RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 110 - Testo della
Trasmissione di domenica 20 aprile 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Il governo cinese ha dichiarato che sono 1.807 i casi di polmonite
atipica registrati nel Paese.
L’epidemia di meningite ha provocato in Burkina Faso
quasi mille morti
20 aprile 2003
SIA
“PACE SULLA TERRA” OSCURATA DA VIOLENZE E CONFLITTI. VENGA PER TUTTI
LA
PACE DEL RISORTO. E’ L’ARDENTE INVOCAZIONE DEL PAPA NEL MESSAGGIO “URBI ET
ORBI” DOPO LA MESSA DI PASQUA IN PIAZZA SAN PIETRO, GREMITA DI FEDELI
- A cura di Paolo Salvo -
“Cristo è risorto, è veramente risorto!”. Il festoso
annuncio pasquale, fondamento della fede cristiana e della speranza per
l’umanità, è risuonato insieme al profondo anelito di pace che attraversa il
mondo di oggi, dall’Iraq a tante altre regioni del pianeta oscurate da violenze
e conflitti, nel Messaggio Urbi et Orbi
che Giovanni Paolo II ha pronunciato verso mezzogiorno in Piazza San Pietro,
davanti a circa 100 mila persone sotto la pioggia e seguito in Mondovisione da
una ben più vasta moltitudine attraverso 79 enti televisivi di 53 Paesi. A
sottolineare la solennità del momento, come è tradizione, gli onori militari
resi da una formazione della Guardia Svizzera Pontificia e da un battaglione di
rappresentanza delle Forze Armate Italiane.
E’ la pace del Risorto, in un mondo insidiato dalla
violenza e dall’odio, quella che il Papa ha proclamato con vigore, al termine
della Messa di Pasqua sul sagrato della Basilica Vaticana, trasformato anche
quest’anno in un grande giardino primaverile con migliaia di fiori e arbusti
olandesi. “Pace a voi!”. Il primo saluto del Risorto ai discepoli è lo stesso
che il Risorto “quest’oggi ripete al mondo intero”, “annuncio consolante – ha
detto il Santo Padre - per chi è oppresso sotto il peso del peccato e delle sue
molteplici strutture!”.
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Per tutti, specialmente
per i piccoli e i poveri, proclamiamo oggi la speranza della pace, della pace
vera, fondata sui solidi pilastri dell’amore e della giustizia, della verità e
della libertà.
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E’ “la via della pace” indicata al mondo quarant’anni fa
da Giovanni XXIII nella storica enciclica Pacem
in terris, con “parole quanto mai attuali all’alba del terzo millennio,
tristemente oscurata da violenze e conflitti”. Il pensiero del Papa è quindi
andato all’Iraq, bisognoso di ricostruzione, e alle altre zone di conflitto,
dalla Terra Santa al resto del pianeta.
**********
Pace in Iraq! Con il sostegno della Comunità
internazionale, gli iracheni diventino protagonisti d’una solidale
ricostruzione del loro Paese. Pace nelle altre regioni del mondo, dove guerre
dimenticate e conflitti striscianti provocano morti e feriti tra il silenzio e
l’oblio di non poca parte della pubblica opinione. Con profonda pena penso alla
scia di violenza e di sangue che non accenna a finire in Terra Santa.
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“Penso – ha aggiunto – alla tragica situazione di non pochi Paesi del
Continente africano, che non può essere abbandonato a se stesso”. A lui “ben
presenti”, inoltre, “i focolai di tensione e gli attentati alla libertà
dell’uomo” nel Caucaso, in Asia ed in America Latina, regioni del mondo che gli
sono “ugualmente care”.
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Si spezzi la catena dell’odio, che minaccia l’ordinato
sviluppo della famiglia umana. Ci conceda Iddio di essere liberati dal pericolo
d’un drammatico scontro tra le culture e le religioni.
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“La fede e l’amore di Dio – è l’auspicio del Papa –
rendano i credenti di ogni religione artefici coraggiosi di comprensione e di
perdono, pazienti tessitori di un proficuo dialogo interreligioso, che inauguri
un’era nuova di giustizia e di pace”. E “per quanto buio possa apparire l’orizzonte dell’umanità”, Cristo “ripete
agli uomini del nostro tempo” l’invito al coraggio, “come agli apostoli sul
lago in tempesta”.
