RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 99 - Testo della
Trasmissione mercoledì 9 aprile 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Nella guerra in Iraq, ore decisive per il regime di Saddam Hussein. A Baghdad in migliaia festeggiano l’ingresso delle truppe alleate, mentre si moltiplicano i saccheggi in città. Si aggrava la situazione negli ospedali. Interviste con Anna Migotto, Roland Huguenin, Stefano Silvestri e Magdi Allam.
CHIESA E
SOCIETA’:
Manifestazioni
in Colombia per la liberazione di 60 bambini sequestrati negli ultimi anni.
21 i morti nell’incendio
scoppiato in una fabbrica nella Cina Orientale.
Nuova
fiammata di violenza in Medio Oriente.
Cresce la tensione tra Giappone e Corea del Nord,
mentre il Consiglio di Sicurezza dell’Onu non raggiunge l’accordo sulla
condanna del riarmo di Pyongyang.
Nuove condanne a Cuba contro gli oppositori di
Fidel Castro.
9 aprile 2003
IL CONFLITTO IN IRAQ E I SANGUINOSI
SCONTRI
NEL CONTINENTE AFRICANO NEL PENSIERO PREOCCUPATO
DI GIOVANNI PAOLO II ALL’UDIENZA GENERALE
- Servizio di Roberta Gisotti -
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Il cuore del Papa addolorato per gli scontri che
continuano in Iraq con morti e distruzioni ma anche per “le notizie non meno
preoccupanti che giungono dal continente africano”, dove nei giorni scorsi si
sono consumati massacri ed esecuzione sommarie nella tormentata regione dei
Grandi Laghi, in particolare nella Repubblica democratica del Congo.
“Nell’elevare a Dio una fervida
preghiera di suffragio per le vittime, rivolgo un accorato appello ai
responsabili politici, come pure a tutti gli uomini di buona volontà, affinché
si impegnino a far cessare violenze e soprusi, mettendo da parte egoismi
personali ed interessi di gruppo, con la fattiva collaborazione della comunità
internazionale. Per
questo è da incoraggiare ogni sforzo di riconciliazione fra le popolazioni
congolesi, ugandesi e rwandesi, come anche gli sforzi analoghi che sono in
corso in Burundi ed in Sudan, sperando che da essi possa sbocciare presto la
tanto desiderata pace.”
Un
appello in tal senso è giunto anche dall’Assemblea provinciale dei vescovi di
Kisangani, nella Repubblica democratica del Congo, costernati di fronte alla
brutalità della strage che ha fatto un migliaio di vittime nella regione
dell’Ituri, nel nord est del Paese africano. I presuli denunciano “una volta di
più l’ideologia etnocentrica e la forza come modo di conquista del potere
politico”, nel particolare momento in cui il Paese s’impegna sulla via della
democrazia e dello stato di diritto; invocano quindi che siano previlegiate “le
iniziative di pace, di perdono e di riconciliazione, nella giustizia e nella
verità”.
Ad
ascoltare stamane Giovanni Paolo II erano 15 mila persone di numerosi Paesi,
che hanno affollato la piazza San Pietro, in questa rigida giornata di primavera
romana. La catechesi del Santo Padre si è soffermata sul Salmo 134 “Lodate il Signore che opera meraviglie”,
che introduce nei grandi misteri della Redenzione. Dio libera il popolo eletto
dalla schiavitù della terra d’Egitto e l’introduce nella Terra Promessa. “Una
riflessione - ha detto il Papa - che vogliamo trasformare in preghiera”
nell’approssimarsi della Settimana Santa. Noi siamo infatti chiamati a
contemplare Dio, Padre e Creatore del mondo, Lui che ama e salva il suo popolo.
Egli ha voluto che regni la pace e la concordia, perché desidera il bene delle
sue creature e manifesta la sua generosità verso di noi, che facciamo ricorso
alla sua misericordia attraverso il Signore Gesù Cristo, che ha compiuto la
piena liberazione dell’uomo mediante la Sua morte e risurrezione.
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NOMINE
DI NUNZI APOSTOLICI E RINUNCIA CON SUCCESSIONE IN BRASILE
Il Papa ha nominato nunzio apostolico in Ungheria
l’arcivescovo polacco mons. Juliusz Janusz, finora nunzio apostolico in
Mozambico.
Il Santo Padre ha pure
nominato nunzio apostolico in Slovenia e in Bosnia Erzegovina l’arcivescovo
spagnolo mons. Santos Abril y Castellò, finora nunzio apostolico in Argentina.
In Brasile, il Pontefice ha
accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Joacaba, presentata
dal vescovo mons. Osòrio Bebber, dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, in
conformità alla norma canonica relativa ad “infermità o altra grave causa”. Gli
succede il presule mons. Walmir Alberto Valle, dell’Istituto Missioni
Consolata, finora vescovo coadiutore della stessa diocesi.
DOMANI INCONTRO DI PREGHIERA E
MUSICA PER LA PACE:
IN
50.000 IN PIAZZA SAN PIETRO CON IL PAPA
IN
PREPARAZIONE ALLA XVIII GIORNATA DELLA GIOVENTU’,
CHE SI
CELEBRERA’ LA PROSSIMA DOMENICA DELLE PALME
“Desidero
affidare l’impegno della pace soprattutto ai giovani”. Lo ha detto il Papa
domenica scorsa all’Angelus. Lui stesso aveva annunciato l’incontro di domani
pomeriggio: oltre 50.000 giovani di Roma e Lazio, sono attesi in piazza San
Pietro per un momento di preghiera e di musica per la pace, in preparazione
alla XVIII Giornata mondiale della Gioventù che si celebrerà domenica prossima,
Domenica delle Palme in tutte le diocesi del mondo, mentre è già in preparazione
il nuovo grande incontro dei giovani del mondo con Giovanni Paolo II a Colonia,
in Germania, per il 2005. Ci
soffermiamo ora sulle origini delle Giornate mondiali che continuano a stupire
il mondo per il sorprendente risveglio della fede che suscitano. Il servizio è
di Carla Cotignoli.
