RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 98 - Testo della Trasmissione martedì 8 aprile 2003

 

Sommario

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

A quarant’anni dall’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII, un Convegno alla Pontificia Università Lateranense, giovedì e venerdì, con esponenti del mondo ecclesiale e civile: intervista con il vescovo Giampaolo Crepaldi.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

La guerra in Iraq. Ancora si combatte e si muore. Il dramma continua per la popolazione inerme. Vittime anche tra i giornalisti. A Roma un concerto per la pace: con noi, padre Pasquale Borgomeo, Vichi De Marchi, Antonio Ferrari e Riccardo Muti.

 

Una rievocazione del compianto padre Angelo Arpa, gesuita studioso del cinema che contribuì a neorealismo in Italia: ce ne parla padre Virginio Fantuzzi.

 

CHIESA E SOCIETA’:

L’Italia rende omaggio a Carlo Urbani, coraggioso ricercatore ed esempio di vita cristiana, ucciso dalla polmonite atipica.

 

La minaccia della fame che incombe sull’Africa denunciata dal Programma Alimentare Mondiale.

 

Si è concluso il “Forum Asia”, manifestazione promossa dalla Ong “Manos Unidas” a Madrid

 

La Caritas della Repubblica ceca si attiva in favore dei bambini ceceni

 

Canto di pace per tenore, coro e orchestra su testo di Giovanni Paolo II, presentato stamani presso la nostra emittente e in programma lunedì 28 aprile ad Ancona

 

24 ORE NEL MONDO:

Bin Laden incita i musulmani a sollevarsi contro i governi arabi che sostengono la guerra in Iraq

 

Nel Congo ex-Zaire, il presidente Kabila è da ieri a capo del governo di transizione

 

Al via in Kenya, una nuova tornata negoziale per la pace in Sudan.

 

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

8 aprile 2003

 

UDIENZE PRIVATE DI OGGI. 

PROVVISTA DI CHIESA IN SUD AFRICA, RINUNCIA E NOMINA DI AUSILIARE IN POLONIA

 

 

Il Papa ha ricevuto stamani in udienza il cardinale Ignace Moussa I Daoud, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali. Nei giorni scorsi, il cardinale Daoud aveva indirizzato a tutti i vescovi del mondo un appello del dicastero in vista della tradizionale colletta per i cristiani di Terra Santa, più che mai bisognosi di sostegno e di solidale vicinanza.

 

Il Santo Padre ha pure ricevuto questa mattina l’arcivescovo Luigi De Magistris, pro-penitenziere maggiore. Il presule aveva incontrato Giovanni Paolo II lo scorso 28 marzo, in occasione dell’udienza annuale alla Penitenzieria Apostolica.

 

In Sud Africa, il Pontefice ha nominato vescovo di Johannesburg il presule mons. Buti Joseph Tlhagale, degli Oblati di Maria Immacolata, finora arcivescovo di Bloemfontein. Con la nomina odierna, il nuovo vescovo della diocesi sudafricana mantiene il titolo personale di arcivescovo.

 

In Polonia, il Papa ha accettato la rinuncia all’ufficio di ausiliare dell’arcidio-cesi di Gniezno, presentata dal vescovo mons. Szczepan Wesoly, per limiti di età. Nel contempo, il Pontefice ha pure accettato la rinuncia del presule come delegato per la Pastorale degli emigranti polacchi all’estero.

 

Il Santo Padre ha quindi nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Gniezno il sacerdote Wojciech Polak, di 38 anni, attuale rettore del Seminario primaziale, elevandolo alla dignità vescovile.

 

 

A QUARANTA ANNI DALLA PACEM IN TERRIS DI GIOVANNI XXIII:

UN SEMINARIO DI STUDIO A ROMA GIOVEDI’ E VENERDI’ DI QUESTA SETTIMANA.

CON NOI IL VESCOVO GIAMPAOLO CREPALDI,

SEGRETARIO DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE

- Servizio di Giovanni Peduto -

 

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Il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, unitamente alla Pontificia Università Lateranense, alla Fondazione Toniolo e alla Rivista la Società, ha organizzato questo Seminario di studio, il 10 e l’11 aprile, per ricordare il famoso documento Magisteriale del Beato Papa Giovanni XXIII, dal titolo significativo ‘A quarant’anni dalla Pacem in Terris: i nuovi segni dei tempi’. Quale uomo? Quale legittimità e legittimazione in democrazia? Quale cooperazione internazionale? Su queste domande che interpellano la comunità culturale, giuridica e internazionale si incontreranno e si confronteranno alcuni degli studiosi della Dottrina sociale della Chiesa per apportare il loro contributo accademico alla luce dei nuovi segni dei tempi sul tema della pace. Seguirà il solenne atto celebrativo alla presenza di autorevoli e prestigiose autorità del mondo ecclesiale e laico. Ora con noi il segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, il vescovo Giampaolo Crepaldi, moderatore di una delle sessioni del Seminario:

 

D. – Cosa volle dire al mondo quarant’anni or sono, Giovanni XXIII, con questa Enciclica?

 

R. – Pochi giorni fa ho letto un articolo del compianto cardinale Pavan. Il suo era un articolo di commento della Pacem in Terris. In questo articolo lui racconta che un giorno Papa Giovanni gli fece la confidenza relativa all’opportunità di pubblicare un documento sulla pace. Perché? Due anni prima della Pacem in Terris era stato innalzato il muro di Berlino e pochi mesi prima c’era stata la crisi drammatica dei missili a Cuba, che poteva prefigurare una terza guerra mondiale assolutamente disastrosa, perché sarebbe stata una guerra di carattere nucleare. Ecco, di fronte a questo scenario il Beato Giovanni XXIII confidò al cardinal Pavan, che fu uno dei grandi collaboratori nella stesura di questo straordinario e storico documento giovanneo, il dovere di dire una parola non solo ai cristiani, ai cattolici, ma anche a tutti gli uomini di buona volontà, sulla pace. Di annunciare di nuovo il Vangelo della pace. Dentro questo scenario complesso e drammatico si collocava l’Enciclica Pacem in Terris. Che cosa propone questa Enciclica? Dicevo prima il Vangelo della pace, che si caratterizza soprattutto per la proposta di un ordine nelle relazioni tra gli uomini e tra le Nazioni basato su 4 grandi pilastri: il pilastro della verità, il pilastro della giustizia, il pilastro della libertà e il pilastro dell’amore. Il Concilio Vaticano II dice che la pace non è assenza di guerra, ma è soprattutto un ordine fondato su questi 4 grandi valori e la Pacem in Terris ebbe questo ruolo straordinario dentro questo scenario nel proporre queste straordinarie e mirabili esigenze.

