RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 99 - Testo della Trasmissione mercoledì 9 aprile 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

All’udienza generale, un nuovo preoccupato pensiero del Santo Padre alla guerra in Iraq e un accorato appello per la pace nella regione africana dei Grandi Laghi, teatro di massacri ed esecuzioni sommarie.

 

Con il Papa in Piazza San Pietro domani pomeriggio 50 mila giovani, in preparazione alla 18.ma Giornata Mondiale della Gioventù, che si celebra Domenica delle Palme.

 

Dichiarazione del portavoce vaticano Joaquin Navarro Valls sull’incontro tra mons. Jean-Louis Tauran, segretario per i Rapporti con gli Stati e John Bolton, sottosegretario del Governo statunitense

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Un canto di pace su testo di Giovanni Paolo II e interpretato da Placido Domingo, nel concerto che si terrà ad Ancona il 28 aprile: ai nostri microfoni, il maestro Marco Tutino e mons. Claudio Giuliadori.

 

Nella guerra in Iraq, ore decisive per il regime di Saddam Hussein. A Baghdad in migliaia festeggiano l’ingresso delle truppe alleate, mentre si moltiplicano i saccheggi in città. Si aggrava la situazione negli ospedali. Interviste con Anna Migotto, Roland Huguenin, Stefano Silvestri e Magdi Allam.

 

CHIESA E SOCIETA’:

L’altissimo messaggio della “Pacem in terris” di Giovanni XXIII, rilanciato di fronte ai conflitti in atto da mons. Renato Martino a Padova per i 40 anni della storica enciclica.

 

La fede, motore dell’impegno dei cattolici inglesi e gallesi nell’aiuto ai più bisognosi, è quanto afferma il rapporto della fondazione Joseph Rowntree.

 

Manifestazioni in Colombia per la liberazione di 60 bambini sequestrati negli ultimi anni.

 

Decisa opposizione dell’episcopato cattolico e di quello protestante per la proposta al governo dello Sry Lanka circa la reintroduzione della pena capitale.

 

21 i morti nell’incendio scoppiato in una fabbrica nella Cina Orientale.

 

24 ORE NEL MONDO:

 Nuova fiammata di violenza in Medio Oriente.

 

Cresce la tensione tra Giappone e Corea del Nord, mentre il Consiglio di Sicurezza dell’Onu non raggiunge l’accordo sulla condanna del riarmo di Pyongyang.

 

Nuove condanne a Cuba contro gli oppositori di Fidel Castro.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

9 aprile 2003

 

 

IL CONFLITTO IN IRAQ E I SANGUINOSI SCONTRI

NEL CONTINENTE AFRICANO NEL PENSIERO PREOCCUPATO

DI GIOVANNI PAOLO II ALL’UDIENZA GENERALE

 

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

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Il cuore del Papa addolorato per gli scontri che continuano in Iraq con morti e distruzioni ma anche per “le notizie non meno preoccupanti che giungono dal continente africano”, dove nei giorni scorsi si sono consumati massacri ed esecuzione sommarie nella tormentata regione dei Grandi Laghi, in particolare nella Repubblica democratica del Congo.

 

Nell’elevare a Dio una fervida preghiera di suffragio per le vittime, rivolgo un accorato appello ai responsabili politici, come pure a tutti gli uomini di buona volontà, affinché si impegnino a far cessare violenze e soprusi, mettendo da parte egoismi personali ed interessi di gruppo, con la fattiva collaborazione della comunità internazionale. Per questo è da incoraggiare ogni sforzo di riconciliazione fra le popolazioni congolesi, ugandesi e rwandesi, come anche gli sforzi analoghi che sono in corso in Burundi ed in Sudan, sperando che da essi possa sbocciare presto la tanto desiderata pace.”

 

Un appello in tal senso è giunto anche dall’Assemblea provinciale dei vescovi di Kisangani, nella Repubblica democratica del Congo, costernati di fronte alla brutalità della strage che ha fatto un migliaio di vittime nella regione dell’Ituri, nel nord est del Paese africano. I presuli denunciano “una volta di più l’ideologia etnocentrica e la forza come modo di conquista del potere politico”, nel particolare momento in cui il Paese s’impegna sulla via della democrazia e dello stato di diritto; invocano quindi che siano previlegiate “le iniziative di pace, di perdono e di riconciliazione, nella giustizia e nella verità”.

 

Ad ascoltare stamane Giovanni Paolo II erano 15 mila persone di numerosi Paesi, che hanno affollato la piazza San Pietro, in questa rigida giornata di primavera romana. La catechesi del Santo Padre si è soffermata sul Salmo 134  “Lodate il Signore che opera meraviglie”, che introduce nei grandi misteri della Redenzione. Dio libera il popolo eletto dalla schiavitù della terra d’Egitto e l’introduce nella Terra Promessa. “Una riflessione - ha detto il Papa - che vogliamo trasformare in preghiera” nell’approssimarsi della Settimana Santa. Noi siamo infatti chiamati a contemplare Dio, Padre e Creatore del mondo, Lui che ama e salva il suo popolo. Egli ha voluto che regni la pace e la concordia, perché desidera il bene delle sue creature e manifesta la sua generosità verso di noi, che facciamo ricorso alla sua misericordia attraverso il Signore Gesù Cristo, che ha compiuto la piena liberazione dell’uomo mediante la Sua morte e risurrezione.

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NOMINE DI NUNZI APOSTOLICI E RINUNCIA CON SUCCESSIONE IN BRASILE

 

Il Papa ha nominato nunzio apostolico in Ungheria l’arcivescovo polacco mons. Juliusz Janusz, finora nunzio apostolico in Mozambico.