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(musica)
Tutto
ha inizio quella Domenica delle Palme del 1986. Le parole che il Papa
pronuncia sono oggi di un’estrema
attualità. “Questo giorno – aveva detto – è legato alla speranza che non
delude. Non sono rimasti delusi coloro che a Gerusalemme, hanno gridato:
“Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Le generazioni che sempre si
rinnovano, hanno bisogno di questa speranza. Ne hanno sempre più bisogno. Ma
riascoltiamo direttamente la sua voce:
La
Giornata della Gioventù significa proprio questo: andare incontro a Dio, che è
entrato nella storia dell’uomo, mediante il mistero pasquale di Gesù Cristo. Vi
è entrato in modo irreversibile. E vuole incontrare prima voi. Giovani. E a
ciascuno vuol dire: “Seguimi, seguimi. Io sono la Via, la Verità e la Vita”.
Milioni
di giovani hanno preso sul serio queste parole. Il Papa non ha mai nascosto che
questa scelta di resurrezione e di speranza ha radici nella croce. Sin dal
1984, anno in cui si celebrava l’Anno Santo della Redenzione aveva consegnato
proprio ai giovani una nuda croce di legno con queste parole: “Portatela nel
mondo, come segno dell’amore del Signore Gesù per l’umanità”. La domenica delle
Palme del 1985 erano in 300.000 i giovani in piazza San Pietro. E’ stata dunque
la loro sorprendente rispondenza che ha suscitato nel Papa l’ispirazione delle
Giornate della Gioventù. Da allora di anno in anno i giovani l’hanno portata in
pellegrinaggio in moltissime città del mondo. Dopo l’incontro mondiale di Toronto
del 2002, la croce è ritornata in Europa: ha percorso molte città della Repubblica
Ceca e dell’Ungheria. E’ tornata in tempo per domani quando campeggerà in
piazza San Pietro, mentre domenica, i giovani canadesi la affideranno ai
coetanei della Germania, prossima tappa del suo incessante pellegrinaggio. E’
questo un pellegrinaggio che tocca la vita. Attraverso la croce molti giovani
sperimentano la Resurrezione e trovano il coraggio di decidersi per il Vangelo.
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LA GUERRA NEL GOLFO IN PRIMO PIANO NEL
COLLOQUIO IN VATICANO
TRA
MONS. JEAN-LOUIS TAURAN, SEGRETARIO PER I RAPPORTI CON GLI STATI,
E JOHN
BOLTON, SOTTOSEGRETARIO DEL GOVERNO DEGLI STATI UNITI
PER IL
CONTROLLO DEGLI ARMAMENTI E LA SICUREZZA INTERNAZIONALE
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
Il
conflitto in Iraq e la crisi in Medio Oriente sono stati, stamani, al centro di
un colloquio in Vaticano tra mons. Jean-Luois Tauran, segretario per i Rapporti
con gli Stati, e John Bolton, sottosegretario del governo degli Stati Uniti per
il controllo degli armamenti e la sicurezza internazionale. Bolton, riferisce
una nota del direttore della Sala Stampa vaticana, Navarro-Valls, ha esposto il
“pericolo rappresentato dalla proliferazione delle armi di distruzione di massa
in diverse parti del mondo”. Quindi, ha ribadito “l’impegno del suo governo a
rispettare lo ius in bello e ha apprezzato la disponibilità della Chiesa
cattolica a collaborare nel campo umanitario per alleviare le sofferenze della
popolazione irachena”.
Infine,
si legge nella nota, Bolton ha fatto riferimento a quanto recentemente
affermato dal presidente Bush a Belfast, sulla “necessità di una rapida soluzione
del conflitto israelo-palestinese per dare all’intero Medio Oriente le sue chances
per la pace”.
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“Riconciliazione per i popoli
dei Grandi Laghi” è il titolo della prima pagina in riferimento al sofferto
appello di Giovanni Paolo II per l’Africa dalla quale giungono tragiche
notizie, in particolare dalla Repubblica Democratica del Congo. In evidenza
anche la situazione in Iraq dove la mancanza di medicinali impedisce di portare
soccorso ai moribondi e ai feriti.
Nelle vaticane, la Facoltà di
Teologia di Napoli ricorda Italo Mancini; Per il cammino della Chiesa in
America, articoli dalla Colombia, dall’Argentina, dal Messico, dal Perù e dal
Brasile.
Nelle pagine estere, il punto
della situazione in Iraq con l’allarme lanciato dall’Oms per le gravi difficoltà
in cui versa la popolazione civile, mentre proseguono i combattimenti a
Baghdad. Vertice a San Pietroburgo tra Putin, Chirac e Schrőeder.
I Paesi Arabi chiedono una riunione dell’Assemblea Generale dell’Onu. La guerra
miete vittime anche tra i giornalisti: undici morti e due dispersi. In Medio Oriente, un raid
israeliano a Gaza provoca la morte di cinque persone; il contrasto tra Arafat e
Mahmud Abbas ritarda la formazione del Governo palestinese. Il Consiglio di
Sicurezza dell’Onu non raggiunge l’accordo sulla condanna alla Corea del Nord:
la Cina minaccia il veto.
