RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 45 - Testo della Trasmissione venerdì 14 febbraio 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Ricevuto dal Papa il vicepremier iracheno, Tarek Aziz: ribadita la volontà dell’Iraq di procedere al disarmo, mentre la Santa Sede ha invitato lo Stato mediorientale a rispettare concretamente le risoluzioni dell’Onu. Ai nostri microfoni, il direttore della Sala stampa vaticana, Navarro Valls.

 

In attesa di incontrare Saddam Hussein a Baghdad, prosegue la missione in Iraq del cardinale Etchegaray.

 

Santa sede e Chiesa ortodossa greca unite per la salvaguardia dell’eredità cristiana europea: lo hanno ribadito il Papa e l’arcivescovo ortodosso di Atene, Christodoulos.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Tra poche ore, a New York, presentazione del rapporto degli ispettori sul disarmo iracheno, davanti al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Ne parliamo con il prof. Giorgio Rumi e il giornalista Lucio Caracciolo.

 

Internet e le nuove patologie di bambini e adulti. Intervista con il prof. Tonino Cantelmi e l’on. Maria Burani Procaccini.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Numerosi gli appelli delle organizzazioni pacifiste che si apprestano a sfilare domani in Italia contro la guerra in Iraq.

 

La Comece critica l’Europarlamento sugli aiuti ai Paesi poveri.

 

Un contributo straordinario di 500 mila euro a favore dei programmi Unicef in Iraq: lo ha comunicato il presidente di Unicef Italia, Giovanni Micali.

 

Al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si parla dell’Ituri, regione nord orientale della Repubblica Democratica del Congo, segnata da una permanente instabilità politica.

 

In occasione di San Valentino, Amnesty International si appella alla Comunità Internazionale e all’industria della gioielleria per la tutela del lavoratori delle miniere di diamanti.

 

24 ORE NEL MONDO :

Il leader palestinese Arafat accetta la nomina di un primo ministro, al suo fianco. Positive le reazioni israeliane.

 

L’offensiva della guerriglia colpisce ancora la Colombia. Bomba a Neiva, arresti a Medellín.

 

Lento ritorno alla normalità in Bolivia: il governo cede sugli aumenti, per paura di nuove violenze.

 

Pesanti scontri a Mindanao: circa 150 morti negli scontri tra l’esercito filippino ed i ribelli.

 

Inaugurata questa mattina la prima strada di collegamento tra le due Coree.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

14 febbraio 2003

 

 

RISPETTARE FEDELMENTE E CON ATTI CONCRETI LE RISOLUZIONI DELL’ONU:

COSI’ IL PAPA AL VICEPREMIER IRACHENO TAREK AZIZ, RICEVUTO OGGI IN VATICANO.

BAGHDAD PRONTA A COOPERARE IN MATERIA DI DISARMO

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

Oltre un’ora di permanenza in Vaticano, per uno dei due incontri al vertice che da settimane avevano contraddistinto la giornata del 14 febbraio come uno dei crocevia per i futuri sviluppi della crisi irachena. Il primo incontro, questa mattina, tra Giovanni Paolo II e Tarek Aziz, vice primo ministro dell’Iraq, latore di un messaggio del presidente Saddam Hussein. Il corteo di una decina di auto con a bordo Aziz e il suo seguito era entrato in Vaticano alle 11 esatte. Circa quindici minuti più tardi è iniziato il colloquio con il Pontefice, che ha accolto l’autorità irachena nella sua Biblioteca privata. Al termine di questa importante mattinata - conclusasi verso le 12.15, dopo i successivi colloqui di Aziz con il cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano, e con il segretario per i rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Jean-Louis Tauran - abbiamo chiesto al direttore della Sala Stampa vaticana, Joaquín Navarro Valls, quale sia stata la posizione espressa al Papa dal vicepremier iracheno:

 

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R. – Una posizione molto chiara: il signor Aziz ha voluto dare assicurazioni al Santo Padre circa la volontà del governo iracheno di cooperare con la comunità internazionale, in particolare per quello che riguarda il disarmo.

 

D. – In che modo ha risposto la Santa Sede?

 

R. – La Santa Sede ha ribadito - e questa è stata una buona occasione per ripeterlo direttamente ad un’autorità irachena - la necessità di rispettare fedelmente, con impegni ed atti concreti, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che rappresentano la garanzia della legalità internazionale. Quindi, un punto di vista che era già conosciuto, come la posizione della Santa Sede, oggi è stato ribadito direttamente al signor Aziz.

 

D. – In che clima si è svolto l’incontro di questa mattina?

 

R. – Direi cordiale. Si parlava di fatti, di una situazione molto drammatica, ma ci si è espressi con molta chiarezza da tutte e due le parti.

 

D. – Un’ultima cosa, dottor Navarro. Si è parlato molto in questi giorni di un possibile viaggio del Santo Padre a Baghdad. E’ una possibilità che risponde al vero?

 

R. – Il Papa aveva espresso tre anni fa, durante il Giubileo, il suo desiderio di visitare l’Iraq dei Caldei, la patria di Abramo. Per ragioni che sono ovvie, e cioè che non gli è stato permesso di fare questo viaggio, il Papa non è potuto andare in Iraq. Quindi, per lui è un capitolo chiuso. Le posso assicurare anche che in questa conversazione di oggi il tema non è stato minimamente sollevato da nessuna parte.

