RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 35 - Testo della
Trasmissione di martedì 4 febbraio 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E
SOCIETA’:
Conflitti
interni e flagello dell’Aids, all’Assemblea episcopale dell’Africa dell’Ovest.
Domani all’Onu le nuove
prove americane sul riarmo iracheno.
Oggi in Texas cerimonia
per commemorare i sette astronauti periti nella tragedia dello shuttle
Columbia.
Memorandum d’intesa per il
Sudan firmato oggi a Nairobi.
Al referendum in
Kirghizstan i cittadini favorevoli al varo della nuova Costituzione.
4 febbraio 2003
RESO NOTO OGGI IL MESSAGGIO DEL PAPA
PER LA GIORNATA MONDIALE DEL MALATO DEL PROSSIMO 11 FEBBRAIO:
CON NOI IL VESCOVO JOSE’ REDRADO,
SEGRETARIO
DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PASTORALE DELLA SALUTE
-
Servizio di Giovanni Peduto -
Siamo arrivati all’XI edizione di questa Giornata che il
Santo Padre volle dieci anni or sono in coincidenza con la memoria liturgica di
Nostra Signora di Lourdes: al santuario mariano dei Pirenei, infatti, approdano
malati da ogni parte del mondo con la speranza di una guarigione se non fisica
almeno spirituale.
E’ noto il pensiero di Giovanni Paolo II sul tema della
sofferenza, del dolore, e non soltanto dal momento in cui venne eletto Papa e
durante tutto il suo Pontificato, ma anche prima. Sono noti i suoi messaggi e i
suoi indirizzi agli ammalati, operatori sanitari e così via. Qui vogliamo
ricordare in particolare la Lettera apostolica “Salvifici doloris“, che è un
classico della sofferenza. E poi la testimonianza personale del Pontefice: ci
ha insegnato di più soffrendo che scrivendo. Tuttavia nel suo insegnamento ci
ha detto tante cose: per esempio che la Croce vissuta con Cristo è la grande
rivelazione del significato del dolore e del valore che esso ha nella vita,
nella storia e la Croce ci invita a rispondere con l’amore. Sono importanti
soprattutto anche i pensieri contenuti nella “Salvifici doloris”. La parola al
vescovo José Redrado, segretario del Pontificio Consiglio per la pastorale
della salute:
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La sofferenza - dice il Papa nel Messaggio - è presente
nel mondo per sprigionare l’amore e far nascere opere di amore verso il
prossimo - un pensiero molto forte che sicuramente meditiamo poco - e per
trasformare tutta la civiltà in una civiltà dell’amore. Quanto abbiamo bisogno
di questo, tutti, a cominciare dagli uomini di Chiesa e così via! Il Papa dice
che la sofferenza è una chiamata all’amore, che è una vocazione.
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Il Messaggio del Papa, indirizzato per questa Giornata che
sarà celebrata a Washington l’11febbraio, ha diversi punti di riferimento:
esordisce col sottolineare l’amore del Padre, nel quale noi crediamo, e dice
che questo amore del Padre è la sintesi della Pastorale sanitaria. Dice che il
dolore e la morte ci interrogano e attendono risposte e - poiché la Giornata si celebra quest’anno nel continente
americano - il Papa sostiene che il Vangelo della vita e dell’amore deve
risuonare particolarmente in tutta l’America. La parola a mons. Redrado:
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Vedete come ritorna questa parola amore, di fronte ad una
società dei potenti, che emargina. Quanto reale è questa espressione nei
momenti cruciali che stiamo vivendo. Ed anche come le Chiese sono chiamate a
questo apostolato con gli ammalati, a promuovere, orientare, coordinare la
Pastorale sanitaria, particolarmente – dice il Papa nel suo messaggio – tramite
gli ospedali cattolici, che devono essere centri di vita e di grande speranza.
E nel messaggio il Papa ribadisce che la vita deve essere protetta, difesa.
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Il Santo Padre auspica che la Giornata che stiamo per
celebrare susciti un rinnovamento, un impegno per la Pastorale sanitaria, e che
tutti si stia attenti alla cura degli ammalati. E sottolinea: “Si riservi uno
spazio alla Pastorale sanitaria nei programmi di formazione dei sacerdoti e dei
religiosi”, perché proprio nella Pastorale sanitaria, c’è un segno più
credibile di amore e di speranza. Nel suo Messaggio il Papa non manca di
evidenziare il ruolo degli ospedali e delle altre strutture sanitarie che
devono essere centri di vita, di forza
e di grande speranza, come osserva il vescovo Redrado:
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Questi centri
devono servire alla formazione del personale sanitario laico, devono essere
momenti di grande umanizzazione al servizio degli ammalati, di attenzione alla
famiglia che soffre con l’ammalato, e momenti di una particolare sensibilità
verso i poveri e gli emarginati. Il lavoro professionale si deve concretizzare
in una testimonianza di carità. Non so cosa dire di più. Se noi siamo capaci di
portare avanti questo, allora è con noi il Vangelo che si chiama Buona Novella,
il Vangelo della sofferenza che si trasforma in speranza.