Nella pagina culturale, ricordo
dello scultore Lorenzo Guerrini a un anno dalla morte.
Nelle
pagine italiane, in primo piano i temi della politica e della giustizia.
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9 aprile 2003
ORE DECISIVE PER IL REGIME DI SADDAM HUSSEIN.
A
BAGHDAD IN MIGLIAIA FESTEGGIANO l’INGRESSO DELLE TRUPPE ALLEATE,
MENTRE SI MOLTIPLICANO I SACCHEGGI NELLA
CITTA’
- A
cura di Alessandro Gisotti -
Con il
trascorrere delle ore, sembra ormai approssimarsi il tramonto del regime di
Saddam Hussein. Momenti drammatici si vivono soprattutto a Baghdad, dove in
alcuni quartieri settentrionali della città, migliaia di iracheni hanno accolto
festosamente il passaggio delle truppe alleate. D’altro canto, mentre prosegue
l’avanzata dei marine verso il cuore della capitale e carri armati
statunitensi hanno già fatto ingresso nella centralissima piazza Tahrir, si
sono moltiplicati i saccheggi da parte della popolazione. Presi di mira i
palazzi presidenziali, il comitato olimpico e il quartier generale delle
Nazioni Unite. Per la Casa Bianca e il Comando alleato, tuttavia, gli
avvenimenti di oggi non possono ancora far ritenere imminente la fine del
conflitto. Baghdad, dunque, è ormai in uno stato di
anarchia. Ce lo conferma dalla capitale dell’Iraq, la giornalista Mediaset,
Anna Migotto, contattata pochi minuti fa:
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R. - La città
ormai è una città senza regole, senza controlli, in mano a bande di criminali o
di disperati, che stanno saccheggiando tutto quello che è possibile
saccheggiare. Sono le classiche situazioni di vuoto totale di potere. Nelle
strade, abbiamo girato un po’, non ci sono poliziotti né miliziani, né fedayn.
Non c’è nessuno. Davvero l’impressione è quella che sia finita. La gente è allo
sbando. Hanno visto sparire gli uomini del regime, del partito, i poliziotti, i
militari che li hanno tenuti sotto controllo. Oggi non c’è veramente nessuno di
loro. Sono spariti.
D. – Quindi sembra impossibile un colpo di coda delle
forze fedeli a Saddam Hussein, almeno allo stato dei fatti?
R. – E’ difficile prevedere un colpo di coda. Noi crediamo
che se ci sarà ancora resistenza potrebbe essere nell’area di Tikrit, la città
natale di Saddam Hussein. Qui, a Baghdad, non abbiamo l’impressione che ci
possa essere un colpo di coda. Stamattina siamo stati a Saddam City, enorme
sobborgo di Baghdad, dove vivono circa 3 milioni di sciiti, e stavano
saccheggiando tutto, anche la sede del partito Baath. C’è stato qualche scontro
armato, ma non abbiamo l’impressione che il regime possa tenere più sotto
controllo questa città.
D. – Comunque la situazione è di assoluta confusione e da
quello che dici non c’è alcuna notizia del rais, dei figli, degli altri membri
del governo, letteralmente evaporati …
R. – No, non
c’è nessuna notizia. Gli iracheni, molti cittadini con cui parliamo, si dicono
convinti che se ne sia andato da molto tempo. Parlano di chissà quali accordi
segreti con chissà chi. Parlano del fatto che a Baghdad forse è rimasto un
sosia. Fanno degli scenari incredibili. Io parlo con la gente, quindi questo vi
posso riferire: qui sono convinti che se ne sia andato da molto tempo.
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La
struttura di “comando e controllo” irachena nella capitale sembra essersi
disintegrata, ha affermato stamani un portavoce del premier britannico. Se
dunque i riflettori della comunità internazionale sono puntati su Baghdad,
prosegue la guerra sul fronte nord. Peshmerga curdi sono entrati oggi nel
villaggio di Bedriki, importante crocevia tra Erbil e Mossul, nel Kurdistan
iracheno. Ma come sta vivendo questi concitati sviluppi del conflitto la
comunità cristiana in Iraq? Roberto Piermarini lo ha chiesto al nunzio
apostolico a Baghdad, mons. Fernando Filoni:
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R. – La
comunità cristiana qui a Baghdad – ho visitato ieri alcune parrocchie – sta
abbastanza bene. Non abbiamo notizie di Bassora e del nord e nemmeno di Kirkuk,
perché non ci sono linee telefoniche. Però credo che nelle diocesi del nord ci
sia una iperpopolazione perché molti
cristiani, molta gente dei villaggi intorno a Baghdad si è trasferita al nord.
Lì ho sentito dire che c’è bisogno di vettovagliamenti e di acqua.
D. – Che notizie avete avuto sui tre giornalisti uccisi
ieri a Baghdad?
R.- Sono giornalisti che, purtroppo, in questa situazione,
hanno pagato anche loro per il contributo che danno a far conoscere la
situazione nel Paese. Alcuni li avevo conosciuti perché erano passati qui in
Nunziatura. Certo, c’è una grande amarezza ed è il minimo che si possa dire.
Speriamo,come ha detto il Papa domenica scorsa, che la guerra duri il minimo
possibile e finisca al più presto.