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E’ stata la quarta volta, oggi, che le delicate vicende dell’Iraq, seguite alla crisi del Golfo del 1991, hanno portato Tarek Aziz davanti a Giovanni Paolo II. In precedenza, entrambi si erano intrattenuti a colloquio il 28 giugno 1994, il 16 marzo 1995 e il 19 maggio 1998. Prima dell’appuntamento odierno, inoltre, il vicepremier iracheno aveva incontrato alcune personalità di spicco della politica italiana, tra le quali l’ex presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Da annotare il clima di attesa dei media e le necessità della sicurezza, con Via della Conciliazione e le zone limitrofe al Vaticano presidiate e ispezionate sin da questa mattina dalle Forze dell’ordine e la folla dei giornalisti - americani, inglesi, francesi, russi, giapponesi – che hanno letteralmente stipato i locali della Sala Stampa della Santa Sede, in attesa del comunicato ufficiale dell’udienza.

 

Intanto, l’altro versante dell’impegno diplomatico della Santa Sede per assicurare la pace in Iraq ha visto il cardinale Roger Etchegaray, inviato del Pontefice nel Paese, recarsi ieri in visita a Mosul, nel nord dello Stato iracheno, dove risiede la comunità cristiana locale. In attesa di incontrare il presidente Saddam Hussein, il porporato ha potuto verificare come, nella piccola località irachena, l’emigrazione causata dall’embargo e dai rischi della guerra abbia notevolmente ridotto il numero di cristiani nella città. Oltre che ai fedeli, il cardinale Etchegaray ha fatto visita anche alla moschea ed ai resti della città di Ninive, dove ha ricordato la figura del profeta Giona.

 

 

ALTRE UDIENZE E NOMINE

 

Nel corso della mattinata, in successive udienze, il Santo Padre ha ricevuto tre presuli della Liberia in visita ad Limina: l’arcivescovo di Monrovia, Michael Kpkala Francis, il vescovo di Cape Palmas, Boniface Nyema Dalieh, e il vescovo di Gbarnga, Lewis Zeigler. Sempre in visita ad Limina, il Papa ha ricevuto dalla Sierra Leone il vescovo di Makeni, George Biguzzi

 

Giovanni Paolo II ha poi ricevuto l’arcivescovo, Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum”.

 

In Inghilterra, il Santo Padre ha nominato vescovo di East Anglia il 52.enne sacerdote Michael Charles Evans, del clero dell’arcidiocesi di Southwark, finora parroco della parrocchia di Sant’Agostino a Tunbridge Wells. Londinese, il neo presule ha seguito gli studi di filosofia e teologia al Seminario Maggiore di St John a Wonersh, del quale è stato in seguito docente e vicerettore. Mons. Evans  ha anche conseguito il Master’s Degree in teologia presso il Heythrop College di Londra. Oltre ai suoi numerosi incarichi pastorali, dal 1994 svolge il ruolo di presidente del Comitato diocesano per la Giustizia e la Pace ed è membro del Comitato britannico per il dialogo ecumenico fra metodisti e cattolici e anche dell’International Joint Commission tra la Chiesa Cattolica e il World Methodist Council.

 

In Italia, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Castellaneta presentata, per raggiunti limiti di età, dal vescovo Martino Scarafile. Al suo posto, il Pontefice ha nominato il sacerdote Pietro Maria Fragnelli, del clero dell’arcidiocesi di Taranto, finora rettore del Pontificio Seminario Romano Maggiore in Roma. Tarantino di nascita, 51 anni, il neopresule ha compiuto gli studi filosofici e teologici presso la Pontificia Università Lateranense ed ha frequentato il Pontificio Istituto Biblico, dove ha conseguito la Licenza in Scienze Bibliche, e si è laureato in Filosofia all’Università “La Sapienza” di Roma. Mons. Fragnelli, autore di pubblicazioni di carattere biblico, è stato tra l’altro officiale della Segreteria di Stato dal 1987 al 1996, nonché padre spirituale del Seminario Romano Maggiore fino alla nomina a rettore avvenuta nel 1996.

 

 

UNA NUOVA CONCRETA COLLABORAZIONE TRA LA SANTA SEDE

E LA CHIESA ORTODOSSA DI GRECIA PER SALVAGUARDARE L’EREDITA’ CRISTIANA DELL’EUROPA E AFFRONTARE LE GRANDI SFIDE ETICHE.

COMUNE DISPONIBILITA’ ESPRESSA NEL MESSAGGIO DEL PAPA

E NEL DISCORSO DELL’ARCIVESCOVO DI ATENE E DI TUTTA LA GRECIA, CHRISTODOULOS

 

“Avvertiamo la necessità di dare un aspetto nuovo, più incisivo alla nostra testimonianza di fede perché le radici cristiane dell’Europa rivivano di linfa nuova, la linfa di una testimonianza più concorde”. Così il Papa nel messaggio rivolto a Sua Beatitudine Christodoulos, Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, reso noto oggi. Latore della lettera, il cardinale Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani,  che dal 10 febbraio è a Atene per una visita al Santo Sinodo della Chiesa ortodossa di Grecia che si conclude oggi.  La Delegazione   guidata dal cardinale Kasper, restituisce la prima visita di una Delegazione della Chiesa ortodossa a Roma.

Servizio di Carla Cotignoli

 

Il Papa individua nella collaborazione tra le due Chiese – iniziata in occasione del suo storico viaggio ad Atene nel maggio 2001 - “uno dei rimedi efficaci al relativismo ideologico così diffuso in Europa, ad un pluralismo etico che dimentica i valori perenni, ad una forma di globalizzazione che lascia insoddisfatto l’uomo, poiché cancella le legittime differenziazioni che hanno permesso il diffondersi di tanti tesori nell’Oriente e nell’Occidente europei”. “Spetta a noi – conclude Giovanni Paolo II – operare insieme per raggiungere questi importanti ed urgenti obiettivi”. L’auspicio del Papa è che “questo nuovo contatto susciti forme concrete di cooperazione”. E dichiara la piena disponibilità di Roma “nella consapevolezza della necessità di integrare le tradizioni greca, latina e slava dell’Europa di oggi”.

