RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 95 - Testo della Trasmissione sabato 5 aprile 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La testimonianza cristiana per l’uomo d’oggi alla ricerca di senso, nel discorso di Giovanni Paolo II ai vescovi della Scandinavia in visita “ad Limina”.

 

Il cardinale Jan Schotte inviato speciale del Santo Padre nei Paesi Bassi, per i 150 anni del ristabilimento della Gerarchia cattolica.

 

In udienza dal Papa ieri pomeriggio il ministro degli Esteri francese Dominique de Villepin, ricevuto poi anche dal cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano, e dall’arcivescovo Jean Louis Tauran, segretario per i Rapporti con gli Stati. In primo piano, la guerra in Iraq e le sofferenze della popolazione civile.

 

Un incontro scientifico in Vaticano sul tema della pedofilia, promosso dalla Pontificia Accademia per la Vita.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Le truppe americane entrate a Baghdad dopo sanguinosi combattimenti, mentre si aggrava la situazione umanitaria nelle zone di conflitto: con noi, Staffan de Mistura, Simona Torretta, il generale Luigi Caligaris e il presidente catalano Jordi Pujol.

 

Verso la pace in Sudan: intervista con il missionario Gino Barsella.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Primo passo significativo per il riconoscimento della religione nella bozza della Costituzione europea.

 

Festeggiato in Angola per il primo anniversario degli accordi di pace dopo 27 anni di guerra civile.

 

Decine di migliaia di orfani rwandesi, che vivono senza cibo e assistenza sanitaria, traumatizzati dagli orrori della guerra: questa la situazione denunciata in un rapporto dell’Human Rights Watch.

 

Dura protesta di Greenpeace per una flotta di 5 baleniere giapponesi rientrata con un carico di 440 grandi cetacei uccisi in nome della ricerca scientifica.

 

La minoranza cristiana del Gujarat, Stato dell’India nord occidentale, si mobilita per evitare che entri in vigore la legge che obbliga chi vuole cambiare religione a chiedere l’autorizzazione delle autorità civili.

 

 A Viterbo, una cena multietnica per unire immigrati ed abitanti della città.

 

24 ORE NEL MONDO:

Disastroso naufragio in Bangladesh: almeno 60 le vittime.

 

Non cessa l’allarme nel mondo per il virus della Sindrome acuta respiratoria severa: rigorosi controlli medici e misure di prevenzione negli scali internazionali.

 

Segni di distensione nella crisi tra Stati Uniti e Corea del Nord sul riarmo di Pyongyang.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

5 aprile 2003

 

 

ALL’UOMO OGGI IN CERCA DEL SIGNIFICATO DELLA VITA

URGE NON SOLO “PARLARE” DI CRISTO, MA “FARLO VEDERE”.

COSI’ IL PAPA AI VESCOVI DELLA SCANDINAVIA IN VISITA “AD LIMINA”.

NEI PAESI NORDICI EMERGONO SEGNI DI RINASCITA CRISTIANA

- A cura di Carla Cotignoli e Matteo Ambu -

 

“In un mondo gravido di scetticismo e confusione, può sembrare che la luce di Cristo sia stata oscurata”. Ma proprio in questo tempo “l’uomo è alla ricerca del significato del senso della vita”, attende l’annuncio e la testimonianza di Cristo, “via, verità e vita”. Con queste parole il Papa si è rivolto ai vescovi della Scandinavia, che comprende ben 5 Paesi: Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia. Una regione d’Europa in prevalenza di tradizione luterana, dove i cattolici sono poco più dell’1 per cento.  Servizio di Carla Cotignoli.

 

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La Scandinavia, una regione a maggioranza luterana, ma anche dove molto avanzato è il secolarismo. Un fenomeno, comune alle società moderne, che “porta alla perdita del senso di Dio”. “Senza Dio – ha osservato il Papa -  si perde anche il senso dell’uomo”. Il Santo Padre ha  quindi incoraggiato i vescovi a dare nuovo impulso alla vita cristiana. E’ questa l’attesa del nuovo millennio – ha detto. “L’uomo di oggi è alla ricerca del senso della vita”. Ma i credenti – ha aggiunto - non devono soltanto “parlare” di Cristo, ma “farlo vedere”.  E’ dalla contemplazione del suo volto che noi possiamo irradiare intorno a noi la sua luce.

 

Il Santo Padre si è soffermato sulla necessità di evangelizzare la cultura, un aspetto della “nuova evangelizzazione” da lui definito “centrale”. Ha poi toccato vari temi: la famiglia, la difesa della vita, l’impegno ecumenico dei vescovi. Parlando dei frutti del dialogo tra le Chiese,  il Papa ha enumerato la riscoperta della fraternità che lega tutti i cristiani, la dichiarazione comune sulla Dottrina della Giustificazione firmata da cattolici e luterani, la preghiera comune, la solidarietà a servizio dell’umanità. Ed ha ribadito che l’ecumenismo deve impegnare tutti i cristiani.

 

Il Papa non ha mancato di rilevare i segni di un nuovo fermento di vita cristiana in atto in questi Paesi. E’ quanto i vescovi avevano riferito al Santo Padre: c’è un risveglio della vita cristiana tra i giovani, grazie alle Giornate mondiali, rinascono le vocazioni religiose,  tanto che sono stati fondati nuovi monasteri di vita contemplativa. “Il numero dei cattolici è in aumento – aveva detto nell’indirizzo di saluto il vescovo di Oslo Gerhard Schwenzer, presidente della Conferenza episcopale scandinava – soprattutto per via dell’emigrazione, ma anche per le conversioni e i battesimi degli adulti”. Una crescita tale che creare un problema finanziario perché “molte Chiese e centri parrocchiali sono diventati troppo piccoli e bisogna costruirne di nuovi”. E, nell’ottobre scorso,  è stato creato  un seminario internazionale a Helsinki. Sul fronte ecumenico i vescovi avevano riferito al Santo Padre che dalla sua visita nelle loro terre nel 1989, “l’atmosfera tra le Chiese luterana e cattolica ha continuato a migliorare”.

