RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 96 - Testo della Trasmissione domenica 6 aprile 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La trepidazione del Papa per la guerra in Iraq e il suo invito a pregare la Madonna per il dono della pace, ai fedeli convenuti a mezzogiorno per l’Angelus domenicale

 

I Quaresimali di Notre-Dame-de-Paris quest’anno predicati dal cardinale Paul Poupard, che ha programmato la presentazione di sei modelli di santità per il terzo millennio: ce ne parla lo stesso porporato.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Le truppe Usa stringono il cerchio attorno a Baghdad, da dove i civili tentano la fuga.  Almeno 2 mila i morti negli ultimi due giorni di scontri nella capitale: ai nostri microfoni, Nicoletta Dentico, i professori Giovanni Conso e Maria Rita Saulle e padre Justo Lacunza

 

L’opinione di un convinto europeista per la costruzione dell’unità europea, mentre a Bruxelles è in corso il dibattito sulla Convenzione europea. Intervista con Jordi Pujol

 

CHIESA E SOCIETA’:

Economia, etica e sviluppo sostenibile ne ha parlato il presidente di giustizia e pace, arcivescovo Renato Martino, in un convegno a Roma

 

Il virus della polmonite atipica condiziona anche i riti della Settimana Santa ad Hong Kong

 

Presentato nei giorni scorsi  a Gulu un rapporto sulle drammatiche condizioni della popolazione ugandese

 

Nuovo massacro nella Repubblica Democratica del Congo: oltre 900 morti in scontri inter-etnici

 

Sarà pubblicato il 10 aprile il Rapporto della Commissione per la pace uruguayana

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

6 aprile 2003

 

 

ANCHE OGGI ALL’ANGELUS DOMENICALE IL PENSIERO DEL SANTO PADRE ALL’IRAQ

E A QUANTI SONO COINVOLTI NELLA GUERRA,

CON L’INVITO A PREGARE LA MADONNA PER IL DONO DELLA PACE

- A cura di Giovanni Peduto -

 

 

Quarant'anni or sono, l'11 aprile del 1963, il Beato Giovanni XXIII pubblicava l'Enciclica Pacem in terris, nella quale tracciava le grandi linee di un’efficace promozione della pace nel mondo. Asserito che l'Enciclica si rivela anche oggi di straordinaria attualità, e che costruire la pace è un impegno permanente, il Pontefice ha sostenuto che la realtà di questi giorni lo dimostra in modo drammatico, ed ha proseguito:

 

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Il mio pensiero va, in particolare, all’Iraq e a quanti sono coinvolti nella guerra che là imperversa. Penso in modo speciale all’inerme popolazione civile che in varie città è sottoposta a dura prova. Voglia Iddio che finisca presto questo conflitto per fare spazio ad una nuova era di perdono, di amore e di pace.

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Per ottenere tale fine, occorre ripartire dallo spirito che animava Giovanni XXIII: spirito di fede, anzitutto, e insieme di realistica e lungimirante saggezza. Nell'Enciclica, egli annoverava tra i segni dei tempi il diffondersi della persuasione che le eventuali controversie tra i popoli non debbono essere risolte con il ricorso alle armi; ma invece attraverso il negoziato. Purtroppo, questo positivo traguardo di civiltà non è stato ancora raggiunto, si è rammaricato il Santo Padre, che ha aggiunto:

 

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Desidero affidare l'impegno della pace soprattutto ai giovani. Li incontrerò domenica prossima, nella Giornata ad essi dedicata. E' indispensabile educare le nuove generazioni alla pace, che deve diventare sempre più stile di vita, fondato - come insegna Papa Giovanni - sui quattro pilastri della verità, della giustizia, dell'amore e della libertà.

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In preparazione alla Giornata della Gioventù, come è ormai tradizione, il Papa incontrerà i giovani di Roma e delle diocesi del Lazio in uno speciale momento di preghiera e di festa, che avrà luogo nel pomeriggio di giovedì prossimo 10 aprile, in Piazza San Pietro. Alla luce del tema "Ecco la tua Madre!", egli affiderà i giovani presenti alla Vergine Santa e consegnerà a ciascuno una corona del Rosario, che li aiuti nella preghiera. Ciò detto, Giovanni Paolo II ha concluso:

 

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Con grande fiducia continuiamo a rivolgerci alla Madonna, pregando per la pace in Iraq e in ogni altra parte del mondo.

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Il Papa ha concluso salutando i fedeli con l’augurio di una buona domenica e di una buona settimana, che è l’ultima di questa Quaresima: la prossima, infatti, è la Settimana Santa che ha inizio con la Domenica delle Palme.

