RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 93 - Testo della Trasmissione giovedì 3 aprile 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Con Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro attesi oltre 50 mila giovani giovedì pomeriggio 10 aprile, in preparazione alla Giornata Mondiale della Gioventù 2003 che si celebra la Domenica delle Palme: con noi, mons. Mauro Parmeggiani.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

La guerra in Iraq. Le truppe alleate alle porte di Baghdad. Il dramma umanitario del conflitto: con noi, il nunzio Fernando Filoni, Antonella Notari, Angelo Simonazzi e Giuseppe Leonelli.

 

“Dio e l’Europa”, tema di un seminario organizzato a Bruxelles da un gruppo di eurodeputati cristiani.

 

Il commosso addio al medico italiano Carlo Urbani, “buon samaritano” ucciso dalla polmonite atipica: il ricordo del vescovo di Jesi, mons. Oscar Serfilippi.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Conclusa la plenaria dell’episcopato croato. Incentrata sul tema della famiglia la prossima visita del Papa in Croazia dal 5 al 9 giugno.

 

Situazione difficile in Haiti: si espande la violenza.

 

Preoccupazione dei vescovi dell’India per una legge sulla libertà di religione nello Stato del Gujarat.

 

L’arcivescovo di Valencia parla dei ‘conflitti dimenticati’ di tutto il mondo.

 

Domenica prossima l’arcivescovo di Durazzo-Tirana consacrerà la nuova Chiesa nel villaggio albanese di Gurez.

 

24 ORE NEL MONDO:

Medio Oriente: nuove violenze fra israeliani e palestinesi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania.

 

Serie di attentati a Davao nel sud delle Filippine: il governo accusa i ribelli del Fronte Moro.

 

L’Unione Serbia-Montenegro entra nel Consiglio d’Europa come 45.mo Stato membro.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

3 aprile 2003

 

 

NOMINE DI CURIA E DI AUSILIARE IN USA

 

Il Papa ha ricevuto stamani cinque vescovi della Conferenza Episcopale di Scandinavia, in visita “ad Limina”. Sono il vescovo di Reykjavik, in Islanda, Joannes Baptist Matthijs Gijsen, e tre presuli della Norvegia: il vescovo di Oslo, Gerhard Schwenzer, con il vescovo emerito John Willem Gran; il prelato di Tromso, Gerhard Ludwig Goebel; e il prelato di Trondheim, Georg Mueller.

 

Il Santo Padre ha nominato quattro consultori della Congregazione per la Dottrina della Fede. Sono il vescovo irlandese Brian Farrel, segretario del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani; il gesuita italiano padre Gianfranco Ghirlanda, decano della Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana; il prelato francese Jean Laffitte, docente di Teologia morale presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia; e il prelato spagnolo Carlos José Erràzuriz Mackenna, della prelatura dell’Opus Dei, docente di Diritto Canonico presso la Pontificia Università della Santa Croce.

 

Il Pontefice ha inoltre nominato sei consultori della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo presso il Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani. Sono il vescovo Giacinto Boulos Marcuzzo, ausiliare di Gerusalemme dei Latini; il domenicano padre Georges Cottier, teologo della Casa Pontificia; l’israeliano Elias Chacour, presidente di “Mar Elias Educational Institutions” a Ibillin; il sacerdote Patrick Desbois, dell’Istituto del Prado, segretario della Commissione episcopale francese per l’ebraismo; la suora Lucy Thorson, delle Religiose di Nostra Signora di Sion; e il tedesco Hans Hermann Henrisx, direttore dell’Accademia episcopale della diocesi di Aquisgrana.

 

Giovanni Paolo II ha pure nominato consultore della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa il sacerdote italiano Ivo Panteghini, del clero diocesano di Brescia.

 

Negli Stati Uniti d’America, il Papa ha nominato ausiliare della diocesi di Rockville Centre il sacerdote Paul Henry Walsh, di 65 anni, attuale parroco della “Saint Patrick Parish” in Smithtown, elevandolo alla dignità vescovile.

 

 

UN MOMENTO DI PREGHIERA E DI MUSICA PER LA PACE CON IL PAPA:

OLTRE 50.000 GIOVANI ATTESI IN PIAZZA SAN PIETRO GIOVEDI’ POMERIGGIO

 IN VISTA DELLA GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ 2003

CHE SI CELEBRA LA DOMENICA DELLE PALME

- Con noi mons. Mauro Parmeggiani -

 

“In questo tempo minacciato dalla violenza, dall’odio e dalla guerra, testimoniate che Gesù è il solo che possa donare la vera pace al cuore dell’uomo”. Questa la consegna che il Papa dà ai giovani nel messaggio per la Giornata mondiale della Gioventù che quest’anno si celebra nelle varie diocesi la prossima Domenica delle Palme. Nell’imminenza di questo appuntamento, giovedì prossimo i giovani , oltre 50.000. si incontreranno con il Papa in piazza San Pietro. Saranno giovani di Roma e Lazio, con delegazioni provenienti da tutto il mondo. Era stato lo stesso Giovanni Paolo II a rivolgere loro l’invito, il 15 marzo scorso, in occasione della prima Giornata europea degli universitari. “Sarà un’occasione di preghiera e di festa, aveva detto.

