RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 35 - Testo della Trasmissione di martedì 4 febbraio 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La difesa della vita e la testimonianza dell’amore per l’umanità sofferente, nel Messaggio del Papa per l’11.ma Giornata Mondiale del Malato, che si celebra a Washington l’11 febbraio, presso il santuario nazionale dell’Immacolata Concezione: con noi, il vescovo José Redrado.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Il ruolo dell’intelligence nella lotta al terrorismo: le riflessioni del nostro direttore generale, padre Pasquale Borgomeo.

 

Entra nel vivo l’attività della Corte Penale Internazionale. Riunita nel Palazzo di Vetro a New York l’assemblea degli Stati firmatari per la nomina dei primi 18 giudici: intervista con il prof. Andrea de Guttry.

 

Telemedicina, nuova frontiera  per curare i malati a distanza: ai nostri microfoni, il dott. Marco Gario.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Crisi irachena, dialogo con l’islam, radici cristiane d’Europa: temi forti trattati dal Comitato di vescovi cattolici, ortodossi ed evangelici, in questi giorni a Bucarest.

 

Conflitti interni e flagello dell’Aids, all’Assemblea episcopale  dell’Africa dell’Ovest.

 

Iniziativa ecumenica a Friburgo, in Germania, dove cattolici ed evangelici hanno deciso di costruire una Chiesa in comune.

 

Al via in Italia una campagna promossa da 20 organizzazioni non governative per aprire un dibattito sul commercio globale.

 

24 ORE NEL MONDO:

Domani all’Onu le nuove prove americane sul riarmo iracheno.

 

Oggi in Texas cerimonia per commemorare i sette astronauti periti nella tragedia dello shuttle Columbia.

 

Memorandum d’intesa per il Sudan firmato oggi a Nairobi.

 

Al referendum in Kirghizstan i cittadini favorevoli al varo della nuova Costituzione.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

4 febbraio 2003

 

 

RESO NOTO OGGI IL MESSAGGIO DEL PAPA PER LA GIORNATA MONDIALE DEL MALATO DEL PROSSIMO 11 FEBBRAIO:

 CON NOI IL VESCOVO JOSE’ REDRADO,

SEGRETARIO DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PASTORALE DELLA SALUTE

- Servizio di Giovanni Peduto -

 

Siamo arrivati all’XI edizione di questa Giornata che il Santo Padre volle dieci anni or sono in coincidenza con la memoria liturgica di Nostra Signora di Lourdes: al santuario mariano dei Pirenei, infatti, approdano malati da ogni parte del mondo con la speranza di una guarigione se non fisica almeno spirituale.

 

E’ noto il pensiero di Giovanni Paolo II sul tema della sofferenza, del dolore, e non soltanto dal momento in cui venne eletto Papa e durante tutto il suo Pontificato, ma anche prima. Sono noti i suoi messaggi e i suoi indirizzi agli ammalati, operatori sanitari e così via. Qui vogliamo ricordare in particolare la Lettera apostolica “Salvifici doloris“, che è un classico della sofferenza. E poi la testimonianza personale del Pontefice: ci ha insegnato di più soffrendo che scrivendo. Tuttavia nel suo insegnamento ci ha detto tante cose: per esempio che la Croce vissuta con Cristo è la grande rivelazione del significato del dolore e del valore che esso ha nella vita, nella storia e la Croce ci invita a rispondere con l’amore. Sono importanti soprattutto anche i pensieri contenuti nella “Salvifici doloris”. La parola al vescovo José Redrado, segretario del Pontificio Consiglio per la pastorale della salute:

 

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La sofferenza - dice il Papa nel Messaggio - è presente nel mondo per sprigionare l’amore e far nascere opere di amore verso il prossimo - un pensiero molto forte che sicuramente meditiamo poco - e per trasformare tutta la civiltà in una civiltà dell’amore. Quanto abbiamo bisogno di questo, tutti, a cominciare dagli uomini di Chiesa e così via! Il Papa dice che la sofferenza è una chiamata all’amore, che è una vocazione.

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Il Messaggio del Papa, indirizzato per questa Giornata che sarà celebrata a Washington l’11febbraio, ha diversi punti di riferimento: esordisce col sottolineare l’amore del Padre, nel quale noi crediamo, e dice che questo amore del Padre è la sintesi della Pastorale sanitaria. Dice che il dolore e la morte ci interrogano e attendono risposte  e - poiché la Giornata si celebra quest’anno nel continente americano - il Papa sostiene che il Vangelo della vita e dell’amore deve risuonare particolarmente in tutta l’America. La parola a mons. Redrado:

 

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Vedete come ritorna questa parola amore, di fronte ad una società dei potenti, che emargina. Quanto reale è questa espressione nei momenti cruciali che stiamo vivendo. Ed anche come le Chiese sono chiamate a questo apostolato con gli ammalati, a promuovere, orientare, coordinare la Pastorale sanitaria, particolarmente – dice il Papa nel suo messaggio – tramite gli ospedali cattolici, che devono essere centri di vita e di grande speranza. E nel messaggio il Papa ribadisce che la vita deve essere protetta, difesa.