 

 

LE CONFERENZE DELLE DOMENICHE DI QUARESIMA A NOTRE DAME DE PARIS:

ORATORE DI QUEST’ANNO IL CARDINALE PAUL POUPARD

- Servizio di Giovanni Peduto -

 

 

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La tradizione ebbe inizio ad opera di un professore della Sorbona a Parigi all’indomani della rivoluzione del 1830, Federico Ozanam, beatificato il 22 agosto 1997 da da Giovanni Paolo II in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù a Parigi. Federico Ozanam si recò a capo di una delegazione di studenti dall’allora arcivescovo di Parigi per chiedergli di offrire in Quaresima un insegnamento che non fosse noioso, come abitualmente accadeva, ma una parola di fuoco, una parola di luce per l’intelligenza, una parola per nutrire i cuori. Il presule scelse il giovane domenicano Lacordaire che dette subito grande risonanza alle conferenze di Notre Dame e da allora fino ad oggi, attraverso tutti i cambiamenti politici, culturali, ecc., questi appuntamenti sono rimasti una istituzione veramente importante. Lo testimonia il fatto che le prediche vengono trasmesse in diretta da varie radio private. Quest’anno è toccato al presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, il cardinale Paul Poupard, predicare i Quaresimali a Notre Dame de Paris:

 

D. – Quale architettura ha scelto per le sue conferenze, eminenza?

 

R. – L’architettura, molto semplice, è scaturita dalla meditazione della Lettera apostolica del Santo Padre Giovanni Paolo II all’indomani del Grande Giubileo, la Novo Millennio Ineunte, cioè la santità come programma pastorale per tutta la Chiesa. Dunque è la santità la sfida della storia, attraverso il ritratto di sei testimoni per il Terzo Millennio, appositamente scelti per cultura, formazione umana, attività, età diverse, per mostrare che la santità è possibile per tutti. Per questo ho scelto per la prima domenica Roberto Schuman, uomo politico, padre dell’Europa che ha avuto il genio con Conrad Adenauer e Alcide De Gasperi di superare l’odio secolare tra Nazioni nemiche. Egli, ancora oggi,  ci rammenta che bisogna dare un’anima all’Europa. Quindi Madre Teresa: dopo un’anima per l’Europa, l’altro punto è Cristo per i poveri. Madre Teresa dice alle sue missionarie della carità: dobbiamo andare a visitare Cristo nei poveri e a portare loro l’amore di Cristo. Riassumo il segreto di Madre Teresa dicendo: il frutto della preghiera è la fede, il frutto della fede è l’amore, il frutto dell’amore è il servizio, il frutto del servizio è la pace. La santità è questa: conoscere Gesù, amare Gesù, servire Gesù. Con Maurizio Blondel, filosofo, morto nel 1949, il tema è l’intelligenza della fede. Egli volle rispondere da filosofo alla questione fondamentale che nessuno può ignorare e, cioè, se la vita ha un senso e l’uomo un destino. E anticipando l’enciclica del Santo Padre “Fides et Ratio”, affermò che quando sappiamo seguire con metodo veramente aperto l’analisi dell’azione quotidiana, la ragione ci porta ad aprirci alla rivelazione dell’amore di Cristo. Poi l’africana Bakhita. Tema: dalla schiavitù alla libertà di Cristo. Rapita come schiava dal cuore del Sudan, diventata religiosa, attraverso un storia incredibile, riesce con la forza di Cristo a resistere e a scegliere la libertà che la porta a Dio, di cui dice, con disarmante semplicità: ho conosciuto finalmente questo Dio che sentivo nel mio cuore quando ero piccola senza sapere chi fosse. Ella ci mostra questo desiderio nascosto di Dio che si manifesta attraverso la storia. Segue Piergiorgio Frassati: Cristo, gioia dei giovani. Quella di Frassati è una storia molto breve perché muore a 24 anni di poliomielite. Vissuto in un famiglia in cui non era felice, trovò nella contemplazione della natura, nella meditazione di San Paolo, nell’Eucaristia quotidiana la forza per superare le difficoltà della vita, scoprendo l’amore di Cristo e, come Madre Teresa, parteciparlo, durante tutta la sua breve vita, attraverso il genio dell’amicizia. Per finire, la Domenica delle Palme, il buon Papa Giovanni,uomo di unità e di pace. Figlio di una numerosa famiglia di contadini, entra in seminario, diventa segretario del suo vescovo, è chiamato a Roma a dirigere le Pontificie Opere Missionarie, e quindi inviato dal Papa in Bulgaria, poi in Grecia e Turchia dove capisce veramente che cosa significhi essere cristiano in un oceano ortodosso e musulmano. Dopo  Parigi e Venezia, a 77 anni diventa Papa e inaspettatamente convoca il Concilio Vaticano II per far sì che la Chiesa diventi più presente nel mondo. E lo fa invitando tutti i fratelli separati: anglicani, protestanti, ortodossi, ed aprendo un cammino verso l’unità continuato dai suoi successori, Paolo VI e Giovanni Paolo II. Vorrei ricordare la sua Enciclica “Pacem in Terris” così attuale in questo momento e quindi il suo costante messaggio di speranza, di pace, di bontà e di unità.

 

D. – Eminenza, all’alba di questo Terzo Millennio, nei suoi Quaresimali a Parigi, lei ha inteso proporre sei figure di santi del XX secolo. Ma come viene intesa oggi la santità?

 

R. – La santità, per la maggior parte degli uomini d’oggi, è una parola che non ha senso. Quando una realtà così essenziale ha perso di significato, bisogna lavorare in modo semplice per presentare delle persone che sono state sante e  far capire possibilmente attraverso il loro esempio che cosa è la santità, che consiste essenzialmente nel riconoscersi come fratelli, nel vivere nella fede, nella speranza e nella carità, nonostante tutte le difficoltà. E questo ad un grado eccezionale, che possiamo definire eroico, che vuol dire seguire Cristo attraverso i misteri della sua vita, che ci portano dall’incarnazione alla Pasqua.