 

Piena consonanza con le parole del Papa è stata espressa, al momento della consegna del messaggio,  dalle parole dell’’arcivescovo  Christodoulos di Atene e del cardinale Walter Kasper.  L’arcivescovo ortodosso ha ricordato i primi secoli del cristianesimo quando ben tre vescovi ateniesi erano  saliti al soglio pontificio. E con dolore ha fatto cenno alle vicende storiche che hanno rotto la comunione tra Oriente e Occidente. Ma “ora – ha detto – sta emergendo uno spirito di incontro e collaborazione”. L’arcivescovo Christodoulos ha passato in rassegna con preoccupazione, le gravi sfide che interpellano oggi i cristiani: la salvaguardia della comune eredità ed identità cristiana dell’Europa, la bioetica, la salvaguardia del creato, i diritti umani, la lotta al terrorismo, le disuguaglianze sociali ed economico, le discriminazioni razziali e religiose, i giovani. L’incidenza delle risposte e soluzioni a queste questioni brucianti – ha detto -  possono essere più efficaci nella misura in cui si congiungono gli sforzi nell’affrontarle. Di qui l’invito ad una nuova delegazione vaticana a partecipare ad una conferenza internazionale promossa ad Atene per il prossimo maggio. Affronterà i principi morali e i valori che devono essere alla base della futura casa comune europea.

 

E la proposta del cardinale Kasper è di “strutturare meglio” questa collaborazione. “Avremmo bisogno di consultarci più spesso”. E propone di creare “un nucleo operativo” che aiuterebbe per la regolarità dei contatti e per la collaborazione specie per tutte quelle problematiche da affrontare a livello europeo. Il suo discorso è carico di speranza: ed elenca i molteplici incontri avvenuti di recente con i Patriarcati ortodossi di Bulgaria, Romania, Serbia, Costantinopoli, con tutte le Antiche Chiese dell’Oriente. Ha auspicato un rilancio anche a livello di dialogo teologico. Il cardinale Kasper ha annunciato una importante iniziativa: un simposio, a livello strettamente accademico, esteso alla partecipazione di teologi ortodossi, sul primato petrino in alcuni dei suoi aspetti biblici, patristici e storici. Avrà luogo nel maggio prossimo.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

“La fatica della Pace” è il titolo che apre, con forza, la prima pagina. In evidenza, due foto eloquentemente a supporto del titolo: il Papa che riceve in udienza il vice primo ministro della Repubblica dell'Iraq, ed il cardinale Etchegaray che distribuisce la comunione durante la Santa Messa celebrata a Baghdad. 

Un pensiero di Michelle Zappella dedicato all'Anno del Rosario.

 

Nelle vaticane, il Messaggio del Papa all'arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia.

Una pagina sulle iniziative per la pace nelle diocesi italiane.

Un sermone pronunciato a braccio dal cardinale Newman, il 5 ottobre 1879, sulla “forza del Rosario”. In terza pagina, un contributo di Giovanni Velocci su una recente pubblicazione dedicata al porporato. Il titolo del contributo è “Un volume privo di serietà e di obiettività scientifica”.

Nel cammino della Chiesa in Europa, un articolo di Giampaolo Mattei su un volume che raccoglie testimonianze e documenti sui primi cinque anni di episcopato di mons. Massafra, arcivescovo di Scutari, in Albania.

 

Nelle pagine estere, Medio Oriente: Arafat accetta di nominare un primo ministro palestinese.

Bolivia: Ancora morti e feriti nelle strade. Si spara persino sulle ambulanze.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Franco Pelliccioni sulla storia dell'isola di Creta.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la situazione politica, con costante riferimento all'evolversi della crisi irachena.

I temi del fisco e della giustizia.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

14 febbraio 2003

 

 

MOMENTO CRUCIALE PER L’EVOLUZIONE DELLA CRISI IRACHENA.

 TRA POCHE ORE, AL PALAZZO DI VETRO DI NEW YORK,

IL NUOVO RAPPORTO DEGLI ISPETTORI ONU SUL DISARMO 

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

Il mondo che crede nella pace rivolge oggi uno sguardo di speranza verso Città del Vaticano e New York, centri nevralgici di uno sforzo diplomatico che cerca di impedire all’ombra minacciosa della guerra di materializzarsi, ancora una volta, sul Golfo Persico. Dopo l’incontro di Giovanni Paolo II con il vice-premier iracheno Tarek Aziz, cresce l’attesa per il rapporto che i capo-ispettori sul disarmo dell’Onu presenteranno - tra circa due ore - al Palazzo di Vetro. Una vigilia caratterizzata dalle parole di fuoco del presidente americano all’indirizzo del leader iracheno che, dal canto suo, ha ribadito stamani di non possedere armi di distruzione di massa. Intanto, secondo quanto riferito dal ministro dell’informazione di Baghdad, Saddam Hussein ha firmato oggi un decreto legge per la messa al bando dell’importazione e la produzione di armi proibite. Da New York, Paolo Mastrolilli:

 

