RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 93 - Testo della
Trasmissione giovedì 3 aprile 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
La guerra in Iraq. Le
truppe alleate alle porte di Baghdad. Il dramma umanitario del conflitto: con noi, il nunzio Fernando Filoni, Antonella Notari, Angelo
Simonazzi e Giuseppe Leonelli.
CHIESA E
SOCIETA’:
Situazione difficile in
Haiti: si espande la violenza.
L’arcivescovo
di Valencia parla dei ‘conflitti dimenticati’ di tutto il mondo.
Medio Oriente: nuove
violenze fra israeliani e palestinesi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania.
Serie di attentati a
Davao nel sud delle Filippine: il governo accusa i ribelli del Fronte Moro.
L’Unione
Serbia-Montenegro entra nel Consiglio d’Europa come 45.mo Stato membro.
3 aprile 2003
Il Papa
ha ricevuto stamani cinque vescovi della Conferenza Episcopale di Scandinavia,
in visita “ad Limina”. Sono il vescovo di Reykjavik, in Islanda, Joannes
Baptist Matthijs Gijsen, e tre presuli della Norvegia: il vescovo di Oslo,
Gerhard Schwenzer, con il vescovo emerito John Willem Gran; il prelato di
Tromso, Gerhard Ludwig Goebel; e il prelato di Trondheim, Georg Mueller.
Il Santo Padre ha nominato quattro consultori della
Congregazione per la Dottrina della Fede. Sono il vescovo irlandese Brian
Farrel, segretario del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani; il
gesuita italiano padre Gianfranco Ghirlanda, decano della Facoltà di Diritto
Canonico della Pontificia Università Gregoriana; il prelato francese Jean
Laffitte, docente di Teologia morale presso il Pontificio Istituto Giovanni
Paolo II per studi su matrimonio e famiglia; e il prelato spagnolo Carlos José
Erràzuriz Mackenna, della prelatura dell’Opus Dei, docente di Diritto Canonico
presso la Pontificia Università della Santa Croce.
Il Pontefice ha inoltre nominato sei consultori della
Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo presso il Pontificio
Consiglio per l’unità dei cristiani. Sono il vescovo Giacinto Boulos Marcuzzo,
ausiliare di Gerusalemme dei Latini; il domenicano padre Georges Cottier,
teologo della Casa Pontificia; l’israeliano Elias Chacour, presidente di “Mar
Elias Educational Institutions” a Ibillin; il sacerdote Patrick Desbois,
dell’Istituto del Prado, segretario della Commissione episcopale francese per
l’ebraismo; la suora Lucy Thorson, delle Religiose di Nostra Signora di Sion; e
il tedesco Hans Hermann Henrisx, direttore dell’Accademia episcopale della
diocesi di Aquisgrana.
Giovanni Paolo II ha pure nominato consultore della
Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa il sacerdote italiano
Ivo Panteghini, del clero diocesano di Brescia.
Negli Stati Uniti d’America, il Papa ha nominato ausiliare
della diocesi di Rockville Centre il sacerdote Paul Henry Walsh, di 65 anni,
attuale parroco della “Saint Patrick Parish” in Smithtown, elevandolo alla
dignità vescovile.
UN MOMENTO
DI PREGHIERA E DI MUSICA PER LA PACE CON IL PAPA:
OLTRE
50.000 GIOVANI ATTESI IN PIAZZA SAN PIETRO GIOVEDI’ POMERIGGIO
IN VISTA DELLA GIORNATA MONDIALE DELLA
GIOVENTÙ 2003
CHE SI
CELEBRA LA DOMENICA DELLE PALME
- Con
noi mons. Mauro Parmeggiani -
“In
questo tempo minacciato dalla violenza, dall’odio e dalla guerra, testimoniate
che Gesù è il solo che possa donare la vera pace al cuore dell’uomo”. Questa la
consegna che il Papa dà ai giovani nel messaggio per la Giornata mondiale della
Gioventù che quest’anno si celebra nelle varie diocesi la prossima Domenica
delle Palme. Nell’imminenza di questo appuntamento, giovedì prossimo i giovani
, oltre 50.000. si incontreranno con il Papa in piazza San Pietro. Saranno
giovani di Roma e Lazio, con delegazioni provenienti da tutto il mondo. Era
stato lo stesso Giovanni Paolo II a rivolgere loro l’invito, il 15 marzo
scorso, in occasione della prima Giornata europea degli universitari. “Sarà
un’occasione di preghiera e di festa, aveva detto.
Questo
avvenimento sarà trasmesso in diretta da Rai Uno a partire dalle ore 17,15.
Questa mattina nella sede della Rai, ha avuto luogo la presentazione alla
stampa. Sono stati illustrati i momenti salienti dell’incontro che ha il titolo
stesso del messaggio del Papa questa giornata mondiale dei giovani 2003: “Ecco
la tua madre”. La prima parte più festosa, avrà toni contenuti, è stato
sottolineato, per il momento particolare che stiamo vivendo a causa del
conflitto in Iraq. Questo primo atto dell’incontro prevede l’intervento di
cantanti come Niccolò Fabi e i Nomadi, danze con Carla Fracci e le sue allieve,
letture di brani letterari mariani con Paola Pitagora. Non mancheranno le
testimonianze, ma diamo la parola direttamente mons. Mauro Parmeggiani,
direttore del Servizio diocesano della Pastorale giovani:
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R. – Le mamme e i giovani, che hanno fatto l’esperienza
del ruolo importante della mamma nella loro vita, ci aiuteranno, con dei
riflessi umani, a capire la grandezza della maternità spirituale della Madonna.
