RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 92 - Testo della Trasmissione mercoledì 2 aprile 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Con gli occhi della fede scorgere la presenza di Dio nella storia. La catechesi biblica del Papa all’udienza generale in Piazza San Pietro.

 

La forza della legge prevalga sulla legge della forza nelle relazioni internazionali. Così l’arcivescovo Celestino Migliore alla Commissione delle Nazioni Unite sul disarmo.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

La guerra in Iraq. Alleati più vicini a Baghdad, sempre più insostenibile la situazione umanitaria nelle città assediate, prime vittime innocenti i bambini: con noi, il dirigente dell’Unicef Roberto Salvan, l’imam di Milano Ali Abu Shwaìma, il prof. Stefano Silvestri e lo psichiatra Vittorino Andreoli.

 

Una marcia della penitenza per la pace con migliaia di giovani, organizzata oggi a Paola, in Calabria, dall’Ordine dei Minimi: intervista con il superiore generale padre Giuseppe Fiorini Morosini.

 

Un anno fa a Betlemme l’assedio alla Basilica della Natività: il ricordo di padre Ibrahim Faltas.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Presentata in Germania la Settimana per la Vita, appuntamento ecumenico di cattolici ed evangelici, dal prossimo 3 maggio.

 

Nuovo appello per la preoccupante crisi della Costa D’Avorio, lanciato dalle Nazioni Unite.

 

La Chiesa nigeriana ha avviato la raccolta dei fondi per la costituzione dell’Università Cattolica della Nigeria.

 

All’opera dal 14 aprile in Sierra Leone la “Commissione verità e riconciliazione”, istituita per chiarire le vicende della guerra civile.

 

I vescovi dello Zimbabwe sono preoccupati per la situazione politica ed economica nel Paese.

 

24 ORE NEL MONDO:

Approvata costituzione provvisoria della Repubblica Democratica del Congo.

 

Nuove violenze caratterizzano la crisi israelo-palestinese.

 

Arresti in Italia in operazioni antiterrorismo.

 

In aumento nel mondo i casi di polmonite atipica.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

2 aprile 2003

 

 

“I FEDELI DEVONO ESSERE CERTI CHE LA STORIA NON E’ IN MANO AL FATO, AL CAOS,

O ALLE POTENZE OPPRESSIVE: L’ULTIMA PAROLA SPETTA AL DIO GIUSTO E FORTE”.

COSI’ QUESTA MATTINA GIOVANNI PAOLO II NELLA CATECHESI BIBLICA

ALL’UDIENZA GENERALE IN PIAZZA SAN PIETRO

- A cura di Barbara Castelli -

 

“Dio è ininterrottamente presente e agisce nella storia umana”. Lo ha ricordato questa mattina Giovanni Paolo II, nella sua catechesi biblica, incontrando i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro per l’udienza generale del mercoledì. Pur non facendo un esplicito riferimento alla guerra in Iraq, il Santo Padre ha sottolineato che “Dio, anche quando sembra tacere davanti all’oppressione, l’ingiustizia o ogni altro male che tocca l’uomo, non cessa di amarlo e gli viene in aiuto sempre”. Fiducia e docile abbandono, quindi, alla volontà del Dio Padre, che è “giusto e forte”. “Il cantico del profeta Isaia - ha insistito il Papa - insegna che chi, nonostante tutto, con fiducia crede che Dio è vicino e opera, potrà sopravvivere il tempo di prova e con gioia ringrazierà Dio per il suo costante amore che libera da ogni male”.

 

“Il Signore fa sorgere un mondo nuovo, un’èra di libertà e di salvezza. A chi era cieco vengono aperti gli occhi perché goda della luce che sfolgora. Il cammino si fa agile e la speranza fiorisce, rendendo possibile continuare a confidare in Dio e nel suo futuro di pace e di felicità”.

 

Rivolgendosi alle circa 12 mila persone presenti in Piazza e commentando un brano biblico del profeta Isaia, il Pontefice ha parlato dell’apparente silenzio di Dio, che è spesso motivo di “perplessità per il giusto e persino di scandalo”. “Tuttavia - ha spiegato il Santo Padre - non si tratta di un silenzio che indica un’assenza, quasi che la storia sia lasciata in mano ai perversi e il Signore rimanga indifferente e impassibile. In realtà, l’ultima parola spetta al Dio giusto e forte”.

 

“Scoprire, con gli occhi della fede, questa presenza divina nello spazio e nel tempo, ma anche in noi stessi, è sorgente di speranza e di fiducia, anche quando il nostro cuore è turbato e scosso ‘come si agitano i rami del bosco per il vento’. Il Signore, infatti, entra in scena per reggere e giudicare ‘il mondo con giustizia e con verità tutte le genti’”.

 

Al termine dell’udienza, nel corso della quale Giovanni Paolo II ha esortato ancora una volta tutti a pregare incessantemente per la pace nel mondo, alcuni pellegrini hanno regalato al Papa, una grande torta rettangolare, con i colori della bandiera arcobaleno della pace.

 

 

IL RISPETTO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE PER LA RISOLUZIONE

DELLE CONTROVERSIE, NELL’INTERVENTO SVOLTO IERI

DALL’ARCIVESCOVO CELESTINO MIGLIORE,

ALLA COMMISSIONE DELL’ONU PER IL DISARMO 

- Servizio di Amedeo Lomonaco -

 

La forza della legge deve prevalere sulla legge della forza nell’attuale situazione internazionale. E’ questo il messaggio espresso dall’osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni unite, l’arcivescovo Celestino Migliore, nel suo intervento di ieri alla commissione dell’Onu per il disarmo.