 

Il Santo Padre ha pure nominato nunzio apostolico in Slovenia e in Bosnia Erzegovina l’arcivescovo spagnolo mons. Santos Abril y Castellò, finora nunzio apostolico in Argentina.

 

In Brasile, il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Joacaba, presentata dal vescovo mons. Osòrio Bebber, dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, in conformità alla norma canonica relativa ad “infermità o altra grave causa”. Gli succede il presule mons. Walmir Alberto Valle, dell’Istituto Missioni Consolata, finora vescovo coadiutore della stessa diocesi.

 

 

DOMANI INCONTRO DI PREGHIERA E MUSICA PER LA PACE:

IN 50.000 IN PIAZZA SAN PIETRO CON IL PAPA

IN PREPARAZIONE ALLA XVIII GIORNATA DELLA GIOVENTU’,

CHE SI CELEBRERA’ LA PROSSIMA DOMENICA DELLE PALME

 

“Desidero affidare l’impegno della pace soprattutto ai giovani”. Lo ha detto il Papa domenica scorsa all’Angelus. Lui stesso aveva annunciato l’incontro di domani pomeriggio: oltre 50.000 giovani di Roma e Lazio, sono attesi in piazza San Pietro per un momento di preghiera e di musica per la pace, in preparazione alla XVIII Giornata mondiale della Gioventù che si celebrerà domenica prossima, Domenica delle Palme in tutte le diocesi del mondo, mentre è già in preparazione il nuovo grande incontro dei giovani del mondo con Giovanni Paolo II a Colonia, in Germania,  per il 2005. Ci soffermiamo ora sulle origini delle Giornate mondiali che continuano a stupire il mondo per il sorprendente risveglio della fede che suscitano. Il servizio è di Carla Cotignoli.

 

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(musica)

 

Tutto ha inizio quella Domenica delle Palme del 1986. Le parole che il Papa pronuncia  sono oggi di un’estrema attualità. “Questo giorno – aveva detto – è legato alla speranza che non delude. Non sono rimasti delusi coloro che a Gerusalemme, hanno gridato: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Le generazioni che sempre si rinnovano, hanno bisogno di questa speranza. Ne hanno sempre più bisogno. Ma riascoltiamo direttamente la sua voce: 

 

La Giornata della Gioventù significa proprio questo: andare incontro a Dio, che è entrato nella storia dell’uomo, mediante il mistero pasquale di Gesù Cristo. Vi è entrato in modo irreversibile. E vuole incontrare prima voi. Giovani. E a ciascuno vuol dire: “Seguimi, seguimi. Io sono la Via, la Verità e la Vita”.   

 

Milioni di giovani hanno preso sul serio queste parole. Il Papa non ha mai nascosto che questa scelta di resurrezione e di speranza ha radici nella croce. Sin dal 1984, anno in cui si celebrava l’Anno Santo della Redenzione aveva consegnato proprio ai giovani una nuda croce di legno con queste parole: “Portatela nel mondo, come segno dell’amore del Signore Gesù per l’umanità”. La domenica delle Palme del 1985 erano in 300.000 i giovani in piazza San Pietro. E’ stata dunque la loro sorprendente rispondenza che ha suscitato nel Papa l’ispirazione delle Giornate della Gioventù. Da allora di anno in anno i giovani l’hanno portata in pellegrinaggio in moltissime città del mondo. Dopo l’incontro mondiale di Toronto del 2002, la croce è ritornata in Europa: ha percorso molte città della Repubblica Ceca e dell’Ungheria. E’ tornata in tempo per domani quando campeggerà in piazza San Pietro, mentre domenica, i giovani canadesi la affideranno ai coetanei della Germania, prossima tappa del suo incessante pellegrinaggio. E’ questo un pellegrinaggio che tocca la vita. Attraverso la croce molti giovani sperimentano la Resurrezione e trovano il coraggio di decidersi per il Vangelo.

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LA GUERRA NEL GOLFO IN PRIMO PIANO NEL COLLOQUIO IN VATICANO

TRA MONS. JEAN-LOUIS TAURAN, SEGRETARIO PER I RAPPORTI CON GLI STATI,

E JOHN BOLTON, SOTTOSEGRETARIO DEL GOVERNO DEGLI STATI UNITI

PER IL CONTROLLO DEGLI ARMAMENTI E LA SICUREZZA INTERNAZIONALE

 

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

Il conflitto in Iraq e la crisi in Medio Oriente sono stati, stamani, al centro di un colloquio in Vaticano tra mons. Jean-Luois Tauran, segretario per i Rapporti con gli Stati, e John Bolton, sottosegretario del governo degli Stati Uniti per il controllo degli armamenti e la sicurezza internazionale. Bolton, riferisce una nota del direttore della Sala Stampa vaticana, Navarro-Valls, ha esposto il “pericolo rappresentato dalla proliferazione delle armi di distruzione di massa in diverse parti del mondo”. Quindi, ha ribadito “l’impegno del suo governo a rispettare lo ius in bello e ha apprezzato la disponibilità della Chiesa cattolica a collaborare nel campo umanitario per alleviare le sofferenze della popolazione irachena”.

 

Infine, si legge nella nota, Bolton ha fatto riferimento a quanto recentemente affermato dal presidente Bush a Belfast, sulla “necessità di una rapida soluzione del conflitto israelo-palestinese per dare all’intero Medio Oriente le sue chances per la pace”.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

“Riconciliazione per i popoli dei Grandi Laghi” è il titolo della prima pagina in riferimento al sofferto appello di Giovanni Paolo II per l’Africa dalla quale giungono tragiche notizie, in particolare dalla Repubblica Democratica del Congo. In evidenza anche la situazione in Iraq dove la mancanza di medicinali impedisce di portare soccorso ai moribondi e ai feriti.