 

La conferenza dei vescovi scandinavi è composta attualmente da 12 presuli in rappresentanza di cinque diocesi e due prelature territoriali. Complessivamente i cattolici sono circa 250 mila su una popolazione di quasi 24 milioni di abitanti, in stragrande maggioranza di tradizione luterana. Circa l’80 per cento dei cattolici è però nato all’estero. La Chiesa cattolica porta avanti iniziative ecumeniche con la Chiesa luterana ed di dialogo  con la crescente comunità islamica dei Paesi scandinavi. Inoltre gestisce scuole, case di cura per anziani e svolge attività di apostolato attraverso istituti religiosi e parrocchie. Per la Chiesa cattolica scandinava quest’anno è particolare: il 1° giugno ricorrerà l’anniversario dei 700 anni della nascita di Santa Brigida di Svezia, con-patrona d’Europa,  venerata sia dai cattolici che dai luterani,   mentre il 29 giugno le diocesi di Oslo, Copenaghen e Stoccolma celebreranno i cinquant’anni della loro istituzione, voluta da Pio XII.

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IL CARDINALE JAN SCHOTTE INVIATO SPECIALE DEL PAPA IN OLANDA

PER UNA IMPORTANTE RICORRENZA ECCLESIALE.

PROVVISTE DI CHIESE IN CANADA E IN MOZAMBICO

 

- A cura di Paolo Salvo -

 

In fine mattinata, il Santo Padre ha ricevuto quest’oggi il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

 

Il Papa ha nominato il cardinale belga Jan Pieter Schotte, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, sua Inviato speciale alla celebrazione del 150.mo anniversario del ristabilimento della Gerarchia cattolica nei Paesi Bassi. Tale celebrazione avrà luogo a Utrecht il 7 giugno prossimo.

 

Numerose iniziative sono state promosse dalla Chiesa cattolica olandese per celebrare la ricorrenza. La questione risale al tempo della Riforma protestante, quando il governo olandese aveva imposto alla provincia ecclesiastica restrizioni tali da indurre la Santa Sede a porre il territorio sotto il proprio controllo diretto come terra di missione. Fu nel 1853, sotto il Pontificato di Pio IX, che la Gerarchia cattolica poté essere ristabilita nei Paesi Bassi. Su 16 milioni di abitanti, i cattolici olandesi sono oggi oltre cinque milioni, distribuiti in otto diocesi. Altre statistiche ufficiali indicano che i protestanti seguono con il 23 per cento e i musulmani con il 4,3 mentre il 38 per cento della popolazione olandese si dichiara non credente. In una recente lettera aperta, i vescovi olandesi hanno voluto ringraziare le comunità religiose del Paese, per il contributo indispensabile alla Chiesa e alla società, attraverso la preghiera e la testimonianza.

 

Il Pontefice ha nominato membro ordinario della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali il prof. Vittorio Possenti, ordinario di Filosofia politica all’Università di Venezia.

 

In Canada, il Santo Padre ha nominato vescovo di Antigonish il presule mons. Raymond John Lahey, finora vescovo di Saint George’s.

 

In Mozambico, il Papa ha nominato vescovo della diocesi di Lichinga il francescano 44enne padre Hilàrio Da Cruz Massinga, dell’Ordine dei Frati Minori, attuale custode della Custodia “Santa Clara” dello stesso Paese africano.

 

 

LA GUERRA IN IRAQ E LE SOFFERENZE DELLA POPOLAZIONE CIVILE COINVOLTA

 NEL CONFLITTO IN PRIMO PIANO NEL COLLOQUIO TRA GIOVANNI PAOLO II

E IL MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, DE VILLEPIN,

RICEVUTO IERI SERA IN VATICANO

 

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

Cercare la via migliore per alleviare le sofferenze della popolazione civile coinvolta nella guerra in Iraq. Questo l’argomento centrale affrontato nell’udienza del Papa al ministro degli Esteri francese, Dominique de Villepin, ricevuto ieri sera in Vaticano. Dopo l’udienza del Santo Padre, l’ospite ha incontrato il cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano, e l’arcivescovo Jean Louis Tauran, segretario per i rapporti con gli Stati. Durante i colloqui – riferisce una nota del portavoce della sala stampa della Santa Sede, Navarro-Valls – è stata sottolineata la “necessità di abbreviare le sofferenze” dei civili con “l’auspicio che la comunità internazionale aiuti gli iracheni ad essere loro stessi gli artefici della ricostruzione”. Nell’incontro, si è anche “accennato al problema israelo-palestinese e a una sua rapida soluzione”, tale da permettere la “coesistenza di due stati sovrani, come condizione indispensabile per la pace in Medio Oriente”. Si è, infine, fatta menzione del lavoro della Convenzione Europea e del futuro Trattato Istituzionale dell’Europa, per “sottolineare l'importanza che vi sia riconosciuto il ruolo delle Chiese e delle comunità di credenti”.

 

Al termine dell’udienza, il ministro degli Esteri francese ha incontrato, alla Farnesina, il suo omologo italiano Franco Frattini. Durante la conferenza stampa congiunta, Dominique de Villepin ha auspicato che alla fine della guerra venga garantita la l'integrità dell'Iraq”. Per raggiungere questo obiettivo, ha aggiunto, “é fondamentale garantire la sovranità delle Nazioni Unite”.