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La prima pagina si apre dando notizia dell’"ipotesi
inquietante" che si sta accreditando riguardo alla tragedia dello spazio
consumatasi sabato: “Il Columbia era già condannato al momento del lancio”.
Sempre in prima, un contributo del cardinale Lopez
Trujillo dal titolo: “Il Rosario per la famiglia”.
Una notizia dal titolo “Uganda: appello per la pace dei
leader religiosi dell’Aripi”.
Nelle vaticane, una monografica, a cura di Giampaolo
Mattei, dal titolo “Una pagina di storia: la tragedia della carestia ordita 70
anni fa dal regime sovietico in Ucraina”.
Un articolo sull’incontro di “preghiera ecumenica nella
memoria dei martiri” presieduto dal cardinale Kasper nella Basilica romana di
San Bartolomeo.
Una serie di servizi sulla celebrazione della Giornata
della vita nelle diocesi italiane.
Nelle pagine estere, Iraq: frenetico lavoro della
diplomazia per scongiurare un conflitto armato.
Medio Oriente: allarmante rapporto Ue sulle condizioni di
vita nei Territori.
Nella pagina culturale, un contributo di Franco Patruno
dal titolo “Quell’umanità che ancora ci interpella”: in margine alla fiction su
Giovanni XXIII.
Nella pagina dell’"Osservatore Libri", un
approfondito contributo di Ferdinando Montuschi dal titolo “L’approccio
sociologico si rivela ricco di implicazioni filosofiche e pedagogiche”: in due
volumi la ricerca su “La società civile in Italia all’alba del XXI secolo”, a
cura di Pierpaolo Donati ed Ivo Colozzi.
Nelle pagine italiane, in primo piano la questione legata
all’indultino. Il tema della giustizia.
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IL RUOLO DELL’INTELLIGENCE
NELLA LOTTA AL TERRORISMO E NELL’EVENTUALITA’
DI UNA
GUERRA PREVENTIVA ALL’IRAQ
- Con
noi padre Pasquale Borgomeo -
C’è attesa per le prove che domani il segretario di Stato
americano Colin Powell presenterà a sostegno della tesi del mancato disarmo di
Saddam Hussein. Sul fronte della lotta al terrorismo intanto appaiono
incoraggianti i risultati che i servizi segreti vanno ottenendo nei Paesi
alleati degli Stati Uniti. Ma quale il ruolo dell’’Intelligence nella lotta al
terrorismo? Eliana Astorri lo ha chiesto al direttore generale della Radio
Vaticana, padre Pasquale Borgomeo.
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R. - Grazie
alla collaborazione internazionale comincia a dare frutti il lavoro
d’intelligence, la vera arma efficace contro il terrorismo. L’intelligence
sventa l’attacco terroristico neutralizzando il potenziale aggressore: a
differenza della guerra preventiva che divide gli alleati, il lavoro di
intelligence li unisce. L’intelligence è per sua natura preventiva: non può
esserlo, invece, legittimamente una guerra. La guerra diventa una alternativa
inevitabile e comunque sempre inadeguata quando tutti gli altri strumenti
falliscono, primo tra tutti l’intelligence. Per questo giova, innanzi tutto
riesaminare tutte le carenze e le inefficienze del passato. Un interrogativo
per quello che riguarda la orrenda strage dell’11 settembre. Una migliore
collaborazione, tra Cia e Fbi, non avrebbe consentito, prima e non dopo il
massacro, di ricomporre in un unico e perciò leggibile disegno quei tasselli
che i due organismi avevano separatamente acquisito? Lottare contro il
terrorismo significa affinare i metodi di vigilanza e di inchiesta, significa
anche, per i responsabili politici, passare in rassegna i propri errori in
politica internazionale, significa intervenire in situazioni intollerabili di
degradazione umana, non illudersi che il terrorismo si sradica con la forza
militare, anche se in deroga alla legalità internazionale.
D. - Si può parlare di una crisi della legalità
dell’Onu?
R. - Il diritto internazionale insieme con le prerogative
dell’Onu sta rischiando infatti di subire seri danni in questa crisi irachena.
Il diritto internazionale prevede la legittima difesa, certo, a determinate condizioni:
Legittima è la difesa che tende a rendere inoffensivo l’aggressore, proteggere
l’inerme, salvaguardare la vita e la sicurezza della comunità è convincere
l’aggressore del suo crimine, portarlo davanti a un tribunale. Paura e odio
sono pessimi consiglieri, quando, accecando la ragione, spingono alla
rappresaglia e osano dare alla vendetta il nome di giustizia. Nessuno può
pretendere di essere allo stesso tempo accusatore, giudice ed esecutore della
sentenza. Il rispetto della legalità: è il baluardo di una società civile.