***********
Intanto, mentre non si placano le polemiche dopo la
morte dei tre giornalisti ieri a Baghdad a causa di colpi d’artiglieria
americani, nella mattinata sono stati restituiti ai sette inviati italiani i
passaporti, che erano stati loro sequestrati da funzionari iracheni al momento
del fermo, una settimana fa. Sul fronte umanitario, è sempre grave la
situazione negli ospedali di Baghdad, dove secondo rappresentanti delle Nazioni
Unite, i nosocomi “non riescono più neanche a contare i feriti”. Mancano
medicinali, inclusi antibiotici e anestetici. I medici sono ormai costretti a
lavorare in condizioni insostenibili, come spiega da Baghdad il rappresentante
della Croce Rossa Internazionale, Roland Huguenin, raggiunto telefonicamente da
Alessandro Guarasci:
**********
R. – WE
ARE VERY CONCERNED....
Siamo molto preoccupati per un ospedale nel centro della
città che ha almeno 650 posti. Al momento non dispone di acqua corrente, Ci
siamo attrezzati con un servizio di autobotti e questo permette anche di far
fronte alle principali esigenze dei pazienti. Il nostro obiettivo è anche
collegare l’ospedale con una delle principali stazioni di pompaggio, che però è
stata duramente colpita dai bombardamenti. Questo comporta grossi problema per
una gran parte della città. Spero che finché continuerà la battaglia la
popolazione e le infrastrutture siano risparmiate.
D. – Mancano medicine negli ospedali?
R. –
MEDICINES COMES FROM OTHER PLACES ...
Fino adesso abbiamo portato negli ospedali le medicine che
servono per la chirurgia ed i casi più gravi. Va comunque detto che il numero
dei feriti in questi ultime ore sta continuamente aumentando, ma non è
possibile fare statistiche precise.
D. – Dato che manca l’acqua è possibile che scoppino
epidemie di colera?
R. - NO, AT THE MOMENT ...
No, al momento non si registrano casi di colera, ma è
certo che se l’acqua continuerà a mancare per molto tempo sarà davvero
difficile lavorare. Stiamo lavorando davvero sotto pressione
***********
La diplomazia internazionale è già
al lavoro per il futuro dell’Iraq. Il presidente russo Putin incontrerà, nella
fine settimana a San Pietroburgo, il presidente francese, Chirac, il
cancelliere tedesco, Schroeder e il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan
per discutere della situazione irachena. Ieri, invece, nel vertice di Belfast,
il presidente americano Bush e il premier britannico Blair hanno trovato un
accordo sul ruolo che le Nazioni Unite dovranno svolgere nell’Iraq postbellico.
Nel documento pubblicato al termine del summit, i due leader si impegnano a
sollecitare l’adozione di nuove risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che
assicurino l’integrità territoriale dell’Iraq, garantendo la rapida consegna di
aiuti umanitari. Ma quali sono le novità del testo firmato da Bush e Blair?
Giada Aquilino lo ha chiesto al prof. Stefano Silvestri, presidente
dell’Istituto Affari Internazionali:
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R. – Ho
l’impressione che questa dichiarazione contenga alcune novità, in riferimento
all’opportunità di una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza, sia per
garantire l’integrità dell’Iraq che per dare una sorta di legittimità ad un
futuro governo iracheno. La seconda è che le Nazioni Unite devono avere un
ruolo vitale che è qualcosa di diverso da un ruolo qualsiasi. E la terza è che
si parla di un governo provvisorio in Iraq che dovrebbe essere composto,
ha detto Bush,
di iracheni dell’estero e dell’interno. Questo sembrerebbe escludere l’idea di
un governo provvisorio composto da americani.
D. – In questi
giorni ci sono state polemiche sulla corsa delle grandi multinazionali ad
accaparrarsi l’Iraq del dopoguerra. Dopo questa dichiarazione, queste polemiche
diminuiscono o possono andare avanti?
R. – Questa dichiarazione è abbastanza generica, quindi bisognerà
vedere come verrà interpretata nei
fatti. Nel frattempo è chiaro che ci saranno pressioni dalle multinazionali per
avere contratti comunque. Ed è anche chiaro che molto dipenderà da chi metterà
i soldi. Se i soldi li metteranno gli americani saranno multinazionali
americane. Se i soldi li metteranno anche gli altri, anche le altre aziende
avranno la loro fetta.
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Mentre le truppe statunitensi danno la caccia a Saddam
Hussein nel cuore di Baghdad, ieri è tornato a farsi vivo Osama Bin Laden. Lo
“sceicco del terrore”, attraverso un’audiocassetta giunta in Pakistan, incita
tutti i musulmani alla guerra santa non solo contro gli anglo-americani, ma
anche a danno di quei Paesi islamici - come Bahrein e Kuwait - che sostengono
la guerra in Iraq. Ci si interroga, intanto, sul ruolo che Saddam potrebbe
svolgere, qualora - come nel caso del leader di Al Qaeda - riuscisse a sfuggire
agli americani. Abbiamo raccolto il parere di Magdi Allam, inviato a Kuwait
City del quotidiano La Repubblica:
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R. – Si tratta di due personaggi diversi, di due casi
diversi. Mentre Osama Bin Laden può continuare a propagandare il suo messaggio
in qualsiasi parte del mondo islamico dove riesce ad avere degli adepti,
viceversa Saddam Hussein, nel momento in cui dovesse allontanarsi dai centri
nevralgici del potere in Iraq sarebbe finito.