 

Mons. Migliore ha ricordato la posizione espressa mesi fa dalla Santa Sede, secondo la quale gli strumenti del diritto internazionale facilitano la soluzione pacifica delle controversie e promuovono un clima di fiducia basato sulla cooperazione e sul rispetto tra tutti gli Stati. Concetti oggi ancor più significativi perché risuonano in un mondo purtroppo scosso dal fragore delle armi.

 

“Il sistema di controllo degli armamenti – ha detto l’arcivescovo - ha funzionato efficacemente ed ha ottenuto risultati significativi in questi ultimi decenni. Esso deve pertanto essere rafforzato per risolvere le nuove sfide ed affrontare le nuove minacce”.

 

“La straordinaria mobilitazione di uomini e di donne visibile soprattutto in questi giorni – ha aggiunto il presule - dimostra che la causa della pace sta realizzando grandi progressi nella coscienza dell’umanità”. Le manifestazioni di condanna alla guerra sono infatti una testimonianza tangibile di come sia sentita, fra le popolazioni di tutto il mondo, l’aspirazione a vivere nella sicurezza, nella giustizia ed in una cultura di pace fondata sul rispetto e sul dialogo.

 

Nel sottolineare “la crescente interdipendenza tra le nazioni” ed “i rischi di reciproca distruzione”, mons. Migliore ha infine ribadito la necessità che, soprattutto alla luce dell’attuale grave situazione, tutti gli Stati siano animati da un profondo senso di responsabilità e siano rispettosi degli impegni presi dinanzi alla comunità internazionale.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

“Bombardamenti ad Hilla” è il titolo che apre il giornale in riferimento alla nuova pagina di sangue scritta in Iraq.

La sconvolgente relazione del Comitato internazionale della Croce Rossa dopo gli attacchi contro la popolazione.

“Quella Corona che ha conosciuto l'orrore del lager di Buchenwald” è il titolo del pensiero di Edda e Giampaolo Mattei dedicato all'Anno del Rosario.

 

Nelle pagine vaticane, la catechesi e la cronaca dell'udienza generale.

Un contributo delle Sorelle Clarisse del Protomonastero di Santa Chiara d'Assisi dal titolo: “Chiara, l’umile grande maestra della pedagogia della santità”: alle soglie del 750.mo anniversario della morte.

Nel cammino della Chiesa in Africa, un articolo di Gianfranco Grieco dal titolo: “Benin: padre Francesco Borghero grande pioniere dell’evangelizzazione”; il cardinale Bernardin Gantin presenta il primo missionario del Dahomey. 

 

Nelle pagine estere, l'Unicef lancia l'allarme-colera a Bassora, dove continua la penuria di acqua potabile e di cibo.

Powell chiede il sostegno della Turchia alle operazioni militari alleate nel Nord.

Medio Oriente: incursione dell'esercito israeliano in un campo profughi palesti-nese.

 

Nella pagina culturale, una dettagliata recensione di Roberto Morozzo Della Rocca sul volume “Il patriarca Roncalli e le sue fonti. Bibbia, Padri della Chiesa, Storia”.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano la situazione politica in riferimento alla crisi irachena.

In rilievo, la bocciatura del cosiddetto indultino da parte della commissione Giustizia del Senato; il provvedimento di sospensione condizionata della pena era stato approvato dalla Camera, ed atteso da mesi nelle carceri italiane sovraffollate.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

2 aprile 2003

 

 

LE TRUPPE ALLEATE PIU’ VICINE A BAGHDAD DOPO VIOLENTI SCONTRI

CON L’ESERCITO IRACHENO, MENTRE E’ SEMPRE PIU’ INSOSTENIBILE

LA SITUAZIONE UMANITARIA NELLE CITTA’ ASSEDIATE

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

 

A due settimane dall’inizio della guerra in Iraq, le truppe anglo-americane hanno lanciato - nelle ultime ore - una massiccia offensiva di terra, guidata dai marine americani. Il generale americano Brooks, del comando centrale a Doha, ha dichiarato che un’avanguardia delle forze alleate è ora a soli 30 chilometri da Baghdad, dopo aver conquistato un passaggio strategico sul fiume Tigri. La notizia è stata, peraltro, smentita poco fa dal ministro dell’informazione iracheno. Durissimi combattimenti tra anglo-americani e Guardia Repubblicana sono in corso nelle città sacre sciite di Najaf e Karbala, mentre proseguono i raid missilistici su Baghdad. Secondo testimoni, citati dall’agenzia Reuters, durante gli ultimi bombardamenti è stato danneggiato il reparto maternità di un ospedale della capitale irachena, provocando un numero tuttora imprecisato di vittime. Cresce così tragicamente il bilancio dei morti e feriti tra i civili. Solo ieri, sarebbero morte quasi cento persone. In un bombardamento alleato nella città di Hillah, a sud della capitale, almeno 33 persone hanno perso la vita, tra cui numerosi bambini. Un “orrore”, nelle parole di un portavoce della Croce rossa internazionale. Si aggrava, poi, con il passare dei giorni l’emergenza umanitaria nelle città assediate, come spiega Roberto Salvan, direttore generale dell’Unicef Italia.