Calpestare il diritto può apparire una manifestazione di forza, ma in realtà
rivela una debolezza, un cedimento. Il terrorismo lo ha capito e fa di tutto
per portare il mondo civile a questo cedimento, in una spirale senza fine di cui
il conflitto israelo-palestinese, nella sua crudeltà e nella sua sterilità,
offre un esempio più che eloquente. Affidata alla sola forza militare, la lotta
al terrorismo si rivela un combattimento impari. Da una parte la società civile
che vuole pace, sicurezza, giustizia,
solidarietà, valori, dignità, rispetto di se stessa. Dall’altra, il terrorismo,
al quale basta come obiettivo distruggere. Il cedimento sul rispetto del
diritto è la vittoria più insperata che il terrorismo internazionale cerca di assicurarsi.
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ENTRA
NEL VIVO L’ATTIVITA’ DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE:
RIUNITA AL PALAZZO DI VETRO DELL’ONU, L’ASSEMBLEA
DEGLI STATI FIRMATARI
PER LA NOMINA DEI PRIMI 18 GIUDICI DELL’ORGANISMO
- Con
noi, il prof. Andrea de Guttry -
Un evento di portata storica
per il rafforzamento del diritto internazionale. Il 17 luglio 1998, a Roma, 160
nazioni approvavano lo Statuto della Corte penale internazionale. Da allora, è
cresciuta nell’opinione pubblica mondiale la consapevolezza della necessità di
tale strumento. Tuttavia, sono passati quattro anni prima del raggiungimento
della 60.ma ratifica - avvenuta l’11 aprile del 2002 - che ne ha consentito
l’entrata in vigore. D’altro canto, l’attività della Corte ha preso l’abbrivio
ieri pomeriggio con l’assemblea degli 87 Stati firmatari, riunita al Palazzo di
Vetro di New York fino a venerdì prossimo, per eleggere i suoi 18 giudici che
saranno in carica per nove anni. Questi giureranno il prossimo 11 marzo a L’Aja
- sede della Corte - in una cerimonia a cui prenderà parte anche la Regina
Beatrice d’Olanda, in qualità di Capo dello Stato ospitante il nuovo organismo
dell’Onu. Dopo l’istituzione dei Tribunali penali internazionali per la ex
Jugoslavia e il Rwanda, la Corte sarà, quindi, nell’intenzione dei promotori,
un baluardo a difesa dei diritti umani. Sul ruolo e i compiti che l’organismo
sarà chiamato ad assolvere, ascoltiamo il prof. Andrea de Guttry, docente di
diritto internazionale e pro rettore della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa,
al microfono di Giada Aquilino:
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R. - La Corte
ha dei poteri molto interessanti e molto innovativi. In modo particolare
rientrano tra questi quelli di esaminare, e poi valutare, i casi di genocidio,
di crimini contro l’umanità, di crimini di guerra e di casi di crimini di
aggressione. Quindi, una serie di violazioni del diritto internazionale
particolarmente forti, che mettono a repentaglio valori comuni della comunità
internazionale.
D. - Ma la Corte come potrà
intervenire nei singoli casi?
R. - Ci sono
tre diversi meccanismi per attivare la competenza della Corte. Uno Stato che
ritenga sia stato commesso uno dei crimini ricordati in precedenza può portare
il caso di fronte al procuratore. In alternativa lo può fare il Consiglio di
sicurezza, oppure il procuratore può per certi casi anche attivarsi ex ufficio.
In questo caso scattano le indagini preliminari e appurato che vi siano
elementi sufficienti può scattare la competenza della Corte nei confronti di
quegli Stati che abbiano ratificato la convenzione.
D. - Una volta eletti i giudici e
il procuratore, quale sarà il passo successivo?
R. - Quasi completato l’iter che rende attivabile in tutti
i suoi aspetti la Corte, si tratterà di vedere se il Consiglio di sicurezza
sottoporrà dei casi alla Corte, se gli Stati sottoporranno dei casi alla Corte,
oppure se il procuratore si attiverà ex novo. E’ bene però sottolineare che,
comunque, esiste una limitazione temporale, nel senso che tutto questo potrà
avvenire solo per i reati, i crimini, posti in essere dopo l’entrata in vigore
dello Statuto della Corte. Quindi, non ha assolutamente un effetto retroattivo.
D. - L’accordo
di Roma non è stato ratificato né dagli Stati Uniti, né dall’Iraq. Questo
significa che in una eventuale prossima guerra in Iraq i militari americani non
potranno essere giudicati se dovessero commessure crimini di guerra?
