RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 109 - Testo della
Trasmissione di sabato 19 aprile 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
Lutto nel Collegio Cardinalizio: il cordoglio
del Papa per la morte del cardinale Aurelio Sabattani.
OGGI IN PRIMO PIANO:
I riti di
Pasqua in Terra Santa. Festa in anticipo questa mattina nella Basilica del
Santo Sepolcro.
Gli sviluppi in Iraq.
Catturato il ministro delle Finanze Al Azzawi. La Cia studia il nuovo video di
Saddam Hussein, mentre i civili manifestano per la fine della permanenza
angloamericana nel Paese. Con noi, il ministro
statunitense Tommy Thompson, il delegato della Croce
Rossa Giuseppe Renda e la scrittrice irachena
Nuha al Radi.
La Nigeria al voto, sceglie il nuovo presidente: intervista con Domenico Quirico.
CHIESA E SOCIETA’:
I fervidi
auguri del presidente italiano Carlo Azeglio Ciampi al Papa per la festività
pasquale ...
Si moltiplicano i casi del virus Sars nel mondo;
l’Oms accusa la Cina di aver taciuto la gravità dell’infezione.
Medio Oriente: domani verrà presentato il nuovo
governo palestinese del premier Abu Mazen.
Segni di speranza nel processo di pace fra India e
Pakistan, per la contesa regione del Kashmir.
19 aprile 2003
SABATO SANTO: LA CHIESA ATTENDE LA RESURREZIONE DEL
SUO SIGNORE.
IERI
SERA COL PAPA NELLA BASILICA DI SAN PIETRO
PER LA
CELEBRAZIONE DELLA PASSIONE E AL COLOSSEO LA VIA CRUCIS.
QUESTA
SERA LA VEGLIA PASQUALE
E
DOMATTINA LA MESSA SUL SAGRATO E LA
BENEDIZIONE URBI ET ORBI
- Servizio di Giovanni Peduto -
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Cristo
Pasqua nostra è risorto, alleluja! Questo l’annuncio che la Chiesa s’appresta a
donare ancora una volta al mondo come già duemila anni or sono l’Angelo alle
Donne recatesi al Sepolcro. Lo farà anche Giovanni Paolo II nella Basilica
Vaticana in questa Veglia pasquale che si appresta a celebrare dopo che ha
rinnovato ieri la memoria della Passione e ha ripercorso i passi dolorosi della
Via Crucis al Colosseo, ricordando i tanti drammi dell’umanità sofferente …
Il rito della Passione
(canto)
L’umanità
cerca pace. Ma che senso ha sfilare per le strade gridando pace e poi sfondando
le vetrine: così il predicatore della Casa pontificia, il padre cappuccino Raniero
Cantalamessa, che ha svolto la riflessione in San Pietro durante la
celebrazione della Passione presieduta dal Papa. L’unica via alla pace è distruggere
l’inimicizia, non il nemico. I nemici si distruggono con le armi, l’inimi-cizia
con il dialogo. La pace nasce da un cuore nuovo, che si riconcilia con il fratello
…, ed ha aggiunto:
“Fra poco noi ci accosteremo a baciare il
Crocifisso. Se non vogliamo che dall’alto della sua Croce Gesù debba ripeterci:
vai prima a riconciliarti con il tuo fratello, il nostro deve essere un bacio
dato non solo a Lui che è il capo, ma anche alle membra del suo corpo”.
La Via Crucis
Anche
il Papa ha baciato il crocifisso e tutti hanno adorato la Croce, implorando
grazia e misericordia, come si conviene il Venerdì Santo che anche ieri ha
visto Giovanni Paolo II al Colosseo per la tradizionale Via Crucis, come ci
riferisce Tiziana Campisi:
(canto)
“Ecce
lignum crucis, in quo salus mundi pependit ...”
Il
mistero delle fede è qui, nella croce, dove la morte non è ciò che pone fine
alla vita ma il luogo in cui il dono totale di Cristo si fa redenzione per gli
uomini. Giovanni Paolo II ha esortato i cristiani a vivere la Pasqua
contemplandone il significato, ieri sera, nel suo pensiero al termine della Via
Crucis al Colosseo. Ai fedeli ha parlato a braccio, ricordando la testimonianza
dei martiri nell’anfiteatro Flavio:
“Questo Colosseo è un simbolo, soprattutto ci parla
dei tempi passati, di questo grande impero romano che è crollato. E’ difficile
trovare un altro posto dove il mistero della Croce parli più eloquentemente”.
Il Pontefice ha voluto identificare la passione di Cristo,
oggi, nei mali e nei dolori che affliggono l’umanità. Nel testo del suo
discorso consegnato ai giornalisti, e dato per letto, ha suggerito, come
risposta agli interrogativi dell’uomo, la Risurrezione di Cristo. Di fronte
alla violenza e alle guerre, all’angoscia dei popoli di ogni continente, alla
morte per fame e per stenti, allo sfregio della dignità umana perpetrato nel
nome di Dio, la Pasqua diventa il mistero da vivere e da testimoniare ...
“Auguro a tutti voi di vivere sempre più
profondamente e anche di testimoniare questo triduum sacrum e poi la Pasqua”.
Le
stazioni della Passione di Cristo sono state commentate con i testi che
l’allora cardinale Karol Wojtyla scrisse nel 1976 quando, arcivescovo di
Cracovia, predicò a Paolo VI e alla Curia Romana gli esercizi spirituali della
Quaresima.
Il Papa ha sorretto la croce nell’ultima stazione, quella
della deposizione nel sepolcro, meditata con queste parole ...
