RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 45 - Testo della
Trasmissione venerdì 14 febbraio 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E
SOCIETA’:
La Comece critica
l’Europarlamento sugli aiuti ai Paesi poveri.
Il leader palestinese Arafat accetta la nomina di
un primo ministro, al suo fianco. Positive le reazioni israeliane.
L’offensiva della guerriglia colpisce ancora la
Colombia. Bomba a Neiva, arresti a Medellín.
Lento ritorno alla normalità in Bolivia: il
governo cede sugli aumenti, per paura di nuove violenze.
Pesanti scontri a Mindanao: circa 150 morti negli
scontri tra l’esercito filippino ed i ribelli.
Inaugurata questa mattina la prima strada di
collegamento tra le due Coree.
14 febbraio 2003
RISPETTARE FEDELMENTE E CON ATTI CONCRETI LE
RISOLUZIONI DELL’ONU:
COSI’
IL PAPA AL VICEPREMIER IRACHENO TAREK AZIZ, RICEVUTO OGGI IN VATICANO.
BAGHDAD
PRONTA A COOPERARE IN MATERIA DI DISARMO
- A
cura di Alessandro De Carolis -
Oltre un’ora di permanenza in
Vaticano, per uno dei due incontri al vertice che da settimane avevano
contraddistinto la giornata del 14 febbraio come uno dei crocevia per i futuri
sviluppi della crisi irachena. Il primo incontro, questa mattina, tra Giovanni
Paolo II e Tarek Aziz, vice primo ministro dell’Iraq, latore di un messaggio
del presidente Saddam Hussein. Il corteo di una decina di auto con a bordo Aziz
e il suo seguito era entrato in Vaticano alle 11 esatte. Circa quindici minuti
più tardi è iniziato il colloquio con il Pontefice, che ha accolto l’autorità
irachena nella sua Biblioteca privata. Al termine di questa importante
mattinata - conclusasi verso le 12.15, dopo i successivi colloqui di Aziz con
il cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano, e con il segretario per i
rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Jean-Louis Tauran - abbiamo chiesto al
direttore della Sala Stampa vaticana, Joaquín Navarro Valls, quale sia stata la posizione
espressa al Papa dal vicepremier iracheno:
**********
R. – Una posizione molto chiara: il signor Aziz ha voluto
dare assicurazioni al Santo Padre circa la volontà del governo iracheno di
cooperare con la comunità internazionale, in particolare per quello che
riguarda il disarmo.
D. – In che modo ha risposto la Santa Sede?
R. – La Santa Sede ha ribadito - e questa è stata una
buona occasione per ripeterlo direttamente ad un’autorità irachena - la
necessità di rispettare fedelmente, con impegni ed atti concreti, le
risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che rappresentano
la garanzia della legalità internazionale. Quindi, un punto di vista che era
già conosciuto, come la posizione della Santa Sede, oggi è stato ribadito
direttamente al signor Aziz.
D. – In che clima si è svolto l’incontro di questa
mattina?
R. – Direi cordiale. Si parlava di fatti, di una
situazione molto drammatica, ma ci si è espressi con molta chiarezza da tutte e
due le parti.
D. – Un’ultima cosa, dottor Navarro. Si è parlato molto in
questi giorni di un possibile viaggio del Santo Padre a Baghdad. E’ una
possibilità che risponde al vero?
R. – Il Papa aveva espresso tre anni fa, durante il
Giubileo, il suo desiderio di visitare l’Iraq dei Caldei, la patria di Abramo.
Per ragioni che sono ovvie, e cioè che non gli è stato permesso di fare questo
viaggio, il Papa non è potuto andare in Iraq. Quindi, per lui è un capitolo
chiuso. Le posso assicurare anche che in questa conversazione di oggi il tema
non è stato minimamente sollevato da nessuna parte.
**********
E’ stata la quarta volta, oggi,
che le delicate vicende dell’Iraq, seguite alla crisi del Golfo del 1991, hanno
portato Tarek Aziz davanti a Giovanni Paolo II. In precedenza, entrambi si
erano intrattenuti a colloquio il 28 giugno 1994, il 16 marzo 1995 e il 19
maggio 1998. Prima dell’appuntamento odierno, inoltre, il vicepremier iracheno
aveva incontrato alcune personalità di spicco della politica italiana, tra le
quali l’ex presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Da annotare il clima
di attesa dei media e le necessità della sicurezza, con Via della Conciliazione
e le zone limitrofe al Vaticano presidiate e ispezionate sin da questa mattina
dalle Forze dell’ordine e la folla dei giornalisti - americani, inglesi, francesi,
russi, giapponesi – che hanno letteralmente stipato i locali della Sala Stampa
della Santa Sede, in attesa del comunicato ufficiale dell’udienza.
Intanto,
l’altro versante dell’impegno diplomatico della Santa Sede per assicurare la
pace in Iraq ha visto il cardinale Roger Etchegaray, inviato del Pontefice nel
Paese, recarsi ieri in visita a Mosul, nel nord dello Stato iracheno, dove risiede
la comunità cristiana locale. In attesa di incontrare il presidente Saddam
Hussein, il porporato ha potuto verificare come, nella piccola località
irachena, l’emigrazione causata dall’embargo e dai rischi della guerra abbia
notevolmente ridotto il numero di cristiani nella città. Oltre che ai fedeli,
il cardinale Etchegaray ha fatto visita anche alla moschea ed ai resti della
città di Ninive, dove ha ricordato la figura del profeta Giona.