R. - Esatto. Lo
Statuto della Corte prevede che sia possibile attivare la competenza della
Corte in due casi. Il primo caso è che colui che ha commesso questi crimini sia
fisicamente all’interno del territorio di uno Stato che abbia ratificato la
convenzione, oppure che il cittadino che ha commesso uno di questi crimini sia
cittadino di uno Stato che abbia ratificato la convenzione. Nel caso specifico
l’Iraq e gli Stati Uniti non hanno firmato la convenzione e pertanto non
scatterà sicuramente la competenza della Corte Internazionale. Questo, però,
non esclude che saranno utilizzabili e dovranno essere utilizzati tutti gli
altri meccanismi previsti dal diritto internazionale umanitario, per perseguire
coloro che si macchiano di questi gravissimi crimini.
D. - Invece per
gli altri Paesi che hanno ratificato l’accordo di Roma cosa succederebbe?
R. - Qualora
questi abbiano ratificato e i loro cittadini abbiano commesso questi atti,
questi cittadini possono essere portati di fronte alla giurisdizione della
Corte. Sempre che, naturalmente, lo Stato di cui hanno la cittadinanza non
inizi lui l’attività penale. E’ bene chiarire che la competenza della Corte è
una competenza cosiddetta sussidiaria, viene attivata soltanto nel momento in
cui chi dovrebbe procedere alla punizione del colpevole non si attivi o non
voglia attivarsi. Soltanto in quel caso può scattare la competenza della Corte.
Oppure terza ipotesi, quando lo Stato non vuole attivarsi ma vuole lui attivare
la competenza della Corte. Quindi, in questi casi potrebbe scattare la
competenza della Corte, e quindi un processo di fronte alla Corte stessa.
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TELEMEDICINA: NUOVA FRONTIERA PER
CURARE I MALATI A DISTANZA
- Servizio di Roberta Gisotti -
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La tecnologia on line a servizio dei malati: oggi la
telemedicina è una realtà già sperimentata con successo in diversi Paesi del
mondo, anche se ancora poco diffusa. Si tratta di un sistema davvero innovativo
che offre enormi vantaggi per la qualità di vita dei pazienti e soprattutto
permette di ampliare le prestazioni di prevenzione, oltre che di intervenire
tempestivamente in situazioni di
emergenza sanitaria. Di telemedicina si è interessata di recente l’Aris,
l’Associazione delle istituzioni religiose sanitarie, che ha promosso un
Incontro a Roma, per fare il punto sulle possibili applicazioni soprattutto in
campo cardiologico e radiologico. Al nostro microfono abbiamo il dott. Marco
Gario, della Sorin LifeWatch, la società che in Italia offre servizi di
telemedicina.
D. - Anzitutto chi può beneficiare e come della
telemedicina?
R. -
Possiamo immaginare un paziente, un malato cronico, un cardiopatico cronico,
che si reca dal proprio medico per fare la sua visita di controllo. Ecco,
questo medico può registrare durante la visita un’informazione diagnostica,
come per esempio un elettrocardiogramma, e inviarlo attraverso una linea
telefonica normale ad uno specialista che risiede magari a molti chilometri di
distanza e ricevere in tempo reale un consulto specialistico, e questo senza
dover chiedere al paziente di spostarsi e recarsi lui dal cardiologo per questo
tipo di prestazione. Questa è una delle possibili applicazioni e benefici della
telemedicina. Possiamo quindi capire come a beneficiarne possano essere
innanzitutto i pazienti, ma ovviamente anche il sistema sanitario, dal medico
di base alle strutture territoriali come le Asl e quindi le stesse strutture
ospedaliere. Quindi, un po’ tutti attori della grande gestione della sanità.
D. - Dunque, un
grande passo avanti. Oggi questi servizi sono offerti privatamente, c’è quindi
da auspicare che siano quanto prima forniti anche dal Servizio Sanitario
Nazionale. Mi risulta che alcuni medici di base stanno sperimentando delle
prestazioni ...
R. - Diversi
medici di base stanno sperimentando il servizio che in alcuni casi è già
diventato parte integrante della loro attività professionale; la grande
limitazione è derivata dall’assenza, ad oggi, di un riconoscimento delle
prestazioni della telemedicina all’interno delle tabelle relative alle
prestazioni convenzionate con il Sistema sanitario nazionale, quindi - come lei
ha citato - in effetti sono servizi che di fatto vengono offerti privatamente.
D. - La telemedicina,
oltre agli aspetti clinici, potrà facilitare anche la gestione amministrativa:
ci sono anche in progetto sistemi di intranet ospedaliera ...
R. - Sì, la
realizzazione di network intraospedalieri o anche collegamenti tra strutture
diverse è già realtà operante in alcune regioni, in alcune strutture
ospedaliere. In effetti, questo è reso possibile dallo sviluppo tecnologico e
dall’informatica in particolare. La gestione clinica ed amministrativa non può
che essere facilitata da un sistema sanitario più efficiente.
