RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 96 - Testo della
Trasmissione domenica 6 aprile 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Il virus della polmonite atipica condiziona anche i riti
della Settimana Santa ad Hong Kong
Nuovo massacro nella Repubblica
Democratica del Congo: oltre 900 morti in scontri inter-etnici
Sarà pubblicato il 10 aprile
il Rapporto della Commissione per la pace uruguayana
6
aprile 2003
ANCHE
OGGI ALL’ANGELUS DOMENICALE IL PENSIERO DEL SANTO PADRE ALL’IRAQ
E A QUANTI SONO COINVOLTI
NELLA GUERRA,
CON L’INVITO A PREGARE LA
MADONNA PER IL DONO DELLA PACE
- A cura di Giovanni Peduto -
Quarant'anni
or sono, l'11 aprile del 1963, il Beato Giovanni XXIII pubblicava l'Enciclica Pacem in terris, nella quale tracciava
le grandi linee di un’efficace promozione della pace nel mondo. Asserito che
l'Enciclica si rivela anche oggi di straordinaria attualità, e che costruire la
pace è un impegno permanente, il Pontefice ha sostenuto che la realtà di questi
giorni lo dimostra in modo drammatico, ed ha proseguito:
**********
Il mio pensiero va, in particolare, all’Iraq e a
quanti sono coinvolti nella guerra che là imperversa. Penso in modo speciale
all’inerme popolazione civile che in varie città è sottoposta a dura prova.
Voglia Iddio che finisca presto questo conflitto per fare spazio ad una nuova
era di perdono, di amore e di pace.
**********
Per ottenere
tale fine, occorre ripartire dallo spirito che animava Giovanni XXIII: spirito
di fede, anzitutto, e insieme di realistica e lungimirante saggezza.
Nell'Enciclica, egli annoverava tra i segni dei tempi il diffondersi della
persuasione che le eventuali controversie tra i popoli non debbono essere risolte
con il ricorso alle armi; ma invece attraverso il negoziato. Purtroppo, questo
positivo traguardo di civiltà non è stato ancora raggiunto, si è rammaricato il
Santo Padre, che ha aggiunto:
**********
Desidero
affidare l'impegno della pace soprattutto ai giovani. Li incontrerò domenica
prossima, nella Giornata ad essi dedicata. E' indispensabile educare le nuove
generazioni alla pace, che deve diventare sempre più stile di vita, fondato -
come insegna Papa Giovanni - sui quattro pilastri della verità, della
giustizia, dell'amore e della libertà.
**********
In
preparazione alla Giornata della Gioventù, come è ormai tradizione, il Papa
incontrerà i giovani di Roma e delle diocesi del Lazio in uno speciale momento
di preghiera e di festa, che avrà luogo nel pomeriggio di giovedì prossimo 10
aprile, in Piazza San Pietro. Alla luce del tema "Ecco la tua Madre!", egli affiderà i giovani presenti alla
Vergine Santa e consegnerà a ciascuno una corona del Rosario, che li aiuti
nella preghiera. Ciò detto, Giovanni Paolo II ha concluso:
**********
Con
grande fiducia continuiamo a rivolgerci alla Madonna, pregando per la pace in
Iraq e in ogni altra parte del mondo.
**********
Il Papa
ha concluso salutando i fedeli con l’augurio di una buona domenica e di una buona
settimana, che è l’ultima di questa Quaresima: la prossima, infatti, è la
Settimana Santa che ha inizio con la Domenica delle Palme.
LE CONFERENZE DELLE DOMENICHE DI QUARESIMA A NOTRE
DAME DE PARIS:
ORATORE
DI QUEST’ANNO IL CARDINALE PAUL POUPARD
-
Servizio di Giovanni Peduto -
**********
La
tradizione ebbe inizio ad opera di un professore della Sorbona a Parigi
all’indomani della rivoluzione del 1830, Federico Ozanam, beatificato il 22
agosto 1997 da da Giovanni Paolo II in occasione della Giornata Mondiale della
Gioventù a Parigi. Federico Ozanam si recò a capo di una delegazione di
studenti dall’allora arcivescovo di Parigi per chiedergli di offrire in
Quaresima un insegnamento che non fosse noioso, come abitualmente accadeva, ma
una parola di fuoco, una parola di luce per l’intelligenza, una parola per
nutrire i cuori. Il presule scelse il giovane domenicano Lacordaire che dette
subito grande risonanza alle conferenze di Notre Dame e da allora fino ad oggi,
attraverso tutti i cambiamenti politici, culturali, ecc., questi appuntamenti
sono rimasti una istituzione veramente importante. Lo testimonia il fatto che
le prediche vengono trasmesse in diretta da varie radio private. Quest’anno è
toccato al presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, il cardinale Paul
Poupard, predicare i Quaresimali a Notre Dame de Paris:
D. – Quale
architettura ha scelto per le sue conferenze, eminenza?