 

Questo avvenimento sarà trasmesso in diretta da Rai Uno a partire dalle ore 17,15. Questa mattina nella sede della Rai, ha avuto luogo la presentazione alla stampa. Sono stati illustrati i momenti salienti dell’incontro che ha il titolo stesso del messaggio del Papa questa giornata mondiale dei giovani 2003: “Ecco la tua madre”. La prima parte più festosa, avrà toni contenuti, è stato sottolineato, per il momento particolare che stiamo vivendo a causa del conflitto in Iraq. Questo primo atto dell’incontro prevede l’intervento di cantanti come Niccolò Fabi e i Nomadi, danze con Carla Fracci e le sue allieve, letture di brani letterari mariani con Paola Pitagora. Non mancheranno le testimonianze, ma diamo la parola direttamente mons. Mauro Parmeggiani, direttore del Servizio diocesano della Pastorale giovani:

 

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R. – Le mamme e i giovani, che hanno fatto l’esperienza del ruolo importante della mamma nella loro vita, ci aiuteranno, con dei riflessi umani, a capire la grandezza della maternità spirituale della Madonna. Seguirà l’incontro con il Papa, l’ingresso della Croce delle Giornate della gioventù, che viene da Toronto, la parola del Papa e l’affidamento dei giovani alla protezione della Vergine, all’alba di questo secolo e di questo millenni ancora travagliato dal terrorismo, dalla guerra, da quelli che sono i frutti del peccato. Il terzo momento: la consegna da parte del Papa a tutti i giovani del Rosario, preghiera a cui il Papa ha affidato le sorti della pace e della famiglia.

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Giovedì prossimo in Piazza San Pietro ci saranno anche 230 responsabili della pastorale giovanile provenienti da 80 Paesi, di 50 movimenti, associazioni e comunità ecclesiali, insieme ad alcuni cardinali e vescovi. I delegati sono convenuti a Roma per un Convegno internazionale sulle Giornate mondiali della gioventù, in preparazione del prossimo appuntamento mondiale con il Papa del 2005 a Colonia. Appuntamento dunque a giovedì prossimo, 10 aprile,  alle ore 17,15 da Piazza San Pietro.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

“Si stringe il cerchio intorno a Baghdad” è il titolo della prima pagina: quindicesimo giorno del conflitto.

Centinaia di morti in scontri per la conquista di un ponte. Abbattuti velivoli alleati.

Sempre in prima, “Madonna dell’Arco: i domenicani rilanciano la preghiera mariana” è il titolo del pensiero dedicato all’Anno del Rosario.

 

Nelle vaticane, messaggio della presidenza della Conferenza Episcopale della Colombia in occasione della Quaresima.

Una pagina dedicata alle iniziative per la pace promosse nelle diocesi italiane.

Una pagina con le Lettere pastorali dei vescovi italiani.

 

Nelle pagine estere, il rischio della malnutrizione minaccia numerose famiglie nel Nord dell’Iraq.

Colin Powell a Bruxelles per colloqui riguardo alla ricostruzione dell’Iraq.

Il testo dell’intervento della Santa Sede alla Commissione delle Nazioni Unite per il disarmo: “Recuperare il valore del multilateralismo nel campo del diaspro internazionale”.

Medio Oriente: brusca e cruenta intensificazione delle operazioni israeliane.

 

Nella pagina culturale, un approfondito contributo di Franco Patrono sulla mostra “Shakespeare nell’arte”, allestita nel Palazzo dei Diamanti di Ferrara.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la situazione politica: oggi, in Parlamento, le mozioni sugli aiuti umanitari per l’Iraq.

In rilievo, il tema del terrorismo.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

3 aprile 2003

 

 

LE TRUPPE ALLEATE SI ATTESTANO A 10 KM DA BAGHDAD,

DOPO FURIOSI COMBATTIMENTI CONTRO L’ESERCITO IRACHENO.

NUOVA STRAGE DI CIVILI IN UN MERCATO DELLA CAPITALE, COLPITO DA UN MISSILE.

LE AGENZIE INTERNAZIONALI COSTRETTE A DISERTARE LE ZONE DI GUERRA

PER LA MANCANZA DI CORRIDOI UMANITARI

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

Al suo quindicesimo giorno, l’offensiva angloamericana in Iraq, che ha ormai bloccato gli accessi meridionali alla città di Baghdad, porta in primo piano un’altra tragica notizia riguardante i civili iracheni. Secondo fonti ospedaliere della capitale, riferite dall’agenzia France Press, un missile sarebbe caduto in un mercato a sud-est di Baghdad, provocando otto morti e  cinque feriti. Dal canto suo, durante il briefing quotidiano, il ministro dell'Informazione iracheno, Mohammad Said al Sahaf, ha parlato oggi di 27 persone uccise dai bombardamenti, tra cui 14 morti in un sobborgo di Baghdad provocati dall’esplosione di bombe a frammentazione.  Anche dal punto di vista militare, l’avanzata registra un bollettino di guerra che va facendosi via via più sanguinoso. Quello più tragico, fornito stamani da un responsabile dei servizi di informazione dell’esercito statunitense, riferisce di 500 soldati iracheni uccisi in combattimento a una trentina di Km. a sud di Baghdad, mentre tentavano di riprendere il controllo di un ponte sull’Eufrate. Ma anche gli angloamericani lamentano perdite. Nella notte, un elicottero “Black Hawk” è stato abbattuto nella notte nei pressi di Karbala e sette dei quattro militari a bordo hanno perso la vita. Anche un caccia FA-18 Hornet sarebbe stato abbattuto da un missile iracheno.