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OGGI IN PRIMO PIANO

6 aprile 2003

 

LE TRUPPE AMERICANE COMPLETANO L’ACCERCHIAMENTO DI BAGHDAD,

DALLA QUALE MOLTI CIVILI TENTANO LA FUGA. NUOVI RIFORNIMENTI UMANITARI

IN ARRIVO A NAJAF, MA LA SITUAZIONE ALIMENTARE E SANITARIA RESTA DRAMMATICA

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

 

Baghdad stretta inesorabilmente d’assedio dall’aria e da terra. La guerra che dal deserto si è spostata tra le case alla periferia della capitale irachena porta con sé, nel dramma dei bollettini quotidiani, le cifre di un conflitto dai bilanci sempre più pesanti. Duemila morti, tra “i combattenti iracheni”, negli ultimi due giorni, secondo il Centcom, il Comando alleato in Qatar, che ha garantito la prosecuzione dell’isolamento di Baghdad. La cronaca dai diversi teatri di guerra ha visto l’aeroporto internazionale “Saddam Hussein” finire in mano alle truppe americane, a prezzo di una sanguinosissima battaglia, qua e là non ancora terminata. Anche l’assedio britannico alla città di Bassora si è trasformato in un’offensiva che, secondo civili in fuga, ha portato i carri armati nel centro urbano.

 

E poi, altri episodi, più piccoli e contrastanti, come i molti chiaroscuri di questo conflitto. Nel nord Iraq, da un lato i peshmerga curdi annunciano la presa della città di Ain Sifni, che si trova a nordest di Mosul. Dall’altro, un caccia statunitense fa strage di un convoglio di auto composto di connazionali delle Forze speciali e di curdi: tre gli americani morti e dodici peshmerga curdi, oltre a 44 feriti. Tra i feriti da “fuoco amico” figura anche il fratello minore del leader del Partito democratico curdo, Massoud Barzani. Si tratta di Wajih Barzani, capo delle forze speciali curde che collaborano con le truppe statunitensi nelle operazioni in Kurdistan. E ancora: un convoglio di diplomatici russi - con a bordo l'ambasciatore russo a Baghdad  Vladimir Titorenko - è stato attaccato con armi automatiche da sconosciuti, provocando cinque feriti mentre, per ragioni di sicurezza, si accingeva ad allontanarsi dalla capitale alla volta della Siria. Il portavoce del Cremlino ha detto che le autorità irachene e i comandi anglo-americani erano stati preavvertiti del trasferimento.

 

La popolazione di Baghdad, intanto, ha iniziato il 19.mo giorno di guerra sotto nuovi bombardamenti, tra enormi disagi e nell’attesa di conoscere il proprio destino attraverso l’epilogo del conflitto. Un’atmosfera di sospensione, che ci viene descritta – direttamente dalla capitale irachena – dalla giornalista Mediaset, Anna Migotto:

 

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R. – La notte scorsa è trascorsa in maniera relativamente tranquilla rispetto alle precedenti. Ci sono state alcune forti esplosioni abbastanza vicine alla città attorno a mezzanotte e di nuovo questa mattina verso le prime luci dell’alba. Chi ha potuto percorrere le strade dalla periferia al centro racconta di gente che tenta di lasciare le aree esterne per cercare rifugio verso la città. Ma abbiamo visto in questi giorni anche molte code di gente tentare di andarsene, probabilmente verso nord. La situazione all’aeroporto rimane ancora confusa. Come sapete, ieri c’è stata una grande battaglia di contro-informazione riguardo alla situazione dell’aeroporto, con il regime iracheno che ha sostenuto di averne il controllo ed il Pentagono, al contrario, che fosse nelle mani degli americani. Quello che è certo è che attorno all’area dell’aeroporto ci sono parecchi carri armati americani bruciati, insieme a molti mezzi militari iracheni distrutti.

 

D. – Hai potuto verificare il bilancio di questo primo scontro “cittadino” di ieri, per così dire: si è parlato di un migliaio di morti iracheni...

 

R. – Si è parlato di un migliaio di morti iracheni tra i militari, ma qui la grande incognita sulle cifre delle perdite militari rimane aperta, perché non è mai stata fornita una cifra definitiva. E’ certo, invece, che un ospedale cittadino è praticamente ormai trasformato in un ospedale militare e che nell’altro ospedale, l’Al Kindi, ieri abbiamo visto arrivare circa 90 feriti, tra i quali la percentuale dei militari era piuttosto bassa. E c’è da dire che il Ministero dell’informazione non sta più fornendo neanche il numero delle vittime civili.

 

D. – Ieri c’è stato l’ennesimo appello di Saddam Hussein in televisione ...

 

R. – Sì. Si moltiplicano le presenze o i discorsi di Saddam Hussein alla televisione, con appelli alla Jihad e alla resistenza. Io debbo dirvi che la domanda che ci siamo posti tutti su come avrebbe reagito la città nel momento in cui le truppe Usa si fossero avvicinate rimane ancora oggi senza risposta, perché ci sono zone della città dove praticamente non si vede un militare, mentre ci sono altre dove ve ne sono di più. Ma l’interrogativo che interessa molti è se si arriverà ad una resistenza da parte civile. Credo che la gente sia veramente in una situazione d’attesa per cercare di capire se ci sarà un assedio, se ci saranno incursioni...