ALTRE
UDIENZE E NOMINE
Nel corso della mattinata, in successive udienze, il Santo
Padre ha ricevuto tre presuli della Liberia in visita ad Limina:
l’arcivescovo di Monrovia, Michael Kpkala Francis, il vescovo di Cape Palmas,
Boniface Nyema Dalieh, e il vescovo di Gbarnga, Lewis Zeigler. Sempre in visita
ad Limina, il Papa ha ricevuto dalla Sierra Leone il vescovo di
Makeni, George Biguzzi
Giovanni Paolo II ha poi ricevuto l’arcivescovo, Paul
Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum”.
In Inghilterra, il Santo Padre ha nominato vescovo di East
Anglia il 52.enne sacerdote Michael Charles Evans, del clero dell’arcidiocesi
di Southwark, finora parroco della parrocchia di Sant’Agostino a Tunbridge
Wells. Londinese, il neo presule ha seguito gli studi di filosofia e teologia
al Seminario Maggiore di St John a
Wonersh, del quale è stato in seguito docente e vicerettore. Mons. Evans ha anche conseguito il Master’s Degree in teologia presso il Heythrop College di Londra. Oltre ai suoi numerosi incarichi
pastorali, dal 1994 svolge il ruolo di presidente del Comitato diocesano per la
Giustizia e la Pace ed è membro del Comitato britannico per il dialogo
ecumenico fra metodisti e cattolici e anche dell’International Joint Commission tra la Chiesa Cattolica e il World Methodist Council.
In Italia, il Papa ha accettato la rinuncia al governo
pastorale della diocesi di Castellaneta presentata, per raggiunti limiti di
età, dal vescovo Martino Scarafile. Al suo posto, il Pontefice ha nominato il
sacerdote Pietro Maria Fragnelli, del clero dell’arcidiocesi di Taranto, finora
rettore del Pontificio Seminario Romano Maggiore in Roma. Tarantino di nascita,
51 anni, il neopresule ha compiuto gli studi filosofici e teologici presso la
Pontificia Università Lateranense ed ha frequentato il Pontificio Istituto
Biblico, dove ha conseguito la Licenza in Scienze Bibliche, e si è laureato in
Filosofia all’Università “La Sapienza” di Roma. Mons. Fragnelli, autore di
pubblicazioni di carattere biblico, è stato tra l’altro officiale della
Segreteria di Stato dal 1987 al 1996, nonché padre spirituale del Seminario
Romano Maggiore fino alla nomina a rettore avvenuta nel 1996.
UNA NUOVA CONCRETA COLLABORAZIONE TRA LA
SANTA SEDE
E LA
CHIESA ORTODOSSA DI GRECIA PER SALVAGUARDARE L’EREDITA’ CRISTIANA DELL’EUROPA E
AFFRONTARE LE GRANDI SFIDE ETICHE.
COMUNE
DISPONIBILITA’ ESPRESSA NEL MESSAGGIO DEL PAPA
E NEL
DISCORSO DELL’ARCIVESCOVO DI ATENE E DI TUTTA LA GRECIA, CHRISTODOULOS
“Avvertiamo
la necessità di dare un aspetto nuovo, più incisivo alla nostra testimonianza
di fede perché le radici cristiane dell’Europa rivivano di linfa nuova, la
linfa di una testimonianza più concorde”. Così il Papa nel messaggio rivolto a
Sua Beatitudine Christodoulos, Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, reso
noto oggi. Latore della lettera, il cardinale Walter Kasper, Presidente del
Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, che dal 10 febbraio è a Atene per una visita al Santo Sinodo
della Chiesa ortodossa di Grecia che si conclude oggi. La Delegazione guidata dal cardinale Kasper, restituisce la prima visita di una
Delegazione della Chiesa ortodossa a Roma.
Servizio
di Carla Cotignoli
Il Papa
individua nella collaborazione tra le due Chiese – iniziata in occasione del
suo storico viaggio ad Atene nel maggio 2001 - “uno dei rimedi efficaci al
relativismo ideologico così diffuso in Europa, ad un pluralismo etico che dimentica
i valori perenni, ad una forma di globalizzazione che lascia insoddisfatto
l’uomo, poiché cancella le legittime differenziazioni che hanno permesso il
diffondersi di tanti tesori nell’Oriente e nell’Occidente europei”. “Spetta a
noi – conclude Giovanni Paolo II – operare insieme per raggiungere questi
importanti ed urgenti obiettivi”. L’auspicio del Papa è che “questo nuovo
contatto susciti forme concrete di cooperazione”. E dichiara la piena
disponibilità di Roma “nella consapevolezza della necessità di integrare le
tradizioni greca, latina e slava dell’Europa di oggi”.
Piena
consonanza con le parole del Papa è stata espressa, al momento della consegna
del messaggio, dalle parole
dell’’arcivescovo Christodoulos di
Atene e del cardinale Walter Kasper.
L’arcivescovo ortodosso ha ricordato i primi secoli del cristianesimo
quando ben tre vescovi ateniesi erano
saliti al soglio pontificio. E con dolore ha fatto cenno alle vicende
storiche che hanno rotto la comunione tra Oriente e Occidente. Ma “ora – ha
detto – sta emergendo uno spirito di incontro e collaborazione”. L’arcivescovo
Christodoulos ha passato in rassegna con preoccupazione, le gravi sfide che
interpellano oggi i cristiani: la salvaguardia della comune eredità ed identità
cristiana dell’Europa, la bioetica, la salvaguardia del creato, i diritti
umani, la lotta al terrorismo, le disuguaglianze sociali ed economico, le discriminazioni
razziali e religiose, i giovani. L’incidenza delle risposte e soluzioni a
queste questioni brucianti – ha detto -
possono essere più efficaci nella misura in cui si congiungono gli
sforzi nell’affrontarle. Di qui l’invito ad una nuova delegazione vaticana a
partecipare ad una conferenza internazionale promossa ad Atene per il prossimo maggio.
