RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 41 - Testo della
Trasmissione lunedì10 febbraio 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
Il
cardinale Walter Kasper da oggi in visita ufficiale alla Chiesa ortodossa
greca.
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E
SOCIETA’:
Cresce il fronte del no ad un attacco militare
all’Iraq: si spaccano la Nato e l’Unione europea.
Diplomazia al lavoro per risolvere la crisi
nordcoreana. Anche l’Iran tornerà al nucleare, ma solo per scopi civili.
Due morti e numerosi arresti in Medio Oriente.
Katsav incarica Sharon di formare il nuovo governo israeliano.
Niente quorum, il Montenegro ancora senza
presidente.
10 febbraio 2003
LA FAMIGLIA, I GIOVANI, IL DIALOGO ECUMENICO
CON LA CHIESA ORTODOSSA:
PRIORITA’ PASTORALI INDICATE DAL PAPA AI
VESCOVI DI BIELORUSSIA
IN VISITA AD LIMINA
-
Servizio di Alessandro De Carolis -
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La famiglia da proteggere, con i suoi bambini e i suoi
giovani, sul piano sociale. L’educazione dei fedeli alla preghiera e il dialogo
con la Chiesa ortodossa, su quello religioso. Sono i principali ambiti nei
quali, nel suo discorso rivolto oggi ai vescovi della Bielorussia in visita ad
Limina, Giovanni Paolo II individua le priorità per “progettare l’impegno
futuro” del Paese orientale.
Cinque anni fa, ha ricordato il Papa, in occasione
dell’ultima visita quinquennale in Vaticano, la Bielorussia era attraversata da
una “primavera della vita ecclesiale”, che seguiva l’“inverno”, lungo “diversi
decenni”, di “persecuzione violenta”. Allora, le conseguenze di quel drammatico
periodo erano ancora marcate: ateizzazione sistematica delle popolazioni, dei
giovani soprattutto, distruzione quasi totale delle strutture ecclesiastiche,
chiusura forzata dei luoghi di formazione cristiana. Ma il risveglio vitale
della Chiesa bielorussa, ha constatato il Pontefice, ha prodotto una
“progressiva, incoraggiante ripresa”. Sinodi diocesani locali hanno permesso di
pianificare meglio le strategie pastorali.
Ora, ha affermato Giovanni Paolo II, al primo posto va
messa la famiglia, “che anche in Bielorussia - ha soggiunto - attraversa
purtroppo una seria e profonda crisi”. Sulla scorta della consegna lasciata al
quarto Incontro mondiale delle Famiglie, svoltosi due settimane fa a Manila, il
Papa ha esortato i presuli bielorussi a farsene portavoce presso le famiglie
del loro Paese: “Fare del Vangelo la regola fondamentale della famiglia, e di
ogni famiglia una pagina di Vangelo scritta nel nostro tempo”. Il Pontefice ha
voluto ringraziare le organizzazioni cattoliche, specialmente italiane e
tedesche, che sostengono gli sforzi della Chiesa bielorussa nel non facile
contesto sociale dello Stato ex sovietico, segnato da povertà, emarginazione,
difficoltà economiche ad inserirsi nel quadro europeo.
Giovanni Paolo II si è congedato dai vescovi bielorussi
con due inviti: educare i fedeli “a fare della preghiera un momento
fondamentale delle loro occupazioni quotidiane” e curare il dialogo ecumenico
con gli ortodossi, che costituiscono circa il 30 per cento della popolazione
totale del Paese, mentre il milione e mezzo di cattolici bielorussi - con i
loro 6 vescovi e i 300 sacerdoti - ne rappresentano il 15 per cento. “Nella
vostra terra - ha concluso il Papa - la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa
hanno da sempre vissuto insieme e non poche famiglie sono confessionalmente
miste, bisognose pertanto di assistenza anche da parte della Chiesa cattolica.
Il Signore continui a guidare i vostri passi nella ricerca del reciproco rispetto
e della mutua cooperazione”.
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Il Papa ha nominato consiglieri della Pontificia
Commissione per l’America Latina il cardinale statunitense Theodore Edgar
McCarrick e il presule canadese Marc Ouellet, arcivescovo di Québec.
Istituita da Pio XII nel 1958
e ristrutturata da Giovanni Paolo II 30 anni dopo, nel 1988, la Commissione,
inserita nella Congregazione per i Vescovi e presieduta attualmente dal
cardinale Giovanni Battista Re, ha il compito di consigliare e aiutare le
Chiese particolari dell’America Latina, e di studiare in forma unitaria i
problemi dottrinali e le questioni pastorali concernenti la vita e lo sviluppo
di quelle Chiese, con speciale riguardo alla nuova evangelizzazione. Tutta la
sua attività si svolge in stretta connessione con i diversi dicasteri della
Curia Romana e in costante contatto con i vescovi del continente.
LA MISSIONE DI PACE E DI SPERANZA A
NOME DEL PAPA PER SCONGIURARE LA GUERRA IN IRAQ.
IL
CARDINALE ROGER ETCHEGARAY PARTITO STAMANI PER BAGHDAD:
CON NOI, L’ARCIVESCOVO JEAN BENJAMIN SLEIMAN
- Servizio di Roberta Gisotti -
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“Una missione all’estremo limite della speranza ma niente
è impossibile quando ci si affida a Dio”: così il cardinale Etchegaray, prima
della partenza per scongiurare - ha detto - “una guerra che sarebbe una
catastrofe, sotto tutti gli aspetti”.