 

Dal Centcom, il Comando centrale alleato in Qatar, giunge notizia della distruzione della Divisione Medina della Guardia Repubblicana, la seconda - a detta degli angloamericani - ad essere stata messa ieri fuori gioco nella marcia di avvicinamento a Baghdad. Ma i combattimenti di terra, come visto, non hanno rallentato in alcun modo i bombardamenti dall’alto sui centri del potere iracheno. Dalla capitale, ascoltiamo il nunzio apostolico Fernando Filoni, raggiunto telefonicamente da Alessandro Guarasci:

 

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R. - A parte i bombardamenti - che certamente sono molto forti e che quindi spaventano la gente, spaventano i bambini - la popolazione vive in uno stato di continua attesa. Poiché le comunicazioni telefoniche non esistono più, ovviamente le notizie passano di bocca in bocca e quindi creano quella specie di aspettativa per conoscere effettivamente quale sarà il futuro.

 

D. -  La gente in questi giorni, da quanto ci è stato detto anche dalla Caritas, si è rifugiata spesso nelle chiese per paura dei bombardamenti. E’ così?

 

R. - Certamente, alcune centinaia di persone, sia cristiane sia musulmane, hanno trovato rifugio lì.

 

D. - A Bassora sappiamo che c’è mancanza di acqua e di cibo. Queste condizioni a Baghdad non si verificano?

 

R. - L’acqua non è stata mai tolta. L’elettricità è stata tolta a volte per riparazioni, a causa dei bombardamenti, però di fatto noi abbiamo ancora elettricità.

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Dal campo di battaglia ai tavoli della diplomazia, la guerra in Iraq è da stamani al centro del vertice Nato iniziato circa due ore fa a Bruxelles. Assieme ai ministri degli Esteri dei Paesi del Patto atlantico, vi è il segretario di Stato americano, Colin Powell, che prenderà parte ad un pranzo di lavoro con i capi della diplomazia dei 15 paesi dell'Unione Europea.      

Parliamo ora dell’emergenza, progressivamente sempre più grave, in cui versa la popolazione dell’Iraq. “Il diritto di scegliere i metodi di guerra non è illimitato. Le armi i cui effetti sono indiscriminati o che causano sofferenze inutili sono vietate”. Così, il 20 marzo scorso, a poche ore dall’inizio della seconda Guerra del Golfo, il presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa, Jakob Kellenberger, lanciava un appello solenne alle forze belligeranti, perché s’impegnassero al rispetto del diritto umanitario. In queste due settimane di conflitto, gli operatori della storica organizzazione umanitaria si sono prodigati, con coraggio e abnegazione, per assistere la popolazione irachena. Un impegno portato avanti all’insegna dell’imparzialità, come tiene a sottolineare Antonella Notari, portavoce del Comitato Internazionale della Croce Rossa, intervistata da Alessandro Gisotti:

 

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R. – Noi non siamo presenti per essere arbitri della condotta delle ostilità. Siamo soprattutto presenti per aiutare i servizi medici iracheni, per aiutare a far fronte ai bisogni che esistono oggi in Iraq. In una situazione di conflitto armato, ricordiamo ai belligeranti le loro responsabilità, la legge internazionale umanitaria. Però, lo ripeto, non facciamo gli arbitri sul terreno.

 

D. – Quali sono, comunque, le situazioni più gravi che voi avete registrato?

 

R. – Certo, ad Hillah, quando eravamo all’ospedale due giorni fa, abbiamo visto che c’erano alcune centinaia di feriti, tra cui molti bambini, molte donne, molte persone anziane: persone ferite anche gravemente. E sappiamo che si trattava di ferite da esplosivi. Non sappiamo che tipo di esplosivi, non conosciamo le circostanze.

 

D. – In questa fase del conflitto, quali sono le principali difficoltà che la Croce Rossa sta incontrando?

 

R. – La difficoltà è quella di poter accedere anche alle città, come Najaf, Nassirya e Kerbala, che in questo momento sono isolate e delle quali non conosciamo bene la situazione, né i bisogni umanitari. Sarebbe urgente, in questo frangente, poter raggiungere anche le popolazioni di queste città.

 

D. – La Croce Rossa ha avuto recentemente la possibilità di visitare un primo gruppo di prigionieri di guerra iracheni. Qual è la loro condizione fisica?

 

R. – Da martedì scorso, abbiamo un team di 15 delegati che sta visitando questo campo, sotto le autorità della coalizione, dove ci sono più o meno 3 mila prigionieri iracheni. I nostri colleghi continueranno questa visita, finché avranno visto ciascuno dei prigionieri e avranno registrato la loro identità, oltre che proposto loro di scrivere dei messaggi alla sua famiglia e visitare tutte i servizi a disposizione di questi prigionieri.

 

D. -  Avete qualche notizia sui prigionieri di guerra anglo-americani?

 

R. – Sfortunatamente, a questo punto non ci è ancora stato possibile visitare prigionieri alleati, ma speriamo che sia possibile presto. Abbiamo sentito che alte autorità irachene hanno assicurato il rispetto la terza Convenzione di Ginevra, che comprende anche la visita del Comitato Internazionale della Croce Rossa ai prigionieri di guerra. Per il momento, tuttavia, non abbiamo ancora potuto fissare una data.

 

D. – Con l’arrivo delle truppe anglo-americane alle porte di Baghdad, cresce la paura che Saddam Hussein possa ricorrere, come per altro ha già fatto in passato, ad armi chimiche. La Croce Rossa è pronta ad affrontare questa terribile eventualità?

 

R. – Nessuno sarà pronto ad affrontare una tale emergenza. La sola cosa che possiamo fare, dunque, è esigere assolutamente che non vi sia utilizzazione di questo tipo di armi.