“Al momento in
cui l’uomo, a causa del peccato, è stato allontanato dall’albero della vita, la
terra è diventata un cimitero. Tra tutte le tombe comparse sui continenti del
nostro pianeta, ce n’è una nella quale il Figlio di Dio, l’Uomo Gesù Cristo, ha
vinto la morte con la morte”.
E’ proprio al Sepolcro di Gesù - esorta Giovanni Paolo II
- devono guardare gli uomini per vivere nella speranza della Risurrezione.
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L’attesa della Risurrezione
Questa mattina a Santa Maria Maggiore si è celebrata l’Ora
della Madre, guidata dal cardinale arciprete della Basilica liberiana, Carlo
Furno e animata dalle Suore Figlie della Chiesa: l’attesa, cioè, della
Resurrezione del Signore nella fede trepidante di sua Madre. Quale senso ha
questa attesa? Ecco in proposito una riflessione del cardinale Francis
Arinze, prefetto della Congregazione
per il culto divino e la disciplina dei sacramenti:
“La
Chiesa celebra stanotte la notte in cui Gesù Cristo risorse dai morti. La tomba
non lo ha trattenuto. Il Calvario non fu un sconfitta per lui. Egli ha donato
la sua vita per noi liberamente. E l’ha ripresa di nuovo liberamente. Poiché
lui ha svuotato se stesso, umiliato se stesso, ed è stato obbediente fino alla
morte, persino alla morte sulla Croce, il Padre Eterno lo ha elevato al di
sopra e gli ha dato il nome che è sopra tutti gli altri nomi. Lo splendore
della Resurrezione di Cristo ci invita a morire al peccato e a risorgere ad una
nuova vita. La Chiesa alla vigilia di questa celebrazione sottolinea questa
nuova vita, data a noi attraverso il Battesimo, e ci porta a meditare sulla
storia della salvezza dalla creazione e dal peccato originale fino al
raggiungimento della nostra salvezza, attraverso il mistero pasquale della
passione, morte, sepoltura e resurrezione di Cristo. Cristo è la nostra luce.
Lui è la via, la verità e la vita. Ci nutre con le sue parole e con la Santa Eucaristia.
Tutto questo spiega perché la vigilia pasquale sia il contesto tradizionale per
la celebrazione dei Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana: il Battesimo, la
Cresima, e la Santa Eucaristia. Nel rinnovare le nostre promesse battesimali,
ognuno di noi combatta per vivere con più grande autenticità la nuova vita,
vinta per noi da Cristo risorto, Signore e Salvatore”.
La
Veglia pasquale, nella Basilica Vaticana, avrà inizio alle ore 20, presieduta
da Giovanni Paolo II con la radiocronaca e il commento in italiano, cinese e
spagnolo sulle onde corte, le onde medie e la modulazione di frequenza; e in portoghese
per il Brasile via satellite. Sette catecumeni riceveranno i sacramenti
dell’iniziazione cristiana, provenienti da Nigeria, Burkina Faso, Italia,
Tunisia, Giappone, Burundi e Stati Uniti.
Domani,
Pasqua di Resurrezione, il Pontefice alle 10.30 presiederà la Santa Messa sul
sagrato della Basilica Vaticana e a Mezzogiorno pronuncerà il suo messaggio
pasquale e impartirà la Benedizione ‘Urbi et Orbi’. La nostra emittente curerà
la radiocronaca in italiano, inglese, tedesco, francese e arabo sulle onde corte,
le onde medie e la modulazione di frequenza; e, via satellite, in portoghese
per il Brasile e in spagnolo per l’America Latina.
Si
collegheranno domattina con Piazza San Pietro in mondovisione 79 enti televisivi
di 53 Paesi. Ancora una volta la Piazza sarà un grande giardino fiorito: per il
18.mo anno l’Ufficio olandese dei fiori, il Centro internazionale dei fiori da
bulbo e Plant Publicity Holland offrono al Santo Padre un omaggio
floreale composto di dieci aiuole, 15.mila fiori, arbusti e piante, con
prevalenza dei colori bianco e giallo, in omaggio al suo 25.mo anno di
Pontificato ...
(canto
pasquale)
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E’ DECEDUTO QUESTA MATTINA IN VATICANO IL
CARDINALE AURELIO SABATTANI.
NEL
TELEGRAMMA DI CORDOGLIO IL PAPA RICORDA IL SUO ZELO
E LA
SUA TESTIMONIANZA DI FEDELTA’ AL
VANGELO
- A
cura di Carla Cotignoli -
“Insigne
giurista per tanti anni solerte collaboratore della Santa Sede”: così il Papa ricorda
il cardinale Aurelio Sabattani, nel telegramma di cordoglio per la sua
dipartita avvenuta questa mattina nel suo appartamento in Vaticano. Il porporato
aveva 90 anni. Era nato a Casal Fiumanese, diocesi di Imola, il 18 ottobre
1912. Di lui il Santo Padre ricorda in particolare “l’apprezzata testimonianza
di fervoroso zelo sacerdotale e di fedeltà al Vangelo” durante il tempo in cui fu prefetto al
Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, e poi come arciprete della
Patriarcale Basilica di San Pietro. “Elevo fervide preghiere al Signore Gesù –
scrive ancora il Papa – affinché auspice la Vergine Maria voglia donare al
defunto cardinale il premio eterno promesso ai suoi fedeli discepoli”.
Il cardinale Aurelio Sabattani ricoprì anche gli incarichi
di vicario generale del Papa per la Città del Vaticano e di presidente della
Fabbrica di San Pietro. I funerali, che saranno presieduti da Giovanni Paolo
II, si svolgeranno nella Basilica di San Pietro giovedì prossimo alle ore
10,30. La sua salma sarà traslata poi alla cattedrale di Imola. Verrà quindi
sepolto nella tomba di famiglia a Riolo Terme.
