RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 92 - Testo della
Trasmissione mercoledì 2 aprile 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
La guerra in Iraq. Alleati
più vicini a Baghdad, sempre più insostenibile la situazione umanitaria nelle
città assediate, prime vittime innocenti i bambini: con
noi, il dirigente dell’Unicef Roberto Salvan, l’imam
di Milano Ali Abu Shwaìma, il prof. Stefano
Silvestri e lo psichiatra Vittorino Andreoli.
Un anno fa a Betlemme
l’assedio alla Basilica della Natività: il ricordo di padre Ibrahim Faltas.
CHIESA E
SOCIETA’:
Nuovo
appello per la preoccupante crisi della Costa D’Avorio, lanciato dalle Nazioni
Unite.
I
vescovi dello Zimbabwe sono preoccupati per la situazione politica ed economica
nel Paese.
Approvata costituzione provvisoria della
Repubblica Democratica del Congo.
Nuove violenze caratterizzano la crisi
israelo-palestinese.
Arresti in Italia in operazioni antiterrorismo.
In aumento nel mondo i casi di polmonite atipica.
2 aprile 2003
“I FEDELI DEVONO ESSERE CERTI CHE LA STORIA NON E’ IN
MANO AL FATO, AL CAOS,
O ALLE
POTENZE OPPRESSIVE: L’ULTIMA PAROLA SPETTA AL DIO GIUSTO E FORTE”.
COSI’
QUESTA MATTINA GIOVANNI PAOLO II NELLA CATECHESI BIBLICA
ALL’UDIENZA
GENERALE IN PIAZZA SAN PIETRO
- A cura di Barbara Castelli -
“Dio è
ininterrottamente presente e agisce nella storia umana”. Lo ha ricordato questa
mattina Giovanni Paolo II, nella sua catechesi biblica, incontrando i
pellegrini convenuti in Piazza San Pietro per l’udienza generale del mercoledì.
Pur non facendo un esplicito riferimento alla guerra in Iraq, il Santo Padre ha
sottolineato che “Dio, anche quando sembra tacere davanti all’oppressione,
l’ingiustizia o ogni altro male che tocca l’uomo, non cessa di amarlo e gli
viene in aiuto sempre”. Fiducia e docile abbandono, quindi, alla volontà del
Dio Padre, che è “giusto e forte”. “Il cantico del profeta Isaia - ha insistito
il Papa - insegna che chi, nonostante tutto, con fiducia crede che Dio è vicino
e opera, potrà sopravvivere il tempo di prova e con gioia ringrazierà Dio per
il suo costante amore che libera da ogni male”.
“Il Signore fa sorgere un mondo nuovo, un’èra di
libertà e di salvezza. A chi era cieco vengono aperti gli occhi perché goda
della luce che sfolgora. Il cammino si fa agile e la speranza fiorisce,
rendendo possibile continuare a confidare in Dio e nel suo futuro di pace e di
felicità”.
Rivolgendosi alle circa 12 mila persone presenti in Piazza
e commentando un brano biblico del profeta Isaia, il Pontefice ha parlato
dell’apparente silenzio di Dio, che è spesso motivo di “perplessità per il
giusto e persino di scandalo”. “Tuttavia - ha spiegato il Santo Padre - non si
tratta di un silenzio che indica un’assenza, quasi che la storia sia lasciata
in mano ai perversi e il Signore rimanga indifferente e impassibile. In realtà,
l’ultima parola spetta al Dio giusto e forte”.
“Scoprire, con gli occhi della fede, questa
presenza divina nello spazio e nel tempo, ma anche in noi stessi, è sorgente di
speranza e di fiducia, anche quando il nostro cuore è turbato e scosso ‘come si
agitano i rami del bosco per il vento’. Il Signore, infatti, entra in scena per
reggere e giudicare ‘il mondo con giustizia e con verità tutte le genti’”.
Al termine dell’udienza, nel corso della quale Giovanni
Paolo II ha esortato ancora una volta tutti a pregare incessantemente per la
pace nel mondo, alcuni pellegrini hanno regalato al Papa, una grande torta
rettangolare, con i colori della bandiera arcobaleno della pace.
IL RISPETTO DEL DIRITTO
INTERNAZIONALE PER LA RISOLUZIONE
DELLE
CONTROVERSIE, NELL’INTERVENTO SVOLTO IERI
DALL’ARCIVESCOVO
CELESTINO MIGLIORE,
ALLA
COMMISSIONE DELL’ONU PER IL DISARMO
-
Servizio di Amedeo Lomonaco -
La
forza della legge deve prevalere sulla legge della forza nell’attuale
situazione internazionale. E’ questo il messaggio espresso dall’osservatore
permanente della Santa Sede alle Nazioni unite, l’arcivescovo Celestino
Migliore, nel suo intervento di ieri alla commissione dell’Onu per il disarmo.
Mons.
Migliore ha ricordato la posizione espressa mesi fa dalla Santa Sede, secondo
la quale gli strumenti del diritto internazionale facilitano la soluzione
pacifica delle controversie e promuovono un clima di fiducia basato sulla
cooperazione e sul rispetto tra tutti gli Stati. Concetti oggi ancor più
significativi perché risuonano in un mondo purtroppo scosso dal fragore delle
armi.
“Il
sistema di controllo degli armamenti – ha detto l’arcivescovo - ha funzionato
efficacemente ed ha ottenuto risultati significativi in questi ultimi decenni.