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Tra le organizzazioni internazionali bloccate ai confini dell’Iraq dalla mancanza di corridoi umanitari, vi è anche Save the Children, presente in 120 Paesi del mondo per la difesa e la promozione dei diritti dei bambini e attivo in Iraq dal ’91. Gli operatori di Save the children sono al momento in azione nel Kurdistan iracheno, in attesa di poter raggiungere le zone di guerra. Angelo Simonazzi, direttore della sezione italiana dell’organizzazione, lancia un appello per l’infanzia irachena, al microfono di Alessandro De Carolis:

 

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R. – Già prima della prima di questa nuova guerra, in Iraq c’era una grave emergenza umanitaria. Adesso, chiaramente, questa emergenza è peggiorata. Ricordiamo che quasi la metà della popolazione irachena ha meno di 14 anni e questa guerra, in un certo senso, è davvero una guerra contro i bambini. Pensiamo che più della metà dei bambini avrà, alla fine, dei problemi di malnutrizione.

 

D. – Il rischio che voi paventate è che la guerra del Golfo potrebbe provocare circa un milione di sfollati...

 

R. – Sì, è quanto noi riteniamo possa accadere. Per adesso, comunque, questo problema non si è avverato, almeno per quanto riguarda i rifugiati. Ma bisogna distinguere: quando parliamo di sfollati, si tratta di sfollati interni. In questo caso, chiaramente è difficile capire la situazione, perché le agenzie umanitarie come la nostra non possono ancora entrare nelle zone di guerra e anzi, stiamo “combattendo”, se così si può dire, con i governi di Stati Uniti e Gran Bretagna per ottenere l’apertura dei corridoi umanitari. Questo è molto importante: ora la situazione è molto critica giacché non possiamo arrivare alla popolazione e soprattutto ai bambini che ne hanno bisogno.

 

D. – Avete costituito una sorta di coordinamento tra le varie agenzie umanitarie che hanno intenzione di intervenire in Iraq?

 

R. – Sì, abbiamo costituito questo coordinamento con delle basi nei Paesi limitrofi - soprattutto Kuwait, Siria, Giordania, Turchia e Iran. Dunque, siamo preparati ad intervenire. La sola questione, adesso, è quella di avere questi corridoi umanitari per potere intervenire anche all’interno delle zone di guerra.

 

D. – Si era parlato,qualche giorno fa dell’apertura di un corridoio umanitario a sud, a partire dal porto iracheno di Umm Kasr: da lì sono transitati gli aiuti di quale agenzia?

 

R. – Di nessuna. Sono stati aiuti distribuiti dai militari inglesi e si tratta, per l’appunto, di aiuti militari. E ciò è quello che crea molta confusione, molta preoccupazione anche per noi, perché abbiamo sempre detto che ci deve essere una distinzione molto importante tra l’aiuto umanitario e l’azione militare.

 

D. – Voi avete lanciato un appello molto preciso per coprire il fabbisogno umanitario di questa crisi?

 

R. – Abbiamo lanciato un appello per 10 milioni di euro, soprattutto per i bambini iracheni: appello che chiaramente spazia da bisogni medici, al cibo, al ripristino di scuole, di cliniche ed altro.

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Nonostante gli auspici di una guerra lampo o di interventi cosiddetti “chirurgici”, che ovviassero a drammatici risvolti umanitari, siamo di fronte a una guerra straziante come tante. Le sofferenze, nonostante le novità tecnologiche, sono le sofferenze di sempre che l’uomo, a livello concettuale, ha imparato a rifiutare anche se nella realtà dei fatti non riesce ad evitare i conflitti. L’immaginario letterario, che raccoglie il cammino culturale dell’uomo e in qualche modo si proietta con le sue intuizioni nel futuro, in che modo fa i conti con quanto sta succedendo?  Ascoltiamo il critico e saggista Giuseppe Leonelli, docente di letteratura italiana all’Università RomaTre, intervistato da Fausta Speranza:

 

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R. – Il concetto stesso di letteratura - l’idea che la letteratura stia quindi dappertutto - non è mai unilaterale, attinge sempre le sue radici dal profondo. Percorre, per dire così, tutte le strade e naturalmente tutte le semplificazioni di fronte ad un fatto letterario, degno di questo nome, cadono. Il termine di “guerra santa” per la letteratura non ha senso. Anzi, c’è un tema della guerra, nella letteratura, che è stato irriso - se non deriso, direi - almeno a partire dalla prima guerra mondiale, in cui guerra significa solo una cosa: violenza. E potere è un sinonimo di violenza. Quindi guerra e potere, in un certo senso, sono molto vicini per la letteratura.

 

D. – Le viene in mente in questi giorni, più spesso, un verso di poesia o una parola comunque letteraria?

 

R. – Sì, un verso celeberrimo del Petrarca: “Io vo’ gridando pace, pace, pace”. Valeva per l’Italia dilaniata dei tempi del Petrarca e vale per tutto il mondo, sempre. C’è anche una bellissima poesia di Sereni: “Europa, Europa che mi guardi mentre vado tra le schiere dei bruti”. Un uomo, il Sereni, che non ha nemico se non la propria tristezza.

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“DIO E L’EUROPA”: E’ IL TEMA DI UN SEMINARIO IN CORSO OGGI A BRUXELLES,

PROMOSSO DA UN GRUPPO DI EURODEPUTATI CRISTIANI.

L’INIZIATIVA COINCIDE CON L’APERTURA

DELLA NUOVA SESSIONE PER LA CONVENZIONE EUROPEA

- Servizio di Riccardo Cascioli -

 

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Riconoscere le radici cristiane è la condizione necessaria perché l’Europa unita sia luogo di libertà per ogni uomo. E’ questa la convinzione che emerge dal Seminario “Dio e l’Europa”, organizzato al Parlamento europeo da undici eurodeputati cattolici, in collaborazione con la Convenzione dei Cristiani per l’Europa, il cui vice presidente Giorgio Salina ha sottolineato come le istituzioni politiche siano tenute a riconoscere e salvaguardare i diritti connaturali all’uomo, il primo dei quali è la libertà religiosa.