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Se un vento contrario ostacola il cammino dei popoli, se
si fa burrascoso il mare della storia, nessuno ceda allo sgomento e alla
sfiducia!
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“Coraggio, sono io, non temete!” E’ questo il rinnovato
invito di Cristo risorto, “divina presenza d’amore”, “nostra pace e nostra
speranza”. Il Papa ha quindi impartito la solenne Benedizione Urbi et Orbi, a Roma e al Mondo, con
l’annessa indulgenza plenaria, e ha espresso l’augurio di Buona Pasqua in 62
lingue di tutti i continenti, tra cui l’arabo, il mongolo e il cinese. In
italiano, perché la luce sfolgorante di Cristo risorto “giunga specialmente
laddove c’è gente che soffre”, “consolidi l’unione e la concordia della
comunità nazionale”.
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Canto d’ingresso: Surrexit Dominus vere, alleluia.
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Il primo saluto del Risorto, “Pace a voi”, Giovanni Paolo
II lo ha pronunciato già all’inizio della Messa di Pasqua, quando ha venerato,
come è tradizione, l’antica icona del Salvatore chiamata acheropìta, cioè non dipinta da mano d’uomo, portata probabilmente dall’Oriente
e custodita a Roma nel Santuario della Scala Santa. Nella Preghiera dei fedeli,
di drammatica attualità un’invocazione “per le persone ferite e oltraggiate dalla guerra nello
spirito e nel corpo, per i soldati di tutti i fronti”, perché nutrino “pensieri
di pace e non di vendetta, di
ricostruzione e di vita”.
UNA
VEGLIA GIOIOSA E SUGGESTIVA QUELLA CHE IERI SERA HA PRESIEDUTO
GIOVANNI PAOLO II IN SAN PIETRO. GREMITA DI
FEDELI LA BASILICA VATICANA
DOVE SETTE CATECUMENI SONO STATI BATTEZZATI
DAL PAPA.
NELLA SUA OMELIA IL SANTO PADRE HA VOLUTO
SOTTOLINEARE IL SENSO DELLA
RESURREZIONE DI CRISTO, EVENTO CHE HA
CAMBIATO LA STORIA
DELL’UOMO
CUI DIO HA DONATO UNA NUOVA VITA
-
Servizio di Tiziana Campisi -
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(musica)
“‘E’
risorto, non è qui’. Questa sconvolgente notizia, destinata a cambiare le sorti
della storia, continua da allora ad echeggiare di generazione in generazione:
annuncio antico e sempre nuovo. E' risuonata ancora una volta durante questa
Veglia pasquale, madre di tutte le veglie, e si sta diffondendo in queste ore
per tutta la Terra”.
Nella notte in cui Cristo ha vinto le tenebre del peccato
con la Risurrezione, la madre di tutte le veglie, come l’ha definita
Sant’Agostino, Giovanni Paolo II ha voluto far riflettere i fedeli sul mistero
della Redenzione. Il Santo Padre, che ieri sera, nella Basilica Vaticana, ha
presieduto la veglia pasquale concelebrando con 24 cardinali, ha sottolineato
il senso che nella storia ha la notte di Risurrezione.
“In questa Notte Santa è nato un
popolo nuovo con il quale Iddio ha suggellato un'eterna alleanza nel sangue del
Verbo incarnato, crocifisso e risorto”.
La solenne celebrazione ha avuto inizio con il rito del
lucernario, la benedizione del fuoco con il quale è stato acceso il cero
pasquale e cui è seguita la liturgia della parola che ha ripercorso le tappe
della Rivelazione narrate nella Sacra Scrittura. Al termine della Liturgia
della Parola l’Exsultet, l’annunzio della Pasqua, poetico e gioioso rendimento
di grazie per la gloriosa Risurrezione di Cristo.
(Canto
dell’Exsultet)
Nella sua omelia il Papa si è rivolto anche ai sette
catecumeni provenienti dall’Africa, dagli Stati Uniti, di nazionalità italiana
e nipponica che ha battezzato e confermato nelle fede con l’unzione del crisma
e ha poi ammesso al sacramento dell’Eucaristia. A loro ha voluto ricordare le
parole di San Paolo nell’Epistola ai Romani.
"Per mezzo del battesimo
siamo stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu
risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo
camminare in una vita nuova".