 

Nelle vaticane, la Facoltà di Teologia di Napoli ricorda Italo Mancini; Per il cammino della Chiesa in America, articoli dalla Colombia, dall’Argentina, dal Messico, dal Perù e dal Brasile.

 

Nelle pagine estere, il punto della situazione in Iraq con l’allarme lanciato dall’Oms per le gravi difficoltà in cui versa la popolazione civile, mentre proseguono i combattimenti a Baghdad. Vertice a San Pietroburgo tra Putin, Chirac e Schrőeder. I Paesi Arabi chiedono una riunione dell’Assemblea Generale dell’Onu. La guerra miete vittime anche tra i giornalisti: undici morti e due dispersi. In Medio Oriente, un raid israeliano a Gaza provoca la morte di cinque persone; il contrasto tra Arafat e Mahmud Abbas ritarda la formazione del Governo palestinese. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu non raggiunge l’accordo sulla condanna alla Corea del Nord: la Cina minaccia il veto.

 

Nella pagina culturale, ricordo dello scultore Lorenzo Guerrini a un anno dalla morte.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano i temi della politica e della giustizia.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

9 aprile 2003

 

 

ORE DECISIVE PER IL REGIME DI SADDAM HUSSEIN.

A BAGHDAD IN MIGLIAIA FESTEGGIANO l’INGRESSO DELLE TRUPPE ALLEATE,

 MENTRE SI MOLTIPLICANO I SACCHEGGI NELLA CITTA’

 

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

Con il trascorrere delle ore, sembra ormai approssimarsi il tramonto del regime di Saddam Hussein. Momenti drammatici si vivono soprattutto a Baghdad, dove in alcuni quartieri settentrionali della città, migliaia di iracheni hanno accolto festosamente il passaggio delle truppe alleate. D’altro canto, mentre prosegue l’avanzata dei marine verso il cuore della capitale e carri armati statunitensi hanno già fatto ingresso nella centralissima piazza Tahrir, si sono moltiplicati i saccheggi da parte della popolazione. Presi di mira i palazzi presidenziali, il comitato olimpico e il quartier generale delle Nazioni Unite. Per la Casa Bianca e il Comando alleato, tuttavia, gli avvenimenti di oggi non possono ancora far ritenere imminente la fine del conflitto. Baghdad, dunque, è ormai in uno stato di anarchia. Ce lo conferma dalla capitale dell’Iraq, la giornalista Mediaset, Anna Migotto, contattata pochi minuti fa:

 

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R. - La città ormai è una città senza regole, senza controlli, in mano a bande di criminali o di disperati, che stanno saccheggiando tutto quello che è possibile saccheggiare. Sono le classiche situazioni di vuoto totale di potere. Nelle strade, abbiamo girato un po’, non ci sono poliziotti né miliziani, né fedayn. Non c’è nessuno. Davvero l’impressione è quella che sia finita. La gente è allo sbando. Hanno visto sparire gli uomini del regime, del partito, i poliziotti, i militari che li hanno tenuti sotto controllo. Oggi non c’è veramente nessuno di loro. Sono spariti.

 

D. – Quindi sembra impossibile un colpo di coda delle forze fedeli a Saddam Hussein, almeno allo stato dei fatti?

 

R. – E’ difficile prevedere un colpo di coda. Noi crediamo che se ci sarà ancora resistenza potrebbe essere nell’area di Tikrit, la città natale di Saddam Hussein. Qui, a Baghdad, non abbiamo l’impressione che ci possa essere un colpo di coda. Stamattina siamo stati a Saddam City, enorme sobborgo di Baghdad, dove vivono circa 3 milioni di sciiti, e stavano saccheggiando tutto, anche la sede del partito Baath. C’è stato qualche scontro armato, ma non abbiamo l’impressione che il regime possa tenere più sotto controllo questa città.

 

D. – Comunque la situazione è di assoluta confusione e da quello che dici non c’è alcuna notizia del rais, dei figli, degli altri membri del governo, letteralmente evaporati …

 

R. – No, non c’è nessuna notizia. Gli iracheni, molti cittadini con cui parliamo, si dicono convinti che se ne sia andato da molto tempo. Parlano di chissà quali accordi segreti con chissà chi. Parlano del fatto che a Baghdad forse è rimasto un sosia. Fanno degli scenari incredibili. Io parlo con la gente, quindi questo vi posso riferire: qui sono convinti che se ne sia andato da molto tempo.

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La struttura di “comando e controllo” irachena nella capitale sembra essersi disintegrata, ha affermato stamani un portavoce del premier britannico. Se dunque i riflettori della comunità internazionale sono puntati su Baghdad, prosegue la guerra sul fronte nord. Peshmerga curdi sono entrati oggi nel villaggio di Bedriki, importante crocevia tra Erbil e Mossul, nel Kurdistan iracheno. Ma come sta vivendo questi concitati sviluppi del conflitto la comunità cristiana in Iraq? Roberto Piermarini lo ha chiesto al nunzio apostolico a Baghdad, mons. Fernando Filoni:

 

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R. – La comunità cristiana qui a Baghdad – ho visitato ieri alcune parrocchie – sta abbastanza bene. Non abbiamo notizie di Bassora e del nord e nemmeno di Kirkuk, perché non ci sono linee telefoniche. Però credo che nelle diocesi del nord ci sia una iperpopolazione  perché molti cristiani, molta gente dei villaggi intorno a Baghdad si è trasferita al nord. Lì ho sentito dire che c’è bisogno di vettovagliamenti e di acqua.