Dunque le sorti del popolo iracheno e gli equilibri di pace del mondo intero
su quell’aereo che si è levato stamane da Fiumicino con a bordo l’ottantenne
porporato inviato da Giovanni Paolo II, che è “preoccupato ma non è rassegnato”:
“io sono il suo messaggero” - ha spiegato ai giornalisti il cardinale Etchegaray
al momento d’imbarcarsi diretto a Parigi, per poi proseguire verso Amman, in
Giordania, da dove domani mattina in macchina, attraversando il deserto, raggiungerà
Baghdad.
Per la terza volta il porporato francese, originario di
Esplette, piccolo paesino basco, figlio di un orologiaio, giungerà in terra irachena:
alla fine dell’’85, ai tempi della guerra con l’Iran, fece una visita
umanitaria tra i prigionieri di guerra dei due Paesi; e poi ancora nel ‘98 andò
a Baghdad nella prospettiva di un pellegrinaggio di Giovanni Paolo II ad Ur dei
Caldei, villaggio natale di Abramo, viaggio che poi non si realizzò.
Noto negli ambienti diplomatici per le missioni più
difficili affidate alla sua esperienza, il cardinale Etchegaray, è stato
arcivescovo di Marsiglia, prima di approdare in Vaticano, dove ha presieduto il
Pontificio Consiglio per la giustizia e la pace dall’84 al ’98, in anni di
ripetute crisi internazionali: frequenti i suoi viaggi per mediare la pace o
per organizzare la venuta del Papa: in Terra Santa, nell’ex Jugoslavia, in
Rwanda e Burundi, in Angola, Etiopia, Sudan, Mozambico, Timor Est; e ancora in
Cina, Vietnam, Myanmar e a Cuba; l’ultimo spinoso incarico nell’aprile dello
scorso anno a Gerusalemme, durante l’occupazione e l’assedio della Basilica
della Natività a Betlemme.
Da domani per il cardinale Etchegaray un’altra sfida da
cogliere per la pace in questo travagliato inizio secolo. Ma quali attese in
Iraq per il suo arrivo? Ascoltiamo la testimonianza di mons. Jean Benjamin
Sleiman, arcivescovo di Baghdad dei Latini, raggiunto telefonicamente questa
mattina da Giada Aquilino:
R. – La missione del cardinale Etchegaray arriva in un
momento di grande angoscia. Molta gente cerca di sistemarsi altrove, stanno già
fuggendo dalla guerra. Questa missione spero che porti soprattutto la pace interiore
e ravvivi la speranza. I fedeli sono stati informati, nella messe di domenica,
di ieri quindi, sono anche eccitati, sperano molto da questa visita che sarà certamente
importante per tutte le Chiese perché fa sentire a tutti la voce della Chiesa
cattolica, soprattutto del Santo Padre che dopotutto è il grande avvocato della
pace nel mondo da anni, e soprattutto in questa regione, fin dalla Guerra del
Golfo: è stato spesso l’unica voce contro la guerra, contro l’embargo.
D. – Ci ha detto che ha parlato con i fedeli e ha parlato
anche con i cittadini comuni. Ecco, come viene vissuta in queste ore la visita
del cardinale Etchegaray?
R. – Posso dire una cosa molto semplice. Ho telefonato
appena alla nunziatura: il telefono è intasato. Molti vogliono sapere quando
arriva, sono eccitati e vogliono accoglierlo. Questo anche è molto importante:
sentirsi in comunione con altri certamente aiuta a vivere le situazioni con
maggiore coraggio e più speranza.
D. – Qual è la situazione dei cristiani in Iraq, oggi?
R. – Prima di tutto, sono come tutti gli iracheni e
portano gli stessi pesi; ma bisogna dire che da qualche decade in qua
l’emigrazione sta aumentando sempre più: è un’emorragia continua.
D. – In queste ore, si vive la missione del cardinale
Etchegaray ma si sentono le differenti posizioni degli Stati Uniti e
dell’Europa. Come vengono vissuti questi momenti lì a Baghdad?
R. – Questa diplomazia preventiva è anche un filo di
speranza, certamente. E spero che riescano almeno a trovare soluzioni molto più
razionali, anche molto più umane ... Come si sa bene, le popolazioni civili
patiscono sempre di più: sono le popolazioni civili che muoiono, che sono
ferite, molti rimarranno handicappati per tutta la vita ...