Con la morte del cardinale Sabattani,
il Collegio cardinalizio risulta composto da 168 porporati, di cui 112 elettori
e 56 non elettori.
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Apre e suggella la prima pagina
il seguente titolo: “La Pasqua del Risorto”, con una riflessione di Giorgio
Rumi.
Nelle vaticane, “‘Ecce lignum
Crucis’, la parola che viene dopo è parola solamente di Dio”, è il titolo
all’intensa meditazione di Giovanni Paolo II al termine del rito della Via
Crucis al Colosseo.
L’omelia del predicatore della
Casa Pontificia in occasione della celebrazione della “Passio Domini” nella
Basilica di San Pietro.
La dettagliata biografia del
cardinale Aurelio Sabattani, morto stamane.
I messaggi di vescovi italiani
in occasione della Pasqua.
Celebrazioni nel Triduo sacro
nelle diocesi italiane.
Nelle pagine estere, la
perdurante emergenza idrica nel Sud dell’Iraq, cui si aggiunge l’alto rischio
di epidemie.
Medio Oriente: ucciso un
palestinese durante disordini a Nablus.
Il Governo cinese ribadisce la
volontà di trasparenza sui dati relativi al virus Sars.
Nella pagina culturale, al tema
“La vittoria di Cristo sulla morte” sono dedicati i contributi di Danilo
Veneruso, Armando Rigobello e Franco Patruno.
Nelle pagine italiane, in primo
piano il tema dell’economia.
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19 aprile 2003
NUOVO ARRESTO “ECCELLENTE” TRA I DIRIGENTI DELL’EX
REGIME IRACHENO:
CATTURATO
IL MINISTRO DELLE FINANZE, AL AZZAWI.
LA CIA
STUDIA IL NUOVO VIDEO DI SADDAM HUSSEIN, MENTRE SI LEVANO
LE
PROTESTE DEI CIVILI PER LA FINE DELLA PERMANENZA MILITARE USA NEL PAESE
- A
cura di Alessandro De Carolis -
Era al numero 45 della lista dei maggiori ricercati
dell’ex regime iracheno il ministro delle Finanze di Saddam Hussein, Hikmat
Ibrahim al Azzawi, catturato oggi a Baghdad dalla polizia irachena e poi
affidato alla custodia dei soldati statunitensi. Nelle mani dei marine
era caduto due giorni fa Amir Abd Aziz al-Najim, presidente regionale del
partito Baath a Baghdad Est, e nella notte tra mercoledì e giovedì scorso,
stessa sorte era toccata a Barzani al Tikrit, uno dei fratellastri dell’ex
dittatore. Ma oltre ai “pezzi” della scomparsa dirigenza irachena incappati,
insieme ad alcuni scienziati, nella rete americana, l’interesse internazionale
è appuntato anche sul nuovo, e per certi versi bizzarro, video di Saddam
Hussein, diffuso ieri dalla televisione di Abu Dhabi. In sostanza le immagini,
probabilmente risalenti ai primi di aprile, mostrano il rais tra la
folla osannante, invitata a cacciare l’invasore, mentre in tutta Baghdad le sue
statue venivano abbattute.
Questa mattina, a Baghdad, l'esercito americano ha
dato il cambio ai marine, sostituiti da piccoli gruppi di soldati della
Terza divisione di fanteria, affiancati da soldati della Quarta. Il loro
compito principale è quello di ristabilire i servizi pubblici: in particolare
elettricità, acqua, fognature, ospedali e mantenere l'ordine pubblico. Ieri,
intanto, nel giorno di preghiera per i musulmani - che dopo 4 anni ha visto
anche la partecipazione di migliaia di sciiti - circa 10 mila persone hanno
invocato a gran voce il ritorno in patria dei soldati di Iraqi Freedom.
Sentiamo Paolo Mastrolilli:
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Le proteste sono cominciate dopo la preghiera del venerdì
nelle moschee, durante la quale gli imam hanno sollecitato il popolo a essere
unito nel nome dell’islam. Quindi i
fedeli sono scesi in piazza per ribadire di essere tanto contro Saddam quanto
contro Bush, e spingere i militari stranieri a lasciare il Paese. Nel
frattempo, l’intelligence americana sta analizzando il video trasmesso ieri
dalla televisione di Abu Dhabi, per appurare se la persona ripresa sia davvero
Saddam Hussein e se il filmato sia stato fatto il 9 aprile scorso, come sostiene
chi lo ha fornito. Il video - in cui si vede il leader iracheno camminare tra
la folla, insieme al figlio prediletto Husai - era accompagnato anche da un
discorso che incita la popolazione a resistere, perché gli invasori vengono
sempre sconfitti dai conquistati. La Casa Bianca e il Pentagono hanno detto che
dal punto di vista politico la sorte di Saddam è irrilevante, però se fosse
davvero sopravvissuto e non verrà catturato potrebbe minacciare la stabilità
del futuro governo. Le forze americane, comunque, hanno catturato Samir Anajim,
un altro leader del regime, consegnato dai curdi vicino alla città di Mossul, e
hanno liberato circa 900 prigionieri di guerra. Quindi hanno deciso di
mobilitare oltre mille esperti per cercare le armi di distruzione di massa che
finora non sono state trovate.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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E mentre a Baghdad si manifestava
sia contro Saddam, sia contro gli angloamericani, a Ryad si sono riuniti i
rappresentanti dei Paesi confinanti con l’Iraq, cioè Arabia Saudita, Turchia,
Iran, Siria, Giordania e Kuwait, più quelli del Bahrein e dell'Egitto. La linea
comune è stata quella di lavorare per avere al più presto un governo che sia
espressione del popolo iracheno. Il concetto di fondo emerso dal vertice e
fissato nel comunicato finale è che il petrolio dell’Iraq non potrà essere
gestito se non dallo stesso Paese mediorientale. Una convinzione accettata e
condivisa anche dagli Stati Uniti, come conferma il ministro della Sanità degli
Stati Uniti, Tommy G. Thompson, intervistato dalla collega del nostra redazione
inglese, Tracy McClure:
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R. - WE’RE
GOING TO DO EVERYTHING POSSIBLE …
Noi faremo tutto quello che è possibile per mettere gli
iracheni in condizione di iniziare a governare il Paese. Faremo in modo che,
con i nostri contributi in denaro e le nostre risorse, le infrastrutture siano
ripristinate, così da appoggiare la ricostruzione di un Paese che ha bisogno di
molta assistenza. Non si può semplicemente entrare, fare una guerra e poi
andarsene. Gli Stati Uniti saranno lì - insieme alla Gran Bretagna, l’Italia,
la Spagna, l’Australia - per fare tutto ciò che è possibile per la
ricostruzione. Non si tratta di un nuovo “colonialismo”: l’America vuole che
l’Iraq sia governato dagli iracheni, vuole che il petrolio sia utilizzato dagli
iracheni e che le sue risorse vadano al Paese, così da poter sostenere l’onere
della ricostruzione dell’Iraq. Lo ripeto, faremo tutto quello che possiamo per
essere loro partner, per assisterli, e saremo più che felici di lasciare al più
presto l’Iraq, incoraggiando gli altri Stati a offrire il proprio contributo.