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Il Santo Padre auspica che la Giornata che stiamo per celebrare susciti un rinnovamento, un impegno per la Pastorale sanitaria, e che tutti si stia attenti alla cura degli ammalati. E sottolinea: “Si riservi uno spazio alla Pastorale sanitaria nei programmi di formazione dei sacerdoti e dei religiosi”, perché proprio nella Pastorale sanitaria, c’è un segno più credibile di amore e di speranza. Nel suo Messaggio il Papa non manca di evidenziare il ruolo degli ospedali e delle altre strutture sanitarie che devono essere centri di vita, di forza  e di grande speranza, come osserva il vescovo Redrado:

 

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Questi centri devono servire alla formazione del personale sanitario laico, devono essere momenti di grande umanizzazione al servizio degli ammalati, di attenzione alla famiglia che soffre con l’ammalato, e momenti di una particolare sensibilità verso i poveri e gli emarginati. Il lavoro professionale si deve concretizzare in una testimonianza di carità. Non so cosa dire di più. Se noi siamo capaci di portare avanti questo, allora è con noi il Vangelo che si chiama Buona Novella, il Vangelo della sofferenza che si trasforma in speranza.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

La prima pagina si apre dando notizia dell’"ipotesi inquietante" che si sta accreditando riguardo alla tragedia dello spazio consumatasi sabato: “Il Columbia era già condannato al momento del lancio”.

Sempre in prima, un contributo del cardinale Lopez Trujillo dal titolo: “Il Rosario per la famiglia”. 

Una notizia dal titolo “Uganda: appello per la pace dei leader religiosi dell’Aripi”.

 

Nelle vaticane, una monografica, a cura di Giampaolo Mattei, dal titolo “Una pagina di storia: la tragedia della carestia ordita 70 anni fa dal regime sovietico in Ucraina”.

Un articolo sull’incontro di “preghiera ecumenica nella memoria dei martiri” presieduto dal cardinale Kasper nella Basilica romana di San Bartolomeo.

Una serie di servizi sulla celebrazione della Giornata della vita nelle diocesi italiane.

 

Nelle pagine estere, Iraq: frenetico lavoro della diplomazia per scongiurare un conflitto armato.

Medio Oriente: allarmante rapporto Ue sulle condizioni di vita nei Territori.

 

Nella pagina culturale, un contributo di Franco Patruno dal titolo “Quell’umanità che ancora ci interpella”: in margine alla fiction su Giovanni XXIII.

Nella pagina dell’"Osservatore Libri", un approfondito contributo di Ferdinando Montuschi dal titolo “L’approccio sociologico si rivela ricco di implicazioni filosofiche e pedagogiche”: in due volumi la ricerca su “La società civile in Italia all’alba del XXI secolo”, a cura di Pierpaolo Donati ed Ivo Colozzi.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la questione legata all’indultino. Il tema della giustizia.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

4 febbraio 2003

 

 

IL RUOLO DELL’INTELLIGENCE NELLA LOTTA AL TERRORISMO E NELL’EVENTUALITA’

DI UNA GUERRA PREVENTIVA ALL’IRAQ

- Con noi padre Pasquale Borgomeo -

 

C’è attesa per le prove che domani il segretario di Stato americano Colin Powell presenterà a sostegno della tesi del mancato disarmo di Saddam Hussein. Sul fronte della lotta al terrorismo intanto appaiono incoraggianti i risultati che i servizi segreti vanno ottenendo nei Paesi alleati degli Stati Uniti. Ma quale il ruolo dell’’Intelligence nella lotta al terrorismo? Eliana Astorri lo ha chiesto al direttore generale della Radio Vaticana, padre Pasquale Borgomeo.

 

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R. - Grazie alla collaborazione internazionale comincia a dare frutti il lavoro d’intelligence, la vera arma efficace contro il terrorismo. L’intelligence sventa l’attacco terroristico neutralizzando il potenziale aggressore: a differenza della guerra preventiva che divide gli alleati, il lavoro di intelligence li unisce. L’intelligence è per sua natura preventiva: non può esserlo, invece, legittimamente una guerra. La guerra diventa una alternativa inevitabile e comunque sempre inadeguata quando tutti gli altri strumenti falliscono, primo tra tutti l’intelligence. Per questo giova, innanzi tutto riesaminare tutte le carenze e le inefficienze del passato. Un interrogativo per quello che riguarda la orrenda strage dell’11 settembre. Una migliore collaborazione, tra Cia e Fbi, non avrebbe consentito, prima e non dopo il massacro, di ricomporre in un unico e perciò leggibile disegno quei tasselli che i due organismi avevano separatamente acquisito? Lottare contro il terrorismo significa affinare i metodi di vigilanza e di inchiesta, significa anche, per i responsabili politici, passare in rassegna i propri errori in politica internazionale, significa intervenire in situazioni intollerabili di degradazione umana, non illudersi che il terrorismo si sradica con la forza militare, anche se in deroga alla legalità internazionale.