D. – E la speranza qual è, oggi?
R. – La speranza è - direi - che vinca la speranza ...
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NUOVO PASSO NELLA COLLABORAZIONE TRA LA
SANTA SEDE
E LA
CHIESA ORTODOSSA DI GRECIA SUI FRONTI DELLA PACE
E
DELLA SALVAGUARDIA DELLE RADICI CRISTIANE DELL’EUROPA:
E’
GIUNTA OGGI AD ATENE LA DELEGAZIONE GUIDATA DAL CARDINALE KASPER
SULLA
SCIA DEL VIAGGIO DEL PAPA IN TERRA GRECA DEL MAGGIO 2001
Si sta
intensificando la collaborazione tra la Santa Sede e le Chiese ortodosse su
fronti importanti come pace, giustizia, diritti umani, sacralità della vita, salvaguardia
del creato e problematiche emergenti attualmente nel continente europeo. Sabato
scorso si è appena conclusa a Roma una
importante visita, la prima nella storia, del Santo Sinodo della Chiesa
ortodossa di Serbia. Ed oggi si apre una nuova tappa nei rapporti con la Chiesa
ortodossa di Grecia: una delegazione della Santa Sede designata dal Papa e
capeggiata dal cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per
l’unità dei cristiani, è giunta oggi ad Atene per una visita che si concluderà
venerdì prossimo. E’ in restituzione della storica visita del marzo scorso a
Roma di una delegazione del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa di Grecia. Il
servizio è di Carla Cotignoli:
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Questo
“scambio delle delegazioni si situa
sulla scia del viaggio del Papa in terra greca nel maggio 2001”, informa un
comunicato del dicastero vaticano per l’unità dei cristiani dando la notizia
della visita vaticana a Atene. In quell’occasione - ricorda - era stata siglata
una dichiarazione comune in cui tra l’altro veniva espressa soddisfazione per
“il successo e il progresso dell’Unione Europea”, ma anche si lamentava “la
tendenza emergente a trasformare alcuni Paesi europei in Stati secolarizzati
senza alcun riferimento alla religione”. “Costituisce - affermava la
Dichiarazione congiunta - “un regresso e una negazione della loro eredità
spirituale”. L’impegno comune era dunque “intensificare gli sforzi affinché
l’unificazione giunga a compimento” e “perché siano conservate inviolate le
radici e l’anima cristiana dell’Europa”.
La
visita della delegazione della Chiesa ortodossa di Grecia a Roma del marzo
scorso era stata definita “storica”. Non aveva infatti precedenti. Non solo.
Poggiava su una lunga travagliata storia di 10 secoli di separazione “caratterizzata
da molti errori e sofferenze” - come aveva detto nel suo indirizzo di saluto al
Papa, il metropolita Panteleimon che guidava la delegazione - sofferenze che
hanno provocato “non senza ragione in gran parte del popolo, del clero e soprattutto
tra i monaci, un clima di sfiducia e di sospetto verso la cristianità
d’occidente”. Ma ora l’intento era “aprire una nuova era d’amore e di collaborazione
efficace” tra le due Chiese; “creare un ponte di comunicazione, di riconciliazione
e di fiducia tra noi nell’Unione europea, - come affermava l’arcivescovo
Christodoulos in un messaggio al Papa - affinché la nostra testimonianza di cristiani
sia più intensa, più credibile e più efficace”.
E da
oggi la delegazione della Santa Sede svolgerà ad Atene “un programma analogo” a
quello della Delegazione della Chiesa ortodossa di Grecia a Roma, come informa
ancora il comunicato. Incontrerà
l’arcivescovo Christodoulos e i membri del Santo Sinodo; avrà conversazioni con
le Commissioni sinodali per gli affari
europei, per i rapporti interortodossi ed intercristiani, per l’educazione e
per la promozione sociale. Visiterà tra l’altro alcuni centri e scuole e il
Dipartimento delle Edizioni della Chiesa ortodossa di Grecia. La visita prevede
anche alcuni aspetti culturali, oltre a pranzi e cene ufficiali”.
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DOMANI A WASHINGTON LA CELEBRAZIONE DELL’XI
GIORNATA MONDIALE DEL MALATO:
UNA
RIFLESSIONE CON PADRE FELICE RUFFINI, SOTTOSEGRETARIO
DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PASTORALE DELLA SALUTE
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Servizio di Giovanni Peduto -
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Si celebra domani a Washington l’XI Giornata mondiale del
malato, in coincidenza con la festività liturgica della Beata Vergine Maria di
Lourdes. Il Papa lo ha ricordato ieri all’Angelus domenicale, dicendo che si
tratta di una significativa occasione che aiuta le comunità ecclesiali a tenere
sempre viva l’attenzione verso i fratelli e le sorelle infermi e sofferenti, e
incoraggia gli operatori sanitari a curare con costante dedizione il loro
servizio professionale. Vogliamo parlare di questo con il sottosegretario del
Pontificio Consiglio per la Pastorale della salute, il padre Felice Ruffini:
D. – Queste Giornate mondiali
volute dal Pontefice quali frutti hanno fatto scaturire?
R. – Ormai nella Chiesa si è presa coscienza della necessità
della pastorale della salute, di questa pastorale specifica che riguarda tutti,
perché non esiste una categoria professionale del malato: la malattia è un
momento di prova della nostra vita. E c’è una richiesta di base dalle
parrocchie, dalle diocesi, dalle conferenze episcopali. Quindi, vuol dire che
ormai la Giornata mondiale del malato è entrata nel vivo della Chiesa e, grazie
al magistero del Papa, si è capito che la via alla salvezza passa attraverso la
sofferenza, inserita nella sofferenza del Cristo.
D. – Cosa si dovrebbe fare di più, a suo parere, per
incentivare questa occasione di pensare ai nostri fratelli sofferenti, la
Giornata mondiale del malato, appunto?
R. – Non ci si deve limitare a questa Giornata, per
qualche ora con qualche particolare attenzione, o visita solo in questo giorno
ai malati: sono cose belle che servono a scuotere la coscienza collettiva. Io
credo che già nel messaggio del Santo Padre ci siano obiettivi ben definiti.
Sono due gli aspetti che vorrei sottolineare. Il Santo Padre dice che in ogni
parrocchia venga attivata una diaconia della carità. L’altro aspetto è che
nella formazione dei sacerdoti, quindi nei seminari e nelle congregazioni
religiose, si dia più spazio a questa pastorale.