 

D. – Lei ha parlato giustamente di scenario drammatico del tempo in cui è uscita l’Enciclica di Giovanni XXIII, ma un non meno drammatico scenario stiamo vivendo in questi giorni. Qual è, dunque, l’attualità del messaggio giovanneo oggi, specialmente in questo momento particolare?

 

R. – Quarant’anni fa il Beato Giovanni XXIII, di fronte allo scenario drammatico, propose il Vangelo della pace tramite la Pacem in Terris. Il Santo Padre Giovanni Paolo II di fronte allo scenario altrettanto drammatico, diverso, certamente, ma altrettanto drammatico dei giorni nostri, ha ripreso quell’Enciclica del Beato Giovanni XXIII e l’ha riproposta tramite il messaggio per la giornata mondiale della pace di quest’anno, che porta proprio questo titolo, ‘Pacem in Terris: un impegno permanente’. Ripropone quel messaggio, in un certo senso aggiornandolo, perché se quarant’anni fa, per esempio, il mondo era caratterizzato da un certo fondamentalismo politico, oggi c’è il rischio di un certo fondamentalismo religioso con tutte le conseguenze che ne possono derivare. Se quarant’anni fa, per esempio, c’era la situazione di due blocchi che si contrapponevano in un confronto molto duro, oggi, forse c’è la mancanza di dialogo, c’è una certa dispersione: quindi c’è bisogno di riprendere una prospettiva di unità della famiglia umana, di ricomporre le relazioni internazionali in termini di fiducia, di dare una prospettiva nuova alle istituzioni internazionali. E il Santo Padre, in questo suo messaggio offre tutta una serie di prospettive che aggiornano il messaggio della Pacem in Terris e che nello stesso tempo vengono incontro a quelle che sono le esigenze del nostro tempo.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

“Concreta e generosa solidarietà per garantire assistenza all’inerme popolazione civile” è il titolo che apre la prima pagina, con riferimento all’impegno svolto dalle diverse agenzie umanitarie in Iraq a beneficio di coloro che sono segnati dal dolore e dal bisogno.

Sempre in prima, il calendario delle celebrazioni della Settimana Santa 2003 presiedute da Giovanni Paolo II.

 

Nelle vaticane, una pagina sul tema “Domenica 27 aprile: la beatificazione di don Giacomo Alberione”; un approfondito contributo del cardinale Saraiva Martins.

Una pagina in occasione del 25.mo di ordinazione sacerdotale di mons. Serafino Sprovieri, arcivescovo di Benevento.

 

Nelle pagine estere, si combatte nelle strade di Baghdad.

Il vertice tra Bush e Blair in Irlanda del Nord.

Medio Oriente: Berlino e Mosca cercano di rilanciare il dialogo.

Nuovi sanguinosi scontri nella Repubblica Democratica del Congo.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Giuseppe Degli Agosti dal titolo: “Picasso, Dalì e Mirò nella Parigi del primo Novecento”: dipinti di artisti catalani in una mostra a Cremona.

Nell’“Osservatore libri”, un contributo di Danilo Veneruso dal titolo: “Dall'ideologia della rivoluzione alla realizzazione della perestrojka”: “Memoria e avvenire della Russia” di Aleksandr Jakovlev.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la devoluzione.

In rilievo anche il tema della sanità.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

8 aprile 2003

 

LA TRUPPE AMERICANE PER LE STRADE DI BAGHDAD

ALLA RICERCA DEI VERTICI MILITARI IRACHENI.

TRA LE VITTIME DEGLI ULTIMI BOMBARDAMENTI

ANCHE ALCUNI GIORNALISTI STRANIERI.

IN ULSTER, BUSH E BLAIR PIANIFICANO IL DOPO-SADDAM,

RICONOSCENDO ALL’ONU UN RUOLO DI PRIMO PIANO

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

 

Le truppe americane che ingrossano di ora in ora tra le vie di Baghdad. I missili che martellano nella notte uno dei palazzi presidenziali, nel tentativo di colpire Saddam Hussein e decapitare il regime. Centinaia di civili in fuga da una guerra che infine è arrivata dentro le loro case. I giornalisti sempre più a rischio, esposti ai tiri di un fuoco che non fa distinzioni. E’ questo in sintesi il quadro della situazione al 20.mo giorno di conflitto nel Golfo. “Continuiamo a muoverci in città”, ha confermato qualche ora fa il Centcom, il Comando centrale alleato in Qatar. Una città nella quale sta crescendo il caos e la paura dei civili e dove anche i livelli minimi di sicurezza sembrano venir meno, come testimonia il colpo di cannone esploso da un carro armato statunitense - episodio confermato dagli alleati - contro l’Hotel Palestine, che ospita la maggior parte degli inviati di guerra internazionali. Cinque i giornalisti rimasti feriti - diversi appartenenti all’agenzia  Reuters - ai quali va aggiunta la morte, avvenuta in mattinata, di un giornalista della televisione Al Jazeera, ucciso da un bombardamento che aveva colpito la sede dell’emittente televisiva araba. Giancarlo La Vella è riuscito a contattare pochi istanti fa la giornalista Mediaset, Anna Migotto, che si trovava in albergo al momento dell’accaduto:

 