Affronterà i principi morali e i valori che devono essere alla base della
futura casa comune europea.
E la
proposta del cardinale Kasper è di “strutturare meglio” questa collaborazione.
“Avremmo bisogno di consultarci più spesso”. E propone di creare “un nucleo
operativo” che aiuterebbe per la regolarità dei contatti e per la collaborazione
specie per tutte quelle problematiche da affrontare a livello europeo. Il suo
discorso è carico di speranza: ed elenca i molteplici incontri avvenuti di
recente con i Patriarcati ortodossi di Bulgaria, Romania, Serbia,
Costantinopoli, con tutte le Antiche Chiese dell’Oriente. Ha auspicato un
rilancio anche a livello di dialogo teologico. Il cardinale Kasper ha
annunciato una importante iniziativa: un simposio, a livello strettamente
accademico, esteso alla partecipazione di teologi ortodossi, sul primato petrino in alcuni dei suoi
aspetti biblici, patristici e storici. Avrà luogo nel maggio prossimo.
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“La fatica della Pace” è il
titolo che apre, con forza, la prima pagina. In evidenza, due foto
eloquentemente a supporto del titolo: il Papa che riceve in udienza
il vice primo ministro della Repubblica dell'Iraq, ed il cardinale
Etchegaray che distribuisce la comunione durante la Santa Messa celebrata a
Baghdad.
Un pensiero di Michelle
Zappella dedicato all'Anno del Rosario.
Nelle vaticane, il Messaggio
del Papa all'arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia.
Una pagina sulle iniziative per
la pace nelle diocesi italiane.
Un sermone pronunciato a
braccio dal cardinale Newman, il 5 ottobre 1879, sulla “forza del Rosario”. In
terza pagina, un contributo di Giovanni Velocci su una recente pubblicazione
dedicata al porporato. Il titolo del contributo è “Un volume privo di serietà e
di obiettività scientifica”.
Nel cammino della Chiesa in
Europa, un articolo di Giampaolo Mattei su un volume che raccoglie
testimonianze e documenti sui primi cinque anni di episcopato di mons.
Massafra, arcivescovo di Scutari, in Albania.
Nelle pagine estere, Medio
Oriente: Arafat accetta di nominare un primo ministro palestinese.
Bolivia: Ancora morti e feriti
nelle strade. Si spara persino sulle ambulanze.
Nella pagina culturale, un
articolo di Franco Pelliccioni sulla storia dell'isola di Creta.
Nelle pagine italiane, in primo
piano la situazione politica, con costante riferimento all'evolversi della
crisi irachena.
I temi del fisco e della
giustizia.
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MOMENTO CRUCIALE PER L’EVOLUZIONE DELLA CRISI
IRACHENA.
TRA POCHE ORE, AL PALAZZO DI VETRO DI NEW
YORK,
IL
NUOVO RAPPORTO DEGLI ISPETTORI ONU SUL DISARMO
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
Il mondo che crede nella pace rivolge oggi uno sguardo di
speranza verso Città del Vaticano e New York, centri nevralgici di uno sforzo
diplomatico che cerca di impedire all’ombra minacciosa della guerra di
materializzarsi, ancora una volta, sul Golfo Persico. Dopo l’incontro di
Giovanni Paolo II con il vice-premier iracheno Tarek Aziz, cresce l’attesa per
il rapporto che i capo-ispettori sul disarmo dell’Onu presenteranno - tra circa
due ore - al Palazzo di Vetro. Una vigilia caratterizzata dalle parole di fuoco
del presidente americano all’indirizzo del leader iracheno che, dal canto suo, ha
ribadito stamani di non possedere armi di distruzione di massa. Intanto,
secondo quanto riferito dal ministro dell’informazione di Baghdad, Saddam
Hussein ha firmato oggi un decreto legge per la messa al bando
dell’importazione e la produzione di armi proibite. Da New York, Paolo
Mastrolilli:
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“Gli Stati Uniti useranno ogni grammo del loro potere per
sconfiggere Saddam”. E’ la promessa fatta ieri dal presidente Bush nel discorso
ai marinai di una base della Florida, alla vigilia del giorno che potrebbe
aprire la porta all’intervento armato in Iraq. Oggi, gli ispettori dell’Onu
presentano un nuovo rapporto al Consiglio di Sicurezza che, secondo Washington,
dovrebbe essere l’ultimo. Il segretario di Stato Powell, infatti, ha ribadito
che chiederà agli altri Paesi di riconoscere le violazioni commesse dall’Iraq e
quindi di autorizzare l’uso della forza. Il presidente russo Putin, però, ha
lasciato intendere di essere pronto ad usare il veto per bloccare una eventuale
seconda risoluzione, mentre il cancelliere tedesco Schröder ha detto che si può
ancora trovare una soluzione pacifica alla crisi attraverso le ispezioni. La
chiave, viste le divergenze, potrebbe risiedere proprio nel rapporto di Hans
Blix e Mohamed El-Baradei, che intanto hanno ricevuto il verdetto di una
commissione di esperti secondo cui l’Iraq ha violato i limiti imposti dall’Onu
alla gittata dei suoi missili. La Nato, invece, ha dovuto cancellare ancora la
discussione sui piani per proteggere la Turchia, ma Berlino ha detto che la questione
potrebbe essere risolta domani, dopo il rapporto degli ispettori.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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E’ dunque un
carico di responsabilità estremamente oneroso quello che grava su Blix ed
El-Baradei. Ma quale potrà essere la risposta del Consiglio di Sicurezza alle
loro dichiarazioni di oggi pomeriggio? Giada Aquilino lo ha chiesto a Lucio
Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes, che dedica il numero
in edicola oggi proprio alla crisi irachena:
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R. – Conteranno
molto se saranno critiche, nel senso che potranno offrire il destro agli Stati
Uniti e alla Gran Bretagna per premere sul Consiglio di Sicurezza, affinché
venga varata al più presto una seconda risoluzione dell’Onu che dia forse anche
un ultimatum a Saddam e permetta lo scatenamento della guerra entro i primi di
marzo. Se sarà invece una relazione ancora piuttosto ambigua, o interpretabile
in troppi modi, non sarà decisiva. Credo anche che le pressioni americane e
inglesi lo porteranno forse ad accentuare più l’aspetto negativo. Recentemente,
poi, questa presunta violazione da parte di Saddam della produzione di missili
con gittata superiore a 150 km potrebbe offrire un dato tecnico ulteriore a
questa tesi.