D. – Lei voleva riferirsi al Messaggio del Papa per questa
Giornata di domani, che si celebra a Washington nella basilica santuario
dell’Immacolata Concezione. Qual è la specificità della celebrazione appunto di
quest’anno?
R. – Il tema di fondo di questa Giornata è “La via alla solidarietà,
prospettive della Pastorale della salute in America”. Ed è un riferimento al
documento sinodale “Ecclesia in America”. Tema, appunto, di discussione con i
vescovi sarà: “La cura della salute in America. Un richiamo alla giustizia”. Ci
saranno due tavole rotonde, una su “Globalizzazione e sanità cattolica in
America. Richiamo alla giustizia”, quindi un tema altamente scottante e della
massima attualità oggi. Un secondo su “Problemi di bioetica e la sanità
cattolica. Richiamo alla fedeltà”. Tutto questo è dentro il Messaggio, con cui
il Santo Padre ci richiama a questi principi di base.
D. – Tutti gli uomini cercano di evitare la sofferenza:
questo è naturale. Ma vuole ricordarci l’insegnamento del Papa sul significato
cristiano della sofferenza?
R. – C’è la magnifica Lettera apostolica “Salvifici
doloris” che è la sintesi del magistero di 2000 anni della Chiesa, dove il
Santo Padre mette in evidenza chiaramente che la salvezza dell’uomo, il Cristo,
il Figlio di Dio, il Verbo incarnato, l’ha operata assumendo su di sé la
sofferenza, sperimentandola e vivendola fino alla morte e poi alla
Risurrezione. La nostra sofferenza non potrà mai avere una spiegazione: è un
mistero e non riusciremo mai con le nostre parole di uomini a spiegarci perché
bisogna soffrire. Però il Papa mette in risalto che se noi riusciamo ad entrare
in comunione profonda con il Cristo sofferente, e la nostra sofferenza la
immergiamo nella sua, anche la nostra sofferenza diventa uno strumento di
redenzione. Il Santo Padre ne ha dato una lezione magistrale non soltanto con
la parola, ma con l’esempio e la testimonianza della sua vita.
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“Angelus 9 febbraio 2003: Prendiamo in mano la Corona del
Rosario per implorare il grande dono della pace” è il titolo che apre la prima
pagina: Giovanni Paolo II, nel ricordare la celebrazione della Giornata
Mondiale del Malato, a Washington, incoraggia le numerose iniziative di
preghiera in atto “in quest’ora di preoccupazione internazionale”.
Sempre in prima, in occasione della ricorrenza dei Patti
Lateranensi, un articolo dal titolo “Un mutuo riconoscimento. Un modello per
l’Europa”.
Nelle vaticane, nel discorso ai vescovi della Bielorussia,
il Papa ha sottolineato che dopo l’inverno della persecuzione e
dell’ateizzazione sistematica, si tratta ora di progettare l’impegno futuro,
mettendo la famiglia al primo posto.
Due pagine in occasione della Giornata Mondiale del
Malato.
Una pagina dedicata alle iniziative in favore della pace
promosse nelle Diocesi italiane.
Nelle pagine estere, riguardo all’Iraq, si rileva l’impegno a cercare un’alternativa alla guerra: Francia
e Germania propongono un piano congiunto che prevede l’intensificazione dei
controlli.
La tragica notizia della morte,
in Sudan, di due sacerdoti italiani, in un incidente stradale.
Medio Oriente: tre palestinesi
morti nell’esplosione della loro autobomba.
Nella pagina culturale, un
contributo di Armando Rigobello dal titolo “Per una metafisica coinvolta
nell’esistenza”: in margine al saggio “Il sapere del desiderio”.
Nelle pagine italiane, in primo
piano la situazione politica, con particolare riferimento alle diverse
posizioni sulla crisi irachena.
Gli attentati contro due chiese
nel padovano.
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CON UN ACCORATO APPELLO ALLA
PACIFICAZIONE IN COSTA D’AVORIO,
CONCLUSA
A BAMAKO, IN MALI, LA PLENARIA DEI VESCOVI
DELL’AFRICA
OCCIDENTALE FRANCOFONA
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Servizio di padre Joseph Ballong -
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Durante la Messa è stato l’arcivescovo di Lomè, nel Togo,
mons. Philippe Kpodzro, che ha pronunciato l’omelia. Ispirandosi ai testi del
giorno, soprattutto ai miracoli di guarigione, mons. Kpodzro ha dichiarato che
il male combattuto da Gesù è molto più profondo e più pericoloso del male
fisico, perché il cuore dell’uomo è complicato e ammalato. Esortando i fedeli
alla speranza, alla fiducia nella presenza di Cristo, in un’Africa
marginalizzata, divisa e sfruttata dove focolai di violenza e guerre fratricide
sono stati insidiosamente accesi, l’arcivescovo di Lomè ha ribadito
l’importanza della preghiera fiduciosa in Dio malgrado queste prove. Alla fine
della celebrazione è stato reso pubblico un messaggio di speranza e di
incoraggiamento che i vescovi dell’Assemblea hanno indirizzato al popolo di Costa
d’Avorio e agli uomini di buona volontà.