 

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R. – Certamente ci preoccupa il fatto che il conflitto sul terreno sia diventato molto più duro e molto più violento. Non vorremmo trovarci tra qualche settimana di fronte ad una tragedia che era possibile prevedere e per la quale e purtroppo non abbiamo potuto fare nulla. Ci sono dati molto sconfortanti e drammatici nella zona di Bassora per la carenza di acqua. Ci auguriamo che l’acquedotto che è stato portato a sud di Bassora possa fornire acqua potabile alle persone che escono da Bassora e che sia possibile far arrivare degli aiuti. Potere creare almeno per una giornata, due giorni, dei corridoi umanitari dove le due parti possano acconsentire l’accesso di alimenti, acqua potabile e medicine.

 

D. – In questa fase del conflitto come si sta muovendo l’Unicef per far fronte, per quanto possibile, alla crisi umanitaria in Iraq?

 

R. - Siamo riusciti a far entrare alcuni container dalla Turchia. Sono stati portati nei magazzini che abbiamo nel nord del Kurdistan. A sud, d’accordo con la Croce Rossa, siamo riusciti nei giorni scorsi a far passare 3 camion che sono stati poi distribuiti con molta difficoltà, purtroppo, perché il conflitto a sud è ancora molto forte.

 

D. – Lei citava Bassora, ma sicuramente anche Baghdad è in una condizione di estremo disagio. Quali sono le altre aree, le altre zone dove la situazione è particolarmente grave per la popolazione?

 

R. – Certamente tutta la popolazione che è dentro le città. Ormai le città quasi tutte sono circondate, avere la tranquillità di poter trascorre anche soltanto la notte tranquilli, poter riposare è diventato sempre più difficile. Quello che temiamo è che i bambini, soprattutto 3 milioni e mezzo di bambini da 0 a 5 anni, stanno subendo a causa di questo conflitto enormi traumi a livello psicologico. Non hanno la possibilità di poter vivere la loro infanzia completamente. E’ una situazione di assoluta paura e terrore, che i bambini ricorderanno per tutta la loro vita. Oltre all’aspetto alimentare, sanitario, acqua potabile e quant’altro c’è anche questo enorme prezzo di paura e di terrore che i bambini stanno pagando ed è questa la cosa che ci preoccupa di più perché con la paura non si può poi costruire una pace successiva. Ci vorrà molto più tempo e bisognerà investire molte più risorse, sia economiche che di persone.

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Proprio mentre le truppe alleate conquistavano nuove posizioni per l’offensiva finale su Baghdad, Saddam Hussein è tornato a promettere la vittoria al popolo iracheno. In un messaggio letto da un portavoce militare, il rais di Baghdad ha affermato che, fino ad ora, è stato impiegato solo un terzo delle forze armate dell’Iraq. Non si è spenta, d’altro canto, la eco del proclama di Saddam Hussein, che, ieri - attraverso un altro messaggio, letto questa volta, dal ministro dell’informazione - ha incitato gli iracheni a combattere la “guerra santa” contro gli americani. Un fervore culminato nell’affermazione che il jihad è “un dovere” per tutti i musulmani, non solo dell’Iraq. Appello che va respinto senza mezzi termini: ad affermarlo è l’imam di Milano, Ali Abu Shwaíma, al microfono di Fausta Speranza:

 

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R. – Il mondo ha bisogno di pace santa. Nell’islam non c’è la guerra santa. Questa è una terminologia che non appartiene all’islam. Nell’islam c’è il Jihad  che vuole dire ‘sforzo’ e che può essere anche la difesa della dignità, del Paese. Saddam ha fatto tutto il contrario di questo nella sua vita. L’ha fatto contro i religiosi, i musulmani più di qualsiasi altro.

 

D. – Quindi, in definitiva, la religione dovrebbe essere lasciata fuori da questo conflitto, secondo lei?

 

R. – La religione è stata chiamata in causa prima da Bush, anche se dopo ha modificato un po’. Però grazie a Dio, da parte del Papa e di tanti religiosi musulmani è stato smentito questo e si è cercato di far capire che la religione non c’entra in questa guerra.

 

D. – C’è maturità per capire questo che sta dicendo lei, e cioè che Saddam sta strumentalizzando la religione?

 

R. – Credo di sì, se viene fermato anche Bush. Se la popolazione del mondo islamico pensa che gli americani vogliano occupare la terra, vogliano attaccare l’islam come religione, vogliano modificare le tradizioni della gente allora la cosa diventa pericolosa. Se si limita ad eliminare Saddam non ha conseguenze.

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Sul fronte diplomatico, il segretario di Stato americano, Powell, ha incontrato ad Ankara l’omologo turco, Gul, e vedrà stasera a Bruxelles il ministro degli Esteri russo, Ivanov. Il premier britannico Blair, dal canto suo, ha dichiarato alla Camera dei Comuni che la coalizione dovrà lavorare in stretto collegamento con l’Onu per organizzare  un'autorità ad interim in Iraq, sottolineando che dopo la guerra, il Paese dovrà essere governato dagli stessi iracheni e non da forze straniere. Sempre tesa, invece, la situazione nei Paesi che confinano con l’Iraq. I lavoratori siriani hanno sospeso oggi il proprio lavoro per dieci minuti in segno di solidarietà con il popolo iracheno, mentre Washington e Damasco sono ai ferri corti, dopo gli ammonimenti di Rumsfeld e Powell sulla vendita di armi da parte siriana al regime di Baghdad. La Siria, alleata degli americani nella prima guerra del Golfo e che pure ha votato a favore della risoluzione 1441 presentata all’Onu dagli anglo-americani si schiera dunque apertamente con l’Iraq. Tuttavia si tratterebbe di una scelta dai risvolti politici piuttosto che militari. Ne è convinto il prof. Stefano Silvestri, presidente dell’Istituto Affari Internazionali:

 

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R. – Per il momento mi sembra un gioco soprattutto politico, volto a ribadire la sua posizione contraria alla guerra e probabilmente anche a mantenere determinati collegamenti in Libano, in Palestina e in genere nel mondo arabo. Non  credo che questo arrivi ad una posizione di alleanza militare con l’Iraq, anche se probabilmente ci potrà essere qualche piccolo aiuto marginale, e certamente c’è il passaggio di volontari che vanno in Iraq.

 

D. – Come valuta l’atteggiamento dell’Iran, nemico storico di Baghdad, ma al tempo stesso inserito nel cosiddetto “asse del male” dall’amministrazione Bush?

 

R. – L’Iran ha un grosso problema, perché l’Iran ha in realtà assunto rispetto a questa guerra una posizione molto riservata, affermando di non essere comunque a favore di Saddam Hussein, anche se contrario ovviamente alle operazioni militari, ma nello stesso tempo senza opporsi attivamente all’azione americana. Io credo che in questa fase l’Iran cercherà di restare quanto più possibile al di fuori del conflitto, anche se potrebbero esserci degli elementi di fastidio, soprattutto dovuti al problema dei movimenti islamisti che operano al confine tra Iran e Iraq.

 

D. – Washington si auspicava un breve conflitto che non infiammasse il Medio Oriente. Quanto è alto ora il rischio invece di una esplosiva destabilizzazione di tutta l’area?

 

R. – Certamente alcuni lo temono, in primo luogo Mubarak, che l’ha anche detto. Io credo che il rischio ci sia, credo che più dura questa guerra, più Saddam Hussein cercherà di far coincidere la sua guerra con quella dei palestinesi, e l’immagine degli americani con quella degli israeliani. Questa è un’operazio-ne estremamente pericolosa che andrebbe contratta politicamente sin da ora.

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Intanto, con la recrudescenza del conflitto, si accende il dibattito sull’opportunità o meno di mostrare in televisione immagini terribili di morte e distruzione. Un tema che interroga le coscienze non solo degli operatori dell’informazione, ma anche dei genitori che si trovano nella difficile condizione di dover spiegare ai propri bambini l’orrore di una guerra. Sullo scottante argomento, Marina Tomarro ha raccolto l’opinione del neuro-psichiatra Vittorino Andreoli, docente all’Università di Verona:

 

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R. – Non è possibile nascondere la guerra vissuta intensamente da tutti noi. Ecco perché dico: ciò a cui noi assistiamo, noi tutti, bambini e grandi, non è un film sulla guerra, ma è proprio esserne dentro; vediamo immagini che la richiamano in maniera sorprendente, come se fosse attorno a noi, anzi, dentro le nostre case. Credo quindi che essi debbano essere accompagnati nel cercare di capire qualcosa che è difficilmente comprensibile, e il comportamento deve tener conto dell’età!

 

D. – Quali sono i suggerimenti che lei può dare ad un genitore che deve spiegare ad un bambino la guerra?

 

R. – Dev’essere abbastanza realistico, perché non è possibile dire che quei bambini che si vedono sullo schermo e che stanno morendo sono dei bambolotti: li imbroglieremo! Bisogna poter dire che i lupi, qualche volta, sono vestiti da uomini. Insomma, lo schema della favola va bene, ma è una favola che dev’essere più realista! Naturalmente, in tutto questo bisogna rassicurarli, nel senso che il papà e la mamma sono lì per difenderli!

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UN ANNO FA COMINCIAVA L’ASSEDIO

ALLA BASILICA DELLA NATIVITÀ, A BETLEMME

- Con noi, padre Ibrahim Faltas -

 

“In duemila anni non era mai accaduto che si posizionassero uomini armati dentro e fuori la Natività. Assedianti o assediati, poco cambia quando lo scopo è uccidersi. Quella è stata la prima volta e spero l’ultima”. Con queste parole padre Ibrahim Faltas, responsabile della Basilica della Natività a Betlemme, ricorda, esattamente un anno dopo, i 39 giorni dell’assedio al complesso religioso della Cisgiordania, dal 2 aprile al 10 maggio del 2002. Un ricordo indelebile nella memoria del francescano che, con una quarantina di altri religiosi, dovette convivere per quasi 1000 ore con oltre 200 miliziani palestinesi che si asserragliarono all’interno della Basilica e con i blindati israeliani che circondarono la Natività. Furono giorni di sparatorie, mediazioni, stenti. Tutto si concluse una mattina di maggio, quando padre Faltas accompagnò fuori dalla Basilica i miliziani: poi 13 di loro, quelli considerati da Israele come i più pericolosi, vennero trasferiti all’estero. Durante i giorni della crisi alla Natività, fu proprio frate Ibrahim a mantenere i contatti telefonici tra la Basilica assediata e il mondo esterno. Giada Aquilino gli ha chiesto di ricordare per noi quelle ore drammatiche:

 

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R. – Non posso dimenticare che nella chiesa della Natività, nel luogo più santo di tutto il mondo, sono state uccise 8 persone e più di 25 sono state ferite. Ricordo soprattutto la Provvidenza divina; quando sono state tagliate corrente e acqua, il Signore ce le ha restituite e il cibo, anche se poco, è stato sufficiente per tutti: eravamo 240 palestinesi, 30 frati, 4 suore, tre greco-ortodossi e tre armeni. Abbiamo constatato che il Signore è sempre stato con noi.