 

D. – Che notizie avete avuto sui tre giornalisti uccisi ieri a Baghdad?

 

R.- Sono giornalisti che, purtroppo, in questa situazione, hanno pagato anche loro per il contributo che danno a far conoscere la situazione nel Paese. Alcuni li avevo conosciuti perché erano passati qui in Nunziatura. Certo, c’è una grande amarezza ed è il minimo che si possa dire. Speriamo,come ha detto il Papa domenica scorsa, che la guerra duri il minimo possibile e finisca al più presto.

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Intanto, mentre non si placano le polemiche dopo la morte dei tre giornalisti ieri a Baghdad a causa di colpi d’artiglieria americani, nella mattinata sono stati restituiti ai sette inviati italiani i passaporti, che erano stati loro sequestrati da funzionari iracheni al momento del fermo, una settimana fa. Sul fronte umanitario, è sempre grave la situazione negli ospedali di Baghdad, dove secondo rappresentanti delle Nazioni Unite, i nosocomi “non riescono più neanche a contare i feriti”. Mancano medicinali, inclusi antibiotici e anestetici. I medici sono ormai costretti a lavorare in condizioni insostenibili, come spiega da Baghdad il rappresentante della Croce Rossa Internazionale, Roland Huguenin, raggiunto telefonicamente da Alessandro Guarasci:

 

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R. – WE ARE VERY CONCERNED....

Siamo molto preoccupati per un ospedale nel centro della città che ha almeno 650 posti. Al momento non dispone di acqua corrente, Ci siamo attrezzati con un servizio di autobotti e questo permette anche di far fronte alle principali esigenze dei pazienti. Il nostro obiettivo è anche collegare l’ospedale con una delle principali stazioni di pompaggio, che però è stata duramente colpita dai bombardamenti. Questo comporta grossi problema per una gran parte della città. Spero che finché continuerà la battaglia la popolazione e le infrastrutture siano risparmiate.

 

D. – Mancano medicine negli ospedali?

 

R. – MEDICINES COMES FROM OTHER PLACES ...

Fino adesso abbiamo portato negli ospedali le medicine che servono per la chirurgia ed i casi più gravi. Va comunque detto che il numero dei feriti in questi ultime ore sta continuamente aumentando, ma non è possibile fare statistiche precise.

 

D. – Dato che manca l’acqua è possibile che scoppino epidemie di colera?

 

R. -  NO, AT THE MOMENT ...

No, al momento non si registrano casi di colera, ma è certo che se l’acqua continuerà a mancare per molto tempo sarà davvero difficile lavorare. Stiamo lavorando davvero sotto pressione

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La diplomazia internazionale è già al lavoro per il futuro dell’Iraq. Il presidente russo Putin incontrerà, nella fine settimana a San Pietroburgo, il presidente francese, Chirac, il cancelliere tedesco, Schroeder e il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan per discutere della situazione irachena. Ieri, invece, nel vertice di Belfast, il presidente americano Bush e il premier britannico Blair hanno trovato un accordo sul ruolo che le Nazioni Unite dovranno svolgere nell’Iraq postbellico. Nel documento pubblicato al termine del summit, i due leader si impegnano a sollecitare l’adozione di nuove risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che assicurino l’integrità territoriale dell’Iraq, garantendo la rapida consegna di aiuti umanitari. Ma quali sono le novità del testo firmato da Bush e Blair? Giada Aquilino lo ha chiesto al prof. Stefano Silvestri, presidente dell’Istituto Affari Internazionali: 

 

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R. – Ho l’impressione che questa dichiarazione contenga alcune novità, in riferimento all’opportunità di una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza, sia per garantire l’integrità dell’Iraq che per dare una sorta di legittimità ad un futuro governo iracheno. La seconda è che le Nazioni Unite devono avere un ruolo vitale che è qualcosa di diverso da un ruolo qualsiasi. E la terza è che si parla di un governo provvisorio in Iraq che dovrebbe essere composto,

 

ha detto Bush, di iracheni dell’estero e dell’interno. Questo sembrerebbe escludere l’idea di un governo provvisorio composto da americani.

 

D. – In questi giorni ci sono state polemiche sulla corsa delle grandi multinazionali ad accaparrarsi l’Iraq del dopoguerra. Dopo questa dichiarazione, queste polemiche diminuiscono o possono andare avanti?

 

R. –  Questa dichiarazione è abbastanza generica, quindi bisognerà vedere come   verrà interpretata nei fatti. Nel frattempo è chiaro che ci saranno pressioni dalle multinazionali per avere contratti comunque. Ed è anche chiaro che molto dipenderà da chi metterà i soldi. Se i soldi li metteranno gli americani saranno multinazionali americane. Se i soldi li metteranno anche gli altri, anche le altre aziende avranno la loro fetta.

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Mentre le truppe statunitensi danno la caccia a Saddam Hussein nel cuore di Baghdad, ieri è tornato a farsi vivo Osama Bin Laden. Lo “sceicco del terrore”, attraverso un’audiocassetta giunta in Pakistan, incita tutti i musulmani alla guerra santa non solo contro gli anglo-americani, ma anche a danno di quei Paesi islamici - come Bahrein e Kuwait - che sostengono la guerra in Iraq. Ci si interroga, intanto, sul ruolo che Saddam potrebbe svolgere, qualora - come nel caso del leader di Al Qaeda - riuscisse a sfuggire agli americani. Abbiamo raccolto il parere di Magdi Allam, inviato a Kuwait City del quotidiano La Repubblica:

 

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R. – Si tratta di due personaggi diversi, di due casi diversi. Mentre Osama Bin Laden può continuare a propagandare il suo messaggio in qualsiasi parte del mondo islamico dove riesce ad avere degli adepti, viceversa Saddam Hussein, nel momento in cui dovesse allontanarsi dai centri nevralgici del potere in Iraq sarebbe finito.