Seguirà l’incontro con il Papa, l’ingresso della Croce delle Giornate della
gioventù, che viene da Toronto, la parola del Papa e l’affidamento dei giovani alla
protezione della Vergine, all’alba di questo secolo e di questo millenni ancora
travagliato dal terrorismo, dalla guerra, da quelli che sono i frutti del
peccato. Il terzo momento: la consegna da parte del Papa a tutti i giovani del
Rosario, preghiera a cui il Papa ha affidato le sorti della pace e della
famiglia.
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Giovedì
prossimo in Piazza San Pietro ci saranno anche 230 responsabili della pastorale
giovanile provenienti da 80 Paesi, di 50 movimenti, associazioni e comunità
ecclesiali, insieme ad alcuni cardinali e vescovi. I delegati sono convenuti a
Roma per un Convegno internazionale sulle Giornate mondiali della gioventù, in
preparazione del prossimo appuntamento mondiale con il Papa del 2005 a Colonia.
Appuntamento dunque a giovedì prossimo, 10 aprile, alle ore 17,15 da Piazza San Pietro.
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“Si stringe il cerchio intorno a Baghdad” è il titolo
della prima pagina: quindicesimo giorno del conflitto.
Centinaia di morti in scontri per la conquista di un
ponte. Abbattuti velivoli alleati.
Sempre in prima, “Madonna dell’Arco: i domenicani
rilanciano la preghiera mariana” è il titolo del pensiero dedicato all’Anno del
Rosario.
Nelle vaticane, messaggio della presidenza della
Conferenza Episcopale della Colombia in occasione della Quaresima.
Una pagina dedicata alle iniziative per la pace promosse
nelle diocesi italiane.
Una pagina con le Lettere pastorali dei vescovi italiani.
Nelle pagine estere, il rischio della malnutrizione
minaccia numerose famiglie nel Nord dell’Iraq.
Colin Powell a Bruxelles per colloqui riguardo alla
ricostruzione dell’Iraq.
Il testo dell’intervento della Santa Sede alla Commissione
delle Nazioni Unite per il disarmo: “Recuperare il valore del multilateralismo
nel campo del diaspro internazionale”.
Medio Oriente: brusca e cruenta intensificazione delle
operazioni israeliane.
Nella pagina culturale, un approfondito contributo di
Franco Patrono sulla mostra “Shakespeare nell’arte”, allestita nel Palazzo dei
Diamanti di Ferrara.
Nelle pagine italiane, in primo piano la situazione
politica: oggi, in Parlamento, le mozioni sugli aiuti umanitari per l’Iraq.
In rilievo, il tema del terrorismo.
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3 aprile 2003
LE TRUPPE ALLEATE SI ATTESTANO A 10 KM DA BAGHDAD,
DOPO
FURIOSI COMBATTIMENTI CONTRO L’ESERCITO IRACHENO.
NUOVA
STRAGE DI CIVILI IN UN MERCATO DELLA CAPITALE, COLPITO DA UN MISSILE.
LE
AGENZIE INTERNAZIONALI COSTRETTE A DISERTARE LE ZONE DI GUERRA
PER LA
MANCANZA DI CORRIDOI UMANITARI
- A
cura di Alessandro De Carolis -
Al suo quindicesimo giorno, l’offensiva angloamericana in
Iraq, che ha ormai bloccato gli accessi meridionali alla città di Baghdad,
porta in primo piano un’altra tragica notizia riguardante i civili iracheni. Secondo
fonti ospedaliere della capitale, riferite dall’agenzia France Press, un
missile sarebbe caduto in un mercato a sud-est di Baghdad, provocando otto
morti e cinque feriti. Dal canto suo,
durante il briefing quotidiano, il ministro dell'Informazione iracheno, Mohammad
Said al Sahaf, ha parlato oggi di 27 persone uccise dai bombardamenti, tra cui
14 morti in un sobborgo di Baghdad provocati dall’esplosione di bombe a
frammentazione. Anche dal punto di
vista militare, l’avanzata registra un bollettino di guerra che va facendosi
via via più sanguinoso. Quello più tragico, fornito stamani da un responsabile
dei servizi di informazione dell’esercito statunitense, riferisce di 500
soldati iracheni uccisi in combattimento a una trentina di Km. a sud di Baghdad,
mentre tentavano di riprendere il controllo di un ponte sull’Eufrate. Ma anche
gli angloamericani lamentano perdite. Nella notte, un elicottero “Black Hawk” è
stato abbattuto nella notte nei pressi di Karbala e sette dei quattro militari
a bordo hanno perso la vita. Anche un caccia FA-18 Hornet sarebbe stato
abbattuto da un missile iracheno.
Dal Centcom, il Comando centrale
alleato in Qatar, giunge notizia della distruzione della Divisione Medina della
Guardia Repubblicana, la seconda - a detta degli angloamericani - ad essere
stata messa ieri fuori gioco nella marcia di avvicinamento a Baghdad. Ma i
combattimenti di terra, come visto, non hanno rallentato in alcun modo i
bombardamenti dall’alto sui centri del potere iracheno. Dalla capitale,
ascoltiamo il nunzio apostolico Fernando Filoni, raggiunto telefonicamente da
Alessandro Guarasci:
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R. - A parte i
bombardamenti - che certamente sono molto forti e che quindi spaventano la
gente, spaventano i bambini - la popolazione vive in uno stato di continua
attesa. Poiché le comunicazioni telefoniche non esistono più, ovviamente le
notizie passano di bocca in bocca e quindi creano quella specie di aspettativa
per conoscere effettivamente quale sarà il futuro.