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“Gli Stati Uniti useranno ogni grammo del loro potere per sconfiggere Saddam”. E’ la promessa fatta ieri dal presidente Bush nel discorso ai marinai di una base della Florida, alla vigilia del giorno che potrebbe aprire la porta all’intervento armato in Iraq. Oggi, gli ispettori dell’Onu presentano un nuovo rapporto al Consiglio di Sicurezza che, secondo Washington, dovrebbe essere l’ultimo. Il segretario di Stato Powell, infatti, ha ribadito che chiederà agli altri Paesi di riconoscere le violazioni commesse dall’Iraq e quindi di autorizzare l’uso della forza. Il presidente russo Putin, però, ha lasciato intendere di essere pronto ad usare il veto per bloccare una eventuale seconda risoluzione, mentre il cancelliere tedesco Schröder ha detto che si può ancora trovare una soluzione pacifica alla crisi attraverso le ispezioni. La chiave, viste le divergenze, potrebbe risiedere proprio nel rapporto di Hans Blix e Mohamed El-Baradei, che intanto hanno ricevuto il verdetto di una commissione di esperti secondo cui l’Iraq ha violato i limiti imposti dall’Onu alla gittata dei suoi missili. La Nato, invece, ha dovuto cancellare ancora la discussione sui piani per proteggere la Turchia, ma Berlino ha detto che la questione potrebbe essere risolta domani, dopo il rapporto degli ispettori.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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E’ dunque un carico di responsabilità estremamente oneroso quello che grava su Blix ed El-Baradei. Ma quale potrà essere la risposta del Consiglio di Sicurezza alle loro dichiarazioni di oggi pomeriggio? Giada Aquilino lo ha chiesto a Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes, che dedica il numero in edicola oggi proprio alla crisi irachena:

 

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R. – Conteranno molto se saranno critiche, nel senso che potranno offrire il destro agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna per premere sul Consiglio di Sicurezza, affinché venga varata al più presto una seconda risoluzione dell’Onu che dia forse anche un ultimatum a Saddam e permetta lo scatenamento della guerra entro i primi di marzo. Se sarà invece una relazione ancora piuttosto ambigua, o interpretabile in troppi modi, non sarà decisiva. Credo anche che le pressioni americane e inglesi lo porteranno forse ad accentuare più l’aspetto negativo. Recentemente, poi, questa presunta violazione da parte di Saddam della produzione di missili con gittata superiore a 150 km potrebbe offrire un dato tecnico ulteriore a questa tesi.

 

D. – Quante possibilità ci sono che si appoggi l’aumento degli ispettori prospettato dalla Francia?

 

R. – Direi quasi zero, perché nessuno dei Paesi che contano è veramente disposto a spingere il braccio di ferro con gli Stati Uniti fino a questo punto.

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Se, come sostiene Caracciolo, è improbabile un braccio di ferro tra gli Stati Uniti e le altre potenze occidentali, tuttavia la crisi irachena ha determinato delle fratture nei rapporti euro-atlantici, come dimostrano - da ultime - le frizioni in sede Nato. Sul significato di questi contrasti, e le ripercussioni che potranno avere nel lungo periodo, ascoltiamo la riflessione dello storico Giorgio Rumi, professore all’Università Statale di Milano:

 

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R. – E’ difficile fare previsioni nella situazione attuale, dove può accadere di tutto. Certamente ci sono delle complicazioni nella vita sia europea sia della Nato, che vanno osservate con attenzione, probabilmente medicate con pazienza. Un elemento è indubbiamente quello della nuova Germania, che non è più la Germania renana, ma quella più berlinese, quindi più lontana da quel quadrante occidentale che ha dato origine sia all’Europa che alla Nato. Certamente c’è del nuovo. Ma c’è anche del vecchio. Indubbiamente, infatti, la politica francese risente di una interpretazione colbertista, oserei dire, sia dal punto di vista di tutela statuaria degli interessi economici, sia di sopravvivenza dello Stato francese in Europa. Forse, quell’uscita a due non è stata molto lungimirante, perché ha provocato dei contraccolpi che hanno aggravato la situazione. Bisogna fare uno sforzo che non è di ricucitura, ma proprio di ricomposizione della frattura che c’è stata.

 

D. – Se l’Atlantico sembra essere diventato più largo, non mancano i contrasti all’interno della stessa Unione Europea su un’eventuale azione militare a guida americana in Iraq. Sono distinzioni di principio a dettare queste posizioni o piuttosto gli interessi economici e politici legati al quadrante del Golfo persico?

 

R. – L’uno e l’altro, perché ci sono indubbiamente dei movimenti profondi dell’opinione pubblica, tanto che persino l’Inghilterra è ampiamente contraria all’azione militare. E poi ci sono i governi. E’ un caso, per me, di strabismo orrido: un occhio guarda da una parte e l’altro guarda dall’altra. E’ indubbio che esista una forte politica estera francese, tradizionale dello Stato francese, e questo certamente pesa. Esiste una tradizione britannica, che è quella di tenere l’Europa in equilibrio senza egemonie. Direi che è un misto di tradizione e di attualità, di spinte dalla base che indubbiamente ci sono, e proprio degli interessi governativi specifici.

 

D. – Dopo l’11 settembre, la guerra al terrorismo sembrava aver cementato i legami fra le nazioni del mondo occidentale. Una saldezza che sembra ora vacillare. D’altro canto, molti osservatori registrano una frattura nel mondo islamico tra spinte riformiste e fughe in avanti verso l’estremismo. Bin Laden sta vincendo la sua Jihad?

 

R. – Diciamo che in un primo momento senz’altro sì, perché ha creato fratture su tutto. come mai è successo fin dai tempi di Suez, quando Russia e Stati Uniti oggettivamente fermarono francesi e inglesi. Non abbiamo avuto una crisi paragonabile nel passato a quella attuale. Bisogna vedere se sia duratura o meno, o se ci sia invece una spinta di ricompattamento, di sutura. E’ un momento di equilibrio estremamente instabile, che può precipitare. E certamente la lezione per l’Europa è importante. Bisogna assolutamente ricomporre le fratture e trovare una via europea.