Esso deve pertanto essere rafforzato per risolvere le nuove sfide ed affrontare
le nuove minacce”.
“La
straordinaria mobilitazione di uomini e di donne visibile soprattutto in questi
giorni – ha aggiunto il presule - dimostra che la causa della pace sta
realizzando grandi progressi nella coscienza dell’umanità”. Le manifestazioni
di condanna alla guerra sono infatti una testimonianza tangibile di come sia
sentita, fra le popolazioni di tutto il mondo, l’aspirazione a vivere nella
sicurezza, nella giustizia ed in una cultura di pace fondata sul rispetto e sul
dialogo.
Nel
sottolineare “la crescente interdipendenza tra le nazioni” ed “i rischi di
reciproca distruzione”, mons. Migliore ha infine ribadito la necessità che,
soprattutto alla luce dell’attuale grave situazione, tutti gli Stati siano
animati da un profondo senso di responsabilità e siano rispettosi degli impegni
presi dinanzi alla comunità internazionale.
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“Bombardamenti ad Hilla” è il
titolo che apre il giornale in riferimento alla nuova pagina di sangue scritta
in Iraq.
La sconvolgente relazione
del Comitato internazionale della Croce Rossa dopo gli attacchi contro la
popolazione.
“Quella Corona che ha
conosciuto l'orrore del lager di Buchenwald” è il titolo del pensiero di Edda e
Giampaolo Mattei dedicato all'Anno del Rosario.
Nelle pagine vaticane, la
catechesi e la cronaca dell'udienza generale.
Un contributo delle Sorelle
Clarisse del Protomonastero di Santa Chiara d'Assisi dal titolo: “Chiara,
l’umile grande maestra della pedagogia della santità”: alle soglie del 750.mo
anniversario della morte.
Nel cammino della Chiesa in
Africa, un articolo di Gianfranco Grieco dal titolo: “Benin: padre Francesco
Borghero grande pioniere dell’evangelizzazione”; il cardinale Bernardin Gantin
presenta il primo missionario del Dahomey.
Nelle pagine estere, l'Unicef
lancia l'allarme-colera a Bassora, dove continua la penuria di acqua
potabile e di cibo.
Powell chiede il sostegno della
Turchia alle operazioni militari alleate nel Nord.
Medio Oriente: incursione
dell'esercito israeliano in un campo profughi palesti-nese.
Nella pagina culturale, una
dettagliata recensione di Roberto Morozzo Della Rocca sul volume “Il patriarca
Roncalli e le sue fonti. Bibbia, Padri della Chiesa, Storia”.
Nelle pagine italiane, in primo
piano la situazione politica in riferimento alla crisi irachena.
In rilievo, la bocciatura del
cosiddetto indultino da parte della commissione Giustizia del Senato; il
provvedimento di sospensione condizionata della pena era stato approvato dalla
Camera, ed atteso da mesi nelle carceri italiane sovraffollate.
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2 aprile 2003
LE TRUPPE ALLEATE PIU’ VICINE A BAGHDAD DOPO VIOLENTI
SCONTRI
CON
L’ESERCITO IRACHENO, MENTRE E’ SEMPRE PIU’ INSOSTENIBILE
LA
SITUAZIONE UMANITARIA NELLE CITTA’ ASSEDIATE
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
A due settimane dall’inizio della guerra in Iraq, le
truppe anglo-americane hanno lanciato - nelle ultime ore - una massiccia
offensiva di terra, guidata dai marine americani. Il generale americano Brooks,
del comando centrale a Doha, ha dichiarato che un’avanguardia delle forze
alleate è ora a soli 30 chilometri da Baghdad, dopo aver conquistato un
passaggio strategico sul fiume Tigri. La notizia è stata, peraltro, smentita
poco fa dal ministro dell’informazione iracheno. Durissimi combattimenti tra
anglo-americani e Guardia Repubblicana sono in corso nelle città sacre sciite
di Najaf e Karbala, mentre proseguono i raid missilistici su Baghdad. Secondo
testimoni, citati dall’agenzia Reuters, durante gli ultimi bombardamenti
è stato danneggiato il reparto maternità di un ospedale della capitale
irachena, provocando un numero tuttora imprecisato di vittime. Cresce così
tragicamente il bilancio dei morti e feriti tra i civili. Solo ieri, sarebbero
morte quasi cento persone. In un bombardamento alleato nella città di Hillah, a
sud della capitale, almeno 33 persone hanno perso la vita, tra cui numerosi
bambini. Un “orrore”, nelle parole di un portavoce della Croce rossa
internazionale. Si aggrava, poi, con il passare dei
giorni l’emergenza umanitaria nelle città assediate, come spiega Roberto Salvan,
direttore generale dell’Unicef Italia.
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R. – Certamente
ci preoccupa il fatto che il conflitto sul terreno sia diventato molto più duro
e molto più violento. Non vorremmo trovarci tra qualche settimana di fronte ad
una tragedia che era possibile prevedere e per la quale e purtroppo non abbiamo
potuto fare nulla. Ci sono dati molto sconfortanti e drammatici nella zona di
Bassora per la carenza di acqua. Ci auguriamo che l’acquedotto che è stato
portato a sud di Bassora possa fornire acqua potabile alle persone che escono
da Bassora e che sia possibile far arrivare degli aiuti. Potere creare almeno
per una giornata, due giorni, dei corridoi umanitari dove le due parti possano
acconsentire l’accesso di alimenti, acqua potabile e medicine.