I vescovi dell’Africa occidentale lanciano un accorato
appello ai principali protagonisti della crisi in Costa d’Avorio e li invitano
al dialogo e alla riconciliazione. Chiedono ai leader dei partiti politici di
sensibilizzare i loro militanti e di disarmare i loro combattenti e i loro
squadroni della morte. Alle forze armate e ai gruppi ribelli e alle istituzioni
repubblicane di aderire pienamente al piano di pace accettato da tutti i
protagonisti della crisi e appoggiato dalle comunità internazionali. Ai mass
media pubblici e privati di contribuire alla pacificazione, evitando di
adottare ideologie e comportamenti che incitano all’odio, alla vendetta,
all’esclusione e alla xenofobia. I vescovi dell’Africa occidentale chiedono
ugualmente al presidente della Repubblica della Costa d’Avorio di essere colui
che raduna tutti gli abitanti del suo Paese, senza esclusione. Ai capi degli
Stati della Comunità economica dell’Africa dell’Ovest, la Cedeau, e dell’Unione
africana, i vescovi ribadiscono l’urgente necessità di affrontare la sfida
nelle loro capacità di gestire i conflitti in Africa. Infine, i vescovi della
Cerao, invitano vivamente tutti i responsabili delle Nazioni impegnate e le
organizzazioni internazionali, implicate nel risolvere la crisi in Costa
d’Avorio, a servire lealmente l’unica causa dell’uomo e della pace in Costa
d’Avorio, al di là dei loro interessi economici e geopolitici.
Da Bamako, nel Mali, padre Joseph Ballong.
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10 febbraio 2003
“LA PACE E’ UN’ESIGENZA INELUDIBILE
IN UN MONDO SEMPRE PIU’ SPINTO VERSO LA GLOBALIZZAZIONE”.
LO HA
DETTO IL CARDINALE RUINI NEL SUO INTERVENTO ALL’11.MO CONVEGNO NAZIONALE
TEOLOGICO–PASTORALE
DELL’OPERA
ROMANA PELLEGRINAGGI, INIZIATO QUESTA MATTINA, A ROMA, ALLA DOMUS PACIS
ROMA. = E’ stato il cardinale vicario Camillo Ruini ad
aprire questa mattina alla Domus Pacis a Roma i lavori dell’11.mo convegno
nazionale teologico-pastorale dell’Opera romana pellegrinaggi. Quest’anno
l’attenzione dei circa 600 partecipanti si concentrerà, come ricorda il titolo
del convegno, “Il Pellegrinaggio, sentiero di pace”, sul contributo che le
antiche vie di pellegrinaggio possono dare alla costruzione spirituale e
culturale dell’Europa cristiana e alla costituzione dei rapporti di pace tra i
popoli e le culture. Nel suo intervento il cardinale Ruini ha sottolineato
l’importanza della pace per il mondo contemporaneo che si dirige verso la
globalizzazione e porta le differenti culture a confrontarsi. Riprendendo le riflessioni
del Papa in occasione della visita al Parlamento italiano e del terzo Meeting
di Assisi del gennaio 2002, il cardinale Ruini ha aggiunto che per superare i
contrasti non basta la giustizia, ma occorre ridare impulso ad un’etica basata
sull’amore reciproco. Successivamente ha preso la parola monsignor Gianfranco
Ravasi: il prefetto della Biblioteca ambrosiana si è soffermato sulle pagine
della Bibbia nelle quali si parla di guerra e pace. Il convegno proseguirà
questo pomeriggio nella Basilica dei Santi Silvestro e Martino ai Monti, dove
il cardinale Carlo Maria Martini presiederà la liturgia eucaristica, durante la
quale, nell’omelia, proporrà una meditazione inspirata al salmo 121 “Domandate
pace per Gerusalemme”. Nella giornata di domani, dopo l’intervento d’apertura
di monsignor Bruno Forte, dal titolo “Pace: utopia sogno o realtà?”, si
svolgerà una tavola rotonda moderata dal padre Federico Lombardi, riguardante
il “sentiero di pace” tracciato dai
pellegrinaggi di Giovanni Paolo II alla quale interverranno, Luigi Accattoli,
Ernesto Olivero, Susanna Tamaro. Nel pomeriggio, in occasione della festività
della Beata Vergine di Lourdes, è prevista la Santa Messa, alla presenza del Santo
Padre, celebrata dal cardinale vicario Camillo Ruini, nella Basilica Vaticana.
L’ultima giornata dei lavori, mercoledì 12 febbraio, si terrà a Viterbo, dove i
partecipanti si trasferiranno in treno lungo la via Francigena. Sarà il prof.
Franco Cardini, nel corso del viaggio, a iniziare i lavori con la conferenza
dal titolo “La pax extensa nella patria communis: il contributo delle
antiche vie del pellegrinaggio cristiano”; nella «Città dei Papi» il vescovo
diocesano mons. Lorenzo Chiarinelli presiederà l’Eucaristia in Cattedrale,
prima del pellegrinaggio al Santuario di Santa Maria della Quercia che pone
fine al convegno. (M.A)
CONCLUSA IN SPAGNA LA “40.MA CAMPAGNA
CONTRO LA FAME” CON IL SOSTEGNO DELLA CONFERENZA EPISCOPALE.
TUTTE LE OFFERTE DELLE EUCARISTIE CELEBRATE
IERI NELLE PARROCCHIE SPAGNOLE
SONO STATE DEVOLUTE PER FINANZIARE
PROGETTI DI AIUTO NEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO
MADRID.