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R. – Fin da questa mattina, attorno alle 6.30, stavamo tutti ai piani alti dell’Hotel Palestine per filmare la battaglia per la conquista di un ponte dall’importanza strategica, una battaglia molto violenta da entrambe le parti. Ad un certo punto abbiamo sentito una fortissima esplosione e abbiamo capito che era stato colpito il nostro albergo. Io personalmente ero al 14° piano e non era chiaro quale zona fosse stata colpita dell’edificio. Successivamente ci siamo resi conto che erano state centrate, da un missile o da una bomba, una stanza al 14° piano e una stanza al 15° piano. Al 15° piano c’erano dei colleghi della Reuters e uno di loro, un cameraman di origine ucraina, è rimasto ucciso, insieme ad un operatore della televisione spagnola Telecinco. Altri tre sono rimasti feriti. Nel locale sottostante c’erano i giornalisti dell’emittente spagnola Telecinco, ed il cameraman è stato gravemente ferito.

 

D. – Il comandante americano ha detto che nell’albergo c’erano dei cecchini, per questo le truppe americane avrebbero sparato. Voi vi siete mai accorti di questo?

 

R. – Sicuramente, all’ultimo piano non c’erano dei cecchini. Non abbiamo sentito partire colpi di fucile dall’albergo e neanche altro tipo di proiettile. Gli americani sostengono di avere risposto in qualche modo al fuoco, ma resta il fatto che un collega è stato ucciso. E’ una giornata di lutto questa anche per noi giornalisti.

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Negli ospedali di Baghdad, intanto, medici e infermieri continuano a lavorare “in condizioni terribili”, ha riferito ieri dalla capitale irachena Roland Huguenin-Bejamin, un portavoce del Cicr, il Comitato della Croce Rossa internazionale. E stamani, l’ambasciatore iracheno a Mosca, Abbas Khalaf, ha tracciato un bilancio impressionante: “Sono seimila i civili morti e feriti durante la guerra, soprattutto donne e bambini”, ha detto, aggiungendo che è ancora impossibile fare stime dei soldati morti in battaglia. Tra i sopravvissuti, l’emergenza umanitaria sta facendosi via via sempre più pesante. Ma quanto ancora dureranno le riserve di cibo per la popolazione irachena? Alessandro Gisotti lo ha chiesto Vichi De Marchi, portavoce per l’Italia del Pam, il Programma alimentare mondiale dell’Onu:

 

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R. – Noi pensiamo che la famiglia media irachena abbia ancora a disposizione cibo fino alla fine di aprile. Però, ovviamente, come tutte le medie contempla delle inesattezze, nel senso che le famiglie più povere saranno quelle che risentiranno della mancanza di alimenti molto prima. Speriamo che presto si possa sbloccare la situazione e quindi che si aprano dei corridoi umanitari per entrare in Iraq.

 

D. – Quali sono gli interventi più significativi che il Pam sta attuando in Iraq?

 

R. – Ci sono una serie di test che riguardano i porti, i trasporti e soprattutto le reti ferroviarie. Però, il progetto del Pam è un progetto, e un piano, che si dovrebbe svolgere nell’arco di sei mesi, con una prima fase che è questa: quella di portare assistenza dove è possibile, ai confini. Ed è quello che in qualche modo si sta facendo. Attraverso la Turchia, infatti, siamo entrati nel nord dell’Iraq. Poi, la prima preoccupazione è quella di far sì che il sistema di distribuzione pubblica del cibo, che funzionava anche prima della guerra, sia in qualche modo rimesso in piedi, riutilizzato, perché è impossibile ricostruire un sistema così capillare, come quello che era in funzione, che si basava su 44 mila punti di smistamento degli alimenti. Quindi, un sistema che garantisca il fatto di poter arrivare a tutti.

 

D. – Mentre il popolo iracheno soffre la fame da ormai 12 anni, a causa dell’embargo, ieri per la prima volta il mondo ha potuto vedere lo sfarzo dei palazzi presidenziali di Saddam. Da dove bisognerà partire nella ricostruzione post-bellica dell’Iraq?

 

R. – Io credo che molti soggetti saranno coinvolti in questa ricostruzione e credo che le Nazioni Unite debbano avere un ruolo fondamentale in questo lavoro futuro. Penso che noi, come Programma Alimentare Mondiale, dobbiamo fare lo sforzo maggiore affinché non si creino, neppure per poche settimane, momenti di vera frattura dal punto di vista alimentare. Per noi la preoccupazione maggiore è garantire che la gente mangi.

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La crisi umanitaria è anche il primo compito dell’amministrazione provvisoria civile americana in Iraq, insediatasi oggi a Umm Qasr, nel sud del Paese, con una squadra di una ventina di funzionari. Ma in maniera molto più ampia, la gestione del dopo-Saddam e la questione del riassetto mediorientale sono al centro da ieri del vertice nordirlandese che vede di fronte il premier britannico Tony Blair e il presidente americano George Bush. Nel castello di Hillsborough, non lontano da Belfast, i due leader hanno concordato alcuni punti dai quali ripartire per la rinascita democratica dell’Iraq. Sentiamo quali, nel servizio da Belfast di Enzo Farinella:

 

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Le Nazioni Unite avranno un ruolo vitale nella ricostruzione dell’Iraq: lo hanno affermato il presidente americano George Bush e il primo ministro inglese Tony Blair durante la conferenza stampa tenuta nel castello di Hillborough. “Gli iracheni hanno la capacità di governarsi; ad interim, noi li aiuteremo ed anche le Nazioni Unite verranno coinvolte, anche se la responsabilità finale appartiene tutta agli iracheni”, ha detto George Bush. “Lavoreremo – ha aggiunto Tony Blair – tutti insieme, per il bene dell’Iraq”, cercando in questo modo di dissipare dubbi sul ruolo delle Nazioni Unite nella ricostruzione. Una volta che le forze di coalizione libereranno questa Nazione dall’oppressione di Saddam, un governo di transizione, in cui saranno rappresentati oltre alle forze di liberazione, anche le Nazioni Unite e gli stessi iracheni, si prenderà cura di creare il nuovo Iraq amministrato da leggi e non dal despotismo di una persona. Il presidente americano ha lodato l’operato delle forze di coalizione affermando: “Le nostre truppe combattono in Iraq per la nostra sicurezza, la pace e la dignità umana di tutti. Esse hanno agito con coraggio e umanità. Ne siamo orgogliosi”. Riferendosi a Saddam ha detto: “Non so se Saddam è sopravvissuto, ma certamente sta perdendo potere e noi stiamo liberando gli iracheni”.