Noi vogliamo che la gente sia coinvolta e vogliamo assicurarci che si proceda
alla ricostruzione dell’Iraq nella stesso modo in cui si sta ricostruendo
l’Afghanistan. Vorremmo un miglioramento delle condizioni umane per le persone
che vivono in Iraq e in Afghanistan.
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Nel nord dell’Iraq, la situazione
socio-umanitaria è sempre al di sopra della soglia di attenzione. Due
quotidiani - il turco Hurriyet e il francese Le Figaro – scrivono
oggi che circa duemila famiglie arabe sono state allontanate dalle loro case
nella cittadina di Daguk, a una trentina di chilometri a sud di Kirkuk, dai peshmerga
del gruppo curdo nordiracheno. Si tratta di abitazioni, ha affermato l’Unione
patriottica del Kurdistan (Upk), che appartenevano ai curdi prima che famiglie
arabe vi fossero insediate nell'ambito della politica di arabizzazione perseguita
negli ultimi 20 anni dal regime di Saddam Hussein. Inoltre, il Kurdistan
iracheno - insieme a Bassora - è al centro dell’interesse per il drammatico
ritrovamento di fosse comuni con i resti di più di duemila curdi. Benedetta
Capelli ha chiesto al delegato della Croce Rossa internazionale in Iraq,
Giuseppe Renda, di fare il punto della situazione nell’area settentrionale:
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R. – La situazione è
probabilmente la migliore, se confrontata con tutto il resto del Paese. Le
emergenze più preoccupanti, comunque, sono quelle nei territori che erano sotto
controllo iracheno e riguardano, come il resto dell’Iraq, la sicurezza
innanzitutto, e poi l’acqua, l’elettricità e - in modo particolare nelle città
di Mossul e Kirkuk - il bisogno per le famiglie che sono all’estero di
ristabilire i contatti con i loro membri in Iraq, dei quali non hanno notizie.
D. – Come ha reagito la popolazione curda alla notizia del
ritrovamento delle fosse comuni?
R. – Purtroppo, ciò che la
popolazione curda ha vissuto negli ultimi anni non fa che confermare tutto ciò
che hanno sofferto sotto il regime di Baghdad. Ci sono parecchie cose da
chiarire: per il momento, si è solo all’inizio. Il nostro ruolo sarà
sicuramente quello di fare in modo che le famiglie possano essere informate,
che quindi i corpi siano identificati.
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Anche in Gran
Bretagna c’è aria di contestazione e di resa dei conti, secondo le rivelazioni
del quotidiano londinese The Guardian. Alcuni parlamentari laburisti,
che avevano votato a favore dell'azione militare in Iraq, hanno chiesto ai
servizi segreti e al governo dove siano finite le armi di distruzione di massa
che erano all'origine dell'offensiva. Il ministro della Difesa americano,
Rumsfeld, ha affermato ieri di credere che saranno i civili a rivelare i
nascondigli di tali armi. Ma, con la fine della guerra, l’anelito della gente è
per avere uno Stato diverso e più libero nel quale vivere. Lo conferma una
testimone d’eccezione: la scrittrice e artista irachena, Nuha al-Radi, da dieci
anni esule in Libano e autrice di un libro, “Gente di Baghdad”, uno spaccato
dei tempi dell’embargo. Ascoltiamola, nell’intervista di Angela Ambrogetti:
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R. - WE
STILL HOPE FOR PEACE, BUT I DON’T KNOW WHEN IT’S COMING NOR HOW ...
“La nostra speranza è ancora per la pace. Però non so
quando e come arriverà. Gli americani dovranno in qualche modo sostituire
quello che c’era: a tutt’ora non l’hanno ancora fatto e non so come riusciranno
a farlo. Quello che vedo, in questo momento, è caos e anarchia.
D. - Il popolo iracheno è antico
e fiero: non c’è quindi la possibilità che riesca a ricostruire dal di dentro
una nuova società democratica?
R. - IT’S
A POSSIBILITY, BUT IRAQ HAS NEVER KNOWN DEMOCRACY. ...