= Si è conclusa ieri in Spagna la “44.ma campagna contro la fame”, iniziativa
promossa dall’organizzazione cattolica non governativa per lo sviluppo “Manos
Unidas”, con il sostegno della Conferenza episcopale spagnola. La manifestazione,
iniziata venerdì 7, ha avuto come motto “Lo sviluppo strada per la pace”, e
come ogni anno, ha avuto lo scopo di attirare l’attenzione nei confronti della
mancanza di cibo, che secondo i dati della Fao, fa soffrire nel mondo circa 828
milioni di persone. Durante la prima giornata si è svolto “Il giorno del digiuno
volontario”, momento di solidarietà con chi ogni giorno non ha di che nutrirsi.
Lo stesso giorno nella diocesi di Getafe, vicino a Madrid, è stata organizzata
una particolare iniziativa di solidarietà: l’abituale pasto serale è stato
sostituto da pane e acqua, mentre la spesa equivalente è stata versata per il
finanziamento di un progetto di “Manos Unidas” in Costa d’Avorio. Ieri, come
detto, la giornata conclusiva, aperta dall’eucaristia celebrata da monsignor
Juan Josè Asenjo, vescovo ausiliare di Toledo e segretario della Conferenza
episcopale spagnola, nel Collegio Montpellier a Madrid. Tutte le offerte
raccolte ieri durante le messe celebrate nella parrocchie della Spagna sono
state devolute a “Manos Unidas” per sostenere progetti di sviluppo nelle nazioni
più povere. (M.A.)
EMERGENZA UMANITARIA IN ERITREA: A
CAUSA DELLA SICCITA’ 10 MILA BAMBINI RISCHIANO DI MORIRE DI FAME.
IL RESPONSABILE DELL’UFFICIO DI COORDINAMENTO
DELL’ONU PER GLI AFFARI UMANITARI
NELLA CAPITALE ASMARA:
“NECESSARI 153 MILIONI DI DOLLARI”
ASMARA.
= Sono almeno 10mila i bambini eritrei che rischiano di morire di fame se non
verranno aiutati in tempo. L'allarme è stato lanciato da Musu Bungudu,
responsabile dell'ufficio di coordinamento delle Nazioni Unite per gli affari
umanitari (Ocha) in Eritrea. Bungudu ha avvisato che la denutrizione ha già
causato le prime vittime nel Paese, dove un terzo degli oltre 3 milioni di abitanti
è letteralmente alla fame. Stando a quanto riferito da Bungudu finora sono
disponibili solo un quarto delle risorse necessarie per far fronte alla
situazione, che nei prossimi due mesi rischia di degenerare ulteriormente.
"Lanciamo un appello - ha detto Bundugu - ai donatori, alle nazioni, agli
organi di informazione: vi preghiamo di tentare di farci arrivare quanto più
possibile''. Secondo le stime, per cercare di arrivare alla fine dell'anno
occorrerebbe una sforzo valutabile intorno ai 153 milioni di dollari. Nei
giorni scorsi anche monsignor Abune Menghesteab Tesfamariam, comboniano,
vescovo di Asmara, ha lanciato l’allarme sulle condizioni in cui versa la
popolazione del Paese del Corno d'Africa. “Un milione e 400mila eritrei - aveva
dichiarato il presule - hanno bisogno di un soccorso immediato prima che sia
troppo tardi. I più colpiti - aveva aggiunto - sono gli anziani, i bambini e le
donne, che sono la maggioranza in assoluto”. “Siamo angosciati per i nostri fratelli,
- aveva concluso il vescovo - e basterebbe solo una piccolissima parte delle
spese dell’Occidente per salvare la vita di milioni di persone”. Nel 2002 in
Eritrea sono venute a mancare le piccole piogge (nel periodo tra marzo e
giugno), particolarmente importanti per l’agricoltura. Successivamente, le
grandi piogge tra giugno e settembre sono arrivate in ritardo di quattro
settimane e per questo motivo le coltivazioni non hanno avuto il tempo
sufficiente per la maturazione. Quello del 2002 è stato il raccolto più basso
dal 1993, mentre il bestiame è calato del 20% rispetto al 2001. (M.A.)
“PUNTO DI INCONTRO” CULTURALE E
RELIGIOSO: AD ANKARA, IN TURCHIA,
UNA
PICCOLA CAPPELLA GESTITA DA QUATTRO GESUITI
E’
DIVENUTA IN POCO PIU’ DI DUE ANNI
UN
PUNTO DI RIFERIMENTO PER CATTOLICI E MUSULMANI,
INTERESSATI
ALLO STUDIO E ALLA PREGHIERA
- A
cura di Antonio Mancini -
ANKARA. = Una piccola cappella è diventata
un "punto di incontro" culturale e religioso. In futuro sarà
corredata di una biblioteca e di una sala computerizzata per fare ricerche. La
cappella si trova ad Ankara ed è gestita da quattro gesuiti della piccola
comunità presente nella città turca dall'ottobre 2000. In un resoconto inviato
in questi giorni alla congregazione, i quattro religiosi (due presenti dall'ottobre
2000, il terzo l'anno seguente e il quarto si è aggiunto dalla Germania più di
recente) sottolineano soprattutto come la cappella sia diventata un
"centro di attrazione". "Accade - riferiscono i religiosi -
perché, finora, la nostra casa è ben conosciuta. Arrivano molti visitatori,
oltre 20 a settimana, sia cristiani che musulmani, singolarmente o a gruppi
(anche scuole), per rivolgere domande, pregare o inviati da un corso di studi.