Gremita la basilica di San Pietro nelle cui navate, alla
fine della solenne celebrazione, si è levato il canto del Regina Coeli.
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20 aprile 2003
DIO CI
CONCEDA TEMPI MIGLIORI, LIBERI DALL’ODIO E PIENI DI PACE:
COSI’
IL PATRIARCA LATINO DI GERUSALEMME, MICHEL SABBAH,
NELLA
MESSA DI PASQUA DAVANTI ALL’EDICOLA DEL “SEPOLCRO VUOTO”
- Servizio di Graziano Motta -
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Festa della Risurrezione nella
Basilica eretta, laddove essa avvenne all’alba di una domenica di oltre 2 mila
anni fa, e che quest’anno è Domenica delle Palme per i fratelli ortodossi.
Così, mentre il patriarca latino Michel Sabbah celebrava stamattina la Messa
solenne davanti all’edicola che custodisce il Sepolcro vuoto di Gesù, e poi
guidava attorno ad essa la triplice processione caratterizzata dalla
proclamazione dei Vangeli, nella stessa Rotonda dell’Anastasi erano pure dei
fedeli con rami di palme e di ulivo, in attesa di unirsi ad un’altra
processione con i patriarchi e vescovi dei riti orientali. Gerusalemme
affollata anche di tanti ebrei venuti da ogni parte di Israele, perché
richiamati dalla tradizionale benedizione
pasquale dei Cohanim, dinanzi al muro occidentale dell’antico tempio.
“Chiedo a Dio di concederci tempi migliori” - ha detto
nell’omelia il patriarca Sabbah - “tempi liberi dal sangue e dall’odio, pieni
di giustizia e di pace e di sicurezza, tempi nei quali tutti insieme in questa
Terra Santa comunichiamo nella medesima visione di Dio, che ricolma i nostri
cuori di amore e di perdono”. Riflettendo sul messaggio della festa nella sua
significazione profonda il patriarca si è soffermato sulla rivelazione che Dio
è amore e ci insegna nello stesso tempo che la legge fondamentale della
perfezione umana, e dunque la trasformazione del mondo, è il comandamento nuovo
della carità.
“La strada
dell’amore “ – ha detto – “è aperta a tutti. E noi dobbiamo percorrerla per
purificare e raddrizzare i nostri percorsi. Se siamo privi della nostra
libertà, la causa sta innanzitutto in noi stessi”. Infine, ha rivolto ai
governanti dei due popoli un messaggio e un augurio perché pratichino la
giustizia e ricerchino le vie della pace, e a quelli israeliani in particolare
perché mettano fine all’oppressione, alla servitù e all’insicurezza del popolo.
“Il terrorismo sparirà” - ha detto - “con la sparizione della servitù”.
Per Radio Vaticana, Graziano Motta.
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AD UN
MESE DALL’INIZIO DELLA GUERRA PRIMI SEGNI DI RINASCITA IN IRAQ:
LA
PASQUA E’ STATA CELEBRATA DA CRISTIANI AFFLUITI NUMEROSI NELLE CHIESE.
CIRCA UN MILIONE DI SCIITI PARTECIPERANNO
INOLTRE AD UN PELLEGRINAGGIO SEMPRE VIETATO DA SADDAM
-
Servizio di Paolo Ondarza -
I
cristiani iracheni hanno affollato oggi
le chiese per celebrare la prima Pasqua dalla
caduta del regime di Saddam Hussein. Intanto prosegue la marcia di circa
un milione di pellegrini sciiti verso
la città santa di Karbala, dove nei
prossimi giorni terranno il loro primo grande raduno dal 1977. Tra una
settimana poi, riferisce l’agenzia di stampa France Presse, l'aeroporto
internazionale di Baghdad ritornerà in
attività, ma solo per consentire agli aiuti umanitari di giungere a destinazione.
Ieri
intanto, accolti da migliaia di persone, come veri e propri eroi, in uno
sventolare festoso di bandiere americane, hanno fatto ritorno negli Stati Uniti
i sette ex prigionieri di guerra Usa in Iraq. E’ iniziato anche il rientro dei marine
a dimostrazione che la vittoria militare anglo-americana è ormai cosa certa. Ma
quali le conseguenze di questo epilogo del conflitto bellico in Iraq? Davide
Martini lo ha chiesto ad Ernesto Galli della Loggia, editorialista del Corriere
della Sera.