Ci dobbiamo ricordare che l’Iraq non ha mai conosciuto la
democrazia, non abbiamo mai avuto un clima democratico nel nostro Paese.
Abbiamo avuto dei leader molto forti, anche se nel passato non erano stati così
crudeli. Bisognerà vedere ora che cosa accadrà e cosa riusciremo a fare
nell’instaurare un nuovo governo. Però, ribadisco che chi invade, chi occupa,
poi deve in qualche modo sostituire ciò che esisteva in precedenza, perché non
si va ad invadere un Paese per poi dopo abbandonarlo al suo destino. Spero che
non si tratti di anni: spero che si possa risolvere in un tempo un po’ più
breve. Abbiamo bisogno di molto aiuto, perché comunque siamo in una situazione
molto difficile e molto precaria, e quindi è necessario che qualcuno ci aiuti.
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LA NIGERIA AL VOTO, SCEGLIE IL NUOVO PRESIDENTE
TRA IL
CAPO DI STATO USCENTE OBASANJO E L’EX GENERALE BUHARI
- Con
noi, Domenico Quirico -
Oltre
sessanta milioni di elettori si stanno recando oggi alle urne in Nigeria per
scegliere il nuovo presidente, oltre che i governatori di 36 Stati della Federazione.
In lizza per la prima carica della Repubblica è il capo di Stato uscente Olusegun
Obasanjo del partito democratico Pdp - al governo - e l’ex generale Muhammad
Buhari, candidato dell’opposizione dell’Anpp. I due, a capo di giunte militari,
hanno già guidato il Paese: Obasanjo dal 1976 al 1979, Buhari dalla fine del
1983 al 1985. Il voto giunge ad una settimana dalle legislative di sabato
scorso, duramente contestate dagli avversari del partito di Obasanjo, il cui
schieramento ha mantenuto la maggioranza assoluta nelle due Camere. In che
clima, quindi, si svolge in Nigeria questa nuova chiamata alle urne? Risponde
Domenico Quirico, africanista del quotidiano ‘La Stampa’, intervistato da Giada
Aquilino:
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R. – In un clima purtroppo contrassegnato da avvenimenti
sanguinosi: le elezioni sono state precedute da disordini che ormai in Nigeria
si svolgono da anni, senza soluzione di continuità. La frattura tra le due
parti del Paese – cioè il Nord musulmano, dove viene ormai applicata
esplicitamente la sharia, ed il Sud cristiano – si è fatta molto forte. A ciò,
si sono aggiunti terribili contrasti di tipo etnico-tribale, legati anche allo
sfruttamento del petrolio e all’enorme corruzione.
D. – Per alcuni osservatori, lo scontro tra Obasanjo e
Buhari rappresenterebbe proprio un confronto tra Sud cristiano e Nord
musulmano: è così?
R. – Per molti effetti, sì. Vengono in un certo modo
‘personalizzate’ le ferite strutturali della Nigeria, ferite che negli ultimi
anni si sono accentuate. Lo scenario è pericoloso, perché sulla base di un
Paese che ha enormi riserve di petrolio - anche alla luce degli ultimi
avvenimenti in altre aree del mondo, diventate sempre più importanti - il
contrasto tra le due anime del Paese non è mai stato così pericoloso. C’è
effettivamente il rischio di uno scenario di separazione e di guerra civile.
D. – L’opposizione per le legislative della scorsa
settimana ha parlato di brogli, ha chiesto addirittura di ripetere il voto. C’è
rischio anche per queste presidenziali?
R. – Assolutamente sì. Sul campo la situazione è
caratterizzata da truffe, brogli spesso colossali: l’abbiamo visto in tante
altre elezioni africane. Purtroppo, in Nigeria, si sta ripetendo e - temo - si
ripeterà questa prospettiva.
D. – La legge islamica è in vigore ancora in molti Stati
nigeriani: come si può coniugare con la vita democratica del Paese?
R. – E’ molto difficile riuscire a trovare una formula
costituzionale e legislativa che consenta la coesistenza di sistemi giuridici
così diversi e direi per molti aspetti assolutamente opposti, come sono la
legge islamica e una tradizione giuridica democratica che nasce da una storia e
da una cultura del diritto completamente diverse.
D. – In questo quadro generale della Nigeria, quali sono
le sfide per il Paese più popoloso dell’Africa e quindi per il nuovo
presidente?
R. – Il capitolo numero uno per la Nigeria è
l’organizzazione di uno Stato che non sia una struttura ‘ladresca’ nelle mani
di un numero molto ristretto di persone che succhia tutte le risorse del Paese,
lasciando il vuoto totale per coloro che lo abitano. E’ paradossale che uno dei
Paesi africani, che ha delle potenziali ricchezze tra le più elevate, faccia
registrare uno dei redditi più bassi del mondo. Poi, c’è da instaurare un nuovo
rapporto con la società civile, ma questo è un problema generale dell’Africa.
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I RITI DI PASQUA IN TERRA SANTA: FESTA IN
ANTICIPO AL SANTO SEPOLCRO
-
Servizio di Graziano Motta -
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Anche quest’anno Gesù è risorto in anticipo, proprio nel
luogo in cui l’irripetibile evento avvenne oltre duemila anni fa. Nella
Basilica del Santo Sepolcro, infatti, per la disciplina in vigore dalla metà
dell’’800, relativa alla coesistenza tra le comunità di diversi riti, e fra le
loro celebrazioni liturgiche – disciplina nota come status quo – non è
stato possibile modificare l’orario delle funzioni allora stabilito.