        

D. - Si può parlare di una crisi della legalità dell’Onu?                                          

 

R. - Il diritto internazionale insieme con le prerogative dell’Onu sta rischiando infatti di subire seri danni in questa crisi irachena. Il diritto internazionale prevede la legittima difesa, certo, a determinate condizioni: Legittima è la difesa che tende a rendere inoffensivo l’aggressore, proteggere l’inerme, salvaguardare la vita e la sicurezza della comunità è convincere l’aggressore del suo crimine, portarlo davanti a un tribunale. Paura e odio sono pessimi consiglieri, quando, accecando la ragione, spingono alla rappresaglia e osano dare alla vendetta il nome di giustizia. Nessuno può pretendere di essere allo stesso tempo accusatore, giudice ed esecutore della sentenza. Il rispetto della legalità: è il baluardo di una società civile. Calpestare il diritto può apparire una manifestazione di forza, ma in realtà rivela una debolezza, un cedimento. Il terrorismo lo ha capito e fa di tutto per portare il mondo civile a questo cedimento, in una spirale senza fine di cui il conflitto israelo-palestinese, nella sua crudeltà e nella sua sterilità, offre un esempio più che eloquente. Affidata alla sola forza militare, la lotta al terrorismo si rivela un combattimento impari. Da una parte la società civile che vuole  pace, sicurezza, giustizia, solidarietà, valori, dignità, rispetto di se stessa. Dall’altra, il terrorismo, al quale basta come obiettivo distruggere. Il cedimento sul rispetto del diritto è la vittoria più insperata che il terrorismo internazionale cerca di assicurarsi.

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ENTRA NEL VIVO L’ATTIVITA’ DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE:

RIUNITA AL PALAZZO DI VETRO DELL’ONU, L’ASSEMBLEA DEGLI STATI FIRMATARI

PER LA NOMINA DEI PRIMI 18 GIUDICI DELL’ORGANISMO

- Con noi, il prof. Andrea de Guttry -

 

Un evento di portata storica per il rafforzamento del diritto internazionale. Il 17 luglio 1998, a Roma, 160 nazioni approvavano lo Statuto della Corte penale internazionale. Da allora, è cresciuta nell’opinione pubblica mondiale la consapevolezza della necessità di tale strumento. Tuttavia, sono passati quattro anni prima del raggiungimento della 60.ma ratifica - avvenuta l’11 aprile del 2002 - che ne ha consentito l’entrata in vigore. D’altro canto, l’attività della Corte ha preso l’abbrivio ieri pomeriggio con l’assemblea degli 87 Stati firmatari, riunita al Palazzo di Vetro di New York fino a venerdì prossimo, per eleggere i suoi 18 giudici che saranno in carica per nove anni. Questi giureranno il prossimo 11 marzo a L’Aja - sede della Corte - in una cerimonia a cui prenderà parte anche la Regina Beatrice d’Olanda, in qualità di Capo dello Stato ospitante il nuovo organismo dell’Onu. Dopo l’istituzione dei Tribunali penali internazionali per la ex Jugoslavia e il Rwanda, la Corte sarà, quindi, nell’intenzione dei promotori, un baluardo a difesa dei diritti umani. Sul ruolo e i compiti che l’organismo sarà chiamato ad assolvere, ascoltiamo il prof. Andrea de Guttry, docente di diritto internazionale e pro rettore della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, al microfono di Giada Aquilino:

 

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R. - La Corte ha dei poteri molto interessanti e molto innovativi. In modo particolare rientrano tra questi quelli di esaminare, e poi valutare, i casi di genocidio, di crimini contro l’umanità, di crimini di guerra e di casi di crimini di aggressione. Quindi, una serie di violazioni del diritto internazionale particolarmente forti, che mettono a repentaglio valori comuni della comunità internazionale.

 

D. - Ma la Corte come potrà intervenire nei singoli casi?

 

R. - Ci sono tre diversi meccanismi per attivare la competenza della Corte. Uno Stato che ritenga sia stato commesso uno dei crimini ricordati in precedenza può portare il caso di fronte al procuratore. In alternativa lo può fare il Consiglio di sicurezza, oppure il procuratore può per certi casi anche attivarsi ex ufficio. In questo caso scattano le indagini preliminari e appurato che vi siano elementi sufficienti può scattare la competenza della Corte nei confronti di quegli Stati che abbiano ratificato la convenzione.

