RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 91 - Testo della
Trasmissione martedì 1 aprile 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
La violazione dei diritti umani in Guatemala è
purtroppo un fenomeno diffuso
Repubblica Democratica
del Congo: accordo tra governo e ribelli per una bozza di Costituzione
Il segretario di Stato
americano Powell, da oggi in Turchia, vedrà nei prossimi giorni a Bruxelles i
rappresentanti dell’Unione europea
Il Giappone annuncia e
poi smentisce il lancio di un missile terra-nave nordcoreano.
1 aprile 2003
L’URGENTE
NECESSITA’ DI COSTRUIRE LA PACE,
NEL
MESSAGGIO DEL PAPA ALL’ORDINE DEI MINIMI,
ORGANIZZATORE
DI UNA “MARCIA DELLA PENITENZA”
-
Servizio di Carla Cotignoli -
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“Questi forti momenti spirituali aiutano a
prendere sempre più coscienza dell’urgente necessità di costruire la pace anche
a costo di sacrifici personali”. Così il Papa nel messaggio inviato al
superiore generale dell’Ordine dei Minimi, padre Giuseppe Fiorini Morosini, in
occasione della Marcia della penitenza che domani, a Paola in Calabria,
coinvolgerà migliaia di giovani.
Il Papa definisce “opportuna” questa
manifestazione che “si svolge in un periodo segnato da non poche preoccupazioni
e sofferenze, anche a motivo della guerra in corso”, e sottolinea l’importanza
di “riflettere e implorare per l’umanità il fondamentale dono della pace”.
“Bisogna essere soprattutto consapevoli – afferma – che tutto si può ottenere
da Dio con la preghiera”. Il Santo
Padre definisce la Marcia “scuola di vita”, perché “permette di far riferimento
ai luminosi esempi del Santo Francesco di Paola”.
Rievocando la figura
di questo uomo di Dio, “vissuto in un’epoca non priva di disagi e problemi a
causa del perdurare di vari conflitti”, il Papa mette in particolare rilievo il suo impegno per la pace, “facendo
penitenza e mediando tra le parti in lotta”.
E’ nella “‘dolce pedagogia’ della penitenza evangelica” – dice – che si
apprende “il vero segreto della pace”. E richiama quanto insegna il Santo: “il conseguimento della pace ad ogni livello
è legato alla conversione del cuore e ad un reale cambiamento di vita”. E lo
cita. “Mentre si addensavano fosche nubi sull’Italia il Santo confidava: ‘Mi
affatico a pregare per la pace’”. La definiva “il più grande tesoro che i
popoli possono avere”, “una mercanzia che merita di essere acquistata a caro
prezzo”.
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ALTRA UDIENZA DI OGGI E RINUNCIA DI AUSILIARE IN GERMANIA
Il Papa
ha ricevuto in udienza in tarda mattinata il Patriarca di Gerusalemme dei
latini, mons. Michel Sabbah.
Stasera,
a Torino, mons. Sabbah prenderà parte ad una conferenza stampa presso
l’Istituto Missioni della Consolata, sul tema della pace in Terra Santa con
particolare riferimento agli sviluppi della crisi in Iraq.
In Germania, il Santo Padre ha accettato la rinuncia
all’ufficio di ausiliare della diocesi di Trier, presentata dal vescovo mons.
Alfred Kleinermeilert, per limiti di età.
LA
VICINANZA DEL PAPA ALLA POPOLAZIONE
COLPITA DALLA SCIAGURA MINERARIA IN BOLIVIA
Il Papa
ha espresso la sua solidarietà alla popolazione della località mineraria di
Chima, in Bolivia, dove uno smottamento di terra e di pietre abbattutosi su
circa 400 case ha provocato sei morti e alcuni feriti, oltre a 150 dispersi,
tra cui cinque bambini, secondo un bilancio ancora provvisorio.
In un telegramma a firma del cardinale segretario di
Stato, Angelo Sodano, indirizzato al vescovo della diocesi di Coroico, mons.
Juan Vargas Aruquipa, Giovanni Paolo II assicura la sua preghiera di suffragio
per gli scomparsi e il suo sincero cordoglio ai familiari, come pure la sua
vicinanza spirituale ai feriti ed a coloro che hanno perso le proprie
abitazioni.
Al tempo stesso, il Santo Padre invita “le istituzioni
pubbliche e le persone di buona volontà a prestare sollecitamente agli
interessati un aiuto efficace con carità e spirito di solidarietà fraterna”.
Con questi sentimenti, il Papa invia a conforto in una circostanza così
dolorosa la sua Benedizione apostolica sia alle persone colpite che ai
soccorritori.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
La prima pagina si apre
sottolineando che l'Iraq continua ad essere sotto “un fuoco incessante”.
Strage di civili ad un posto di
blocco alleato.
Il telegramma di cordoglio del
Papa per le vittime dello smottamento che ha investito la città di Chima, in
Bolivia.
“Quella corona stretta dalla
mamma di un soldato americano fatto prigioniero” è il titolo del pensiero di
Giovanni Rulli dedicato all'Anno del Rosario.
Nelle vaticane, il
Messaggio del Papa al Superiore generale dell’Ordine dei Minimi; una pagina sul
tema: “2 aprile: memoria liturgica di san Francesco da Paola, eremita,
fondatore dell'Ordine dei Minimi”.
Una pagina dedicata alle
iniziative a favore della pace promosse nelle diocesi italiane.