D. - Dottor Gario, la telemedicina ha costi alti?
R. - No, direi
proprio di no. Lei pensi che a livello europeo il 90 per cento delle
applicazioni di telemedicina gravitano intorno a programmi di ricerca. Insomma,
in qualche modo manca il passaggio alla pratica, con un rapporto costi-benefici
assolutamente positivo.
D. - La
telemedicina comporterà anche la formazione del personale che poi dovrà operare
con questa tecnologia ...
R. - Deve
diventare uno strumento nelle mani di persone che lo sanno utilizzare e quindi
ottimizzare i suoi aspetti positivi.
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4 febbraio 2003
LA CRISI IRACHENA, IL DIALOGO
ISLAMO-CRISTIANO E LE RADICI CRISTIANE DELL’EUROPA, PUNTI FORTI DELLA RIUNIONE
DEL COMITATO CONGIUNTO TRA CONSIGLIO DELLE CONFERENZE EPISCOPALI D’EUROPA
(CCEE) E CONFERENZA
DELLE
CHIESE EUROPEE (KEK), RIUNITO IN QUESTI GIORNI A BUCAREST
- A
cura di Alessandro Gisotti -
BUCAREST.
= La crisi irachena va risolta “secondo le leggi internazionali e le norme
morali, attraverso tutti i mezzi non violenti a disposizione”. E’ questo
l’appello rivolto alla comunità internazionale dai membri del Comitato
congiunto tra Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa e Conferenza delle
Chiese Europee (composto da ortodossi e protestanti), riunito in questi giorni
a Bucarest su invito del patriarca ortodosso rumeno, Teoctist. In una nota,
diramata ieri al termine della riunione, il Comitato richiama i leader politici
di tutto il mondo all’ “obbligo di proteggere il bene comune globale contro
qualunque minaccia alla pace”. D’altro canto, grande attenzione viene rivolta
alla “costante tragedia del Medio Oriente” che sembra non trovare soluzione.
L’organismo ecumenico - si legge nel comunicato - esprime la propria
solidarietà con tutte le vittime della violenza, assicurando il proprio
sostegno alle comunità cristiane. Il Comitato non manca, poi, di mettere in
rilievo la necessità di cercare “sempre nuove forze e speranza per portare
avanti il dialogo”. In tale contesto, il processo della Charta oecumenica,
si rileva, “è un contributo fondamentale” che rappresenta una “componente
integrale dell’architettura ecumenica in Europa”. Di qui, l’esorta-zione
rivolta a tutte le Chiese ad “includere regolarmente nelle proprie celebrazioni
confessionali la preghiera per le altre Chiese e comunità cristiane”. Il
Comitato ribadisce anche il proprio desiderio di rafforzare il dialogo
islamo-cristiano. In questa prospettiva, raccomanda che le discussioni
sull’islam vengano “ulteriormente approfondite” in modo che cristiani e
musulmani “possano dialogare sulla loro fede con Dio e la loro convivenza in Europa”.
Proprio agli sviluppi politici che interessano il Vecchio Continente viene
dedicata la parte finale del comunicato che ricorda l’intenso lavoro svolto
dalle conferenze episcopali in sede di Convenzione europea. Il Comitato esorta
nuovamente i governi nazionali a garantire il rispetto dello status delle
Chiese e delle comunità religiose nella nuova cornice istituzionale
continentale. “L’eredità cristiana in Europa - afferma ancora il Comitato - non è semplicemente un
elemento della storia, ma è una forza per la futura coesione e i valori del
Continente”. A conclusione dell’incontro, il Comitato ha proposto
che una terza assemblea ecumenica europea si svolga nel 2007, in un Paese
est-europeo di tradizione ortodossa, portando avanti così il percorso e lo
spirito delle assemblee di Basilea nel 1989 e Graz nel 1997.
SONO PARTITI A BAMAKO, NEL
MALI, I LAVORI DELLA 15.MA ASSEMBLEA
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE REGIONALE
DELL’AFRICA DELL’OVEST (CERAO): ALL’ORDINE
DEL GIORNO: LE VIOLENZE IN SENEGAL, SIERRA LEONE,
LIBERIA E NIGERIA E IL FLAGELLO
DELL’AIDS CHE INGINOCCHIA I PAESI DEL CONTINENTE NERO
- A
cura di padre Joseph Ballong -
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BAMAKO (Mali). = Arrivati lunedì, i vescovi della
Conferenza episcopale regionale dell’Africa dell’Ovest francofona hanno
iniziato i lavori della loro 15.ma assemblea plenaria con una seduta solenne di
apertura che si è svolta questa mattina nel Palazzo dei Congressi di Bamako, in
Mali. Erano presenti i membri del governo del Mali guidati dal primo ministro
Ahmed Mohamed ag Hamani, i rappresentanti delle autorità del comune di Bamako,
delle altre istituzioni della Repubblica, del Corpo diplomatico e delle
organizzazioni internazionali, dell’Alto Consiglio islamico, di altre
confessioni cristiane. Erano presenti anche il nunzio apostolico in Mali, mons.