 

D. - Una volta eletti i giudici e il procuratore, quale sarà il passo successivo?

 

R. - Quasi completato l’iter che rende attivabile in tutti i suoi aspetti la Corte, si tratterà di vedere se il Consiglio di sicurezza sottoporrà dei casi alla Corte, se gli Stati sottoporranno dei casi alla Corte, oppure se il procuratore si attiverà ex novo. E’ bene però sottolineare che, comunque, esiste una limitazione temporale, nel senso che tutto questo potrà avvenire solo per i reati, i crimini, posti in essere dopo l’entrata in vigore dello Statuto della Corte. Quindi, non ha assolutamente un effetto retroattivo.

 

D. - L’accordo di Roma non è stato ratificato né dagli Stati Uniti, né dall’Iraq. Questo significa che in una eventuale prossima guerra in Iraq i militari americani non potranno essere giudicati se dovessero commessure crimini di guerra?

 

R. - Esatto. Lo Statuto della Corte prevede che sia possibile attivare la competenza della Corte in due casi. Il primo caso è che colui che ha commesso questi crimini sia fisicamente all’interno del territorio di uno Stato che abbia ratificato la convenzione, oppure che il cittadino che ha commesso uno di questi crimini sia cittadino di uno Stato che abbia ratificato la convenzione. Nel caso specifico l’Iraq e gli Stati Uniti non hanno firmato la convenzione e pertanto non scatterà sicuramente la competenza della Corte Internazionale. Questo, però, non esclude che saranno utilizzabili e dovranno essere utilizzati tutti gli altri meccanismi previsti dal diritto internazionale umanitario, per perseguire coloro che si macchiano di questi gravissimi crimini.

 

D. - Invece per gli altri Paesi che hanno ratificato l’accordo di Roma cosa succederebbe?

 

R. - Qualora questi abbiano ratificato e i loro cittadini abbiano commesso questi atti, questi cittadini possono essere portati di fronte alla giurisdizione della Corte. Sempre che, naturalmente, lo Stato di cui hanno la cittadinanza non inizi lui l’attività penale. E’ bene chiarire che la competenza della Corte è una competenza cosiddetta sussidiaria, viene attivata soltanto nel momento in cui chi dovrebbe procedere alla punizione del colpevole non si attivi o non voglia attivarsi. Soltanto in quel caso può scattare la competenza della Corte. Oppure terza ipotesi, quando lo Stato non vuole attivarsi ma vuole lui attivare la competenza della Corte. Quindi, in questi casi potrebbe scattare la competenza della Corte, e quindi un processo di fronte alla Corte stessa.

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TELEMEDICINA: NUOVA FRONTIERA PER

CURARE I MALATI A DISTANZA

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

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La tecnologia on line a servizio dei malati: oggi la telemedicina è una realtà già sperimentata con successo in diversi Paesi del mondo, anche se ancora poco diffusa. Si tratta di un sistema davvero innovativo che offre enormi vantaggi per la qualità di vita dei pazienti e soprattutto permette di ampliare le prestazioni di prevenzione, oltre che di intervenire tempestivamente  in situazioni di emergenza sanitaria. Di telemedicina si è interessata di recente l’Aris, l’Associazione delle istituzioni religiose sanitarie, che ha promosso un Incontro a Roma, per fare il punto sulle possibili applicazioni soprattutto in campo cardiologico e radiologico. Al nostro microfono abbiamo il dott. Marco Gario, della Sorin LifeWatch, la società che in Italia offre servizi di telemedicina.

 

D. - Anzitutto chi può beneficiare e come della telemedicina?

 

R. - Possiamo immaginare un paziente, un malato cronico, un cardiopatico cronico, che si reca dal proprio medico per fare la sua visita di controllo. Ecco, questo medico può registrare durante la visita un’informazione diagnostica, come per esempio un elettrocardiogramma, e inviarlo attraverso una linea telefonica normale ad uno specialista che risiede magari a molti chilometri di distanza e ricevere in tempo reale un consulto specialistico, e questo senza dover chiedere al paziente di spostarsi e recarsi lui dal cardiologo per questo tipo di prestazione. Questa è una delle possibili applicazioni e benefici della telemedicina. Possiamo quindi capire come a beneficiarne possano essere innanzitutto i pazienti, ma ovviamente anche il sistema sanitario, dal medico di base alle strutture territoriali come le Asl e quindi le stesse strutture ospedaliere. Quindi, un po’ tutti attori della grande gestione della sanità.

 

D. - Dunque, un grande passo avanti. Oggi questi servizi sono offerti privatamente, c’è quindi da auspicare che siano quanto prima forniti anche dal Servizio Sanitario Nazionale. Mi risulta che alcuni medici di base stanno sperimentando delle prestazioni ...

 

R. - Diversi medici di base stanno sperimentando il servizio che in alcuni casi è già diventato parte integrante della loro attività professionale; la grande limitazione è derivata dall’assenza, ad oggi, di un riconoscimento delle prestazioni della telemedicina all’interno delle tabelle relative alle prestazioni convenzionate con il Sistema sanitario nazionale, quindi - come lei ha citato - in effetti sono servizi che di fatto vengono offerti privatamente.

