RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 114 - Testo della Trasmissione di giovedì 24 aprile 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La nostra dimora definitiva e la nostra ricompensa non sono su questa terra, ma nei cieli. Lo ha ricordato il Papa stamani alle esequie del cardinale Aurelio Sabattani nella Basilica Vaticana.

 

La figura del frate cappuccino Marco D’Aviano, tra i nuovi beati che Giovanni Paolo II proclamerà domenica prossima: con noi, il postulatore padre Vincenzo Criscuolo.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Israeliani e palestinesi tra speranze e timori, con la difficile nascita del nuovo governo di Abu Mazen: ai nostri microfoni, Amos Radiàn e Nemer Hammad.

 

La questione armena: oggi una commemorazione storica. Intervista con Marco Tosatti.

 

Grave emergenza alimentare in Eritrea. Missione dell’Unicef in aiuto alla popolazione stremata da una lunga siccità. Intervista con Donata Lodi.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Tornino i pellegrini in Terra Santa: è l’appello del nunzio Pietro Sambi e di padre Giovanni Battistelli nell’incontro con i vescovi italiani in pellegrinaggio a Gerusalemme.

 

“Medici senza frontiere” lancia l’allarme per l’emergenza fame nelle regioni meridionali del Sudan.

 

In Indonesia, appello contro la tratta di donne e bambini dal vescovo di Sintang, tra le diocesi più colpite dal turpe traffico.

 

La musica contro la fame: concerto organizzato dall’Etiopia il 25 maggio prossimo ad Addis Abeba, per raccogliere fondi da destinare alla lotta all’inedia

 

Il 26 e il 27 aprile, all’Angelicum di Roma, simposio su Santa Caterina da Siena.

 

Ritirato dall’Ufficio svizzero per la salute pubblica uno dei manifesti della campagna “Stop Aids 2003” perché giudicato dai vescovi oltraggioso verso la religione.

 

24 ORE NEL MONDO:

Presto torneranno in funzione i ministeri di Baghdad, lo ha fatto sapere l’amministratore civile americano Garner

 

Attentato kamikaze a Tel Aviv: 2 morti e 13 feriti

 

Usa e Pyongyang definiscono positivi i primi due giorni di incontri

 

Cresce l’emergenza Sars nel mondo: altri 4 morti ad Hong Kong

 

Dichiarata un’amnistia per il generale centroafricano Bozizé. Condonate tutte le pene per gli avvenimenti del 28 maggio 2001

 

In ribasso il deficit pubblico dei paesi della moneta unica: lo rende noto l’Ocse.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

24 aprile 2003

 

PRESIEDUTA DA GIOVANNI PAOLO II IN SAN PIETRO,

LA CAPPELLA PAPALE PER LE ESEQUIE DEL CARDINALE AURELIO SABATTANI,

MORTO A 90 ANNI LO SCORSO SABATO SANTO

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

 

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“Vivere nella fede e nella grazia di Dio”, perché è l’“unica cosa che ha un valore definitivo”. Il cuore del testamento spirituale del cardinale Aurelio Sabattani - spentosi lo scorso 19 aprile all’età di 90 anni, è riecheggiato questa mattina nelle parole di Giovanni Paolo II, che ha presieduto in San Pietro le esequie solenni per il porporato.

 

Canonista “brillante ed illuminato”, il cardinale Sabattani rivestì numerosi incarichi nelle sue vesti di giurista, da giovane prelato uditore della Rota Romana fino alla carica di prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. “Riconoscendo di essere stato ricolmato da Dio di continui e singolari benefici - ha affermato all’omelia il Papa - si è presentato ora al suo giudizio, dopo aver egli stesso esercitato l’ufficio di giudice entro la Chiesa. Si è presentato con serena fiducia, come egli dichiara, nella consapevolezza di essere stato mosso sempre dal desiderio di servire Cristo e la Chiesa”.

 

“Cristo è ‘il giudice dei vivi e dei morti costituito da Dio’. Il cardinale Sabattani ha cercato di vivere in unione con Lui, sforzandosi di metterne in pratica gli insegnamenti. Questo è anche per noi motivo di conforto nel momento del distacco”.

 

Nella sua lunga e diversificata esperienza al servizio della Chiesa, il cardinale Sabattani - che aveva ottenuto la porpora dalle mani di Giovanni Paolo II nell’83 – è stato anche arciprete della Basilica petrina, vicario generale della Città del Vaticano e presidente della Fabbrica di San Pietro. Ora,  ha soggiunto il Pontefice, è terminato il suo pellegrinaggio terreno, ma “la vita ricevuta con il Battesimo non termina con la morte”, sconfitta da Cristo sulla Croce, come ci ricorda il mistero di questa ottava di Pasqua che stiamo vivendo. “Nell’ordine umano - ha detto in conclusione Giovanni Paolo II ripetendo le parole della Via Crucis al Colosseo - la morte è l’ultima parola. La parola che viene dopo, la parola della risurrezione, è parola solamente di Dio”.

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UDIENZA PRIVATA, NOMINE DI CURIA

E PROVVISTA DI CHIESA NELLA REPUBBLICA CECA

 

Il Papa ha ricevuto in udienza questa mattina il presule slovacco mons. František Tondra, vescovo di Spiš, presidente della Conferenza episcopale e consultore della Congregazione per l’educazione cattolica.

 

Il Santo Padre ha nominato cinque membri del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, l’organismo istituito nel 1971 da Paolo VI per la promozione e il coordinamento delle attività caritative cattoliche. Sono il padre Massimo Cenci, missionario del Pime, sottosegretario della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli; il prelato mons. Frank J. Dewane, sottosegretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace; il sacerdote Salvador Lòpez Mora, della Caritas del Messico; il sacerdote Michael Yeung, della Caritas di Hong Kong; e il laico José Sànchez Faba, presidente della Caritas di Spagna.

 

Il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’esarcato apostolico per i cattolici di rito bizantino residenti nella Repubblica Ceca, presentata dal vescovo mons. Ivan Ljavinec, che nei giorni scorsi ha compiuto 80 anni. Al suo posto, Giovanni Paolo II ha nominato il sacerdote focolarino Ladislav Hudko, 55enne, per molti anni responsabile del settore maschile del movimento nell’allora Cecoslovacchia, finora padre spirituale del Seminario maggiore di Košice, elevandolo alla dignità vescovile.

