la rete televisiva Al Jazeera,
nell’attentato - rivendicato dal movimento di resistenza islamico Hamas attraverso
il suo sito internet - sarebbero rimasti uccisi i quattro membri
dell’equipaggio.
Ed ore drammatiche si
stanno vivendo anche in Colombia. L’elicottero del governo
americano caduto nella zona di Florencia, controllata dalle Farc, non è
precipitato per un guasto tecnico, ma è stato abbattuto dai ribelli, che hanno
ucciso due membri dell’equipaggio e ne hanno sequestrati tre. E la paura è
altissima, nel Paese, dopo l’ennesimo attentato della guerriglia, nella località meridionale di Neiva: ieri è esplosa
una casa mentre le forze di sicurezza la perquisivano, in preparazione alla
visita di oggi del presidente Alvaro Uribe. Pesantissimo il bilancio: 16 morti
e 45 feriti. La cronaca nel servizio di Maurizio Salvi:
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La casa saltata in aria a Neida
è soltanto l’ultimo di una serie di attentati che mostrano come la violenza si
stia spostando ora verso i centri urbani. Nessuno ha rivendicato l’azione, ma i
vertici dell’esercito ed il governo l’hanno addossata alle Farc, lo stesso
movimento guerrigliero indicato quale responsabile dell’attacco spettacolare,
la settimana scorsa, contro l’esclusivo club il “Nogal” di Bogotà. Di fronte
all’acuirsi della crisi, la Chiesa colombiana ha intanto rivolto un appello al
dialogo. Mons. Luis Augusto Castro, vice presidente della Conferenza episcopale
colombiana riunitasi in sessione straordinaria, ha detto che dopo questo
tremendo mese di febbraio, in cui sembra che le distanze fra le parti si siano
ampliate, è importante mantenere all’orizzonte la fede e che vi possa essere
dialogo e riconciliazione.
Maurizio Salvi, per la Radio
Vaticana.
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“In Bolivia vi è stato un
tentativo di golpe con la partecipazione di cecchini”. E’ la denuncia fatta
ieri da un portavoce della presidenza che ha parlato di “cospirazione contro la
democrazia”. Intanto, il governo boliviano ha decretato tre giorni di lutto
nazionale dopo gli incidenti degli ultimi giorni in cui sono morte 29 persone e
oltre cento sono rimaste ferite.
Hanno preso il via, ieri, le
trattative per la formazione del nuovo governo in Costa d’Avorio. Il primo
ministro incaricato ivoriano, Seydou Diarra, ha incontrato per la prima volta i
responsabili dei ribelli del Movimento patriottico della Costa d’Avorio. Il
testo dell’intesa negoziale sottoscritta in Francia il 24 gennaio tra le parti
prevede, infatti, la partecipazione all’esecutivo dei gruppi ribelli. Conteso
dai due schieramenti il Ministero della Difesa.
Torna l’incubo Ebola in Africa.
La terribile febbre emorragica ha causato nella zona nord occidentale del Congo
Brazaville oltre 50 morti. Il virus si sta diffondendo in una regione coperta
dalla foresta tropicale, che rende difficoltoso l’arrivo dei primi soccorsi
dell’Organizzazione mondiale per la Sanità. Per capire meglio cosa sta
accadendo nella zona, abbiamo raggiunto telefonicamente a Brazaville il nostro
collega Andrea Mianzoukoutà. L’intervista è di Teresa Gerundino:
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R. – Oltre al numero importante
di morti, il problema è più grave perché non si sapeva nulla nella capitale. E
non c’è nessuna certezza sul modo preciso della contaminazione.
D. – Quali iniziative hanno
preso le autorità del Paese per evitare che il morbo si diffonda?
R. – Chiudere questa zona,
quindi limitare la mobilità della popolazione, cioè il passare da un villaggio
ad un altro. Ed è arrivata sul luogo una equipe dell’Organizzazione Mondiale
della Salute.
D. – Cosa si può fare per
informare?
R. – L’informazione è limitata
alla capitale, Brazzaville, cioè quasi a 600 chilometri dal luogo interessato.
La popolazione che avrebbe bisogno di saperne di più, di prendere misure che
sono necessarie, è tenuta al di là della zona di copertura della radio, della
tv ecc. Gli esperti stanno cercando di avvicinare la popolazione con molta
fatica e pazienza, però non è del tutto facile, questo si può indovinare.
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