 

D. - La telemedicina, oltre agli aspetti clinici, potrà facilitare anche la gestione amministrativa: ci sono anche in progetto sistemi di intranet ospedaliera ...

 

R. - Sì, la realizzazione di network intraospedalieri o anche collegamenti tra strutture diverse è già realtà operante in alcune regioni, in alcune strutture ospedaliere. In effetti, questo è reso possibile dallo sviluppo tecnologico e dall’informatica in particolare. La gestione clinica ed amministrativa non può che essere facilitata da un sistema sanitario più efficiente.

 

D. - Dottor Gario, la telemedicina ha costi alti?

 

R. - No, direi proprio di no. Lei pensi che a livello europeo il 90 per cento delle applicazioni di telemedicina gravitano intorno a programmi di ricerca. Insomma, in qualche modo manca il passaggio alla pratica, con un rapporto costi-benefici assolutamente positivo.

 

D. - La telemedicina comporterà anche la formazione del personale che poi dovrà operare con questa tecnologia ...

 

R. - Deve diventare uno strumento nelle mani di persone che lo sanno utilizzare e quindi ottimizzare i suoi aspetti positivi.

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CHIESA E SOCIETA’

4 febbraio 2003

 

 

LA CRISI IRACHENA, IL DIALOGO ISLAMO-CRISTIANO E LE RADICI CRISTIANE DELL’EUROPA, PUNTI FORTI DELLA RIUNIONE DEL COMITATO CONGIUNTO TRA CONSIGLIO DELLE CONFERENZE EPISCOPALI D’EUROPA (CCEE) E CONFERENZA

DELLE CHIESE EUROPEE (KEK), RIUNITO IN QUESTI GIORNI A BUCAREST

 

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

BUCAREST. = La crisi irachena va risolta “secondo le leggi internazionali e le norme morali, attraverso tutti i mezzi non violenti a disposizione”. E’ questo l’appello rivolto alla comunità internazionale dai membri del Comitato congiunto tra Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa e Conferenza delle Chiese Europee (composto da ortodossi e protestanti), riunito in questi giorni a Bucarest su invito del patriarca ortodosso rumeno, Teoctist. In una nota, diramata ieri al termine della riunione, il Comitato richiama i leader politici di tutto il mondo all’ “obbligo di proteggere il bene comune globale contro qualunque minaccia alla pace”. D’altro canto, grande attenzione viene rivolta alla “costante tragedia del Medio Oriente” che sembra non trovare soluzione. L’organismo ecumenico - si legge nel comunicato - esprime la propria solidarietà con tutte le vittime della violenza, assicurando il proprio sostegno alle comunità cristiane. Il Comitato non manca, poi, di mettere in rilievo la necessità di cercare “sempre nuove forze e speranza per portare avanti il dialogo”. In tale contesto, il processo della Charta oecumenica, si rileva, “è un contributo fondamentale” che rappresenta una “componente integrale dell’architettura ecumenica in Europa”. Di qui, l’esorta-zione rivolta a tutte le Chiese ad “includere regolarmente nelle proprie celebrazioni confessionali la preghiera per le altre Chiese e comunità cristiane”. Il Comitato ribadisce anche il proprio desiderio di rafforzare il dialogo islamo-cristiano. In questa prospettiva, raccomanda che le discussioni sull’islam vengano “ulteriormente approfondite” in modo che cristiani e musulmani “possano dialogare sulla loro fede con Dio e la loro convivenza in Europa”. Proprio agli sviluppi politici che interessano il Vecchio Continente viene dedicata la parte finale del comunicato che ricorda l’intenso lavoro svolto dalle conferenze episcopali in sede di Convenzione europea. Il Comitato esorta nuovamente i governi nazionali a garantire il rispetto dello status delle Chiese e delle comunità religiose nella nuova cornice istituzionale continentale. “L’eredità cristiana in Europa - afferma ancora  il Comitato - non è semplicemente un elemento della storia, ma è una forza per la futura coesione e i valori del Continente”. A conclusione dell’incontro, il Comitato ha proposto che una terza assemblea ecumenica europea si svolga nel 2007, in un Paese est-europeo di tradizione ortodossa, portando avanti così il percorso e lo spirito delle assemblee di Basilea nel 1989 e Graz nel 1997.