 

D. – Qual è stato il momento più difficile di quei 39 giorni?

 

R. – Personalmente, quando mi hanno sparato: sono salvo per miracolo, perché le pallottole sono passate accanto al mio viso. Un altro momento particolarmente difficile, per tutti noi frati, è stato quando gli israeliani hanno sfondato una porta - la porta dei greco-ortodossi - e tutti i palestinesi sono entrati nel nostro convento.

 

D. – Lei stesso, padre, in un suo diario ha scritto: “Verrò ricordato come ‘fra’ telefonino’, antico come un frate e moderno quel tanto che serve per sopravvivere”. In quei giorni, che cosa aiutò quel frate con il telefonino?

 

R. – La fede. Dicevo sempre che non c’era corrente, eppure continuavo a comunicare col cellulare. Quando gli israeliani sono entrati, hanno tagliato i cavi dell’elettricità al nostro convento. Allora abbiamo preso la corrente per caricare i telefonini - ed essere in contatto con il mondo e con i nostri superiori - dalla casa accanto al nostro convento, una sorta di hotel dei francescani. Gli israeliani lo hanno scoperto e hanno tagliato la corrente anche lì. Poi un palestinese ha visto che ogni giorno, alle sette di sera, si accendeva il campanile dei greci, perché prendeva l’energia elettrica dall’illuminazione della strada. Ha rischiato la vita, è arrivato fin sul campanile e ha preso un cavo elettrico: così abbiamo potuto caricare i telefonini. Gli israeliani hanno scoperto anche questo e hanno tagliato i fili di nuovo. Infine, i palestinesi - cercando cibo dappertutto - sono entrati in una stanza abbandonata del convento dei greci ed hanno trovato la corrente: proprio questa corrente è durata fino alla fine dell’assedio.

 

D. – Il 10 maggio 2002 terminò la crisi: da allora, cosa è cambiato a Betlemme?

 

R. – Non è cambiato quasi niente, perché abbiamo vissuto tanti giorni sotto coprifuoco. Adesso, grazie a Dio, da un mese e più non c’è coprifuoco ...

 

D. – In che condizioni vive la gente di Betlemme?

 

R. – E’ una situazione veramente terribile. L’85 per cento della popolazione lavora nel campo del turismo. E il turismo è bloccato: adesso non viene nessuno. Poi con la guerra in Iraq, la disoccupazione è salita alle stelle, supera il 90 per cento.

 

D. – Quali sono le emergenze più gravi?

 

R. – In questo momento, veramente, serve tutto. Noi come frati diamo qualcosa alle famiglie in difficoltà e loro riescono a vivere con questo poco. Mai, nella storia di palestinesi e israeliani, la gente si è trovata a dover vivere in condizioni simili!

 

D. – Con una guerra in corso in Iraq, forse l’attenzione alle altre questioni del Medio Oriente è minore. Vuole lanciare un appello al mondo da Betlemme?

 

R. – Fare la pace in Terra Santa. Dico ai Paesi della comunità internazionale: se volete la pace in tutto il mondo, dovete prima di tutto risolvere il problema tra palestinesi e israeliani.

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MARCIA DELLA PENITENZA PER LA PACE OGGI A PAOLA IN CALABRIA,

CON LA PARTECIPAZIONE DI MIGLIAIA DI GIOVANI

PROMOSSA DALLA CONSULTA GIOVANILE DELL’ORDINE DEI MINIMI

 

Oggi a Paola in Calabria una manifestazione per la pace che coinvolge migliaia di giovani: la “Marcia della penitenza”. E’ promossa dalla Consulta di pastorale giovanile dell’Ordine dei Minimi, fondato da san Francesco di Paola, nell’anniversario della morte del santo. Una manifestazione definita dal Papa una “scuola di vita”, “quanto mai opportuna” in questo momento “segnato da non poche preoccupazioni e sofferenze, anche a motivo della guerra in corso”. E’ infatti un modello di vita che viene presentato ai giovani – evidenzia il Papa in un messaggio -  quello di un uomo di Dio, Francesco di Paola, che al suo tempo, nel lontano 1400, “un’epoca non priva di disagi per il perdurare di vari conflitti”, aveva operato concretamente per la pace, con la preghiera, la penitenza e innanzitutto la continua conversione del cuore. Ma ascoltiamo, al microfono di Carla Cotignoli, padre Giuseppe Fiorini Morosini, superiore generale dell’Ordine dei Minimi:

 

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R. – Gesù, quando ha iniziato la sua predicazione è andato sulle rive di un lago e si è rivolto a dei pescatori dicendo: ‘Se voi cambiate, cambiate il mondo’. E’ questa l’intuizione che vogliamo immettere soprattutto nell’animo dei giovani in questo momento difficile della storia. La sensibilità del mondo d’oggi verso il problema della pace è un dono di Dio: se Dio sta suscitando sentimenti di pace in tutta l’umanità, questi sentimenti di pace devono essere accolti in un cuore purificato, rinnovato, convertito perché altrimenti non trova il terreno idoneo perché possa attecchire e perché possa produrre quella mentalità di pace.