R. – L’architettura, molto semplice, è scaturita dalla
meditazione della Lettera apostolica del Santo Padre Giovanni Paolo II
all’indomani del Grande Giubileo, la Novo Millennio Ineunte, cioè la santità
come programma pastorale per tutta la Chiesa. Dunque è la santità la sfida
della storia, attraverso il ritratto di sei testimoni per il Terzo Millennio,
appositamente scelti per cultura, formazione umana, attività, età diverse, per
mostrare che la santità è possibile per tutti. Per questo ho scelto per la
prima domenica Roberto Schuman, uomo politico, padre dell’Europa che ha avuto
il genio con Conrad Adenauer e Alcide De Gasperi di superare l’odio secolare
tra Nazioni nemiche. Egli, ancora oggi,
ci rammenta che bisogna dare un’anima all’Europa. Quindi Madre Teresa:
dopo un’anima per l’Europa, l’altro punto è Cristo per i poveri. Madre Teresa
dice alle sue missionarie della carità: dobbiamo andare a visitare Cristo nei
poveri e a portare loro l’amore di Cristo. Riassumo il segreto di Madre Teresa
dicendo: il frutto della preghiera è la fede, il frutto della fede è l’amore,
il frutto dell’amore è il servizio, il frutto del servizio è la pace. La
santità è questa: conoscere Gesù, amare Gesù, servire Gesù. Con Maurizio
Blondel, filosofo, morto nel 1949, il tema è l’intelligenza della fede. Egli
volle rispondere da filosofo alla questione fondamentale che nessuno può
ignorare e, cioè, se la vita ha un senso e l’uomo un destino. E anticipando
l’enciclica del Santo Padre “Fides et Ratio”, affermò che quando sappiamo
seguire con metodo veramente aperto l’analisi dell’azione quotidiana, la
ragione ci porta ad aprirci alla rivelazione dell’amore di Cristo. Poi
l’africana Bakhita. Tema: dalla schiavitù alla libertà di Cristo. Rapita come
schiava dal cuore del Sudan, diventata religiosa, attraverso un storia incredibile,
riesce con la forza di Cristo a resistere e a scegliere la libertà che la porta
a Dio, di cui dice, con disarmante semplicità: ho conosciuto finalmente questo
Dio che sentivo nel mio cuore quando ero piccola senza sapere chi fosse. Ella
ci mostra questo desiderio nascosto di Dio che si manifesta attraverso la
storia. Segue Piergiorgio Frassati: Cristo, gioia dei giovani. Quella di
Frassati è una storia molto breve perché muore a 24 anni di poliomielite. Vissuto
in un famiglia in cui non era felice, trovò nella contemplazione della natura,
nella meditazione di San Paolo, nell’Eucaristia quotidiana la forza per
superare le difficoltà della vita, scoprendo l’amore di Cristo e, come Madre
Teresa, parteciparlo, durante tutta la sua breve vita, attraverso il genio
dell’amicizia. Per finire, la Domenica delle Palme, il buon Papa Giovanni,uomo
di unità e di pace. Figlio di una numerosa famiglia di contadini, entra in
seminario, diventa segretario del suo vescovo, è chiamato a Roma a dirigere le
Pontificie Opere Missionarie, e quindi inviato dal Papa in Bulgaria, poi in
Grecia e Turchia dove capisce veramente che cosa significhi essere cristiano in
un oceano ortodosso e musulmano. Dopo
Parigi e Venezia, a 77 anni diventa Papa e inaspettatamente convoca il
Concilio Vaticano II per far sì che la Chiesa diventi più presente nel mondo. E
lo fa invitando tutti i fratelli separati: anglicani, protestanti, ortodossi,
ed aprendo un cammino verso l’unità continuato dai suoi successori, Paolo VI e
Giovanni Paolo II. Vorrei ricordare la sua Enciclica “Pacem in Terris” così
attuale in questo momento e quindi il suo costante messaggio di speranza, di
pace, di bontà e di unità.
D. – Eminenza, all’alba di questo Terzo Millennio, nei
suoi Quaresimali a Parigi, lei ha inteso proporre sei figure di santi del XX
secolo. Ma come viene intesa oggi la santità?
R. – La santità, per la maggior parte
degli uomini d’oggi, è una parola che non ha senso. Quando una realtà così
essenziale ha perso di significato, bisogna lavorare in modo semplice per
presentare delle persone che sono state sante e far capire possibilmente attraverso il loro esempio che cosa è la
santità, che consiste essenzialmente nel riconoscersi come fratelli, nel vivere
nella fede, nella speranza e nella carità, nonostante tutte le difficoltà. E
questo ad un grado eccezionale, che possiamo definire eroico, che vuol dire
seguire Cristo attraverso i misteri della sua vita, che ci portano
dall’incarnazione alla Pasqua.
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6 aprile 2003
LE
TRUPPE AMERICANE COMPLETANO L’ACCERCHIAMENTO DI BAGHDAD,
DALLA
QUALE MOLTI CIVILI TENTANO LA FUGA. NUOVI RIFORNIMENTI UMANITARI
IN
ARRIVO A NAJAF, MA LA SITUAZIONE ALIMENTARE E SANITARIA RESTA DRAMMATICA
- A
cura di Alessandro De Carolis -
Baghdad stretta inesorabilmente d’assedio dall’aria e da
terra. La guerra che dal deserto si è spostata tra le case alla periferia della
capitale irachena porta con sé, nel dramma dei bollettini quotidiani, le cifre
di un conflitto dai bilanci sempre più pesanti. Duemila morti, tra “i
combattenti iracheni”, negli ultimi due giorni, secondo il Centcom, il Comando
alleato in Qatar, che ha garantito la prosecuzione dell’isolamento di Baghdad.