D. – Quante possibilità ci sono che si appoggi l’aumento
degli ispettori prospettato dalla Francia?
R. – Direi quasi zero, perché nessuno dei Paesi che
contano è veramente disposto a spingere il braccio di ferro con gli Stati Uniti
fino a questo punto.
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Se, come sostiene Caracciolo, è improbabile un braccio di
ferro tra gli Stati Uniti e le altre potenze occidentali, tuttavia la crisi
irachena ha determinato delle fratture nei rapporti euro-atlantici, come
dimostrano - da ultime - le frizioni in sede Nato. Sul significato di questi
contrasti, e le ripercussioni che potranno avere nel lungo periodo, ascoltiamo
la riflessione dello storico Giorgio Rumi, professore all’Università Statale di
Milano:
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R. – E’ difficile fare previsioni nella situazione
attuale, dove può accadere di tutto. Certamente ci sono delle complicazioni
nella vita sia europea sia della Nato, che vanno osservate con attenzione,
probabilmente medicate con pazienza. Un elemento è indubbiamente quello della
nuova Germania, che non è più la Germania renana, ma quella più berlinese,
quindi più lontana da quel quadrante occidentale che ha dato origine sia
all’Europa che alla Nato. Certamente c’è del nuovo. Ma c’è anche del vecchio.
Indubbiamente, infatti, la politica francese risente di una interpretazione
colbertista, oserei dire, sia dal punto di vista di tutela statuaria degli
interessi economici, sia di sopravvivenza dello Stato francese in Europa.
Forse, quell’uscita a due non è stata molto lungimirante, perché ha provocato
dei contraccolpi che hanno aggravato la situazione. Bisogna fare uno sforzo che
non è di ricucitura, ma proprio di ricomposizione della frattura che c’è stata.
D. – Se l’Atlantico sembra essere diventato più largo, non
mancano i contrasti all’interno della stessa Unione Europea su un’eventuale
azione militare a guida americana in Iraq. Sono distinzioni di principio a
dettare queste posizioni o piuttosto gli interessi economici e politici legati
al quadrante del Golfo persico?
R. – L’uno e l’altro, perché ci sono indubbiamente dei
movimenti profondi dell’opinione pubblica, tanto che persino l’Inghilterra è
ampiamente contraria all’azione militare. E poi ci sono i governi. E’ un caso,
per me, di strabismo orrido: un occhio guarda da una parte e l’altro guarda
dall’altra. E’ indubbio che esista una forte politica estera francese, tradizionale
dello Stato francese, e questo certamente pesa. Esiste una tradizione
britannica, che è quella di tenere l’Europa in equilibrio senza egemonie. Direi
che è un misto di tradizione e di attualità, di spinte dalla base che indubbiamente
ci sono, e proprio degli interessi governativi specifici.
D. – Dopo l’11 settembre, la guerra al terrorismo sembrava
aver cementato i legami fra le nazioni del mondo occidentale. Una saldezza che
sembra ora vacillare. D’altro canto, molti osservatori registrano una frattura
nel mondo islamico tra spinte riformiste e fughe in avanti verso l’estremismo.
Bin Laden sta vincendo la sua Jihad?
R. – Diciamo che in un primo momento senz’altro sì, perché
ha creato fratture su tutto. come mai è successo fin dai tempi di Suez, quando
Russia e Stati Uniti oggettivamente fermarono francesi e inglesi. Non abbiamo
avuto una crisi paragonabile nel passato a quella attuale. Bisogna vedere se
sia duratura o meno, o se ci sia invece una spinta di ricompattamento, di
sutura. E’ un momento di equilibrio estremamente instabile, che può
precipitare. E certamente la lezione per l’Europa è importante. Bisogna
assolutamente ricomporre le fratture e trovare una via europea.
**********
Dai
venti di guerra alle richieste di pace. Questo tema sarà il filo conduttore di
una serie di manifestazioni, di ispirazione sia religiosa sia sociopolitica,
che porteranno oggi e domani migliaia di persone nelle chiese e nelle vie di
molte città italiane. In una dichiarazione, i religiosi e le religiose italiane
hanno riaffermato il rinnovato impegno a pregare ed operare per la pace,
formando le coscienze alla logica evangelica della non violenza. Per quanto
riguarda le manifestazioni di digiuno e preghiera, ampia è stata l’adesione di
movimenti e associazioni all’incontro dal titolo “Innamorati della pace”, che
avrà luogo oggi pomeriggio nella Chiesa del Gesù a Roma. Numerose le
testimonianze previste sul tema pace in terre di conflitto: dalla Sierra Leone,
alla Terra Santa. Interverrà in apertura, mons. Gianpaolo Crepaldi, segretario
del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace.