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Credo che la vittoria militare anglosassone potrebbe anche
comportare, al di fuori di ogni previsione, una grande ondata di odio
antioccidentale, di sommovimento politico. Il contemporaneo disfacimento
dell’impopolare regime di Saddam Hussein potrebbe stimolare una riflessione,
una sorta di autocritica del mondo arabo. Di autocoscienza delle proprie
peculiarità politiche, ed anche culturali. Processo che potrebbe avere esiti
positivi. E’ difficile dire oggi quale sarà il futuro...vedo molta incertezza.
Sarebbe sbagliato leggerlo esclusivamente in senso negativo. Potrebbero esserci
degli sviluppi positivi su vasta scala conseguenti alla vittoria americana a
cominciare dalla risoluzione dello scontro israelo-palestinese.
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Il
cancelliere tedesco Gerhard Schroeder si è dichiarato profondamente dispiaciuto
per ''le critiche eccessive'' all'atteggiamento degli Stati Uniti nella crisi
irachena. E’ quanto emerge nelle dichiarazioni da lui rilasciate al settimanale
''Der Spiegel''. Intanto si fanno sentire gli effetti del boicottaggio dei prodotti
francesi negli Stati Uniti, come conseguenza della posizione adottata dalle
autorità di Parigi sulla guerra in Iraq. Gli importatori di vino francese
registrano cali nelle vendite degli ultimi due mesi. Come spiega Pierantonio
Lacqua, corrispondente dell’Ansa da Parigi, al microfono di Fausta Speranza.
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R. – I segni concreti già si vedono per quanto riguarda la
vendita di vini, di formaggi e di altri prodotti del made in France
negli Stati Uniti, però ovviamente qui l’allarme e l’attenzione è soprattutto
su cosa potrà decidere l’amministrazione Bush, per esempio estromettere il
gruppo petrolifero Total-Fina che è il più grosso gruppo petrolifero che è
quotato alla Borsa di Parigi, dalla ricostruzione dell’Iraq e quindi dai
contratti anche per il petrolio. Vorrebbe dire anche allentare i rapporti tra
Francia e Stati Uniti a livello anche di cooperazione militare, quindi non è
soltanto in gioco qualche bottiglia in più di vino, ma anche grossi accordi che
coinvolgono i due Stati. Ovviamente bisognerà vedere se nell’amministrazione
Bush prevale la linea Ramsfeld oppure quella di Colin Powel che vorrebbe, tutto
sommato, mettere una pietra sopra.
D. – Perché secondo lei viene assolta in qualche modo la
Germania che stava a fianco della Francia al no alla guerra?
R. – La Francia ha preso una posizione senz’altro molto
più aggressiva perché ad un certo punto ha anche minacciato l’uso del veto,
quindi la Francia ha un peso specifico a livello di Onu molto superiore a
quello della Germania. Quando gli Stati Uniti cercavano i voti all’Onu per far
passare anche il nullaosta alla guerra, la Francia adirittura ha fatto campagna
contro in modo estremamente attivo. Poi oviamente, sullo sfondo, c’è che
storicamente la Francia con Shirac, che ricordiamo è un gollista, ha sempre
cercato anche di vedere l’integrazione europea, la costruzione dell’Europa come
un’opportunità per costruire un polo in un certo modo distinto e alternativo
agli Stati Uniti.
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Nella serata di ieri quattro soldati americani e un
bambino iracheno sono rimasti feriti a causa dello scoppio di un proiettile
inesploso a Baghdad. Ed oltre al pericolo mine, la capitale irachena vive ore
drammatiche a causa dell’emergenza umanitaria. Proprio poche ore fa è giunto a
destinazione un primo convoglio di
aiuti alimentari delle Nazioni Unite in viaggio da quattro giorni dalla
Giordania. Ma la situazione più difficile rimane quella negli ospedali, in cui
si lavora in condizioni precarie. Gli aiuti stanno arrivando anche grazie ad
alcune Ong italiane presenti nella città. Gino Strada, fondatore di Emergency,
denuncia le grosse difficoltà in cui si
trova la popolazione civile, al microfono di Benedetta Capelli.