D. - La gente in questi giorni,
da quanto ci è stato detto anche dalla Caritas, si è rifugiata spesso nelle
chiese per paura dei bombardamenti. E’ così?
R. - Certamente, alcune centinaia di persone, sia
cristiane sia musulmane, hanno trovato rifugio lì.
D. - A Bassora sappiamo che c’è mancanza di acqua e di
cibo. Queste condizioni a Baghdad non si verificano?
R. - L’acqua non è stata mai tolta. L’elettricità è stata
tolta a volte per riparazioni, a causa dei bombardamenti, però di fatto noi
abbiamo ancora elettricità.
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Dal campo di battaglia ai tavoli della diplomazia, la
guerra in Iraq è da stamani al centro del vertice Nato iniziato circa due ore
fa a Bruxelles. Assieme ai ministri degli Esteri dei Paesi del Patto atlantico,
vi è il segretario di Stato americano, Colin Powell, che prenderà parte ad un
pranzo di lavoro con i capi della diplomazia dei 15 paesi dell'Unione Europea.
Parliamo ora dell’emergenza,
progressivamente sempre più grave, in cui versa la popolazione dell’Iraq. “Il
diritto di scegliere i metodi di guerra non è illimitato. Le armi i cui effetti
sono indiscriminati o che causano sofferenze inutili sono vietate”. Così, il 20
marzo scorso, a poche ore dall’inizio della seconda Guerra del Golfo, il
presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa, Jakob Kellenberger,
lanciava un appello solenne alle forze belligeranti, perché s’impegnassero al
rispetto del diritto umanitario. In queste due settimane di conflitto, gli
operatori della storica organizzazione umanitaria si sono prodigati, con
coraggio e abnegazione, per assistere la popolazione irachena. Un impegno portato
avanti all’insegna dell’imparzialità, come tiene a sottolineare Antonella Notari,
portavoce del Comitato Internazionale della Croce Rossa, intervistata da Alessandro
Gisotti:
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R. – Noi non siamo presenti per essere arbitri della
condotta delle ostilità. Siamo soprattutto presenti per aiutare i servizi
medici iracheni, per aiutare a far fronte ai bisogni che esistono oggi in Iraq.
In una situazione di conflitto armato, ricordiamo ai belligeranti le loro
responsabilità, la legge internazionale umanitaria. Però, lo ripeto, non
facciamo gli arbitri sul terreno.
D. – Quali sono, comunque, le situazioni più gravi che voi
avete registrato?
R. – Certo, ad Hillah, quando eravamo all’ospedale due
giorni fa, abbiamo visto che c’erano alcune centinaia di feriti, tra cui molti
bambini, molte donne, molte persone anziane: persone ferite anche gravemente. E
sappiamo che si trattava di ferite da esplosivi. Non sappiamo che tipo di
esplosivi, non conosciamo le circostanze.
D. – In questa fase del conflitto, quali sono le
principali difficoltà che la Croce Rossa sta incontrando?
R. – La difficoltà è quella di poter accedere anche alle
città, come Najaf, Nassirya e Kerbala, che in questo momento sono isolate e
delle quali non conosciamo bene la situazione, né i bisogni umanitari. Sarebbe
urgente, in questo frangente, poter raggiungere anche le popolazioni di queste
città.
D. – La Croce Rossa ha avuto recentemente la possibilità
di visitare un primo gruppo di prigionieri di guerra iracheni. Qual è la loro
condizione fisica?
R. – Da martedì scorso, abbiamo un team di 15 delegati che
sta visitando questo campo, sotto le autorità della coalizione, dove ci sono
più o meno 3 mila prigionieri iracheni. I nostri colleghi continueranno questa
visita, finché avranno visto ciascuno dei prigionieri e avranno registrato la
loro identità, oltre che proposto loro di scrivere dei messaggi alla sua
famiglia e visitare tutte i servizi a disposizione di questi prigionieri.
D. - Avete qualche
notizia sui prigionieri di guerra anglo-americani?
R. – Sfortunatamente, a questo punto non ci è ancora stato
possibile visitare prigionieri alleati, ma speriamo che sia possibile presto.
Abbiamo sentito che alte autorità irachene hanno assicurato il rispetto la
terza Convenzione di Ginevra, che comprende anche la visita del Comitato
Internazionale della Croce Rossa ai prigionieri di guerra. Per il momento,
tuttavia, non abbiamo ancora potuto fissare una data.
D. – Con l’arrivo delle truppe anglo-americane alle porte
di Baghdad, cresce la paura che Saddam Hussein possa ricorrere, come per altro
ha già fatto in passato, ad armi chimiche. La Croce Rossa è pronta ad
affrontare questa terribile eventualità?
R. – Nessuno sarà pronto ad affrontare una tale emergenza. La sola cosa
che possiamo fare, dunque, è esigere assolutamente che non vi sia utilizzazione
di questo tipo di armi.
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Tra le organizzazioni
internazionali bloccate ai confini dell’Iraq dalla mancanza di corridoi umanitari,
vi è anche Save the Children, presente in 120 Paesi del mondo per la
difesa e la promozione dei diritti dei bambini e attivo in Iraq dal ’91. Gli
operatori di Save the children sono al momento in azione nel Kurdistan
iracheno, in attesa di poter raggiungere le zone di guerra. Angelo Simonazzi, direttore
della sezione italiana dell’organizzazione, lancia un appello per l’infanzia
irachena, al microfono di Alessandro De Carolis:
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R. – Già prima della prima di questa nuova guerra, in Iraq c’era una
grave emergenza umanitaria. Adesso, chiaramente, questa emergenza è peggiorata.