La cronaca dai diversi teatri di guerra ha visto l’aeroporto internazionale
“Saddam Hussein” finire in mano alle truppe americane, a prezzo di una
sanguinosissima battaglia, qua e là non ancora terminata. Anche l’assedio
britannico alla città di Bassora si è trasformato in un’offensiva che, secondo
civili in fuga, ha portato i carri armati nel centro urbano.
E poi, altri episodi, più piccoli e contrastanti, come i
molti chiaroscuri di questo conflitto. Nel nord Iraq, da un lato i peshmerga
curdi annunciano la presa della città di Ain Sifni, che si trova a nordest di
Mosul. Dall’altro, un caccia statunitense fa strage di un convoglio di auto
composto di connazionali delle Forze speciali e di curdi: tre gli americani
morti e dodici peshmerga curdi, oltre a 44 feriti. Tra i feriti da “fuoco
amico” figura anche il fratello minore del leader del Partito democratico
curdo, Massoud Barzani. Si tratta di Wajih Barzani, capo delle forze speciali
curde che collaborano con le truppe statunitensi nelle operazioni in Kurdistan.
E ancora: un convoglio di diplomatici russi - con a bordo l'ambasciatore russo
a Baghdad Vladimir Titorenko - è stato
attaccato con armi automatiche da sconosciuti, provocando cinque feriti mentre,
per ragioni di sicurezza, si accingeva ad allontanarsi dalla capitale alla
volta della Siria. Il portavoce del Cremlino ha detto che le autorità irachene
e i comandi anglo-americani erano stati preavvertiti del trasferimento.
La popolazione di Baghdad, intanto, ha iniziato il 19.mo
giorno di guerra sotto nuovi bombardamenti, tra enormi disagi e nell’attesa di
conoscere il proprio destino attraverso l’epilogo del conflitto. Un’atmosfera
di sospensione, che ci viene descritta – direttamente dalla capitale irachena –
dalla giornalista Mediaset, Anna Migotto:
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R. – La notte scorsa è trascorsa in maniera relativamente
tranquilla rispetto alle precedenti. Ci sono state alcune forti esplosioni abbastanza
vicine alla città attorno a mezzanotte e di nuovo questa mattina verso le prime
luci dell’alba. Chi ha potuto percorrere le strade dalla periferia al centro
racconta di gente che tenta di lasciare le aree esterne per cercare rifugio
verso la città. Ma abbiamo visto in questi giorni anche molte code di gente
tentare di andarsene, probabilmente verso nord. La situazione all’aeroporto rimane
ancora confusa. Come sapete, ieri c’è stata una grande battaglia di
contro-informazione riguardo alla situazione dell’aeroporto, con il regime
iracheno che ha sostenuto di averne il controllo ed il Pentagono, al contrario,
che fosse nelle mani degli americani. Quello che è certo è che attorno all’area
dell’aeroporto ci sono parecchi carri armati americani bruciati, insieme a
molti mezzi militari iracheni distrutti.
D. – Hai potuto verificare il bilancio di questo primo
scontro “cittadino” di ieri, per così dire: si è parlato di un migliaio di
morti iracheni...
R. – Si è
parlato di un migliaio di morti iracheni tra i militari, ma qui la grande incognita
sulle cifre delle perdite militari rimane aperta, perché non è mai stata
fornita una cifra definitiva. E’ certo, invece, che un ospedale cittadino è
praticamente ormai trasformato in un ospedale militare e che nell’altro ospedale,
l’Al Kindi, ieri abbiamo visto arrivare circa 90 feriti, tra i quali la
percentuale dei militari era piuttosto bassa. E c’è da dire che il Ministero
dell’informazione non sta più fornendo neanche il numero delle vittime civili.
D. – Ieri c’è
stato l’ennesimo appello di Saddam Hussein in televisione ...
R. – Sì. Si moltiplicano le presenze o i discorsi di
Saddam Hussein alla televisione, con appelli alla Jihad e alla resistenza. Io
debbo dirvi che la domanda che ci siamo posti tutti su come avrebbe reagito la
città nel momento in cui le truppe Usa si fossero avvicinate rimane ancora oggi
senza risposta, perché ci sono zone della città dove praticamente non si vede
un militare, mentre ci sono altre dove ve ne sono di più. Ma l’interrogativo
che interessa molti è se si arriverà ad una resistenza da parte civile. Credo
che la gente sia veramente in una situazione d’attesa per cercare di capire se
ci sarà un assedio, se ci saranno incursioni...
D. – Si è parlato di un paio di divisioni irachene
dislocate nel centro di Baghdad...
R. – Queste sono voci, ormai, che si rincorrono da giorni.
I sopravvissuti delle Divisioni Medina e Hammurabi sarebbero
confluiti all’interno della città - la Medina è quella che ha combattuto a
lungo nell’area di Kerbala e anche di Najaf. Ma queste presenze militari sono,
di fatto, molto nascoste. Ciò che noi possiamo vedere in città sono i caroselli
della polizia che, con macchine e bandiere, inneggiano a Saddam. In altre
parole, dal punto di vista strettamente militare, non si nota un rafforzamento
evidente della presenza militare all’interno della città, a parte le barricate,
i pezzi di artiglieria pesante e i carri armati attorno alle periferie sud
della città.