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Dai venti di guerra alle richieste di pace. Questo tema sarà il filo conduttore di una serie di manifestazioni, di ispirazione sia religiosa sia sociopolitica, che porteranno oggi e domani migliaia di persone nelle chiese e nelle vie di molte città italiane. In una dichiarazione, i religiosi e le religiose italiane hanno riaffermato il rinnovato impegno a pregare ed operare per la pace, formando le coscienze alla logica evangelica della non violenza. Per quanto riguarda le manifestazioni di digiuno e preghiera, ampia è stata l’adesione di movimenti e associazioni all’incontro dal titolo “Innamorati della pace”, che avrà luogo oggi pomeriggio nella Chiesa del Gesù a Roma. Numerose le testimonianze previste sul tema pace in terre di conflitto: dalla Sierra Leone, alla Terra Santa. Interverrà in apertura, mons. Gianpaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace.  Ma lasciamo la parola, al microfono di Stefano Leszczynski, a Luca Jahier,  tra i promotori dell’incontro:

 

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Quando noi l’abbiamo promosso, con questo slogan “Innamorati della pace”, che cade nel giorno di San Valentino, certamente pensavamo di non arrivare al punto in cui siamo in questi giorni. Le motivazioni di questa iniziativa sono ancor più rafforzate: la prima, dire una parola forte come cristiani di fronte a ciò che viene sempre più considerato come l’inevitabile conflitto in Iraq, il secondo motivo è qualificare l’apporto dei credenti sul tema della pace, perché non sia soltanto un ‘no’ doveroso e forte alla guerra, all’egoismo e alla morte, ma sia anche e soprattutto un ‘sì’ alla vita, un ‘sì al diritto, un ‘sì’ alla solidarietà, come ci ha indicato il Santo Padre. E sia anche un ricordare che a questa guerra si affiancano le violazioni dei diritti della persona, la violenza che purtroppo attraversa molte altre parti del mondo. Il terzo motivo è compiere un gesto di preghiera: la serata si concluderà con la recita del Rosario. Vogliamo testimoniare una vicinanza ed un’invocazione forte perché, in questo momento di ‘passione’,  vinca il Principe della pace.

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INTERNET E LE NUOVE PATOLOGIE:

 PRESENTATA UNA RICERCA CONDOTTA SU BAMBINI E ADULTI.

 

Le patologie  generate dall’abuso di Internet o delle nuove tecnologie. Se ne è parlato, ieri, al convegno “La mente virtuale” dove il professor Tonino Cantelmi, presidente dell’Associazione psichiatri e psicologi cattolici, ha presentato una ricerca condotta su bambini e adulti. Nel corso dell’incontro è stato anche illustrato un vademecum per le famiglie realizzato dalla Commissione bicamerale per l’Infanzia. Il servizio di Debora Donnini.

 

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Preferire la realtà virtuale all’esistenza reale: così si possono sintetizzare le nuove patologie a cui l’umanità è esposta da quando le maglie della Rete hanno raggiunto le nostre case. Qualche esempio di rischio? Il tecnoautismo riguarda i bambini fra i 6 e i 9 anni che utilizzano molto le nuove tecnologie e che manifestano poi difficoltà ad esprimere le proprie emozioni senza la tecnologia stessa. Il tech-abuser colpisce invece ben il 10 per cento degli adulti che frequentano assiduamente la Rete e che mostrano incapacità a relazionarsi con persone in carne ed ossa. Sulle nuove patologie da abuso di Internet sentiamo il prof. Tonino Cantelmi:

 

R. – Tra i rischi ed i problemi, quelli che ci hanno colpito di più sono quelli dei bambini. Ormai nel nostro campione un 15-20 per cento di bambini naviga regolarmente, chatta e soprattutto cerca amicizie in Rete. La tecnologia, dunque, diventa per questi bambini la modalità di interagire con gli altri. I bambini, inoltre, giocano mediamente un’ora o due con i videogiochi, fino alla soglia di allarme di oltre 5 ore. Per quanto riguarda gli adulti, il 10 per cento  fra  coloro che navigano  subisce forme di fascino della rete. E c’è una forma di abuso, che ci ha colpito molto: la webcam abuser. Si tratta di soggetti che non fanno altro che cercare in rete siti dove spiare le persone; quei siti dove le persone fanno vedere se stesse 24 ore su 24. C’è poi la cybersex addiction, che riguarda circa 11 milioni di italiani che non possono fare a meno di coniugare sesso e internet; e poi, soprattutto, la dipendenza da chat.

 

Al convegno è stato poi presentato un vademecum per le famiglie sull’uso consapevole dei mezzi di comunicazione. Maria Burani Procaccini, presidente della Commissione bicamerale per l’Infanzia:

 

R. – Noi abbiamo voluto, con questa pubblicazione, dire alla famiglia ed anche agli insegnanti che i bambini non vanno lasciati soli con i mezzi di comunicazione, che sono splendidi, ma la solitudine con questi media meccanici genera addirittura delle sindromi.

 

Non si tratta, dunque, di demonizzare le nuove tecnologie, ma di invitare i genitori a seguire i bambini nell’uso di tali mezzi.

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CHIESA E SOCIETA’

14 febbraio 2003

 

 

IN VISTA DEL GRANDE APPUNTAMENTO PACIFISTA IN PROGRAMMA DOMANI A ROMA,

SI MOLTIPLICANO GLI APPELLI DELLE ORGANIZZAZIONI

CONTRARIE ALL’IPOTESI DI UNA NUOVA GUERRA IN IRAQ

 