 

 

SONO PARTITI A BAMAKO, NEL MALI,  I LAVORI DELLA 15.MA ASSEMBLEA DELLA CONFERENZA EPISCOPALE REGIONALE

DELL’AFRICA DELL’OVEST (CERAO): ALL’ORDINE DEL GIORNO: LE VIOLENZE IN SENEGAL, SIERRA LEONE,

LIBERIA E NIGERIA E IL FLAGELLO DELL’AIDS CHE INGINOCCHIA I PAESI DEL CONTINENTE NERO

 

- A cura di padre Joseph Ballong -

 

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BAMAKO (Mali). = Arrivati lunedì, i vescovi della Conferenza episcopale regionale dell’Africa dell’Ovest francofona hanno iniziato i lavori della loro 15.ma assemblea plenaria con una seduta solenne di apertura che si è svolta questa mattina nel Palazzo dei Congressi di Bamako, in Mali. Erano presenti i membri del governo del Mali guidati dal primo ministro Ahmed Mohamed ag Hamani, i rappresentanti delle autorità del comune di Bamako, delle altre istituzioni della Repubblica, del Corpo diplomatico e delle organizzazioni internazionali, dell’Alto Consiglio islamico, di altre confessioni cristiane. Erano presenti anche il nunzio apostolico in Mali, mons. Giuseppe Pinto, il segretario della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, mons. Robert Sarah, il presidente del Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar, mons. Laurent Monsengwo, arcivescovo di Kisangani nella Repubblica democratica del Congo, e l’arcivescovo di Abidjan in Costa d’Avorio, il cardinale Bernard Agré. Nel suo discorso di apertura, il presidente della Cerao, mons. Théodore-Adrien Sarr, arcivescovo di Dakar, in Senegal, ha tra l’altro evocato e condannato i conflitti armati, le violenze e il perdurare delle crisi nella regione meridionale del Senegal, tra questo Paese e la Mauritania, le lotte intestine in Sierra Leone e in Liberia che hanno creato tensioni tra questi due Paesi e la Guinea, come pure le violenze sporadiche in Nigeria. Il presidente della Cerao ha auspicato la creazione di un gruppo la cui missione sarebbe di contribuire meglio alla ricerca e alla costruzione della pace in Africa dell’Ovest. Da parte sua, l’arcivescovo di Bamako, mons. Jean Zerbo, ha anche lui evocato i mali che affliggono i popoli in Africa, come la carestia, la pandemia dell’Aids, le guerre fratricide ed ha espresso la solidarietà di tutti ai vescovi e al popolo della Costa d’Avorio che attraversa in questo momento una grave crisi. Il nunzio apostolico in Mali, mons. Giuseppe Pinto, dopo aver letto un messaggio del Papa ha poi insistito, nel suo discorso, sulla spiritualità della comunione nelle relazioni a vari livelli nella Chiesa. Infine, il primo ministro del Mali, Mohamed Ag Amani, nel suo discorso di benvenuto ha tra l’altro sottolineato che la cultura dell’amore del prossimo insegnato dal libro sacro di tutte le religioni, se questo insegnamento è ben capito ed accettato da tutti rimane il miglior modo per istituire un clima di tolleranza e di pace sociale. Ha poi insistito sull’opera compiuta dalla Chiesa in Mali in campo sociale e soprattutto della promozione umana. Oggi pomeriggio prenderà la parola l’arcivescovo mons. Robert Sarah, segretario della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli.

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INIZIATIVA ECUMENICA A FRIBURGO, IN GERMANIA,

DOVE CATTOLICI ED EVANGELICI

HANNO DECISO DI COSTRUIRE UNA CHIESA IN COMUNE

 

FRIBURGO. = La comunità cattolica e quella evangelica della città di Friburgo, in Germania, hanno annunciato il progetto di costruire una chiesa in comune. Lo riferisce l’agenzia Ansa, precisando che si tratterebbe della prima iniziativa ecumenica di questo genere in Germania. Come hanno spiegato il parroco cattolico Konrad Irslinger e quello evangelico Raimund Fiehn, la chiesa sarà costruita nel quartiere di Rieselferl, dove abitano 1750 cattolici e circa 1300 evangelici, in prevalenza famiglie giovani. “Nella chiesa - ha precisato il sacerdote cattolico - le due comunità potranno celebrare le loro funzioni, ma sarà possibile anche effettuare cerimonie in comune”, con riferimento ad eventuali incontri di preghiera. L’investimento complessivo è di circa 5,7 milioni di euro, il 71% dei quali a carico della comunità cattolica. La fine dei lavori è prevista per l’inizio del 2004 (M.A.)