 

 

INCONTRO SCIENTIFICO IN VATICANO SUL TEMA DELLA PEDOFILIA

 

Dal 2 al 5 aprile ha avuto luogo in Vaticano un incontro scientifico sul tema della pedofilia. Lo ha reso noto stamani il portavoce vaticano, Joaquín Navarro Valls, precisando che al simposio, promosso dalla Pontificia Accademia per la Vita, hanno preso parte i più qualificati esperti del tema, provenienti dagli Stati Uniti d’America, dal Canada e dalla Germania. Hanno partecipato all’incontro anche specialisti nella terapia di recupero delle persone affette da questo problema. Erano presenti inoltre rappresentanti di alcuni dicasteri della Curia Romana: Dottrina della Fede, Vescovi, Clero, Religiosi, Educazione cattolica, e della Segreteria di Stato. Nel corso del Simposio, il tema della pedofilia è stato affrontato dal punto di vista strettamente scientifico e clinico. Le relazioni presentate all’incontro, così come i protocolli del suo sviluppo, saranno pubblicati tra qualche mese.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

A tutta pagina, si impone, in prima, il seguente titolo "Nell'imperversare della guerra siano evitate alla popolazione civile altre sofferenze".

 

Nelle vaticane, nel discorso alla Conferenza Episcopale della Scandinavia, il Papa ha sottolineato che l’autentico umanitarismo include sempre Dio. Senza Dio si perde anche il giusto senso dell'uomo.

L'intervento dell'arcivescovo Renato Raffaele Martino durante l'incontro promosso dalla Fondazione Di Liegro: economia, etica e sviluppo sostenibile.

Una pagina in occasione del centenario della morte di santa Gemma Galgani.

 

Nelle pagine estere, i primi positivi "frutti" sul fronte dell'emergenza alimentare in Iraq.

Francia, Russia e Germania chiedono il coinvolgimento dell'Onu nella ricostruzione post-bellica.

Medio Oriente: concluso il rastrellamento israeliano nel campo di Tulkarem; tornano le centinaia di profughi cacciati.

 

Nella pagina culturale, un contributo di Danilo Veneruso dal titolo: La "democrazia incompiuta"; a proposito del saggio di Piero Craveri.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la situazione politica in riferimento alla crisi irachena.

In rilievo il tema del lavoro.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

5 aprile 2003

 

 

CON UN VIOLENTISSIMO SCONTRO, LE PRIME AVANGUARDIE USA

PENETRANO ALLA PERIFERIA DI BAGHDAD, DOPO AVER ASSUNTO

IL CONTROLLO DELL’AEROPORTO INTERNAZIONALE.

ANCHE SOLDATI BRITANNICI ENTRANO IN BASSORA,

MENTRE I BOMBARDAMENTI PROSEGUONO IN TUTTO IL PAESE.

SEMPRE PIU’ GRAVE LA SITUAZIONE UMANITARIA

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

L’alba del 17.mo giorno ha portato tragicamente la guerra tra le strade di Baghdad. Tra le 5 e le 8 di stamani, nel quartiere di Dora-Yarmouk, a sud-ovest del centro cittadino Baghdad, una trentina di blindati americani hanno ingaggiato un violentissimo scontro a fuoco con le truppe irachene, dopo aver sfondato le linee della Divisione Al Nida della Guardia Repubblicana. Un’azione cruenta che, secondo il colonnello americano David Perkins, ha lasciato uccisi sul terreno almeno mille soldati iracheni. Poco dopo, un cronista della France Presse ha riferito di dozzine di mezzi militari iracheni in fiamme o bruciati, abbandonati per le strade, come risultato dell’incursione definita da un portavoce del Centcom, il comando centrale alleato in Qatar, “un’opportunità” subito sfruttata. Durante la notte, i reparti della Terza Divisione di fanteria statunitense si erano assicurati il sostanziale controllo dell’aeroporto internazionale di Baghdad, dopo una violenta battaglia che - secondo gli alleati - ha provocato la morte di 320 soldati iracheni e la resa di altri 2.500. Poco fa, è giunta la notizia, da parte americana, di un attentato suicida compiuto da un iracheno contro soldati americani, ma un portavoce militare iracheno ha smentito la notizia, affermando invece che sarebbero centinaia i soldati americani morti nell’assalto allo scalo di Baghdad. Le forze americane penetrate nella capitale hanno anche affermato di aver preso il quartier generale della Divisione Medina della Guardia repubblicana e la città ha ripreso ad essere bombardata dal cielo e dal mare. Colpita anche la città di Karbala, nell’Iraq centrale, allo scopo di proteggere l’arrivo dei rinforzi alleati diretti su Baghdad.

 

Nella consueta “guerra” della propaganda, il ministero dell’Informazione del regime ha smentito la presa dello scalo internazionale ed ha invitato la nazione a “cacciare le truppe americane dall’aeroporto”. L’invito del ministro Mohammad Saed al-Sahaf segue l’altro l’appello lanciato ieri dallo stesso Saddam Hussein, ripreso dalla televisione irachena durante un bagno di folla per le vie di Baghdad. Il rais ha nuovamente invitato il suo Paese a resistere con ogni mezzo, ma per l’intelligence americana sarà lo scontro con le due divisioni irachene schierate a difesa del centro di Baghdad a decidere le sorti della seconda Guerra del Golfo.

 

In questo quadro in rapido mutamento, che sembra preludere alle resa dei conti finale, gli abitanti di Baghdad assistono impotenti, mentre l’emergenza si aggrava ulteriormente, come ci descrive una testimone oculare – Simona Torretta di “Un ponte per…..” – intervistata da Andrea Sarubbi:

 

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R. - Da quando siamo arrivati qui, nella città di Baghdad, abbiamo preso accordi con la Mezzaluna Rossa irachena, che è il nostro partner locale, per avviare degli interventi sul piano dell’emergenza. Essi prevedono, in particolar modo, di garantire la fornitura elettrica presso gli ospedali di Baghdad e di Bassora. Inoltre, stiamo cercando - sempre in collaborazione con la Mezzaluna Rossa - di avviare un intervento per gli sfollati nella città di Baghdad, che prevede una prima installazione di tende in alcune zone a rischio, con funzione di fornire assistenza medica immediata.

 

D. - Come si vive a Baghdad in questo momento, cos’è che manca di più?

 

R. - Tutta la città di Baghdad è senza elettricità. Ho anche saputo che in alcune zone della città manca l’acqua, e questo sarà sicuramente un problema perché porterà alla lunga ad una grande emergenza umanitaria.