D. – In questa
fase del conflitto come si sta muovendo l’Unicef per far fronte, per quanto
possibile, alla crisi umanitaria in Iraq?
R. - Siamo
riusciti a far entrare alcuni container dalla Turchia. Sono stati portati nei
magazzini che abbiamo nel nord del Kurdistan. A sud, d’accordo con la Croce
Rossa, siamo riusciti nei giorni scorsi a far passare 3 camion che sono stati
poi distribuiti con molta difficoltà, purtroppo, perché il conflitto a sud è
ancora molto forte.
D. – Lei citava Bassora, ma sicuramente anche Baghdad è in
una condizione di estremo disagio. Quali sono le altre aree, le altre zone dove
la situazione è particolarmente grave per la popolazione?
R. – Certamente
tutta la popolazione che è dentro le città. Ormai le città quasi tutte sono
circondate, avere la tranquillità di poter trascorre anche soltanto la notte
tranquilli, poter riposare è diventato sempre più difficile. Quello che temiamo
è che i bambini, soprattutto 3 milioni e mezzo di bambini da 0 a 5 anni, stanno
subendo a causa di questo conflitto enormi traumi a livello psicologico. Non
hanno la possibilità di poter vivere la loro infanzia completamente. E’ una
situazione di assoluta paura e terrore, che i bambini ricorderanno per tutta la
loro vita. Oltre all’aspetto alimentare, sanitario, acqua potabile e
quant’altro c’è anche questo enorme prezzo di paura e di terrore che i bambini
stanno pagando ed è questa la cosa che ci preoccupa di più perché con la paura
non si può poi costruire una pace successiva. Ci vorrà molto più tempo e bisognerà
investire molte più risorse, sia economiche che di persone.
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Proprio mentre le truppe alleate conquistavano nuove
posizioni per l’offensiva finale su Baghdad, Saddam Hussein è tornato a
promettere la vittoria al popolo iracheno. In un messaggio letto da un
portavoce militare, il rais di Baghdad ha affermato che, fino ad ora, è stato
impiegato solo un terzo delle forze armate dell’Iraq. Non si è spenta, d’altro
canto, la eco del proclama di Saddam Hussein, che, ieri - attraverso un altro messaggio,
letto questa volta, dal ministro dell’informazione - ha incitato gli iracheni a
combattere la “guerra santa” contro gli americani. Un fervore culminato
nell’affermazione che il jihad è “un dovere” per tutti i musulmani, non solo
dell’Iraq. Appello che va respinto senza mezzi
termini: ad affermarlo è l’imam di Milano, Ali Abu Shwaíma, al microfono di Fausta
Speranza:
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R. – Il mondo
ha bisogno di pace santa. Nell’islam non c’è la guerra santa. Questa è una
terminologia che non appartiene all’islam. Nell’islam c’è il Jihad che vuole dire ‘sforzo’ e che può essere
anche la difesa della dignità, del Paese. Saddam ha fatto tutto il contrario di
questo nella sua vita. L’ha fatto contro i religiosi, i musulmani più di
qualsiasi altro.
D. – Quindi, in
definitiva, la religione dovrebbe essere lasciata fuori da questo conflitto,
secondo lei?
R. – La
religione è stata chiamata in causa prima da Bush, anche se dopo ha modificato
un po’. Però grazie a Dio, da parte del Papa e di tanti religiosi musulmani è
stato smentito questo e si è cercato di far capire che la religione non c’entra
in questa guerra.
D. – C’è
maturità per capire questo che sta dicendo lei, e cioè che Saddam sta
strumentalizzando la religione?
R. – Credo di
sì, se viene fermato anche Bush. Se la popolazione del mondo islamico pensa che
gli americani vogliano occupare la terra, vogliano attaccare l’islam come
religione, vogliano modificare le tradizioni della gente allora la cosa diventa
pericolosa. Se si limita ad eliminare Saddam non ha conseguenze.
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Sul fronte diplomatico, il segretario di Stato americano,
Powell, ha incontrato ad Ankara l’omologo turco, Gul, e vedrà stasera a
Bruxelles il ministro degli Esteri russo, Ivanov. Il premier britannico Blair,
dal canto suo, ha dichiarato alla Camera dei Comuni che la coalizione dovrà
lavorare in stretto collegamento con l’Onu per organizzare un'autorità ad interim in Iraq,
sottolineando che dopo la guerra, il Paese dovrà essere governato dagli stessi
iracheni e non da forze straniere. Sempre tesa, invece, la situazione nei Paesi
che confinano con l’Iraq. I lavoratori siriani hanno sospeso oggi il proprio
lavoro per dieci minuti in segno di solidarietà con il popolo iracheno, mentre
Washington e Damasco sono ai ferri corti, dopo gli ammonimenti di Rumsfeld e
Powell sulla vendita di armi da parte siriana al regime di Baghdad. La Siria, alleata degli americani nella prima guerra
del Golfo e che pure ha votato a favore della risoluzione 1441 presentata
all’Onu dagli anglo-americani si schiera dunque apertamente con l’Iraq.