Una pagina, a cura di Giovanni
Fedrigotti, sul tema “Torino: celebrazioni per il centenario
dell’incoronazione di Maria Ausiliatrice ed il XXV di pontificato di Giovanni
Paolo II”.
Un articolo sull’ordinazione
episcopale, a Castellaneta, conferita dal cardinale Camillo Ruini a mons.
Pietro M. Fragnelli.
Nelle pagine estere, allarme
del Pam: urgono gli aiuti alimentari per la popolazione civile coinvolta nel
conflitto.
Kofi Annan invita le parti
belligeranti a concedere “corridoi umanitari” per consentire l’opera di
assistenza.
Riguardo al Medio Oriente,
Israele ribadisce le proprie condizioni per riprendere i negoziati con i
palestinesi.
Nella pagina culturale, un
elzeviro di Luigi M. Personè dal titolo “Le angosciate lettere di Alfredo
Oriani”.
Nell’“Osservatore libri”, un
approfondito contributo di padre Gino Concetti dal titolo: “Pio XI strenuo
difensore dei diritti di libertà della Chiesa e della società civile”: il nono
e il decimo volume delle Encicliche e documenti pontifici, a cura di Ugo
Bellocchi.
Nelle
pagine italiane, in primo piano la situazione politica in riferimento alla
crisi irachena: al via, alla Camera, il dibattito su mozioni riguardanti gli
aiuti umanitari.
In rilievo, il tema
dell'immigrazione.
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1
aprile 2003
PIOGGIA
DI FUOCO, NELLA NOTTE, SU BAGHDAD. COMBATTIMENTI IN CORSO
IN
MOLTE ZONE DELL’IRAQ E NUOVE VITTIME TRA I CIVILI,
CAUSATE
DALLA “PSICOSI DA KAMIKAZE”.
LA
DIFFICILE SITUAZIONE DELLA POPOLAZIONE IRACHENA,
COSTRETTA
NELLE CITTA’ PER PAURA DEL REGIME
- A
cura di Alessandro De Carolis -
Baghdad ha vissuto la notte scorsa il più violento
bombardamento dall’inizio della seconda Guerra del Golfo. Almeno 12 missili -
secondo giornalisti e testimoni – hanno seminato distruzione nel centro cittadino,
colpendo tra l'altro il complesso presidenziale del Palazzo della Repubblica e
la sede del Comitato olimpico iracheno. Secondo il ministero dell’Informazione,
bombe e missili avrebbero fatto 18 morti e più di 100 feriti. Ma anche sugli
altri fronti la situazione resta drammatica. Si combatte da stamani a Najaf,
con la 101.ma Divisione aviotrasportata americana impegnata in un duro
confronto armato, mentre nel nord, raid aerei hanno preso di mira e bombardato
le vicinanze della città di Kirkuk.
Proprio nei pressi della cittadina irachena, è maturata
ieri una nuova strage di civili, frutto probabilmente della tensione che
serpeggia tra gli angloamericani per le ripetute minacce di nuovi attentati
kamikaze. La mancata sosta ad un posto di blocco alleato di un veicolo si è
trasformata in un bagno di sangue, quando i soldati hanno aperto il fuoco,
crivellando l’automezzo e uccidendo sette persone tra donne e bambini che erano
a bordo. Qualche ora più tardi, a Samawa, nei pressi di Najaf, in Iraq
centro meridionale, e a Shatra, nel
sud, due uomini non armati sono stati uccisi dai marines mentre con i loro
camioncini stavano avvicinandosi a velocità sostenuta al posto di blocco. La conferma di queste due tragedie è stata
data dal Comando centrale anglo-americano (CentCom) nella base di As Sayliya,
in Qatar.
Tra le
città irachene teatro delle battaglie più sanguinose in 13 giorni di guerra, vi
è senza dubbio quella di Nassirya. Roberto Piermarini è riuscito a mettersi in
contatto con l’inviato di Radio 24, Fausto Biloslavo, che si trova al seguito
di una colonna militare alleata nei pressi della città:
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R. – Sembra che le forze irachene si stiano ritirando da Nassirya, perché
rischiano l’accerchiamento. Questa è la novità.
D. – Come state vivendo in
queste ore?
R. – Stiamo attendendo di capire cosa possiamo fare. Se
riusciamo ad andare vicino a Nassirya, entrare… per noi giornalisti è molto
difficile girare e lavorare.
D. – E’ pericoloso?
R. – Sì, è pericoloso, perché praticamente il fronte è
ovunque. Anche nelle retrovie ci sono rischi di imboscate, di attacchi
terroristici. Quindi, la prima linea è dappertutto.
D. – Riuscite ad avere notizie
di guerra, oppure sono sempre filtrate dai comandi?
R. – Fondamentalmente, noi
abbiamo deciso per il momento di girare con gli americani, seguire i convogli e
dormire nelle basi americane per questioni di sicurezza. Anche perché di civili
iracheni se ne vedono veramente pochi in giro. Si vedono quelli che chiedono
acqua e cibo ai lati delle strade. Le notizie, dunque, sono sempre quelle che
si hanno attraverso gli americani. C’è da dire però che non sempre loro hanno
delle notizie. La situazione è molto incerta - almeno qui, nell’Iraq
meridionale, a Nassirya - oppure dove mi sono spinto ieri, fino a Najaf, a
120-130 km da Baghdad. Lo confermo: la situazione è molto incerta.
D. – Che notizie si hanno di
Bassora?