D. – Com’è la situazione dell’acqua e dell’elettricità lì
a Baghdad?
R. – Dunque: ieri sera abbiamo riavuto l’elettricità e
l’acqua. Da questa mattina manca elettricità, ma c’è acqua. Sappiamo anche che
in alcuni quartieri la situazione si è normalizzata, mentre in altri le
abitazioni sono ancora totalmente prive sia di acqua sia di elettricità.
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Un quinto convoglio umanitario, partito dal Kuwait, sta
dirigendosi a nord verso la città di Najaf, trasportando acqua viveri e altri
generi di prima necessità. Il
convoglio - ha riferito all'agenzia ufficiale Kuna un responsabile del Comitato
soccorsi kuwaitiano - è composto da 33 camion con rifornimenti per 120 mila
persone, un quarto degli abitanti complessivi di Najaf, che conta circa 420
mila residenti. I militari britannici, è stato precisato, aiuteranno nella
distribuzione degli aiuti. Mezzi con assistenza per gli iracheni sono già stati
inviati dal Kuwait alle citta' di Umm Qasr, Faw, Al-Zubeir, Bassora, Nassiriya
e Kerbala.
Dei possibili strascichi sull’economia europea e mondiale
del conflitto nel Golfo si è parlato ieri al vertice informale greco dell’Ecofin.
Qualsiasi conseguenza la guerra potrà avere in questo ambito, nulla potrà mai
essere paragonabile con il dramma umano generato dal conflitto, hanno affermato
i ministri delle Finanze dell’Ue. Al vertice, si e' parlato di ricostruzione,
ma solo in termini generali, senza ipotesi definite su quando e in che modo
essa possa essere avviata. Se l’idea di una ricostruzione dell’Iraq appare
ancora sfocata, è invece sempre viva e drammaticamente tangibile la situazione
dei civili negli ospedali superaffollati di Baghdad. Tra le organizzazioni
umanitarie al lavoro vi è Medici senza frontiere, che da mercoledì scorso ha
perso le tracce di due volontari, in servizio nell’ospedale di Al Kindi. Una
situazione che ha indotto l’associazione a sospendere la propria
collaborazione: Benedetta Capelli ha chiesto al direttore della sezione
italiana, Nicoletta Dentico, se vi siano notizie dei due collaboratori:
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R. – Per ora, nessuna notizia. Queste due persone stavano
girando per Baghdad per rinnovare i passaporti. Non abbiamo saputo più niente
di loro. C’è un’unità di crisi che si sta occupando di questo caso.
D. – Com’è la situazione all’ospedale Al Kindi?
R. – Negli ultimi giorni, c’’era
un crescente flusso di vittime, di situazioni al limite dell’accettabilità
umana: c’erano bambini completamente deturpati dai bombardamenti, bambini morti
sotto ai ferri. Arrivavano prevalentemente donne e bambini, che non ce la
facevano, molti dei quali erano in situazioni assolutamente disperate. E poi
anche molte persone con difficoltà cardio-respiratorie: quindi molti infarti,
molte situazioni legate alla tensione, alla paura, al terrore di questa guerra.
D. – Lasciare Baghdad in questa situazione che cosa
significa per voi?
R. – Rappresenta semplicemente
una di quelle cose che possono capitare quando si lavora in una situazione di
conflitto e di estrema tensione. Certo, ci provoca un grandissimo dolore andare
via proprio nel momento in cui sembrava che un aiuto servisse di più.
D. – Nell’ospedale
Al Kindi, dove voi eravate, è ricoverato tra gli altri Alì, un bambino al quale
una bomba ha mutilato le braccia e gli ha portato via i genitori e i
fratelli...
R. – Credo che
quella di Alì sia una delle tante tragiche storie. Alì è salito alla ribalta,
giustamente. Ma per un Alì che sale alla ribalta, ve ne sono tantissimi altri
che passeranno sotto silenzio per sempre. Di fronte alla drammaticità di queste
storie - di un bambino di otto anni che resta solo perché tutta la sua famiglia
è morta, o dell’uomo che si trova a seppellire i sei figli, la moglie e i
genitori e che resta disperatamente l’unico sopravvissuto di un bombardamento -
uno si chiede: chi mai si assumerà la responsabilità di queste catastrofi
personali, individuali, familiari? Quale giustificazione potrà mai essere data
per questi flagelli?
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Secondo Radio Teheran, Hassan
Ali Majid, cugino di Saddam e comandante delle forze irachene nel sud, sarebbe
stato ucciso nei bombardamenti a Bassora. L'emittente iraniana ha spiegato di
avere avuto notizia da proprie fonti locali che il corpo del comandante
militare è già stato riconosciuto
ufficialmente. Hassan Ali Majid e' conosciuto tra gli oppositori come “Alì il chimico”, per avere ordinato nel 1988 la
strage con armi chimiche di 5 mila civili curdi nel villaggio di Shalamja.