Ma lasciamo la parola, al microfono di Stefano Leszczynski, a Luca Jahier, tra i promotori dell’incontro:
**********
Quando noi l’abbiamo promosso, con questo slogan “Innamorati della pace”,
che cade nel giorno di San Valentino, certamente pensavamo di non arrivare al
punto in cui siamo in questi giorni. Le motivazioni di questa iniziativa sono ancor
più rafforzate: la prima, dire una parola forte come cristiani di fronte a ciò
che viene sempre più considerato come l’inevitabile conflitto in Iraq, il
secondo motivo è qualificare l’apporto dei credenti sul tema della pace, perché
non sia soltanto un ‘no’ doveroso e forte alla guerra, all’egoismo e alla
morte, ma sia anche e soprattutto un ‘sì’ alla vita, un ‘sì al diritto, un ‘sì’
alla solidarietà, come ci ha indicato il Santo Padre. E sia anche un ricordare
che a questa guerra si affiancano le violazioni dei diritti della persona, la
violenza che purtroppo attraversa molte altre parti del mondo. Il terzo motivo
è compiere un gesto di preghiera: la serata si concluderà con la recita del
Rosario. Vogliamo testimoniare una vicinanza ed un’invocazione forte perché, in
questo momento di ‘passione’, vinca il
Principe della pace.
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INTERNET E LE NUOVE PATOLOGIE:
PRESENTATA UNA RICERCA CONDOTTA SU BAMBINI E
ADULTI.
Le
patologie generate dall’abuso di
Internet o delle nuove tecnologie. Se ne è parlato, ieri, al convegno “La mente
virtuale” dove il professor Tonino Cantelmi, presidente dell’Associazione
psichiatri e psicologi cattolici, ha presentato una ricerca condotta su bambini
e adulti. Nel corso dell’incontro è stato anche illustrato un vademecum per le
famiglie realizzato dalla Commissione bicamerale per l’Infanzia. Il servizio di
Debora Donnini.
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Preferire la realtà virtuale all’esistenza reale: così si
possono sintetizzare le nuove patologie a cui l’umanità è esposta da quando le
maglie della Rete hanno raggiunto le nostre case. Qualche esempio di rischio?
Il tecnoautismo riguarda i bambini fra i 6 e i 9 anni che utilizzano molto le
nuove tecnologie e che manifestano poi difficoltà ad esprimere le proprie
emozioni senza la tecnologia stessa. Il tech-abuser
colpisce invece ben il 10 per cento degli adulti che frequentano assiduamente
la Rete e che mostrano incapacità a relazionarsi con persone in carne ed ossa.
Sulle nuove patologie da abuso di Internet sentiamo il prof. Tonino Cantelmi:
R. – Tra i rischi ed i problemi, quelli che ci hanno
colpito di più sono quelli dei bambini. Ormai nel nostro campione un 15-20 per
cento di bambini naviga regolarmente, chatta e soprattutto cerca amicizie in
Rete. La tecnologia, dunque, diventa per questi bambini la modalità di interagire
con gli altri. I bambini, inoltre, giocano mediamente un’ora o due con i
videogiochi, fino alla soglia di allarme di oltre 5 ore. Per quanto riguarda
gli adulti, il 10 per cento fra coloro che navigano subisce forme di fascino della rete. E c’è
una forma di abuso, che ci ha colpito molto: la webcam abuser. Si tratta di soggetti che non fanno altro che
cercare in rete siti dove spiare le persone; quei siti dove le persone fanno
vedere se stesse 24 ore su 24. C’è poi la cybersex
addiction, che riguarda circa 11 milioni di italiani che non possono fare a
meno di coniugare sesso e internet; e poi, soprattutto, la dipendenza da chat.
Al convegno è stato poi presentato un vademecum per le
famiglie sull’uso consapevole dei mezzi di comunicazione. Maria Burani
Procaccini, presidente della Commissione bicamerale per l’Infanzia:
R. – Noi abbiamo voluto, con questa pubblicazione, dire
alla famiglia ed anche agli insegnanti che i bambini non vanno lasciati soli
con i mezzi di comunicazione, che sono splendidi, ma la solitudine con questi
media meccanici genera addirittura delle sindromi.
Non si tratta, dunque, di
demonizzare le nuove tecnologie, ma di invitare i genitori a seguire i bambini
nell’uso di tali mezzi.
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14 febbraio 2003
IN VISTA DEL GRANDE APPUNTAMENTO PACIFISTA
IN PROGRAMMA DOMANI A ROMA,
SI MOLTIPLICANO GLI APPELLI DELLE
ORGANIZZAZIONI
CONTRARIE ALL’IPOTESI DI UNA NUOVA
GUERRA IN IRAQ
ROMA. = Sono moltissimi gli
ordini religiosi e le congregazioni che aderiranno alla manifestazione per la
pace in programma domani a Roma. Contemporaneamente, in diverse città del mondo
si svolgeranno cortei nel tentativo di dare voce alle migliaia di persone,
gruppi, associazioni e movimenti contrari all’ipotesi di una nuova guerra in
Iraq. In vista del grande appuntamento pacifista, si moltiplicano gli appelli
contro la guerra, firmati tra gli altri da molte organizzazioni religiose e
movimenti della società civile. "No alla guerra sì alla pace" è il
titolo di un manifesto diffuso in questi giorni, secondo cui la guerra è
"immorale, illegale, inutile". Il manifesto – secondo quanto
riferisce l’agenzia religiosa “Vidimus Dominum” - è firmato, tra gli altri,
dall’Associazione centro Astalli della Compagnia di Gesù, dalle figlie di Maria
Ausiliatrice, dal centro missione della Consolata, dalle piccole suore
dell’Assunzione, dai comboniani, dalle comboniane e dal segretariato ”Giustizia
e Pace” dei servi di Maria. Suore e religiosi anche a Roma, come in altre
diocesi del mondo, prenderanno parte questa sera a momenti di preghiera per la
pace che si svolgeranno in tante chiese e oratori. Unendosi a molti altri
analoghi appelli rivolti in particolare ai potenti della terra, perché si
compia ogni sforzo per evitare la guerra, i Frati Minori Cappuccini della
provincia religiosa della Basilicata, hanno diffuso un messaggio in cui
esprimono la loro "opposizione ad ogni guerra e in particolare alla cosiddetta
guerra preventiva contro il popolo iracheno”. L'augurio conclusivo del
documento è che si comprenda a fondo, soprattutto da parte di coloro che hanno
il potere di decidere, "che con la guerra - come ha detto in modo
inequivocabile il Papa - tutto è perduto". (A.L.)