Ricordiamo che quasi la metà della popolazione irachena ha meno di 14 anni e
questa guerra, in un certo senso, è davvero una guerra contro i bambini. Pensiamo
che più della metà dei bambini avrà, alla fine, dei problemi di malnutrizione.
D. – Il rischio che voi paventate è che la guerra del Golfo potrebbe
provocare circa un milione di sfollati...
R. – Sì, è quanto noi riteniamo possa accadere. Per adesso, comunque,
questo problema non si è avverato, almeno per quanto riguarda i rifugiati. Ma
bisogna distinguere: quando parliamo di sfollati, si tratta di sfollati
interni. In questo caso, chiaramente è difficile capire la situazione, perché
le agenzie umanitarie come la nostra non possono ancora entrare nelle zone di
guerra e anzi, stiamo “combattendo”, se così si può dire, con i governi di
Stati Uniti e Gran Bretagna per ottenere l’apertura dei corridoi umanitari.
Questo è molto importante: ora la situazione è molto critica giacché non
possiamo arrivare alla popolazione e soprattutto ai bambini che ne hanno
bisogno.
D. – Avete costituito una sorta di coordinamento tra le varie agenzie
umanitarie che hanno intenzione di intervenire in Iraq?
R. – Sì, abbiamo costituito questo coordinamento con delle basi nei
Paesi limitrofi - soprattutto Kuwait, Siria, Giordania, Turchia e Iran. Dunque,
siamo preparati ad intervenire. La sola questione, adesso, è quella di avere
questi corridoi umanitari per potere intervenire anche all’interno delle zone
di guerra.
D. – Si era parlato,qualche giorno fa dell’apertura di un corridoio
umanitario a sud, a partire dal porto iracheno di Umm Kasr: da lì sono
transitati gli aiuti di quale agenzia?
R. – Di nessuna. Sono stati aiuti distribuiti dai militari
inglesi e si tratta, per l’appunto, di aiuti militari. E ciò è quello che crea
molta confusione, molta preoccupazione anche per noi, perché abbiamo sempre
detto che ci deve essere una distinzione molto importante tra l’aiuto
umanitario e l’azione militare.
D. – Voi avete lanciato un appello molto preciso per
coprire il fabbisogno umanitario di questa crisi?
R. – Abbiamo lanciato un appello per 10 milioni di euro, soprattutto
per i bambini iracheni: appello che chiaramente spazia da bisogni medici, al
cibo, al ripristino di scuole, di cliniche ed altro.
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Nonostante gli auspici di una guerra lampo o di interventi
cosiddetti “chirurgici”, che ovviassero a drammatici risvolti umanitari, siamo
di fronte a una guerra straziante come tante. Le sofferenze, nonostante le
novità tecnologiche, sono le sofferenze di sempre che l’uomo, a livello
concettuale, ha imparato a rifiutare anche se nella realtà dei fatti non riesce
ad evitare i conflitti. L’immaginario letterario, che raccoglie il cammino culturale
dell’uomo e in qualche modo si proietta con le sue intuizioni nel futuro, in
che modo fa i conti con quanto sta succedendo?
Ascoltiamo il critico e saggista Giuseppe Leonelli, docente di
letteratura italiana all’Università RomaTre, intervistato da Fausta Speranza:
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R. – Il concetto stesso di letteratura - l’idea che la
letteratura stia quindi dappertutto - non è mai unilaterale, attinge sempre le
sue radici dal profondo. Percorre, per dire così, tutte le strade e
naturalmente tutte le semplificazioni di fronte ad un fatto letterario, degno
di questo nome, cadono. Il termine di “guerra santa” per la letteratura non ha
senso. Anzi, c’è un tema della guerra, nella letteratura, che è stato irriso -
se non deriso, direi - almeno a partire dalla prima guerra mondiale, in cui
guerra significa solo una cosa: violenza. E potere è un sinonimo di violenza.
Quindi guerra e potere, in un certo senso, sono molto vicini per la
letteratura.
D. – Le viene in mente in questi giorni, più spesso, un
verso di poesia o una parola comunque letteraria?
R. – Sì, un verso celeberrimo del Petrarca: “Io vo’
gridando pace, pace, pace”. Valeva per l’Italia dilaniata dei tempi del
Petrarca e vale per tutto il mondo, sempre. C’è anche una bellissima poesia di
Sereni: “Europa, Europa che mi guardi mentre vado tra le schiere dei bruti”. Un
uomo, il Sereni, che non ha nemico se non la propria tristezza.
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“DIO E L’EUROPA”: E’ IL TEMA DI UN
SEMINARIO IN CORSO OGGI A BRUXELLES,
PROMOSSO
DA UN GRUPPO DI EURODEPUTATI CRISTIANI.
L’INIZIATIVA
COINCIDE CON L’APERTURA
DELLA
NUOVA SESSIONE PER LA CONVENZIONE EUROPEA
-
Servizio di Riccardo Cascioli -
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Riconoscere le radici cristiane è la condizione necessaria
perché l’Europa unita sia luogo di libertà per ogni uomo. E’ questa la
convinzione che emerge dal Seminario “Dio e l’Europa”, organizzato al
Parlamento europeo da undici eurodeputati cattolici, in collaborazione con la
Convenzione dei Cristiani per l’Europa, il cui vice presidente Giorgio Salina
ha sottolineato come le istituzioni politiche siano tenute a riconoscere e
salvaguardare i diritti connaturali all’uomo, il primo dei quali è la libertà
religiosa.