 

D. – Il rais ha governato con il pugno di ferro il Paese per oltre un ventennio. Questo vuoto di potere potrebbe determinare delle spinte centrifughe, un po’ come è successo nella Jugoslavia del dopo Tito?

 

R. – Il rischio c’è indubbiamente perché l’Iraq è una realtà plurale dal punto di vista etnico, confessionale, comunitario. I 30 anni di potere di Saddam hanno provocato una lunga scia di sangue di un milione di morti iracheni. Stiamo quindi parlando di un genocidio del popolo iracheno. Il rischio è che subito dopo il crollo definitivo del regime ci possa essere una forte spinta alla vendetta tra le comunità che sono state represse verso quelli che vengono considerati responsabili di questi crimini.

 

D. - Qual è il sentimento che, secondo te, prevale nella popolazione irachena, specie di Baghdad, di fronte a questo regime che si sta dissolvendo?

 

R. – Prenderei esempio da quello che è avvenuto nel sud: Quando la popolazione si è trovata con la pistola delle milizie regolari puntata alla propria tempia, non ha fiatato. Nel momento, invece, in cui le forze britanniche e americane nel sud sono riuscite ad ottenere sia la diserzione di elementi delle forze regolari, sia ad agganciare i capi locali, ebbene la gente ha cominciato a ribellarsi ed abbiamo visto le immagini di giovani sorridenti, mentre abbattono le statue di Saddam. Tutto questo indica chiaramente che è una popolazione ostile al regime, ma deve essere messa nelle condizioni di poter esprimere il proprio pensiero.

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UN CANTO DI PACE SU TESTO DI GIOVANNI PAOLO II E INTERPRETATO

 DA PLACIDO DOMINGO, AL CENTRO DI UN CONCERTO

 CHE SI TERRA’ AD ANCONA IL PROSSIMO 28 APRILE

 

- Ai nostri microfoni il maestro Marco Tutino e mons. Claudio Giuliadori - 

 

Un Canto di pace per tenore, coro e orchestra su testo di Giovanni Paolo II. E’ il motivo che rende eccezionale il concerto “Musiche per la pace”, in programma lunedì 28 aprile prossimo ad Ancona e presentato in conferenza stampa ieri nella sede della nostra emittente. La manifestazione musicale che vedrà la partecipazione di Placido Domingo sarà trasmessa in diretta da Radiotre.

Il servizio di Adriana Masotti:

 

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“Non faremo di pietra il nostro cuore come quello dei padri nel deserto. La tua Parola ci colpirà come spada tagliente, tracciando i sentieri del perdono. La tua Parola ci insegnerà a inventare la pace”.

 

Sono alcune delle parole pronunciate da Giovanni Paolo II all’incontro di preghiera per la pace del 24 gennaio 2002 ad Assisi. Ora saranno al centro del concerto in programma al Teatro delle Muse di Ancona il prossimo 28 aprile. Ad interpretare il testo scritto dal Papa sarà il tenore Placido Domingo su musiche del maestro Marco Tutino che, in conferenza stampa, non esita a comunicare la sua emozione:

 

“Sì, l’emozione di affrontare un testo così alto. Di fronte a queste cose si può rimanere anche annichiliti. Il testo veramente ha una serie di concetti che a noi sembrano lontani e antichi, però ancora oggi possono - soprattutto quando ci rendiamo conto di quanto siamo fragili ed impotenti di fronte a tante cose - darci il senso della nostra vita. La musica si è sforzata di essere il più possibile all’altezza, all’altezza soprattutto di questo tipo di comunicazione”.

 

Durante il concerto, che nasce da un progetto di Claudio Orazi, direttore artistico della stagione lirica del Teatro, verranno eseguiti brani di Vivaldi, Mozart, Schubert e Pergolesi. La manifestazione - una prima mondiale - cade in un contesto particolarmente cruciale, segnato com’è dal conflitto in corso. Vuole essere, dunque, anche messaggio di speranza e momento di incontro. Mons. Claudio Giuliadori, direttore dell’Ufficio Cei per le comunicazioni sociali:

 

“Credo che sia innanzitutto una iniziativa di altissimo spessore culturale. Individua la necessità di ritrovare l’armonia piena tra grandi valori dell’esistenza umana e le espressioni artistiche di grande significato. Anche se non programmato ad hoc, oggi questo Canto arriva in un momento in cui siamo ancora più desiderosi della pace. Quindi c’è una contestualizzazione che rende ancora più acuto e forte il senso di questa iniziativa”.