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R. - E’ una città devastata, la capitale di un Paese che ha le più grandi
riserve di petrolio al mondo e nella quale non c’è diesel per far funzionare i
generatori delle sale operatorie perché gli ospedali possano lavorare. La
popolazione è spaventata, e soprattutto sta soffrendo molto. Pochissimi negozi
sono aperti, quindi anche trovare cibo non è facile. Sono arrivate qui a
Baghdad tre autocisterne, provenienti dal Kusdistan, con 45mila litri di
gasolio per far funzione i generatori del più grande ospedale di Baghdad. E’
incredibile che in una città come questa i feriti debbano starsene a morire
nelle moschee perché nessuno può operarli.
D. – Si parla di un pericolo di mine...
R. – E’ pieno anche di cluster-bombs che stanno
facendo a pezzi famiglie e bambini.
D. – Lei di guerre ne ha viste tante. Questa ha qualcosa
di diverso dalle altre?
R. – Secondo me questa ha una caratteristica di particolare crudeltà.
L’unica cosa che le truppe di occupazione hanno protetto in questa città è
stato il ministero del petrolio. Per il resto: fabbriche, ospedali, scuole
nessuna protezione per la popolazione civile. Credo che l’informazione sia
parte della guerra, è un’arma, e sta facendo il suo gioco: il gioco di far
credere che Baghdad sia una città festante, liberata. La realtà è che la
popolazione sta soffrendo oggi in un modo veramente drammatico.
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E se
nelle maggiori città irachene è ancora grave l’emergenza umanitaria, nel
Kurdistan la maggior preoccupazione è per il rinvenimento delle fosse comuni.
L’ultima è stata trovata ieri nel nord dell'Iraq non distante dalla città di Ebril e
testimonia l'eccidio di 32 persone avvenuto ad opera delle forze di
Saddam Hussein nel 1991. Ma quali gli effetti del conflitto iracheno
nel Kurdistan? Ci risponde Giuseppe Renda,delegato della Croce Rossa
internazionale, raggiunto telefonicamente ad Ebril.
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R. - Dei tre governatorati sotto il controllo curdo a
questo punto si può dire che per fortuna gli effetti del conflitto si sono
fatti sentire in maniera molto lieve. Rimane un’incertezza riguardo al futuro
del Kurdistan ed al ruolo che i curdi avranno nel futuro Iraq.
D. – Ci sono profughi?
R. – Nel Kurdistan iracheno no, erano poche le famiglie
particolarmente vulnerabili da noi
assistite: circa 3mila persone, nelle tre settimane passate. E’ chiaro che ci
sono da 30 anni dei profughi in Iraq, anche nel Kurdistan iracheno si parla di
600-800 mila persone che negli anni passati si sono dovute comunque spostare.
Per è bene distinguere: se parliamo di quest’ultimo conflitto non ci sono state
ondate di profughi. I principali
problemi riguiardano l’acqua e l’elettricità, elementi di cui grazie al cielo
dispongono in maniera sufficiente gli ospedali. Non parlerei quindi di
emergenza.
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E
concludiamo con la notizia dei primi risultati positivi della caccia ai tesori
trafugati da vari musei di Baghdad nel corso dei saccheggi seguiti all'arrivo
delle forze americane e al crollo del regime di Saddam Hussein. La polizia di
frontiera giordana ha già rinvenuto 42 quadri sottratti dal Museo Nazionale di
Baghdad: si tratta del primo ritrovamento dopo l'allarme internazionale fatto
scattare dall'Interpol. Alcune opere d’arte sono state reperite nella valigia
di un non meglio identificato giornalista arabo.
“I
DIECI COMANDAMENTI” IN UN MUSICAL COLOSSALE
AL GRAN
TEATRO DI ROMA
-
Intervista con Giancarlo Golzi -
Un musical per raccontare la storia di Mosè e l’epopea del
popolo ebraico fino alla consegna delle Tavole della Legge. Si tratta del
kolossal musicale “I Dieci Comandamenti”, che ha debuttato ieri sera al Gran
Teatro di Roma e dove resterà fino all’8 giugno prossimo. Ideato nel 2000 in
Francia da Pascal Obispo e diretto da Elie Chouraqui, “I Dieci Comandamenti”
arriva in Italia grazie alla “New Theatre” di Guido e Maurizio De Angelis e si
avvale della traduzione e della direzione artistica di Giancarlo Golzi. Il
musical, che alterna quadri corali e travolgenti con momenti di struggente
poesia, si avvale di un nutrito gruppo di
ballerini-acrobati e di 8 giovani cantanti protagonisti. Tra questi,
Massimo Moschetto nel ruolo di Mosè, Barbara Eramo nel ruolo di Sephora, ed
Irene Fornaciari nel ruolo di Miryam. Al musical è abbinata anche una campagna
di solidarietà a favore di Emergency, a cui sarà devoluto parte del ricavato
della vendita di ogni biglietto. Il servizio è di Maria Di Maggio.