Sembra quasi che il centro sia una sorta di 'mostra' della Chiesa cattolica
nella capitale turca". In primavera un artista locale adornerà la piccola
cappella con una vetrata dipinta con scene della Risurrezione e un mosaico
attorno alla vetrata. La comunità di Ankara è un ponte anche per gli scambi a
livello accademico tra l'Università Gregoriana e la facoltà di Teologia
islamica della capitale turca, iniziati nel 1985 a distanza. Adesso con la
presenza dei gesuiti, l'obiettivo è di "sviluppare una rete di scambi per
assistere i ricercatori che lavorano nel settore degli scambi interreligiosi".
LA MISSIONE AD GENTES AL CENTRO
DEL CONVEGNO NAZIONALE PROMOSSO DALLA CEI,
CHE SI
SVOLGERA’ A CASTEL GANDOLFO DAL 25 AL 28 FEBBRAIO PROSSIMI
CASTEL GANDOLFO. = "Tutte le genti
verranno a Te. La missione Ad Gentes nelle nostre terre". E’ il
titolo del convegno nazionale della Conferenza episcopale italiana, che si
svolgerà nella cittadina laziale di Castel Gandolfo, dal 25 al 28 febbraio
2003. L’iniziativa più importante sul tema della Chiesa italiana per il 2003 è
promossa dalla Fondazione
Migrantes, dall’Ufficio catechistico nazionale e dall’Ufficio nazionale
per la cooperazione tra le Chiese. Tra i partecipanti al convegno - che verrà
inaugurato dal cardinale vicario e presidente della Cei, Camillo Ruini, con una
prolusione intitolata "I migranti: occasione per la Chiesa italiana
dell’annuncio del Regno" - figurano anche il vescovo di Caltanissetta,
Alfredo Garsia, presidente della Commissione episcopale per le Migrazioni, e
mons. Luigi Petris, direttore generale della Fondazione Migrantes. (A.D.C.)
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10 febbraio 2003
- A cura di Andrea Sarubbi -
Mentre proseguono i preparativi di guerra all’Iraq – è di
questa mattina la notizia della partenza di un centinaio di caccia britannici
per il Golfo persico – si allarga progressivamente il fronte dei Paesi contrari
ad un attacco militare. La determinazione di Francia e Germania ha infatti
provocato una netta spaccatura all’interno della Nato e dell’Unione europea. Ma
sentiamo la cronaca di queste ultime ore, nel servizio di Giancarlo La Vella:
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La questione riguarda il meccanismo di “difesa
prudenziale” della Turchia da un attacco iracheno: una messa in moto
dell’apparato militare che sarebbe scattata automaticamente, se nessun membro
dell’Alleanza atlantica avesse eccepito nulla. Ma la Francia, questa mattina,
ha messo il veto. Il Belgio e la Germania si sono uniti poco dopo. E’ questo il
tassello in più presentato oggi dal fronte contrario alla guerra. Una
posizione, questa, che riceve il sostegno anche di Mosca, almeno secondo quanto
il presidente russo Putin ha affermato ieri in Germania e probabilmente
ribadirà oggi a Parigi. Ed a questo punto, la forte spaccatura interna alla
Nato dà la dimensione di quello che potrebbe avvenire nel Consiglio di
sicurezza dell’Onu e che già esiste in ambito europeo. La preoccupazione della
Grecia, presidente di turno europea, è forte, tanto che Atene ha convocato tra
una settimana un vertice sull’Iraq dei capi di governo dei Quindici. La Turchia
protesta per questo veto e tenta di aggirarlo, appellandosi all’articolo 4 del
Trattato Nato che recita: “Le parti si consulteranno ogni volta che, nell'opinione
di una di esse, l’integrità territoriale, l'indipendenza politica o la
sicurezza di una delle parti viene minacciata”. Così oggi pomeriggio alle
16.30, ora italiana, a Bruxelles ci sarà una nuova riunione del Consiglio atlantico.
Il momento difficile è confermato dai commenti americani: “La decisione
francese sulla difesa della Turchia – ha detto l’ambasciatore statunitense alla
Nato, Burns – rappresenta una crisi di credibilità per l’Alleanza atlantica”.
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Da Washington è venuta una
bocciatura senza appello al piano franco-tedesco. Il segretario di Stato Powell
ha detto che un incremento degli ispettori non risolverà il problema degli armamenti
di distruzione di massa in possesso di Saddam Hussein. Il servizio da New York:
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Gli Stati Uniti hanno bocciato
la proposta franco-tedesca per evitare la guerra, mandando più ispettori e
caschi blu in Iraq. Gli inviati dell’Onu, Hans Blix e Mohamed El Baradei, hanno
concluso due giorni di colloqui a Baghdad, rivelando progressi nel processo di
disarmo e nella collaborazione del governo di Saddam. Nello stesso tempo, il
presidente Bush ha ribadito che “Saddam ha preso in giro il mondo per dodici
anni e questo gioco a nascondino è finito”. I capi degli ispettori del Palazzo
di Vetro, però, hanno riportato progressi alla fine della loro missione a
Baghdad. I collaboratori di Saddam hanno consegnato documenti che forniscono
nuove informazioni riguardo ai loro programmi di riarmo chimico, biologico,
nucleare e missilistico. Gli iracheni inoltre hanno fatto aperture riguardo gli
scienziati da interrogare, i voli degli aerei spia U2 e la ricerca di altre
carte dimenticate. Ora Blix ed El Baradei studieranno questi documenti e queste
offerte in vista del nuovo rapporto di venerdì, ma il consigliere per la Sicurezza
nazionale, Rice, ha già detto che non sono abbastanza e ormai può servire solo
il disarmo volontario entro il prossimo fine settimana.