R. – So solo che sicuramente il
cerchio attorno alla città si è stretto sempre più. Gli inglesi stanno cercando
di garantire una maggiore sicurezza nelle zone limitrofe, come Zubayr, ma come
anche Umm Qasr, il porto che è stato conquistato per primo, e che sembra essere
l’unica zona veramente conquistata e relativamente sicura, nonostante le sacche
di resistenza presenti anche lì.
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Il capitolo umanitario. Il capo della delegazione della
Commissione Europea in Giordania, Robert Van der Meulen, ha annunciato – in un comunicato rilanciato
dalla stampa di Amman - lo stanziamento di 327 milioni di euro per aiuti umanitari alle vittime del conflitto in
Iraq. Anche un altro dei moltissimi organismi umanitari in azione all’interno e
all’esterno del Paese mediorientale, Save the Children, ha fissato in
circa 10 milioni di dollari l’obiettivo di una propria raccolta di solidarietà
in favore dei bambini iracheni. “A causa di questa guerra - ha dichiarato
Angelo Simonazzi, direttore generale di Save the Children Italia - ci potrebbe essere oltre 1 milione di
persone che sarà costretto ad abbandonare la propria casa e la propria comunità
e in queste situazioni sono sempre i bambini quelli più colpiti.
Finora, in verità, uno dei “paradossi” del conflitto nel
Golfo è proprio la mancanza praticamente totale di profughi. La Croce Rossa
internazionale, Caritas internationalis e l’Onu in particolare si sono
adoperate per allestire ai confini con l’Iraq dei campi di accoglienza. Delle
attese masse di sfollati in fuga dalla guerra, però, quasi nessuna traccia, se
si eccettua qualche centinaio di persone che ha chiesto all’ufficio siriano dell’Acnur,
l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, di poter formalizzare il proprio
status. Come si spiega questo mancato afflusso e, soprattutto, è un fatto
sorprendente? Risponde Laura Boldrini, portavoce italiana, raggiunta
telefonicamente ad Amman, in Giordania, da Alessandro De Carolis:
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R. – Non ci meraviglia oltremodo, questa situazione.
Dobbiamo tenere presente che il regime di Saddam Hussein è un regime basato
sulla propaganda. Sono anni che questa propaganda si insinua tra la popolazione
e rafforza in qualche modo nella convinzione delle persone l’idea che Saddam
Hussein sia l’unica persona in grado di dare dignità al popolo iracheno,
ingiustamente penalizzato dalle sanzioni dell’Onu. Un atteggiamento di questo
tipo - propagato attraverso i media per anni ed anni - rafforza chiaramente,
ripeto, il regime il quale, d’altro canto, sembrerebbe aver emesso un decreto,
intimando alla popolazione di non lasciare le proprie abitazioni, pena la
confisca dei beni, la perdita della nazionalità e il trattamento riservato ai
traditori. Inoltre, c’è da dire che questa gente si è molto impoverita, perché
comunque l’embargo ha ridotto lo standard di vita della popolazione irachena.
Per fuggire, quindi, ci vogliono enormi quantità di denaro, che non sono alla
portata dell’iracheno medio.
D. – Gli aiuti promessi alla gente possono aver funzionato
da deterrente alla fuga dalle città?
R. – E’ stata fatta una distribuzione di viveri più
cospicua, più razioni sono state messe insieme: c’è in effetti una copertura
che va fino alla fine di aprile. Si capisce, evidentemente, che la
sopravvivenza è in qualche modo garantita dal punto di vista alimentare.
Dunque, sì, non c’è la necessità impellente di dover scappare per procacciarsi
viveri per sopravvivere, non c’è un effetto immediato di fuga della
popolazione. Questo effetto, però, matura di solito nel periodo medio-lungo,
quando non ci sono più risorse per andare avanti e quando la popolazione è allo
stremo delle forze.
D. – Quando prevedete che ciò potrà accadere?
R. – Lo scenario di oggi, che vede gli iracheni rimanere
nelle città per paura dei bombardamenti, per paura del regime, per mancanza di
risorse, potrebbe cambiare molto rapidamente se si dovesse arrivare alla resa
dei conti interna, e quindi ad uno scenario da guerra civile. Noi, come Acnur,
abbiamo il dovere di essere pronti al peggio, abbiamo il dovere di affrontare
quanto necessario per far fronte ad un eventuale flusso di profughi.
D. – Che tipo di coordinamento in Iraq tra le agenzie
umanitarie impegnate nella distribuzione degli aiuti?
R. – Le Nazioni Unite nel loro
insieme, attraverso le singole agenzie umanitarie, stanno inviando dentro dei
convogli che però sono a ritmo ridotto e la distribuzione interna viene fatta
dallo staff locale. Per noi, come famiglia delle Nazioni Unite, è importante
che l’aiuto umanitario sia gestito dalle agenzie dell’Onu e dagli organismi non
governativi, anziché dai militari, perché questo è un mestiere che va fatto con
determinati criteri. Altrimenti, si finisce per ritrovarsi in una situazione di
arrembaggio, nella quale i più forti hanno la meglio e le persone più deboli,
che avrebbero più bisogno, non ricevono gli aiuti.
D. – Avete notizie aggiornate sulla situazione umanitaria
a Bassora?
R. – Non abbiamo delle informazioni dirette, di prima
mano. Sappiamo comunque che una parte della popolazione ancora non ha accesso
all’acqua. Le tubature sono state ripristinate solo al 50 per cento, e questo è
un problema enorme: Bassora è una città che ha sempre avuto il problema di
approvvigionamento di acqua. Ricordo che l’ultima volta che ci sono stata
c’erano interi quartieri con le fogne a cielo aperto, residuo della prima
Guerra del Golfo del ’91. E vi erano anche zone distrutte dai bombardamenti di
quel momento. Bassora, quindi, è una città già abbastanza gravata di problemi.