ROMA. = Sono moltissimi gli ordini religiosi e le congregazioni che aderiranno alla manifestazione per la pace in programma domani a Roma. Contemporaneamente, in diverse città del mondo si svolgeranno cortei nel tentativo di dare voce alle migliaia di persone, gruppi, associazioni e movimenti contrari all’ipotesi di una nuova guerra in Iraq. In vista del grande appuntamento pacifista, si moltiplicano gli appelli contro la guerra, firmati tra gli altri da molte organizzazioni religiose e movimenti della società civile. "No alla guerra sì alla pace" è il titolo di un manifesto diffuso in questi giorni, secondo cui la guerra è "immorale, illegale, inutile". Il manifesto – secondo quanto riferisce l’agenzia religiosa “Vidimus Dominum” - è firmato, tra gli altri, dall’Associazione centro Astalli della Compagnia di Gesù, dalle figlie di Maria Ausiliatrice, dal centro missione della Consolata, dalle piccole suore dell’Assunzione, dai comboniani, dalle comboniane e dal segretariato ”Giustizia e Pace” dei servi di Maria. Suore e religiosi anche a Roma, come in altre diocesi del mondo, prenderanno parte questa sera a momenti di preghiera per la pace che si svolgeranno in tante chiese e oratori. Unendosi a molti altri analoghi appelli rivolti in particolare ai potenti della terra, perché si compia ogni sforzo per evitare la guerra, i Frati Minori Cappuccini della provincia religiosa della Basilicata, hanno diffuso un messaggio in cui esprimono la loro "opposizione ad ogni guerra e in particolare alla cosiddetta guerra preventiva contro il popolo iracheno”. L'augurio conclusivo del documento è che si comprenda a fondo, soprattutto da parte di coloro che hanno il potere di decidere, "che con la guerra - come ha detto in modo inequivocabile il Papa - tutto è perduto". (A.L.)

 

 


LA COMMISSIONE DEGLI EPISCOPATI DELLA COMUNITA’ EUROPEA CRITICA

 LA REVISIONE FATTA DAL PARLAMENTO EUROPEO DEL REGOLAMENTO

CHE DISCIPLINA GLI AIUTI DESTINATI ALLE POLITICHE SANITARIE

E RIPRODUTTIVE NEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO

 

BRUXELLES = La Commissione degli episcopati della comunità europea (Comece) ha criticato la revisione fatta dal parlamento europeo del regolamento che disciplina gli aiuti destinati alle politiche sanitarie e riproduttive nei Paesi in via di sviluppo. Secondo i vescovi il progetto si allontana dalla promozione integrale della dignità della persona umana. “Questo piano – precisano i presuli - si focalizza sui diritti in materia di riproduzione e della sessualità dell’individuo, ma è necessaria anche una promozione della sua responsabilità in seno alla famiglia e alla società”. La Comece teme infatti che anche l’aborto sia compreso tra i progetti che riceveranno finanziamenti da parte dell’Ue. “L’aborto – ribadiscono i vescovi europei – toglie la vita ad un bambino non ancora nato e ciò è eticamente inaccettabile”. Alle dichiarazioni della Comece fa eco, in Italia, “Civiltà cattolica” che, nelle bozze anticipate ieri, rivolge un appello ai politici italiani affinché modifichino la legge nazionale sull’aborto. “Se non si può abolirla, perché in questi anni la mentalità abortista si è rafforzata – afferma la prestigiosa rivista – si può tentare di renderla meno permissiva”. Un invito rafforzato dalla recente nota vaticana sul rapporto tra cristiani e politica, nella quale si esortano i politici cattolici ad opporsi ad ogni legge che risulti un attentato alla vita umana. (M.A.)

 

 

“VOGLIAMO RAFFORZARE IL NOSTRO DECENNALE IMPEGNO A SOSTEGNO DEI BAMBINI IRACHENI”. LO HA DICHIARATO LO SCORSO 12 FEBBRAIO

IL PRESIDENTE DELL’UNICEF ITALIA, GIOVANNI MICALI,

ANNUNCIANDO NUOVI INVESTIMENTI

NEI SETTORI DELLA SALUTE E  DELL’ISTRUZIONE

 

ROMA.= “Vogliamo rafforzare il nostro decennale impegno a sostegno dei bambini iracheni”. Lo ha dichiarato lo scorso 12 febbraio il presidente dell’Unicef Italia, Giovanni Micali, annunciando “un contributo straordinario di 500 mila euro a favore dei programmi Unicef in Iraq nei settori della salute, della nutrizione e dell’istruzione”. Micali ha ricordato come lo slogan che caratterizza l’azione dell’Unicef in Italia, “dalla parte dei bambini”, sia nato durante la campagna del 1991 per i bambini iracheni, a sostegno dei convogli di aiuti, che in piena guerra del Golfo, l’Unicef portava in Iraq attraverso il confine con l’Iran. “Ai 250 operatori Unicef, iracheni e internazionali, che in Iraq da due decenni operano con uno sforzo straordinario per salvare la vita e garantire la speranza di un futuro per i bambini, dobbiamo dare un sostegno speciale”, ha sottolineato Micali, ricordando che l’Unicef Italia finanzia già da vari anni la ricostruzione delle scuole nel centro-sud del Paese. In Iraq oltre 18 milioni di persone vivono in uno stato di insicurezza alimentare ed il 60% della popolazione dipende dalle razioni. Nonostante un lieve miglioramento dovuto alla disponibilità dei fondi Oil for food, l’iniziativa che autorizza l’Iraq a vendere petrolio in cambio di generi di prima necessità, circa 240 mila bambini e 140 mila donne in gravidanza dipendono dagli aiuti. (A.L.)