LA
COMMISSIONE DEGLI EPISCOPATI DELLA COMUNITA’ EUROPEA CRITICA
LA REVISIONE FATTA DAL PARLAMENTO EUROPEO DEL REGOLAMENTO
CHE DISCIPLINA GLI AIUTI DESTINATI
ALLE POLITICHE SANITARIE
E RIPRODUTTIVE NEI PAESI IN VIA DI
SVILUPPO
BRUXELLES
= La Commissione degli episcopati della comunità europea (Comece) ha criticato
la revisione fatta dal parlamento europeo del regolamento che disciplina gli
aiuti destinati alle politiche sanitarie e riproduttive nei Paesi in via di
sviluppo. Secondo i vescovi il progetto si allontana dalla promozione integrale
della dignità della persona umana. “Questo piano – precisano i presuli - si
focalizza sui diritti in materia di riproduzione e della sessualità
dell’individuo, ma è necessaria anche una promozione della sua responsabilità
in seno alla famiglia e alla società”. La Comece teme infatti che anche
l’aborto sia compreso tra i progetti che riceveranno finanziamenti da parte
dell’Ue. “L’aborto – ribadiscono i vescovi europei – toglie la vita ad un
bambino non ancora nato e ciò è eticamente inaccettabile”. Alle dichiarazioni
della Comece fa eco, in Italia, “Civiltà cattolica” che, nelle bozze anticipate
ieri, rivolge un appello ai politici italiani affinché modifichino la legge
nazionale sull’aborto. “Se non si può abolirla, perché in questi anni la
mentalità abortista si è rafforzata – afferma la prestigiosa rivista – si può
tentare di renderla meno permissiva”. Un invito rafforzato dalla recente nota
vaticana sul rapporto tra cristiani e politica, nella quale si esortano i
politici cattolici ad opporsi ad ogni legge che risulti un attentato alla vita
umana. (M.A.)
“VOGLIAMO
RAFFORZARE IL NOSTRO DECENNALE IMPEGNO A SOSTEGNO DEI BAMBINI IRACHENI”. LO HA
DICHIARATO LO SCORSO 12 FEBBRAIO
IL PRESIDENTE DELL’UNICEF ITALIA,
GIOVANNI MICALI,
ANNUNCIANDO NUOVI INVESTIMENTI
NEI SETTORI DELLA SALUTE E DELL’ISTRUZIONE
ROMA.=
“Vogliamo rafforzare il nostro decennale impegno a sostegno dei bambini
iracheni”. Lo ha dichiarato lo scorso 12 febbraio il presidente dell’Unicef
Italia, Giovanni Micali, annunciando “un contributo straordinario di 500 mila
euro a favore dei programmi Unicef in Iraq nei settori della salute, della
nutrizione e dell’istruzione”. Micali ha ricordato come lo slogan che
caratterizza l’azione dell’Unicef in Italia, “dalla parte dei bambini”, sia
nato durante la campagna del 1991 per i bambini iracheni, a sostegno dei
convogli di aiuti, che in piena guerra del Golfo, l’Unicef portava in Iraq
attraverso il confine con l’Iran. “Ai 250 operatori Unicef, iracheni e
internazionali, che in Iraq da due decenni operano con uno sforzo straordinario
per salvare la vita e garantire la speranza di un futuro per i bambini,
dobbiamo dare un sostegno speciale”, ha sottolineato Micali, ricordando che
l’Unicef Italia finanzia già da vari anni la ricostruzione delle scuole nel
centro-sud del Paese. In Iraq oltre 18 milioni di persone vivono in uno stato
di insicurezza alimentare ed il 60% della popolazione dipende dalle razioni.
Nonostante un lieve miglioramento dovuto alla disponibilità dei fondi Oil
for food, l’iniziativa che autorizza l’Iraq a vendere petrolio in cambio di
generi di prima necessità, circa 240 mila bambini e 140 mila donne in
gravidanza dipendono dagli aiuti. (A.L.)
NELLA RIUNIONE DI IERI DEL CONSIGLIO
DI SICUREZZA DELLE NAZIONI UNITE SI È TORNATI A PARLARE DELL’ITURI,
LA REGIONE NORD ORIENTALE DEL CONGO SEGNATA DA UNA PERMANENTE
INSTABILITÀ POLITICA
ITURI. = Al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si
è tornati a parlare dell'Ituri, la martoriata regione nord orientale della
Repubblica Democratica del Congo. Nella riunione di ieri dell'organo esecutivo
dell'Onu è stato spiegato come, nonostante la firma di numerose tregue, la
situazione militare nella regione congolese sia di nuovo sul punto di
esplodere. Il sottosegretario generale per le operazioni di peacekeeping, Jean-Marie Guéhenno, ha
aggiornato i membri del Consiglio sul clima di instabilità permanente che si
respira in tutta la zona orientale dell'ex Zaire, nonostante l'intenso lavoro
svolto finora dalla Missione delle Nazioni Unite in Congo (Monuc). "Se non
si pone fine alla cultura dell'impunità presente nel Paese, sarà molto
difficile raggiungere sul fronte politico i progressi che stiamo cercando di
ottenere faticosamente da tanto tempo", ha spiegato Guéhenno. "La
situazione umanitaria è deteriorata significativamente - ha spiegato Sergio
Vieira de Mello, l’Alto commissario delle Nazioni Uniti per i diritti umani – e
la persecuzione dei civili in base a criteri etnici e tribali, sono solo alcuni
dei crimini commessi in Ituri". “I responsabili dei crimini commessi
devono essere arrestati immediatamente, anche se continuano ad esercitare
incarichi di comando e portati al più presto di fronte alla giustizia", ha
concluso l'Alto commissario dell'Onu. De Mello ha infine spiegato ai membri del
Consiglio di sicurezza come le atrocità commesse in Ituri rientrino in una
logica militare e siano utilizzate dai leader delle varie fazioni in lotta per
il controllo delle risorse del suo sottosuolo. (A.L.)