 

D. - Come si stanno preparando all’assedio?

 

R. - Da qualche giorno la gente si sposta in continuazione da una parte all’altra della città, di giorno ma anche di notte, per rifugiarsi - laddove ve sia la possibilità - nelle case dei parenti in campagna. Girando per la città, si vede una città completamente svuotata: i negozi chiusi e le poche merci rimaste trasferite presso le case dei proprietari per essere vendute privatamente. Ingegneri, operai, commercianti, insegnanti, docenti universitari sono senza lavoro da giorni, parte del loro stipendio è già stata investita nell’acquisto di generi di prima necessità, che sono acqua, cibo e medicinali. Mentre, al contrario, medici ed infermieri lavorano senza sosta negli ospedali della città e cercano, nonostante le grandi difficoltà e la penuria di materiali e di medicinali, di assistere i numerosi feriti.

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Diverse centinaia di  iracheni feriti sono ricoverati negli ospedali di Baghdad dopo gli scontri nelle strade della periferia. Lo ha detto oggi, da  Ginevra, Florian Westphal, portavoce del Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr). “La situazione sta diventando difficile - ha affermato Westphal, sulla base dei rapporti pervenuti dai quattro ospedali di Baghdad - bombardamenti e  scontri sul terreno hanno fatto aumentare il numero dei  ricoverati. Da una media di cento al giorno siamo saliti ieri a  diverse centinaia”.

 

Sul fronte sud, intanto, la base aerea di Nassiriyah, la più importante dell’area, è caduta oggi nelle mani delle forze anglo-americane, secondo quanto riferito dall’agenzia iraniana Irna. La stessa agenzia ha parlato anche di una nuova offensiva dei militari britannici, lanciata stamani verso Bassora, che ha portato i combattimenti all’interno della seconda città irachena. Una città in ginocchio da giorni, segnata da una crisi umanitaria molto grave. Sentiamo la collega Barbara Schiavulli, raggiunta telefonicamente a Bassora da Adriana Masotti:

 

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R. - La gente non ha bisogno di cibo, perché Saddam ha distribuito, prima della guerra, alimenti per sei mesi. Quello che la gente chiede è acqua e medicine, che comunque pian piano stanno arrivando.

 

D. - Quanto invece ai combattimenti, c’è resistenza oppure i soldati iracheni si stanno consegnando agli anglo-americani?

 

R. - Ci sono molti, soprattutto da parte dell’esercito regolare, che si arrendono e si lasciano prendere. Però, ci sono delle sacche di resistenza che si ritirano sempre verso l’interno. Quello che posso dire è che ormai sembra che ci siano due tipi di guerra: quella che stanno conducendo gli americani verso Baghdad e quella che invece stanno conducendo gli inglesi - in un modo un po’ più “soft”, per così dire - mirata a conquistare la fiducia della gente che è ancora molto spaventata e dice: “Noi non ci arrendiamo, perché abbiamo paura che questi (gli alleati, ndr) poi se ne vadano!”.

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Con il conflitto che sembra aver iniziato il conto alla rovescia verso la conclusione, aumentano le domande di chi si chiede quale epilogo potrà realmente avere la seconda Guerra del Golfo. Ecco il parere di un esperto di strategia militare, il generale Luigi Caligaris:

 

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R. - Non c’è una situazione uguale all’altra. Ricordiamoci che per prendere Kabul i sovietici e gli afghani dovettero combattere per anni. Poi abbiamo visto, nella seconda guerra in Afghanistan, come Kandahar sia caduta in pochissimi giorni. Kabul è caduta praticamente in un giorno. Un’altra ovvietà - ma è importante tenerla presente - è il fattore morale, ossia quanto la popolazione ne abbia avuto abbastanza della dittatura di Saddam Hussein. Questo perché le Guardie repubblicane, isolate dalla popolazione, nel timore delle ripercussioni del ‘dopo’, probabilmente potrebbero sfaldarsi anch’esse. In ogni modo, la guerra non potrà considerarsi del tutto finita finché non si sia riusciti a stabilire un assetto di sicurezza ragionevole su tutto il Paese. Io credo che la pacificazione dell’Iraq sarà un impegno enorme, che coinvolgerà la dimensione politica, quella sociale, la comprensione delle culture e, naturalmente, tutta la parte delle infrastrutture, che dovranno essere rimesse in ordine. Ma non pensiamo che con qualche centinaio di migliaia di uomini sul posto le cose possano migliorare. Io citerei un detto americano: “Le forze militari dell’Occidente potranno essere non la soluzione del problema, ma lo stesso problema, perché se non venissero accettate dalla popolazione locale, allora mantenere la sicurezza sarebbe una cosa molto complicata”.

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Tra le vittime delle ultime ore di guerra c’è anche il giornalista americano, Michael Kelly, un corrispondente del Washington Post, che si trovava al seguito  della terza Divisione Usa impegnata nella conquista dell'aeroporto di Baghdad. Kelly è morto in seguito in un incidente ad un automezzo militare e la sua scomparsa è la prima avvenuta tra i giornalisti al seguito dei militari: gli altri quattro reporter finora periti erano fuori dai ranghi militari.