 

 

MARCO D’AVIANO TRA STORIA E SANTITA’: IL FRATE CAPPUCCINO DEL ‘600

CHE IL PAPA PROCLAMA BEATO DOMENICA PROSSIMA

- Servizio di Giovanni Peduto -

 

 

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Marco da Aviano, al secolo Carlo Domenico Cristofori, sacerdote professo dell’Ordine dei Frati Cappuccini, una figura un po’ lontana dai nostri tempi, nasce nel 1631, nel Friuli, e muore nel 1699 a Vienna: quindi è tutto un personaggio del Seicento, vissuto in un periodo contrassegnato da eventi particolari. Prima di tutto, egli era un cappuccino: quindi ha vissuto la dimensione proprio di frate cappuccino, un frate predicatore, fondamentalmente, ma che ha avuto ad un certo momento della sua vita un cambiamento radicale contrassegnato dal suo potere taumaturgico ... pensiamo a Padre Pio oggi, ecco. Cioè, ha avuto una capacità particolare di attirare le folle, dovunque si recasse a predicare. per gli eventi straordinari di guarigione, conversione e pacificazione tra genti in conflitto, che si verificavano in seguito alla sua parola, alla sua benedizione, alla sua preghiera.

 

Questo, appunto, come predicatore, come annunziatore di pace, di penitenza, di perdono, il primo aspetto. Il secondo aspetto è quello che lo vede coinvolto nella famosa crociata anti-turca di fine ‘600: ha partecipato attivamente alla liberazione di Vienna dall’assedio dei turchi, che è avvenuta il 12  settembre 1683 e, negli anni seguenti, sempre su ‘comando’ possiamo dire del Papa, allora era il Beato Innocenzo XI, è stato presente fino al 1689, quindi per circa sei anni, nelle campagne anti-turche organizzate dall’imperatore, che era Leopoldo I. Ecco, questo ha caratterizzato un po’ tutta la sua vita. Gli ultimi dieci anni, fino al 1699, sempre su incarico della Santa Sede, Marco da Aviano si è prodigato per la pacificazione europea, soprattutto tra la Francia e l’Impero, i due blocchi sempre in contrasto fra loro, per la supremazia in Europa.

 

A distanza di più di tre secoli cosa dice all’uomo d’oggi questo nuovo beato? Lo abbiamo chiesto al postulatore della Causa di beatificazione, il padre cappuccino Vincenzo Criscuolo:

 

R. – E’ una figura che per molti aspetti si presenta veramente attualissima. Possiamo distinguere tre messaggi che lui propone all’uomo contemporaneo. Il primo è questo bisogno di conversione, di pacificazione interiore, di una fede più profonda e di una pratica cristiana più vissuta, più sentita oggi. Marco da Aviano predicava praticamente questo, predicava il perdono, predicava la penitenza, predicava la conversione, e si sa l’appiattimento dei valori in cui noi oggi viviamo. Il secondo messaggio, anch’esso attualissimo, è il suo impegno come pacificatore sociale. Sono molti gli eventi della sua vita a riguardo come quello di Salò, dove una popolazione divisa in due, in seguito alla sua predicazione, si ricongiunge, in una completa pacificazione sociale. Pensiamo anche a quello che ha fatto in Svizzera e altrove negli ultimi dieci anni della sua vita: uno sforzo continuo per riportare la pace a livello sociale, a livello europeo. In terzo luogo, il nostro padre Marco da Aviano può essere proposto come apostolo dell’identità cristiana dell’Europa. Ecco, l’Europa basata soltanto su criteri economici, finanziari, unita soltanto in nome dell’euro, è certamente riduttiva perché non raggiunge certamente la parte interiore di ogni persona. Invece proprio questa identità cristiana, questa unità in nome della fede, in nome della croce di Cristo è più profonda e certamente può contribuire all’unità non soltanto esteriore, non soltanto a livello economico, finanziario, ma un’unità di cuori, un’unità di intenti, una fratellanza reciproca, una comprensione vicendevole. E’ questo il messaggio tripartito che Marco da Aviano può dare all’uomo e alla società di oggi.

 

D. – Padre Vincenzo, sorge spontanea una domanda: come mai quest’uomo arriva all’onore degli altari dopo tanto tempo?

 

R. – Il problema è di carattere storico. Sappiamo che lui ha fatto molto per la pace europea e soprattutto per la difesa della fede. Allora, ecco l’ante-murale – così si dice – della fede era appunto l’impero austriaco: lui è morto di fatto a Vienna proprio il 13 di agosto 1699, è sepolto lì, e l’imperatore ne voleva promuovere – e di fatto ha promosso – il processo di beatificazione. Però sappiamo le vicende storiche quali sono state: prima di tutto la guerra di successione in Spagna, che è durata ben 13 anni, praticamente ha insanguinato l’Europa intera; poi c’è stata la guerra di successione polacca; la stessa successione austriaca che ha portato poi sull’impero austriaco Maria Teresa d’Austria; il giuseppinismo col contrasto praticamente viscerale tra l’Austria, ormai completamente su posizioni illuministe, e la Santa Sede; le guerre seguenti, la Rivoluzione francese ... hanno ostacolato ed impedito una conduzione del processo di beatificazione come andava fatto. Soltanto alla fine dell’Ottocento si è sentito il bisogno di liberare dalle ombre della storia questo personaggio e collocarlo nella sua giusta luce.

 

D. – Nel processo di avvicinamento all’Unione Europea da parte del Governo turco questa beatificazione potrebbe costituire un’ombra?