Da New York, per la Radio
Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Scende
in campo la diplomazia europea anche nella crisi innescata dalla decisione
della Corea del Nord di rilanciare un programma nucleare. Javier Solana, alto
responsabile della Politica Estera dell’Unione, potrebbe infatti incontrare il
presidente Kim Jong Il a Pyongyang. Il viaggio dipenderà dall’esito della riunione
dell’Aiea, l’Agenzia internazionale dell’energia atomica, fissata per
dopodomani, quando si deciderà se portare o meno la questione nordcoreana al
Consiglio delle Nazioni Unite per violazione degli accordi di
non-proliferazione nucleare.
E di nucleare si parla anche in
Iran: Teheran ha infatti annunciato l’avvio di un programma scientifico per la
produzione di uranio impoverito, da utilizzare come combustibile per le
prossime centrali. Il nucleare servirà solo a produrre energia elettrica, ha
assicurato il presidente Khatami, invitando nel Paese gli ispettori
dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica.
La giornata di oggi in Medio
Oriente è iniziata nel segno della violenza. Due palestinesi hanno perso la
vita in queste ultime ore: un dirigente del Fronte popolare per la Palestina,
ucciso in un campo profughi di Nablus, ed un attivista rimasto ferito nei
giorni scorsi in uno scontro a fuoco a Tulkarem. Le forze speciali israeliane
hanno inoltre arrestato numerose persone, in varie operazioni di rastrellamento.
Il presidente palestinese
Arafat si è detto disponibile ad accettare al suo fianco la presenza di “un
primo ministro con poteri esecutivi”, inserita nella bozza finale di
Costituzione su pressioni israeliane e statunitensi. Anche Israele è al lavoro
sul fronte interno: il capo dello Stato, Katzav, ha terminato le consultazioni
ed ha confermato Sharon, vincitore delle elezioni, alla guida dell’esecutivo.
Ma la riedizione di un governo con i laburisti, infatti, sembra ormai
tramontata. Il servizio di Graziano Motta:
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Sharon, al pari del presidente
dello Stato che glielo ha confidato, ha espresso l’auspicio che nasca una larga
coalizione di partiti, rappresentata come “una necessità, un dovere nazionale”,
stanti le gravi difficoltà del Paese per la rivolta palestinese e la recessione
economica. Ma nonostante una delegazione del Likud si appresti a contattare
quello laburista, seconda formazione uscita dalle recenti elezioni,
difficilmente sarà possibile conseguire questo obiettivo. Nel loro grande
fossato ideologico si inseriscono le divergenze di fondo sulla trattativa di
pace. Sharon non intende accettare, ad esempio, un ritiro di coloni da Gaza, o
uno Stato palestinese sul 95 per cento dei Territori. E Amran Mitzna, il leader
laburista, non ritiene possibile nemmeno un programma di rilancio dell’economia
se prima non si risolve la crisi politica. Infine, non ha trovato convincente
la ripresa dei contatti fra Sharon ed esponenti palestinesi, finalizzata al
momento ad una graduale cessazione delle violenze.
Per Radio Vaticana, Graziano
Motta.
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Sale la tensione in Costa D’Avorio, dove si registrano
ancora scontri tra esercito e ribelli al confine con la Liberia. Oggi intanto
si è riunita nella capitale Yamoussoukro la Comunità Economica dei Paesi
dell’Africa Occidentale. All’incontro ha partecipato anche il premier designato
dagli accordi di Parigi, Seydou Diarra, ma non i ribelli, che al contrario
hanno minacciato una ripresa dell’offensiva se entro sabato Diarra non sarà riconfermato
come premier.
Nuovo nulla di fatto alle
elezioni presidenziali in Montenegro. Anche ieri, come nelle consultazioni del
dicembre scorso, non è stato superato il tetto del 50 per cento dei votanti,
come richiede la legge. L’afflusso ai seggi è stato del 47,1 per cento, ma per
il prossimo tentativo – che si terrà tra due mesi – si annuncia una modifica
delle norme elettorali. Il servizio di Emiliano Bos:
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Il virus dell’astensionismo
torna a colpire: prima la Serbia ed ora di nuovo il Montenegro. Tutto da
rifare, dunque, per eleggere il capo di Stato. La campagna di boicottaggio,
lanciata dall’opposizione con in testa il partito socialista montenegrino di
Predrag Bulatovic, è riuscita a convincere una buona fetta di elettorato a non
recarsi alle urne. In serata, nella capitale Podgorica, un’improvvisa impennata
dell’affluenza aveva lasciato aperta qualche speranza per il presidente ad
interim, ed ex premier, Filip Vuianovic, il super favorito di queste
presidenziali, che aveva ricevuto l’83 per cento dei consensi a dicembre, ma
poi, conti alla mano, non è servito a nulla. Ora il premier ed ex presidente,
Milo Djukanovic, avrà due mesi di tempo per modificare la costituzione ed
eliminare così un quorum che, tanto a Belgrado quanto a Podgorica, sta in parte
paralizzando le istituzioni. A pochi giorni dal debutto della nuova unione di
Serbia e Montenegro, che ha preso il posto della Federazione Jugoslava, le due
Repubbliche si trovano già accomunate dall’incapacità di scegliere il proprio
presidente.
Per la Radio Vaticana, Emiliano
Bos.
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