 

Spingendo lo sguardo al dopo-Saddam, gli Stati Uniti non hanno mai fatto mistero di voler inizialmente gestire la transizione. Il diritto di assumere il ruolo principale nell'immediato dopoguerra in Iraq è stato ribadito ieri dal consigliere per la sicurezza nazionale, Condoleeza Rice, giacché - ha affermato -  gli americani e i loro alleati hanno dato “vita e sangue” alla campagna per rovesciare il regime iracheno. La Rice ha comunque assicurato che gli iracheni parteciperanno “sin dal primo giorno” al processo di ricostruzione del loro Paese. Mentre l'Onu, ha soggiunto, dovrà avere un ruolo da svolgere soprattutto nella distribuzione degli aiuti umanitari e la direzione del programma “cibo contro petrolio”. Questa dura presa di posizione potrebbe inasprire la “ferita” tra Usa e Europa, allargatasi all’inizio del conflitto nel Golfo. Questa divisione è frutto degli avvenimenti seguiti all’11 settembre 2001 o vi erano in precedenza segnali, in questo senso? Ascoltiamo il parere di Jordi Pujol, presidente del governo della Catalogna, giunto in Italia per inaugurare un centro regionale culturale. L’intervista è del nostro direttore, padre Ignazio Arregui:

 

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R. - Alcuni di questi elementi c’erano già prima dell’attentato dell’11 settembre. Elementi che sono la conseguenza per esempio dell’evoluzione del pensiero religioso nelle due parti dell’Occidente, l’America e l’Europa. L’Europa è un continente relativista; gli Stati Uniti sono un Paese moralista. C’è una differenza che cresce ogni giorno da questo punto di vista. Poi gli Stati Uniti hanno il senso della loro potenza e della loro volontà di potenza. L’Europa non ha volontà di potenza, l’Europa ha volontà di creare - è’ stato un successo, da questo punto di vista e siamo orgogliosi di questo – uno Stato sociale, una società veramente più giusta, dove lo sforzo più grande si fa  perché nessuno si veda estromesso dalla società. Tutto questo è molto buono ma non è accompagnato dal desiderio di voler essere potente, forte, di essere capace di difendersi e difendere questi valori al di fuori dell’Europa stessa. Poi ci sono anche altri fattori ideologici, per esempio quello che è rimasto del marxismo e del comunismo come fondo culturale, intellettuale ed ideologico, non più comunista ma contrapposto ai grandi valori di una parte dell’Occidente europeo ma soprattutto di questo Occidente americano.

 

D. - La riunificazione tra l’Europa occidentale e gli Stati Uniti si potrà di nuovo rafforzare, consolidare?

 

R. - Spero di sì,forse non molto rapidamente. Penso che i fattori comuni che ci sono tra gli europei e gli americani del nord sono molto importanti. Spero che ci sarà un nuovo riavvicinamento tra le due sponde dell’Atlantico.

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EVITARE LA DESTABILIZZAZIONE DEL MEDIO ORIENTE

E GARANTIRE IL RUOLO DELLE NAZIONI UNITE NELLA RICOSTRUZIONE DELL’IRAQ:

E’ L’AUSPICIO DI STAFFAN DE MISTURA, RAPPRESENTANTE PERSONALE DEL SEGRETARIO GENERALE DELL’ONU NEL SUD DEL LIBANO

 

- Intervista con Staffan de Mistura -

 

Ribadire il “ruolo centrale” delle Nazioni Unite nella “gestione delle crisi internazionali”. E’ quanto affermato, stamani, dal presidente della Commissione europea, Romano Prodi. Proprio sul futuro dell’Onu - non solo nell’Iraq postbellico - si è acceso, in queste settimane, il confronto tra gli attori principali della comunità internazionale. D’altro canto, in molti guardano con preoccupazione al rischio di una destabilizzazione della regione mediorientale, quale conseguenza della Seconda Guerra nel Golfo. Tra gli uomini che lavorano, in prima linea, per evitare l’infiammarsi del Medio Oriente, c’è Staffan de Mistura, rappresentante personale del segretario generale dell’Onu nel Sud del Libano. Alessandro Gisotti lo ha raggiunto telefonicamente a Beirut:

 

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R. – Uno dei miei grandi timori, mio e dei miei colleghi, era che la linea di frontiera tra Siria, Libano e Israele, una frontiera calda – potenzialmente – dove abbiamo duemila uomini delle Nazioni Unite, potesse diventare incandescente in collegamento con la guerra in Iraq. Per fortuna non è avvenuto, questo, e non sta avvenendo e ci stiamo adoperando affinché non avvenga, in maniera tale che sia circoscritto solo all’Iraq. Certo, nelle strade di Beirut, nelle strade di tante città arabe ci sono movimenti di protesta, ma non vogliamo credere che ci sia una regionalizzazione e si sta lavorando per evitarlo.

 

D. – Saddam Hussein incita tutti i musulmani alla “guerra santa” contro gli americani: un appello che potrebbe essere raccolto dai movimenti fondamentalisti, come gli Hezbollah presenti in Libano?

 

R. – Francamente, avrei molti dubbi che questo avvenga. Saddam Hussein ha una pessima reputazione in questo campo, perché non ha certo rispettato gli sciiti dopo la guerra del ’90, quando ci sono stati dei terribili eccidi. Quindi, il fatto che lui si risvegli in quanto a religiosità, non mi pare che sia credibile. Dalla parte degli Hezbollah c’è sempre stata la consapevolezza che Saddam Hussein non è stato una persona che ha rispettato l’integrità, anche fisica, degli sciiti. E poi, come il Santo Padre più volte ci ha ricordato, fare guerre in nome della religione è un’antitesi. In questo caso, credo che pochi risponderanno a Saddam.

 

D. – Quale potrà essere il ruolo dell’Onu nella ricostruzione dell’Iraq dopo il conflitto?

 

R. – C’è una delusione, che tutti abbiamo provato per il fatto che il Consiglio di Sicurezza, che in fondo è il nodo focale per le decisioni politiche dell’Onu, non abbia potuto mettersi d’accordo e non abbia potuto affrontare insieme quello che tutti ci auguravamo: il disarmo pacifico ma energico dell’Iraq. A questo punto, dipende dal Consiglio di Sicurezza che va ricompattato. Ne abbiamo avuto il primo sintomo con l’approvazione unanime da parte dello stesso per l’“oil-for-food” - petrolio contro il cibo - affidandolo alle Nazioni Unite. Spero ci sia un incarico alle Nazioni Unite per assistere la popolazione civile.

 

D. – Quanto inciderà questa crisi, per i modi in cui è scaturita e si è sviluppata, sull’autorevolezza e l’efficacia del sistema delle Nazioni Unite?