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CHIESA E SOCIETA’

9 aprile 2003

 

 

CON I CONFLITTI INTERNAZIONALI IN ATTO PARTICOLARE IMPORTANZA ACQUISTA L’ATTUALISSIMO MESSAGGIO DELLA

“PACEM IN TERRIS” DI GIOVANNI XXIII:

 LO SOTTOLINEA IL PRESIDENTE DI “GIUSTIZIA E PACE”, ARCIVESCOVO

 RENATO MARTINO, IN UNA COMMEMORAZIONE A PADOVA

 DEL 40.MO ANNIVERSARIO DEL CELEBRE TESTO GIOVANNEO

 

- A cura di Paolo Scappucci -

 

PADOVA. = “Sarebbe assolutamente dannoso se i conflitti internazionali in atto provocassero anche la paralisi o addirittura la crisi di importanti organismi internazionali, primo fra tutti l’Onu. Lo ha affermato il presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, arcivescovo Renato Martino, commemorando a Padova - su invito dell’ordinario locale, mons. Antonio Mattiazzo - il quarantesimo anniversario della “Pacem in Terris” di Giovanni XXIII. Come al tempo della “Pacem in Terris”, anche nelle ore che stiamo vivendo - ha rilevato il presidente di “Giustizia e Pace” - l’umanità è attraversata da lacerazioni, da guerre, da divisione negli organismi internazionali … La “Pacem in Terris” mostrava a tutti gli uomini la loro comunanza nell’unica famiglia umana, li invitava alla rivoluzione dell’eguaglianza e del riconoscimento reciproco, li spingeva ad accogliere i diritti di ogni uomo, che non possono dipendere dal cielo sotto cui si è nati … Quanto faceva Giovanni XXIII allora, fa Giovanni Paolo II. I conflitti internazionali in atto, che tanto ci rattristano e ci preoccupano, richiedono ancora una volta che la Chiesa offra all’umanità il cuore stesso del suo messaggio eterno, quello del Vangelo della pace. Noi tutti avremmo preferito che il 40.mo della “Pacem in Terris” fosse celebrato in un clima internazionale meno carico di tensione. A maggior ragione il suo messaggio acquista oggi particolare importanza, a patto che ne sappiamo cogliere in profondità tutti gli elementi di attualità”. Tra questi mons. Martino ha citato il rapporto tra pace e terrorismo, tra pace e nuovo ordine mondiale, tra pace e unità della famiglia umana. Con riferimento poi all’insistenza di Papa Giovanni sull’interconnessione tra diritti e doveri, mons. Martino afferma che “sarebbe auspicabile che l’umanità, la quale nel 1948 nell’ambito delle Nazioni Unite ha stilato un elenco dei diritti inalienabili della persona umana, si impegnasse ora a sottolineare maggiormente i doveri dell’uomo, perché è il dovere che stabilisce i confini entro i quali i diritti sono veramente a servizio dell’uomo e non semplice esercizio di un vuoto libero arbitrio”.

 

 

LA FEDE, MOTORE DELL’IMPEGNO DEI CATTOLICI INGLESI E GALLESI

NELL’AIUTO AI PIÙ BISOGNOSI. E’ QUANTO AFFERMA IL RAPPORTO

DELLA FONDAZIONE JOSEPH ROWNTREE, UNA DELLE MAGGIORI ORGANIZZAZIONI

CARITATIVE DEL PAESE, CHE SOTTOLINEA LO STRAORDINARIO RUOLO

DELLA CHIESA CATTOLICA NEL CAMPO ASSISTENZIALE

 

LONDRA. = La Chiesa cattolica inglese e gallese è una delle istituzioni più presenti e attive nella lotta alla povertà nel Regno Unito. La Fondazione Joseph Rowntree, una delle maggiori organizzazioni caritative del Paese, sottolinea in un recente rapporto l’impegno dei cattolici nei programmi di assistenza sociale e nella promozione del dialogo tra le comunità delle aree più disagiate. Le politiche britanniche di recupero sociale negli ultimi quindici anni hanno coinvolto sempre la Chiesa cattolica che, con la sua secolare esperienza nell’ambito assistenziale e con la sua evangelica vicinanza nei confronti di chi soffre ha avuto la possibilità di portare avanti migliaia di progetti a beneficio dell’intera comunità in alcune delle zone più povere del Regno Unito. Per esempio, nell’area orientale di Londra, la parrocchia del quartiere di Canning Town, ha messo a disposizione i suoi locali per la creazione di centri di ascolto, assistenza, orientamento e formazione per credenti e non. Il rapporto riconosce che questo dinamismo nasce dalla fede, coniugando ambito sociale e spirituale. La responsabile della rinnovata, Caritas – social action dei vescovi inglesi e gallesi, Sarah Lindsell, ha spiegato le ragioni di questo impegno: “La Chiesa – ha detto - ha la responsabilità di mettere in pratica il suo magistero sociale. Uno dei modi per farlo è il coinvolgimento nelle iniziative di risanamento e recupero sociale. Essere Chiesa significa uscire da sé e andare incontro a chi è nel bisogno. Nelle parrocchie in cui ciò è avvenuto, la vita stessa della comunità dei credenti ha conosciuto un positivo rinnovamento”. (M.A.)

 

 

CIRCA DUEMILA PERSONE IN CORTEO IN TUTTA LA COLOMBIA PER CHIEDERE

LA RESTITUZIONE DEI BAMBINI SEQUESTRATI: TRA I PARTECIPANTI, A BOGOTÀ,

IL VICE PRESIDENTE FRANCISCO SANTOS, SEQUESTRATO NEL ‘90

 