 

D. – Si è parlato di un paio di divisioni irachene dislocate nel centro di Baghdad...

 

R. – Queste sono voci, ormai, che si rincorrono da giorni. I sopravvissuti delle Divisioni Medina e Hammurabi sarebbero confluiti all’interno della città - la Medina è quella che ha combattuto a lungo nell’area di Kerbala e anche di Najaf. Ma queste presenze militari sono, di fatto, molto nascoste. Ciò che noi possiamo vedere in città sono i caroselli della polizia che, con macchine e bandiere, inneggiano a Saddam. In altre parole, dal punto di vista strettamente militare, non si nota un rafforzamento evidente della presenza militare all’interno della città, a parte le barricate, i pezzi di artiglieria pesante e i carri armati attorno alle periferie sud della città.

 

D. – Com’è la situazione dell’acqua e dell’elettricità lì a Baghdad?

 

R. – Dunque: ieri sera abbiamo riavuto l’elettricità e l’acqua. Da questa mattina manca elettricità, ma c’è acqua. Sappiamo anche che in alcuni quartieri la situazione si è normalizzata, mentre in altri le abitazioni sono ancora totalmente prive sia di acqua sia di elettricità.

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Un quinto convoglio umanitario, partito dal Kuwait, sta dirigendosi a nord verso la città di Najaf, trasportando acqua viveri e altri generi di prima necessità.   Il convoglio - ha riferito all'agenzia ufficiale Kuna un responsabile del Comitato soccorsi kuwaitiano - è composto da 33 camion con rifornimenti per 120 mila persone, un quarto degli abitanti complessivi di Najaf, che conta circa 420 mila residenti. I militari britannici, è stato precisato, aiuteranno nella distribuzione degli aiuti. Mezzi con assistenza per gli iracheni sono già stati inviati dal Kuwait alle citta' di Umm Qasr, Faw, Al-Zubeir, Bassora, Nassiriya e Kerbala.     

 

Dei possibili strascichi sull’economia europea e mondiale del conflitto nel Golfo si è parlato ieri al vertice informale greco dell’Ecofin. Qualsiasi conseguenza la guerra potrà avere in questo ambito, nulla potrà mai essere paragonabile con il dramma umano generato dal conflitto, hanno affermato i ministri delle Finanze dell’Ue. Al vertice, si e' parlato di ricostruzione, ma solo in termini generali, senza ipotesi definite su quando e in che modo essa possa essere avviata. Se l’idea di una ricostruzione dell’Iraq appare ancora sfocata, è invece sempre viva e drammaticamente tangibile la situazione dei civili negli ospedali superaffollati di Baghdad. Tra le organizzazioni umanitarie al lavoro vi è Medici senza frontiere, che da mercoledì scorso ha perso le tracce di due volontari, in servizio nell’ospedale di Al Kindi. Una situazione che ha indotto l’associazione a sospendere la propria collaborazione: Benedetta Capelli ha chiesto al direttore della sezione italiana, Nicoletta Dentico, se vi siano notizie dei due collaboratori:

 

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R. – Per ora, nessuna notizia. Queste due persone stavano girando per Baghdad per rinnovare i passaporti. Non abbiamo saputo più niente di loro. C’è un’unità di crisi che si sta occupando di questo caso.

 

D. – Com’è la situazione all’ospedale Al Kindi?

 

R. – Negli ultimi giorni, c’’era un crescente flusso di vittime, di situazioni al limite dell’accettabilità umana: c’erano bambini completamente deturpati dai bombardamenti, bambini morti sotto ai ferri. Arrivavano prevalentemente donne e bambini, che non ce la facevano, molti dei quali erano in situazioni assolutamente disperate. E poi anche molte persone con difficoltà cardio-respiratorie: quindi molti infarti, molte situazioni legate alla tensione, alla paura, al terrore di questa guerra.

 

D. – Lasciare Baghdad in questa situazione che cosa significa per voi?

 

R. – Rappresenta semplicemente una di quelle cose che possono capitare quando si lavora in una situazione di conflitto e di estrema tensione. Certo, ci provoca un grandissimo dolore andare via proprio nel momento in cui sembrava che un aiuto servisse di più.

 

D. – Nell’ospedale Al Kindi, dove voi eravate, è ricoverato tra gli altri Alì, un bambino al quale una bomba ha mutilato le braccia e gli ha portato via i genitori e i fratelli...

 

R. – Credo che quella di Alì sia una delle tante tragiche storie. Alì è salito alla ribalta, giustamente. Ma per un Alì che sale alla ribalta, ve ne sono tantissimi altri che passeranno sotto silenzio per sempre. Di fronte alla drammaticità di queste storie - di un bambino di otto anni che resta solo perché tutta la sua famiglia è morta, o dell’uomo che si trova a seppellire i sei figli, la moglie e i genitori e che resta disperatamente l’unico sopravvissuto di un bombardamento - uno si chiede: chi mai si assumerà la responsabilità di queste catastrofi personali, individuali, familiari? Quale giustificazione potrà mai essere data per questi flagelli?