Un
altro capitolo sempre più importante e allo stesso tempo delicato di questa
guerra riguarda i prigionieri. Secondo quanto affermato ieri dal comando centrale
alleato in Qatar, le forze
angloamericane hanno catturato durante le varie fasi del conflitto 6.500
combattenti iracheni. Mentre l’offensiva si avvicina al punto cruciale, ci si
interroga sul trattamento da riservare ai questi prigionieri, molti dei quali -
in quanto combattenti irregolari - non potrebbero godere, secondo gli Stati
Uniti, delle garanzie della Convenzione di Ginevra. Sul punto ecco l’opinione
di due giuristi, il prof. Giovanni Conso e la prof.ssa Maria Rita Saulle,
intervistati da Fabio Colagrande:
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R. – L’11
settembre non è stato un atto di guerra. E’ stato un atto terribile,
un’atrocità grande, ma non si trattava di una guerra. In Iraq, è tutta un’altra
cosa. I morti dell’11 settembre non sono caduti in guerra: è stato un terribile
evento di tutt’altra natura, nefasto anche per il diritto, ma non è stato,
allora, violato il diritto umanitario. Il diritto umanitario viene violato
durante una guerra che deve essere dichiarata!
D. – Da parte degli anglo-americani potrebbe non essere
riconosciuto lo status di prigionieri di guerra né agli appartenenti ai
corpi paramilitari iracheni né ai funzionari del partito unico Baath: professor
Conso, un commento su questa notizia di cronaca:
R. – Già per quanto riguarda i prigionieri afghani, tutti
quelli che sono stati portati nell’isola di Guantanamo, con la scusa di dire:
‘Son dei terroristi e quindi non si applicano le norme della Convenzione di Ginevra’,
adesso lo si ripete, questo slogan. Non è sostenibile: se sono stati presi in
guerra, sono prigionieri di guerra, qualunque siano gli episodi precedenti che queste
persone possono aver compiuto o stavano compiendo nel momento. Se c’è guerra –
e questa volta la guerra è stata dichiarata davanti al mondo! – non c’è santo
che tenga, di poter fare delle eccezioni. Sono principi fondamentali, enunciati,
accettati anche se poi non rispettati.
R. – Sì, sono in linea di principio molto d’accordo con il
presidente Conso. Vorrei anche aggiungere un’altra considerazione: che ad ogni
essere umano, chiunque esso sia, prigioniero o non di guerra, spettano una
serie di diritti che costituiscono quello che viene chiamato lo ‘standard
minimo’, che implicano il rispetto della dignità della persona umana. Ora,
cercare di trincerarsi dietro ad uno stato di guerra per la sospensione dei
diritti umani in toto, è sbagliato!
D. – I prigionieri iracheni probabilmente saranno
trasferiti nel campo di prigionia di Guantanamo, dove si trovano i prigionieri
di Al Qaeda presi nel corso della guerra in Afghanistan del 2001-2002 ...
R. – Certamente, se fossero trasferiti lì si aggiungerebbe
una violazione dei diritti umani perché, per quanto fossero anche terroristi,
hanno sempre il diritto ad un minimo di trattamento umanitario, e ad
un’ulteriore violazione che sarebbe ancora accresciuta dal fatto che in questo
secondo caso noi ci troviamo di fronte ad una vera e propria guerra e quindi le
persone che sono catturate nel corso del conflitto sono prigionieri di guerra.
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Sin dall’inizio della guerra, in molti Paesi arabi e
islamici, le manifestazioni per la pace si sono intrecciate a numerosi episodi
di intolleranza contro gli Stati Uniti e il conflitto da loro scatenato in
Iraq, considerato un arbitrio. Anche tra gli stessi iracheni, gratitudine e
diffidenza verso le truppe alleate si sono finora alternate senza soluzione di
continuità, arrivando in qualche occasione fino al gesto estremo di un
attentato suicida. Come si spiega questo atteggiamento? Il parere di padre
Justo Lacunza, preside del Pontificio Istituto di Studi arabi e di islamistica:
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R. - Questo dimostra come le popolazioni non sono
d’accordo con questo modo di comportarsi, perché loro considerano la guerra
soprattutto un’invasione portata contro il popolo iracheno e non soltanto
contro Saddam Hussein. Dimostra anche la disperazione di un popolo che si sente
non davanti a dei liberatori ma si sente accerchiato: si sente con la corda
intorno al collo, e questo sentimento noi dobbiamo rispettarlo e dunque tutte
le follie, anche l’immolazione di due donne - una di loro sembra che fosse
incinta – dimostra quanto sia folle l’utilizzo e l’uso della forza, dei
bombardamenti, le ‘bombe intelligenti’, le ‘bombe chirurgiche’... Dunque, io
penso che la prima lezione sia che la guerra, il conflitto, gli armamenti e le
armi non risolvono nessun problema. Questo dobbiamo dirlo chiaro e tondo,
perché i problemi che adesso sono stati creati all’interno dell’Iraq sono
immensi: si parla di una catastrofe umanitaria, si parla di migliaia di civili
uccisi, si parla di villaggi e di città distrutti. Chi ricostruirà questo
Paese? Quello che è stato seminato - quell’odio, quel rancore, quella
sofferenza, quel dolore che è calato nel solco di queste popolazioni – avrà
bisogno di generazioni prima che possa essere guarito!