 

R. – Certo, ogni volta che c’è la guerra è un fallimento ed è certamente una sconfitta per l’Onu, che è stata creata per evitare le guerre. In questo senso c’è bisogno di guardare di nuovo a quanto è avvenuto. Ma quante volte, in passato, abbiamo visto ciò avvenire e quante volte poi si è tornati comunque all’Onu? Perché non c’è un’alternativa! L’ultima fu il Kosovo, quando l’Onu fu completamente emarginata dalla decisione della Nato decidendo, a quel tempo, di non rivolgersi al Consiglio di Sicurezza, in quel caso era stata la Russia a minacciare il veto. Eppure, poi, il Kosovo è stato ristabilizzato e ricostruito grazie, soprattutto, ad uno dei pilastri che è l’Onu.

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VERSO LA PACE IN SUDAN

- Intervista con il missionario Gino Barsella -

 

Entro giugno sarà pace in Sudan. L’annuncio è venuto a conclusione dell’incontro, nei giorni scorsi,, nei giorni scorsi, tra il presidente Omar el-Bashir e il leader dei ribelli Spla, John Garang.  E’ stato il secondo incontro tra le due parti in venti anni di guerra tra il nord e il sud del paese.  Nel primo, svoltosi a luglio scorso, era stato stilato un primo memorandum di intesa per la cessazione delle ostilità, chiamato Protocollo di Machakos dalla località del Kenya che ha ospitato i negoziati.

 

Sulle prospettive di pace e sulle difficoltà da affrontare, ascoltiamo, nell’intervista di Fausta Speranza,  padre Gino Barsella, missionario comboniano.

 

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R. – Chi sta spingendo, adesso, perché questa pace avvenga è l’America in particolare che ha bisogno di far vedere che lavora per la pace nel mondo, ovviamente soprattutto nei confronti dei Paesi arabi, e quindi far fare la pace in Sudan sarebbe un grosso punto diplomatico a vantaggio. L’America e l’Europa hanno deciso che la pace dev’essere fatta entro giugno, il che vuol dire tanti soldi, il che vuol dire l’annullamento del debito – per esempio – da parte dei Paesi europei, tanti soldi soprattutto dall’America purché questa pace si faccia entro giugno.

 

D. – Quali difficoltà restano aperte, secondo lei?

 

R. – Le difficoltà per le quali si combatte da vent’anni e per le quali si è combattuto nella prima guerra civile tra il 1956 e il 1972; uno Stato pluralista, il che significa il rispetto delle diversità religiose e culturali tra Nord e Sud, tra le varie parti del popolo sudanese, il che significa quindi uno Stato che abbia una natura abbastanza secolare nella sua Costituzione e non la legge islamica; che politicamente ed economicamente permetta ad ogni parte di avere la sua giusta parte delle risorse e del potere politico; che vuol dire una realtà federale che permetta dopo un periodo di sei anni di interim al Sud Sudan di potere esprimere la propria autodeterminazione, e una giusta condivisione delle risorse. Per arrivare a questo sarà un processo lungo. I sei anni di interim previsti sono un tempo abbastanza lungo per permettere di affrontare questi nodi. Perché però questi nodi siano affrontati, sarà necessario un monitoraggio internazionale molto serio – della comunità internazionale, in particolare delle Nazioni Unite – soprattutto riguardo al cessate-il-fuoco e alla condivisione delle risorse del petrolio.

 

D. – Quali condizioni umanitarie trova, questa pace?

 

R. – Le condizioni umanitarie sono gravissime. C’è un Sud Sudan completamente distrutto, senza infrastrutture, non ha ospedali, non ha scuole, non ha niente, è tutto da costruire; ci sono quattro milioni di sud-sudanesi che si trovano al Nord e che vanno aiutati a rimpatriare: quattro milioni di ‘profughi interni’, non è poco!

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CHIESA E SOCIETA’

5 aprile 2003

 

 

PRIMO PASSO PER IL RICONOSCIMENTO DELLO STATUS DELLA RELIGIONE

NELLA BOZZA DELLA COSTITUZIONE EUROPEA: SECONDO LA CONVENZIONE CRISTIANI PER L’EUROPA,

“L'ART. 37 È UN PASSO SIGNIFICATIVO NELLA GIUSTA DIREZIONE”

 

BRUXELLES. = Prime soddisfazioni per gli ambienti cattolici che chiedono un riconoscimento delle Chiese e della religione nella futura prima Costituzione europea. Gli ultimi progetti della bozza della carta costituzionale dell’Unione europea presentati ieri alla Plenaria della Convenzione dalla presidenza rispondono positivamente a tre delle richieste principali. “L’articolo 37 della bozza di Costituzione europea è un passo significativo nella giusta direzione” secondo quanto affermato dalla Convenzione dei cristiani per l’Europa, che unisce cristiani e laici di diversi Paesi europei impegnati a promuovere la libertà religiosa. Anche se “non esaurisce il tema della ricezione dell’esperienza religiosa nella Costituzione europea". La Convenzione dei cristiani esprime apprezzamento per il lavoro dei propri membri “che si sono adoperati per inserire nella bozza di Costituzione sia quanto già stabilito nel Trattato di Amsterdam a proposito di riconoscimento degli statuti delle Chiese, sia l’istituzione di ‘un dialogo regolare’ tra le stesse confessioni religiose e l’Unione". Ricorda però che "la formulazione dell’articolo 37 potrebbe essere ulteriormente migliorata esplicitando l’autonomia istituzionale delle Chiese, ovvero l’identità delle confessioni religiose". (S.C.)

 

 

GRANDI FESTEGGIAMENTI IERI IN ANGOLA PER IL PRIMO ANNIVERSARIO

DEGLI ACCORDI DI PACE CHE HANNO MESSO FINE A 27 ANNI DI GUERRA CIVILE.