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Secondo Radio Teheran, Hassan Ali Majid, cugino di Saddam e comandante delle forze irachene nel sud, sarebbe stato ucciso nei bombardamenti a Bassora. L'emittente iraniana ha spiegato di avere avuto notizia da proprie fonti locali che il corpo del comandante militare è già stato  riconosciuto ufficialmente. Hassan Ali Majid e' conosciuto tra gli oppositori come “Alì  il chimico”, per avere ordinato nel 1988 la strage con armi chimiche di 5 mila civili curdi nel villaggio di Shalamja. 

 

Un altro capitolo sempre più importante e allo stesso tempo delicato di questa guerra riguarda i prigionieri. Secondo quanto affermato ieri dal comando centrale alleato in Qatar, le forze  angloamericane hanno catturato durante le varie fasi del conflitto 6.500 combattenti iracheni. Mentre l’offensiva si avvicina al punto cruciale, ci si interroga sul trattamento da riservare ai questi prigionieri, molti dei quali - in quanto combattenti irregolari - non potrebbero godere, secondo gli Stati Uniti, delle garanzie della Convenzione di Ginevra. Sul punto ecco l’opinione di due giuristi, il prof. Giovanni Conso e la prof.ssa Maria Rita Saulle, intervistati da Fabio Colagrande:

 

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R. – L’11 settembre non è stato un atto di guerra. E’ stato un atto terribile, un’atrocità grande, ma non si trattava di una guerra. In Iraq, è tutta un’altra cosa. I morti dell’11 settembre non sono caduti in guerra: è stato un terribile evento di tutt’altra natura, nefasto anche per il diritto, ma non è stato, allora, violato il diritto umanitario. Il diritto umanitario viene violato durante una guerra che deve essere dichiarata!

 

D. – Da parte degli anglo-americani potrebbe non essere riconosciuto lo status di prigionieri di guerra né agli appartenenti ai corpi paramilitari iracheni né ai funzionari del partito unico Baath: professor Conso, un commento su questa notizia di cronaca:

 

R. – Già per quanto riguarda i prigionieri afghani, tutti quelli che sono stati portati nell’isola di Guantanamo, con la scusa di dire: ‘Son dei terroristi e quindi non si applicano le norme della Convenzione di Ginevra’, adesso lo si ripete, questo slogan. Non è sostenibile: se sono stati presi in guerra, sono prigionieri di guerra, qualunque siano gli episodi precedenti che queste persone possono aver compiuto o stavano compiendo nel momento. Se c’è guerra – e questa volta la guerra è stata dichiarata davanti al mondo! – non c’è santo che tenga, di poter fare delle eccezioni. Sono principi fondamentali, enunciati, accettati anche se poi non rispettati.

 

R. – Sì, sono in linea di principio molto d’accordo con il presidente Conso. Vorrei anche aggiungere un’altra considerazione: che ad ogni essere umano, chiunque esso sia, prigioniero o non di guerra, spettano una serie di diritti che costituiscono quello che viene chiamato lo ‘standard minimo’, che implicano il rispetto della dignità della persona umana. Ora, cercare di trincerarsi dietro ad uno stato di guerra per la sospensione dei diritti umani in toto, è sbagliato!

 

D. – I prigionieri iracheni probabilmente saranno trasferiti nel campo di prigionia di Guantanamo, dove si trovano i prigionieri di Al Qaeda presi nel corso della guerra in Afghanistan del 2001-2002 ...

 

R. – Certamente, se fossero trasferiti lì si aggiungerebbe una violazione dei diritti umani perché, per quanto fossero anche terroristi, hanno sempre il diritto ad un minimo di trattamento umanitario, e ad un’ulteriore violazione che sarebbe ancora accresciuta dal fatto che in questo secondo caso noi ci troviamo di fronte ad una vera e propria guerra e quindi le persone che sono catturate nel corso del conflitto sono prigionieri di guerra.

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Sin dall’inizio della guerra, in molti Paesi arabi e islamici, le manifestazioni per la pace si sono intrecciate a numerosi episodi di intolleranza contro gli Stati Uniti e il conflitto da loro scatenato in Iraq, considerato un arbitrio. Anche tra gli stessi iracheni, gratitudine e diffidenza verso le truppe alleate si sono finora alternate senza soluzione di continuità, arrivando in qualche occasione fino al gesto estremo di un attentato suicida. Come si spiega questo atteggiamento? Il parere di padre Justo Lacunza, preside del Pontificio Istituto di Studi arabi e di islamistica:

 

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R. - Questo dimostra come le popolazioni non sono d’accordo con questo modo di comportarsi, perché loro considerano la guerra soprattutto un’invasione portata contro il popolo iracheno e non soltanto contro Saddam Hussein. Dimostra anche la disperazione di un popolo che si sente non davanti a dei liberatori ma si sente accerchiato: si sente con la corda intorno al collo, e questo sentimento noi dobbiamo rispettarlo e dunque tutte le follie, anche l’immolazione di due donne - una di loro sembra che fosse incinta – dimostra quanto sia folle l’utilizzo e l’uso della forza, dei bombardamenti, le ‘bombe intelligenti’, le ‘bombe chirurgiche’... Dunque, io penso che la prima lezione sia che la guerra, il conflitto, gli armamenti e le armi non risolvono nessun problema. Questo dobbiamo dirlo chiaro e tondo, perché i problemi che adesso sono stati creati all’interno dell’Iraq sono immensi: si parla di una catastrofe umanitaria, si parla di migliaia di civili uccisi, si parla di villaggi e di città distrutti. Chi ricostruirà questo Paese? Quello che è stato seminato - quell’odio, quel rancore, quella sofferenza, quel dolore che è calato nel solco di queste popolazioni – avrà bisogno di generazioni prima che possa essere guarito!