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(musica)
La storia di Mosè e l’esodo
del popolo ebraico verso la Terra Promessa, dalla fuga dall’Egitto fino alla
consegna delle Tavole della Legge, rivivono nel musical “I Dieci Comandamenti”,
uno spettacolo corale ed intenso, dal forte impatto visivo e dal profondo
significato etico e spirituale. Attraverso una commistione tra generi musicali
diversi ed un linguaggio multimediale, “I Dieci Comandamenti” vuole essere un
inno alla pace ed al dialogo interreligioso, come racconta ai nostri microfoni
Giancarlo Golzi, direttore artistico della versione italiana del musical.
R. – Le tematiche di questo musical sono i valori universali come la
tolleranza, l’amore, nei confronti del proprio popolo o nei confronti di Dio,
la pace. Ecco, questi sono i concetti fondamentali. Naturalmente accoppiati a
questi c’è anche la forza, la passione, la paura: tutti elementi che entrano a
far parte di questo musical.
(musica)
D. – “I
Dieci Comandamenti” è un musical dal forte impatto visivo ed emotivo. Qual è il
momento all’interno del musical che lei ritiene particolarmente significativo,
particolarmente emozionante?
R. – Io
mi sono commosso nella celebre sequenza del Mar Rosso che si apre al popolo
ebraico e si richiude sopra le truppe del faraone che lo inseguono. Noi abbiamo
cambiato la scena proprio per dare un messaggio di pace: invece di far chiudere
le acque sull’esercito del faraone, c’è un incontro, da una parte e l’altra del
mare, tra i due fratelli, Ramses e Mosè, e incontrandosi rinasce in loro
l’amore fraterno che avevano condiviso durante la loro gioventù. Ed è un
momento molto toccante, perchè alla fine si abbracciano e la gente, vedo, si
entusiasma tantissimo e si spella le mani. E’ un momento di grande fratellanza
e di amore.
(musica)
D. – In
conclusione, qual è il messaggio che parte dal musical “I Dieci Comandamenti”?
R. – Il
messaggio più importante sono i valori universali come la tolleranza, l’amore e
la pace. Questo arriva alla gente e mi fa piacere vedere che la gente ne
rimanga sorpresa, e felice ritorna la seconda volta, la terza volta, portando i
bambini più piccoli, i ragazzi, perché si rendono conto che è uno spettacolo
piacevole sotto l’aspetto spettacolare, ripeto, ma anche educativo sotto il piano
morale, per i giovani e i ragazzi. Soprattutto in un periodo come questo siamo
felici di riuscire a portare un messaggio di pace e una parola di pace.
(musica)
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20 aprile 2003
NOTTE DI VIOLENZA NEL CAMPO PROFUGHI DI RAFAH, NEL
SUD DELLA STRISCIA
DI
GAZA, DOVE SONO MORTI CINQUE PALESTINESI ED UN SOLDATO ISRAELIANO.
IL
PREMIER PALESTINESE ABU MAZEN HA MINACCIATO DI RINUNCIARE AL SUO INCARICO, DOPO
UN NUOVO SCONTRO COL PRESIDENTE YASSER ARAFAT
SULLA
SCELTA DEL MINISTRO DELL'INTERNO
- A
cura di Amedeo Lomonaco -
RAFAH.