D. – Il rais ha governato con il pugno di ferro il Paese
per oltre un ventennio. Questo vuoto di potere potrebbe determinare delle
spinte centrifughe, un po’ come è successo nella Jugoslavia del dopo Tito?
R. – Il rischio c’è indubbiamente perché l’Iraq è una
realtà plurale dal punto di vista etnico, confessionale, comunitario. I 30 anni
di potere di Saddam hanno provocato una lunga scia di sangue di un milione di
morti iracheni. Stiamo quindi parlando di un genocidio del popolo iracheno. Il
rischio è che subito dopo il crollo definitivo del regime ci possa essere una
forte spinta alla vendetta tra le comunità che sono state represse verso quelli
che vengono considerati responsabili di questi crimini.
D. - Qual è il sentimento che, secondo te, prevale nella
popolazione irachena, specie di Baghdad, di fronte a questo regime che si sta
dissolvendo?
R. – Prenderei esempio da quello che è avvenuto nel sud:
Quando la popolazione si è trovata con la pistola delle milizie regolari
puntata alla propria tempia, non ha fiatato. Nel momento, invece, in cui le
forze britanniche e americane nel sud sono riuscite ad ottenere sia la diserzione
di elementi delle forze regolari, sia ad agganciare i capi locali, ebbene la
gente ha cominciato a ribellarsi ed abbiamo visto le immagini di giovani
sorridenti, mentre abbattono le statue di Saddam. Tutto questo indica
chiaramente che è una popolazione ostile al regime, ma deve essere messa nelle
condizioni di poter esprimere il proprio pensiero.
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UN CANTO DI PACE SU TESTO DI GIOVANNI PAOLO II
E INTERPRETATO
DA PLACIDO DOMINGO, AL CENTRO DI UN CONCERTO
CHE SI TERRA’ AD ANCONA IL PROSSIMO 28 APRILE
- Ai
nostri microfoni il maestro Marco Tutino e mons. Claudio Giuliadori -
Un
Canto di pace per tenore, coro e orchestra su testo di Giovanni Paolo II. E’ il
motivo che rende eccezionale il concerto “Musiche per la pace”, in programma
lunedì 28 aprile prossimo ad Ancona e presentato in conferenza stampa ieri
nella sede della nostra emittente. La manifestazione musicale che vedrà la
partecipazione di Placido Domingo sarà trasmessa in diretta da Radiotre.
Il servizio di Adriana Masotti:
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“Non faremo di pietra il nostro cuore come quello
dei padri nel deserto. La tua Parola ci colpirà come spada tagliente,
tracciando i sentieri del perdono. La tua Parola ci insegnerà a inventare la
pace”.
Sono alcune delle parole pronunciate da Giovanni Paolo II
all’incontro di preghiera per la pace del 24 gennaio 2002 ad Assisi. Ora
saranno al centro del concerto in programma al Teatro delle Muse di Ancona il
prossimo 28 aprile. Ad interpretare il testo scritto dal Papa sarà il tenore
Placido Domingo su musiche del maestro Marco Tutino che, in conferenza stampa,
non esita a comunicare la sua emozione:
“Sì, l’emozione di affrontare un testo così alto. Di
fronte a queste cose si può rimanere anche annichiliti. Il testo veramente ha
una serie di concetti che a noi sembrano lontani e antichi, però ancora oggi
possono - soprattutto quando ci rendiamo conto di quanto siamo fragili ed
impotenti di fronte a tante cose - darci il senso della nostra vita. La musica
si è sforzata di essere il più possibile all’altezza, all’altezza soprattutto
di questo tipo di comunicazione”.
Durante
il concerto, che nasce da un progetto di Claudio Orazi, direttore artistico
della stagione lirica del Teatro, verranno eseguiti brani di Vivaldi, Mozart,
Schubert e Pergolesi. La manifestazione - una prima mondiale - cade in un
contesto particolarmente cruciale, segnato com’è dal conflitto in corso. Vuole
essere, dunque, anche messaggio di speranza e momento di incontro. Mons.
Claudio Giuliadori, direttore dell’Ufficio Cei per le comunicazioni sociali:
“Credo che sia innanzitutto una iniziativa di altissimo
spessore culturale. Individua la necessità di ritrovare l’armonia piena tra
grandi valori dell’esistenza umana e le espressioni artistiche di grande
significato. Anche se non programmato ad hoc, oggi questo Canto arriva in un
momento in cui siamo ancora più desiderosi della pace. Quindi c’è una
contestualizzazione che rende ancora più acuto e forte il senso di questa
iniziativa”.