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L’OPINIONE DI UN CONVINTO EUROPEISTA

SULLA  COSTRUZIONE DELL’UNITA’ DEL CONTINENTE

MENTRE IN QUESTI GIORNI SI DIBATTE A BRUXELLES LA CONVENZIONE EUROPEA

- Intervista con Jordi Pujol -

 

 

Il presidente della Generalitat, ovvero del governo della Catalogna in Spagna, Jordi Pujol, ha inaugurato a Roma venerdì scorso un centro regionale culturale. La nuova sede può contare su una biblioteca pubblica, un salone per le mostre ed un auditorium per le conferenze oltre ad un servizio di informazioni turistiche sulla Catalogna, che sarà aperto tra breve. Situato nel Palazzo Cecchini-Lavaggi, in Via Uffici del Vicario, il centro ospita da due giorni una mostra artistica intitolata “Mosaico. Dante, Gaudì e Verdaguer in dialogo”.

 

Nato a Barcellona nel 1930, Jordi Pujol si è laureato in medicina e fin dalla sua giovinezza si è impegnato sempre in difesa della cultura e della personalità della Catalogna e della democrazia. Ha avuto un influsso determinante nella fondazione, nel 1974, del partito Convergenza Democratica di Catalogna. Eletto presidente della Catalogna per la prima volta nel 1980, Pujol è stato fino ad oggi riconfermato nella carica ad ogni quadriennio. Jordi Pujol è un convinto europeista ed ha partecipato allo sviluppo e al riconoscimento della personalità delle regioni in Europa.

 

Sotto il suo governo, la Catalogna ha conosciuto uno sviluppo economico e culturale notevole, fino ad essere apprezzata oggi come una delle principali mete turistiche della Spagna. In particolare, la celebrazione dei Giochi Olimpici nel 1992 ha dato a Barcellona una straordinaria risonanza internazionale e l’occasione di un notevole sviluppo economico e sociale. In questi giorni, durante i quali si dibatte a Bruxelles sul testo provvisorio della Convenzione europea, ecco l’opinione del presidente catalano, intervistato dal responsabile dei nostri Servizi Informativi Centrali, padre Ignacio Arregui:

 

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D. – Lei è stato da sempre, da anni un grande europeista. Spera molto da questa Convenzione che si sta elaborando in questo periodo?

 

R. – Speravo molto e spero ancora molto, malgrado vi sia ora un’influenza non positiva indotta dalla guerra e da tutta questa contrapposizione fra la Germania, la Francia, la Spagna, l’Inghilterra, compresi gli altri Stati - i Paesi dell’est, per esempio - del centro dell’Europa. Tutta questa situazione ha degli effetti molto negativi, ma io credo che l’Europa sia una grande realtà sia dal punto di vista storico, che da quello delle idee, delle attitudini, dal punto di vista spirituale. E’ una realtà. E’ una necessità anche dal punto di vista economico, dal punto di vista sociale. Credo che tutta questa eredità risulterà più forte di tutte le spinte di separazione. Io mi sono definito qualche volta come un “patriota europeo”, ed è vero che sento per l’Europa una spinta personale veramente molto forte. Non credo, però, che siano solo queste mie convinzioni a farmi auspicare che, in futuro, venga pienamente recuperato il sodalizio tra i Paesi dell’Unione europea. Credo che veramente, obiettivamente, ci siano molti fattori in favore di questo.

 

D. – Pensa che i valori cristiani dovrebbero essere formulati esplicitamente in questa nuova Convenzione europea?

 

R. – Ritengo di no nei singoli articoli della Costituzione, quanto piuttosto nel preambolo, dove spesso si introducono fattori ideologici, fattori che spiegano, nelle Costituzioni dei diversi Paesi, da quale storia essi provengano. Questi fattori sull’identità di un Paese - sulle sue origini, le sue radici, la sua stessa ragion d’essere - tutti questi valori sono stati molto spesso introdotti nelle Costituzioni di molti Paesi. Nella stessa forma, credo che anche nella Costituzione europea ciò potrebbe essere fatto. L’Europa è un Paese di radici cristiane, anche se non vi sono soltanto quelle, poiché vi sono pure le radici greche. San Paolo, per esempio - che raccoglie il messaggio del cristianesimo più diretto di Gesù – opera come una sintesi fra questo messaggio giudeo-cristiano con i valori e le idee greche. Il cristianesimo che San Paolo spiega a Roma rappresenta già un po’ questa sintesi del messaggio e del pensiero cristiano. C’è un fatto che è comune in entrambe, ed è il valore della persona. Il cristianesimo è una religione personalista, dove è la persona quella che vale. Una sola persona sarebbe sufficiente per giustificare la Passione di Gesù. I greci, di fronte a tutte le idee che le grandi masse orientali hanno introdotto -  dal punto di vista demografico, ma anche dal punto di vista ideologico - pongono in risalto il fatto dell’individuo, della persona. Poi, c’è stata la separazione tra il potere temporale e il potere religioso.