BOGOTÀ. = Circa mille persone hanno marciato domenica nelle vie della capitale della Colombia, ed altrettante nelle altre città del Paese, per chiedere il rilascio degli oltre 60 bambini rapiti negli anni passati, che ancora restano nelle mani dei sequestratori. Tra i manifestanti era presente anche il vice presidente Francisco Santos, tenuto prigioniero per 8 mesi nel 1990 dagli uomini dell’ex ‘signore’ del narcotraffico Pablo Escobar. “Il sequestro è un delitto abominevole ma doppiamente orribile quando si tratta di bambini” ha detto il sindaco di Bogotà, Antanas Mockus, ricordando i 43 minori sequestrati dall’inizio di quest’anno. Nel 2002 è stato rapito un bambino al giorno: un ultimo caso si è registrato la settimana scorsa, quando 5 uomini armati hanno portato via un bambino di tre anni, Vitys Karanauskas, mentre era sul pulmino della scuola. Le autorità militari affermano che 7 dei piccoli recentemente scomparsi sono nelle mani delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia, mentre 11 sarebbero trattenuti da un altro gruppo ribelle, l’Esercito di liberazione Nazionale. Recentemente l’Esercito ha portato a termine il salvataggio di 6 minori. Ogni anno in Colombia vengono sequestrate 3000 persone, di cui non tutte fanno ritorno a casa. (S.C.)

 

 

PROPOSTA DAL GOVERNO DELLO SRY LANKA AL PARLAMENTO LA REINTRODUZIONE

DELLA PENA CAPITALE. L’EPISCOPATO CATTOLICO E QUELLO PROTESTANTE

 HANNO ESPRESSO UNA DECISA OPPOSIZIONE AL PROVVEDIMENTO

 

KANDY. =  Una ferma presa di posizione è stata adottata congiuntamente dai vescovi cattolici e protestanti dello Sri Lanka, contro la proposta del governo del Paese di reintrodurre la pena capitale. Secondo quanto riferisce l’agenzia Ucanews, a margine della loro Assemblea plenaria, tenutasi nei primi giorni di aprile a Kandy, i vescovi cattolici hanno incontrato i rappresentanti dell’episcopato protestante: comune è stata la convinzione che esistono altre vie per contrastare l’aumento della criminalità. Il governo dello Sri Lanka ha recentemente avanzato la proposta di ripristinare la pena di morte per combattere la crescita della criminalità: ora si attende il dibattito del Parlamento. La decisione del governo ora allarma l’episcopato cattolico: “Nessun Paese che ha la pena capitale – ha detto il presidente della Conferenza episcopale cingalese, mons. Oswald Gomis – può dire di avere un sistema giudiziario perfetto”. Sebbene l’episcopato cattolico avverta la crescita della criminalità, ribadisce con forza che la soluzione non è l’esecuzione capitale: “Il crimine – ha continuato mons. Gomis - deve essere combattuto come un malessere sociale che ha bisogno non di misure punitive che inaspriscano i detenuti ed abbassino la stima in se stessi, ma di un’azione correttiva che riannodi i legami recisi con la società e promuova la dignità umana”. La strategia per giungere a questo fine è doppia: “Per prima cosa  - ha suggerito mons. Gomis - la società civile deve accettare la responsabilità comune per le persone che hanno commesso degli errori ed intraprendere, come comunità, un’azione che rimedia a quello sbaglio. In secondo luogo, la società civile deve essere forte nei confronti dello Stato per giungere ad una revisione del Codice civile, così come del sistema giudiziario, che sia più equo e imparziale nel pieno rispetto della dignità di tutti”. (M.A.)

 

 

21 MORTI IN QUESTO FINE SETTIMANA PER UN INCENDIO IN FABBRICA

NELLA CINA ORIENTALE. ALMENO 100 LE PERSONE DECEDUTE A SEGUITO

DI INCIDENTI SUL LAVORO, LO SCORSO MESE, NEL GRANDE PAESE ASIATICO

 

PECHINO. = 21 persone sono morte in Cina a seguito di un incendio all’interno di una fabbrica di prodotti alimentari durante il fine settimana. Secondo il quotidiano locale Daily Chian l’incidente è avvenuto in un’officina della Qingdao Zhengda corporation, vicino al capoluogo della provincia di Shangdong, nella parte orientale della Cina. In base a quanto riferito da testimoni, il calore sviluppato dall’incendio ha fatto crollare la struttura in acciaio che ospitava l’impianto, bloccando la via di fuga a molti lavoratori che si trovavano all’interno. Un bilancio ufficiale riferisce che in Cina nel solo mese di marzo almeno 100 persone sono rimaste uccise in incidenti sul lavoro. (S.C.)

 

 

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24 ORE NEL MODO

9 aprile 2003

 

 

- A cura di Barbara Castelli -

 

Si riaccende la violenza in Medio Oriente. Almeno 29 palestinesi sono rimasti feriti oggi in un attentato dinamitardo compiuto da un gruppo di estrema destra nella scuola femminile Farid Ghannam di Al Jabar, in Cisgiordania; mentre la città di Beit Hanun, nel nord della striscia di Gaza, è stata totalmente circondata dalle forze israeliane. Nel corso di quest’ultima operazione 2 palestinesi sono rimasti uccisi, mentre altri 10 sono stati feriti. Intanto, il movimento estremista islamico Hamas ha promesso vendetta per l’uccisione di un suo capo militare, avvenuta ieri a Gaza, nel corso di un raid aereo. Il servizio di Graziano Motta.

 

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Uno solo dei 2 missili, lanciati ieri sera da elicotteri israeliani in un quartiere popolato di Gaza città, ha centrato l’automobile su cui viaggiava Saad Al Arabid, uno degli esponenti militari più ricercati di Hamas, e un suo stretto collaboratore, entrambi rimasti uccisi. I missili hanno causato la morte di altre 5 persone, dei passanti, fra cui una donna e 2 bambini. Fonti ufficiali israeliane tengono a precisare come Al Arabid fosse uno dei terroristi più ricercati, responsabile fra l’altro dell’attentato compiuto qualche anno fa contro un autobus a Tel Aviv, e dell’uccisione di un soldato israeliano. Sul piano politico è stato revocato dagli israeliani l’assedio al quartier generale di Ramallah, dove vive Yasser Arafat.