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9 aprile 2003
CON I CONFLITTI INTERNAZIONALI IN ATTO
PARTICOLARE IMPORTANZA ACQUISTA L’ATTUALISSIMO MESSAGGIO DELLA
“PACEM
IN TERRIS” DI GIOVANNI XXIII:
LO SOTTOLINEA IL PRESIDENTE DI “GIUSTIZIA E
PACE”, ARCIVESCOVO
RENATO MARTINO, IN UNA COMMEMORAZIONE A PADOVA
DEL 40.MO ANNIVERSARIO DEL CELEBRE TESTO
GIOVANNEO
- A
cura di Paolo Scappucci -
PADOVA. = “Sarebbe
assolutamente dannoso se i conflitti internazionali in atto provocassero anche
la paralisi o addirittura la crisi di importanti organismi internazionali,
primo fra tutti l’Onu. Lo ha affermato il presidente del Pontificio Consiglio
della Giustizia e della Pace, arcivescovo Renato Martino, commemorando a Padova
- su invito dell’ordinario locale, mons. Antonio Mattiazzo - il quarantesimo
anniversario della “Pacem in Terris” di Giovanni XXIII. Come al tempo della “Pacem
in Terris”, anche nelle ore che stiamo vivendo - ha rilevato il presidente di
“Giustizia e Pace” - l’umanità è attraversata da lacerazioni, da guerre, da
divisione negli organismi internazionali … La “Pacem in Terris” mostrava a
tutti gli uomini la loro comunanza nell’unica famiglia umana, li invitava alla
rivoluzione dell’eguaglianza e del riconoscimento reciproco, li spingeva ad
accogliere i diritti di ogni uomo, che non possono dipendere dal cielo sotto
cui si è nati … Quanto faceva Giovanni XXIII allora, fa Giovanni Paolo II. I
conflitti internazionali in atto, che tanto ci rattristano e ci preoccupano,
richiedono ancora una volta che la Chiesa offra all’umanità il cuore stesso del
suo messaggio eterno, quello del Vangelo della pace. Noi tutti avremmo
preferito che il 40.mo della “Pacem in Terris” fosse celebrato in un clima
internazionale meno carico di tensione. A maggior ragione il suo messaggio
acquista oggi particolare importanza, a patto che ne sappiamo cogliere in
profondità tutti gli elementi di attualità”. Tra questi mons. Martino ha citato
il rapporto tra pace e terrorismo, tra pace e nuovo ordine mondiale, tra pace e
unità della famiglia umana. Con riferimento poi all’insistenza di Papa Giovanni
sull’interconnessione tra diritti e doveri, mons. Martino afferma che “sarebbe
auspicabile che l’umanità, la quale nel 1948 nell’ambito delle Nazioni Unite ha
stilato un elenco dei diritti inalienabili della persona umana, si impegnasse
ora a sottolineare maggiormente i doveri dell’uomo, perché è il dovere che
stabilisce i confini entro i quali i diritti sono veramente a servizio
dell’uomo e non semplice esercizio di un vuoto libero arbitrio”.
LA FEDE, MOTORE DELL’IMPEGNO DEI
CATTOLICI INGLESI E GALLESI
NELL’AIUTO
AI PIÙ BISOGNOSI. E’ QUANTO AFFERMA IL RAPPORTO
DELLA
FONDAZIONE JOSEPH ROWNTREE, UNA DELLE MAGGIORI ORGANIZZAZIONI
CARITATIVE
DEL PAESE, CHE SOTTOLINEA LO STRAORDINARIO RUOLO
DELLA
CHIESA CATTOLICA NEL CAMPO ASSISTENZIALE
LONDRA.
= La Chiesa cattolica inglese e gallese è una delle istituzioni più presenti e
attive nella lotta alla povertà nel Regno Unito. La Fondazione Joseph Rowntree,
una delle maggiori organizzazioni caritative del Paese, sottolinea in un
recente rapporto l’impegno dei cattolici nei programmi di assistenza sociale e
nella promozione del dialogo tra le comunità delle aree più disagiate. Le
politiche britanniche di recupero sociale negli ultimi quindici anni hanno
coinvolto sempre la Chiesa cattolica che, con la sua secolare esperienza
nell’ambito assistenziale e con la sua evangelica vicinanza nei confronti di
chi soffre ha avuto la possibilità di portare avanti migliaia di progetti a
beneficio dell’intera comunità in alcune delle zone più povere del Regno Unito.
Per esempio, nell’area orientale di Londra, la parrocchia del quartiere di
Canning Town, ha messo a disposizione i suoi locali per la creazione di centri
di ascolto, assistenza, orientamento e formazione per credenti e non. Il
rapporto riconosce che questo dinamismo nasce dalla fede, coniugando ambito
sociale e spirituale. La responsabile della rinnovata, Caritas – social action
dei vescovi inglesi e gallesi, Sarah Lindsell, ha spiegato le ragioni di questo
impegno: “La Chiesa – ha detto - ha la responsabilità di mettere in pratica il
suo magistero sociale. Uno dei modi per farlo è il coinvolgimento nelle iniziative
di risanamento e recupero sociale. Essere Chiesa significa uscire da sé e andare
incontro a chi è nel bisogno. Nelle parrocchie in cui ciò è avvenuto, la vita
stessa della comunità dei credenti ha conosciuto un positivo rinnovamento”.
(M.A.)
CIRCA DUEMILA PERSONE IN CORTEO
IN TUTTA LA COLOMBIA PER CHIEDERE
LA
RESTITUZIONE DEI BAMBINI SEQUESTRATI: TRA I PARTECIPANTI, A BOGOTÀ,
IL
VICE PRESIDENTE FRANCISCO SANTOS, SEQUESTRATO NEL ‘90
BOGOTÀ. = Circa mille persone
hanno marciato domenica nelle vie della capitale della Colombia, ed altrettante
nelle altre città del Paese, per chiedere il rilascio degli oltre 60 bambini
rapiti negli anni passati, che ancora restano nelle mani dei sequestratori. Tra
i manifestanti era presente anche il vice presidente Francisco Santos, tenuto
prigioniero per 8 mesi nel 1990 dagli uomini dell’ex ‘signore’ del
narcotraffico Pablo Escobar. “Il sequestro è un delitto abominevole ma doppiamente
orribile quando si tratta di bambini” ha detto il sindaco di Bogotà, Antanas
Mockus, ricordando i 43 minori sequestrati dall’inizio di quest’anno. Nel 2002
è stato rapito un bambino al giorno: un ultimo caso si è registrato la
settimana scorsa, quando 5 uomini armati hanno portato via un bambino di tre
anni, Vitys Karanauskas, mentre era sul pulmino della scuola. Le autorità
militari affermano che 7 dei piccoli recentemente scomparsi sono nelle mani
delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia, mentre 11 sarebbero
trattenuti da un altro gruppo ribelle, l’Esercito di liberazione Nazionale.