 

Da Belfast per la Radio Vaticana, Enzo Farinella.

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Un’immagine positiva, ancorché figlia del dramma della guerra, arriva dal versante nord del conflitto. Ad Erbil, in uno degli ospedali di Emergency - l’organizzazione umanitaria fondata da Gino Strada - è accaduto che un medico curdo abbia curato un ferito di guerra iracheno, senza che l’odio tra i due popoli inducesse il primo ad un qualche gesto di discriminazione. Una storia bella e necessaria per un’area, il Kurdistan iracheno, che sta affiancando gli alleati, in attesa della caduta  di Baghdad. Lo conferma l’inviato speciale di Avvenire, Luigi Geninazzi, intervistato da Roberto Piermarini:

 

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R. - C’è grande attesa, nel Kurdistan per quello che potrebbe succedere a Kirkuk e a Mosul, le due città ancora nelle mani del regime di Saddam Hussein, però gli occhi sono puntati su Baghdad. Tutti i capi dei partiti curdi sono unanimi nel dire che le forze militari a loro disposizione potrebbero entrare già nelle prossime ore, nei prossimi giorni, a Kirkouk e Mossul, ma non lo faranno, perché si attende il via libera degli americani. In poche parole si attende l’ordine dal Pentagono, perché il problema di un’occupazione curda da parte di queste due città, provocherebbe l’irritazione della Turchia, provocherebbe cioè dei grossi problemi politici. Quindi è chiaro che prima di tutto, almeno a quanto sembra di capire, bisogna risolvere il problema di Baghdad. Bisognerà aspettare la caduta del regime, poi si vedrà quale sarà l’evoluzione qui al Nord.

 

D. – Geninazzi, ma come potrà essere accolto l’ingresso delle truppe curde a Kirkouk?

 

R. – L’ingresso delle truppe curde a Kirkouk provocherà festa nei curdi, perché sarà una festa della liberazione, ma il timore nelle minoranze turche, tra gli arabi, e quindi c’è il timore che si scatenino vendette e cose del genere.

 

D. – Ecco, qual è la situazione umanitaria nella zona dove stai operando?

 

R. – Diciamo che alla vigilia e poi nei primi giorni della guerra nel Kurdistan c’è stato una certa preoccupazione umanitaria, perché tutti quelli che potevano fuggivano da Kirkouk e da Mossul, dai villaggi vicini, cioè dal fronte di guerra, adesso la situazione si è un pò rovesciata nel senso che la gente è un pò più tranquilla, spera di tornare presto nei suoi villaggi, nelle sue città, ma c’è, pare, una crisi umanitaria dalla parte irachena, cioè sembra che gli ospedali di Mossul e Kirkouk siano pieni di gente e gli abitanti di queste città sotto il pugno di ferro del regime di Saddam Hussein stiano soffrendo molto e cerchino di scappare. Ci sono gli arabi che sono scappati dai villaggi che erano stati una volta curdi. Quindi diciamo che la crisi umanitaria si sta verificando da quella parte.

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Come detto, gli alleati stanno intensificando i bombardamenti allo scopo di colpire Saddam Hussein, bersaglio principale delle ultime ore di attacchi. Ma quale scenario potrebbe prendere vita nel mondo arabo con la scomparsa del rais iracheno? L’opinione di Antonio Ferrari, inviato speciale a Damasco del Corriere della sera:

 

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R. - E’ vero, gli americani hanno detto più volte: L’obiettivo è Saddam. Bisogna eliminare Saddam, o comunque bisogna catturare Saddam”. Però se Saddam alla fine resta, o non si riesce a trovare, questo rischia di indebolire quello che è il significato, il simbolismo di questa campagna militare. Che cosa cambia per il mondo arabo? Il mondo arabo, come sappiamo, non ha mai amato Saddam Hussein, neanche quando Saddam Hussein era più popolare di quanto sia oggi. Non lo hanno mai amato, perchè sanno che ha provocato per oltre 20 anni sofferenze al suo popolo. Ora, la morte forse cambierebbe molto poco. La gente soffrirebbe molto di più nel vedere i civili iracheni soffrire, morire, che non vedere lo stesso per Saddam Hussein. Certo, se si dovesse riproporre una situazione di tipo afgano, con Saddam Hussein e qualcuno dei suoi pretoriani che riesce comunque a salvarsi, allora questo sarebbe alimentare quei dubbi espressi da molti su questa guerra, che il vero obiettivo non erano le armi di distruzione di massa, ma il vero obiettivo era quello di controllare per lungo tempo l’Iraq. E probabilmente è quello che si sta materializzando.