 

R. – Questo è uno degli argomenti che viene interpretato in modo molto unilaterale. Praticamente si presenta, almeno da alcuni organi di stampa, padre Marco come l’antiturco per eccellenza o addirittura – come è stato detto in una recente trasmissione televisiva – come il Bin Laden cattolico del Seicento. Non è vero. Padre Marco non ha combattuto i turchi come turchi. Bisogna fare una grande distinzione tra Islam come religione e la Turchia, che era allora una potenza in espansione. Da parte dell’impero austriaco c’era veramente la necessità di difendersi. Allora la Turchia faceva una guerra di espansione e non erano nascoste le motivazioni che questa grande espansione si proponeva, cioè raccogliere la cosiddetta mela d’oro, costituita dalla città di Vienna. Un certo gran Visir parlava chiaramente di fare della Basilica di San Pietro la più bella stalla per i cavalli del Profeta. In questa prospettiva era necessario, da parte delle potenze cristiane, di prepararsi alla difesa e questo hanno fatto. E’ stata soltanto una guerra di difesa. Dall’altra parte, dobbiamo anche dire che Marco d’Aviano stesso non ha mai parlato, né agito contro i turchi in quanto tali; anzi bisogna veramente riconoscere che egli si adoperò proprio per la difesa e il rispetto dei turchi. Pensiamo, per esempio quando è stata conquistata la città di Belgrado da parte dell’esercito cristiano. Ben 12 mila turchi erano stati passati a fil di spada ed anche molti dell’esercito cristiano erano caduti. Resisteva ancora la cittadella, dove erano asserragliati ben 800 turchi, che praticamente avrebbero fatto la stessa fine se proprio l’intercessione di Marco d’Aviano non li avesse salvati. Poi parliamo della sua attività in favore degli ebrei. A Padova erano esposti ad una grande rappresaglia da parte della popolazione cristiana, ma tutto si ricompose pacificamente proprio in seguito all’intervento di Marco d’Aviano. Quindi, affermare che Marco d’Aviano è stato contro i turchi e contro gli ebrei è certamente una mistificazione, una interpretazione antistorica della sua vita. Fu un uomo incaricato di quella specifica missione che egli ha adempiuto: la difesa della fede.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

La prima pagina si apre con l’articolo sull’attentato suicida in Israele, che ha provocato un morto e quindici feriti alla stazione ferroviaria di Kfar Saba.

Sempre in prima, il richiamo del rito esequiale – presieduto dal Papa – del cardinale Aurelio Sabattani. All’interno, il testo dell’omelia del Santo Padre.

Riguardo all’Iraq, il Pam individua nuovi “corridoi” per una capillare e vasta distribuzione del cibo a sostegno della popolazione civile.

Gli Usa, intanto, lavorano per un Esecutivo che comprenda tutte le etnie.

 

Nelle vaticane, una pagina dedicata al cammino della Chiesa in Italia, con articoli sulle iniziative pastorali promosse dalle diocesi.

Un articolo dell’arcivescovo Cosmo Francesco Ruppi dal titolo “la prima testimonianza biblica dell’evento pasquale”: le pagine di San Marco evangelista sulla Risurrezione di Cristo.

 

Nelle pagine estere, riguardo alla polmonite atipica, si moltiplicano gli sforzi per bloccare l’epidemia; messi in isolamento ospedali a Pechino e a Taipei.

Cuba: saranno trasferiti in carceri di massima sicurezza i 75 dissidenti condannati, il 7 aprile scorso, a severe pene detentive per “atti contro l’indipendenza e l’integrità territoriale dello Stato”.

Uruguay: tre bimbi morti per denutrizione a Montevideo.

 

Nella pagina culturale, un contributo di Angelo Marchesi dal titolo “La filosofia al macero?”: in margine ad un recente saggio.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la questione legata al virus Sars.

Il tema della scuola.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

24 aprile 2003

 

 

UNA NASCITA DIFFICILE PER IL NUOVO GOVERNO DI ABU MAZEN:

ISRAELIANI E PALESTINESI TRA SPERANZE E TIMORI

- Con noi, Amos Radiàn e Nemer Hammad -

 

Con la nomina a premier di Abu Mazen, la politica palestinese potrebbe essere arrivata ad una svolta. Ma come abbiamo già anticipato, l’accordo sul nuovo governo – frutto di travagliate trattative con il presidente dell’Anp, Yasser Arafat – è stato già funestato dalla violenza. Andrea Sarubbi ne ha parlato con Amos Radiàn, ambasciatore israeliano in Italia:

 

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R. – La nascita del nuovo governo palestinese è stata un po’ difficile, problematica. È chiaro che per Arafat è difficile rinunciare al suo potere, che non vuole condividere con nessuno. Finora, Abu Mazen si è comportato in maniera abbastanza chiara, ma è ancora presto per poter giudicare. Bisogna aspettare e vedere.

 

D. – Qual è il primo passo che Israele si attende dal nuovo governo palestinese?

 

R. – Il primo passo deve essere fermare la violenza e controllare i gruppi che ne sono responsabili: sia i martiri di Al Aqsa, braccio armato di Al Fatah, che Hamas. Il nuovo responsabile per la sicurezza, Dahlan, è un uomo fortissimo ed ha il potere di farlo. Ma il problema, durante questi 2 anni di Intifada, non è stata l’incapacità di fermare le ondate di violenza da parte dell’Autorità palestinese: è stato, piuttosto, un problema di volontà. Ha usato la violenza come un mezzo politico, per premere Israele a fare concessioni. Adesso, spero che il nuovo governo di Abu Mazen capisca che è tempo di riprendere il processo di pace.

 

D. – A molti è sembrato che Sharon abbia ricominciato a parlare di pace quando, in Iraq, gli Stati Uniti stavano facendo cadere il regime di Saddam Hussein. Quanto è sincero questo desiderio di pace del governo israeliano?

 

R. – Gli israeliani non soltanto vogliono la pace, ma devono averla. Barak ha tentato la strada degli accordi di Camp David nel luglio del 2000, mentre Arafat ha compiuto una scelta strategica. Io sono al 100 per cento sicuro – così come la maggior parte degli israeliani – che Sharon vuole la pace e farà questi passi, anche dolorosi, verso di essa. Ma non possiamo farlo mentre, da parte palestinese, quasi ogni giorno si organizzano 10 attentati, uno dei quali riesce.