 

 

NELLA RIUNIONE DI IERI DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELLE NAZIONI UNITE SI È TORNATI A PARLARE DELL’ITURI,

 LA REGIONE NORD ORIENTALE DEL CONGO SEGNATA DA UNA PERMANENTE INSTABILITÀ POLITICA

 

ITURI. = Al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è tornati a parlare dell'Ituri, la martoriata regione nord orientale della Repubblica Democratica del Congo. Nella riunione di ieri dell'organo esecutivo dell'Onu è stato spiegato come, nonostante la firma di numerose tregue, la situazione militare nella regione congolese sia di nuovo sul punto di esplodere. Il sottosegretario generale per le operazioni di peacekeeping, Jean-Marie Guéhenno, ha aggiornato i membri del Consiglio sul clima di instabilità permanente che si respira in tutta la zona orientale dell'ex Zaire, nonostante l'intenso lavoro svolto finora dalla Missione delle Nazioni Unite in Congo (Monuc). "Se non si pone fine alla cultura dell'impunità presente nel Paese, sarà molto difficile raggiungere sul fronte politico i progressi che stiamo cercando di ottenere faticosamente da tanto tempo", ha spiegato Guéhenno. "La situazione umanitaria è deteriorata significativamente - ha spiegato Sergio Vieira de Mello, l’Alto commissario delle Nazioni Uniti per i diritti umani – e la persecuzione dei civili in base a criteri etnici e tribali, sono solo alcuni dei crimini commessi in Ituri". “I responsabili dei crimini commessi devono essere arrestati immediatamente, anche se continuano ad esercitare incarichi di comando e portati al più presto di fronte alla giustizia", ha concluso l'Alto commissario dell'Onu. De Mello ha infine spiegato ai membri del Consiglio di sicurezza come le atrocità commesse in Ituri rientrino in una logica militare e siano utilizzate dai leader delle varie fazioni in lotta per il controllo delle risorse del suo sottosuolo. (A.L.)

 

 

IN OCCASIONE DELLA RICORRENZA DI SAN VALENTINO AMNESTY INTERNATIONAL

SI APPELLA ALLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE E ALL’INDUSTRIA DELLA GIOIELLERIA

PERCHÉ VENGANO TUTELATI I LAVORATORI DELLE MINIERE DI DIAMANTI

LONDRA. = In occasione della ricorrenza di San Valentino, Amnesty International ricorda che il vero costo dei diamanti è costituito dallo scoppio di conflitti armati di cui fanno le spese centinaia di migliaia di civili. Il movimento per i diritti umani segnala in particolare il caso della Repubblica Democratica del Congo. “Il sangue scorre ogni giorno nelle zone diamantifere di Mbuji-Mayi e la comunità internazionale gira la testa dall’altra parte per non intervenire”, ha dichiarato Umberto Musumeci, responsabile del coordinamento diritti economici e sociali della Sezione Italiana di Amnesty International. Nello scorso ottobre, una delegazione di Amnesty International ha potuto visitare  zona di Mbuji-Mayi, verificando l’esistenza di gravissime violazioni dei diritti umani, soprattutto ai danni di minatori illegali, in cerca di qualche piccola pietra con cui risolvere il problema della loro assoluta povertà. “La Repubblica Democratica del Congo possiede immense ricchezze naturali che ne potrebbero fare una terra ricca e felice – ha aggiunto Musumeci - ma il Paese è in coda alla classifica mondiale dello sviluppo umano”. Amnesty International si appella alla comunità internazionale, all’industria della gioielleria, alla MIBA – la compagnia mineraria della Repubblica Democratica del Congo - e ai consumatori, perché vengano tutelati i diritti umani così gravemente e palesemente violati. L’organizzazione per i diritti umani chiede in particolare che sia bloccato il commercio dei diamanti illegali attraverso l’applicazione rigorosa del Procedimento Kimberley, il sistema di certificazione per i diamanti grezzi entrato in vigore il 1° febbraio scorso. L’accordo prevede che i Paesi firmatari sottopongano la produzione, l’importazione e l’esportazione di diamanti grezzi ad un controllo basato su appositi certificati di origine che permettano di riconoscere e rintracciare la località di estrazione. “Un diamante, anche piccolo, deve restare un pegno d’amore e chi lo compra, chi lo commercia, dovrebbe assicurarsi della sua provenienza. Soprattutto nel giorno di San Valentino!”, ha concluso Musumeci. (A.L.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

14 febbraio 2003

 

 

- A cura di Andrea Sarubbi -

 

Mentre il mondo guarda con attenzione a Baghdad, per il timore di un possibile conflitto, in Occidente cresce la paura di nuovi attentati terroristici, tanto più probabili se la via diplomatica in Iraq dovesse fallire. L’allarme è particolarmente alto in Gran Bretagna: a causa della scoperta di una borsa sospetta, la polizia ha fatto evacuare per circa un’ora il terminal 2 dell’aeroporto londinese di Heathrow, mentre nel vicino Berkshire, alla periferia sudoccidentale di Londra, sono stati arrestati quattro sospetti. Altri due presunti terroristi erano stati fermati ieri nei pressi dell’aeroporto.

 

Yasser Arafat non sarà più l’unico punto di riferimento della politica palestinese. Cedendo alle pressioni internazionali, il presidente dell’Anp ha infatti annunciato questa mattina che accetterà la nomina di un primo ministro, che lo affianchi nelle sue responsabilità. Positivi i commenti da parte israeliana: secondo Shimon Peres, leader dei laburisti, si tratta di “un passo nella direzione giusta”, ma ora “occorre fra i palestinesi un partner serio che controlli i gruppi armati e con cui sia possibile intraprendere un negoziato”. A Guido Olimpio, corrispondente del Corriere della Sera a Gerusalemme, Roberto Piermarini ha chiesto un commento sulla decisione del leader palestinese:

 

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R. – Arafat si è trovato nella condizione di dover fare questo passo. C’erano state pressioni interne allo stesso Fatah, perché egli nominasse un primo ministro diversi mesi fa, ma lui si era rifiutato perché lo considerava come un ostacolo o comunque come una diminuzione del suo potere. Adesso si è probabilmente dovuto piegare alle pressioni americane, europee ed anche israeliane. Bush, nel famoso discorso del giugno scorso, disse che l’Autorità palestinese doveva essere riformata. Quindi questo potrebbe essere un primo passo. Dico “potrebbe”, perché è fondamentale capire quanto potere avrà il primo ministro e se sarà messo nelle condizioni di operare.