Il Seminario, che si svolge in coincidenza dell’apertura
della nuova sessione della Convenzione per il futuro dell’Europa, presieduta da
Valéry Giscard d’Estaing, vede riuniti all’Europarlamento politici, giuristi,
storici e accademici dei diversi Paesi europei, inclusi i candidati
all’ingresso nell’Unione, “preoccupati del cambiamento antropologico e
culturale – sono parole dell’eurodeputato Francesco Fiori – che sta avvenendo
in Europa e che trova nell’attacco alla famiglia la traduzione politica più
immediata”. “E del resto – ha sottolineato Cesare Mirabelli, presidente emerito
della Corte Costituzionale e consulente dei Cristiani per l’Europa –
disconoscere le radici religiose non è un atto di neutralità, ma una scelta
politica che si risolve con il restringimento delle libertà personali e
sociali”.
Al Seminario “Dio e l’Europa” è giunto anche un messaggio
del Papa che in un telegramma inviato al nunzio apostolico, mons. Faustino
Sainz Muñoz, esprime soddisfazione per questa iniziativa che permette di meglio
comprendere il valore delle eredità religiose, specialmente del patrimonio
cristiano, che impregnano la cultura e le istituzioni del continente. Il Papa
sostiene inoltre le richieste che la Convenzione dei Cristiani per l’Europa ha
già presentato ai membri della Costituente europea e cioè il riconoscimento
della dimensione sociale della libertà religiosa, il rispetto dell’identità e
dello statuto giuridico di cui già godono le Chiese e le comunità religiose
nelle legislazioni nazionali, e l’opportunità di un dialogo strutturato tra
l’Unione e le confessioni religiose.
Da Bruxelles, per la Radio Vaticana, Riccardo Cascioli.
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SI E’ SPENTO UN UOMO CHE HA SPESO LA VITA PER LENIRE
IL DOLORE DEI FRATELLI:
COSI’
GIOVANNI PAOLO II HA RICORDATO LA FIGURA DEL MEDICO CARLO URBANI,
PRIMO
AD AVER ISOLATO IL TERRIBILE VIRUS DELLA SARS.
IERI,
I FUNERALI A CASTEPLANIO, IN PROVINCIA DI ANCONA:
CON
NOI, IL VESCOVO DI JESI, MONS. OSCAR SERFILIPPI
- A
cura di Stefano Cavallo -
Ieri pomeriggio a Castelplanio
in provincia di Ancona i funerali di Carlo Urbani, il medico e infettivologo
che per primo ha isolato il virus della Sars, in Vietnam, poi colpito senza
possibilità di guarire dalla malattia polmonare. Si è spento sabato scorso a
Bangkok, in Thailandia, dopo una vita trascorsa al servizio della ricerca sulle
infezioni nei Paesi più poveri: Vietnam, Laos, Cambogia. Prima con Medici senza
frontiere, di cui è stato anche presidente, e poi con l’Organizzazione mondiale
della sanità. Urbani aveva rinunciato, tra l’altro, anche al posto di primario
nell’ospedale di Macerata. Nell’esprimere il suo cordoglio in un telegramma, il
Papa parla di lui come di “uno stimato medico che ha speso la vita per lenire i
dolori dei fratelli” più bisognosi. Tra i presenti alla funzione, i camici bianchi coi quali aveva
creato ad Ancona il primo Centro per malati di Aids e i volontari delle
missioni africane; David Heymann e Guenae Rodier, membri dell’unità
di crisi sulla polmonite atipica dell’Organizzazione mondiale della sanità, ed
il ministro italiano della Slute Girolamo Sirchia. “Urbani – ha spiegato il ministro –
ha svolto un enorme lavoro per scovare il vaccino anti-Sars: dobbiamo tutti
essergliene riconoscenti. Ha creato le condizioni per svelare le ragioni della
patologia e alla fine è riuscito a identificare la malattia pur sapendo i
rischi cui andava incontro”. Quello sulla polmonite atipica doveva essere un
progetto isolato contro il dilagare della Sars, ma da oggi verrà utilizzato
come importante punto di riferimento metodologico. Nel corso dei funerali il
vescovo di Jesi, mons. Oscar Serfilippi, ha ricordato di Urbani il carattere
forte e l'ingegnoso pragmatismo da “bravo ragazzo di paese”, abituato ad
“adoperarsi per due famiglie: la sua e il mondo”. Il
presule ha ricordato il medico italiano al microfono di Debora Donnini.
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R. – La parola giusta è che
era un missionario della sanità, un santo. Il Signore aveva regalato a Carlo
tanti talenti, che lui ha coltivato con umiltà ma con molta tenacia e ha messi
fin dalla giovinezza al servizio dei fratelli. Ha organizzato una solidarietà
per i portatori di handicap, creando ogni estate degli incontri proprio per
loro; la sua vocazione particolare di virologo l’ha vissuta sempre sul campo:
voleva stare vicino agli ammalati ...
D. – Quanto ha pesato la fede
nelle scelte di vita di Carlo Urbani?
R. – Moltissimo. Era con i
missionari saveriani. Anche in Africa ha fatto delle micro: ovunque andava,
sempre con questo stile del ‘missionario’ per la gente.
D. – Cosa lascia a noi la
figura di Carlo Urbani?
R. – In questo momento
delicato, che l’umanità attraversa anche per questa guerra nell’Iraq - così
pubblicizzata dai mass media - in cui c’è anche tanta retorica in giro, la
verità di una persona che ha parlato poco ma ha fatto tutto, ha donato sé
stesso come Cristo, come i martiri, per il bene dell’umanità.