L’ARCIVESCOVO DI LUANDA, INTERVENUTO AD UNA MANIFESTAZIONE,

HA INVITATO LA NAZIONE ALLA RICONCILIAZIONE ATTRAVERSO IL PERDONO

 

LUANDA. = Decina di migliaia di persone festanti si sono radunate ieri nello stadio della capitale angolana Luanda, per ricordare il primo anniversario degli accordi di pace che hanno posto fine a 27 anni di guerra civile. All’incontro, organizzato dalle Chiese cristiane, è intervenuto l’arcivescovo di Luanda, mons. Damiao Antonio Franklin, che ha esortato tutta la nazione alla riconciliazione attraverso il perdono. Tante sono state le iniziative per riflettere su questo conflitto che ha diviso il Paese per tanti anni. A mezzogiorno era stato indetto un minuto di silenzio, in memoria dell’oltre mezzo milione di vittime della guerra. Anche la televisione e la radio pubbliche hanno temporaneamente sospeso le loro trasmissioni, per poi tornare a trasmettere in diretta dallo stadio la preghiera per la pace. Alla stadio “Cidadela” di Luanda era presente anche il capo dello Stato, Edoardo Dos Santos, insieme ai ministri ed ai rappresentanti dell’opposizione, ma nessun politico ha preso la parola. Il 4 aprile dell’anno scorso venne sottoscritto l’accordo di pace tra l’esercito governativo e i ribelli dell’Unita (Unione nazionale per l’indipendenza totale dell’Angola), meno di tre mesi dopo l’uccisione del suo leader, Jonas Savimbi. Una data che il governo ha celebrato come giornata della pace e della riconciliazione, per ricordare il giorno in cui l’Angola chiuse definitivamente la tragica pagina della guerra scoppiata all’indomani dell’indipendenza dal Portogallo, nel 1975.(M.A.)

 

 

DECINE DI MIGLIAIA DI ORFANI, CHE VIVONO SENZA CIBO E ASSISTENZA SANITARIA, TRAUMATIZZATI DAGLI ORRORI DELLA GUERRA:

E’ QUESTA LA SITUAZIONE DEI BAMBINI RWANDESI

IN UN RAPPORTO PUBBLICATO IN QUESTI GIORNI DA HUMAN RIGHTS WATCH

 

KIGALI. = L’organizzazione umanitaria Human Rights Watch ha pubblicato un rapporto sulla situazione dei bambini in Rwanda. Secondo il documento intitolato “Le ferite rimaste: le conseguenze del genocidio e della guerra sui bambini del Rwanda”, centinaia di migliaia di bambini sono stati uccisi e mutilati, sia a livello fisico che psichico. Nel Paese africano è enorme il numero degli orfani e molti di questi sono abbandonati a loro stessi. Diverse famiglie li hanno accolti ma non sempre i diritti di questi ragazzi sono rispettati: alcuni di loro infatti sono sfruttati come domestici in cambio di cibo e alloggio. Il rapporto documenta il trauma che molti bambini hanno subito durante il genocidio le cui conseguenze durano fino ad oggi. Il rapporto raccoglie infatti le testimonianze di alcuni bambini, dalle quali si comprendono le profonde ferite che la cruenta guerra del Paese africano ha causato nella loro vita. Attraverso questo documento inoltre si descrivono anche le condizioni di vita attuali dei bambini che conducono un’esistenza al limite della sopravvivenza, senza cibo e assistenza sanitaria. (M.A.)

 

 

CONTINUA LA PESCA DELLE BALENE IN NOME DELLA SCIENZA. 5 BALENIERE

SONO RIENTRATE IERI IN GIAPPONE CON A BORDO 440 GRANDI CETACEI:

DURA LA PROTESTA DI GREENPEACE, SECONDO CUI DIETRO

LE MOTIVAZNI SCIENTIFICHE SI NASCONDONO INTERESSI MERAMENTE ECONOMICI

 

TOKYO. = È rientrata in Giappone dalle acque dell’Antartico una flotta di 5 baleniere con un carico di 440 grandi cetacei, uccisi in nome della ricerca scientifica. Greenpeace lamenta  che dietro le intenzioni scientifiche si nascondano operazioni meramente commerciali. I battelli nipponici hanno passato cinque mesi in mare per quella che l’Agenzia di pesca del Giappone ha definito una "missione scientifica con lo scopo di indagare sulle abitudini alimentari delle balene". Dura la denuncia da parte di Greenpeace, che ha protestato contro l’uccisione dei cetacei, convinta che le affermazioni delle autorità giapponesi giustifichino in realtà battute di pesca a scopi commerciali. L’associazione ecologista ha messo in dubbio le motivazioni scientifiche dichiarate della missione, ricordando che è ormai diffusamente noto che le balene si nutrano dei particolari minuscoli crostacei chiamati ‘krill’; ha inoltre sottolineato che la missione giapponese non aveva l’autorizzazione da parte della Commissione internazionale sulle balene. Già lo scorso settembre un’altra flotta di baleniere era rientrata in Giappone dall’oceano pacifico, dopo aver cacciato 194 grandi cetacei. In base ai dati ufficiali, 22.900 sono fin’ora le balene uccise complessivamente da Giappone, Groenlandia, Sud Corea, Norvegia e Russia per ‘scopi scientifici’ o in violazione della moratoria internazionale, in atto dal 1986. (S.C.)

 

 

UNA DELEGAZIONE DI CRISTIANI A COLLOQUIO IERI CON IL GOVERNATORE

DELLO STATO INDIANO DEL GUJARAT. LA SUA FIRMA DETERMINANTE

PER FAR ENTRARE IN VIGORE LA CONTROVERSA LEGGE LOCALE CHE OBBLIGA

CHI SI CONVERTE AD UN'ALTRA RELIGIONE A CHIEDERE L’AUTORIZZAZIONE DELLE AUTORITÀ

 

NUOVA DELHI. = La minoranza cristiana del Gujarat, Stato dell’India nord-occidentale, si mobilita per evitare che entri in vigore il “Documento sulla libertà di religione”, legge che obbliga chi vuole cambiare religione a chiedere l’autorizzazione delle autorità civili. La legge è stata approvata dal governo locale il 26 marzo scorso, ma manca la firma del governatore dello Stato affinché entri in vigore. Una delegazione di cristiani si è recata ieri dallo stesso governatore, Shri Sundar Singhji Bhandari, per chiedergli di studiare a fondo il provvedimento prima di dare il suo assenso. Per farlo bisogna attendere il parere della procura generale, richiesto sempre dal governatore per verificare la validità costituzionale del documento. La legge mira a contrastare il fenomeno delle conversioni forzate, sia con l’uso della forza che con la promessa di aiuti o sostentamento. La Chiesa cattolica si è sempre dichiarata estranea a queste pratiche. In particolare, la legge prevede una pena detentiva fino a 3 anni, e una multa fino a 50 mila rupie (oltre mille euro) per chiunque trasgredisca. Sono in molti però a temere che la nuova norma venga utilizzata per mettere a tacere le minoranze musulmana e cristiana presenti nel territorio. (M.A.)