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Profondamente diverso, naturalmente, è il punto di vista palestinese. Sulla nascita del nuovo governo di Abu Mazen e sulle sue prospettive, anche in relazione al processo di pace, ascoltiamo allora il delegato palestinese in Italia, Nemer Hammad, intervistato da Sergio Centofanti:

 

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R. – Sicuramente, la nascita del governo palestinese è un passo importante, ma questo passo comporta la necessità da parte della comunità internazionale – in modo particolare da parte degli Stati Uniti – di chiedere ad Israele di mettere fine alla crescita degli insediamenti ed alle uccisioni che il governo israeliano ha compiuto fino ad oggi.

 

D. – Intanto, gli attentati kamikaze continuano ...

 

R. – È vero, ma noi riteniamo che tutti questi attentati siano contro la causa palestinese. Non c’è dubbio che siamo contrari a questi attentati. Auguriamo che quello di stamattina sia l’ultimo, e che possiamo finalmente aprire la strada verso la pace ed il rispetto reciproco.

 

D. – Però, gli israeliani accusano l’Autorità palestinese di non fare niente per fermare il terrorismo...

 

R. – Sarebbe meglio oggi, di fronte a questo attentato, dire basta alla violenza da entrambe le parti. Basta agli attentati kamikaze, ma basta anche al terrorismo di Stato israeliano. Per combattere il terrorismo, infatti, non basta una polizia forte, ma occorre affrontare le cause di questo fenomeno. Più ci sono umiliazioni per il popolo palestinese – più gli israeliani continuano a distruggere le case di cittadini palestinesi – e più cresce l’odio e la disperazione da parte del nostro popolo. Per questo, il successo di tutto il governo guidato da Abu Mazen richiede da entrambi le parti di fare il possibile: sia da parte palestinese, che da parte israeliana.

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LA QUESTIONE ARMENA: OGGI UNA COMMEMORAZIONE STORICA

- Intervista con Marco Tosatti -

 

Una giornata per non dimenticare: gli armeni di tutto il mondo commemorano oggi la tragedia del proprio popolo, consumatasi all’inizio del secolo scorso per mano turca. Una pagina dolorosa, riportata in primo piano da Giovanni Paolo II, che il 26 settembre del 2001 - nel viaggio apostolico in Armenia – si è recato al memoriale di Tzitzernakaberd, eretto proprio a ricordo delle vittime armene cadute a partire dal 1915, nell’arco di tre anni, sotto il governo dei Giovani Turchi. Una vicenda che, d’altro canto, presenta ancora numerose questioni controverse in sede storica, a cominciare dal numero dei morti. Un milione e mezzo, per gli armeni. Non più di trecento mila, secondo fonti turche. Comunque, una tragedia di immani proporzioni, che Flavia Amabile e Marco Tosatti ripercorrono nel loro ultimo libro “La vera storia del Mussa Dagh”, edito da Guerini. Una storia di coraggio e speranza sulle vicissitudini di quattro mila armeni, che lottarono strenuamente per la propria salvezza e, al tempo stesso, per testimoniare al mondo la sofferenza del proprio popolo. Stefano Leszczynski ha intervistato l’autore del libro Marco Tosatti, vaticanista del quotidiano “La Stampa”.

 

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R. – Il Mussa Dagh in realtà è uno dei pochi episodi, forse l’unico episodio ad esito felice in quella storia tremenda che ha segnato l’inizio di un secolo di orrori, e ha dato probabilmente anche l’idea all’autore dello sterminio degli ebrei che certi crimini potevano essere compiuti impunemente. Che cos’è il Mussa Dagh? Il Mussa Dagh è una montagna sulla costa, allora siriana, adesso turca, che era abitata da sette villaggi di armeni, cristiani naturalmente. Quando giunse l’ordine da parte delle autorità turche di raccogliere le proprie cose per essere deportati altrove, come stava succedendo in quel momento alla maggior parte degli armeni dell’Anatolia e dell’Impero comunque Ottomano – c’erano già i giovani turchi però, per essere massacrati sostanzialmente – gli abitanti di questi sette villaggi decisero che non avrebbero voluto andarsene. Salirono su questa montagna e per 53 giorni resistettero agli attacchi via via sempre più pressanti e più pesanti dei turchi, con vecchie armi, con pochissimi fucili moderni, e l’attacco dell’esercito turco, che si accorgeva che questi signori erano difficilmente riconducibili “alla ragione” diventava sempre più duro. Cosa fecero? Presero delle lenzuola, cucirono una grande croce rossa sopra queste lenzuola e la issarono sulla cima della montagna nella speranza che qualche nave alleata passando la vedesse. Finalmente dopo 53 giorni una nave francese la vide e avvertì la flotta. L’ammiraglio non aspettò le istruzioni da Parigi, che ovviamente sarebbero arrivate chissà quando, e decise di salvare oltre 4 mila armeni – uomini, donne e bambini – che furono imbarcati e portati a Port Said. E così questa resistenza bellissima, in cui sconfissero varie volte l’esercito turco e gli ausiliari, si risolse in maniera positiva.

 

D. – La storia sulla quale è costruito il libro dà però moltissimi spunti di riflessione sul genocidio e dà anche degli spunti di riflessione su quella che è la situazione attuale della regione …

 

R. – L’interesse era focalizzare intanto questo baratro di memoria, cioè questo genocidio non dimenticato, ma negato, che è una cosa diversa.

 

D. – Per cercare di localizzare forse meglio geograficamente quello di cui stiamo parlando, com’è la disposizione delle minoranze armene e curde nella regione? Quanti Stati sono coinvolti? Perché esiste uno Stato Armenia, ma è di recente costituzione ...