 

Il Seminario, che si svolge in coincidenza dell’apertura della nuova sessione della Convenzione per il futuro dell’Europa, presieduta da Valéry Giscard d’Estaing, vede riuniti all’Europarlamento politici, giuristi, storici e accademici dei diversi Paesi europei, inclusi i candidati all’ingresso nell’Unione, “preoccupati del cambiamento antropologico e culturale – sono parole dell’eurodeputato Francesco Fiori – che sta avvenendo in Europa e che trova nell’attacco alla famiglia la traduzione politica più immediata”. “E del resto – ha sottolineato Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale e consulente dei Cristiani per l’Europa – disconoscere le radici religiose non è un atto di neutralità, ma una scelta politica che si risolve con il restringimento delle libertà personali e sociali”.

 

Al Seminario “Dio e l’Europa” è giunto anche un messaggio del Papa che in un telegramma inviato al nunzio apostolico, mons. Faustino Sainz Muñoz, esprime soddisfazione per questa iniziativa che permette di meglio comprendere il valore delle eredità religiose, specialmente del patrimonio cristiano, che impregnano la cultura e le istituzioni del continente. Il Papa sostiene inoltre le richieste che la Convenzione dei Cristiani per l’Europa ha già presentato ai membri della Costituente europea e cioè il riconoscimento della dimensione sociale della libertà religiosa, il rispetto dell’identità e dello statuto giuridico di cui già godono le Chiese e le comunità religiose nelle legislazioni nazionali, e l’opportunità di un dialogo strutturato tra l’Unione e le confessioni religiose.

 

Da Bruxelles, per la Radio Vaticana, Riccardo Cascioli.

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SI E’ SPENTO UN UOMO CHE HA SPESO LA VITA PER LENIRE IL DOLORE DEI FRATELLI:

COSI’ GIOVANNI PAOLO II HA RICORDATO LA FIGURA DEL MEDICO CARLO URBANI,

PRIMO AD AVER ISOLATO IL TERRIBILE VIRUS DELLA SARS.

IERI, I FUNERALI A CASTEPLANIO, IN PROVINCIA DI ANCONA:

CON NOI, IL VESCOVO DI JESI, MONS. OSCAR SERFILIPPI

- A cura di Stefano Cavallo -

 

Ieri pomeriggio a Castelplanio in provincia di Ancona i funerali di Carlo Urbani, il medico e infettivologo che per primo ha isolato il virus della Sars, in Vietnam, poi colpito senza possibilità di guarire dalla malattia polmonare. Si è spento sabato scorso a Bangkok, in Thailandia, dopo una vita trascorsa al servizio della ricerca sulle infezioni nei Paesi più poveri: Vietnam, Laos, Cambogia. Prima con Medici senza frontiere, di cui è stato anche presidente, e poi con l’Organizzazione mondiale della sanità. Urbani aveva rinunciato, tra l’altro, anche al posto di primario nell’ospedale di Macerata. Nell’esprimere il suo cordoglio in un telegramma, il Papa parla di lui come di “uno stimato medico che ha speso la vita per lenire i dolori dei fratelli” più bisognosi. Tra i presenti alla funzione, i camici bianchi coi quali aveva creato ad Ancona il primo Centro per malati di Aids e i volontari delle missioni africane; David Heymann e Guenae Rodier, membri dell’unità di crisi sulla polmonite atipica dell’Organizzazione mondiale della sanità, ed il ministro italiano della Slute Girolamo Sirchia. “Urbani – ha spiegato il ministro – ha svolto un enorme lavoro per scovare il vaccino anti-Sars: dobbiamo tutti essergliene riconoscenti. Ha creato le condizioni per svelare le ragioni della patologia e alla fine è riuscito a identificare la malattia pur sapendo i rischi cui andava incontro”. Quello sulla polmonite atipica doveva essere un progetto isolato contro il dilagare della Sars, ma da oggi verrà utilizzato come importante punto di riferimento metodologico. Nel corso dei funerali il vescovo di Jesi, mons. Oscar Serfilippi, ha ricordato di Urbani il carattere forte e l'ingegnoso pragmatismo da “bravo ragazzo di paese”, abituato ad “adoperarsi per due famiglie: la sua e il mondo”. Il presule ha ricordato il medico italiano al microfono di Debora Donnini.

 

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R. – La parola giusta è che era un missionario della sanità, un santo. Il Signore aveva regalato a Carlo tanti talenti, che lui ha coltivato con umiltà ma con molta tenacia e ha messi fin dalla giovinezza al servizio dei fratelli. Ha organizzato una solidarietà per i portatori di handicap, creando ogni estate degli incontri proprio per loro; la sua vocazione particolare di virologo l’ha vissuta sempre sul campo: voleva stare vicino agli ammalati ...

 

D. – Quanto ha pesato la fede nelle scelte di vita di Carlo Urbani?

 

R. – Moltissimo. Era con i missionari saveriani. Anche in Africa ha fatto delle micro: ovunque andava, sempre con questo stile del ‘missionario’ per la gente.

 

D. – Cosa lascia a noi la figura di Carlo Urbani?

 

R. – In questo momento delicato, che l’umanità attraversa anche per questa guerra nell’Iraq - così pubblicizzata dai mass media - in cui c’è anche tanta retorica in giro, la verità di una persona che ha parlato poco ma ha fatto tutto, ha donato sé stesso come Cristo, come i martiri, per il bene dell’umanità.