All’epoca, nella Chiesa cattolica, la celebrazione della
Risurrezione avveniva il sabato mattina. E tale, nella Basilica, è rimasta fino
ad oggi, anche dopo la riforma liturgica conciliare, per la quale la veglia che
conclude il triduo di Pasqua si svolge la sera, meglio la notte, fra il sabato
e la domenica. Questa mattina, dunque, le campane sono state sciolte nella
Rotonda dell’ Anastasi, e il Gloria in Excelsis Deo, intonato dal
celebrante, il vescovo Kamal Hanna Batish, vicario del patriarca Sabbah, è
stato a lungo accompagnato dalle note festose dell’organo affidato al
francescano maestro, Armando Pierucci. I fedeli, religiosi e pellegrini, si
sono stretti in preghiera intorno al Sepolcro vuoto di Gesù. Vi si ritroveranno
domani mattina ancora per la Messa solenne della Risurrezione, che sarà celebrata
dal Patriarca, e seguita dalla tradizionale e triplice processione attorno
all’edicola.
Nelle altre chiese di Gerusalemme la veglia pasquale si
farà stanotte, non così però in tutta la diocesi, perché da alcuni anni molte
parrocchie cattoliche di Terra Santa, di rito latino o di rito orientale,
celebrano la Pasqua insieme con i fratelli delle chiese ortodosse per
testimoniare il loro desiderio di unità. Così per coloro che seguono il
calendario Giuliano, domani sarà la Domenica delle Palme, e la domenica
successiva quella di Risurrezione.
Per Radio Vaticana, Graziano Motta.
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19 aprile 2003
L’AMMIRAZIONE PER LA TENACIA CON CUI IL PAPA
ASSOLVE LA SUA MISSIONE
E L’ACCOGLIENZA DEI SUOI RICHIAMI ALLA
PREMINENZA DEL DIRITTO
SONO ESPRESSI DAL PRESIDENTE CIAMPI IN
OCCASIONE DELLA PASQUA
- A
cura di Carla Cotignoli -
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ROMA. =
Tra i molti auguri giunti al Papa in occasione della Pasqua, a nome del popolo
italiano, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi esprime “un
rinnovato sentimento di ammirazione per la visione e la tenacia con cui assolve la sua missione”. “I viaggi, i
messaggi, le indicazioni scaturenti dal suo instancabile apostolato – scrive il
Presidente – sono un richiamo ispiratore per ogni essere umano, credente e non
credente, convinto che la dignità della persona debba rimanere al centro
dell’attenzione di tutte le nazioni”. “L’ho seguita con trepidazione nelle
ultime settimane – si legge ancora nel messaggio presidenziale - e ho
pienamente avvertito l’importanza dei suoi richiami alla necessità di credere
fermamente alla preminenza del diritto, dei principi e delle regole che
dall’Europa si sono irradiati verso il resto del Mondo e che nell’Unione
Europea devono avere un tenace e convinto assertore”. “Un paese come l’Italia
proiettato nel Mediterraneo, - prosegue Ciampi - trae inoltre grande conforto dalla
saggezza delle sue ripetute sollecitazioni alla collaborazione fra popoli e
diverse culture con cui vogliamo creare durature prospettive di pace”.
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L’ALTO
COMMISSARIATO DELLE NAZIONI UNITE PER I RIFUGIATI, L’ACNUR,
HA DENUNCIATO CHE LA RIPRESA DELLA VIOLENZA IN
AFGHANISTAN
MINACCIA I PROGRAMMI DI RIMPATRIO DEI PROFUGHI
KABUL.
= Serie preoccupazioni per il riemergere della violenza in alcune regioni
dell’Afghanistan sono state espresse dall’Alto commissario delle Nazioni Unite
per i Rifugiati, Ruud Lubbers. L’insicurezza minaccia i programmi di rimpatrio
dei profughi nel Paese asiatico. “Lo scorso anno – ha ricordato Lubbers –
l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur) ha assistito
il rimpatrio di oltre 2 milioni di persone, ma in diverse regioni
dell’Afghanistan continua a prevalere un diffuso stato di insicurezza”.
Sottolineando che sono ancora oltre 3 milioni i rifugiati afgani in Iran e in
Pakistan, l’Alto commissario ha sollecitato le autorità di Kabul e la comunità
internazionale ad adottare provvedimenti in grado di garantire la tranquillità
soprattutto nelle zone rurali. A testimonianza del clima di violenza che
purtroppo ancora predomina nel Paese asiatico, giovedì scorso un’esplosione ha
colpito una località tre chilometri a nordest dalla capitale Kabul. Per fortuna
la deflagrazione non ha causato vittime, né gravi danni. La polizia ha inoltre
informato di aver rinvenuto nelle vicinanze un’altra bomba inesplosa. Poche ore
prima un’esplosione aveva devastato gli uffici del Fondo delle Nazioni Unite
per l’infanzia (Unicef) a Jalalabad. La città, situata nell’est
dell’Afghanistan, è considerata una delle roccaforti del deposto regime dei
talebani. Dopo la recente uccisione di Ricardo Mungia, un operatore del Comitato
Internazionale della Croce Rossa (Cicr), diverse organizzazioni non governative
internazionali hanno ritirato, almeno temporaneamente, il loro personale dalla
regione di Kandahar. (A.L.)
L’ITALIA HA CANCELLATO IL DEBITO
ESTERO DELLA GUINEA.