**********
L’OPINIONE
DI UN CONVINTO EUROPEISTA
SULLA COSTRUZIONE DELL’UNITA’ DEL CONTINENTE
MENTRE
IN QUESTI GIORNI SI DIBATTE A BRUXELLES LA CONVENZIONE EUROPEA
-
Intervista con Jordi Pujol -
Il presidente della Generalitat, ovvero del governo della Catalogna
in Spagna, Jordi Pujol, ha inaugurato a Roma venerdì scorso un centro regionale
culturale. La nuova sede può contare su una biblioteca pubblica, un salone per
le mostre ed un auditorium per le conferenze oltre ad un servizio di
informazioni turistiche sulla Catalogna, che sarà aperto tra breve. Situato nel
Palazzo Cecchini-Lavaggi, in Via Uffici del Vicario, il centro ospita da due
giorni una mostra artistica intitolata “Mosaico. Dante, Gaudì e Verdaguer in
dialogo”.
Nato a Barcellona nel 1930, Jordi Pujol si è laureato in
medicina e fin dalla sua giovinezza si è impegnato sempre in difesa della
cultura e della personalità della Catalogna e della democrazia. Ha avuto un
influsso determinante nella fondazione, nel 1974, del partito Convergenza Democratica
di Catalogna. Eletto presidente della Catalogna per la prima volta nel 1980,
Pujol è stato fino ad oggi riconfermato nella carica ad ogni quadriennio. Jordi
Pujol è un convinto europeista ed ha partecipato allo sviluppo e al
riconoscimento della personalità delle regioni in Europa.
Sotto il suo governo, la Catalogna ha conosciuto uno
sviluppo economico e culturale notevole, fino ad essere apprezzata oggi come
una delle principali mete turistiche della Spagna. In particolare, la celebrazione
dei Giochi Olimpici nel 1992 ha dato a Barcellona una straordinaria risonanza
internazionale e l’occasione di un notevole sviluppo economico e sociale. In
questi giorni, durante i quali si dibatte a Bruxelles sul testo provvisorio
della Convenzione europea, ecco l’opinione del presidente catalano, intervistato
dal responsabile dei nostri Servizi Informativi Centrali, padre Ignacio Arregui:
**********
D. – Lei è stato da sempre, da anni un grande europeista.
Spera molto da questa Convenzione che si sta elaborando in questo periodo?
R. – Speravo molto e spero ancora molto, malgrado vi sia
ora un’influenza non positiva indotta dalla guerra e da tutta questa
contrapposizione fra la Germania, la Francia, la Spagna, l’Inghilterra,
compresi gli altri Stati - i Paesi dell’est, per esempio - del centro
dell’Europa. Tutta questa situazione ha degli effetti molto negativi, ma io
credo che l’Europa sia una grande realtà sia dal punto di vista storico, che da
quello delle idee, delle attitudini, dal punto di vista spirituale. E’ una
realtà. E’ una necessità anche dal punto di vista economico, dal punto di vista
sociale. Credo che tutta questa eredità risulterà più forte di tutte le spinte
di separazione. Io mi sono definito qualche volta come un “patriota europeo”,
ed è vero che sento per l’Europa una spinta personale veramente molto forte.
Non credo, però, che siano solo queste mie convinzioni a farmi auspicare che,
in futuro, venga pienamente recuperato il sodalizio tra i Paesi dell’Unione
europea. Credo che veramente, obiettivamente, ci siano molti fattori in favore
di questo.
D. – Pensa che i valori cristiani dovrebbero essere
formulati esplicitamente in questa nuova Convenzione europea?
R. – Ritengo di
no nei singoli articoli della Costituzione, quanto piuttosto nel preambolo,
dove spesso si introducono fattori ideologici, fattori che spiegano, nelle
Costituzioni dei diversi Paesi, da quale storia essi provengano. Questi fattori
sull’identità di un Paese - sulle sue origini, le sue radici, la sua stessa
ragion d’essere - tutti questi valori sono stati molto spesso introdotti nelle
Costituzioni di molti Paesi. Nella stessa forma, credo che anche nella Costituzione
europea ciò potrebbe essere fatto. L’Europa è un Paese di radici cristiane,
anche se non vi sono soltanto quelle, poiché vi sono pure le radici greche. San
Paolo, per esempio - che raccoglie il messaggio del cristianesimo più diretto
di Gesù – opera come una sintesi fra questo messaggio giudeo-cristiano con i
valori e le idee greche. Il cristianesimo che San Paolo spiega a Roma
rappresenta già un po’ questa sintesi del messaggio e del pensiero cristiano.
C’è un fatto che è comune in entrambe, ed è il valore della persona. Il cristianesimo
è una religione personalista, dove è la persona quella che vale. Una sola persona
sarebbe sufficiente per giustificare la Passione di Gesù. I greci, di fronte a
tutte le idee che le grandi masse orientali hanno introdotto - dal punto di vista demografico, ma anche dal
punto di vista ideologico - pongono in risalto il fatto dell’individuo, della
persona. Poi, c’è stata la separazione tra il potere temporale e il potere
religioso.