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CHIESA E SOCIETA’

3 aprile 2003

 

 

SI È CONCLUSA IERI LA 26.MA ASSEMBLEA PLENARIA DELL’EPISCOPATO CROATO.

AL CENTRO DEI LAVORI, LA PROSSIMA VISITA DEL PAPA,

PREVISTA TRA IL 5 E IL 9 GIUGNO,

E LA FORMAZIONE ED IL RUOLO DEI LAICI NELLA PASTORALE

- A cura di Aldo Sinkovic -

 

ZAGABRIA. = La prossima visita di Giovanni Paolo II in Croazia, tra il 5 e il 9 giugno, sarà concentrata sul tema “La famiglia: cammino della Chiesa e del popolo”. Lo hanno dichiarato i vescovi croati riuniti a Zagabria, nella loro 26.ma assemblea plenaria che si è aperta il 30 marzo e si è conclusa ieri. I vescovi, che stanno preparando una lettera pastorale sul significato di questa terza visita di Giovani Paolo II nel loro Paese, considerano il viaggio un avvenimento storico e ricco di grazia. In tutte le diocesi che il Papa visiterà già si intensificano i preparativi a livello organizzativo e spirituale. “Il tempo e la situazione nella quale avviene questo viaggio – ha dichiarato il vescovo di Dubrovnik, mons. Zelimir Puljic – sono pieni di significato”. Nella sua diocesi infatti sarà beatificata suor Maria di Gesù Petkovic, fondatrice della Congregazione delle “Figlie della Misericordia”, oggi operanti in diversi Paesi dell’Europa e dell’America Latina. I vescovi si sono occupati pure del problema della formazione dei laici nel campo dell’insegnamento della religione nelle scuole. Negli ultimi tempi il loro numero cresce, ma secondo il vescovo di Rijeka, mons. Ivan Devcic, la Chiesa croata necessita di almeno altri 450 laici diplomati: il loro ruolo pastorale sta diventando sempre più importante. Bisogna però, secondo mons. Devcic, definire ed elaborare il profilo del servizio laico nella Chiesa e nella società croata. Perciò la formazione professionale deve essere accompagnata dalla formazione spirituale perché l’impegno pastorale richiede non soltanto la preparazione scientifica, ma anche la vocazione.

 
 

SITUAZIONE DIFFICILE AD HAITI: SI ESPANDE LA VIOLENZA.

LE CIFRE DELL’ULTIMO RAPPORTO DELLA CONFERENZA EPISCOPALE

 PARLANO DI AUMENTO DELLA CIRCOLAZIONE DELLE ARMI E DEGLI ATTI DI VIOLENZA

 

HAITI. = Nell’ultimo rapporto della Commissione nazionale giustizia e pace della Conferenza episcopale di Haiti si fa un lungo e dettagliato elenco dei crimini che si compiono nell’isola. Si legge nel documento stilato dai vescovi: “Constatiamo che la solidarietà tra la gente si sta sfaldando”. I presuli si dicono “inquieti per la leggerezza con la quale alcuni gestiscono la vita di altri”. In diverse zone della capitale, Port-au-Prince, avvengono dei veri e propri “conflitti armati”: negli ultimi 4 mesi 117 sono stati i morti. “In alcuni quartieri, sembrerebbe che qualcuno si erga a giudice, in qualche caso anche uomini delle forze dell’ordine”, aggiungono i vescovi. Si registra una vasta circolazione di armi. “Non si deve sottovalutare il clima di paura che costringe al silenzio la popolazione. Qualche volta le uccisioni hanno luogo in pieno giorno, si trovano cadaveri in strada e la gente dei dintorni afferma di non sapere di chi si tratti”. Capita anche che qualcuno ‘sparisca’ e se ne ritrovi il corpo lontano da casa. Numerosi sono i feriti da proiettili vaganti come passanti o bambini che escono da scuola. La Commissione ribadisce fatti già denunciati in passato e in particolare: “i modi in cui il potere (o gruppi che si dichiarano vicini al potere) perseguita, minaccia, infligge gravi trattamenti e obbliga a nascondersi chi ha altre opinioni; la tolleranza che il potere mostra verso chi esercita pressioni e minacce; il modo in cui si impedisce alla popolazione di lamentarsi dell’alto costo della vita, creando un atmosfera di paura”. “Sì, le armi illegali devono sparire – concludono i vescovi – i criminali devono essere puniti, le autorità devono prendersi le loro responsabilità e costruire un clima di pace, di giustizia e di rispetto per la vita di ciascuno. […] Non si tratta di un favore alla popolazione ma di un dovere”. (S.C.)