 

 

“QUESTO MONDO NON E’ IN VENDITA”: AL VIA IN ITALIA UNA CAMPAGNA PROMOSSA DA 20 ORGANIZZAZIONI NON GOVERNATIVE PER APRIRE UN DIBATTITO SUL COMMERCIO GLOBALE IN VISTA DEL PROSSIMO APPUNTAMENTO

 DELL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DEL COMMERCIO A CANCUN IN MESSICO

 

ROMA. = Al via in Italia la campagna ''Questo mondo non è in vendita'', che chiede regole trasparenti e democratiche per il commercio globale e contesta l'attuale versione dell'Accordo generale sul commercio dei servizi (Gats), che sarà discusso, dal 10 al 14 settembre prossimi, a Cancun, in Messico, presso l'Organizzazione mondiale del Commercio (Wto). L'iniziativa è di 20 associazioni non governative tra cui Arci, Banca Etica, Focsiv, Cipsi, Greenpeace, Retelilliput, Terra madre. I promotori della campagna chiedono ai presidenti di Camera e Senato di aprire in Italia un dibattito parlamentare sulla versione del Gats che - riferiscono - ''se approvato amplificherà i diritti delle grandi imprese a scapito  dei diritti dei cittadini, della democrazia, della trasparenza. Entro il 31 marzo l'Unione europea dovrà presentare una proposta ufficiale all’Organizzazione mondiale del commercio ed è previsto che i governi nazionali avranno solo un mese di tempo per presentare i loro commenti alla bozza che sarà pronta ad inizio febbraio. Ad oggi il Parlamento italiano - informa una nota della Campagna - non ha ancora calendarizzato alcun tipo di dibattito sulla questione''. La Campagna, nelle intenzioni dei promotori è ''diretta alla difesa dei servizi pubblici e contro l'allargamento dei poteri del Wto'', ed è nata nell'ambito del coordinamento europeo di organizzazioni non governative ''Seattle to Bruxelles'' e della Rete internazionale Owins (Our world is not for sale) presenti al Forum sociale europeo di  Firenze e al World social forum di Porto Alegre. (R.G.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

4 febbraio 2003

 

 

- A cura di Giancarlo La Vella -

 

In primo piano la crisi irachena. Anche l’ambasciatore di Baghdad all’Onu, Mohammed Al Douri, è stato ammesso alla riunione del Consiglio di Sicurezza in programma domani: risponderà alle nuove prove che gli Stati Uniti, nella persona del segretario di Stato Powell, presenteranno contro il regime di Saddam Hussein. L’Europa, invitata da Prodi ad esprimere una voce comune, continua intanto ad interrogarsi sull’opportunità di una guerra. Oggi in Francia il vertice Chirac-Blair, ieri a Mosca quello tra Putin e Berlusconi. Ce ne parla Paolo Mastrolilli:

 

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Secondo il presidente russo Putin gli ispettori dell’Onu meritano più tempo per completare il loro lavoro, anche se la responsabilità di collaborare ricade su Baghdad. L’uso della forza, per il leader del Cremlino, resta un’opzione estrema che, comunque, deve essere autorizzata dal Palazzo di Vetro. Questo sembra il punto di contatto con Berlusconi, che ha sottolineato l’utilità di una seconda risoluzione, ma poi si è detto convinto che esistano tanto le prove del riarmo iracheno, quanto quelle del collegamento con il terrorismo. A questo proposito il segretario di Stato americano Powell ha pubblicato un articolo sul Wall Street Journal, in cui parla dell’attesa presentazione delle informazioni sull’Iraq che farà domani all’Onu. Il capo della diplomazia di Washington non ha promesso una prova schiacciante, ma vari elementi che dimostrano il mancato rispetto delle risoluzioni da parte di Saddam Hussein. Gli ispettori, intanto, continuano il loro lavoro e ieri hanno trovato un'altra testata non funzionante, sulla quale le autorità locali hanno dato chiarimenti. Sabato prossimo a Baghdad sono attesi i capi degli ispettori, Blix ed El Baradei, mentre fonti di stampa hanno scritto che il Pentagono sta valutando l’uso delle armi atomiche per penetrare i bunker presidenziali iracheni e una quarta portaerei è in partenza per il Golfo.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Washington è alle prese anche con la crisi nord-coreana. Ieri è giunto a Washington un emissario del neo presidente sud-coreano, Roh Moon-Hyun. Al centro dei colloqui, proprio la situazione dei rapporti con Pyongyang, aggravatisi dopo l’avvio nord-coreano di un programma nucleare. Intanto il comandante delle forze militari americane in Corea del Sud ha negato oggi in un comunicato di aver richiesto a Washington invii addizionali di truppe e mezzi aeronavali nel Pacifico come deterrente ad un eventuale attacco nord-coreano in caso di intervento militare in Iraq.

 

E gli Stati Uniti piangono le vittime della tragedia dello shuttle. Una cerimonia funebre in ricordo dei 7 astronauti morti a bordo del Columbia verrà celebrata oggi in Texas, dove è stata ritrovata anche la sezione anteriore della navetta spaziale. La Nasa ha intanto ammesso di aver sottovalutato l’incidente in fase di decollo alle piastrelle dello scudo termico.