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3 aprile 2003
SI È CONCLUSA IERI LA 26.MA ASSEMBLEA
PLENARIA DELL’EPISCOPATO CROATO.
AL
CENTRO DEI LAVORI, LA PROSSIMA VISITA DEL PAPA,
PREVISTA
TRA IL 5 E IL 9 GIUGNO,
E LA
FORMAZIONE ED IL RUOLO DEI LAICI NELLA PASTORALE
- A
cura di Aldo Sinkovic -
ZAGABRIA.
= La prossima visita di Giovanni Paolo II in Croazia, tra il 5 e il 9 giugno,
sarà concentrata sul tema “La famiglia: cammino della Chiesa e del popolo”. Lo
hanno dichiarato i vescovi croati riuniti a Zagabria, nella loro 26.ma assemblea
plenaria che si è aperta il 30 marzo e si è conclusa ieri. I vescovi, che stanno
preparando una lettera pastorale sul significato di questa terza visita di Giovani
Paolo II nel loro Paese, considerano il viaggio un avvenimento storico e ricco
di grazia. In tutte le diocesi che il Papa visiterà già si intensificano i
preparativi a livello organizzativo e spirituale. “Il tempo e la situazione
nella quale avviene questo viaggio – ha dichiarato il vescovo di Dubrovnik,
mons. Zelimir Puljic – sono pieni di significato”. Nella sua diocesi infatti
sarà beatificata suor Maria di Gesù Petkovic, fondatrice della Congregazione
delle “Figlie della Misericordia”, oggi operanti in diversi Paesi dell’Europa e
dell’America Latina. I vescovi si sono occupati pure del problema della formazione
dei laici nel campo dell’insegnamento della religione nelle scuole. Negli
ultimi tempi il loro numero cresce, ma secondo il vescovo di Rijeka, mons. Ivan
Devcic, la Chiesa croata necessita di almeno altri 450 laici diplomati: il loro
ruolo pastorale sta diventando sempre più importante. Bisogna però, secondo
mons. Devcic, definire ed elaborare il profilo del servizio laico nella Chiesa
e nella società croata. Perciò la formazione professionale deve essere
accompagnata dalla formazione spirituale perché l’impegno pastorale richiede
non soltanto la preparazione scientifica, ma anche la vocazione.
SITUAZIONE DIFFICILE AD HAITI: SI ESPANDE LA VIOLENZA.
LE
CIFRE DELL’ULTIMO RAPPORTO DELLA CONFERENZA EPISCOPALE
PARLANO DI AUMENTO DELLA CIRCOLAZIONE DELLE
ARMI E DEGLI ATTI DI VIOLENZA
HAITI. = Nell’ultimo rapporto
della Commissione nazionale giustizia e pace della Conferenza episcopale di
Haiti si fa un lungo e dettagliato elenco dei crimini che si compiono
nell’isola. Si legge nel documento stilato dai vescovi: “Constatiamo che la
solidarietà tra la gente si sta sfaldando”. I presuli si dicono “inquieti per
la leggerezza con la quale alcuni gestiscono la vita di altri”. In diverse zone
della capitale, Port-au-Prince, avvengono dei veri e propri “conflitti armati”:
negli ultimi 4 mesi 117 sono stati i morti. “In alcuni quartieri, sembrerebbe
che qualcuno si erga a giudice, in qualche caso anche uomini delle forze
dell’ordine”, aggiungono i vescovi. Si registra una vasta circolazione di armi.
“Non si deve sottovalutare il clima di paura che costringe al silenzio la
popolazione. Qualche volta le uccisioni hanno luogo in pieno giorno, si trovano
cadaveri in strada e la gente dei dintorni afferma di non sapere di chi si
tratti”. Capita anche che qualcuno ‘sparisca’ e se ne ritrovi il corpo lontano
da casa. Numerosi sono i feriti da proiettili vaganti come passanti o bambini
che escono da scuola. La Commissione ribadisce fatti già denunciati in passato
e in particolare: “i modi in cui il potere (o gruppi che si dichiarano vicini
al potere) perseguita, minaccia, infligge gravi trattamenti e obbliga a
nascondersi chi ha altre opinioni; la tolleranza che il potere mostra verso chi
esercita pressioni e minacce; il modo in cui si impedisce alla popolazione di
lamentarsi dell’alto costo della vita, creando un atmosfera di paura”. “Sì, le
armi illegali devono sparire – concludono i vescovi – i criminali devono essere
puniti, le autorità devono prendersi le loro responsabilità e costruire un
clima di pace, di giustizia e di rispetto per la vita di ciascuno. […] Non si
tratta di un favore alla popolazione ma di un dovere”. (S.C.)
CRESCE LA PREOCCUPAZIONE DEI VESCOVI INDIANI PER
LE LEGGI
APPROVATE
DALLO STATO REGIONALE DEL GUJARAT:
A
FEBBRAIO È STATO CONDOTTO UN CENSIMENTO SOLO SULLA POPOLAZIONE CRISTIANA;
A
MARZO È STATA APPROVATA UNA LEGGE CHE OBBLIGA CHI DESIDERA CAMBIARE RELIGIONE
A
CHIEDERE L’AUTORIZZAZIONE DELLE AUTORITÀ CIVILI
NUOVA
DELHI. = Sta creando preoccupazione nell’episcopato cattolico indiano il
“Documento sulla libertà di religione”, legge approvata il 26 marzo scorso dal
governo dello Stato regionale del Gujarat, senza alcuna discussione
nell’assemblea legislativa locale. Il provvedimento stabilisce che chiunque
desideri cambiare religione debba chiedere una previa autorizzazione alle
autorità civili. L’arcivescovo di Gandhinagar, mons. Stanislaus Fernandes, ha
attribuito la responsabilità del documento al timore da parte del Partito del Popolo Indiano, vincitore delle
elezioni locali lo scorso dicembre e fautore di una politica nazionalista indù,
che si verifichino conversioni operate con la forza o con mezzi fraudolenti.