 

R. – Lo Stato armeno è nato subito dopo la Prima Guerra mondiale, “grazie” all’intervento dei bolscevichi. Per una questione geopolitica la Russia non voleva che la Turchia potesse espandersi troppo a ridosso dei suoi confini e l’esercito bolscevico arrivò e bloccò quello che era un secondo massacro nel massacro, compiuto questa volta dai soldati di Ataturk, e non più del triumvirato. In realtà, gli armeni adesso in Turchia ci sono e sono soprattutto ad Istanbul. Anche durante il genocidio furono “risparmiati”, nel senso che Istanbul era troppo visibile anche agli occhi delle potenze occidentali e delle potenze, come la Germania, che erano alleate della Turchia stessa. Il grande problema adesso per la Turchia non sono più gli armeni, sono i curdi, nell’est del Paese, e gravitano in quella zona che è a cavallo fra Iran, Iraq, parte della Siria e della Turchia, lì dove in realtà sarebbe già dovuta nascere, alla fine della Prima Guerra Mondiale - quando fu decisa quella che un autore di un libro molto bello ha definito “una pace per mettere fine a tutte le paci” - la nuova spartizione con Sykes Picot, delle zone di influenza in quell’area geografica. Loro avrebbero dovuto già avere uno Stato allora, uno Stato che gli fu negato, e che mi sembra venga negato loro anche adesso.

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     GRAVE EMERGENZA ALIMENTARE IN ERITREA: MISSIONE DELL’UNICEF

IN AIUTO ALLA POPOLAZIONE STREMATA DA UNA LUNGA SICCITA’

- Intervista con la dott.ssa Donata Lodi -

 

L’Africa, da sempre il continente più dimenticato nelle sue emergenze, che sono endemiche in molte regioni e Paesi. Tra questi è l’Eritrea, che dopo un annoso conflitto per l’indipendenza dall’Etiopia, oggi attraversa un difficile periodo sia per le condizioni naturali, colpita da siccità, sia per il contesto socioeconomico. Di questo tormentato Stato nel Corno d’Africa, parliamo con la dott.ssa Donata Lodi, portavoce dell’Unicef in Italia, appena rientrata da un viaggio in questo Paese, davvero trascurato dalle cronache internazionali. Ascoltiamola al microfono di Roberta Gisotti.

 

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R. – Sì, l’Eritrea in effetti è una delle ‘emergenze’ africane più gravi e più dimenticate. Un Paese piccolissimo di 2,3 milioni di abitanti, dove il 70 per cento della popolazione è colpita dalle conseguenze di una siccità senza precedenti. Ci sono intere regioni del Paese, in particolare nell’interno il Gash Barka e il Debub, che tradizionalmente erano i granai o i frutteti di questo piccolo Paese, e che sono da più di un anno completamente prive di qualsiasi forma di raccolto. La popolazione è allo stremo. Ciò nonostante l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale è stata molto limitata su questa crisi, vuoi per il concorrere di altre emergenze, vuoi anche per il relativo isolamento di questo piccolo Stato. Certamente la situazione dell’Etritrea è in questo momento una delle più gravi dell’intera Africa.

 

D. – Questa sua missione ha avuto lo scopo di fare il punto della situazione, di capire quali sono gli aiuti prioritari?

 

R. – All’interno la situazione è veramente terribile. Abbiamo visto code spaventose per pozzi scavati nell’alveo dei fiumi, perché l’unica acqua rimasta e le uniche falde sono ad un’estrema profondità nell’alveo dei fiumi, che da anni ormai sono vuoti. Si parla di un abbassamento della falda freatica di circa 10 metri. La popolazione ormai è allo stremo, quindi ogni forma di resistenza è ormai finita. Non ci sono più scorte. Non ci sono scorte neanche per seminare un eventuale raccolto per l’anno prossimo. E la situazione è particolarmente grave perché i fondi internazionali scarseggiano. Servono 10 milioni di dollari - quindi non una cifra gigantesca - per dare una prima risposta all’emergenza, ma non si riescono a trovare.

 

D. – Il governo come cerca di fronteggiare questa grave crisi?

 

R. – Il governo cerca di fronteggiarla con gli strumenti tradizionali dell’Eritrea, e cioè il ricorso alle risorse interne. E’ uno dei pochi Paesi africani, per esempio, in cui c’è una produzione autonoma di alimenti ad alto valore nutritivo per i bambini malnutriti, quello che in gergo internazionale si chiama “Unimix”, che è una miscela di sostanze nutritive. In Eritrea viene prodotto localmente. Però questa catena va alimentata anche con cereali che a questo punto non ci sono più nelle scorte dell’Eritrea. La situazione è ‘pesantissima’ anche da altri punti di vista, perché chiaramente una crisi così prolungata di ogni attività agricola ha impedito a molte famiglie di continuare a mandare a scuola i bambini. Quindi, da un paio di anni a questa parte vediamo anche una tendenza negativa nella scolarizzazione dei bambini, che in Eritrea, dopo l’Indipendenza, era sempre stata in aumento. Quindi, è una crisi più generale, che va al di là del puro aspetto alimentare, per diventare una crisi che mette in forse il futuro stesso del Paese.

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CHIESA E SOCIETA’

24 aprile 2003

 

TORNINO I PELLEGRINI IN TERRA SANTA. E’ L’APPELLO DEL NUNZIO APOSTOLICO,

MONS. PIETRO SAMBI, ALLA DELEGAZIONE DEI PRESULI ITALIANI

IN PELLEGRINAGGIO DI SOLIDARIETA’ AI LUOGHI SANTI

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

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GERUSALEMME. = “Ogni vescovo porti in pellegrinaggio la propria diocesi in Terra Santa”. E' la proposta congiunta del custode di Terra Santa, padre Giovanni Battistelli, e del nunzio apostolico in Israele, mons. Pietro Sambi, lanciata alla delegazione dei vescovi italiani in pellegrinaggio di solidarietà a Gerusalemme. Lo scopo è quello di mostrare una vicinanza concreta ai cristiani dei Luoghi Santi le cui condizioni di vita sono ormai allo stremo. “Senza i cristiani – ha aggiunto il nunzio apostolico – questi luoghi diventeranno muti. Ecco perché è importante l’aiuto e la presenza concreta di tutte le Chiese”. “In due anni e mezzo di Intifada - gli ha fatto eco padre Ibrahim Faltas, uno dei protagonisti nella mediazione durante l’assedio alla basilica della natività – sono circa 2 mila i cristiani emigrati da Betlemme”. Dinanzi a questo complesso scenario diventa importante la riapertura dei negoziati di pace e la formazione di un nuovo governo palestinese. Sulla difficile situazione della Terra Santa si è soffermato questa mattina il cardinale Carlo Maria Martini durante la concelebrazione al Santo Sepolcro insieme ai vescovi italiani giunti a Gerusalemme. “Abbiamo presenti i dolori e le sofferenze di questa Terra”, ha affermato il cardinale aggiungendo che “nel luogo dove si ricorda il trionfo della vita sulla morte, la Chiesa è chiamata a testimoniare il Vangelo con la stessa delicatezza di Cristo”. Riferendosi al rischio di incomprensioni e difficoltà di dialogo tra religioni, il cardinale ha poi ricordato l’importanza di chiedere a Dio “l’apertura di cuore per spiegare la scrittura ed ha invitato a pregare per il Papa che offre una grande testimonianza di fede e coraggio”. La delegazione dei vescovi, guidata dal segretario generale della Cei, mon. Giuseppe Betori, ha quindi visitato il nido d’infanzia della Sacra Famiglia di Betlemme, il cui funzionamento è intermente assicurato dalla carità e dalle offerte provenienti dalle varie Chiese, tra cui quella italiana.