E questo ci preoccupa, nonostante vi siano in corso le distribuzioni.
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Le
testimonianze di civili in fuga da Bassora, raccolte da un giornalista della
Reuters, suonano come conferma delle pressioni che la popolazione è costretta a
subire da parte del regime iracheno. “Membri del partito Baath – racconta una
di queste testimonianze - girano per Bassora con megafoni, avvertendo la popolazione
che farebbe meglio a combattere”. Gli uomini della polizia segreta di Saddam,
spiega ancora, “entrano nelle case e ci chiedono perché i nostri parenti non
stanno combattendo contro gli americani e i britannici”. Ma all’interno del
Paese c’è chi tenta di opporsi al regime con la forza delle proprie convinzioni
e con il coraggio di manifestarle. Come questa donna curda, madre di due figli
morti per l’indipendenza del Kurdistan, che descrive l’impegno suo e di altre
donne come lei per consegnare l’Iraq, e il suo popolo, ad un futuro di pace:
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“La nostra organizzazione “Madri della pace” nasce da una
esperienza personale, dalla sofferenza per la campagna di annientamento del
popolo curdo, cui non è riconosciuto alcun diritto. Lingua, identità, usanze e
tradizioni ci sono state negate con la forza, ma con la guerra non si arriva a
nessuna soluzione. La guerra tra curdi e turchi ha colpito entrambi i popoli:
ecco perché abbiamo cercato di coinvolgere anche le madri turche, tenendoci per
mano e lottando insieme per la pace. Basta la guerra, basta il sangue, perché
la guerra è distruzione per l’umanità intera”.
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Una guerra partita per essere rapida e definitiva, che
invece sembra segnare il passo nell’incertezza dei tempi. La tensione sempre
più palpabile che si registra nei Paesi arabi confinanti con l’Iraq, dove
transitano combattenti volontari decisi ad affiancare Saddam Hussein. Sono
alcune chiavi di lettura di un conflitto giunto ormai alla soglia della seconda
settimana di durata. Sul punto, ecco una riflessione del nostro direttore generale,
padre Pasquale Borgomeo:
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Non era necessaria una grande immaginazione per prevedere le ricadute di
una guerra all’Iraq sui sentimenti delle masse arabe e musulmane. Basta leggere
i giornali per constatare quali sono le reazioni popolari in Giordania, Siria,
Palestina, Egitto, Afghanistan, Pakistan. Gruppi d’iracheni rientrano in patria
per difendere il proprio Paese, volontari palestinesi, yemeniti, ceceni
accorrono per combattere quelli che essi chiamano gli infedeli. Il fuoco che
cova sotto la cenere rischia di diventare un incendio di proporzioni
incalcolabili.
Paradossalmente Saddam Hussein, il leader più laico e più malvisto dai Paesi
Arabi, quello che i fondamentalisti islamici hanno sempre considerato un miscredente,
rischia di diventare per le masse arabe un simbolo di riscossa di un Islam
ferito e umiliato. Diventa un eroe un dittatore senza scrupoli che sta trascinando
nella sua rovina un numero incalcolabile di vittime innocenti che il mondo
arabo e musulmano metterà senza distinguo sul conto del nemico Occidente.
Si stanno così verificando puntualmente tutti i mali paventati alla
vigilia di una guerra che si poteva evitare. E per la popolazione civile si
annunziano giorni ancora più luttuosi. Si moltiplicano infatti i casi di errori
e sbavature da parte di militari alleati costretti a combattere in scenari che
sono ormai di guerriglia più che di guerra. Saddam aveva minacciato di
trasformare la sua resistenza in un combattimento casa per casa, e di servirsi
dei civili come scudi. Si profila ora per i soldati alleati anche l’incubo dei
kamikaze, mentre l’abbandono delle divise da parte dei militari di Saddam fa
loro vedere e temere in ogni iracheno un possibile aggressore.
In una battaglia senza quartiere e senza regole è sempre la popolazione
civile a pagare il prezzo più alto, mentre è evidente che i fedelissimi di
Saddam cercheranno di portare il conflitto verso il più esasperato grado di
disumanità e di barbarie, essi che ormai non hanno più niente da perdere e
considerano martirio ogni attacco suicida.
Sono queste le considerazioni che inducono ogni uomo di buona volontà ad
augurarsi e chiedere una rapida fine di questa guerra. Sono queste le preoccupazioni
che spingono ogni vero credente ad implorare da Dio onnipotente e misericordioso
la fine di questa tragedia. Sono queste le ansie che fanno più insistente la
nostra preghiera di cristiani in comunione con il Papa, indomito e orante profeta
di pace.