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Non solo le masse dei cittadini delle metropoli del pianeta si sono mobilitate in continuazione per protestare contro la guerra in Iraq. Lo ha fatto anche il mondo della cultura. Come nel caso del concerto di ieri per i 700 anni della fondazione dell’Università degli studi di Roma La Sapienza. Un concerto sulle arie di Mozart e interamente dedicato alla pace, diretto dal maestro Riccardo Muti, alla testa della Filarmonica della Scala di Milano. Prima dell’esecuzione, Muti si è rivolto alla platea, in mezzo alla quale un nutrito gruppo di universitari manifestava contro la guerra in Iraq, testimoniando il suo impegno personale in tal senso:

 

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(musica)

 

R. – Dal 1997, abbiamo girato il mondo proprio nel segno della pace. Siamo stati i primi ad atterrare a Sarajevo. A ritorno dal concerto, abbiamo attraversato anche un campo minato. Non sto sottolineando un atto di eroismo, sto sottolineando il messaggio che abbiamo portato a Sarajevo, a Beirut a Gerusalemme. Lo abbiamo fatto in 24 ore: una sera a Jerevan e quella successiva ad Istanbul. Due popoli, quello turco e quello armeno, che ancora oggi sono in completa inimicizia. Non c’è niente da celebrare nel mondo di oggi, se non il dolore. E la musica che noi portiamo, oltre che di speranza e gioia, è musica di dolore. L’Adagio della “Gran Partita” di Mozart sottolinea il dolore di un uomo che meglio di qualsiasi altro ha espresso in musica e condannato la violenza, la brutalità, la sopraffazione, la tirannia. Noi siamo qui per questo, per la parola pace, alla quale abbiamo dedicato pochi giorni fa la rappresentazione del “Fidelio”, il più alto testamento di fratellanza scritto da Beethoven, che si conclude con le parole: “Il fratello cerchi il suo fratello”.

 

(musica)

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Ogni guerra ha un prezzo sempre molto alto che i Paesi coinvolti debbono pagare: in vite umane, in danni materiali, in ferite psicologiche, in rivendicazioni territoriali, razziali, politiche. Ma è soprattutto il dato umano che resta lo scotto maggiore di ogni conflitto. Ascoltiamo il nostro direttore generale, padre Pasquale Borgomeo:

 

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R. – Sono passate quasi tre settimane di distruzioni, di orrore e di sangue, e ancora si combatte, e ancora si muore. Intanto, la città è cinta d’assedio e per i civili è diventato sempre più difficile e rischioso uscirne. Si era temuta prima della guerra una catastrofe umanitaria per l’esodo previsto di due milioni di profughi, che nessuna istituzione umanitaria sarebbe stata in grado di assistere. Catastrofe umanitaria si profila ora anche per la popolazione che è restata nella capitale ostaggio di Saddam. Non si vede infatti come la popolazione di un’immensa città, quale è la capitale irachena, possa sopravvivere ad un prolungato assedio o come possa restare indenne quando le sue strade e le sue case diventano campo di battaglia. Le varie istituzioni umanitarie internazionali cercheranno in ogni modo di portare soccorso. Ma intanto, un interrogativo non eludibile, tormenta le nostre coscienze. Chi protegge uomini, donne, vecchi e bambini di Baghdad? Non certo Saddam Hussein, che piuttosto se ne fa scudo. E allora chi? Chiameremo tranquillamente ‘danni collaterali’ la strage di esseri innocenti? E chi avrà interesse a contarle le vittime civili, se a tutt’oggi, nonostante le testimonianze frammentarie che ci giungono attraverso i media, non riusciamo a farci un’idea almeno approssimativa del tributo di sangue pagato dalla popolazione irachena? Che Dio onnipotente e misericordioso, Dio di amore e di pace, Padre di tutti, abbia pietà di tutti i combattenti e popolazione inerme, e liberi dalla follia della guerra una umanità che oggi, come non mai, dà voce alla sua profonda aspirazione alla pace.

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UNA RIEVOCAZIONE DI PADRE ANGELO ARPA, MORTO LO SCORSO 27 MARZO,

IL GESUITA STUDIOSO DI CINEMA CHE CONTRIBUI’

ALLA RILETTURA ED ALLA DIFFUSIONE DEL NEOREALISMO IN ITALIA

- Intervista con padre Virginio Fantuzzi -

 

Si è spento lo scorso 27 marzo a Roma padre Angelo Arpa, il gesuita che ha dedicato tutta la sua vita allo studio ed alla divulgazione del cinema italiano d’autore, entrando in contatto con alcuni tra i più grandi protagonisti del grande schermo del secolo scorso. Ideatore nell’immediato dopoguerra del primo Cineforum in Italia, per oltre quarant’anni padre Arpa è stato amico e collaboratore di Federico Fellini e di altri esponenti del neorealismo italiano come Roberto Rossellini e Pierpaolo Pasolini, nelle cui produzioni molto discusse dalla cultura cattolica del tempo riconobbe valori non soltanto artistici ma anche di carattere morale e perfino religiosi. Maria di Maggio ha sentito per noi padre Virginio Fantuzzi, giornalista della rivista “La Civiltà Cattolica”.

 

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R. – Padre Arpa ha avuto una vita avventurosa e diciamo così, molto varia. Se vogliamo cominciare dagli anni del dopo guerra, quando lui stava all’Istituto Areppo di Genova, e svolgeva apostolato giovanile, ecco che vediamo padre Arpa nei suoi primi contatti con il cinema. Si serviva del cinema come strumento di apostolato nell’ambito di una attività che possiamo indicare nel senso generale come cineforum. Quindi dibattiti su film di interesse religioso e spirituale e successivamente, dal momento che lui si serviva del cinema per lanciare degli stimoli di conversazione con i giovani e i non giovani, con le persone alle quali si rivolgeva la sua attività apostolica, siccome tutto questo non gli bastava ha fondato una sua casa di produzione cinematografica che si chiamava la Golden Star, con la quale ha realizzato anche un film di Roberto Rossellini che si intitola ‘Era notte a Roma’. Quindi, a questo punto non era soltanto uno che commentava i film, ma è entrato lui stesso nei meccanismi della produzione cinematografica.

 

D. – Padre Arpa, quindi fu tra i primi estimatori del neo-realismo italiano, inizialmente e duramente criticato dal mondo cattolico. Ma padre Arpa come svolse questa funzione di tramite fra la cultura cattolica del tempo ed il neo-realismo italiano?