 
 

CRESCE LA PREOCCUPAZIONE DEI VESCOVI INDIANI PER LE LEGGI

APPROVATE DALLO STATO REGIONALE DEL GUJARAT:

A FEBBRAIO È STATO CONDOTTO UN CENSIMENTO SOLO SULLA POPOLAZIONE CRISTIANA;

A MARZO È STATA APPROVATA UNA LEGGE CHE OBBLIGA CHI DESIDERA CAMBIARE RELIGIONE

A CHIEDERE L’AUTORIZZAZIONE DELLE AUTORITÀ CIVILI

 

NUOVA DELHI. = Sta creando preoccupazione nell’episcopato cattolico indiano il “Documento sulla libertà di religione”, legge approvata il 26 marzo scorso dal governo dello Stato regionale del Gujarat, senza alcuna discussione nell’assemblea legislativa locale. Il provvedimento stabilisce che chiunque desideri cambiare religione debba chiedere una previa autorizzazione alle autorità civili. L’arcivescovo di Gandhinagar, mons. Stanislaus Fernandes, ha attribuito la responsabilità del documento al timore da parte  del Partito del Popolo Indiano, vincitore delle elezioni locali lo scorso dicembre e fautore di una politica nazionalista indù, che si verifichino conversioni operate con la forza o con mezzi fraudolenti. “La comunità cristiana - ha affermato con decisione lo stesso presule - non ha mai creato tensioni sociali, ma ha sempre diffuso un messaggio di fraternità, equità ed armonia, lavorando per lo sviluppo della popolazione di tutte le comunità. Le conversioni forzate sono totalmente ripudiate dalle nostre Chiese. Noi crediamo - ha aggiunto l’arcivescovo - che la conversione sia una grazia di Dio che non può essere soggetta allo scrutinio di un governo civile. Chiedere il permesso alle autorità civili per una conversione religiosa significa abdicare alla responsabilità personale di ogni individuo per la salvezza eterna della sua anima. In questo caso ogni uomo deve rispondere alla voce della sua anima e non a regole temporali”. Le dichiarazioni di mons. Fernandes seguono quelle della Conferenza dei vescovi cattolici dell’India (Cbci) riguardo il censimento che il nuovo governo del Gujarat aveva condotto in febbraio, tramite i funzionari della polizia sulle comunità, le famiglie e le istituzioni cristiane. Il presidente della Cbci, mons. Cyril Mar Baselios aveva lamentato l’opportunità dell’iniziativa, aggiuntasi al censimento nazionale della popolazione riguardante tutti i cittadini senza distinzione di religione, casta o razza. (M.A.)

 
 

L’ARCIVESCOVO DI VALENCIA PARLA DEI CONFLITTI DIMENTICATI DI TUTTO IL MONDO:

"I CRISTIANI NON POSSONO DIMENTICARE COLORO CHE SOFFRONO

A CAUSA DELLE GUERRE DIMENTICATE DALL' OPINIONE PUBBLICA DEI PAESI RICCHI"

 

VALENCIA. = L’arcivescovo di Valencia, mons. Agustín García-Gasco, nella sua lettera settimanale dal titolo "Non ucciderai: Dio parla chiaro" sostiene che "i cristiani non possono dimenticare chi soffre a causa della guerra in Iraq, e in tutte le guerre dimenticate dall'opinione pubblica dei paesi ricchi". "Con la scusa dell'attualità non possiamo non condannare le uccisioni di quella guerra senza tregua né trincee che è il terrorismo, che attenta alla dignità dell'uomo nel nostro Paese e in molte altre nazioni del mondo". Tra gli attentati alla vita umana, "il terrorismo è particolarmente crudele" rileva il presule. Ecco perché "non esistono casi eccezionali che possano legittimare il terrorismo, come mezzo di difesa di fronte ad un'ingiusta oppressione, sistematica e prolungata" in quanto il terrorismo "sparge sempre sangue innocente". Il presule richiama l'attenzione sul fatto che "talvolta gli intenti di giustificare il terrorismo possono essere più sottili, adducendo ragioni politiche" che però non dispensano mai da una responsabilità etica e morale. Inoltre "l'atteggiamento di fare silenzio dinanzi al terrorismo, di diminuire la sua gravità morale, non è ammissibile; come non lo è neppure la neutralità dinanzi ad esso". I cristiani e gli uomini di buona volontà "hanno il grave obbligo morale di esprimere non soltanto il rifiuto e la condanna del terrorismo, ma anche ogni forma di collaborazione o di giustificazione dello stesso". A conclusione della sua lettera, mons. Gasco spiega che "soltanto partendo dai principi del rispetto della vita si garantisce la pace".(S.C.)

 
 
SARA’ CONSACRATA DOMENICA PROSSIMA LA NUOVA CHIESA NEL VILLAGGIO ALBANESE DI GUREZ. 
DALL’INIZIO DEL COMUNISMO LA COMUNITÀ NON AVEVA PIÙ IL SUO TEMPIO
 
GUREZ. = Il villaggio albanese di Gurez, dopo gli anni della dittatura comunista e della critica transizione alla democrazia, riavrà sabato prossimo una chiesa in cui poter celebrare l’Eucaristia. L’avvenimento sarà festeggiato con una Santa Messa presieduta dall’arcivescovo di Durazzo – Tirana, mons. Rrok Mirdita. E’ la terza volta che si costruisce una chiesa in questo piccolo villaggio dell’Albania centrale: la prima fu distrutta dalla furia del fiume Mat, la seconda dalla dittatura comunista.  La chiesa, dedicata alla Madonna del Buon Consiglio, è stata edificata grazie all’impegno di una comunità di padri dehoniani italiani, che nel 1991 lasciarono Andria per trasferirsi in Albania. Il servizio dei religiosi all’interno della comunità albanese è rivolto soprattutto alla cura dei bisognosi ed all’evangelizzazione di un Paese che era stato dichiarato ufficialmente ateo. Durante la crisi in Kosovo i padri dehoniani misero a disposizione la chiesa di Gurez, allora ancora in costruzione, utilizzandola come deposito per i viveri e come luogo di accoglienza per i rifugiati. Oggi lo scenario e’ cambiato, ma l’Albania è sempre lontana da condizioni di vita accettabili a causa del dissesto della rete stradale, di un sistema sanitario adeguato e della mancanza della corrente elettrica. I padri fanno notare quali siano però i veri bisogni di questa società: riqualificare la classe politica e, soprattutto, rinnovare la coscienza morale del servizio al bene pubblico. Per questo i missionari stanno realizzando iniziative nel campo dell’istruzione e della formazione lavorativa. (M.A.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