UN
ACCORDO INNOVATIVO CHE TRASFORMA IL DEBITO IN
FINANZIAMENTO
ALLA
LOTTA CONTRO LA POVERTA’ OTTENUTO CON LA MEDIAZIONE DELLA CEI
ROMA. = E’ stato firmato in questi giorni un
accordo innovativo per la cancellazione del debito tra Italia e Guinea. Lo
riferisce all’Agenzia missionaria Misna Riccardo Moro, direttore della
Fondazione Giustizia e Solidarietà, l’ente che alla fine del 2001 ha sostituito
il Comitato ecclesiale italiano (Cei) per la riduzione del debito estero dei
Paesi più poveri. La firma consentirà il finanziamento di progetti per sanità,
scuola e promozione delle piccole imprese e delle cooperative nelle regioni
guineane. Nel 1999 la Cei, in risposta all’appello del Papa, aveva avviato un
programma di raccolta fondi per la cancellazione del debito. Grazie alla
pressione congiunta della campagna della Cei e di quella internazionale
‘Jubilee2000/Sdebitarsi’, il Parlamento italiano nel luglio 2000 aveva varato
la legge 209 che prevedeva, entro il 2004, l’eliminazione dei debiti dovuti
all’Italia. L’intesa tra Italia e Guinea, siglata a Conakry, prevede il
versamento di sette milioni e mezzo di euro da reinvestire in progetti allo
sviluppo. Sei milioni arriveranno dalla campagna lanciata dalla Conferenza
episcopale; il resto corrisponde a una parte del debito che la Guinea avrebbe
dovuto versare all’Italia. Il fondo sarà amministrato da un comitato composto
da membri nominati dal governo della Guinea, dalla Fondazione e saranno
esponenti della società civile. Gli investimenti del fondo saranno controllati
a loro volta da un comitato di sorveglianza coordinato dai governi italiano,
guineano e dalla Fondazione. “Con questa campagna – ha detto Riccardo Moro -
siamo riusciti a mettere intorno ad un tavolo i rappresentanti dei governi di
entrambi i Paesi insieme ad esponenti della società civile”. L’obiettivo è
quello di ottenere la cancellazione del debito, trasformandolo in finanziamento
per la lotta alla povertà. L’aspetto importante di questa campagna non è solo
riuscire a costruire ospedali e scuole, ma soprattutto incidere sulle regole e
sulle politiche, rendendo protagonista la società civile locale. (C.C.)
MANILA. = La Chiesa delle filippine non è d’accordo con la
politica del governo nei confronti degli organismi geneticamente modificati
(ogm). Il “Network per l’agricoltura sostenibile”, un’organizzazione
recentemente fondata dal Segretariato nazionale dei vescovi cattolici per
l’azione sociale e la giustizia (Nassa), ha criticato la decisone del governo
di autorizzare la commercializzazione di cereali geneticamente modificati. Nel
dna del vegetale è stato inserito un tratto del patrimonio genetico del
batterio Bacillus Thuringiensis che rende le piante capaci di produrre
una sostanza velenosa per alcuni parassiti. Queste piantagioni potrebbero essere
rischiose per l’ecosistema e per la salute umana. Alcuni campi, malgrado
l’opposizione dei residenti e della Chiesa locale, sono già stati seminati con
il metodo sperimentale in diverse parti del Paese. E’ accaduto, ad esempio,
nella diocesi di Isabela e in quella di Marbel. In passato il vescovo di Marbel
e presidente del Nassa, mons. Dinualdo Guitierrez, aveva suggerito cautela nei
confronti degli ogm sollecitando accertamenti sui rischi per l’ambiente e per
l’uomo. Il settore agricolo filippino sta attraversando un periodo di forte
crisi. L’entrata di Manila nel consorzio dell’Organizzazione mondiale del
commercio (Wto) ha infatti costretto il Paese asiatico ad accettare le leggi
del libero mercato e ad abbattere ogni forma di protezionismo. L’arrivo nel
mercato filippino di tonnellate di prodotti agricoli provenienti dai Paesi
ricchi ha gravemente danneggiato le produzioni locali. (A.L.)
“NO AL SILENZIO DELLE ISTITUZIONI SUGLI EPISODI
DI FOLLIA”.
QUESTO
L’APPELLO DEL PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE “CRISTIANI PER SERVIRE”, FRANCO
PREVITE,
DOPO
L’ASSASSINIO DELLA SEDICENNE ANITA ZAMPARELLI,
LA
RAGAZZA UCCISA MERCOLEDI’ SCORSO DA UN MALATO DI MENTE
ROMA. = “Sulle malattie mentali le istituzioni sembrano
voler proseguire nel silenzio e nel disinteresse, nonostante i numerosi episodi
di follia quotidianamente raccontati dai mass media”. E’ la denuncia del
presidente dell’associazione "Cristiani per servire", Franco Previte,
che si sofferma sul problema dei malati mentali. L’ultimo tragico caso che si è
dovuto purtroppo registrare è quello di Anita Zamparelli, la sedicenne uccisa
mercoledì scorso da un malato mentale a Priverno, in provincia di Latina. Non
bisogna dimenticare, soprattutto nel 2003, l’anno europeo dei disabili, quanti
soffrono disagi psichici. E’ necessario riconoscere e curare i disturbi di
natura psichica perché questi, progressi-vamente, logorano le resistenze dei
malati, delle loro famiglie e della società. Dalla constatazione che in moltissime
famiglie è purtroppo presente il dramma della malattia mentale, deriva l’appello
dell’associazione alle istituzioni, affinché non considerino questi malati come
dei "desaparecidos" della nostra civiltà. “Dopo la chiusura
degli ospedali psichiatrici - denuncia l’associazione "Cristiani per
servire" - non sono state realizzate strutture alternative ai manicomi”. "E’
necessario operare per lo sviluppo integrale dell’uomo - conclude
"Cristiani per servire" - cercando nella ricerca scientifica, nella
scienza medica e nei provvedimenti legislativi una civile risposta a questo
grave ed urgente disagio sociale”. (A.L.)