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“NELLE REGIONI MERIDIONALI DEL SUDAN L’IMPOVERIMENTO DELLE SCORTE

ALIMENTARI E UN LUNGO PERIODO DI SICCITÀ HANNO RESO ANCORA PIÙ CRITICA L’EMERGENZA FAME”. QUESTO L’ALLARME LANCIATO

DALL’ORGANIZZAZIONE UMANITARIA MEDICI SENZA FRONTIERE

 

KHARTOUM. = “La denutrizione in alcune zone della regione meridionale del Sudan ha raggiunto livelli allarmanti”. Lo sostiene l'organizzazione umanitaria Medici senza frontiere (Msf) che, in una nota diffusa in serata, ha chiesto al Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam) di non interrompere la distribuzione di cibo, iniziata ai primi di marzo. Nelle due contee di Aweil e Tonji, particolarmente colpite dalla scarsità di cibo, un lungo periodo di siccità sta aggravando ulteriormente una situazione nutrizionale già difficile a causa della scarsità dei raccolti. “Lo scenario - si legge nella nota di Msf  - è particolarmente allarmante perché l’impoverimento delle scorte alimentari si sta verificando prima del previsto e i prossimi raccolti non saranno disponibili prima di settembre”. Proprio per fronteggiare l'emergenza fame, l'organizzazione umanitaria ha aperto un “Centro nutrizionale supplementare” ad Akuem, una città nell’est della contea di Aweil. Negli ultimi 15 giorni, il numero dei civili in cerca di cibo, tra cui moltissimi bambini, continua a crescere al punto che Msf ha fatto sapere di voler aprire al più presto altri due centri. Un’indagine sulla situazione nutrizionale condotta lo scorso gennaio confermava le preoccupanti condizioni alimentari della popolazione di questa area del Paese. “Lo scenario – ha detto Philippe Risiero, capo-missione di Msf in Sud del Paese - potrebbe peggiorare ancora se non si organiz-zeranno in fretta distribuzioni di cibo”. (A.L.)

 

 

CRESCE IN INDONESIA LA TRATTA DI DONNE E BAMBINI. IL VESCOVO AUGUSTINUS AGUS DI SINTANG, UNA DELLE DIOCESI PIU’ COLPITE, HA CHIESTO AL GOVERNO

UN DECISO IMPEGNO PER CONTRASTARE QUESTO TURPE COMMERCIO

 

SINTANG. = La Chiesa cattolica in Indonesia torna a ribadire la sua opposizione all’orribile tratta di donne e bambini che si svolge nel Paese asiatico. Il vescovo di Sintang, mons. Agustinus Agus, ha recentemente chiesto al governo un deciso impegno per eliminare questo turpe traffico. Secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa Ucanews, mons. Agus, prendendo spunto da un rapporto locale sulla criminalità, ha affermato che il traffico di essere umani è in aumento sia nella sua diocesi che nelle vicine diocesi di Pontianak e di Sanggau. Il presule ha spiegato che i malviventi ricorrono ad uno stratagemma per avere a disposizione i bambini. Nei villaggi della diocesi, donne in stato di gravidanza vengono reclutate per lavorare in altre città dello Stato. Allontanate così dalla loro comunità d’origine, fanno poi ritorno dopo alcuni mesi ai loro villaggi non più incinta, ma senza i loro figli. Secondo alcune stime locali, i bambini sono acquistati per la maggioranza da coppie senza figli per una somma di circa 900 dollari. (M.A.)

 

 

LA MUSICA CONTRO LA FAME. QUESTO L’OBIETTIVO DEL CONCERTO,

IN PROGRAMMA IL PROSSIMO 25 MAGGIO AD ADDIS ABEBA, ORGANIZZATO DALL’ETIOPIA PER RACCOGLIERE FONDI DA DESTINARE ALLA LOTTA ALL’INEDIA

 

ADDIS ABEBA. = L’Etiopia sta organizzando un concerto per raccogliere fondi da destinare agli 11 milioni di etiopi che, a causa delle carestie di questi mesi, soffrono la fame. Programmata per il 25 maggio nella capitale Addis Abeba, la manifestazione musicale si richiama al celebre “Live-Aid”, il concerto che si tenne a Londra e a Philadelphia il 13 luglio 1985. In quell’occasione furono raccolti 100 milioni di dollari per le vittime della spaventosa carestia etiope del 1984 responsabile della morte di un milione di persone. In realtà la manifestazione ha già un nome: “A Birr for a Compatriot”. Con questo slogan gli organizzatori del festival musicale invitano così tutti gli etiopi ad acquistare il biglietto del concerto al prezzo di un birr, che equivale a circa 10 centesimi di dollaro. “Stiamo cercando di sensibilizzare i cittadini affinché si responsabilizzino nella lotta alla povertà” ha detto Selome Tadesse, coordinatrice della campagna ed ex portavoce del governo di Addis Abeba. Tra gli artisti contattati per partecipare all’evento spicca Sade, la cantante britannica di origini nigeriane che ha inciso numerose canzoni sul tema della fame nel mondo. (A.L.)