Recentemente l’Esercito ha portato a termine il salvataggio di 6 minori. Ogni
anno in Colombia vengono sequestrate 3000 persone, di cui non tutte fanno
ritorno a casa. (S.C.)
PROPOSTA DAL GOVERNO DELLO SRY LANKA AL
PARLAMENTO LA REINTRODUZIONE
DELLA
PENA CAPITALE. L’EPISCOPATO CATTOLICO E QUELLO PROTESTANTE
HANNO ESPRESSO UNA DECISA OPPOSIZIONE AL
PROVVEDIMENTO
KANDY.
= Una ferma presa di posizione è stata
adottata congiuntamente dai vescovi cattolici e protestanti dello Sri Lanka,
contro la proposta del governo del Paese di reintrodurre la pena capitale.
Secondo quanto riferisce l’agenzia Ucanews, a margine della loro Assemblea plenaria,
tenutasi nei primi giorni di aprile a Kandy, i vescovi cattolici hanno
incontrato i rappresentanti dell’episcopato protestante: comune è stata la
convinzione che esistono altre vie per contrastare l’aumento della criminalità.
Il governo dello Sri Lanka ha recentemente avanzato la proposta di ripristinare
la pena di morte per combattere la crescita della criminalità: ora si attende
il dibattito del Parlamento. La decisione del governo ora allarma l’episcopato
cattolico: “Nessun Paese che ha la pena capitale – ha detto il presidente della
Conferenza episcopale cingalese, mons. Oswald Gomis – può dire di avere un
sistema giudiziario perfetto”. Sebbene l’episcopato cattolico avverta la
crescita della criminalità, ribadisce con forza che la soluzione non è
l’esecuzione capitale: “Il crimine – ha continuato mons. Gomis - deve essere
combattuto come un malessere sociale che ha bisogno non di misure punitive che
inaspriscano i detenuti ed abbassino la stima in se stessi, ma di un’azione
correttiva che riannodi i legami recisi con la società e promuova la dignità umana”.
La strategia per giungere a questo fine è doppia: “Per prima cosa - ha suggerito mons. Gomis - la società
civile deve accettare la responsabilità comune per le persone che hanno
commesso degli errori ed intraprendere, come comunità, un’azione che rimedia a
quello sbaglio. In secondo luogo, la società civile deve essere forte nei
confronti dello Stato per giungere ad una revisione del Codice civile, così
come del sistema giudiziario, che sia più equo e imparziale nel pieno rispetto
della dignità di tutti”. (M.A.)
21 MORTI IN QUESTO FINE SETTIMANA PER UN
INCENDIO IN FABBRICA
NELLA
CINA ORIENTALE. ALMENO 100 LE PERSONE DECEDUTE A SEGUITO
DI
INCIDENTI SUL LAVORO, LO SCORSO MESE, NEL GRANDE PAESE ASIATICO
PECHINO. = 21 persone sono
morte in Cina a seguito di un incendio all’interno di una fabbrica di prodotti
alimentari durante il fine settimana. Secondo il quotidiano locale Daily
Chian l’incidente è avvenuto in un’officina della Qingdao Zhengda corporation,
vicino al capoluogo della provincia di Shangdong, nella parte orientale della
Cina. In base a quanto riferito da testimoni, il calore sviluppato
dall’incendio ha fatto crollare la struttura in acciaio che ospitava
l’impianto, bloccando la via di fuga a molti lavoratori che si trovavano
all’interno. Un bilancio ufficiale riferisce che in Cina nel solo mese di marzo
almeno 100 persone sono rimaste uccise in incidenti sul lavoro. (S.C.)
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9 aprile 2003
- A
cura di Barbara Castelli -
Si
riaccende la violenza in Medio Oriente. Almeno 29 palestinesi sono rimasti
feriti oggi in un attentato dinamitardo compiuto da un gruppo di estrema destra
nella scuola femminile Farid Ghannam di Al Jabar, in Cisgiordania; mentre la
città di Beit Hanun, nel nord della striscia di Gaza, è stata totalmente
circondata dalle forze israeliane. Nel corso di quest’ultima operazione 2
palestinesi sono rimasti uccisi, mentre altri 10 sono stati feriti. Intanto, il
movimento estremista islamico Hamas ha promesso vendetta per l’uccisione di un
suo capo militare, avvenuta ieri a Gaza, nel corso di un raid aereo. Il
servizio di Graziano Motta.
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Uno solo dei 2 missili, lanciati ieri sera da elicotteri
israeliani in un quartiere popolato di Gaza città, ha centrato l’automobile su
cui viaggiava Saad Al Arabid, uno degli esponenti militari più ricercati di
Hamas, e un suo stretto collaboratore, entrambi rimasti uccisi. I missili hanno
causato la morte di altre 5 persone, dei passanti, fra cui una donna e 2
bambini. Fonti ufficiali israeliane tengono a precisare come Al Arabid fosse
uno dei terroristi più ricercati, responsabile fra l’altro dell’attentato
compiuto qualche anno fa contro un autobus a Tel Aviv, e dell’uccisione di un
soldato israeliano. Sul piano politico è stato revocato dagli israeliani
l’assedio al quartier generale di Ramallah, dove vive Yasser Arafat.