Giuseppe Pinto, il segretario della Congregazione per l’evangelizzazione dei
popoli, mons. Robert Sarah, il presidente del Simposio delle Conferenze
episcopali di Africa e Madagascar, mons. Laurent Monsengwo, arcivescovo di
Kisangani nella Repubblica democratica del Congo, e l’arcivescovo di Abidjan in
Costa d’Avorio, il cardinale Bernard Agré. Nel suo discorso di apertura, il
presidente della Cerao, mons. Théodore-Adrien Sarr, arcivescovo di Dakar, in
Senegal, ha tra l’altro evocato e condannato i conflitti armati, le violenze e
il perdurare delle crisi nella regione meridionale del Senegal, tra questo
Paese e la Mauritania, le lotte intestine in Sierra Leone e in Liberia che
hanno creato tensioni tra questi due Paesi e la Guinea, come pure le violenze
sporadiche in Nigeria. Il presidente della Cerao ha auspicato la creazione di
un gruppo la cui missione sarebbe di contribuire meglio alla ricerca e alla
costruzione della pace in Africa dell’Ovest. Da parte sua, l’arcivescovo di
Bamako, mons. Jean Zerbo, ha anche lui evocato i mali che affliggono i popoli
in Africa, come la carestia, la pandemia dell’Aids, le guerre fratricide ed ha
espresso la solidarietà di tutti ai vescovi e al popolo della Costa d’Avorio
che attraversa in questo momento una grave crisi. Il nunzio apostolico in Mali,
mons. Giuseppe Pinto, dopo aver letto un messaggio del Papa ha poi insistito,
nel suo discorso, sulla spiritualità della comunione nelle relazioni a vari
livelli nella Chiesa. Infine, il primo ministro del Mali, Mohamed Ag Amani, nel
suo discorso di benvenuto ha tra l’altro sottolineato che la cultura dell’amore
del prossimo insegnato dal libro sacro di tutte le religioni, se questo
insegnamento è ben capito ed accettato da tutti rimane il miglior modo per
istituire un clima di tolleranza e di pace sociale. Ha poi insistito sull’opera
compiuta dalla Chiesa in Mali in campo sociale e soprattutto della promozione
umana. Oggi pomeriggio prenderà la parola l’arcivescovo mons. Robert Sarah, segretario
della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli.
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INIZIATIVA ECUMENICA A FRIBURGO, IN
GERMANIA,
DOVE
CATTOLICI ED EVANGELICI
HANNO
DECISO DI COSTRUIRE UNA CHIESA IN COMUNE
FRIBURGO.
= La comunità cattolica e quella evangelica della città di Friburgo, in
Germania, hanno annunciato il progetto di costruire una chiesa in comune. Lo
riferisce l’agenzia Ansa, precisando che si tratterebbe della prima iniziativa
ecumenica di questo genere in Germania. Come hanno spiegato il parroco
cattolico Konrad Irslinger e quello evangelico Raimund Fiehn, la chiesa sarà
costruita nel quartiere di Rieselferl, dove abitano 1750 cattolici e circa 1300
evangelici, in prevalenza famiglie giovani. “Nella chiesa - ha precisato il
sacerdote cattolico - le due comunità potranno celebrare le loro funzioni, ma
sarà possibile anche effettuare cerimonie in comune”, con riferimento ad
eventuali incontri di preghiera. L’investimento complessivo è di circa 5,7
milioni di euro, il 71% dei quali a carico della comunità cattolica. La fine
dei lavori è prevista per l’inizio del 2004 (M.A.)
“QUESTO MONDO NON E’ IN VENDITA”: AL
VIA IN ITALIA UNA CAMPAGNA PROMOSSA DA 20 ORGANIZZAZIONI NON GOVERNATIVE PER
APRIRE UN DIBATTITO SUL COMMERCIO GLOBALE IN VISTA DEL PROSSIMO APPUNTAMENTO
DELL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DEL COMMERCIO A
CANCUN IN MESSICO
ROMA.