IN OCCASIONE DELLA RICORRENZA DI
SAN VALENTINO AMNESTY INTERNATIONAL
SI
APPELLA ALLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE E ALL’INDUSTRIA DELLA GIOIELLERIA
PERCHÉ
VENGANO TUTELATI I LAVORATORI DELLE MINIERE DI DIAMANTI
LONDRA. = In occasione della ricorrenza di San Valentino,
Amnesty International ricorda che il vero costo dei diamanti è costituito dallo
scoppio di conflitti armati di cui fanno le spese centinaia di migliaia di
civili. Il movimento per i diritti umani segnala in particolare il caso della
Repubblica Democratica del Congo. “Il sangue scorre ogni giorno nelle zone
diamantifere di Mbuji-Mayi e la comunità internazionale gira la testa dall’altra
parte per non intervenire”, ha dichiarato Umberto Musumeci, responsabile del
coordinamento diritti economici e sociali della Sezione Italiana di Amnesty
International. Nello scorso ottobre, una delegazione di Amnesty International
ha potuto visitare zona di Mbuji-Mayi,
verificando l’esistenza di gravissime violazioni dei diritti umani, soprattutto
ai danni di minatori illegali, in cerca di qualche piccola pietra con cui
risolvere il problema della loro assoluta povertà. “La Repubblica Democratica
del Congo possiede immense ricchezze naturali che ne potrebbero fare una terra
ricca e felice – ha aggiunto Musumeci - ma il Paese è in coda alla classifica
mondiale dello sviluppo umano”. Amnesty International si appella alla comunità
internazionale, all’industria della gioielleria, alla MIBA – la compagnia
mineraria della Repubblica Democratica del Congo - e ai consumatori, perché
vengano tutelati i diritti umani così gravemente e palesemente violati.
L’organizzazione per i diritti umani chiede in particolare che sia bloccato il
commercio dei diamanti illegali attraverso l’applicazione rigorosa del
Procedimento Kimberley, il sistema di certificazione per i diamanti grezzi
entrato in vigore il 1° febbraio scorso. L’accordo prevede che i Paesi
firmatari sottopongano la produzione, l’importazione e l’esportazione di
diamanti grezzi ad un controllo basato su appositi certificati di origine che
permettano di riconoscere e rintracciare la località di estrazione. “Un
diamante, anche piccolo, deve restare un pegno d’amore e chi lo compra, chi lo
commercia, dovrebbe assicurarsi della sua provenienza. Soprattutto nel giorno
di San Valentino!”, ha concluso Musumeci. (A.L.)
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14 febbraio 2003
- A cura di Andrea Sarubbi -
Mentre il mondo guarda con attenzione a Baghdad, per il
timore di un possibile conflitto, in Occidente cresce la paura di nuovi
attentati terroristici, tanto più probabili se la via diplomatica in Iraq
dovesse fallire. L’allarme è particolarmente alto in Gran Bretagna: a causa
della scoperta di una borsa sospetta, la polizia ha fatto evacuare per circa
un’ora il terminal 2 dell’aeroporto londinese di Heathrow, mentre nel vicino
Berkshire, alla periferia sudoccidentale di Londra, sono stati arrestati
quattro sospetti. Altri due presunti terroristi erano stati fermati ieri nei
pressi dell’aeroporto.
Yasser
Arafat non sarà più l’unico punto di riferimento della politica palestinese.
Cedendo alle pressioni internazionali, il presidente dell’Anp ha infatti annunciato
questa mattina che accetterà la nomina di un primo ministro, che lo affianchi
nelle sue responsabilità. Positivi i commenti da parte israeliana: secondo
Shimon Peres, leader dei laburisti, si tratta di “un passo nella direzione
giusta”, ma ora “occorre fra i palestinesi un partner serio che controlli i
gruppi armati e con cui sia possibile intraprendere un negoziato”. A Guido
Olimpio, corrispondente del Corriere della Sera a Gerusalemme, Roberto
Piermarini ha chiesto un commento sulla decisione del leader palestinese:
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R. – Arafat si è trovato nella condizione di dover fare
questo passo. C’erano state pressioni interne allo stesso Fatah, perché egli
nominasse un primo ministro diversi mesi fa, ma lui si era rifiutato perché lo
considerava come un ostacolo o comunque come una diminuzione del suo potere.
Adesso si è probabilmente dovuto piegare alle pressioni americane, europee ed
anche israeliane. Bush, nel famoso discorso del giugno scorso, disse che
l’Autorità palestinese doveva essere riformata. Quindi questo potrebbe essere
un primo passo. Dico “potrebbe”, perché è fondamentale capire quanto potere
avrà il primo ministro e se sarà messo nelle condizioni di operare.
D. – Questa decisione può rilanciare il negoziato di pace
israelo-palestinese?