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CHIESA E SOCIETA’

6 aprile 2003

 

ECONOMIA, ETICA E SVILUPPO SOSTENIBILE, REALTA’ INSCINDIBILMENTE CONNESSE COME SFIDA ALLA GLOBALIZZAZIONE DELLA SOLIDARIETA’: NE PARLA IL PRESIDENTE

DI GIUSTIZIA E PACE, ARCIVESCOVO RENATO MARTINO, IN UN CONVEGNO

PROMOSSO A ROMA  DALLA FONDAZIONE INTITOLATA A DON LUIGI DI LIEGRO

- A cura di Paolo Scappucci -

 

ROMA. = “Se lo sviluppo non raggiunge tutti i popoli, non è efficace”. Lo sostiene il presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, l’arcivescovo Renato Martino, in un discorso su “Economia, etica e sviluppo sostenibile”, pronunciato ieri a Roma nella la Basilica dei SS. Apostoli. “Gli esseri umani - ha detto il presule - hanno diritto ad una vita sana e produttiva in armonia con la natura. Per essere sostenibile, lo sviluppo deve trovare il giusto equilibrio tra gli obbiettivi economici, sociali e ambientali. Ciò al fine di assicurare il benessere di oggi senza compromettere quello delle generazioni future”. Dopo aver evocato il principio tanto caro a Giovanni Paolo II della “globalizzazione della solidarietà”, il presidente di Giustizia e Pace ha richiamato alcune iniziative realistiche cui tener fede per realizzare tale essenziale aspetto della globalizzazione. Anzitutto, dare soluzione alla questione del debito internazionale dei Paesi poveri; poi riportare l’equità nel commercio internazionale; inoltre, superare gli ostacoli al trasferimento delle necessarie conoscenze connesse al progresso tecnologico dai Paesi ricchi a quelli poveri. Al termine del suo intervento, l’arcivescovo Martino accenna al gravissimo problema dell’acqua, della cui mancanza nei prossimi 25 anni soffrirà circa metà della popolazione mondiale. Nella lotta per l’eliminazione della povertà, l’acqua gioca un ruolo vitale. Il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace ha presentato un documento in proposito al Terzo Forum dell’acqua, recentemente conclusosi a Kyoto in Giappone.

 

 

IL VIRUS DELLA POLMONITE ATIPICA CONDIZIONA ANCHE I RITI

DELLA SETTIMANA SANTA AD HONG KONG. TRA I PROVVEDIMENTI PRESI:

NIENTE PALME E ABOLITA LA LAVANDA DEI PIEDI AL GIOVEDI’ SANTO

E IL BATTESIMO PER IMMERSIONE NELLA VEGLIA PASQUALE

- A cura di Paolo Ondarza -

 

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HONG KONG. = Sarà una Settimana Santa diversa dal solito, quella che si appresta a trascorrere la città di Hong Kong, dove proprio oggi si sono registrati due nuovi casi di contagio. I riti del triduo pasquale saranno infatti semplificati e modificati a causa dell’infezione da polmonite atipica, conosciuta come Sars. Tutte le raccomandazioni della diocesi sono contenute in un provvedimento inviato alle 53 parrocchie della città, che domenica 13 aprile sono state invitate a non far uso di rami di palma e di ulivo per commemorare l’ingresso del Signore in Gerusalemme. Abolito anche il rito della lavanda dei piedi, che nella celebrazione vespertina del Giovedì Santo, quest’anno il 17 aprile, ricorda il comando di Gesù a farsi servitori gli uni degli altri. Niente battesimi per immersione nel corso della Veglia pasquale. Ma le limitazioni riguarderanno anche l’acqua santa, che non sarà messa a disposizione dei fedeli come di consueto. I partecipanti alle celebrazioni saranno poi tenuti a portare in chiesa i propri messalini da casa e la raccolta delle offerte sarà effettuata dopo la Comunione. Nel corso della distribuzione dell’Eucaristia i sacerdoti dovranno indossare una mascherina e non potranno distribuire le particole per bocca. Niente stretta di mano al momento della pace. I provvedimento anti-Sars interessano anche il sacramento della Riconciliazione, che dovrà svolgersi in stanze ventilate e con aria fresca. Ad oggi, il numero delle vittime della polmonite anomala in Cina e' salito a 51 di cui 22 nella città di Hong Kong.

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PRESENTATO NEI GIORNI SCORSI A GULU UN RAPPORTO

SULLE DRAMMATICHE CONDIZIONI DELLA POPOLAZIONE UGANDESE:

DECINE DI MORTI E MIGLIAIA DI SFOLLATI A CAUSA DELLE VIOLENZE DEI RIBELLI DELL’ESERCITO DI LIBERAZIONE DEL SIGNORE.