 

 

PERCORSI DI UN DIALOGO TRA LE CULTURE: A VITERBO DOMANI UNA CENA

MULTIETNICA PER UNIRE IMMIGRATI E ABITANTI DELLA CITTÀ

 

VITERBO. = Una cena multietnica organizzata nel locale più noto della città, in onore degli immigrati: questa l’iniziativa, realizzata grazie alla collaborazione tra gli extracomunitari e l’associazione ‘Giovani per un mondo unito’ di Viterbo, che si terrà domani sera alle 21. Una serata alla scoperta di suoni, sapori e di culture diverse, per combattere razzismo ed indifferenza tra le diverse culture. Il ricavato verrà devoluto per la realizzazione di strutture sanitarie nella cittadella di Fontem, in Camerun. (S.C.).

 

 

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24 ORE NEL MONDO

5 aprile 2003

 

 

- A cura di Barbara Castelli -

 

In primo piano un disastroso naufragio avvenuto stamani in un fiume a nord-est del Bangladesh e costato la vita ad almeno 60 persone. Un battello, con oltre 170 passeggeri a bordo, è affondato dopo essersi scontrato con una chiatta. Lo hanno riferito fonti governative della città di Chatak, precisando che il bilancio è ancora provvisorio e che almeno un centinaio di persone si sarebbero salvate grazie all’intervento di alcuni abitanti dei villaggi della zona. I corpi fino ad ora recuperati sono in gran parte di donne e bambini.

 

Il presidente della Repubblica Democratica del Congo, Joseph Kabila, ha promulgato ieri sera a Kinshasa, nel corso di una cerimonia ufficiale, una nuova Costituzione. Il testo, approvato dai 362 delegati del dialogo intercongolese, riuniti a Sun City in Sud Africa, apre la via alle prime elezioni libere nel Paese africano.

 

Non cessa l’allarme per il virus della Sindrome Acuta Respiratoria Severa, più nota come “polmonite atipica”, che fino ad oggi ha causato oltre 80 morti e più di 2.300 casi nel mondo. Un 70.ne in Malaysia, un’italiana 57.ne emigrata in Canada e altri 3 uomini ad Hong Kong sono le ultime vittime del virus Sars. L’emergenza è particolarmente preoccupante anche in Corea del Sud e nello Sri Lanka. Intanto, ieri il presidente americano, George Bush, ha firmato un ordine esecutivo che dà ai vertici del servizio sanitario nazionale la responsabilità di decidere quando sia necessaria una quarantena. Severi controlli medici e misure di prevenzione sono scattati in tutti gli scali internazionali per bloccare il contagio.

 

Il ministero dell’Interno serbo ha emesso ieri un mandato di cattura contro la moglie e il figlio dell’ex presidente jugoslavo, Slobodan Milosevic. Mira Markoviv ed il figlio Marko, attualmente a Mosca, sono accusati di complicità nell’assassinio dell’ex presidente serbo, Ivan Stambolic, esautorato nel 1987 dall’‘uomo forte’ di Belgrado.

 

“Qualsiasi tentativo di trarre un’analogia tra le situazioni in Iraq e Kashmir è sbagliato”. Con queste parole oggi l’Amministrazione statunitense ha messo in guardia l’India dal prendere l’offensiva preventiva contro Baghdad come esempio a pretesto per attaccare il Pakistan, per la contesa zona del Kashmir.

 

Trasferiamoci in Medio Oriente, dove ieri nel campo profughi palestinese di Tulkarem le forze speciali israeliane hanno tratto in arresto il dirigente della Jihad islamica, Anwar Alian, e il comandante di Tanzim, Abdel Hadi Hamshari. La cattura dei due è avvenuta nel corso di una massiccia operazione di rastrellamento, che ha, inoltre, portato all’arresto di altri 21 ricercati dell’Intifada e alla scoperta di un laboratorio per la confezione di ordigni. Intanto, nella notte un palestinese è rimasto ferito alla periferia di Betlemme mentre preparava un attentato contro obiettivi israeliani.

 

Segni di distensione nella crisi tra Stati Uniti e Corea del Nord. Secondo quanto reso noto ieri da fonti ufficiali, Washington e Pyongyang avrebbero avuto incontri, in sede di rappresentanze diplomatiche all’Onu, dal 31 marzo al 2 aprile scorso. I colloqui, incentrati sul riarmo della Corea del Nord, avrebbero registrato passi significativi.

 

Trasferiamoci in Afghanistan dove stamani un gruppo di militari italiani della task force Nibbio è stato nel mirino di un attacco armato. Un uomo non identificato ha aperto il fuoco contro la pattuglia per poi dileguarsi tra la gente di un villaggio al confine con il Pakistan. Fortunatamente nessuno dei militari è rimasto ferito.

 

Una violenta deflagrazione, legata ad una ripresa dell’attività eruttiva del vulcano, è stata registrata questa mattina a Stromboli. Dal cratere è uscita un’alta colonna di fumo e cenere lavica che il vento sta spingendo lontano dall’isola. Delle pietre laviche sono cadute sulla frazione di Ginostra, colpendo alcune case ma senza fortunatamente provocare vittime.

 

 

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