Per Radio Vaticana, Graziano Motta.
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La comunità internazionale, intanto, moltiplica gli sforzi
per rilanciare il processo di pace in Medio Oriente. Il ministro degli esteri
tedesco, Joschka Fischer, ha incontrato stamani a Ramallah il presidente
palestinese Yasser Arafat. Nel corso dell’incontro, Fischer ha assicurato che
la Germania insisterà affinché venga annunciato al più presto possibile il
‘tracciato di pace’, l'iniziativa diplomatica per il conflitto
israelo-palestinese elaborata da Stati Uniti, Russia, Unione Europea e Onu.
Tragico incidente oggi in Afghanistan. Secondo quanto ha
annunciato una fonte militare statunitense, bombardamenti compiuti dalla
coalizione hanno provocato 11 morti e un ferito. Il raid è avvenuto mentre
forze nemiche attaccavano una postazione militare afghana, il cui scopo era
quello di rendere sicura la zona di Shkin, nell’est del Paese.
“Il Giappone deve comportarsi con discrezione tenendo bene
a mente che è a tiro delle armi in nostro possesso”. Questo il duro monito
espresso stamani dalla Corea del Nord. Tra i due paesi la tensione è alta per
la crisi nucleare innescata dal programma segreto nord-coreano con l’uranio
arricchito e per il pieno appoggio del Giappone all’intervento militare
statunitense contro l’Iraq. Intanto, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite non ha raggiunto oggi l’accordo sulla condanna del riarmo della Corea del
Nord.
Pugno
di ferro a Cuba contro gli oppositori di Fidel Castro. Un tribunale dell’Avana
ha condannato a 28 anni di carcere Luis Enrique Ferrer, uno dei 78 dissidenti arrestati
il mese scorso. Ferrer era fautore di un referendum in vista di elezioni democratiche
nel Paese. Lunedì scorso era stato condannato un primo gruppo di dissidenti tra
cui lo scrittore Raul Rivero. Le condanne sono state duramente criticate da
diversi governi e organizzazioni in difesa dei diritti umani. Maurizio Salvi:
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A L’Avana uno dei leader storici del dissenso interno,
Elizardo Sanchez, ha assicurato che siamo di fronte alla più dura repressione
degli ultimi dieci anni. Ci vorrà del tempo per capire le ragioni profonde che
hanno spinto Castro a porre fine alla timida primavera in tema di diritti
umani. Quella primavera che nei mesi scorsi aveva permesso al dissidente
cristiano, Osvaldo Paya, di ritirare a Strasburgo il Premio Sacarov, a Elizardo
Sanchez di gestire il suo centro per la difesa dei diritti umani nella capitale
alla luce del sole, e alla rivista “De Cuba” di pubblicare due numeri senza
essere sequestrata.
Maurizio Salvi, per la Radio Vaticana.
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“Questo è un momento storico. Chiedo a tutte le comunità
di cogliere l’occasione della pace”. Con queste parole ieri il presidente
americano, George Bush, ha sollecitato i partiti nordirlandesi ad accettare un
piano preparato dai governi di Londra e Dublino per rilanciare il processo di
pace e le istituzioni locali. I governi presenteranno ufficialmente il piano ai
partiti politici della provincia giovedì, quinto anniversario della firma degli
accordi di pace del Venerdì Santo del 1998, che misero fine a 30 anni di guerra
civile nella provincia britannica. Il servizio è di Enzo Farinella.
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L’Irlanda del Nord deve relegare il paramilitarismo al
passato. L’accettazione e la realizzazione del programma, che sarà presentato
giovedì dai governi inglese e irlandese e partiti favorevoli all’accordo di
pace, promuoveranno la riconciliazione che tutti si auspicano tra le due
comunità di nazionalisti e unionisti. La tanto attesa riconciliazione, intanto,
viene già indicata come modello da seguire per risolvere anche i problemi del
Medio Oriente. Dopo l’incontro con i partiti favorevoli all’accordo di pace, il
leader unionista, David Trimble, ha dichiarato che giovedì il suo partito spera
di ascoltare il messaggio che il paramilitarismo è finito del tutto e
irrevocabilmente. Il presidente dello Sinn Fein, Gerry Adams, ha lodato
l’interesse del presidente americano per la pace nel Nord Irlanda, ma ha anche
chiesto a George Bush di porre fine alla guerra in Iraq.
Da Belfast, per la Radio Vaticana, Enzo Farinella.
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L’Europarlamento ha dato il via libera, oggi a Strasburgo, all’ingresso
nell’Ue, il 1° maggio 2004, di 10 nuovi paesi membri. I trattati di adesione
aprono il cammino a Cipro, Malta, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Slovenia,
Slovacchia, Estonia, Lettonia e Lituania.
Non si arresta nel mondo l’allarme per la diffusione della
polmonite atipica, che fino ad ora ha causato la morte di 103 persone. Mentre
la Germania registra un nuovo caso, un medico militare cinese ha accusato oggi
le autorità di Pechino di nascondere le reali cifre sulla diffusione della
Sindrome acuta respiratoria severa (Sars) nel Paese. Possibile caso di contagio
anche in Sud Africa. Intanto, si profila una prima teoria sulla diffusione a
macchia d’olio del virus. Secondo il responsabile della Sanità di
Hong Kong, Leung Pak-yin, infatti, potrebbero essere gli scarafaggi una delle
vie di diffusione dell’infezione.
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