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6 aprile 2003
ECONOMIA, ETICA E SVILUPPO
SOSTENIBILE, REALTA’ INSCINDIBILMENTE CONNESSE COME SFIDA ALLA GLOBALIZZAZIONE
DELLA SOLIDARIETA’: NE PARLA IL PRESIDENTE
DI GIUSTIZIA E PACE, ARCIVESCOVO
RENATO MARTINO, IN UN CONVEGNO
PROMOSSO A ROMA DALLA FONDAZIONE INTITOLATA A DON LUIGI DI
LIEGRO
- A cura di Paolo Scappucci -
ROMA. = “Se lo sviluppo non raggiunge tutti i
popoli, non è efficace”. Lo sostiene il presidente del Pontificio Consiglio
Giustizia e Pace, l’arcivescovo Renato Martino, in un discorso su “Economia,
etica e sviluppo sostenibile”, pronunciato ieri a Roma nella la Basilica dei
SS. Apostoli. “Gli esseri umani - ha detto il presule - hanno diritto ad una
vita sana e produttiva in armonia con la natura. Per essere sostenibile, lo
sviluppo deve trovare il giusto equilibrio tra gli obbiettivi economici,
sociali e ambientali. Ciò al fine di assicurare il benessere di oggi senza compromettere
quello delle generazioni future”. Dopo aver evocato il principio tanto caro a
Giovanni Paolo II della “globalizzazione della solidarietà”, il presidente di
Giustizia e Pace ha richiamato alcune iniziative realistiche cui tener fede per
realizzare tale essenziale aspetto della globalizzazione. Anzitutto, dare
soluzione alla questione del debito internazionale dei Paesi poveri; poi
riportare l’equità nel commercio internazionale; inoltre, superare gli ostacoli
al trasferimento delle necessarie conoscenze connesse al progresso tecnologico
dai Paesi ricchi a quelli poveri. Al termine del suo intervento, l’arcivescovo Martino
accenna al gravissimo problema dell’acqua, della cui mancanza nei prossimi 25
anni soffrirà circa metà della popolazione mondiale. Nella lotta per
l’eliminazione della povertà, l’acqua gioca un ruolo vitale. Il Pontificio
Consiglio Giustizia e Pace ha presentato un documento in proposito al Terzo
Forum dell’acqua, recentemente conclusosi a Kyoto in Giappone.
IL VIRUS DELLA POLMONITE ATIPICA
CONDIZIONA ANCHE I RITI
DELLA SETTIMANA SANTA AD HONG
KONG. TRA I PROVVEDIMENTI PRESI:
NIENTE PALME E ABOLITA LA LAVANDA
DEI PIEDI AL GIOVEDI’ SANTO
E IL BATTESIMO PER IMMERSIONE
NELLA VEGLIA PASQUALE
- A cura di Paolo Ondarza -
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HONG KONG. = Sarà una Settimana Santa diversa dal solito,
quella che si appresta a trascorrere la città di Hong Kong, dove proprio oggi
si sono registrati due nuovi casi di contagio. I riti del triduo pasquale
saranno infatti semplificati e modificati a causa dell’infezione da polmonite
atipica, conosciuta come Sars. Tutte le raccomandazioni della diocesi sono
contenute in un provvedimento inviato alle 53 parrocchie della città, che
domenica 13 aprile sono state invitate a non far uso di rami di palma e di
ulivo per commemorare l’ingresso del Signore in Gerusalemme. Abolito anche il
rito della lavanda dei piedi, che nella celebrazione vespertina del Giovedì
Santo, quest’anno il 17 aprile, ricorda il comando di Gesù a farsi servitori
gli uni degli altri. Niente battesimi per immersione nel corso della Veglia
pasquale. Ma le limitazioni riguarderanno anche l’acqua santa, che non sarà messa
a disposizione dei fedeli come di consueto. I partecipanti alle celebrazioni saranno
poi tenuti a portare in chiesa i propri messalini da casa e la raccolta delle
offerte sarà effettuata dopo la Comunione. Nel corso della distribuzione
dell’Eucaristia i sacerdoti dovranno indossare una mascherina e non potranno distribuire
le particole per bocca. Niente stretta di mano al momento della pace. I
provvedimento anti-Sars interessano anche il sacramento della Riconciliazione,
che dovrà svolgersi in stanze ventilate e con aria fresca. Ad oggi, il numero
delle vittime della polmonite anomala in Cina e' salito a 51 di cui 22 nella
città di Hong Kong.
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PRESENTATO NEI GIORNI SCORSI A
GULU UN RAPPORTO
SULLE DRAMMATICHE CONDIZIONI DELLA
POPOLAZIONE UGANDESE:
DECINE DI MORTI E MIGLIAIA DI
SFOLLATI A CAUSA DELLE VIOLENZE DEI RIBELLI DELL’ESERCITO DI LIBERAZIONE DEL
SIGNORE.