 

 

“IN ASCOLTO DI CATERINA. PER UN’EUROPA CRISTIANA”.

QUESTO IL TITOLO DEL SIMPOSIO SU SANTA CATERINA DA SIENA

CHE SI TERRÀ IL 26 ED IL 27 APRILE ALL’ANEGELICUM

 

ROMA. = “In ascolto di Caterina. Per un’Europa cristiana”. E’ questo lo slogan del simposio, promosso a Roma dalla famiglia domenicana europea, su Santa Caterina da Siena. Frati, monache, suore e laici domenicani provenienti da molti Paesi europei si ritroveranno il 26 ed il 27 aprile all’Angelicum, la Pontificia Università di San Tommaso d’Aquino. Rifletteranno sulla rilevanza del messaggio della Santa per tutti coloro che lavorano oggi alla costruzione di una nuova Europa. "Santa Caterina, oggi, come nel suo tempo, con la sua ricchezza umana, civile e cristiana – afferma suor Margaret Ormond, coordinatrice delle Suore domenicane nel mondo (Dsi) - si pone al nostro servizio tramite la chiarezza della sua dottrina e tramite la santità della sua vita e la sua domenicana passione per la verità”. Una profonda conoscenza di questa giovane laica domenicana senese – ha aggiunto la suora - ci aiuterà a capire come possiamo costruire una società migliore, in una nuova Europa”. Le relazioni del Simposio saranno tenute da quattro suore domenicane, attente studiose di Santa Caterina: Maria Elena Ascoli,  Mary O'Driscoll, Lucia Caram e Chantal Van Der Planche. L’incontro sarà arricchito anche dal contributo del maestro generale dell'Ordine domenicano, padre Carlos Azpiroz Costa. Il 29 aprile, festa liturgica di Santa Caterina da Siena, il cardinale Jose Saraiva Martins, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, presiederà la solenne Celebrazione eucaristica in Santa Maria Sopra Minerva. (A.M. – A.L.)

 

 

RITIRATO DALL’UFFICIO SVIZZERO PER LA SALUTE PUBBLICA UNO DEI MANIFESTI

DELLA CAMPAGNA “STOP AIDS 2003”, GIUDICATO DAI VESCOVI OLTRAGGIOSO

VERSO LA RELIGIONE. LA DECISIONE E’ ARRIVATA

DOPO LE PROTESTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL PAESE

 

BERNA. = Dopo le proteste dei vescovi svizzeri l’ufficio federale per la salute pubblica ha deciso di ritirare uno dei manifesti proposti nell’ambito della Campagna “Stop Aids 2003” lanciata durante la Settimana Santa. In un comunicato del 16 aprile i vescovi svizzeri si dichiaravano infatti “indignati” per l’utilizzo nella campagna pubblicitaria di slogan come “Proteggi il tuo prossimo come te stesso… utilizza un preservativo”. La Conferenza episcopale svizzera ribadendo che la lotta all’Aids è estremamente importante e va perseguita con campagne efficaci aveva contestato “l’uso della religione in maniera derisoria”. La Conferenza episcopale svizzera aveva quindi chiesto ufficialmente il ritiro della pubblicità raccomandando “che in avvenire campagne di questo tipo si dovranno realizzare nell'intesa piuttosto che nel non rispetto dell'altro". (A.L.)

 

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24 ORE NEL MONDO

24 aprile 2003

 

- A cura di Paolo Ondarza e Stefano Cavallo -

 

L'amministratore civile americano a Baghdad, il generale in pensione Jay Garner, ha espresso oggi la speranza di poter assicurare il funzionamento di alcuni ministeri iracheni a partire dalla prossima settimana.  Intanto il segretario di Stato americano Powell ed il ministro degli Esteri francese, De Villepin, si sono trovati d’accordo nel sospendere le sanzioni all’Iraq. Qualche dissidio rimane, invece, sul ruolo dell’Onu. Per il ministro della Difesa britannico, Hoon, l’incarico delle ispezioni potrebbe essere affidato ad un Paese neutrale, anziché al Palazzo di Vetro. Proprio stamani il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha espresso l’auspicio che “la coalizione angloamericana sappia assumersi le proprie responsa-bilità rispettando la legislazione umanitaria internazionale”.

 

Ed il ministro degli Esteri iraniano Kharrazi ha respinto le accuse americane sulle presunte interferenze di Teheran tra la popolazione sciita irachena, coinvolta negli ultimi giorni nel pellegrinaggio alla città santa di Karbala. Oltre 3 mila i partecipanti ad un evento connotatosi di una duplice valenza: religiosa e politica. Sul significato delle celebrazioni appena concluse, Giancarlo La Vella ha sentito Younis Tawfik, giornalista e scrittore iracheno sunnita:

 

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R. – Questa manifestazione è diventata una manifestazione politica, in quanto ci sono forze esterne che spingono la componente sciita ad utilizzare questa occasione per lanciare dei messaggi chiari agli americani, perché tengano conto della loro presenza e non li trattino come li ha trattati Saddam Hussein.

 

D. – Il comportamento degli sciiti è spiegabile più per un atteggiamento antiame-ricano o per un reale desiderio da parte degli sciiti, dopo anni di oppressione di prendere il potere in Iraq?

 

R. – E’ proprio quest’ultimo aspetto, il messaggio che gli sciiti desiderano lancia-re: vogliono tentare di esprimere tutta la loro soddisfazione per la riuscita della rivoluzione da loro portata avanti per lunghissimi anni. Nel contempo c’è anche un chiaro messaggio rivolto agli angloamericani:  “dovete tener conto della nostra presenza”.

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Il primo ministro britannico Tony Blair si recherà per una breve visita a Mosca, martedì 29 aprile quando discuterà con il presidente russo Vladimir Putin. Lo ha comunicato oggi l'ufficio stampa del Cremlino. Si tratterà di un incontro di poche ore, primo faccia a faccia tra i due leader dopo la guerra in Iraq.