= Si è conclusa all'alba di stamani una massiccia incursione israeliana nel
campo profughi di Rafah, nel sud della striscia di Gaza. Durante l’azione
militare sono rimasti uccisi cinque palestinesi ed un soldato israeliano. Le
fonti della sicurezza palestinese hanno affermato che gli israeliani sono
penetrati in città con oltre 40 carri armati e con l'appoggio degli elicotteri
d'attacco. I soldati hanno sparato con armi automatiche e hanno distrutto
diverse abitazioni del campo profughi. Nel timore di attentati palestinesi, la
polizia israeliana è stata dislocata questa mattina in modo massiccio a
Gerusalemme, in particolar modo nella Città Vecchia dove oggi si svolgono sia
le celebrazioni della Pasqua cristiana, sia quelle delle Pasqua ebraica. Sul
fronte politico il premier palestinese incaricato, Abu Mazen, ha abbandonato
ieri sera i colloqui sul nuovo governo ed ha minacciato di rinunciare al suo
incarico, dopo un nuovo scontro col presidente palestinese Yasser Arafat sulla
scelta del ministro dell'Interno. Sempre ieri sera si sono tenute conversazioni
telefoniche tra il premier spagnolo Josè Maria Aznar ed i presidenti della
Libia e dell’Algeria, rispettivamente Muhammar Gheddafi, e Abdelaziz Buteflika.
Scopo dei contatti: agevolare la messa in atto della “road map” per il processo di pace tra israeliani
e palestinesi, alla luce degli ultimi
eventi iracheni. L’attività diplomatica di Aznar continuerà il 22 aprile quando
a Parigi incontrerà il suo omologo francese Jean Pierre Raffarin, ed ancora
il 23 aprile quando incontrerà il primo
ministro britannico Tony Blair.
IL
GOVERNO CINESE HA DICHIARATO CHE NEL PAESE I DECESSI CAUSATI
DALLA
POLMONITE ATIPICA SONO STATI FINORA 79. SULLA CRISI PROVOCATA
DALLA SARS SI TERRÀ IL PROSSIMO 29 APRILE A
BANGKOK UN VERTICE DI EMERGENZA ORGANIZZATO DALL’ASEAN, L’ASSOCIAZIONE DI
COOPERAZIONE POLITICA ED ECONOMICA DEI PAESI DEL SUD-EST ASIATICO
PECHINO.
= Sotto tiro per non aver fornito dati corretti sulla polmonite atipica, la
Cina ha oggi fornito nuove cifre sul numero dei decessi causati dalla Sars. “In
tutto il Paese - ha detto il vice ministro della sanità Gao Qiang - i casi di
polmonite atipica sono 1.807 ed i decessi sono stati finora 79”. Nella sola
Hong Kong sono state 7 le persone vittime dell’epidemia. Il vice ministro ha
aggiunto che “quest’anno non ci sarà la settimana di vacanza in occasione della
festa del lavoro per evitare nuovi rischi di diffusione della polmonite
atipica”. La minaccia del diffondersi della malattia ha messo in allerta anche
altri governi del Continente asiatico, preoccupati per le conseguenze che la
Sars potrebbe avere sulla salute pubblica, l’economia e il turismo. Per discutere della crisi
provocata dall’epidemia si terrà il prossimo 29 aprile a Bangkok un Vertice
con i capi di Stato dei 10 Paesi aderenti all’Asean, l’associazione di
cooperazione politica ed economica regionale fondata nel 1967 nella capitale
thailandese. La Cina non
è stata invitata al Summit. Lo ha dichiarato un portavoce del
ministero degli Esteri tailandese. “All’incontro parteciperanno i dieci membri
dell'Associazione asiatica e l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms)”, ha
aggiunto il portavoce smentendo alcune dichiarazioni precedenti, secondo le
quali la Cina avrebbe presenziato al Vertice. L’Asean ha il duplice obiettivo
di accelerare la crescita economica del Sud-Est asiatico e di promuovere la
pace e la stabilità regionale. (A.L.)
SI È
VOTATO IERI IN NIGERIA PER L’ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA E DEI
GOVERNATORI DEI 36 STATI CHE COMPONGONO LA FEDERAZIONE. IL FAVORITO E’
L’ATTUALE PRESIDENTE, IL CRISTIANO OLUSEGIN OBASANJO
ABUJA.