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PREOCCUPANTE IMPATTO DELLA GUERRA NEL
GOLFO
SULLO
STATO DEI DIRITTI UMANI NEL MONDO:
A
DENUNCIARLO IN UN RAPPORTO E’ AMNESTY INTERNATIONAL
-
Intervista con Daniele Scaglione -
Sempre in prima linea nel denunciare le violazioni dei
diritti umani perpetrate dal regime di Saddam Hussein, Amnesty International
non ha tuttavia tralasciato di lanciare un allarme sull’impatto che la guerra
in Iraq sta avendo sullo stato dei diritti fondamentali, anche in aree lontane
dal conflitto. In un documento diramato ieri, l’organizzazione umanitaria
denuncia “attacchi al diritto alla libertà di espressione” in 14 Paesi assieme
ad un ricorso “eccessivo e arbitrario” all’uso della forza da parte delle
autorità contro i manifestanti pacifisti. Sugli aspetti fondamentali del
rapporto, Alessandro Gisotti ha intervistato Daniele Scaglione, già presidente
di Amnesty Italia:
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R. – Il problema riguarda soprattutto la libertà di
espressione. Manifestare contro la guerra è molto difficile in Paesi anche al
di sopra di ogni sospetto come potrebbero essere il Belgio, la Danimarca, la
stessa Norvegia. Ci sono stati arresti arbitrari o comunque molto discutibili
che proprio sono stati portati nei confronti di manifestanti che protestavano
contro lo scoppio della guerra. Poi altri Paesi, invece più direttamente
coinvolti, come possono essere Sudan o lo Yemen, dove l’opposizione è sempre
stata molto martoriata da grandi repressioni, che in questo periodo si
intensificano, utilizzando un po’ anche il pretesto della guerra e cioè la
disattenzione che ne deriva sulle violazioni dei diritti umani.
D. – Ecco, ma secondo Amnesty International, la
libertà di espressione è davvero in pericolo nel mondo occidentale?
R. – Beh, è in pericolo e non solo. Ci sono stati subito
dopo l’11 settembre, in Paesi con una tradizione sicuramente particolare come
gli Stati Uniti d’America, la Gran Bretagna, l’introduzione di atti contro il
terrorismo assolutamente non rispettosi degli standard internazionali sul tema
dei diritti umani e anche sulla libertà d’espressione.
D. – Quali sono le proposte di Amnesty nei confronti di
quei governi che hanno irrigidito le proprie norme in materia di sicurezza,
misure che incidono sulla sfera delle libertà personali?
R. – Più che proposte noi chiediamo assolutamente il
ripristino delle garanzie minime così come sono definite dagli standard
internazionali a maggior ragione con maggior forza, lo chiediamo nei confronti
di quei Paesi che parlano di un’azione voluto nel rispetto delle norme della
democrazia e nel rispetto dei diritti umani. C’è uno stridente contrasto tra il
fatto che Paesi come la Gran Bretagna, come gli Stati Uniti d’America, stiano
compiendo un’azione di forza in nome delle libertà democratiche che violano
all’interno dei loro stessi Paesi. Questo ovviamente non giustifica gli altri,
non giustifica Paesi anche nel Sud America, anche lontanissimi dalla zona del
conflitto, che usano il pretesto della guerra e della lotta al terrorismo per
arrestare, talvolta, semplicemente degli oppositori politici. C’è veramente un
abbassamento di standard a tutti i livelli, un abbassamento di attenzione
terribilmente preoccupante.
D. – Ieri, il Dipartimento di Stato americano ha
presentato il suo annuale rapporto sui diritti umani, muovendo dure accuse alla
Cina. Sul Medio Oriente, invece, Powell non ha risparmiato critiche a palestinesi
ed israeliani. Che valutazione date di questo documento?
R. – Questo rapporto che esce tutti gli anni denuncia in maniera spesso
molto documentata e molto buona le violazioni dei diritti umani che avvengono
anche in 200 Paesi e c’è sempre un assente, questo và detto, gli Stati Uniti
d’America. Poi comunque questo rapporto viene un po’ strumentalizzato ai fini
della politica estera statunitense. Penso che sia particolare il fatto del modo
in cui vengono definite situazioni come quelle del Qatar o del Kuwait, Paesi
dove tutto sommato, c’è una situazione generale di rispetto dei diritti dei
cittadini e questo non è assolutamente vero. A noi di Amnesty International non
risulta ciò. Possiamo insinuare che sia questa posizione un po’ più blanda come
ringraziamento rispetto allo schieramento di questi due Paesi nell’ambito della
guerra attuale… Ma lasciamo perdere, però di fatto il problema esiste, c’è.
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1
aprile 2003
TOTALE CONVERGENZA DEI VESCOVI ITALIANI CON IL PAPA
NEL DIRE NO
ALLA GUERRA IN IRAQ: LA DIFFICILE SITUAZIONE
INTERNAZIONALE AL CENTRO
DEL CONSIGLIO PERMANENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE
ITALIANA
APPENA CONCLUSO A ROMA
- A cura di Adriana Masotti -
ROMA.
= La viva apprensione dei vescovi italiani per la guerra in Iraq e per le ripercussioni
del conflitto sugli equilibri internazionali ha pervaso la sessione primaverile
del Consiglio episcopale permanente tenutosi a Roma dal 24 al 26 marzo scorso.
I presuli hanno ribadito il loro no alla guerra in piena e totale adesione alle
parole di Giovanni Paolo II e hanno invitato la comunità cristiana a una preghiera
intensa per ottenere da Dio il dono della pace. I vescovi esprimono apprezzamento
per la mobilitazione di tanti contro la guerra, un impegno che non deve essere
però mai confuso “con finalità e interessi assai diversi, o inquinato da
logiche che in realtà sono di scontro”. Nessuna ideologia, infatti - ha detto
stamani in conferenza stampa mons. Giuseppe Betori, segretario generale della
Conferenza episcopale italiana – può appropriarsi della pace. Per i vescovi
inoltre l’antidoto più efficace per contrastare il terrorismo e evitare i
conflitti è il costante impegno a far crescere una “pedagogia della pace”,
fondata sui quattro pilastri della verità, giustizia, amore e libertà contenuti
nella “Pacem in terris” di Giovanni XXIII.