Tuttavia si tratterebbe di una scelta dai risvolti politici piuttosto che
militari. Ne è convinto il prof. Stefano Silvestri, presidente dell’Istituto
Affari Internazionali:
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R. – Per il
momento mi sembra un gioco soprattutto politico, volto a ribadire la sua
posizione contraria alla guerra e probabilmente anche a mantenere determinati
collegamenti in Libano, in Palestina e in genere nel mondo arabo. Non credo che questo arrivi ad una posizione di
alleanza militare con l’Iraq, anche se probabilmente ci potrà essere qualche
piccolo aiuto marginale, e certamente c’è il passaggio di volontari che vanno
in Iraq.
D. – Come
valuta l’atteggiamento dell’Iran, nemico storico di Baghdad, ma al tempo stesso
inserito nel cosiddetto “asse del male” dall’amministrazione Bush?
R. – L’Iran ha
un grosso problema, perché l’Iran ha in realtà assunto rispetto a questa guerra
una posizione molto riservata, affermando di non essere comunque a favore di
Saddam Hussein, anche se contrario ovviamente alle operazioni militari, ma
nello stesso tempo senza opporsi attivamente all’azione americana. Io credo che
in questa fase l’Iran cercherà di restare quanto più possibile al di fuori del
conflitto, anche se potrebbero esserci degli elementi di fastidio, soprattutto
dovuti al problema dei movimenti islamisti che operano al confine tra Iran e
Iraq.
D. – Washington
si auspicava un breve conflitto che non infiammasse il Medio Oriente. Quanto è
alto ora il rischio invece di una esplosiva destabilizzazione di tutta l’area?
R. – Certamente
alcuni lo temono, in primo luogo Mubarak, che l’ha anche detto. Io credo che il
rischio ci sia, credo che più dura questa guerra, più Saddam Hussein cercherà
di far coincidere la sua guerra con quella dei palestinesi, e l’immagine degli
americani con quella degli israeliani. Questa è un’operazio-ne estremamente
pericolosa che andrebbe contratta politicamente sin da ora.
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Intanto, con la recrudescenza del conflitto, si accende il
dibattito sull’opportunità o meno di mostrare in televisione immagini terribili
di morte e distruzione. Un tema che interroga le coscienze non solo degli
operatori dell’informazione, ma anche dei genitori che si trovano nella
difficile condizione di dover spiegare ai propri bambini l’orrore di una
guerra. Sullo scottante argomento, Marina Tomarro ha raccolto l’opinione del
neuro-psichiatra Vittorino Andreoli, docente all’Università di Verona:
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R. – Non è possibile nascondere la guerra vissuta
intensamente da tutti noi. Ecco perché dico: ciò a cui noi assistiamo, noi
tutti, bambini e grandi, non è un film sulla guerra, ma è proprio esserne
dentro; vediamo immagini che la richiamano in maniera sorprendente, come se
fosse attorno a noi, anzi, dentro le nostre case. Credo quindi che essi debbano
essere accompagnati nel cercare di capire qualcosa che è difficilmente
comprensibile, e il comportamento deve tener conto dell’età!
D. – Quali sono
i suggerimenti che lei può dare ad un genitore che deve spiegare ad un bambino
la guerra?
R. – Dev’essere
abbastanza realistico, perché non è possibile dire che quei bambini che si
vedono sullo schermo e che stanno morendo sono dei bambolotti: li
imbroglieremo! Bisogna poter dire che i lupi, qualche volta, sono vestiti da
uomini. Insomma, lo schema della favola va bene, ma è una favola che dev’essere
più realista! Naturalmente, in tutto questo bisogna rassicurarli, nel senso che
il papà e la mamma sono lì per difenderli!
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UN ANNO FA COMINCIAVA L’ASSEDIO
- Con
noi, padre Ibrahim Faltas -
“In duemila anni non era mai accaduto che si posizionassero uomini
armati dentro e fuori la Natività. Assedianti o assediati, poco cambia quando
lo scopo è uccidersi. Quella è stata la prima volta e spero l’ultima”. Con
queste parole padre Ibrahim Faltas, responsabile della Basilica della Natività
a Betlemme, ricorda, esattamente un anno dopo, i 39 giorni dell’assedio al
complesso religioso della Cisgiordania, dal 2 aprile al 10 maggio del 2002. Un
ricordo indelebile nella memoria del francescano che, con una quarantina di
altri religiosi, dovette convivere per quasi 1000 ore con oltre 200 miliziani
palestinesi che si asserragliarono all’interno della Basilica e con i blindati
israeliani che circondarono la Natività. Furono giorni di sparatorie,
mediazioni, stenti. Tutto si concluse una mattina di maggio, quando padre
Faltas accompagnò fuori dalla Basilica i miliziani: poi 13 di loro, quelli
considerati da Israele come i più pericolosi, vennero trasferiti all’estero.
Durante i giorni della crisi alla Natività, fu proprio frate Ibrahim a mantenere
i contatti telefonici tra la Basilica assediata e il mondo esterno. Giada Aquilino
gli ha chiesto di ricordare per noi quelle ore drammatiche:
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R. – Non posso
dimenticare che nella chiesa della Natività, nel luogo più santo di tutto il
mondo, sono state uccise 8 persone e più di 25 sono state ferite. Ricordo
soprattutto la Provvidenza divina; quando sono state tagliate corrente e acqua,
il Signore ce le ha restituite e il cibo, anche se poco, è stato sufficiente
per tutti: eravamo 240 palestinesi, 30 frati, 4 suore, tre greco-ortodossi e
tre armeni. Abbiamo constatato che il Signore è sempre stato con noi.