 

D. – Quale penitenza voi proponete con questa marcia?

 

R. – La prima grande penitenza è la penitenza della conversione del cuore; poi, i gesti e i segni penitenziali ognuno li scopre all’interno della sua esperienza di vita. Fare il digiuno sarà la solidarietà con qualche persona handicappata, malata, sarà una riconciliazione da promuovere all’interno della propria famiglia ... i segni penitenziali sono tanti. Noi lasciamo la libertà ...

 

D. – Si nota, secondo lei, tra la gente, questa sensibilità maggiore, questa sete di fare qualcosa, di pregare, di cambiare, anche ...

 

R. – Io penso di sì. Vedo che c’è una grande sete spirituale della gente, perché sia attraverso il ministero della riconciliazione, confessando, sia attraverso gli incontri di preghiera, mi accorgo che la gente sa che una cosa d’importante può fare: la preghiera. Il Papa l’ha chiesta, la gente sta rispondendo molto bene.

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CHIESA E SOCIETA’

2 aprile 2003

 

 

PRESENTATA IN GERMANIA LA SETTIMANA DELLA VITA,

APPUNTAMENTO ECUMENICO PER CATTOLICI E EVANGELICI IMPEGNATI

NELLA DIFESA DELLA VITA UMANA.

L’INIZIATIVA SI SVOLGERÀ A PARTIRE DAL 3 MAGGIO A BAYREUTH

 

BERLINO. = Giunge quest’anno alla sua tredicesima edizione la “Settimana della vita”, manifestazione organizzata congiuntamente dalla Conferenza episcopale tedesca e dal Consiglio delle Chiese evangeliche in favore della difesa della vita umana. L’avvenimento, che si aprirà il 3 maggio a Bayreuth, è stato presentato lunedì scorso a Berlino alla presenza del presidente dell’episcopato tedesco, il cardinale Karl Lehmann. Quest’anno il titolo della manifestazione è “Possibilità e limiti del progresso medico”: al centro dei lavori problematiche contemporanee come la clonazione terapeutica, la diagnostica prenatale e l’aiuto attivo alla morte. “In una società come la nostra – ha dichiarato il cardinale Lehmann - altamente complessa e tecnicizzata ma con un incontestabile bisogno di orientamento etico l’iniziativa mantiene ininterrotta la sua attualità”. “Gli sviluppi della ricerca e della tecnica – ha aggiunto il porporato - rafforzano la discussione sulle questioni dell’etica della scienza, della medicina, della bioetica e della tutela della vita: la Chiesa può dare l’orientamento per agire in questi campi”. Per questo è prezioso l’impegno ecumenico assunto dai cristiani cattolici ed evangelici delle diocesi e delle chiese locali in favore della difesa della vita di qualunque individuo. “Il nostro compito – ha ricordato il cardinale Lehmann - è quello di evitare l’illusione di un uomo perfetto: si tratterebbe di un sogno lontano dalla vera realtà, dalla vera identità dell’essere umano”. (M.A.)

 

 

SI AGGRAVA LA CRISI UMANITARIA IN COSTA D’AVORIO. A LANCIARE L’ALLARME È L’ONU,

CHE DENUNCIA LA CRESCENTE VIOLENZA E LE SOFFERENZE

DELLA POPOLAZIONE A CAUSA DELLA GUERRA

 

ABIDJAN. = Un nuovo appello per la preoccupante crisi della Costa d’Avorio è stato lanciato dalle Nazioni Unite. La situazione umanitaria nel Paese africano non accenna a migliorare. Ripetute violenze nella parte occidentale, economia frenata dall’attività dei ribelli a nord e sempre più persone costrette ad abbandonare le proprie case a sud sono state denunciate dall’Onu, lunedì scorso. La parte occidentale, vicino al confine con la Liberia, è fuori dal controllo del governo: la crescente violenza inoltre impedisce l’arrivo degli aiuti umanitari destinati alla popolazione. L’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari dell’Onu (Ocha) ha rilevato la mancanza di servizi e assistenza nelle zone settentrionali in mano ai ribelli, mentre a sud, nella zona controllata dal governo, gli sfollati interni e la comunità che li ospita devono fronteggiare la profonda crisi sanitaria ed economica. Nella zona occidentale invece, il numero degli sfollati, secondo quanto stima il Pam, si aggirerebbe intorno alle 80 mila persone. Le ripetute violenze hanno costretto decine di migliaia di persone a scappare nella vicina Liberia, dove la situazione è allo stesso modo critica a causa della guerra civile, e nel sud della Costa d’Avorio. Nei giorni scorsi anche l’Unicef aveva manifestato la propria preoccupazione per la situazione, definita “vicina alla catastrofe”. In particolare l’organismo dell’Onu aveva lanciato l’allarme per il collasso del sistema sanitario nazionale a causa della mancanza di personale e medicinali. (M.A.)

 

 

IN NIGERIA LA CHIESA INIZIA LA RACCOLTA DEI FONDI PER L’UNIVERSITÀ CATTOLICA.