 

D. – Questa decisione può rilanciare il negoziato di pace israelo-palestinese?

 

R. – Può rilanciare una trattativa. Ma è certo che questa iniziativa non fa piacere a molti, in particolare ai gruppi radicali che ormai agiscono in base alle loro agende locali: ad esempio, le fazioni della Brigata Al Aqsa di Hebron, di Nablus o di Ramallah, oppure la Jihad o ancora Hamas. All’interno di questi gruppi, c’è una forte componente che vuole continuare a preparare attentati. Quindi è chiaro che il negoziato è appeso anche alle azioni di questi attivisti.

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L’offensiva della guerriglia torna a colpire duramente la Colombia. Una bomba è scoppiata questa mattina nei pressi dell’aeroporto meridionale di Neiva, città in cui è prevista domani una visita del presidente Álvaro Uribe. Almeno 6 le vittime ed una quindicina i feriti, ma altri nove corpi si troverebbero sotto le macerie di una casa. A Medellín, invece, la polizia ha sequestrato un’ingente quantità di esplosivo appartenente all’Esercito di liberazione nazionale, arrestando 7 persone.

 

Sempre in Colombia, si è verificato un incidente aereo ad un velivolo del governo statunitense, impegnato in un’operazione contro il narcotraffico. L’aereo ha dovuto compiere un atterraggio di emergenza mentre stava sorvolando le piantagioni di coca nei pressi di Florencia, roccaforte delle Forze armate rivoluzionarie. Una volta giunto a terra, è stato assalito dai ribelli, che avrebbero ucciso due dei cinque passeggeri a bordo e probabilmente rapito gli altri tre, dei quali si sono perse le tracce.

 

Lento ritorno alla normalità in Bolivia, dopo i violenti scontri che nei giorni scorsi hanno provocato la morte di almeno 27 persone. Le violenze hanno visto contrapposti la polizia, che chiedeva un miglioramento delle condizioni di lavoro, e l'esercito, schierato a difesa dell'esecutivo. Dopo la promessa di un bonus finanziario da parte del governo, oggi i poliziotti sono tornati al lavoro. Ma a livello politico la tensione resta comunque alta, come ci riferisce Maurizio Salvi:

 

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Temendo di fare la fine del suo collega argentino, Fernando de la Rua, costretto alle dimissioni dalle violenze della piazza, in Bolivia il presidente Gonzalo Sánchez de Lozada ha cercato di calmare gli animi per mantenere nelle sue mani le redini del potere. Gli analisti hanno infatti ricordato che, prima dei disordini di Buenos Aires, il Fondo monetario internazionale aveva chiesto all’Argentina una riduzione del suo deficit del 2 per cento, mentre per la Bolivia la richiesta dell’Fmi è stata addirittura del 3 per cento. Il pesante bilancio di vittime degli ultimi due giorni ha fortemente messo in discussione il prestigio del capo dello Stato boliviano, che ieri sera è apparso in televisione per assicurare che il peggio era passato e che la calma era tornata in tutto il Paese. Comunque, di fronte alle molteplici richieste di dimissioni del presidente, il suo portavoce, Mauricio Artesana, ha assicurato che senza ombra di dubbio Sánchez de Lozada continuerà al potere fino al termine naturale del suo mandato, nel 2007.

 

Maurizio Salvi per la Radio Vaticana.

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Quarto giorno consecutivo di scontri nell’isola di Mindanao, nel sud delle Filippine. Con l’aiuto di elicotteri, razzi e cannoni, l’esercito continua ad attaccare le postazioni del Fronte islamico moro di liberazione, nei pressi della cittadina di Pikit. Il bilancio degli scontri è drammatico: in questi giorni hanno perso la vita 148 persone, 138 delle quali sono ribelli musulmani, e circa 30 mila civili sono fuggiti dalla regione. I guerriglieri si sono detti disponibili ad una tregua, ma solo se il governo prenderà l’iniziativa.

 

Un convoglio di 20 pullman di turisti ha inaugurato questa mattina la nuova strada di collegamento tra le due Coree: la prima, dai tempi della guerra terminata nel 1953. Sul piano internazionale, però, sale il rischio di destabilizzazione nella regione. Ieri il ministro della Difesa giapponese Ishiba ha evocato l’ipotesi di un attacco preventivo alla Corea del Nord, “se il pericolo nucleare di Pyongyang fosse imminente”. Da Tokyo, Chiaretta Zucconi:

 

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La dichiarazione ha suscitato le immediate proteste di Pechino e Seul, molto sensibili ai rigurgiti nazionalisti nipponici, e le infuriate reazioni dei gruppi pacifisti locali, che accusano il governo di Koizumi di avere un budget per la difesa secondo soltanto a quello americano e di voler utilizzare la minaccia nordcoreana per distogliere l’opinione pubblica dai gravi problemi economici del Paese. Ma per mitigare le polemiche oggi Ishiba è tornato con toni rassicuranti sull’argomento, affermando che non esiste un pericolo pressante di lanci missilistici da parte di Pyongyang e che il Giappone non sta comunque prendendo alcuna misura a tale proposito. In un clima sempre più teso e confuso, oggi il governo di Tokyo ha emesso un comunicato in cui raccomanda ai suoi connazionali di lasciare immediatamente Baghdad e il resto dell’Iraq.

 

Per la Radio Vaticana, Chiaretta Zucconi.

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La Russia è diventata il primo produttore mondiale di petrolio. Lo ha annunciato oggi il ministro dell'Energia, Igor Yusufov. “Nell’ultimo trimestre del 2002 – ha detto il ministro – il Paese ha prodotto 8 milioni di barili al giorno” ed ha consolidato la sua leadership mondiale nell'esportazione di idrocarburi.

 

 

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