Venendo ad altri temi, il Consiglio episcopale permanente ha preso atto
dell’approvazione della legge sulla riforma scolastica e di quella sul mercato
del lavoro, mentre si è detto preoccupato per la proposta di legge che vuole
abbreviare i tempi per il divorzio. I vescovi auspicano inoltre che la
discussione sul disegno di legge sul riassetto radiotelevisivo in Italia approdi
a regole chiare a garanzia del pluralismo e del rispetto degli utenti e
ribadiscono l’attesa per l’esito in Senato del provvedimento di clemenza, già
approvato dalla Camera, nei riguardi dei detenuti. Infine l’invito a tutte le
parti politiche ad abbassare i toni del dibattito e a non pregiudicare il
rispetto reciproco alla base del sistema democratico del Paese.
L’ARCIPELAGO
INDONESIANO DELLE MOLUCCHE,
MARTORIATO
DAL CONFLITTO INTERRELIGIOSO CONCLUSOSI NEL 2002,
VIVE
ADESSO IL DRAMMA DEGLI SFOLLATI
AMBON.
= Il conflitto interreligioso che per tre anni ha insanguinato l’arcipelago
indonesiano delle Molucche, finito da diversi mesi, apre ora il problema degli
sfollati. Stanno infatti sorgendo difficoltà nella gestione del rientro a casa
di alcuni gruppi di profughi, costretti a suo tempo a lasciare le loro
abitazioni a causa dei frequenti scontri tra musulmani e cristiani. A fornire
notizie all’agenzia missionaria Misna sui recenti sviluppi, è il Centro di
crisi della diocesi cattolica di Ambon, capoluogo delle Molucche. I religiosi
riferiscono che, durante il mese di marzo, più di 1000 famiglie sarebbero
dovute tornare da Ambon a Tobelo, la loro terra nelle Molucche settentrionali.
Di fatto però, nonostante gli sfollati fossero pronti a partire, nessuno se ne
è occupato e i profughi non hanno potuto raggiungere i luoghi di origine. Una
situazione di confusione si è creata anche in relazione a 310 famiglie di
sfollati provenienti da Namlea, sull’isola di Buru, che si sono rifugiate ad
Ambon. L’amministrazione del capoluogo delle Molucche sta predisponendo il loro
rientro nei luoghi originari, ma al momento di registrarsi per la partenza, le
famiglie che si sono segnate nei registri pubblici erano non meno di 700. Le
autorità ipotizzano che, per ottenere aiuti doppi, molte famiglie si siano
registrate due volte: la prima con il nome del padre, la seconda con quello
della madre. A gennaio erano ancora oltre 330 mila gli sfollati interni a causa
del conflitto interreligioso scoppiato nelle Molucche nel gennaio 1999 e
conclusosi ufficialmente nella primavera del 2002, con un accordo siglato da
musulmani e cristiani a Malino, nel Sulawesi. (A.L.)
IERI HA COMPIUTO 102 ANNI IL GESUITA ANTONIO
FERRUA,
L’ARCHEOLOGO
CHE HA PARTECIPATO AGLI SCAVI DELLA TOMBA DI SAN PIETRO
ROMA. = Ha compiuto ieri centodue anni il gesuita Antonio Ferrua,
studioso ed archeologo che ha partecipato dal 1940 al 1949 agli scavi sotto la
Basilica di San Pietro per volere di Pio XII. E’ stato festeggiato dalla
comunità della rivista dei gesuiti italiani “Civiltà Cattolica” e dagli ex
alunni della scuola di archeologia cristiana. Nato nel 1901 a Trinità, in
provincia di Cuneo, padre Ferrua entrò diciottenne tra i gesuiti, compiendo in
Piemonte tutto il caratteristico percorso di formazione della Compagnia.
Sacerdote dal 1930, il giovane gesuita frequentò anche l’università di Torino,
dove si laureò tre anni dopo con una tesi in teologia classica sugli epigrammi
di Papa Damaso (366-384), lo straordinario costruttore della Roma cristiana
fondata sul culto degli apostoli e dei martiri. Sin dal suo trasferimento a Roma, avvenuto nel
1935, il giovane religioso ha collaborato con la rivista “Civiltà Cattolica”.
Per più di mezzo secolo docente al Pontificio Istituto di archeologia cristiana
e membro di prestigiose istituzioni culturali e accademiche, padre Ferrua fu
dal 1948 anche conservatore del Museo sacro della
Biblioteca Vaticana. E’ ricordato soprattutto per la lunga controversia
che l’ha opposto alla collega Margherita Guarducci (1903-1999) sulla tomba e le
reliquie di San Pietro. In questo caso i prevedibili ruoli dei due studiosi
s’invertirono. Fu infatti il religioso a dichiararsi ripetutamente non convinto
della dibattuta identificazione, sostenuta invece con passione dalla epigrafista
laica. Il gesuita coordinò inoltre, per incarico di
Papa Pio XII, la ricostruzione di San Lorenzo al Verano, semidistrutta dal bombardamento
che il 19 luglio 1943 devastò il popoloso quartiere romano. Sono oltre
quattrocento le sue pubblicazioni dove sono narrate scoperte di
catacombe e illustrati sarcofagi, affreschi ed iscrizioni. L’epigrafista
gesuita ha pubblicato ben quarantamila epigrammi in sei monumentali volumi
delle Inscriptiones Christianae Urbis Romae. Un capolavoro assoluto è considerata la sua edizione
critica (1942) degli Epigrammata Damasiana. Per questa capacità di
lavoro e per il taglio spassionato e “laico” della sua ricerca padre Ferrua è
stato a ragione definito il più grande successore di Giovanni Battista de
Rossi, lo studioso italiano che nella seconda metà dell’Ottocento fondò la
moderna archeologia cristiana. (A.L.)