 

Nuove proteste in Costa d’Avorio, dove l’accordo siglato a Parigi tra governo e ribelli non è riuscito sin’ora a riportare la pace. Ieri l’ambasciata francese è stata circondata da centinaia di donne, che accusano il presidente francese Chirac di aver preso le parti degli ex golpisti. Ma come spiegare l’atteggiamento del presidente ivoriano Gbabgo, che dopo la firma dell’intesa sembra ora tornare sui suoi passi? Ci risponde Mario Giro, che per la Comunità di Sant’Egidio è stato osservatore ufficiale al tavolo dei negoziati parigini:

 

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R. - Gbagbo ha accettato a Parigi - anzi ha proposto lui - il nome del giovane ministro di transizione. Adesso viene criticato dai suoi sostenitori anche per la distribuzione globale dei portafogli ministeriali. Non è dato sapere se si tratti di un doppio gioco, oppure se la pressione della parte più oltranzista del suo partito si sia fatta sentire in maniera decisa e che il presidente non possa fare a meno di ascoltarla. Certo, la situazione in questo momento è bloccata e speriamo che il Comitato di garanzia della sicurezza, composto dal G8, dalla Francia, dall’Europa, dall’Unione Europea, dalla Banca Mondiale, che adesso comincerà a lavorare ad Abidjan, possa trovare una soluzione per sbloccare questa fase di stallo, in cui si è incagliata, quanto meno, l’applicazione degli accordi di Parigi.

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“I popoli dell'Africa devono essere determinati nel realizzare gli obiettivi dell'integrazione politica ed economica e dell'unità nel continente.” Sono le parole del presidente sudafricano, Thabo Mbeki, ieri ad Addis Abeba al vertice straordinario dell’Unione Africana. “Dobbiamo lavorare per superare i problemi della povertà e del sottosviluppo - ha detto ancora Mbeki - che comportano l’emarginazione globale del nostro continente e del suo popolo”. Oggi è prevista la pubblicazione del documento finale del vertice.

 

Un memoradum d'intesa per il Sudan è stato firmato oggi a Nairobi tra il governo di Karthoum e ribelli del sud. L’accordo ha garantito il “cessate il fuoco”, che negli ultimi tempi era apparso fortemente in pericolo, e ha spianato la strada, secondo fonti diplomatiche presenti, ad ulteriori intese sulla divisione dei proventi petroliferi e delle risorse economiche. Gli osservatori hanno riferito che quello odierno rappresenta un passo in avanti significativo verso la pace e potrebbe portare in breve alla conclusione definitiva di ogni ostilità. La guerra civile in Sudan dura da quasi 20 anni ed ha causato finora circa due milioni di morti.

 

 

Sono stati rinviati all'inizio della settimana prossima i colloqui al Cairo tra i dodici gruppi palestinesi che dovevano riprendere oggi per discutere sulla proposta egiziana di una tregua di un anno del conflitto israelo-palestinese. Il rinvio, secondo il rappresentante alla Lega Araba, Mohamed Sobeih, sarebbe stato richiesto dai gruppi integralisti Hamas e Jihad, per esaminare meglio la proposta egiziana, alla quale la maggioranza di Al Fatah, il partito di Yasser Arafat, aveva gia' aderito, ad eccezione degli estremisti delle Brigata Al Aqsa. Da Gaza, intanto, Hamas ha fatto sapere il suo rifiuto di astenersi dalle violenze. Intanto, nel perdurante clima di tensione, il premier israeliano Sharon, vincitore delle ultime elezioni, è alle prese con la formazione del prossimo governo, del quale non farà parte il partito laburista, come annunciato dal leader Mitzna.

 

Presto una nuova costituzione per il Kirghizstan. Questo l’esito del referendum svoltosi domenica scorsa nell’ex repubblica sovietica. Con il voto la popolazione si è espressa a larga maggioranza anche per il prolungamento del mandato presidenziale al capo dello Stato Askar Akayev. Il servizio di Giuseppe D’Amato:

 

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Con la nuova costituzione il Parlamento sarà monocamerale e l’esecutivo avrà più poteri. L’Osce, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa,  si è rifiutata di mandare osservatori, in quanto il referendum è stato annunciato con soli 20 giorni di anticipo. L’opposizione ha disertato le urne e numerose organizzazioni internazionali hanno duramente criticato la chiamata al voto. Secondo i dati della commissione elettorale, il 75 % dei votanti ha detto “sì” alla riforma costituzionale ed il 78 % anche al proseguimento del mandato presidenziale dell’attuale capo dello Stato, Askar Akaiev, fino al 2005. I risultati finali si avranno solo domani in giornata, ma potranno discostarsi al massimo dell’1,5 %, rispetto a quelli attuali. Gli ultimi risultati ad arrivare saranno quelli delle votazioni nei seggi di alta montagna.

 

Per la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato.

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E si parla di cambiamenti istituzionali anche per la Federazione Jugoslava. Le due Camere del Parlamento federale di Belgrado prenderanno oggi in esame la Carta Costituzionale per la formazione di un nuovo Stato che prenderà il nome di Serbia-Montenegro. Quest’ultimo sostituirà l’attuale Repubblica Federale, nata dalla dissoluzione dell’ex Jugoslavia.

 

 

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