LA MACCHINA DEGLI AIUTI UMANITARI
E’ PRONTA A PARTIRE
GULU. = Sarebbero almeno 65, secondo l’agenzia
missionaria Misna, le persone uccise negli ultimi due mesi dai guerrieri
Karimojong nella sub-contea di Agago, nel nord Uganda. Per quanto riguarda gli
sfollati, il numero arriva a circa 68 mila nella zona di Kalongo, a causa delle
violenze perpetrate dai ribelli dell’Esercito di liberazione del Signore (Lra)
e dagli elementi indisciplinati delle Forze armate governative. I dati sono
forniti dal rapporto del Comitato per la pace dell’Arpli, l’Acholi religious
leaders peace iniziative, presentato in questi giorni a Gulu. Hanno compilato
il documento due leader locali ed alcuni anziani delle comunità della zona. Nel
testo, figura anche una lista di oltre 150 capanne e granai bruciate da soldati
regolari ugandesi. La zona di Kalongo è compresa nel distretto di Pader, area
che annovera circa 287 mila abitanti, costretti nella maggior parte dei casi a
vivere in squallidi accampamenti privi di strutture sanitarie. Ad oggi, aiuti
umanitari sono stati consegnati solo dai volontari della Caritas, due dei quali
sono rimasti feriti in un’imboscata tesa dai ribelli lo scorso 2 aprile. Un
intervento di assistenza alimentare su larga scala, con base logistica a
Kalongo, è ora in fase di progettazione e dovrebbe iniziare nei prossimi
giorni. (P.O.)
SARÀ
PUBBLICATO IL 10 APRILE IL RAPPORTO DELLA COMMISSIONE PER LA PACE
URUGUAYANA.
L’ORGANISMO, PRESIEDUTO DALL’ARCIVESCOVO DI MONTEVIDEO,
INDAGA SULLA SORTE DI
170 PERSONE SCOMPARSE DURANTE IL REGIME MILITARE
CHE GOVERNÒ L’URUGUAY TRA IL 1973 E IL 1984
MONTEVIDEO. = La Commissione per la pace uruguayana
- istituita nell’agosto del 2000 dal presidente della Repubblica, Jorge Batlle,
per fare luce sulla sorte delle vittime del regime militare che governò
l’Uruguay tra il 1973 e il 1984 -
pubblicherà il suo rapporto conclusivo il prossimo 10 aprile. Lo ha riferito
Carlos Ramela, portavoce dell’organismo presieduto dall’arcivescovo di
Montevideo, mons. Nicolás Cotugno Fanizza. La Commissione ha indagato su 170
persone scomparse in quegli anni: 30 furono sequestrate in Uruguay, 130 in
Argentina, il resto in Cile. In uno studio preliminare, pubblicato alla fine
dello scorso anno, la Commissione ha già confermato l’uccisione di 28 desaparecidos
sulla base di elementi che consentono di affermare che morirono per
tortura. Ancora ignota, però, resta la sorte della maestra uruguayana Helena
Quinteros, che si presume venne assassinata nei primi giorni del novembre 1976,
dopo essere stata sequestrata da agenti della dittatura nel giardino
dell’ambasciata del Venezuela a Montevideo. Nota per la sua strenua opposizione
al regime, Quinteros tentava di rifugiarsi presso la missione diplomatica di
Caracas quando venne catturata. L’episodio provocò la rottura delle relazioni
diplomatiche tra i due Paesi sudamericani, che durò fino al 1985, quando in
Uruguay ritornò la democrazia. Lo scorso ottobre Juan Carlos Blanco, l’allora
ministro degli Esteri del presidente Juan María Bordaberry è finito sotto
processo con l’accusa di complicità nella sparizione di Quinteros. (M.A.)
NUOVO MASSACRO IN
ITURI, REGIONE CALDA DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA
DEL CONGO: SI PARLA DI
OLTRE 900 MORTI. LA NOTIZIA DEL DRAMMATICO EPISODIO GIUNGE PROPRIO ALL’INDOMANI
DELL’AVVIO DEI LAVORI
DELLA COMMISSIONE PER
LA PACIFICAZIONE DELL’ITURI
BUNJA. = Sono iniziati i lavori della Commissione
per la pacificazione dell’Ituri, tormentata regione del nord-est della
Repubblica democratica del Congo, uno dei teatri di guerra più “caldi” del
conflitto nell’ex Zaire. Compito principale dell’organismo sarà creare una
nuova autorità amministrativa in Ituri. Inoltre, si tratterà di organizzare
un’adeguata struttura per il mantenimento della legge e garantire il ritiro
delle truppe ugandesi dalla regione. Ma proprio mentre i 177 delegati della
Commissione erano riuniti ieri a Bunja, dopo innumerevoli rinvii, dovuti
soprattutto all’opposizione di alcuni gruppi ribelli, è giunta la tragica notizia:
centinaia di persone hanno perso la vita in scontri interetnici verificatisi in
Ituri nella seconda metà della settimana appena trascorsa. Secondo Thomas Lubanga,
capo dei ribelli dell’Unione dei Patrioti Congolesi, sarebbero 942 le persone
uccise nel corso di raid effettuati da soldati del vicino Uganda. Questi ultimi
sarebbero andati di casa in casa dove avrebbero ucciso molti uomini a colpi di
arma da fuoco o bruciando le loro misere abitazioni. L’operazione è stata confermata
anche da un militare ugandese. (P.O.)
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