“La comunità cristiana - ha affermato con decisione lo stesso presule - non ha
mai creato tensioni sociali, ma ha sempre diffuso un messaggio di fraternità,
equità ed armonia, lavorando per lo sviluppo della popolazione di tutte le
comunità. Le conversioni forzate sono totalmente ripudiate dalle nostre Chiese.
Noi crediamo - ha aggiunto l’arcivescovo - che la conversione sia una grazia di
Dio che non può essere soggetta allo scrutinio di un governo civile. Chiedere
il permesso alle autorità civili per una conversione religiosa significa
abdicare alla responsabilità personale di ogni individuo per la salvezza eterna
della sua anima. In questo caso ogni uomo deve rispondere alla voce della sua
anima e non a regole temporali”. Le dichiarazioni di mons. Fernandes seguono
quelle della Conferenza dei vescovi cattolici dell’India (Cbci) riguardo il
censimento che il nuovo governo del Gujarat aveva condotto in febbraio, tramite
i funzionari della polizia sulle comunità, le famiglie e le istituzioni
cristiane. Il presidente della Cbci, mons. Cyril Mar Baselios aveva lamentato
l’opportunità dell’iniziativa, aggiuntasi al censimento nazionale della popolazione
riguardante tutti i cittadini senza distinzione di religione, casta o razza.
(M.A.)
L’ARCIVESCOVO DI VALENCIA PARLA DEI
CONFLITTI DIMENTICATI DI TUTTO IL MONDO:
"I
CRISTIANI NON POSSONO DIMENTICARE COLORO CHE SOFFRONO
A
CAUSA DELLE GUERRE DIMENTICATE DALL' OPINIONE PUBBLICA DEI PAESI RICCHI"
VALENCIA. = L’arcivescovo di
Valencia, mons. Agustín García-Gasco,
nella sua lettera settimanale dal titolo "Non ucciderai: Dio parla
chiaro" sostiene che "i cristiani non possono dimenticare chi soffre
a causa della guerra in Iraq, e in tutte le guerre dimenticate dall'opinione
pubblica dei paesi ricchi". "Con la scusa dell'attualità non possiamo
non condannare le uccisioni di quella guerra senza tregua né trincee che è il
terrorismo, che attenta alla dignità dell'uomo nel nostro Paese e in molte
altre nazioni del mondo". Tra gli attentati alla vita umana, "il
terrorismo è particolarmente crudele" rileva il presule. Ecco perché
"non esistono casi eccezionali che possano legittimare il terrorismo, come
mezzo di difesa di fronte ad un'ingiusta oppressione, sistematica e
prolungata" in quanto il terrorismo "sparge sempre sangue innocente".
Il presule richiama l'attenzione sul fatto che "talvolta gli intenti di
giustificare il terrorismo possono essere più sottili, adducendo ragioni
politiche" che però non dispensano mai da una responsabilità etica e
morale. Inoltre "l'atteggiamento di fare silenzio dinanzi al terrorismo,
di diminuire la sua gravità morale, non è ammissibile; come non lo è neppure la
neutralità dinanzi ad esso". I cristiani e gli uomini di buona volontà
"hanno il grave obbligo morale di esprimere non soltanto il rifiuto e la
condanna del terrorismo, ma anche ogni forma di collaborazione o di
giustificazione dello stesso". A conclusione della sua lettera, mons.
Gasco spiega che "soltanto partendo dai principi del rispetto della vita
si garantisce la pace".(S.C.)
SARA’ CONSACRATA DOMENICA PROSSIMA LA NUOVA CHIESA NEL VILLAGGIO ALBANESE DI GUREZ.
DALL’INIZIO DEL COMUNISMO LA COMUNITÀ NON AVEVA PIÙ IL SUO TEMPIO
GUREZ. = Il villaggio albanese di Gurez, dopo gli anni della dittatura comunista e della critica transizione alla democrazia, riavrà sabato prossimo una chiesa in cui poter celebrare l’Eucaristia. L’avvenimento sarà festeggiato con una Santa Messa presieduta dall’arcivescovo di Durazzo – Tirana, mons. Rrok Mirdita. E’ la terza volta che si costruisce una chiesa in questo piccolo villaggio dell’Albania centrale: la prima fu distrutta dalla furia del fiume Mat, la seconda dalla dittatura comunista. La chiesa, dedicata alla Madonna del Buon Consiglio, è stata edificata grazie all’impegno di una comunità di padri dehoniani italiani, che nel 1991 lasciarono Andria per trasferirsi in Albania. Il servizio dei religiosi all’interno della comunità albanese è rivolto soprattutto alla cura dei bisognosi ed all’evangelizzazione di un Paese che era stato dichiarato ufficialmente ateo. Durante la crisi in Kosovo i padri dehoniani misero a disposizione la chiesa di Gurez, allora ancora in costruzione, utilizzandola come deposito per i viveri e come luogo di accoglienza per i rifugiati. Oggi lo scenario e’ cambiato, ma l’Albania è sempre lontana da condizioni di vita accettabili a causa del dissesto della rete stradale, di un sistema sanitario adeguato e della mancanza della corrente elettrica. I padri fanno notare quali siano però i veri bisogni di questa società: riqualificare la classe politica e, soprattutto, rinnovare la coscienza morale del servizio al bene pubblico. Per questo i missionari stanno realizzando iniziative nel campo dell’istruzione e della formazione lavorativa. (M.A.)