 

R. – Il neorealismo italiano è un cinema tutto pieno di fermenti religiosi e spirituali che però sono sempre nascosti dietro vicende che a volte non sono direttamente edificanti. Allora c’era un atteggiamento ufficiale della Chiesa, dal quale padre Arpa si distaccava, perché lui prendeva altre strade e di fronte certi film, come quelli di Pasolini, dove si sentiva parlare da parte dei cosiddetti critici cattolici, di ambienti squallidi e situazioni improponibili, cose condannabili, padre Arpa aveva un atteggiamento completamente diverso, perché aveva una sua capacità di mettersi in sintonia con queste personalità, diciamo così, aperte alla dimensione spirituale anche se andavano per strade che non sono proprio quelle della ortodossia cattolica.

 

D. – L’interesse per il cinema portò padre Arpa a frequentare maestri del tempo come Roberto Rossellini e Federico Fellini. Soprattutto a Federico Fellini padre Arpa fu legato da una sincera amicizia. Padre Fantuzzi, cosa può raccontarci a riguardo?

 

R. – Padre Arpa ricordava le telefonate che Fellini gli faceva immancabilmente tutte le domeniche mattina, in cui passavano in rassegna tutti gli avvenimenti della settimana e quanto questi appuntamenti gli mancassero dopo che Fellini non c’era più. Oltre ad essere molto amici erano anche collaboratori e padre Arpa ci teneva a sottolinearlo, nel senso che Fellini sottoponeva a padre Arpa i suoi progetti cinematografici e la collaborazione di padre Arpa era richiesta soprattutto negli aspetti di questi film dove o c’era di mezzo la figura di un ecclesiastico oppure la tematica si avvicinava ad argomenti di tipo morale, spirituale o religioso.

 

D. – Padre Fantuzzi, a suo avviso qual è l’eredità di padre Angelo Arpa?

 

R. – Ecco, Gesù dice nel Vangelo “conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”:  padre Arpa è uno che è sempre uscito fuori da tutti gli schemi. Credo che questo sia di stimolo a tutti quelli che l’hanno conosciuto ed apprezzato, perché è un modo, per chiunque lo abbia conosciuto, di mettersi in contatto, attraverso di lui, attraverso il suo ricordo, attraverso la sua eredità, con questo appello alla libertà, che è la libertà dei figli di Dio.

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CHIESA E SOCIETA’

8 aprile 2003

 

 

MEDAGLIA D’ORO A CARLO URBANI PER I MERITI NELLA RICERCA

SULLA POLMONITE ATIPICA; IL VIRUS PRENDERÀ IL NOME DEL RICERCATORE ITALIANO

- A cura di Stefano Cavallo -

 

 

ROMA. = La polmonite atipica, diffusasi in questi giorni in tutto il mondo, ha assunto da ieri il nome di 'Sars Urbani': è un piccolo riconoscimento all’opera del medico infettivologo Carlo Urbani – che per primo ha isolato la malattia – morto a Bangkok lo scorso 29 marzo, dopo aver contratto l’infezione con il virus della polmonite atipica. Alcuni giorni fa il parroco di Castelplanio, don Mariano Piccotti, aveva ricordato l’amico medico, che “ha posto la sua voglia di volare alto al servizio di chi è indifeso”, facendolo “con rigore intellettuale, ma soprattutto spinto dalla fede.” Nel corso della prima Giornata italiana della Sanità, celebrata ieri pomeriggio al Quirinale, a Urbani è stata inoltre attribuita la medaglia d'oro al merito della Sanità pubblica “per l'attività sociale e sanitaria offerta con generosità e silenziosamente alle popolazioni più diseredate, spingendosi volontariamente oltre le frontiere della civiltà, curando gli altri, dimenticandosi di sé stesso, pur amando fortemente la vita”. Il presidente italiano Carlo Azeglio  Ciampi ha definito il dott. Urbani come “un eroe” dell'Organizzazione mondiale della sanità e anche per la Repubblica italiana. A ritirare il riconoscimento per lui, tra gli applausi commossi, i tre figli e la moglie Giuliana, che con grande forza ha ribadito di voler "portare avanti l'impegno di aiuto e di solidarietà verso chi ha bisogno”. “In questa giornata dedicata alla sanità e alla salute pubblica – ha continuato il presidente Ciampi – abbiamo il dovere di onorare la memoria di un medico, di un cittadino coraggioso, di un padre e di un marito strappato ai suoi cari mentre indagava un morbo terribile e sconosciuto […]. Carlo Urbani ci lascia un insegnamento prezioso che scuote la coscienza di ciascuno di noi”. Dopo aver ricordato coloro che in Italia sono stati protagonisti, combattendo malattie endemiche (dalla Spagnola al Tifo, dal Colera alla Malaria), il presidente ha insistito sull’importanza di “affrontare con determinazione il divario di povertà e di condizioni di vita con il Sud del mondo. Disinteressarci di questo problema – ha continuato – è la premessa di nuovi conflitti, di nuove tragedie”. Parole di encomio e di ammirazione sono andate al medico italiano anche da parte del ministro della sanità Girolamo Sirchia, che lo ha definito “un eroe riservatissimo e silenzioso; un esempio di vita cristiana vera; un uomo che lavorava in silenzio e modestia, molto amato da quanti lo conoscevano e che hanno colto il valore dell'uomo”.

 

 

“PERCHÉ IN AFRICA ACCETTIAMO COME NORMALE UN LIVELLO DI SOFFERENZA,

CHE MAI ACCETTEREMMO IN QUALUNQUE ALTRA PARTE DEL MONDO?”