 

Ma gli occhi della stampa internazionale sono oggi concentrati soprattutto sul sanguinoso attentato suicida palestinese avvenuto questa mattina vicino Tel Aviv, che ha provocato due morti. Il cruento episodio si verifica ad un solo giorno dal raggiungimento dell’accordo tra Abu Mazen e Yasser Arafat per la formazione del nuovo governo palestinese. Linea a Graziano Motta.

 

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Ha detto il ministro degli esteri israeliano Silvan Shalom all’inviato russo in Medio Oriente, che questo governo dovrà impegnarsi con tutte le sue forze nella lotta al terrorismo perché non è possibile intrattenere un negoziato mentre continuano attentati. La responsabilità di quello odierno è stata subito rivendicata dalle brigate dei martiri di Al Aqsa, braccio armato di Al Fatah, cioè del partito di Yasser Arafat. Il suo autore diciottenne, quando ha cercato di entrare nella stazione ferroviaria di Kfar Saba, cittadina nei pressi di Tel Aviv, ha insospettito due guardie giurate che gli hanno chiesto la carta d’identità. Come risposta il giovane ha azionato la carica esplosiva che portava addosso, dandosi la morte, uccidendo una guardia e ferendo l’altra e ancora 12 persone. Altre reazioni israeliane all’attentato sono collegate al compromesso sulla formazione del governo palestinese che chiede che Mahmud Abbas prenda le distanze da Arafat, che ha fatto di tutto per esautorarlo di ogni potere. Ci sono state oggi altre violenze nei territori. In un villaggio presso Ramallah sono stati uccisi 2 palestinesi che lanciavano pietre e bottiglie incendiarie contro soldati israeliani.

 

Per Radio Vaticana, Graziano Motta.

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“Gli Stati Uniti pongano fine alla loro ‘politica ostile’ nei confronti della Corea del Nord”: lo ha chiesto il governo di Pyongyang a Pechino dove sono in corso, per il secondo giorno, i colloqui tra Corea del Nord e Stati Uniti per cercare di risolvere la crisi sul nucleare nordcoreano. Secondo l'agenzia di stampa cinese ''Xinhua'' il ministro degli Esteri cinese, Li Zhaoxing ed il segretario di Stato americano Colin Powell, parlando al telefono, hanno definito concordemente i primi due giorni di colloqui “positivi”.

 

E i delegati nordcoreani partecipanti al negoziato tripartito di Pechino saranno messi in quarantena nel tentativo di scongiurare qualunque contagio di  polmonite atipica. Lo ha detto a Tokyo una fonte vicina alla Corea del nord. La Sars ha fatto registrare oggi ad Hong Kong altre 4 vittime e 30 nuovi contagi. Ma la preoccupazione coinvolge anche il resto del mondo. Chiaretta Zucconi. 

 

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Ieri sono stati segnalati casi di contagio anche nelle province setten-trionali di Jilin e Ylihahonin e nello Je Jang sulla costa orientale, ma Pechi-no è con il fiato sospeso, soprattutto per le immense sottosviluppate zone rurali, dove vive il 70 per cento dell’intera popolazione cinese ed 1 miliardo e 300 milioni di persone e dove, hanno ammesso le stesse autorità locali, il sistema di assistenza sanitario è molto carente e fa acqua da tutte le parti. L’Organizzazione mondiale della sanità ha apprezzato la decisione del governo cinese di fare finalmente chiarezza sui dati della diffusione epidemica e di aver annullato la settimana di vacanza dal primo all’8 maggio. La paura del contagio ha già provocato visibili cambiamenti nella vita quotidiana della capitale dove centri commerciali e ristoranti appaiono insolitamente poco affollati. Letteralmente prese d’assalto, invece, le farmacie di Pechino, davanti le quali da giorni, centinaia di cinesi continuano a fare la fila per comprare uno sciroppo a base di erbe che si dice aiuti a prevenire il contagio.

                                            

Per Radio Vaticana, Chiaretta Zucconi.

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Amnistia per il generale centrafricano François Bozizé, precedentemente condannato per il tentativo di colpo di Stato del 28 maggio 2OO1 dall’ex presidente André Kolingba, ora in esilio. Nel 2002 sono state circa venti le pene di morte pronunciate, nel corso di un processo lampo in cui sono state giudicate, nella maggioranza dei casi in contumacia, più di 600 persone - civili ma soprattutto militari - sospettati di essere implicati nel tentativo di golpe.

 

Per il secondo giorno consecutivo, centinaia di turcociprioti e grecociprioti si sono messi pazientemente in fila con le loro auto al check point del Ledra Pa-lace, a Nicosia, per attraversare nei due sensi la frontiera che sino a ieri, da quasi 30 anni, divideva ermeticamente le due comunità. Il servizio di Cesare Rizzoli:

 

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Vent’anni fa la minoranza turca si era rifugiata a nord, dove, con il sostegno dell’esercito turco, ancora oggi presente, proclamava uno Stato autonomo per sfuggire ad un fallito colpo di Stato di nazionalisti greco-ciprioti al centro e al sud. Per il governo cipriota la libertà limitata di movimento concessa ieri ai turco-ciprioti, costituisce tuttavia solo una mossa tattica per deviare la tensione internazionale davanti ai recenti fallimenti politici. Il leader turco-cipriota, Raf Tentash, aveva rigettato le settimane scorse un piano di pace dell’Onu che contemplava per Cipro una Confederazione sul tipo della Svizzera, con due Stati autonomi ed istituzioni di governo in comune. Invece, soltanto la Repubblica cipriota della maggioranza greco-cipriota, ha potuto aderire la settimana scorsa ad Atene all’Unione Europea lasciando fuori per il momento la minoranza turco-cipriota.

 

Per Radio Vaticana, Cesare Rizzoli.

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Con il passaggio all’euro i deficit pubblici dei Paesi dell'area della moneta unica dovrebbero in media risultare nel 2003 al 3,5% del prodotto lordo, quindi in ''forte deterioramento”. E’ quanto emerso dalle “Prospettive economiche” dell’Organizzazione dei paesi industrializzati, rese note oggi. Il passaggio all’euro ha influito in particolare sull’inflazione italiana, con un aumento dei prezzi più alto rispetto alla media degli altri paesi dell’Unione europea.

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