 

Per Radio Vaticana, Graziano Motta.

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La comunità internazionale, intanto, moltiplica gli sforzi per rilanciare il processo di pace in Medio Oriente. Il ministro degli esteri tedesco, Joschka Fischer, ha incontrato stamani a Ramallah il presidente palestinese Yasser Arafat. Nel corso dell’incontro, Fischer ha assicurato che la Germania insisterà affinché venga annunciato al più presto possibile il ‘tracciato di pace’, l'iniziativa diplomatica per il conflitto israelo-palestinese elaborata da Stati Uniti, Russia, Unione Europea e Onu.

 

Tragico incidente oggi in Afghanistan. Secondo quanto ha annunciato una fonte militare statunitense, bombardamenti compiuti dalla coalizione hanno provocato 11 morti e un ferito. Il raid è avvenuto mentre forze nemiche attaccavano una postazione militare afghana, il cui scopo era quello di rendere sicura la zona di Shkin, nell’est del Paese.

 

“Il Giappone deve comportarsi con discrezione tenendo bene a mente che è a tiro delle armi in nostro possesso”. Questo il duro monito espresso stamani dalla Corea del Nord. Tra i due paesi la tensione è alta per la crisi nucleare innescata dal programma segreto nord-coreano con l’uranio arricchito e per il pieno appoggio del Giappone all’intervento militare statunitense contro l’Iraq. Intanto, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non ha raggiunto oggi l’accordo sulla condanna del riarmo della Corea del Nord.

 

Pugno di ferro a Cuba contro gli oppositori di Fidel Castro. Un tribunale dell’Avana ha condannato a 28 anni di carcere Luis Enrique Ferrer, uno dei 78 dissidenti arrestati il mese scorso. Ferrer era fautore di un referendum in vista di elezioni democratiche nel Paese. Lunedì scorso era stato condannato un primo gruppo di dissidenti tra cui lo scrittore Raul Rivero. Le condanne sono state duramente criticate da diversi governi e organizzazioni in difesa dei diritti umani. Maurizio Salvi:

 

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A L’Avana uno dei leader storici del dissenso interno, Elizardo Sanchez, ha assicurato che siamo di fronte alla più dura repressione degli ultimi dieci anni. Ci vorrà del tempo per capire le ragioni profonde che hanno spinto Castro a porre fine alla timida primavera in tema di diritti umani. Quella primavera che nei mesi scorsi aveva permesso al dissidente cristiano, Osvaldo Paya, di ritirare a Strasburgo il Premio Sacarov, a Elizardo Sanchez di gestire il suo centro per la difesa dei diritti umani nella capitale alla luce del sole, e alla rivista “De Cuba” di pubblicare due numeri senza essere sequestrata.

 

Maurizio Salvi, per la Radio Vaticana.

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“Questo è un momento storico. Chiedo a tutte le comunità di cogliere l’occasione della pace”. Con queste parole ieri il presidente americano, George Bush, ha sollecitato i partiti nordirlandesi ad accettare un piano preparato dai governi di Londra e Dublino per rilanciare il processo di pace e le istituzioni locali. I governi presenteranno ufficialmente il piano ai partiti politici della provincia giovedì, quinto anniversario della firma degli accordi di pace del Venerdì Santo del 1998, che misero fine a 30 anni di guerra civile nella provincia britannica. Il servizio è di Enzo Farinella.

 

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L’Irlanda del Nord deve relegare il paramilitarismo al passato. L’accettazione e la realizzazione del programma, che sarà presentato giovedì dai governi inglese e irlandese e partiti favorevoli all’accordo di pace, promuoveranno la riconciliazione che tutti si auspicano tra le due comunità di nazionalisti e unionisti. La tanto attesa riconciliazione, intanto, viene già indicata come modello da seguire per risolvere anche i problemi del Medio Oriente. Dopo l’incontro con i partiti favorevoli all’accordo di pace, il leader unionista, David Trimble, ha dichiarato che giovedì il suo partito spera di ascoltare il messaggio che il paramilitarismo è finito del tutto e irrevocabilmente. Il presidente dello Sinn Fein, Gerry Adams, ha lodato l’interesse del presidente americano per la pace nel Nord Irlanda, ma ha anche chiesto a George Bush di porre fine alla guerra in Iraq.

 

Da Belfast, per la Radio Vaticana, Enzo Farinella.

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L’Europarlamento ha dato il via libera, oggi a Strasburgo, all’ingresso nell’Ue, il 1° maggio 2004, di 10 nuovi paesi membri. I trattati di adesione aprono il cammino a Cipro, Malta, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Slovenia, Slovacchia, Estonia, Lettonia e Lituania.

 

Non si arresta nel mondo l’allarme per la diffusione della polmonite atipica, che fino ad ora ha causato la morte di 103 persone. Mentre la Germania registra un nuovo caso, un medico militare cinese ha accusato oggi le autorità di Pechino di nascondere le reali cifre sulla diffusione della Sindrome acuta respiratoria severa (Sars) nel Paese. Possibile caso di contagio anche in Sud Africa. Intanto, si profila una prima teoria sulla diffusione a macchia d’olio del virus. Secondo il responsabile della Sanità di Hong Kong, Leung Pak-yin, infatti, potrebbero essere gli scarafaggi una delle vie di diffusione dell’infezione.

 

 

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