LA
VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI IN GUATEMALA È PURTROPPO
UN
FENOMENO DIFFUSO. LO HA CONSTATATO, DURANTE LA RECENTE VISITA NEL PAESE, UNA
DELEGAZIONE DELLA COMMISSIONE INTERAMERICANA
DEI
DIRITTI UMANI (CIDH)
CITTA’
DI GUATEMALA. = La situazione dei diritti umani in Guatemala è in costante e
grave deterioramento. Lo ha constatato una delegazione della Commissione
interamericana dei diritti umani (Cidh), durante una recente visita di cinque
giorni nel Paese centroamericano. Chiamata ad esaminare lo scenario nazionale a
sette anni dagli accordi di pace che nel 1996 posero fine a 36 anni di guerra
civile, la missione della Cidh ha notato “segnali allarmanti” sulla fragilità
dello Stato di diritto. “In particolare, l’impunità, la corruzione ed il
crimine organizzato rappresentano una seria minaccia all’ordinamento
democratico” ha rilevato José Zalaquett, capo della delegazione. Gli esperti
della Cidh sono inoltre venuti a conoscenza dell’esistenza di gruppi illegali
dediti a “narcotraffico, sequestri, contrabbando, attacchi e minacce contro gli
operatori di giustizia”. “Alcuni settori delle istituzioni – ha rilevato
Zalaquett – potrebbero essere coinvolti in questi crimini”. In conclusione, il
capo della missione della Cidh ha citato la persistente discriminazione contro
i popoli indigeni, che rappresentano il 60 per cento degli 11 milioni e 200mila
guatemaltechi, e l’aumento della violenza verso i “bambini di strada”. (A.L.)
E’ LA
NUOVA CAMPAGNA LANCIATA DAL GOVERNO
KENYOTA
CON LA
COLLABORAZIONE ANCHE DELLE COMUNITÀ CRISTIANE
NAIROBI.
= Il governo kenyota ha lanciato una nuova massiccia campagna contro l’Aids in
cui sono state coinvolte anche le comunità cristiane. Il programma, intitolato “Guerra
totale all’Hiv/Aids” e finanziato da un prestito di 50 milioni di dollari
della Banca Mondiale, è stato presentato la settimana scorsa a Nairobi.
Tra le novità più significative figura lo stanziamento di fondi a favore di
progetti gestiti dalle organizzazioni religiose del Paese. L’obiettivo del
programma è di intensificare la collaborazione con le Chiese per rispondere in
modo più efficace all’emergenza Aids. Una collaborazione che si può rivelare
sicuramente fruttuosa, nonostante le divergenze esistenti sull’uso dei
profilattici, consigliato dalle autorità governative ed osteggiato dalla
Chiesa. Come ha infatti tenuto a ribadire mons. Philip Sulumeti, vescovo di
Kakamega e presidente della Commissione episcopale per la salute e la famiglia,
i vescovi insistono sulla castità e sulla fedeltà coniugale quale unico
efficace rimedio contro diffusione della malattia. Le organizzazioni religiose
in Kenya hanno già stretti rapporti collaborazione nella lotta contro l’Aids
attraverso un apposito organismo di coordinamento, il Kenya Interreligious
Aids Consortium, istituito nel giugno 2001. (A.L. –
L.Z.)
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1
aprile 2003
- A cura di Giada Aquilino -
Ad oltre quarant’anni
dall’indipendenza dal Belgio e dopo una lunga e sanguinosa guerra civile che ha
destabilizzato tutta l’Africa centrale, la Repubblica Democratica del Congo
avrà finalmente una Costituzione. Oggi a Sun City, in Sudafrica, infatti, i
rappresentanti del governo di Kinshasa e quelli dei principali movimenti
ribelli hanno firmato una bozza di carta costituzionale. Sul documento Andrea
Sarubbi ha raccolto il commento di padre Valerio Shango, portavoce in Italia
dei vescovi congolesi:
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R. - Quest’accordo consiste nel tirar fuori da tutte le
forze in campo quattro vice presidenti: uno appartenente al governo, due alle
forze ribelli ed un altro all’opposizione non armata. E’ una forma di accordo
di non belligeranza. Si spera che i congolesi finalmente possano riconciliarsi
definitivamente nei prossimi mesi, per riportare il Paese alla sua normalità e
stabilità.
D. – E’ un accordo che può reggere?
R. – Noi tutti lo speriamo. E’ un’ultima chance che viene
data a queste fazioni ribelli dai politici e dal governo. I presupposti ci
sono: c’è l’appoggio che la comunità internazionale ha dato tramite l’ex
presidente del Botswana, Ketumile Masire, e quello fornito dall’Onu. E poi c’è
anche la volontà della Chiesa congolese, che sta camminando con il popolo per
uscire da questo clima di sofferenza.
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Il segretario di Stato
americano Colin Powell, da oggi ad Ankara, incontrerà nei prossimi giorni anche
la troika diplomatica dell'Unione europea, per fare il punto sulla crisi
irachena. I colloqui si terranno nella sede del quartier generale della Nato, a
Bruxelles, dov’è atteso il capo della diplomazia statunitense. A darne
l’annuncio è stata la Commissione europea, precisando che il luogo degli incontri
è stato scelto dagli Stati Uniti per motivi di sicurezza.