D. – Qual è stato il momento più difficile di quei 39
giorni?
R. –
Personalmente, quando mi hanno sparato: sono salvo per miracolo, perché le
pallottole sono passate accanto al mio viso. Un altro momento particolarmente
difficile, per tutti noi frati, è stato quando gli israeliani hanno sfondato
una porta - la porta dei greco-ortodossi - e tutti i palestinesi sono entrati
nel nostro convento.
D. – Lei
stesso, padre, in un suo diario ha scritto: “Verrò ricordato come ‘fra’
telefonino’, antico come un frate e moderno quel tanto che serve per sopravvivere”.
In quei giorni, che cosa aiutò quel frate con il telefonino?
R. – La
fede. Dicevo sempre che non c’era corrente, eppure continuavo a comunicare col
cellulare. Quando gli israeliani sono entrati, hanno tagliato i cavi
dell’elettricità al nostro convento. Allora abbiamo preso la corrente per caricare
i telefonini - ed essere in contatto con il mondo e con i nostri superiori -
dalla casa accanto al nostro convento, una sorta di hotel dei francescani. Gli
israeliani lo hanno scoperto e hanno tagliato la corrente anche lì. Poi un palestinese
ha visto che ogni giorno, alle sette di sera, si accendeva il campanile dei
greci, perché prendeva l’energia elettrica dall’illuminazione della strada. Ha
rischiato la vita, è arrivato fin sul campanile e ha preso un cavo elettrico:
così abbiamo potuto caricare i telefonini. Gli israeliani hanno scoperto anche
questo e hanno tagliato i fili di nuovo. Infine, i palestinesi - cercando cibo
dappertutto - sono entrati in una stanza abbandonata del convento dei greci ed
hanno trovato la corrente: proprio questa corrente è durata fino alla fine
dell’assedio.
D. – Il 10
maggio 2002 terminò la crisi: da allora, cosa è cambiato a Betlemme?
R. – Non è
cambiato quasi niente, perché abbiamo vissuto tanti giorni sotto coprifuoco.
Adesso, grazie a Dio, da un mese e più non c’è coprifuoco ...
D. – In che condizioni vive la gente di Betlemme?
R. – E’ una
situazione veramente terribile. L’85 per cento della popolazione lavora nel
campo del turismo. E il turismo è bloccato: adesso non viene nessuno. Poi con
la guerra in Iraq, la disoccupazione è salita alle stelle, supera il 90 per
cento.
D. – Quali sono le emergenze più gravi?
R. – In questo
momento, veramente, serve tutto. Noi come frati diamo qualcosa alle famiglie in
difficoltà e loro riescono a vivere con questo poco. Mai, nella storia di
palestinesi e israeliani, la gente si è trovata a dover vivere in condizioni
simili!
D. – Con una
guerra in corso in Iraq, forse l’attenzione alle altre questioni del Medio
Oriente è minore. Vuole lanciare un appello al mondo da Betlemme?
R. – Fare la
pace in Terra Santa. Dico ai Paesi della comunità internazionale: se volete la
pace in tutto il mondo, dovete prima di tutto risolvere il problema tra
palestinesi e israeliani.
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MARCIA DELLA PENITENZA PER LA PACE OGGI A PAOLA
IN CALABRIA,
CON LA
PARTECIPAZIONE DI MIGLIAIA DI GIOVANI
PROMOSSA
DALLA CONSULTA GIOVANILE DELL’ORDINE DEI MINIMI
Oggi a
Paola in Calabria una manifestazione per la pace che coinvolge migliaia di
giovani: la “Marcia della penitenza”. E’ promossa dalla Consulta di pastorale
giovanile dell’Ordine dei Minimi, fondato da san Francesco di Paola,
nell’anniversario della morte del santo. Una manifestazione definita dal Papa
una “scuola di vita”, “quanto mai opportuna” in questo momento “segnato da non
poche preoccupazioni e sofferenze, anche a motivo della guerra in corso”. E’
infatti un modello di vita che viene presentato ai giovani – evidenzia il Papa
in un messaggio - quello di un uomo di
Dio, Francesco di Paola, che al suo tempo, nel lontano 1400, “un’epoca non
priva di disagi per il perdurare di vari conflitti”, aveva operato
concretamente per la pace, con la preghiera, la penitenza e innanzitutto la
continua conversione del cuore. Ma ascoltiamo, al microfono di Carla Cotignoli,
padre Giuseppe Fiorini Morosini, superiore generale dell’Ordine dei Minimi:
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R. – Gesù, quando ha iniziato la sua predicazione è andato
sulle rive di un lago e si è rivolto a dei pescatori dicendo: ‘Se voi cambiate,
cambiate il mondo’. E’ questa l’intuizione che vogliamo immettere soprattutto
nell’animo dei giovani in questo momento difficile della storia. La sensibilità
del mondo d’oggi verso il problema della pace è un dono di Dio: se Dio sta
suscitando sentimenti di pace in tutta l’umanità, questi sentimenti di pace
devono essere accolti in un cuore purificato, rinnovato, convertito perché
altrimenti non trova il terreno idoneo perché possa attecchire e perché possa
produrre quella mentalità di pace.
D. – Quale
penitenza voi proponete con questa marcia?
R. – La prima
grande penitenza è la penitenza della conversione del cuore; poi, i gesti e i
segni penitenziali ognuno li scopre all’interno della sua esperienza di vita.