COSÌ IL RESPONSABILE DEL PAM, DURANTE LA PRESENTAZIONE DI UN RAPPORTO

SULLA SITUAZIONE ALIMENTARE IN AFRICA AL CONSIGLIO DI SICUREZZA:

40 MILIONI DI PERSONE RISCHIANO DI MORIRE DI FAME

 

NEW YORK. = Il conflitto iracheno con il suo dramma umanitario, non deve distogliere l’attenzione della comunità internazionale dalla tragedia vissuta da altri Paesi, devastati da guerre, carestie ed epidemie. A ricordarlo al Consiglio di sicurezza dell’Onu è stato ieri il direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale, lo statunitense James Morris. Reduce da un viaggio in Africa, ha presentato all’organismo dell’Onu un dettagliato rapporto sulla situazione alimentare di Etiopia, Eritrea, Africa orientale e sub-sahariana: circa 40 milioni di persone rischiano di morire di fame. “Ognuno di voi – ha esortato Morris – può fare molto di più per destinare attenzione e risorse alla crisi alimentare africana”. Morris, ha illustrato le attività che l’organismo da lui diretto svolge in Africa: tra rifugiati e sfollati interni, sono circa 7 milioni e 500 mila le persone che ricevono aiuti. Le difficoltà nascono dalla mancanza di fondi: i donatori non intervengono in maniera adeguata. “Per quanto non mi piaccia – ha detto con decisione Morris – non posso non pensare che abbiamo due diversi metri di giudizio. Perché in Africa accettiamo come normale un livello di sofferenza, che mai accetteremmo in qualunque altra parte del mondo? Non possiamo sopportare questa situazione”. Dall’analisi di Morris emerge un continente che soffre la siccità, il fallimento delle politiche economiche, le frequenti guerre civili e l’ampia epidemia di Aids: tutti questi fattori contribuiscono alla crisi alimentare che i governi non riescono a fronteggiare. (M.A.)

 

QUALI SONO LE PROSPETTIVE DI SVILUPPO DEL CONTINENTE ASIATICO?

NE HANNO PARLATO A MADRID I PARTECIPANTI AL “FORUM ASIA”, PROMOSSO

 DALLA ONGSPAGNOLA “ MANOS UNIDAS”. DIALOGO E RISPETTO

TRA LA DIVERSE COMPONENTI ETNICHE LA VIA DA SEGUIRE

 

MADRID. = Si è concluso con un appello in favore della mutua collaborazione e del rispetto delle identità culturali tra le diverse popolazioni del continente, il “Forum Asia”, manifestazione promossa dalla Ong “Manos Unidas”, che si è svolta a Madrid la scorsa settimana. Dal 3 al 5 aprile, diversi relatori tra cui l’arcivescovo di Madrid, il cardinale Antonio Maria Rouco Varela, ed il nunzio apostolico in Spagna, l’arcivescovo Manuel Monteiro de Castro, hanno analizzato le prospettive di crescita economica, politica, demografica e culturale del continente asiatico. “Lo sviluppo umano e sostenibile – si legge nel documento finale – non può rispondere ad una logica di beneficio economico, ma deve tener conto dei diritti e delle necessità degli individui”. Approfondendo il tema “Lo sviluppo, cammino della pace”, il congresso ha affrontato le principali problematiche del continente: la corruzione della classe dirigente, lo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali, i conflitti interetnici, la schiavitù lavorativa di bambini e donne, l’esodo dalle campagne alle città e l’emarginazione degli indigeni. Il documento evidenza che l’Asia sta dimostrando un grande dinamismo economico e politico, nel quale si intravedono anche progetti come le cooperative per il lavoro femminile, i centri di accoglienza per i bambini abbandonati, le campagne anti-mine: iniziative indispensabili per soccorrere le persone più deboli della società. Per far crescere questi progetti è necessario però creare un clima adeguato. “Gli aiuti all’Asia – afferma il testo finale – devono indirizzarsi verso la promozione della pace, della tolleranza e del dialogo interreligioso, lasciando che siano gli stessi asiatici i protagonisti del loro sviluppo”. (M.A)

 

LA CARITAS DELLA REPUBBLICA CECA SI ATTIVA IN FAVORE DEI BAMBINI CECENI. RISTRUTTURATE NELLA REPUBBLICA DEL CAUCASO 10 SCUOLE MATERNE CHE PERMETTONO AI BAMBINI DI AVERE UN LUOGO SICURO E PULITO NEL QUALE GIOCARE

 

GROZNY. = Da quando il conflitto in Cecenia è entrato in una nuova fase, un gruppo di cattolici provenienti dalla Repubblica Ceca ha avuto la possibilità di recarsi nella Repubblica caucasica della Federazione Russa per portare aiuto ai bambini. La Caritas ceca ha infatti cominciato ad operare in quattro scuole materne di Grozny e in altri sei asili che si trovano nei campi per i rifugiati vicino al confine con l’Ingushezia. Gli edifici che ospitano le scuole sono stati ristrutturati, puliti e dipinti con colori brillanti che ben si adattano all’atmosfera giocosa creata dai bambini. La responsabile della Caritas a Grozny, Katerina Perunova  ha spiegato i benefici che questi aiuti stanno portando ai bambini. In città e zone distrutte dal conflitto, nelle quali le condizioni sanitarie sono precarie, i bambini possono trovare un luogo accogliente nel quale giocare serenamente. (M.A)

 

CANTO DI PACE PER TENORE, CORO E ORCHESTRA SU TESTO DI GIOVANNI PAOLO II.

PRESENTATO STAMANI PRESSO LA NOSTRA EMITTENTE IL CONCERTO

IN PROGRAMMA LUNEDI’ 28 APRILE AD ANCONA. UN EVENTO ECCEZIONALE

CHE VEDRA’ LA PARTECIPAZIONE DI PLACIDO DOMINGO

 

ROMA. = “Non faremo di pietra il nostro cuore come quello dei Padri nel deserto … la tua Parola ci insegnerà a inventare la pace perché la civiltà dell’amore racconti del Regno che è e che viene …” Sono alcune delle parole pronunciate da Giovanni Paolo II all’incontro di preghiera per la pace che si è tenuto ad Assisi il 24 gennaio 2002. Ora saranno al centro del concerto intitolato “Musiche per la pace” in programma al Teatro delle Muse di Ancona il prossimo 28 aprile. Ad interpretare il testo scritto dal Papa sarà il tenore Placido Domingo su musica del maestro Marco Tutino, compositore di punta del panorama musicale italiano. Durante il concerto, che nasce da un progetto di Claudio Orazi, direttore artistico della stagione lirica del Teatro, verranno eseguiti brani di Vivaldi, Mozart, Schubert e Pergolesi. La manifestazione, una prima mondiale, cade in un contesto particolarmente cruciale, segnato dal conflitto in corso, e vuol essere dunque anche momento di incontro intorno a  valori spirituali alti e messaggio di speranza. Radiotre trasmetterà l’evento in diretta a partire dalle ore 21. (A.M.)