3 aprile 2003

 

 

- A cura di Giada Aquilino -

 

Nuova recrudescenza delle violenze fra israeliani e palestinesi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Mentre a livello politico l'Autorità nazionale palestinese ha annunciato che il premier incaricato Abu Mazen sarà con ogni probabilità in grado di presentare il nuovo governo già la prossima settimana, sul terreno si registrano ancora violenti scontri. Il bilancio parla di almeno sei palestinesi uccisi dal fuoco dei militari israeliani, decine di feriti e decine di militanti catturati. Gli incidenti più gravi si sono verificati a Rafah. Il servizio di Graziano Motta:

 

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Nell’operazione odierna, condotta da reparti di fanteria del genio, appoggiati da una trentina di carri armati e da elicotteri, quattro case sono state demolite. C’è stata molta resistenza e negli scontri a fuoco quattro militanti palestinesi sono rimasti uccisi. C’è un numero alto ma imprecisato di civili feriti e non è confermata la morte di una donna di 34 anni. Altre violenze sono avvenute in Cisgiordania: a Kalkiliya, durante scontri tra soldati e palestinesi, un ragazzo di 14 anni è rimasto ucciso e un attivista di Hamas è morto nella città di Nablus. L’operazione militare israeliana più importante è in corso da ieri nell’area di Tulkarem, precisamente nel campo profughi della città dove proseguono perquisizioni e arresti di attivisti della rivolta. Circa mille uomini dai 14 ai 45 anni sono stati trasferiti in autobus in un altro campo distante pochi chilometri, con l’ordine di non tornare a casa per almeno tre giorni: il tempo che dovrebbero bastare al compimento dell’operazione.

 

Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.

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Tre moschee sono state attaccate nella notte a Davao, nel sud delle Filippine, dopo che ieri nella stessa città un'esplosione aveva causato 15 morti e una trentina di feriti a poche ore dall'arrivo in città della presidente Gloria Arroyo. Circa un mese fa, il 4 marzo, un attacco con bombe all’aeroporto di Davao aveva provocato 23 vittime. Per questi attentati il governo accusa il Fronte Moro, che da oltre 25 anni rivendica la creazione di uno stato islamico nel sud delle Filippine, Paese a maggioranza cattolica. Sui motivi di questa recrudescenza degli atti terroristici, Roberto Piermarini ha raggiunto a Manila padre Gianni Re, missionario del Pime:

 

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R. – Gli attentati giungono ora, perché in questi giorni stanno continuando i dialoghi tra governo e gruppi musulmani che lottano per l’indipendenza. Sembrava che si stesse per arrivare ad una specie di cessate il fuoco e ad un dialogo di pace, ma nel frattempo sono successi nuovi incidenti.

 

D. – Ma c’è un collegamento tra questi attentati e la guerra in Iraq?

 

R. – Non credo, perché è un problema locale che va avanti da anni.

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Tre colpi di mortaio sono stati esplosi la scorsa notte in direzione della base di Chapman, un avamposto di Enduring Freedom nell'Afghanistan sudorientale presidiato da soldati americani e da una cinquantina di alpini italiani. Gli ordigni sono finiti a circa 500 metri dal distaccamento militare e non ci sono stati né danni, né feriti. Intanto, proprio nelle ultime ore, c’è stata una violenta battaglia tra militari statunitensi e guerriglieri talebani sulle montagne nei dintorni di Spin Boldak, non lontano dai confini con il Pakistan.

 

L’Unione Serbia-Montenegro intende revocare lo Stato d’emergenza nel Paese “entro questo mese”. Lo ha annunciato oggi a Strasburgo il presidente del Parlamento serbo-montenegrino, Micunovic. Intervenendo al Consiglio d’Europa, in occasione dell’ingresso nell’organizzazione pan-europeea della Serbia-Montenegro come 45.mo Stato membro, Micunovic ha comunicato che sono cessate tutte le ragioni che avevano indotto Belgrado a dichiarare lo stato d’emergenza il 12 marzo scorso, subito dopo l’assassinio del premier Djindjic.

 

Importante vertice per la pacificazione del Sudan, ieri a Nairobi in Kenya. Nella residenza del presidente keniano, Mwai Kibaki, si sono incontrati Hassan el Bashir, capo di Stato sudanese, e John Garang, leader dei ribelli secessionisti. Ce ne parla Giulio Albanese:

 

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Le buone notizie sono sostanzialmente due: la ripresa entro la fine settimana dei colloqui tra il governo di Khartoum e i ribelli dell’Esercito di liberazione popolare del Sudan e l’impegno di un accordo finale entro giugno, per porre termine al conflitto. A conclusione del vertice di ieri è stato diramato un comunicato congiunto, nel quale viene riaffermato l’impegno ad onorare gli accordi raggiunti tra le parti, in particolare il protocollo per la cessazione delle ostilità e la consegna agevolata degli aiuti umanitari.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Scatta l'operazione africana di peacekeeping in Burundi, Paese sconvolto da 10 anni di guerra civile che hanno causato almeno 300.000 morti. Tremilacinquecento soldati provenienti da Etiopia, Mozambico e Sudafrica saranno schierati entro due mesi in Burundi. Lo ha annunciato l'Unione africana, precisando che l'operazione dovrebbe durare un anno. Al termine della missione, è previsto l'arrivo di un contingente di caschi blu dell'Onu.

 

 

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