Fare il digiuno sarà la solidarietà con qualche persona handicappata, malata,
sarà una riconciliazione da promuovere all’interno della propria famiglia ... i
segni penitenziali sono tanti. Noi lasciamo la libertà ...
D. – Si
nota, secondo lei, tra la gente, questa sensibilità maggiore, questa sete di
fare qualcosa, di pregare, di cambiare, anche ...
R. – Io penso
di sì. Vedo che c’è una grande sete spirituale della gente, perché sia
attraverso il ministero della riconciliazione, confessando, sia attraverso gli
incontri di preghiera, mi accorgo che la gente sa che una cosa d’importante può
fare: la preghiera. Il Papa l’ha chiesta, la gente sta rispondendo molto bene.
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2 aprile 2003
PRESENTATA IN GERMANIA LA SETTIMANA DELLA VITA,
APPUNTAMENTO
ECUMENICO PER CATTOLICI E EVANGELICI IMPEGNATI
NELLA
DIFESA DELLA VITA UMANA.
L’INIZIATIVA
SI SVOLGERÀ A PARTIRE DAL 3 MAGGIO A BAYREUTH
BERLINO. = Giunge quest’anno
alla sua tredicesima edizione la “Settimana della vita”, manifestazione
organizzata congiuntamente dalla Conferenza episcopale tedesca e dal Consiglio
delle Chiese evangeliche in favore della difesa della vita umana. L’avvenimento,
che si aprirà il 3 maggio a Bayreuth, è stato presentato lunedì scorso a
Berlino alla presenza del presidente dell’episcopato tedesco, il cardinale Karl
Lehmann. Quest’anno il titolo della manifestazione è “Possibilità e limiti del
progresso medico”: al centro dei lavori problematiche contemporanee come la
clonazione terapeutica, la diagnostica prenatale e l’aiuto attivo alla morte.
“In una società come la nostra – ha dichiarato il cardinale Lehmann - altamente
complessa e tecnicizzata ma con un incontestabile bisogno di orientamento etico
l’iniziativa mantiene ininterrotta la sua attualità”. “Gli sviluppi della ricerca e della
tecnica – ha aggiunto il porporato - rafforzano la discussione sulle questioni
dell’etica della scienza, della medicina, della bioetica e della tutela della
vita: la Chiesa può dare l’orientamento per agire in questi campi”. Per questo
è prezioso l’impegno ecumenico assunto dai cristiani cattolici ed evangelici
delle diocesi e delle chiese locali in favore della difesa della vita di
qualunque individuo. “Il nostro compito – ha ricordato il cardinale Lehmann - è
quello di evitare l’illusione di un uomo perfetto: si tratterebbe di un sogno lontano
dalla vera realtà, dalla vera identità dell’essere umano”. (M.A.)
SI AGGRAVA LA CRISI UMANITARIA IN COSTA
D’AVORIO. A LANCIARE L’ALLARME È L’ONU,
CHE
DENUNCIA LA CRESCENTE VIOLENZA E LE SOFFERENZE
DELLA
POPOLAZIONE A CAUSA DELLA GUERRA
ABIDJAN.
= Un nuovo appello per la preoccupante crisi della Costa d’Avorio è stato
lanciato dalle Nazioni Unite. La situazione umanitaria nel Paese africano non
accenna a migliorare. Ripetute violenze nella parte occidentale, economia
frenata dall’attività dei ribelli a nord e sempre più persone costrette ad
abbandonare le proprie case a sud sono state denunciate dall’Onu, lunedì
scorso. La parte occidentale, vicino al confine con la Liberia, è fuori dal
controllo del governo: la crescente violenza inoltre impedisce l’arrivo degli
aiuti umanitari destinati alla popolazione. L’Ufficio per il coordinamento
degli affari umanitari dell’Onu (Ocha) ha rilevato la mancanza di servizi e
assistenza nelle zone settentrionali in mano ai ribelli, mentre a sud, nella
zona controllata dal governo, gli sfollati interni e la comunità che li ospita
devono fronteggiare la profonda crisi sanitaria ed economica. Nella zona
occidentale invece, il numero degli sfollati, secondo quanto stima il Pam, si
aggirerebbe intorno alle 80 mila persone. Le ripetute violenze hanno costretto
decine di migliaia di persone a scappare nella vicina Liberia, dove la
situazione è allo stesso modo critica a causa della guerra civile, e nel sud
della Costa d’Avorio. Nei giorni scorsi anche l’Unicef aveva manifestato la
propria preoccupazione per la situazione, definita “vicina alla catastrofe”. In
particolare l’organismo dell’Onu aveva lanciato l’allarme per il collasso del
sistema sanitario nazionale a causa della mancanza di personale e medicinali.
(M.A.)
IN
NIGERIA LA CHIESA INIZIA LA RACCOLTA DEI FONDI PER L’UNIVERSITÀ CATTOLICA.
L’INIZIATIVA È STATA ACCOLTA DAL
PRESIDENTE DEL PAESE AFRICANO,
CHE HA
RINGRAZIATO LA CHIESA PER IL CONTRIBUTO NELLA SANITÀ,
NELL'EDUCAZIONE
E PER L’IMPEGNO IN FAVORE DELLA PACE
ABUJA.
= La Chiesa nigeriana ha avviato la raccolta dei fondi per la costituzione
dell’Università Cattolica della Nigeria. I vescovi del Paese africano hanno
presentato l’iniziativa ad Abuja, nel corso della loro Assemblea plenaria.