 

 

 

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24 ORE NEL MODO

8 aprile 2003

- A cura di Giada Aquilino -

 

 

"Cogliere l’opportunità della pace". Con queste parole il presidente americano George Bush - da Belfast dov’è riunito col premier britannico Tony Blair e il primo ministro irlandese Bertie Ahern – si è rivolto ai partiti politici nordirlandesi, esortandoli ad adottare il piano elaborato da Londra e Dublino per rilanciare l’accordo di pace del 1998. Bush ha inoltre espresso il proprio apprezzamento per il nuovo premier palestinese Abu Mazen e si è impegnato a pubblicare il tracciato per la ripresa dei negoziati di pace tra israeliani e palestinesi.

 

“Dopo l’Iraq, gli Stati Uniti attaccheranno Iran, Arabia Saudita, Egitto e Sudan”. Lo affermerebbe Osama Bin Laden, che avrebbe fatto recapitare all’agenzia Associated Press un nastro contenente la propria voce. Nella cassetta – sulla cui autenticità non esistono ancora garanzie – si esortano i musulmani a compiere attentati suicidi e a sollevarsi contro i governi arabi che sostengono la guerra in Iraq. Fra questi, vengono citati Pakistan, Afghanistan, Bahrein e Kuwait.

 

Alla vigilia di una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sulla crisi nucleare nordcoreana, la Russia ha messo in guardia la comunità internazionale contro un possibile peggioramento della situazione. Secondo il vice ministro degli Esteri di Mosca, Alexandre Lossioukov, la cosa più importante per la soluzione della crisi rimane il riavvicinamento nelle relazioni tra Washington e Pyongyang. Domani sera Mosca invierà il proprio ministro della Difesa Serghiei Ivanov in Corea del Sud, mentre le autorità di Seul faranno partire per Pechino il capo della diplomazia sudcoreana Yoon Young Kwan: al centro delle missioni, proprio la corsa al riarmo nucleare di Pyongyang.

 

Joseph Kabila, capo di Stato della Repubblica Democratica del Congo, è ufficialmente da ieri alla guida del nuovo governo di transizione. Il presidente dell’ex Zaire ha giurato sulla nuova Costituzione, firmata nei giorni scorsi a Sun City, in Sudafrica, dai protagonisti del conflitto nel Paese africano. Ce ne parla Giulio Albanese:

 

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Alla cerimonia erano presenti quasi tutti i 362 delegati che nei mesi scorsi hanno preso parte allo sforzo diplomatico di enormi proporzioni - ben 19 mesi di negoziati – conclusosi in Sudafrica con l’approvazione di una nuova Carta costituzionale e di un governo di transizione in carica per due anni, in vista di libere elezioni. Nel Paese però le violenze continuano. E’ di domenica sera la notizia del massacro avvenuto la scorsa settimana nel territorio di Drodro, a 80 chilometri da Bunia, capitale regionale dell'Ituri. Si parla di un bilancio di oltre 900 morti: un bilancio che dimostra la mancanza di volontà politica dei signori della guerra di passare dalle parole ai fatti.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Passiamo al processo di pace in Sudan. Il leader dei ribelli dell'Esercito di liberazione del popolo sudanese, John Garang, ha incontrato ieri al Cairo il presidente egiziano, Hosni Mubarak, ed il segretario generale della Lega araba, Amr Mussa. I colloqui si sono svolti proprio mentre a Nairobi, in Kenya, si apriva una nuova tornata di negoziati per la pacificazione nel Paese africano. A mons. Cesare Mazzolari, vescovo di Rumbek nel sud Sudan, abbiamo chiesto che cosa ci si possa attendere da queste trattative:

 

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R. - Non siamo stati disturbati da grandi battaglie in questi ultimi due mesi. Siamo fiduciosi quindi che questo nuovo inizio sia positivo. Non possiamo guardare immediatamente alla divisione in Stati autonomi. Parliamo di un periodo ad interim di sei anni, in cui ci si preparerà al referendum. Quando poi verrà la consultazione, si deciderà se resteremo uniti o se ci sarà una separazione autonoma di nord e sud.

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Sciolto il Parlamento all’indomani del colpo di Stato dello scorso 15 marzo, Francois Bozizé, autoproclamato presidente della Repubblica centrafricana, ha creato il Consiglio nazionale di transizione, un organo di valore consultivo che sarà convocato una volta ogni tre mesi. Tra i suoi compiti, quelli di stendere la nuova Costituzione, preparare le prossime elezioni, assistere il capo dello Stato nelle sue funzioni legislative.

 

La violenza continua a mietere vittime in Algeria. Ancora una volta gli scontri sono particolarmente cruenti nella regione di Chlef, 200 chilometri ad ovest di Algeri: in un raid dell’esercito, appoggiato anche da elicotteri da combattimento, sono rimasti uccisi undici ribelli legati al Gruppo islamico armato (Gia) e due militari. Sono oltre 350 le vittime degli scontri dall’inizio dell’anno.

 

Tre soldati russi hanno perso la vita stamani a Grozny, in Cecenia, quando una mina telecomandata è esplosa al passaggio del veicolo blindato su cui viaggiavano. Altre sei persone sono rimaste ferite nella deflagrazione.

 

Armenia. Il presidente Robert Kotcharian ha firmato oggi il decreto che fissa per il prossimo 25 maggio un referendum costituzionale per ridurre i poteri del capo di Stato a favore del Parlamento. L’opposizione che, dopo la sconfitta alle presidenziali del 5 marzo scorso, contesta il mandato di Kotcharian, critica duramente anche la riforma per una Costituzione entrata in vigore nel ’95.

 

 

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