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19 aprile 2003
- A cura
di Barbara Castelli -
Cresce nel mondo la paura per la diffusione del virus
Sars, più noto come polmonite atipica. Secondo l’ultimo bilancio diffuso
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità i casi sospetti finora individuati
sono oltre 3.460, in 27 aree diverse, mentre 184 sono i morti. In Italia,
intanto, si è sgonfiato il caso dell’imprenditore
napoletano, morto, secondo l’autopsia, per una normale polmonite. In
Canada, invece, le autorità sanitarie di Toronto e dell’Ontario hanno invitato
tutti a stare in quarantena al primo sintomo della malattia. Nonostante i duri
provvedimenti minacciati dal governo di Pechino nei confronti di chi non
segnalerà tempestivamente i casi di Sars, l’Oms accusa il Governo cinese di
aver taciuto la gravità dell’infezione. Sentiamo Bernardo Cervellera.
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Dopo aver
visitato alcuni ospedali civili e militari, l’Organizzazione Mondiale della
Sanità ha dichiarato che vi sono almeno 200 malati e oltre 1000 casi sospetti.
Nessun giornale cinese ha, però, pubblicato le dichiarazioni dell’Oms.
Personale medico cinese ha dichiarato che gli ospedali della capitale sono
pieni di malati affetti dal virus ancora incurabile. Le autorità li obbligano
ufficialmente al silenzio per evitare scosse all’economia e tensioni fra il pubblico.
Intanto, a Pechino si è ormai diffusa la paura: 13 università hanno avuto dei
casi e agli studenti è stato proibito di tornare a casa per le vacanze.
Venditori al dettaglio e ristoranti, a causa del poco afflusso di clienti,
hanno chiuso i battenti.
Per la Radio Vaticana, Bernardo Cervelliera.
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Medio Oriente. Sarà presentato
domani al Consiglio legislativo di Ramallah, in Cisgiordania, il nuovo governo
palestinese del premier Abu Mazen. Sarebbero, infatti, stati superati i
contrasti sulla lista dei ministri, inizialmente respinta dal leader
dell’Autorità Nazionale Palestinese, Yasser Arafat. Il varo del governo di Abu
Mazen è fondamentale per riavviare il processo di pace in Medio Oriente. Una
volta insediato, infatti, gli Stati Uniti pubblicheranno la ‘road map’,
realizzata insieme con Unione Europea, Nazioni Unite e Russia. Nei territori,
tuttavia, la violenza continua a seminare distruzione. Nel corso di un’azione
militare condotta stamani dall’esercito israeliano a Nablus, nel nord della
Cisgiordania, ha perso la vita un cameraman della Tv palestinese, mentre altre
14 persone, tra cui un adolescente, sono rimaste ferite.
I colloqui multilaterali fra Corea del Nord, Stati Uniti e
Cina, si apriranno come previsto la prossima settimana a Pechino, nonostante le
ambigue dichiarazioni di ieri di Pyongyang sulla riattivazione di un impianto
per il riciclaggio di barre di uranio. Lo ha annunciato oggi il vice ministro
degli esteri sudcoreano, Lee Soo Hyuck. Il riciclaggio di uranio combusto è un
processo che può produrre uranio utile per ordigni atomici.
E nuovi colloqui di pace riprenderanno forse a breve anche
fra India e Pakistan, per la contesa regione del Kashmir. Il primo
ministro indiano, Atal Bihari Vajpayee, in visita da ieri nel travagliato
Stato, ha dichiarato che New Delhi è pronta a tendere la mano a Islamabad.
Positiva la reazione del Pakistan, che si è detto disposto “a riavviare i
colloqui di pace in qualunque momento”.
La Costa d’Avorio, in preda alle violenze dal 19
settembre scorso, non riesce a trovare la via della pace. Fonti indipendenti
riferiscono di nuovi scontri, nonostante la tregua sottoscritta da governo e
ribelli. Per i dettagli, il servizio di Giulio Albanese.
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Vi sarebbe, infatti, stata un’ennesima scaramuccia tra
Governo e ribelli nei pressi di Daloa, la capitale del cacao, nella zona
occidentale del Paese, poche ore dopo che i ministri, rappresentanti della
ribellione ivoriana, avevano partecipato ad una riunione del nuovo governo di
unità nazionale. La notizia è stata confermata anche dal portavoce della forza
di interposizione, inviata in Costa d’Avorio dalla Comunità economica dei Paesi
dell’Africa occidentale, l’Ecowas, per vigilare sul cessate il fuoco. Gli
scontri di Daloa seguono i combattimenti avvenuti nel corso dell’ultima
settimana, sempre nel settore occidentale del Paese.
Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.
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Storiche elezioni oggi in Nigeria. Circa 61 milioni di
elettori sono chiamati a eleggere il loro presidente e i governatori dei 36
stati della federazione. I candidati in lizza sono 20, ma il principale
avversario del favorito presidente uscente, Olusegun Obasanjo, sarà l’ex
generale Muhammadu Buhari.
Ennesima fiammata di violenza ieri in Colombia. 3 persone,
tra cui un ragazzo 14.ne e un soldato, sono state uccise dopo che presunti
uomini delle Farc hanno aperto il fuoco contro le forze dell’ordine, che
scortavano la processione della via Crucis a El Dolores, 200 km a sud-est di
Bogotà. Gli attentatori sono riusciti a far perdere le proprie tracce.
Almeno 11 morti e 50 feriti: è
il bilancio dell’ultima sommossa scoppiata ieri in un carcere nel nord del
Venezuela. Secondo quanto hanno reso noto fonti giornalistiche, bande rivali di
reclusi si sarebbero scontrati a colpi di machete. È la terza rivolta in 15
giorni.
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