L’arcivescovo della città, mons. John Onaiyekan, presidente della Conferenza
episcopale, ha evidenziato il ruolo di pioniere rivestito dalla Chiesa,
sottolineandone la lunga tradizione educativa. In Nigeria sono già presenti
istituzioni universitarie ecclesiali: “I nostri seminari – spiega mons.
Onaiyekan – sono affiliati alle università della Nigeria e di Roma. Inoltre,
l'Istituto Cattolico dell'Africa Occidentale, con sede a Port Hancourt, assegna
titoli universitari da oltre 20 anni". Il progetto dell'Università
cattolica della Nigeria è il primo
passo di un vasto programma per la fondazione di una serie di Università
cattoliche in tutto lo Stato. I presuli hanno sostenuto l’importanza
dell'educazione per lo sviluppo, parlando del deterioramento negli ultimi anni
del sistema educativo nazionale. Secondo loro, la nuova Università contribuirà
a elevare gli standard culturali nazionali, oltre che ad infondere
alti valori umani e spirituali. Il rappresentante del presidente della
repubblica, prof. don Yosuf Obaje, ha ringraziato la Chiesa per il contributo
nella sanità, nell’istruzione e per l’impegno in favore della pace. Ha
inoltre ribadito l’importanza del progetto,
in quanto risposta all'appello lanciato dal governo ai privati perché
intervengano nel sistema educativo nazionale. (S.C.)
INIZIERANNO IN SIERRA LEONE IL 14
APRILE I LAVORI
DELLA COMMISSIONE VERITA’ E
RICONCILIAZIONE
PER RACCOGLIERE TESTIMONIANZE
SULLE VIOLENZE DELLA GUERRA CIVILE
FREETOWN.
= Inizieranno il prossimo 14 aprile le sedute pubbliche della ‘Commissione
verità e riconciliazione’ della Sierra Leone: vittime e carnefici del decennale
conflitto interno testimonieranno in merito alle vicende della guerra civile.
Il portavoce della Commissione, Daniel Adekera, ha precisato di aver concluso
la raccolta delle dichiarazioni grazie alle quali sono stati ricostruiti i
crimini della passata guerra nel Paese africano. Nel corso delle sessioni i cittadini
potranno dibattere sulle cause del conflitto e sul ruolo svolto da politici e
militari. La raccolta di dieci anni di testimonianze servirà alla commissione
per ricostruire le violazioni e per ricomporre un tessuto sociale che risente
ancora dei postumi della guerra. La Commissione verità e riconciliazione -
affidata dal governo di Freetown a sette esperti di diritti umani - sta
lavorando in parallelo con il Tribunale speciale varato un anno fa dall’Onu.
L’Organizzazione delle nazioni unite intende indagare sui crimini commessi
durante la guerra civile, durata dal 1991 al 2001. (S.C.)
“IL GOVERNO DELLO ZIMBABWE
RISTABILISCA UN CLIMA DI PACE E DI GIUSTIZIA
CHE INCORAGGI LA PIENA
PARTECIPAZIONE DI TUTTI I CITTADINI”.
L’INVITO PARTE DAI VESCOVI
LOCALI,
PREOCCUPATI PER LA CRISI
ECONOMICA E POLITICA
HARARE. = I
vescovi dello Zimbabwe, preoccupati per la situazione politica ed economica nel
Paese, tornano a chiedere al governo del presidente Mugabe un impegno concreto
per ristabilire un clima di pace e di giustizia che incoraggi la piena
partecipazione di tutti i cittadini. L’appello è contenuto nella lettera
pastorale per la Quaresima, dedicata all’attuale crisi nello Zimbabwe, dove le
tensioni politiche causate dall’irrisolta questione agraria, hanno raggiunto livelli altissimi. L’appello
riguarda innanzitutto i fedeli, esortati, come indica il titolo del documento,
alla “conversione dei cuori”, e a testimoniare i valori del Vangelo: il
rispetto della vita e della dignità della persona umana, la solidarietà
sociale, il perseguimento del bene comune, ma soprattutto la pace. Una pace,
sottolineano i vescovi, che non può prescindere dalla “verità, dalla giustizia,
dall’amore e dalla libertà”. Dopo essersi soffermati sulle ripercussioni
sociali del declino economico del Paese, in particolare la disoccupazione e la
povertà crescente della popolazione, i presuli lamentano il clima di violenza e
intimidazione che serpeggia nella società, così come la corruzione dilagante
della classe dirigente. Inoltre esprimono preoccupazione per il deterioramento
dell’assistenza sanitaria nel Paese nel quale l’Aids imperversa. I presuli
invitano il governo a riannodare il filo del dialogo con la società e i
cittadini a partecipare attivamente alla vita pubblica per uscire dall’attuale
impasse. Un’esortazione, infine, ai cattolici che hanno posizioni di
responsabilità, invitati “ad esercitare le loro funzioni secondo gli
insegnamenti sociali della Chiesa” e a tutti
fedeli alla carità e alla preghiera per la pace in Zimbabwe. (L.Z./M.A)
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2 aprile 2003
- A cura di Giancarlo La Vella -
Importante passo avanti per la pace nella Repubblica
Democratica del Congo. E’ stata approvata ieri la carta costituzionale
provvisoria e la formazione di un governo di transizione che dovrebbe
traghettare l’ex Zaire fino allo svolgimento di libere elezioni. Il servizio di
Giulio Albanese:
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I 362 delegati, chiamati a rappresentare i tanti
protagonisti della lunga crisi congolese - vale a dire governo, principali
movimenti ribelli, partiti di opposizione e società civile - si sono raccolti a
Sun City, in Sudafrica, ed hanno animato la tanto attesa sessione plenaria che
si conclude oggi. Ma non è tutto oro quello che luccica. Ieri, infatti, è
giunta notizia che il principale movimento ribelle congolese, il gruppo filo
rwandese Rcd-Goma, negli ultimi giorni ha attaccato e conquistato alcune
cittadine nell’est dell’ex Zaire, in particolare i villaggi di Bunyatenge e
Muhanga, circa 100 km a sud-ovest di Lubero. Si tratta di un’area sotto il
controllo di Mbusa Nyamwisi, che è alla guida dei ribelli della coalizione
democratica congolese, il movimento di liberazione Rcd-Bunya, un signore della
guerra vicino al governo di Kinshasa. Non resta che attendere gli sviluppi di
una situazione politica che sembra promettere bene, nonostante vi siano comunque
delle incognite, guardando al futuro.
Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.
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Non si ferma la spirale di violenza nella crisi
israelo-palestinese. Una colonna blindata israeliana, appoggiata da due
elicotteri, ha effettuato questa mattina un’incursione nel campo profughi di
Tulkarem, nel nord della Cisgiordania. Fonti militari hanno riferito che
l’obiettivo del raid è la cattura di alcuni attivisti palestinesi. E ieri c’è
stato un incontro a Washington tra il presidente americano George Bush ed il
ministro degli Esteri israeliano Silvan Shalom. Per il capo della diplomazia
israeliana, la ripresa del dialogo con i palestinesi dipende “dalla sospensione
degli attentati terroristici”.
Dopo
lo stop ad amnistia e indulto, il Parlamento italiano sbarra la strada anche al
cosiddetto “indultino”. Il provvedimento, che a febbraio aveva passato l’esame
della Camera, è stato fermato ieri dalla Commissione Giustizia del Senato. Ce
ne parla Giampiero Guadagni:
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La proposta di “indultino” prevedeva una sospensione degli
ultimi tre anni di pena per chi ha già scontato un quarto della condanna.
Esclusi dal beneficio i detenuti condannati per reati gravissimi, come mafia,
terrorismo, omicidio. Il provvedimento passa ora all’esame dell’aula di Palazzo
Madama, nel testo approvato alla Camera dei Deputati, ma, appunto, con il
parere negativo della Commissione giustizia che ha bocciato l’art. 1
dell’“indultino”, nel quale erano contenute le norme più rilevanti dell’intero
provvedimento, rendendo così inutile l’esame degli articoli successivi. Un
impegno per un atto di clemenza nei confronti dei detenuti era stato chiesto il
14 novembre scorso ai parlamentari italiani dal Papa, nel corso del suo
intervento davanti alle Camere riunite.
Per la Radio Vaticana, Giampiero Guadagni.
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Operazione antiterrorismo in Italia. Sono stati arrestati
ieri a Milano un egiziano, due curdi, un somalo e due tunisini, tra i quali
l’imam di Cremona. I sei inviavano uomini dall'Italia nei campi di
addestramento in Iraq per combattere a fianco dei guerriglieri di Al Ansar, la
struttura costituita grazie anche ad uno dei leader di Al Qaida. L'inchiesta è
decollata dopo numerose intercettazioni telefoniche che hanno confermato la
preparazione di attentati e l' attività
dell'organizzazione.
Un vasto arsenale è stato trovato dai militari italiani
impegnati nella missione di pace in Afghanistan, nel corso delle attività di
controllo del territorio nell'area di Khost, circa 260 chilometri a sud-est di
Kabul. Il materiale bellico rinvenuto è stato poi distrutto, compito, questo,
che rientra tra le operazioni assegnate alle forze della coalizione che operano
per la neutralizzazione delle residue sacche di terrorismo ancora presenti
nell'area afghana, allo scopo di creare un clima politicamente stabile, necessario
alla ricostruzione del Paese.
Almeno sei persone sono morte e altre 23 sono rimaste
ferite a causa di una violentissima esplosione, di natura ancora non accertata, avvenuta a Davao, nel sud est
delle Filippine, a 950 chilometri da Manila. Lo riferiscono alcune radio locali,
citando fonti ufficiali.
In aumento in tutto il mondo i casi di polmonite atipica
d’origine asiatica, che finora ha ucciso nel mondo oltre 60 persone. La
sindrome ieri ha fatto altre nove vittime nella regione cinese del Guangdong,
da cui avrebbe avuto origine il virus. Tra l’altro il governo di Pechino ha
concesso ad una squadra dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di recarsi
nella zona colpita dall’epidemia. Altre due vittime sono da segnalare in
Canada, dove sono 124 le persone contagiate, ed un altra in Thailandia. E tra
l’altro oggi a Jesi si celebrano i funerali di Carlo Urbani, l’infettivologo
che per primo ha isolato il virus di questa malattia e poi ne è stato egli
stesso vittima. Conosciuto con l’appellativo di ‘medico-eroe’, svolse la sua
vita professionale soprattutto nei Paesi del Terzo Mondo, rifiutando incarichi
prestigiosi nell’università e nel panorama sanitario italiano.
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