= Al via in Italia la campagna ''Questo mondo non è in vendita'', che chiede
regole trasparenti e democratiche per il commercio globale e contesta l'attuale
versione dell'Accordo generale sul commercio dei servizi (Gats), che sarà
discusso, dal 10 al 14 settembre prossimi, a Cancun, in Messico, presso
l'Organizzazione mondiale del Commercio (Wto). L'iniziativa è di 20
associazioni non governative tra cui Arci, Banca Etica, Focsiv, Cipsi,
Greenpeace, Retelilliput, Terra madre. I promotori della campagna chiedono ai
presidenti di Camera e Senato di aprire in Italia un dibattito parlamentare
sulla versione del Gats che - riferiscono - ''se approvato amplificherà i
diritti delle grandi imprese a scapito
dei diritti dei cittadini, della democrazia, della trasparenza. Entro il
31 marzo l'Unione europea dovrà presentare una proposta ufficiale
all’Organizzazione mondiale del commercio ed è previsto che i governi nazionali
avranno solo un mese di tempo per presentare i loro commenti alla bozza che
sarà pronta ad inizio febbraio. Ad oggi il Parlamento italiano - informa una
nota della Campagna - non ha ancora calendarizzato alcun tipo di dibattito
sulla questione''. La Campagna, nelle intenzioni dei promotori è ''diretta alla
difesa dei servizi pubblici e contro l'allargamento dei poteri del Wto'', ed è
nata nell'ambito del coordinamento europeo di organizzazioni non governative
''Seattle to Bruxelles'' e della Rete internazionale Owins (Our world is not
for sale) presenti al Forum sociale europeo di
Firenze e al World social forum di Porto Alegre. (R.G.)
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4 febbraio 2003
- A cura di Giancarlo La Vella -
In primo piano la crisi irachena. Anche
l’ambasciatore di Baghdad all’Onu, Mohammed Al Douri, è stato ammesso alla
riunione del Consiglio di Sicurezza in programma domani: risponderà alle nuove
prove che gli Stati Uniti, nella persona del segretario di Stato Powell,
presenteranno contro il regime di Saddam Hussein. L’Europa, invitata da Prodi
ad esprimere una voce comune, continua intanto ad interrogarsi sull’opportunità
di una guerra. Oggi in Francia il vertice Chirac-Blair, ieri a Mosca quello tra
Putin e Berlusconi. Ce ne parla Paolo Mastrolilli:
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Secondo il presidente russo Putin gli ispettori dell’Onu
meritano più tempo per completare il loro lavoro, anche se la responsabilità di
collaborare ricade su Baghdad. L’uso della forza, per il leader del Cremlino,
resta un’opzione estrema che, comunque, deve essere autorizzata dal Palazzo di
Vetro. Questo sembra il punto di contatto con Berlusconi, che ha sottolineato
l’utilità di una seconda risoluzione, ma poi si è detto convinto che esistano
tanto le prove del riarmo iracheno, quanto quelle del collegamento con il
terrorismo. A questo proposito il segretario di Stato americano Powell ha
pubblicato un articolo sul Wall Street Journal, in cui parla dell’attesa presentazione
delle informazioni sull’Iraq che farà domani all’Onu. Il capo della diplomazia
di Washington non ha promesso una prova schiacciante, ma vari elementi che
dimostrano il mancato rispetto delle risoluzioni da parte di Saddam Hussein.
Gli ispettori, intanto, continuano il loro lavoro e ieri hanno trovato un'altra
testata non funzionante, sulla quale le autorità locali hanno dato chiarimenti.
Sabato prossimo a Baghdad sono attesi i capi degli ispettori, Blix ed El
Baradei, mentre fonti di stampa hanno scritto che il Pentagono sta valutando
l’uso delle armi atomiche per penetrare i bunker presidenziali iracheni e una
quarta portaerei è in partenza per il Golfo.
Da New York, per la Radio
Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Washington è alle prese anche con la crisi nord-coreana.
Ieri è giunto a Washington un emissario del neo presidente sud-coreano, Roh
Moon-Hyun. Al centro dei colloqui, proprio la situazione dei rapporti con
Pyongyang, aggravatisi dopo l’avvio nord-coreano di un programma nucleare.
Intanto il comandante delle forze militari americane in Corea del Sud ha negato
oggi in un comunicato di aver richiesto a Washington invii addizionali di
truppe e mezzi aeronavali nel Pacifico come deterrente ad un eventuale attacco
nord-coreano in caso di intervento militare in Iraq.
E gli Stati Uniti piangono le vittime della
tragedia dello shuttle. Una cerimonia funebre in ricordo dei 7 astronauti morti
a bordo del Columbia verrà celebrata oggi in Texas, dove è stata ritrovata
anche la sezione anteriore della navetta spaziale. La Nasa ha intanto ammesso
di aver sottovalutato l’incidente in fase di decollo alle piastrelle dello
scudo termico.