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3 aprile 2003
- A cura di Giada Aquilino -
Nuova recrudescenza delle violenze fra israeliani e
palestinesi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Mentre a livello politico
l'Autorità nazionale palestinese ha annunciato che il premier incaricato Abu
Mazen sarà con ogni probabilità in grado di presentare il nuovo governo già la
prossima settimana, sul terreno si registrano ancora violenti scontri. Il
bilancio parla di almeno sei palestinesi uccisi dal fuoco dei militari
israeliani, decine di feriti e decine di militanti catturati. Gli incidenti più
gravi si sono verificati a Rafah. Il servizio di Graziano Motta:
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Nell’operazione odierna, condotta da reparti di fanteria
del genio, appoggiati da una trentina di carri armati e da elicotteri, quattro
case sono state demolite. C’è stata molta resistenza e negli scontri a fuoco
quattro militanti palestinesi sono rimasti uccisi. C’è un numero alto ma
imprecisato di civili feriti e non è confermata la morte di una donna di 34
anni. Altre violenze sono avvenute in Cisgiordania: a Kalkiliya, durante
scontri tra soldati e palestinesi, un ragazzo di 14 anni è rimasto ucciso e un
attivista di Hamas è morto nella città di Nablus. L’operazione militare
israeliana più importante è in corso da ieri nell’area di Tulkarem,
precisamente nel campo profughi della città dove proseguono perquisizioni e
arresti di attivisti della rivolta. Circa mille uomini dai 14 ai 45 anni sono
stati trasferiti in autobus in un altro campo distante pochi chilometri, con
l’ordine di non tornare a casa per almeno tre giorni: il tempo che dovrebbero
bastare al compimento dell’operazione.
Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.
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Tre
moschee sono state attaccate nella notte a Davao, nel sud delle Filippine, dopo
che ieri nella stessa città un'esplosione aveva causato 15 morti e una trentina
di feriti a poche ore dall'arrivo in città della presidente Gloria Arroyo.
Circa un mese fa, il 4 marzo, un attacco con bombe all’aeroporto di Davao aveva
provocato 23 vittime. Per questi attentati il governo accusa il Fronte Moro,
che da oltre 25 anni rivendica la creazione di uno stato islamico nel sud delle
Filippine, Paese a maggioranza cattolica. Sui motivi di questa recrudescenza
degli atti terroristici, Roberto Piermarini ha raggiunto a Manila padre Gianni
Re, missionario del Pime:
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R. – Gli attentati giungono ora, perché in questi giorni
stanno continuando i dialoghi tra governo e gruppi musulmani che lottano per
l’indipendenza. Sembrava che si stesse per arrivare ad una specie di cessate il
fuoco e ad un dialogo di pace, ma nel frattempo sono successi nuovi incidenti.
D. – Ma c’è un collegamento tra questi attentati e la
guerra in Iraq?
R. – Non credo, perché è un problema locale che va avanti
da anni.
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Tre
colpi di mortaio sono stati esplosi la scorsa notte in direzione della base di
Chapman, un avamposto di Enduring Freedom nell'Afghanistan sudorientale
presidiato da soldati americani e da una cinquantina di alpini italiani. Gli ordigni
sono finiti a circa 500 metri dal distaccamento militare e non ci sono stati né
danni, né feriti. Intanto, proprio nelle ultime ore, c’è stata una violenta
battaglia tra militari statunitensi e guerriglieri talebani sulle montagne nei
dintorni di Spin Boldak, non lontano dai confini con il Pakistan.
L’Unione Serbia-Montenegro intende revocare lo Stato
d’emergenza nel Paese “entro questo mese”. Lo ha annunciato oggi a Strasburgo
il presidente del Parlamento serbo-montenegrino, Micunovic. Intervenendo
al Consiglio d’Europa, in occasione dell’ingresso nell’organizzazione
pan-europeea della Serbia-Montenegro come 45.mo Stato membro, Micunovic ha
comunicato che sono cessate tutte le ragioni che avevano indotto Belgrado a dichiarare
lo stato d’emergenza il 12 marzo scorso, subito dopo l’assassinio del premier
Djindjic.
Importante
vertice per la pacificazione del Sudan, ieri a Nairobi in Kenya. Nella residenza
del presidente keniano, Mwai Kibaki, si sono incontrati Hassan el Bashir, capo
di Stato sudanese, e John Garang, leader dei ribelli secessionisti. Ce ne parla
Giulio Albanese:
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Le
buone notizie sono sostanzialmente due: la ripresa entro la fine settimana dei
colloqui tra il governo di Khartoum e i ribelli dell’Esercito di liberazione
popolare del Sudan e l’impegno di un accordo finale entro giugno, per porre termine
al conflitto. A conclusione del vertice di ieri è stato diramato un comunicato
congiunto, nel quale viene riaffermato l’impegno ad onorare gli accordi raggiunti
tra le parti, in particolare il protocollo per la cessazione delle ostilità e
la consegna agevolata degli aiuti umanitari.
Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.
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Scatta l'operazione africana di peacekeeping in Burundi,
Paese sconvolto da 10 anni di guerra civile che hanno causato almeno 300.000
morti. Tremilacinquecento soldati provenienti da Etiopia, Mozambico e Sudafrica
saranno schierati entro due mesi in Burundi. Lo ha annunciato l'Unione
africana, precisando che l'operazione dovrebbe durare un anno. Al termine della
missione, è previsto l'arrivo di un contingente di caschi blu dell'Onu.
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