Potrebbe tenersi il prossimo 8
aprile a Belgrado, a margine di una riunione dei Paesi balcanici, l’incontro
tra il premier greco Costas Simitis e quello turco Recep Tayyip Erdogan. Al
centro del colloquio ci sarà la questione dell’isola di Cipro, separata dagli
anni ’70 tra parte greca e parte turca. Tre settimane fa all'Aja erano falliti
i colloqui tra le due parti, patrocinati dall’Onu. Fonti ufficiali di Atene
precisano però che il faccia a faccia Simitis-Erdogan “non è ancora sicuro al
100%”.
Il piano
di pace del Quartetto per il Medio Oriente, composto da Stati Uniti, Russia,
Unione europea e Onu, “non è negoziabile”. Lo ha detto il consigliere americano
per la Sicurezza nazionale, Condoleeza Rice, sottolineando che Israele “deve
fare la sua parte” per la creazione di uno Stato palestinese entro il 2005. Da
parte israeliana, giungono le dichiarazioni del ministro degli Esteri Silvan Shalom,
secondo cui la ripresa del dialogo con i palestinesi dipende “dalla sospensione
degli attentati terroristici”. Intanto la situazione nei Territori rimane
grave. Lo testimonia il team medico di Bergamo che per una settimana ha lavorato
all’Ospedale Europeo di Khan Yunis, nella Striscia di Gaza, ed ha eseguito oltre
50 interventi, per lo più su bambini rimasti sfigurati in incidenti o in
scontri con l’esercito israeliano. Francesca Sabatinelli ha registrato
l’esperienza del dottor Enrico Robotti, responsabile del gruppo:
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R. – I nostri pazienti sono
stati per un 70 per cento bambini, diciamo dai 2 ai 14-15 anni, con patologie
legate soprattutto a ustioni. Abbiamo inoltre riscontrato deformità degli arti,
traumi dovuti a realtà belliche, patologie oncologiche che la medicina locale
non può curare.
D. – Quanto ha influito sul
vostro lavoro - e quanto influisce sul lavoro quotidiano dei medici palestinesi
- la situazione bellica che si vive in quella zona?
R. – Massicciamente. La
presenza di check point costanti limita gli spostamenti. A volte ci si impiega
anche una giornata intera per spostarsi di pochi chilometri. Questo comporta
una difficoltà d’accesso dei pazienti ad alcune strutture che fondamentalmente
sarebbero le uniche strutture adeguate. Si parla dell’Ospedale di Gaza e di
quello di Khan Yunis.
D. –
Ridurre i danni causati da ustioni e ferite ha anche un’importanza sociale a
Gaza: perché?
R. – Certamente è molto
significativo. L’unica ‘dote’ che le piccole pazienti di 3-4 anni porteranno
per tutto il loro futuro è il viso, perché il benessere per queste persone in
gran parte non esiste!
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E’ arrivata la smentita del
Giappone sulla notizia, annunciata poche ore fa dalle stesse autorità di Tokyo,
riguardante il lancio da parte della Corea del nord di un missile terra-nave.
Il portavoce ufficiale del governo nipponico ha comunicato di ''non essere in
grado di confermare ufficialmente l'avvenuto lancio''. Dubbi sull’accaduto
erano stati espressi dalla Corea del sud, mentre le autorità di Pyongyang hanno
mantenuto il silenzio più totale.
Oltre 34 milioni di spagnoli
saranno chiamati alle urne il prossimo 25 maggio per le elezioni amministrative
che interesseranno più di 8mila municipalità. Diciotto milioni invece gli
elettori che dovranno rinnovare i Parlamenti di 13 regioni autonome, su un
totale di 17.
Ad otto anni di distanza, sono
state seppellite ieri le prime 600 vittime del massacro di Srebrenica, in
Bosnia. Nel luglio del ’95, i miliziani serbobosniaci di Ratko Mladic uccisero
oltre 7mila musulmani. Il servizio di Emiliano Bos:
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Oltre diecimila musulmani hanno
partecipato alla cerimonia funebre che ha ricordato i più vergognosi eccidi in
Europa della seconda guerra mondiale. “Che il dolore diventi speranza, la
vendetta giustizia e le lacrime della madri diventino preghiera” ha detto
Mustafa Ceric, leader religioso dei musulmani di Bosnia. “Un orrore consumato
sotto gli occhi del mondo” ha aggiunto Paddy Ashdown, attuale rappresentante
internazionale. I caschi blu dell’Onu, incaricati di proteggere la popolazione,
in quei frangenti non furono capaci di fermare la strage di civili, i cui corpi
furono gettati in una sessantina di fosse comuni. Delle 600 vittime sepolte
ieri, 599 erano uomini ed una soltanto era una donna, una ragazza ventenne: le
vittime sono state tutte riconosciute grazie al Dna.
Per Radio Vaticana, Emiliano
Bos.
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Paura a Cuba, dopo il tentato dirottamento di un aereo
civile con 46 persone a bordo. Un pirata dell’aria ha cercato di deviare un
velivolo diretto all’Avana verso gli Stati Uniti. La mancanza di carburante ha
impedito la riuscita del dirottamento. L’aereo si trova ora su una pista
dell’aeroporto internazionale dell’Avana ed i passeggeri sono ancora ostaggio
del dirottatore. Le autorità cubane stanno trattando. Tutti i voli in partenza
ed in arrivo sono stati comunque sospesi.
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