L’INIZIATIVA È STATA ACCOLTA DAL PRESIDENTE DEL PAESE AFRICANO,

CHE HA RINGRAZIATO LA CHIESA PER IL CONTRIBUTO NELLA SANITÀ,

NELL'EDUCAZIONE E PER L’IMPEGNO IN FAVORE DELLA PACE

 

ABUJA. = La Chiesa nigeriana ha avviato la raccolta dei fondi per la costituzione dell’Università Cattolica della Nigeria. I vescovi del Paese africano hanno presentato l’iniziativa ad Abuja, nel corso della loro Assemblea plenaria. L’arcivescovo della città, mons. John Onaiyekan, presidente della Conferenza episcopale, ha evidenziato il ruolo di pioniere rivestito dalla Chiesa, sottolineandone la lunga tradizione educativa. In Nigeria sono già presenti istituzioni universitarie ecclesiali: “I nostri seminari – spiega mons. Onaiyekan – sono affiliati alle università della Nigeria e di Roma. Inoltre, l'Istituto Cattolico dell'Africa Occidentale, con sede a Port Hancourt, assegna titoli universitari da oltre 20 anni". Il progetto dell'Università cattolica della Nigeria è  il primo passo di un vasto programma per la fondazione di una serie di Università cattoliche in tutto lo Stato. I presuli hanno sostenuto l’importanza dell'educazione per lo sviluppo, parlando del deterioramento negli ultimi anni del sistema educativo nazionale. Secondo loro, la nuova Università contribuirà a elevare gli standard culturali nazionali, oltre che ad infondere alti valori umani e spirituali. Il rappresentante del presidente della repubblica, prof. don Yosuf Obaje, ha ringraziato la Chiesa per il contributo nella sanità, nell’istruzione e per l’impegno in favore della pace. Ha inoltre  ribadito l’importanza del progetto, in quanto risposta all'appello lanciato dal governo ai privati perché intervengano nel sistema educativo nazionale. (S.C.)

 

 

INIZIERANNO IN SIERRA LEONE IL 14 APRILE I LAVORI

DELLA COMMISSIONE VERITA’ E RICONCILIAZIONE

PER RACCOGLIERE TESTIMONIANZE SULLE VIOLENZE DELLA GUERRA CIVILE

 

FREETOWN. = Inizieranno il prossimo 14 aprile le sedute pubbliche della ‘Commissione verità e riconciliazione’ della Sierra Leone: vittime e carnefici del decennale conflitto interno testimonieranno in merito alle vicende della guerra civile. Il portavoce della Commissione, Daniel Adekera, ha precisato di aver concluso la raccolta delle dichiarazioni grazie alle quali sono stati ricostruiti i crimini della passata guerra nel Paese africano. Nel corso delle sessioni i cittadini potranno dibattere sulle cause del conflitto e sul ruolo svolto da politici e militari. La raccolta di dieci anni di testimonianze servirà alla commissione per ricostruire le violazioni e per ricomporre un tessuto sociale che risente ancora dei postumi della guerra. La Commissione verità e riconciliazione - affidata dal governo di Freetown a sette esperti di diritti umani - sta lavorando in parallelo con il Tribunale speciale varato un anno fa dall’Onu. L’Organizzazione delle nazioni unite intende indagare sui crimini commessi durante la guerra civile, durata dal 1991 al 2001. (S.C.)

 

 

“IL GOVERNO DELLO ZIMBABWE RISTABILISCA UN CLIMA DI PACE E DI GIUSTIZIA

CHE INCORAGGI LA PIENA PARTECIPAZIONE DI TUTTI I CITTADINI”.

L’INVITO PARTE DAI VESCOVI LOCALI,

PREOCCUPATI PER LA CRISI ECONOMICA E POLITICA

 

HARARE. = I vescovi dello Zimbabwe, preoccupati per la situazione politica ed economica nel Paese, tornano a chiedere al governo del presidente Mugabe un impegno concreto per ristabilire un clima di pace e di giustizia che incoraggi la piena partecipazione di tutti i cittadini. L’appello è contenuto nella lettera pastorale per la Quaresima, dedicata all’attuale crisi nello Zimbabwe, dove le tensioni politiche causate dall’irrisolta questione agraria,  hanno raggiunto livelli altissimi. L’appello riguarda innanzitutto i fedeli, esortati, come indica il titolo del documento, alla “conversione dei cuori”, e a testimoniare i valori del Vangelo: il rispetto della vita e della dignità della persona umana, la solidarietà sociale, il perseguimento del bene comune, ma soprattutto la pace. Una pace, sottolineano i vescovi, che non può prescindere dalla “verità, dalla giustizia, dall’amore e dalla libertà”. Dopo essersi soffermati sulle ripercussioni sociali del declino economico del Paese, in particolare la disoccupazione e la povertà crescente della popolazione, i presuli lamentano il clima di violenza e intimidazione che serpeggia nella società, così come la corruzione dilagante della classe dirigente. Inoltre esprimono preoccupazione per il deterioramento dell’assistenza sanitaria nel Paese nel quale l’Aids imperversa. I presuli invitano il governo a riannodare il filo del dialogo con la società e i cittadini a partecipare attivamente alla vita pubblica per uscire dall’attuale impasse. Un’esortazione, infine, ai cattolici che hanno posizioni di responsabilità, invitati “ad esercitare le loro funzioni secondo gli insegnamenti sociali della Chiesa” e a tutti  fedeli alla carità e alla preghiera per la pace in Zimbabwe. (L.Z./M.A)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

2 aprile 2003

 

 

- A cura di Giancarlo La Vella -

 