Nuove
proteste in Costa d’Avorio, dove l’accordo siglato a Parigi tra governo e
ribelli non è riuscito sin’ora a riportare la pace. Ieri l’ambasciata francese
è stata circondata da centinaia di donne, che accusano il presidente francese
Chirac di aver preso le parti degli ex golpisti. Ma come spiegare
l’atteggiamento del presidente ivoriano Gbabgo, che dopo la firma dell’intesa
sembra ora tornare sui suoi passi? Ci risponde Mario Giro, che per la Comunità
di Sant’Egidio è stato osservatore ufficiale al tavolo dei negoziati parigini:
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R. - Gbagbo ha accettato a Parigi - anzi ha proposto lui -
il nome del giovane ministro di transizione. Adesso viene criticato dai suoi
sostenitori anche per la distribuzione globale dei portafogli ministeriali. Non
è dato sapere se si tratti di un doppio gioco, oppure se la pressione della
parte più oltranzista del suo partito si sia fatta sentire in maniera decisa e
che il presidente non possa fare a meno di ascoltarla. Certo, la situazione in
questo momento è bloccata e speriamo che il Comitato di garanzia della
sicurezza, composto dal G8, dalla Francia, dall’Europa, dall’Unione Europea,
dalla Banca Mondiale, che adesso comincerà a lavorare ad Abidjan, possa trovare
una soluzione per sbloccare questa fase di stallo, in cui si è incagliata,
quanto meno, l’applicazione degli accordi di Parigi.
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“I popoli
dell'Africa devono essere determinati nel realizzare gli obiettivi dell'integrazione
politica ed economica e dell'unità nel continente.” Sono le parole del
presidente sudafricano, Thabo Mbeki, ieri ad Addis Abeba al vertice
straordinario dell’Unione Africana. “Dobbiamo lavorare per superare i problemi
della povertà e del sottosviluppo - ha detto ancora Mbeki - che comportano
l’emarginazione globale del nostro continente e del suo popolo”. Oggi è
prevista la pubblicazione del documento finale del vertice.
Un memoradum d'intesa per il Sudan è stato firmato oggi a
Nairobi tra il governo di Karthoum e ribelli del sud. L’accordo ha garantito il
“cessate il fuoco”, che negli ultimi tempi era apparso fortemente in pericolo,
e ha spianato la strada, secondo fonti diplomatiche presenti, ad ulteriori
intese sulla divisione dei proventi petroliferi e delle risorse economiche. Gli
osservatori hanno riferito che quello odierno rappresenta un passo in avanti
significativo verso la pace e potrebbe portare in breve alla conclusione
definitiva di ogni ostilità. La guerra civile in Sudan dura da quasi 20 anni ed
ha causato finora circa due milioni di morti.
Sono stati rinviati all'inizio della settimana prossima i
colloqui al Cairo tra i dodici gruppi palestinesi che dovevano riprendere oggi
per discutere sulla proposta egiziana di una tregua di un anno del conflitto
israelo-palestinese. Il rinvio, secondo il rappresentante alla Lega Araba,
Mohamed Sobeih, sarebbe stato richiesto dai gruppi integralisti Hamas e Jihad,
per esaminare meglio la proposta egiziana, alla quale la maggioranza di Al
Fatah, il partito di Yasser Arafat, aveva gia' aderito, ad eccezione degli
estremisti delle Brigata Al Aqsa. Da Gaza, intanto, Hamas ha fatto sapere il
suo rifiuto di astenersi dalle violenze. Intanto, nel perdurante clima di
tensione, il premier israeliano Sharon, vincitore delle ultime elezioni, è alle
prese con la formazione del prossimo governo, del quale non farà parte il
partito laburista, come annunciato dal leader Mitzna.
Presto una nuova costituzione per il Kirghizstan.
Questo l’esito del referendum svoltosi domenica scorsa nell’ex repubblica
sovietica. Con il voto la popolazione si è espressa a larga maggioranza anche
per il prolungamento del mandato presidenziale al capo dello Stato Askar
Akayev. Il servizio di Giuseppe D’Amato:
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Con la
nuova costituzione il Parlamento sarà monocamerale e l’esecutivo avrà più
poteri. L’Osce, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in
Europa, si è rifiutata di mandare
osservatori, in quanto il referendum è stato annunciato con soli 20 giorni di
anticipo. L’opposizione ha disertato le urne e numerose organizzazioni
internazionali hanno duramente criticato la chiamata al voto. Secondo i dati
della commissione elettorale, il 75 % dei votanti ha detto “sì” alla riforma
costituzionale ed il 78 % anche al proseguimento del mandato presidenziale
dell’attuale capo dello Stato, Askar Akaiev, fino al 2005. I risultati finali
si avranno solo domani in giornata, ma potranno discostarsi al massimo dell’1,5
%, rispetto a quelli attuali. Gli ultimi risultati ad arrivare saranno quelli
delle votazioni nei seggi di alta montagna.
Per la Radio Vaticana, Giuseppe
D’Amato.
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E si parla di cambiamenti istituzionali anche per la
Federazione Jugoslava. Le due Camere del Parlamento federale di Belgrado
prenderanno oggi in esame la Carta Costituzionale per la formazione di un nuovo
Stato che prenderà il nome di Serbia-Montenegro. Quest’ultimo sostituirà
l’attuale Repubblica Federale, nata dalla dissoluzione dell’ex Jugoslavia.
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