R. – Può rilanciare una trattativa. Ma è certo che questa
iniziativa non fa piacere a molti, in particolare ai gruppi radicali che ormai
agiscono in base alle loro agende locali: ad esempio, le fazioni della Brigata
Al Aqsa di Hebron, di Nablus o di Ramallah, oppure la Jihad o ancora Hamas.
All’interno di questi gruppi, c’è una forte componente che vuole continuare a
preparare attentati. Quindi è chiaro che il negoziato è appeso anche alle
azioni di questi attivisti.
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L’offensiva della guerriglia torna a colpire duramente la
Colombia. Una bomba è scoppiata questa mattina nei pressi dell’aeroporto
meridionale di Neiva, città in cui è prevista domani una visita del presidente
Álvaro Uribe. Almeno 6 le vittime ed una quindicina i feriti, ma altri nove
corpi si troverebbero sotto le macerie di una casa. A Medellín, invece, la
polizia ha sequestrato un’ingente quantità di esplosivo appartenente
all’Esercito di liberazione nazionale, arrestando 7 persone.
Sempre in Colombia, si è verificato un incidente aereo ad
un velivolo del governo statunitense, impegnato in un’operazione contro il
narcotraffico. L’aereo ha dovuto compiere un atterraggio di emergenza mentre
stava sorvolando le piantagioni di coca nei pressi di Florencia, roccaforte
delle Forze armate rivoluzionarie. Una volta giunto a terra, è stato assalito
dai ribelli, che avrebbero ucciso due dei cinque passeggeri a bordo e
probabilmente rapito gli altri tre, dei quali si sono perse le tracce.
Lento ritorno alla normalità in Bolivia, dopo i violenti
scontri che nei giorni scorsi hanno provocato la morte di almeno 27 persone. Le
violenze hanno visto contrapposti la polizia, che chiedeva un miglioramento
delle condizioni di lavoro, e l'esercito, schierato a difesa dell'esecutivo.
Dopo la promessa di un bonus finanziario da parte del governo, oggi i
poliziotti sono tornati al lavoro. Ma a livello politico la tensione resta
comunque alta, come ci riferisce Maurizio Salvi:
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Temendo di fare la fine del suo collega argentino, Fernando de la Rua,
costretto alle dimissioni dalle violenze della piazza, in Bolivia il presidente
Gonzalo Sánchez de Lozada ha cercato di calmare gli animi per mantenere nelle
sue mani le redini del potere. Gli analisti hanno infatti ricordato che, prima
dei disordini di Buenos Aires, il Fondo monetario internazionale aveva chiesto
all’Argentina una riduzione del suo deficit del 2 per cento, mentre per la
Bolivia la richiesta dell’Fmi è stata addirittura del 3 per cento. Il pesante
bilancio di vittime degli ultimi due giorni ha fortemente messo in discussione
il prestigio del capo dello Stato boliviano, che ieri sera è apparso in
televisione per assicurare che il peggio era passato e che la calma era tornata
in tutto il Paese. Comunque, di fronte alle molteplici richieste di dimissioni
del presidente, il suo portavoce, Mauricio Artesana, ha assicurato che senza
ombra di dubbio Sánchez de Lozada continuerà al potere fino al termine naturale
del suo mandato, nel 2007.
Maurizio Salvi per la Radio Vaticana.
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Quarto giorno consecutivo di scontri nell’isola di
Mindanao, nel sud delle Filippine. Con l’aiuto di elicotteri, razzi e cannoni,
l’esercito continua ad attaccare le postazioni del Fronte islamico moro di
liberazione, nei pressi della cittadina di Pikit. Il bilancio degli scontri è
drammatico: in questi giorni hanno perso la vita 148 persone, 138 delle quali
sono ribelli musulmani, e circa 30 mila civili sono fuggiti dalla regione. I
guerriglieri si sono detti disponibili ad una tregua, ma solo se il governo
prenderà l’iniziativa.
Un
convoglio di 20 pullman di turisti ha inaugurato questa mattina la nuova strada
di collegamento tra le due Coree: la prima, dai tempi della guerra terminata
nel 1953. Sul piano internazionale, però, sale il rischio di destabilizzazione
nella regione. Ieri il ministro della Difesa giapponese Ishiba ha evocato
l’ipotesi di un attacco preventivo alla Corea del Nord, “se il pericolo nucleare
di Pyongyang fosse imminente”. Da Tokyo, Chiaretta Zucconi:
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La dichiarazione ha suscitato le immediate proteste di
Pechino e Seul, molto sensibili ai rigurgiti nazionalisti nipponici, e le
infuriate reazioni dei gruppi pacifisti locali, che accusano il governo di
Koizumi di avere un budget per la difesa secondo soltanto a quello americano e
di voler utilizzare la minaccia nordcoreana per distogliere l’opinione pubblica
dai gravi problemi economici del Paese. Ma per mitigare le polemiche oggi
Ishiba è tornato con toni rassicuranti sull’argomento, affermando che non
esiste un pericolo pressante di lanci missilistici da parte di Pyongyang e che
il Giappone non sta comunque prendendo alcuna misura a tale proposito. In un
clima sempre più teso e confuso, oggi il governo di Tokyo ha emesso un
comunicato in cui raccomanda ai suoi connazionali di lasciare immediatamente
Baghdad e il resto dell’Iraq.
Per la Radio Vaticana, Chiaretta Zucconi.
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La Russia è diventata il primo produttore mondiale di
petrolio. Lo ha annunciato oggi il ministro dell'Energia, Igor Yusufov.
“Nell’ultimo trimestre del 2002 – ha detto il ministro – il Paese ha prodotto 8
milioni di barili al giorno” ed ha consolidato la sua leadership mondiale
nell'esportazione di idrocarburi.
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