Importante passo avanti per la pace nella Repubblica Democratica del Congo. E’ stata approvata ieri la carta costituzionale provvisoria e la formazione di un governo di transizione che dovrebbe traghettare l’ex Zaire fino allo svolgimento di libere elezioni. Il servizio di Giulio Albanese:

 

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I 362 delegati, chiamati a rappresentare i tanti protagonisti della lunga crisi congolese - vale a dire governo, principali movimenti ribelli, partiti di opposizione e società civile - si sono raccolti a Sun City, in Sudafrica, ed hanno animato la tanto attesa sessione plenaria che si conclude oggi. Ma non è tutto oro quello che luccica. Ieri, infatti, è giunta notizia che il principale movimento ribelle congolese, il gruppo filo rwandese Rcd-Goma, negli ultimi giorni ha attaccato e conquistato alcune cittadine nell’est dell’ex Zaire, in particolare i villaggi di Bunyatenge e Muhanga, circa 100 km a sud-ovest di Lubero. Si tratta di un’area sotto il controllo di Mbusa Nyamwisi, che è alla guida dei ribelli della coalizione democratica congolese, il movimento di liberazione Rcd-Bunya, un signore della guerra vicino al governo di Kinshasa. Non resta che attendere gli sviluppi di una situazione politica che sembra promettere bene, nonostante vi siano comunque delle incognite, guardando al futuro.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Non si ferma la spirale di violenza nella crisi israelo-palestinese. Una colonna blindata israeliana, appoggiata da due elicotteri, ha effettuato questa mattina un’incursione nel campo profughi di Tulkarem, nel nord della Cisgiordania. Fonti militari hanno riferito che l’obiettivo del raid è la cattura di alcuni attivisti palestinesi. E ieri c’è stato un incontro a Washington tra il presidente americano George Bush ed il ministro degli Esteri israeliano Silvan Shalom. Per il capo della diplomazia israeliana, la ripresa del dialogo con i palestinesi dipende “dalla sospensione degli attentati terroristici”.

 

Dopo lo stop ad amnistia e indulto, il Parlamento italiano sbarra la strada anche al cosiddetto “indultino”. Il provvedimento, che a febbraio aveva passato l’esame della Camera, è stato fermato ieri dalla Commissione Giustizia del Senato. Ce ne parla Giampiero Guadagni:

 

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La proposta di “indultino” prevedeva una sospensione degli ultimi tre anni di pena per chi ha già scontato un quarto della condanna. Esclusi dal beneficio i detenuti condannati per reati gravissimi, come mafia, terrorismo, omicidio. Il provvedimento passa ora all’esame dell’aula di Palazzo Madama, nel testo approvato alla Camera dei Deputati, ma, appunto, con il parere negativo della Commissione giustizia che ha bocciato l’art. 1 dell’“indultino”, nel quale erano contenute le norme più rilevanti dell’intero provvedimento, rendendo così inutile l’esame degli articoli successivi. Un impegno per un atto di clemenza nei confronti dei detenuti era stato chiesto il 14 novembre scorso ai parlamentari italiani dal Papa, nel corso del suo intervento davanti alle Camere riunite.

 

Per la Radio Vaticana, Giampiero Guadagni.

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Operazione antiterrorismo in Italia. Sono stati arrestati ieri a Milano un egiziano, due curdi, un somalo e due tunisini, tra i quali l’imam di Cremona. I sei inviavano uomini dall'Italia nei campi di addestramento in Iraq per combattere a fianco dei guerriglieri di Al Ansar, la struttura costituita grazie anche ad uno dei leader di Al Qaida. L'inchiesta è decollata dopo numerose intercettazioni telefoniche che hanno confermato la preparazione  di attentati e l' attività dell'organizzazione.

 

Un vasto arsenale è stato trovato dai militari italiani impegnati nella missione di pace in Afghanistan, nel corso delle attività di controllo del territorio nell'area di Khost, circa 260 chilometri a sud-est di Kabul. Il materiale bellico rinvenuto è stato poi distrutto, compito, questo, che rientra tra le operazioni assegnate alle forze della coalizione che operano per la neutralizzazione delle residue sacche di terrorismo ancora presenti nell'area afghana, allo scopo di creare un clima politicamente stabile, necessario alla ricostruzione del Paese.

 

Almeno sei persone sono morte e altre 23 sono rimaste ferite a causa di una violentissima esplosione,  di natura ancora non accertata, avvenuta a Davao, nel sud est delle Filippine, a 950 chilometri da Manila. Lo riferiscono alcune radio locali, citando fonti ufficiali.

 

In aumento in tutto il mondo i casi di polmonite atipica d’origine asiatica, che finora ha ucciso nel mondo oltre 60 persone. La sindrome ieri ha fatto altre nove vittime nella regione cinese del Guangdong, da cui avrebbe avuto origine il virus. Tra l’altro il governo di Pechino ha concesso ad una squadra dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di recarsi nella zona colpita dall’epidemia. Altre due vittime sono da segnalare in Canada, dove sono 124 le persone contagiate, ed un altra in Thailandia. E tra l’altro oggi a Jesi si celebrano i funerali di Carlo Urbani, l’infettivologo che per primo ha isolato il virus di questa malattia e poi ne è stato egli stesso vittima. Conosciuto con l’appellativo di ‘medico-eroe’, svolse la sua vita professionale soprattutto nei Paesi del Terzo Mondo, rifiutando incarichi prestigiosi nell’università e nel panorama sanitario italiano.

 

 

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