LA MACCHINA DEGLI AIUTI UMANITARI E’ PRONTA A PARTIRE

 

GULU. = Sarebbero almeno 65, secondo l’agenzia missionaria Misna, le persone uccise negli ultimi due mesi dai guerrieri Karimojong nella sub-contea di Agago, nel nord Uganda. Per quanto riguarda gli sfollati, il numero arriva a circa 68 mila nella zona di Kalongo, a causa delle violenze perpetrate dai ribelli dell’Esercito di liberazione del Signore (Lra) e dagli elementi indisciplinati delle Forze armate governative. I dati sono forniti dal rapporto del Comitato per la pace dell’Arpli, l’Acholi religious leaders peace iniziative, presentato in questi giorni a Gulu. Hanno compilato il documento due leader locali ed alcuni anziani delle comunità della zona. Nel testo, figura anche una lista di oltre 150 capanne e granai bruciate da soldati regolari ugandesi. La zona di Kalongo è compresa nel distretto di Pader, area che annovera circa 287 mila abitanti, costretti nella maggior parte dei casi a vivere in squallidi accampamenti privi di strutture sanitarie. Ad oggi, aiuti umanitari sono stati consegnati solo dai volontari della Caritas, due dei quali sono rimasti feriti in un’imboscata tesa dai ribelli lo scorso 2 aprile. Un intervento di assistenza alimentare su larga scala, con base logistica a Kalongo, è ora in fase di progettazione e dovrebbe iniziare nei prossimi giorni. (P.O.)

 

 

SARÀ PUBBLICATO IL 10 APRILE IL RAPPORTO DELLA COMMISSIONE PER LA PACE

URUGUAYANA. L’ORGANISMO, PRESIEDUTO DALL’ARCIVESCOVO DI MONTEVIDEO,

INDAGA SULLA SORTE DI 170 PERSONE SCOMPARSE DURANTE IL REGIME MILITARE

 CHE GOVERNÒ L’URUGUAY TRA IL 1973 E IL 1984

 

MONTEVIDEO. = La Commissione per la pace uruguayana - istituita nell’agosto del 2000 dal presidente della Repubblica, Jorge Batlle, per fare luce sulla sorte delle vittime del regime militare che governò l’Uruguay tra il 1973  e il 1984 - pubblicherà il suo rapporto conclusivo il prossimo 10 aprile. Lo ha riferito Carlos Ramela, portavoce dell’organismo presieduto dall’arcivescovo di Montevideo, mons. Nicolás Cotugno Fanizza. La Commissione ha indagato su 170 persone scomparse in quegli anni: 30 furono sequestrate in Uruguay, 130 in Argentina, il resto in Cile. In uno studio preliminare, pubblicato alla fine dello scorso anno, la Commissione ha già confermato l’uccisione di 28 desaparecidos sulla base di elementi che consentono di affermare che morirono per tortura. Ancora ignota, però, resta la sorte della maestra uruguayana Helena Quinteros, che si presume venne assassinata nei primi giorni del novembre 1976, dopo essere stata sequestrata da agenti della dittatura nel giardino dell’ambasciata del Venezuela a Montevideo. Nota per la sua strenua opposizione al regime, Quinteros tentava di rifugiarsi presso la missione diplomatica di Caracas quando venne catturata. L’episodio provocò la rottura delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi sudamericani, che durò fino al 1985, quando in Uruguay ritornò la democrazia. Lo scorso ottobre Juan Carlos Blanco, l’allora ministro degli Esteri del presidente Juan María Bordaberry è finito sotto processo con l’accusa di complicità nella sparizione di Quinteros. (M.A.)

 

 

NUOVO MASSACRO IN ITURI, REGIONE CALDA DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA

DEL CONGO: SI PARLA DI OLTRE 900 MORTI. LA NOTIZIA DEL DRAMMATICO EPISODIO GIUNGE PROPRIO ALL’INDOMANI DELL’AVVIO DEI LAVORI

DELLA COMMISSIONE PER LA PACIFICAZIONE DELL’ITURI

 

BUNJA. = Sono iniziati i lavori della Commissione per la pacificazione dell’Ituri, tormentata regione del nord-est della Repubblica democratica del Congo, uno dei teatri di guerra più “caldi” del conflitto nell’ex Zaire. Compito principale dell’organismo sarà creare una nuova autorità amministrativa in Ituri. Inoltre, si tratterà di organizzare un’adeguata struttura per il mantenimento della legge e garantire il ritiro delle truppe ugandesi dalla regione. Ma proprio mentre i 177 delegati della Commissione erano riuniti ieri a Bunja, dopo innumerevoli rinvii, dovuti soprattutto all’opposizione di alcuni gruppi ribelli, è giunta la tragica notizia: centinaia di persone hanno perso la vita in scontri interetnici verificatisi in Ituri nella seconda metà della settimana appena trascorsa. Secondo Thomas Lubanga, capo dei ribelli dell’Unione dei Patrioti Congolesi, sarebbero 942 le persone uccise nel corso di raid effettuati da soldati del vicino Uganda. Questi ultimi sarebbero andati di casa in casa dove avrebbero ucciso molti uomini a colpi di arma da fuoco o bruciando le loro misere abitazioni. L’operazione è stata confermata anche da un militare ugandese. (P.O.)

        

 

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