= Dopo le elezioni della scorsa settimana per il rinnovo dell'Assemblea
Nazionale, ieri si è votato in Nigeria per l'elezione del presidente della
Repubblica e dei governatori dei 36 Stati che compongono la federazione. Non si
conosce ancora l’esito delle consultazioni elettorali e, nonostante le piogge
torrenziali, i nigeriani hanno risposto in massa alla chiamata alle urne. L’eventuale secondo turno si svolgerà il
prossimo 29 aprile. L'unico candidato che potrebbe ottenere un maggior numero
di consensi dell’attuale presidente cristiano Olusegin Obasanjo, del Sud del
Paese, è il musulmano Muhammadu Buhari. Le prime elezioni presidenziali
nigeriane dalla fine del regime militare, avvenuta nel 1999, sono state
purtroppo funestate da un grave episodio di violenza. Nella zona del Delta,
ricca di giacimenti petroliferi, nel corso di una manifestazione promossa dai
sostenitori del Partito dell’opposizione, la polizia ha aperto il fuoco per
disperdere i dimostranti ed ha ucciso sei persone. A partire dal 2000, i violenti scontri tra la comunità cristiana,
che costituisce il 40 % della popolazione, e quella musulmana, hanno provocato
in Nigeria migliaia di vittime. (A.L.)
“LA
VENDETTA, LA RITORSIONE E LA GUERRA UCCIDONO LA SPERANZA”.
E’
QUESTO IL MESSAGGIO RIVOLTO AI CALABRESI DAL VESCOVO DI LOCRI,
MONS. GIANCARLO BREGANTINI
REGGIO
CALABRIA. = “La vendetta, la ritorsione e soprattutto la guerra non producono nulla di buono ma, al
contrario, uccidono la speranza e preparano un futuro fondato sul terrore e
l’odio sia nelle nostre case che a livello mondiale". Lo scrive il vescovo
di Locri-Gerace, mons. Giancarlo Bregantini in un messaggio rivolto ai
calabresi attraverso il giornale on-line "Calabria Ecclesia
Magazine". “Con la vendetta – prosegue il vescovo – si può avere
l’impressione di aver sconfitto il proprio nemico ma, in realtà, a vincere in
questi casi è sempre il profondo senso di vuoto e di solitudine”. In occasione
della Pasqua l’arcivescovo di Reggio
Calabria e presidente della Conferenza
episcopale calabra, mons. Vittorio Mondello, ha ricordato che “la fede non ci toglie dalla fatica della storia,
ma ci libera”. “Ogni giorno – ha aggiunto - con la forza dell’Eucaristia, noi
credenti, proclamiamo il mistero della morte che dona la vita per portare,
nella notte del mondo, la luce del Risorto". "Affermare la presenza
del Risorto negli avvenimenti – conclude il presule - significa cambiare
radicalmente il rapporto con essi: significa trasferirli dall’ordine delle cose
a quello della grazia”. (A.L.)
L’EPIDEMIA
DI MENINGITE HA PROVOCATO IN BURKINA FASO QUASI MILLE MORTI.
LO
RENDE NOTO IL MINISTERO DELLA SANITÀ DEL PAESE CHE,
CON LA
COLLABORAZIONE DELL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ, SOMMINISTRERÀ
APPOSITI VACCINI ALLA POPOLAZIONE
OUAGADOUGOU.
= Una vasta epidemia di meningite sta sconvolgendo il Burkina Faso, dove
dall’inizio di quest’anno sono morte, a causa di questa malattia, più di 900
persone. Le persone contagiate da gennaio a oggi sono 6234. Lo ha reso noto con
un comunicato il ministero della Sanità del Paese. L’epidemia ha colpito 53 distretti, quasi tutti situati nelle
regioni meridionali di Batie, Manga e Po ed in quelle orientali di Parma e
Diapaga. Le autorità africane, con la collaborazione dell'Organizzazione
mondiale della Sanità (Oms), hanno organizzato laboratori ambulanti per
studiare il virus e somministrare appositi vaccini alla popolazione. L'alto
numero di casi registrati negli ultimi due anni in molti Paesi africani, dopo
un periodo in cui la malattia sembrava sotto controllo, sarebbe legato alla
presenza di un particolare ceppo di meningococco, denominato W135, tipico
dell'Arabia Saudita. La meningite colpisce i Paesi africani soprattutto nei
mesi di marzo e aprile, quando l’arrivo dell’Harmattan, il vento secco che
viene dal deserto, porta con sé il virus. Secondo la autorità sanitarie del
Burkina Faso, il batterio sarebbe entrato nel Paese insieme ai molti musulmani
locali di ritorno dal loro pellegrinaggio alla Mecca avvenuto nel 2000. (A.L.)
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